mercoledì 10 febbraio 2010

l’Unità 10.2.10
L’incontro de l’Unità
«Legalità e trasparenza Così governerò il Lazio»
di Jolanda Bufalini

Urticante Emma arriva di corsa e parte di corsa dal forum de l’Unità (diretta web e su RedTv) verso il Senato, per presiedere la seduta delle 12. Porta un piccolo dossier sulle energie rinnovabili: «Sono dati giusti, li ho controllati». Cita le ragazze, «energie creative al lavoro» per i manifesti che finalmente oggi dovreste incontrare sulla vostra strada, ad un mese dall’inizio dell’avventura. Il primo: «Ti puoi fidare». La foto non è di quelle concepite in uno studio di comunicazione e marketing. Anche quella l’ha fatta di corsa, prima di partire per Berlino (incontro sullo smaltimento dei rifiuti) e Davos (vertice sullo stato dell’economia): «Dalle polemiche sembrava stessi andando ai Caraibi». Seguirà «Emma presidente, tutta un’altra storia». E ci sono le parole chiave per vincere in una Regione con un bilancio da 19 miliardi di cui 12 sulla sanità: trasparenza, onestà, legalità. «Con Storace le Asl non presentavano i bilanci, in violazione della legge».
Emma dice di sé stessa: «irritante». «Ci sono regioni dove siamo irritanti», e risponde così anche alle domande arrivate on line: «Come fa a stare con il centro sinistra nel Lazio e da sola in Lombardia?». Intanto: o da soli o con il centro sinistra, in nessun caso dall’altra parte, «in Piemonte sin dall’inizio con Mercedes Bresso». In Lombardia, invece, è stata una valutazione politica, «discutibile» ma «dove con Formigoni ci sono derive clericali e non si applica quasi più la legge 194, mi pare sia più efficace una campagna proprio radicale, anche verso i delusi di centro destra». La questione delle firme per l’urticante Bonino è una premessa al Lazio, al programma, sulla sanità, sull’occupazione, sulle donne. «Io non amo tirare per la giacca il presidente della Repubblica ma lo stato di diritto non è un optional». Il problema è che le liste Bonino Pannella non riescono a raccogliere le firme. C’è la gente che firmerebbe, i tavoli ci sono. Mancano gli autenticatori. «150.000 in Italia, legati a uno o l’altro schieramento e, dove andiamo da soli, ambodue per motivi opposti non aiutano». Chi è fuori dai consigli regionali resta fuori. Roba da casta. Ma «non si contrabbandano le convinzioni con le convenienze».
Nel Lazio il matrimonio è di convenienza o di convinzione? La dote è scarsa, difficile parlare di convenienza, niente nababbi all’orizzonte. Infatti c’è il problema dei manifesti: «Chi ha più soldi più compra. E basta fare un giro per Roma per vedere chi ha già comprato. Da oggi bisogna comprare gli spazi che rimamgono, perché io non imbratto gratis la città».
Emma spera nella convinzione. «Pier Luigi Bersani ha accolto subito la candidatura. Il corpo del Pd ha stentato. Mi sono presentata in un periodo di grande incertezza, in cui si dava per scontato di aver perso ed è difficile mettere la faccia su una sconfitta». I dibattiti interni, «tesi», sono «legittimi». «Io li rispetto e ora ci sarà anche la composizione delle liste. Però c’è un momento in cui si dice basta. Mi permetto di ricordare che si vota il 28 marzo». Risponde via agenzie Alessandro Mazzoli, segretario Pd del Lazio: «Tutto il Pd sta lavorando e lavorerà per la sua elezione a presidente, con passione, competenza e risorse. Non è più tempo di dubbi: concentriamoci sulla campagna elettorale».
Trasparenza, legalità, onestà e monitoraggio sulle convenzioni, le leggi, le delibere. Emma non è un’integralista: «Gli appetiti meno trasparenti si manifestano dove ci sono i soldi, nelle bocciofile c’è poca corruzione». Corruzione zero è un obiettivo irrealistico, però si possono mettere dei paletti. La trasparenza, un sistema giudiziario che funzioni, limiti alla politica nella gestione. E poi c’è da rendere più efficiente il sistema sanitario: spostare risorse in favore dell’assistenza agli anziani. Perché se tutto è sanità «si crea una strozzatura, un collo di bottiglia e il sistema non funziona».
Niente integralismo anche verso le veline: «Non sono una bacchettona ma mi dispiace che su “Raiset” le donne siano rappresentate solo secondo due stereotipi: o svestite (d’estate o d’inverno) oppure commesse o infermiere. Se una donna è in carriera allora è la Meryl Streep de “il diavolo veste Prada”».
E su Marrazzo: «Non mi importa dei rapporti fra persone adulte, trovo imbarazzanti livelli inaccettabili di ipocrisia. Nella vicenda Marrazzo ci sono tre filoni: l’indagine della magistratura; la compassione per i figli, i familiari e lui stesso; ma poi c’è il comportamento politico, non bisogna porsi nella condizione di farsi ricattare». Discorso che vale anche per il presidente del Consiglio? Il discrimine per Emma la laica è quello dove si trovano i reati. Ma chi svolge funzioni pubbliche «ha più onori e quindi più oneri, e un po’ di esempio lo deve dare». Senza bacchettonismi: «il ministro degli Esteri tedesco è felicemente omosessuale e con il suo compagno va a tutti i ricevimenti pubblici».
I cattolici la voteranno, chiede il direttore de l’Unità? la risposta è un secco e netto «Sì». «Non siamo mica un paese musulmano. Chi erano quelli che all’84 per cento confermarono la legge 194?». Il voto dei cattolici è un «evergreen» ma appartiene più al politichese che al mondo reale. Porta l’esempio della coalizione che si è creata in Piemonte intorno a Mercedes Bresso, dai radicali a l’Udc. Quanto a Di Pietro e l’Idv «spero che la svoltina non sia solo elettorale».
La Emma più a sorpresa è quella del working in progress con i sindacati, con cui è in sintonia sui sanità, servizi di assitenza territoriale, ai disabili, agli anziani, su crisi e lavoro, mobilità, trasporti e pendolari. Il 17 febbraio è in calendario l’incontro con i segretari della Cgil. «Il Lazio è l’unica Regione ad aver approvato una legge sul reddito minimo garantito. Va rifinanziata e rafforzata». Accanto a questo ci vuole una «visione per il futuro» delle piccole e medie imprese che fanno l’ossatura economica del Lazio, «grande regione d’Europa» come è per il Piemonte e l’Emilia Romagna.

l’Unità 10.2.10
«E se noi donne scioperassimo per un giorno?»
di Mariagrazia Gerina

L ’idea Emma Bonino ce la racconta mentre è ancora in progress. Uno sciopero mai visto. Data e modalità ancora da fissare. Ma un giorno attorno all’8 marzo non sarebbe male. Titolo: ventiquattro ore senza di noi. Dove «noi» sta per donne. Quelle che accudiscono i figli, gli anziani, i disabili se in casa ce ne sono. «Se ci fermassimo tutte per una intera giornata sarebbe un bel disastro, non pensate?», sorride la candidata, all’idea di giocare con un certo estro la sua campagna elettorale per le regionali nel Lazio,facendola camminare, per la parte che vorranno, sulle gambe delle donne. Niente nostalgie femministe. Che non siamo negli anni Settanta, è chiaro. «Questo è un tempo di semina e non so quando scoppierà l’ora del raccolto ma so che quando, dopo gli anni ‘70, abbiamo detto “fermiamoci un attimo” è successo di tutto». Vedi la legge 40: «E meno male che la Corte Costituzionale, pezzo a pezzo, sta facendo cadere le parti più aberranti». Oppure le veline: «Nulla contro di loro, ma contro lo stereotipo sì». Fare argine, dunque. Si comincia domenica, con una chiamata a raccolta delle «Donne per Emma». Appuntamento tradizionale, se non fosse che il 14 febbraio è anche San Valentino. E per le ospiti, che verranno un po’ da tutti gli ambienti, anche cattolici. E poi giovani imprenditrici, ricercatrici, sportive, attrici. Ma non è che l’inizio. Obiettivo: far emergere il potenziale femminile, «tesoro nascosto» del Lazio e non solo. La Regione che Emma da donna, radicale, europeista, si candida a governare è in questo un paradigma del paese. Italia: 96mo posto al mondo per la partecipazione delle donne al mondo economico, 88mo al mondo del lavoro, 91mo al reddito da lavoro. Lazio: un po’ sotto la media. Il dato cruciale è uno. Nel Lazio le donne laureate o dottorate sono 379mila, gli uomini 338mila. Ma se si va a vedere quante sono inattive la proporzione si inverte: 70mila contro 38mila uomini inattivi. Eccolo, lo spreco. Su tre milioni di inattivi, due sono donne, laureate e non. L’occupazione femminile è ferma al 46,6% (quella italiana è di poco superiore: 48%), quando l’obiettivo fissato a Lisbona è del 63%.
La domanda è: non lavorano, non fanno nemmeno figli, che fanno? «Le funambole», risponde Emma: «Si fanno carico del welfare che non c’è, dei servizi di assistenza ai bambini che non ci sono, della popolazione che sta invecchiando, dei disabili e delle altre fragilità». È da qui che Emma Bonino suggerisce di partire. Perché se è chiaro che, nella sfida tutta al femminile che si gioca nel Lazio, le donne saranno tema cruciale, le risposte che Emma Bonino e la sua avversaria Renata Polverini si preparano a declinare non potrebbero essere più diverse. «La destra e la Polverini dicono: aiutiamo le donne a stare più in casa e occuparsi di più dei figli», spiega Emma criticando la via del «quoziente familiare». «La mia risposta è l’inverso: che lo Stato inizi a fare la sua parte, garantendo i servizi di assistenza,», dice Emma, che da liberista non disdegna l’idea di sperimentare soluzioni nuove, compresa quella dei «voucher spendibili per coprire almeno parte delle spese per le badanti».
ASILI NIDO E ANZIANI
Problema numero uno: i nidi. Nel Lazio il 34% delle domande non vengono soddisfatte, l’accesso al nido è garantito solo all’11% dei bambini da 0 a 3 anni. Risposta: incrementare gli asili nido, ma sperimentare anche altre forme, come il tagesmutter, l’asilo di caseggiato. E introdurre dei meccanismi premiali per cui si fa un monitoraggio e le esperienze che funzionano vengono premiate. Secondo: gli anziani. Gli over 65 nel Lazio sono 1 milione, uno su dieci ha più di 85 anni. Affollano i pronto soccorso, gli ospedali, le strutture di riabilitazione, anche se a volte è solo di assistenza che hanno bisogno. «La spesa oggi è tutta concentrata sulla sanità, ma di contro sulle strutture ospedaliere si scaricano anche i costi delle politiche sociali». Risposta: potenziare i servizi pubblici socio-assistenziali, ma anche pensare a fondi ad hoc per servizi di semplice assistenza. Infine: creare un osservatorio. «Altrove ha obbligato a cambiare rotta e quello che non va nel nostro paese non è un destino scritto».

l’Unità 10.2.10
«Il nucleare non produce posti di lavoro»
di Ma.Ge.

Il sondaggio è già fatto. L’80 per cento degli italiani vorrebbe che le energie rinnovabili fossero la fonte principale con cui produrre l’elettricità. Solo il 14 per cento opta per il nucleare. Emma Bonino l’ha portato con sé, insieme a qualche dato (studi della Bocconi, dati Enea e del Centro Europeo di Ricerche) che spiega perché «No» al nucleare. Un tema che entra direttamente nella campagna elettorale per il Lazio visto che «il governo ha già annunciato il piano delle nuove centrali nucleari e anche se non vuole dire prima delle elezioni dove saranno localizzate, pensando alla tecnologia scelta, quella francese di terza generazione, che ha bisogno di moltissima acqua per raffreddare i reattori, si può immaginare facilmente Lazio dove saranno collocate». Nel Lazio, i luoghi deputati sono due: Montalto di Castro e Borgo Sabotino. Ma il «no» alle centrali nucleari in questi due siti del Lazio ha ragioni anche più generali. «Usiamo delle cifre, così ci capiamo», dice Emma, che ha con sé uno studio dell’Enea e alcuni dati sull’impatto che avrebbe in termini di economia e occupazione puntare davvero sulle energie rinnovabili. Si parla di 10mila posti di lavoro solo nel Lazio entro il 2020, 250mila in tutta Italia. «Poi ci sono tutte le altre questioni, le scorie e tutto il resto». Ma il punto è anche che «di fronte alla crisi occupazionale, oltre a sostenere i lavoratori bisogna avere una visione del futuro», spiega la candidata del centrosinistra. E la scelta del nucleare come visione del futuro proprio non funziona. Quattro reattori doppi spiega infatti Emma costano 25-30 miliardi di euro. Se pure si comincia a costruirli nel 2013 il primo reattore sarà in funzione nel 2020. E secondo le «loro stime» quando tutto sarà in rete, «nel 2030, forse, non so bene», il nucleare coprirà il 4,5% dei consumi finali di energia. «È chiaro che non stiamo parlando di fondi privati, perché non conosco imprenditore che investe nel 2013 per avere il primo chilowatt nel 2020, al mondo non se ne sono trovati, dubito che ne troviamo da queste parti». Di contro lo studio dell’Enea «che non è esattamente un gruppo di Tupamaros» dice che un piano di efficienza energetica può partire subito, perché la tecnologia in Italia c’è già, che porterebbe occupazione perché si tratta di tecnologia media. E che può produrre in termini di efficienza energetica il doppio della scelta nucleare. «Ecco basterebbe partire da qui, dal rapporto tra costi e benefici e dall’immediatezza, per dire che è evidente che l’alternativa che indichiamo noi efficienza, ricerca, potenziamento rinnovabili è molto più fattibile, convincente e redditizia sia dal punto di vista occupazionale che energetico».

Repubblica Roma 10.2.10
Regionali, Bonino avanti su Polverini ma il Pdl stacca il centrosinistra
Nuovo sondaggio sul voto: centrodestra al 43%, Pd al 26
di Giovanna Vitale

Al momento la differenza la fanno gli indecisi, quel 20% di elettori che a un mese e mezzo dalle regionali non ha ancora stabilito per chi votare. Per il resto, l´ultimo sondaggio Crespi per Omniroma conferma il sostanziale testa a testa Bonino-Polverini, con la prima in vantaggio di un punto e mezzo sulla seconda, che però accorcia le distanze. Rispetto a due settimane fa, la candidata del centrosinistra perde infatti un punto percentuale e si attesta al 39,5, quella di centrodestra guadagna altrettanto e sale al 38. Una rimonta scontata per Andrea Augello, responsabile del comitato Polverini: «Man mano che la popolarità di Renata cresce perché continua a girare, perché si vede il suo volto sui manifesti, è chiaro che recuperi». Mentre secondo Riccardo Milana, suo omologo sul fronte avverso, «Polverini ha goduto finora di un´esposizione mediatica anche scorretta, vedi la sua apparizione a Domenica In, ma nei prossimi giorni, anche grazie alle leggi dello Stato, non avverrà più e la partita sarà diversa». Più ottimista la radicale Rita Bernardini: «La nostra campagna deve ancora cominciare. Si tenga conto che finora non si è visto un manifesto uno della Bonino».
A preoccupare il centrosinistra è il risultato complessivo della coalizione, inchiodata a uno striminzito 43,5%, che salirebbe al 44,5 se l´Api di Rutelli dovesse infine risolversi ad allearsi, con un distacco di ben dieci lunghezze dal cartello di centrodestra. Il quale schizza invece al 53,4% grazie al traino di un Pdl che da solo totalizza il 43, ma anche al contributo decisivo dell´Udc (6,9) e della Destra (3). Deludente, sul fronte opposto, la performance del Pd fermo al 26%, soprattutto se confrontato con l´exploit della lista Bonino-Pannella che vola al 5,5, mentre l´Idv fa peggio delle attese (6,5), la Federazione della Sinistra non supera il 2,5, SeL l´1,5, i Verdi l´1, i socialisti lo 0,5.
Intanto, mentre la Lista civica Cittadini per Bonino ha individuato la sua coordinatrice nell´editrice Anna Maria Malato, già responsabile della civica per Veltroni e moglie del senatore pd Raffaele Ranucci, nelle prossime settimane la comunità ebraica romana inviterà Bonino, Polverini e Michele Baldi «a farci visita in sinagoga per un incontro al quale prenderà parte anche il rabbino capo», ha reso noto il presidente Riccardo Pacifici. Un confronto elettorale che in nessun caso si tradurrà in «un appello al voto per qualcuno dei candidati in lizza», precisa. Nel frattempo la candidata del Pdl un primo risultato lo ha già ottenuto. «Sì è vero, sono dimagrita, è la campagna elettorale», ha rivelato entusiasta incontrando i vertici regionali di Confagricoltura. «La consiglio a chi vuole perdere qualche chilo».

Repubblica Roma 10.2.10
L’accusa di Staderini: "Non in regola i cartelloni negli spazi del Comune"
I radicali all´attacco di Renata "Non paga i diritti per i manifesti"
di Chiara Righetti

Ce la farà Renata Polverini a spendere solo 500mila euro per le elezioni? «Pare improbabile visto il numero di manifesti in giro», aveva osservato Emma Bonino. Ma ora sono gli stessi Radicali a suggerire una spiegazione a tanta parsimonia: «I manifesti della Polverini negli spazi a pagamento del Comune - denuncia il segretario Mario Staderini - non sono in regola con le tariffe: come provano le foto di FaiNotizia. it, manca il timbro che attesta il pagamento della tassa di pubblicità. Bel modo di ridurre le spese a danno dei cittadini».
Da giorni i manifesti "Con te", che come da slogan sono davvero ovunque, hanno scatenato una bufera sulla candidata Pdl. «Gentile signora, abbiamo svolto un´indagine sulle affissioni abusive: la stragrande maggioranza erano di candidati di centrodestra che riportavano il suo nome e la sua immagine»: così scrive alla Polverini il presidente Aduc Primo Mastrantoni. E le fa notare l´incongruenza, visto che proprio ora che «il Comune guidato dal centrodestra ha avviato una campagna per il decoro». Soprattutto, si chiede l´Aduc, tra vigili e "stacchini", «quanto ci costerà questa deturpazione ad opera dei suoi sostenitori? Smetta di andare ai convegni di chi ha affisso manifesti abusivi». Ma la candidata si limita a ribadire: «Ho già fatto un appello a chi affigge manifesti perché lo faccia negli spazi consentiti. Oggi partirà una lettera ai partiti che mi sostengono».
«Non so se la Polverini vincerà la campagna dei voti ma ha vinto quella dell´inciviltà», tuona il consigliere Pd Enzo Foschi, che si chiede «dov´è la credibilità di un candidato che fa pagare lo scotto della sua pubblicità ai cittadini». E Montino aggiunge: «Bonino ha la massima attenzione, la candidata di centrodestra abbonda in manifesti fuori dagli spazi consentiti». Quanto alla Bonino, la sua campagna (che la ritrae in giacca fucsia e maglia nera con lo slogan "Ti puoi fidare") partirà oggi. In ritardo, spiega lei stessa, perché «abbiamo deciso di correre a gennaio. Poi dovevamo comprare gli spazi e per farlo servono soldi. Sporcare gratis è facile, fare una campagna legale costa». Intanto infuria la polemica sulla sanatoria per le affissioni abusive spuntata a sorpresa nel Milleproroghe. A denunciarla ancora Staderini, che spiega: «È un condono valido fino al 31 maggio, in pratica una licenza a delinquere per tutte le regionali» e parla di «blitz in puro stile partitocratico messo a segno nottetempo dalla Lega con la complicità del Pdl».

Repubblica 10.2.10
Escluse le forze che non hanno raggiunto il 4 per cento alle Europee: Radicali, Prc, Pdci, Verdi , Destra
Partiti minori fuori dalle tribune Rai e nei talk show obbligo di ospitare tutti
di Silvio Buzzanca

ROMA - Tribune politiche regionali "vietate" per Rifondazione e Pdci, Radicali Italiani e Verdi, la Destra di Storace e tutti gli altri partiti che alle Europee sono rimasti sotto la soglia del quattro per cento. Per tutti queste formazioni la par condicio nella prima fase della campagna elettorale, dalla convocazione delle elezioni alla presentazioni delle liste, è abolita. Lo ha deciso ieri pomeriggio la commissione di Vigilanza della Rai che sta discutendo la regolamentazione della prossima campagna elettorale. La proposta di lasciare fuori i "piccoli" dalla prima fase della campagna elettorale televisiva è stata lanciata dal leghista Caparini e ha avuto il voto favorevole della maggioranza.
L´idea di non fare partecipare gli altri partiti alle tribune politiche si è materializzata sotto forma di emendamento al testo preparato dal relatore Marco Beltrandi, radicale eletto nelle liste del Pd. I Democratici avevano presentato una proposta di mediazione che prevedeva una soglia al due per cento e "salvava" la presenza di molti partiti. Ma l´approvazione dell´emendamento Caparini ha precluso la discussione e la votazione di questo emendamento.
Contro la proposta di Pdl e Lega hanno votato i Democratici, i centristi di Casini e l´Italia dei Valori. Ieri sera, inoltre, la maggioranza ha votato una proposta del relatore Beltrandi che, nella seconda fase della campagna elettorale, prevede la presenza di tutti i candidati all´interno dei talk show contemporaneamente e una tribuna politica, con parità di tempo, all´interno di ogni trasmissione. Un modo, accusa il Pd, per svuotare e sterilizzare Santoro e Floris. Per questo i democratici hanno protestato e lasciato la Vigilanza.
Il voto della Vigilanza sulle tribune ha naturalmente suscitato le proteste dei partiti estromessi. Il leader verde Angelo Bonelli, giunto al quattordicesimo giorno di sciopero della fame per richiamare l´attenzione sull´oscuramento mediatico dei temi ambientali, si è appellato al presidente della Repubblica per fermare quello che definisce «un furto di democrazia».
Quel voto, aggiunge Paolo Ferrero, «è una palese violazione della Costituzione che fissa le elezioni perché il popolo si possa esprimere, non per condizionare il popolo a votare chi ha già il potere». Gennaro Migliore, responsabile comunicazione di Sinistra e Libertà, intanto si appella ai presidenti di Camera e Senato e al presidente della Vigilanza Sergio Zavoli,. Chiede loro di «intervenire urgentemente di fronte ad una palese violazione costituzionale». Infine Oliviero Diliberto, segretario dei Comunisti italiani, punta l´indice anche contro la minoranza. Con questo voto, dice Diliberto, «non si vuole che i cittadini siano informati. Si mette un bavaglio a chi potrebbe disturbare i giochini di una maggioranza e di una finta opposizione che sono d´accordo - al di là dei finti voti ed emendamenti presentati - con l´obiettivo di cancellare le voci fuori dal coro».

Repubblica 10.2.10
Roccella: le affermazioni dei parenti non bastano
"Nessun ritardo sulla legge lavoriamo per un´intesa"
Speriamo di trovare un accordo con l´opposizione, ma le accuse sulle mancanze del governo rasentano la diffamazione
di Mario Reggio

ROMA - «La discussione parlamentare sul testamento biologico continua e va avanti, non è vero che un anno è passato senza fare nulla. Speriamo che l´opposizione trovi dei punti di convergenza su una serie di aperture presentate dal relatore di maggioranza».
Un anno dopo, lei e Sacconi avete deciso di andare dalle suore che hanno curato Eluana.
«Siamo andati a Lecco solo per consegnare una lettera del presidente del Consiglio. Le accuse di Livia Turco sull´assenza del governo per evitare la discussione rasentano la diffamazione. Abbiamo sempre assicurato i lavori in Commissione alla Camera. Dopo l´approvazione del ddl al Senato, alla Camera i lavori vanno avanti e spero che, su alcuni emendamenti del relatore di maggioranza, si trovi una convergenza».
Ci sono margini d´intesa?
«La prima apertura del relatore di maggioranza riguarda l´allargamento della platea di chi può usufruire della dichiarazione anticipata di trattamento. Al Senato si amplia a tutti quelli che hanno perso la capacità d´intendere e di volere, quindi ai malati terminali. Poi, per la prima volta, una legge sancirebbe il diritto al consenso informato del paziente».
Ed il diritto a rinunciare all´idratazione ed all´alimentazione?
«Riguarda solo i malati terminali che non possono più assorbire il trattamento».
Se una persona sceglie e mette nero su bianco che non vuol essere curato?
«Vale fino a che è in grado di confermare quello che ha deciso. Dopo c´è sempre un elemento di incertezza, quindi vale il principio di precauzione, perché se una persona muore non si può tornare indietro. E non basta che un parente affermi che la persona aveva dichiarato di non voler essere tenuta in vita».

Repubblica 10.2.10
Veronesi: così si impone l´alimentazione forzata
"Ma il testo in discussione è contro la Costituzione"
di Carlo Brambilla

Dopo tutto quello che è successo, in questi ultimi mesi migliaia di persone hanno capito il significato del testamento biologico

MILANO - «Penso che Beppino Englaro abbia dato al Paese una grande lezione di civiltà. Invece di risolvere il suo dramma nell´ombra ha scelto di portarlo nell´agorà, sapendo di esporsi così alle accuse, anche infamanti, di chi non la pensa come lui. Per questo ho deciso, un anno dopo, di dare la mia adesione al Comitato scientifico dell´associazione "Per Eluana" (www. pereluana. it)». Umberto Veronesi è tra i nomi prestigiosi che hanno aderito alla neonata associazione presieduta da Beppino Englaro, con lo scopo di tutelare il diritto individuale a una scelta libera e consapevole sull´accettazione dei trattamenti sanitari.
Professor Veronesi, un anno fa moriva Eluana. La discussione sulla fine della vita e su chi deve decidere, per che cosa, è entrata ormai in tutte le famiglie.
«Quando in Senato è giunta la notizia della fine della tragedia di Eluana ho sentito il dovere morale di esprimere pubblicamente il mio sostegno alla battaglia di Beppino Englaro per il rispetto della libera volontà di sua figlia. Tutta questa vicenda è servita a far nascere una nuova consapevolezza. Sono migliaia le persone che hanno capito il significato del testamento biologico, lo hanno scaricato da internet e lo hanno consegnato a loro persone di fiducia. E altri continuano a farlo».
Cosa pensa della proposta attuale di regolamentazione dell´espressione delle volontà anticipate, cioè di testamento biologico?
«Penso che se fosse approvata peggiorerebbe la situazione. Perché in pratica, imponendo l´alimentazione e idratazione forzata, vieterebbe a tutti i cittadini di dire lucidamente "no" alla vita artificiale, come era lo stato vegetativo permanente di Eluana. Sarebbe una legge anticostituzionale perché tradirebbe il principio della libertà dei cittadini di poter rifiutare qualsiasi trattamento».

l’Unità 10.2.10
Gelmini-Tremonti, una rifoma con la scure
di Francesca Puglisi

Al di là della propaganda governativa di queste ore, valgono i fatti e presto studenti, insegnanti e famiglie si accorgeranno del male inflitto al sistema scolastico dal Governo Berlusconi. A guidare il riordino delle superiori non è uno spirito riformatore, ma una concezione elitaria dell’istruzione e un drastico ridimensionamento della spesa per l’istruzione pubblica (circa 8 miliardi di euro in tre anni), attuato senza discussione in Parlamento e senza alcuna logica educativa.
Si tratta della stessa scure che ha già eliminato nell’anno scolastico 2009-2010, nella sola scuola secondaria superiore, 11.347 docenti, con l’aumento oltre misura del numero di studenti per classe. Ora, con la riduzione del tempo scuola, saranno eliminati altri 20.339 insegnanti nei prossimi due anni, un licenziamento di massa di cui faranno le spese soprattutto i precari.
Il ministro afferma che con il riordino dei licei avranno più ore materie come le lingue straniere, la matematica e le scienze. In realtà si tratta delle materie che il ministro Gelmini ha azzoppato senza pietà. Per fare solo qualche esempio, nel liceo linguistico la seconda lingua straniera avrà il 33% in meno delle ore, nei licei scientifici viene eliminata la sperimentazione dello studio della seconda lingua. La matematica non sta meglio delle lingue: si accorpa con la Fisica e diventa un’unica disciplina nei licei delle scienze umane e linguistici, con un’ulteriore riduzione oraria. Altra perla “gelminiana” è l’assenza, in tutti i licei, dell’insegnamento almeno quadriennale di Scienze, una delle caratteristiche della moderna scuola del XXI secolo.
Il riordino degli istituti tecnici è una brutta copia della riforma approntata dal governo di centrosinistra, con l’aggravante che non ci sono risorse per i laboratori, tagliati anch’essi del 30% insieme ad un gran numero di insegnanti tecnico pratici. Il Pd ha avanzato le proprie proposte nelle Commissioni competenti di Camera e Senato, ma a parte la “riduzione del danno” di far partire il riordino solo dalle nuove iscrizioni, su tutti gli altri punti c’è stata un’insensata sordità. L’accetta di Tremonti alla fine ha colpito l’istruzione di ogni ordine e grado e a conti fatti, dal prossimo anno scolastico, ad ogni bambino o bambina che varca per la prima volta la porta di una scuola primaria, al termine dell’obbligo, saranno sottratte 63 settimane di istruzione, quasi due anni in meno di scuola. Il Partito Democratico promuoverà nelle prossime settimane una giornata nazionale di mobilitazione per la scuola pubblica, il più grande investimento nel capitale umano del Paese, chiamando a raccolta tutte le migliori energie della nostra società, che hanno a cuore il futuro dei nostri ragazzi e ragazze.

l’Unità 10.2.10
Su Radio Radicale storie di ordinaria illegalità al Cie di Bari

Peggio della galera!». «Viviamo come dei cani». Sono arrivate alla redazione di RadioRadicale.it le immagini del Cie di Bari Palese, registrate con un cellulare da un immigrato tunisino ora espulso. Beseghaier Fahi ci ha fornito una imponente documentazione cartacea, fotografica e video, che abbiamo montato e pubblicato sul nostro sito e che il Tg3 delle 19.00 ha mandato in onda domenica scorsa. Oltre alle immagini scioccanti delle condizioni igienico-sanitarie in cui versa la struttura, il video contiene diversi appelli degli immigrati e alcune storie di ordinaria illegalità dello Stato italiano.
Chi è il responsabile? La O.E.R, “onlus” che ha vinto la gara d’appalto per la gestione del CIE? Le ditte Medica Sud srl e Ladisa, che partecipano alla gestione di questo centro? I militari del battaglione S. Marco, addetti alla sorveglianza? Politicamente il primo responsabile è il Ministro Maroni, cui si deve una legge che allunga il trattenimento nei CIE. Su quello di Bari, nell’ottobre scorso il deputato del Pd, Dario Ginefra, ha depositato un’interrogazione che attende ancora risposta; il Radicale Maurizio Turco è tornato a visitare il Cie a gennaio denunciando come nulla sia cambiato.
Chi ha realizzato quel video e chi vi ha partecipato ha trovato la forza di assumersi la responsabilità di denunciare l’ingiustizia anche per conto di quanti in quei centri lavorano o prestano la loro attività volontaria.
Radio Radicale mette a disposizione nel suo sito di giornalismo partecipativo FaiNotizia.it la possibilità di segnalare gli abusi attraverso materiale video, fotografico e scritto. Speriamo che altri, italiani o stranieri, facciano quanto ha fatto Beseghaier Fahi.
SIMONE SAPIENZA Internet@radioradicale.it

l’Unità 10.2.10
Fondo editoria: pressing bipartisan sul governo Ma c’è il rischio fiducia
di B. Dig.

È allarme rosso per i giornali di idee e opinioni. Il governo non ha ancora ripristinato le regole per l’accesso ai fondi modificate con un blitz in Finanziaria. Oggi al voto un emendamento bipartisan. Ma c’è il rischio fiducia

Ancora nulla di fatto sui fondi per le testate di idee, opinioni e per l’editoria cooperativa. Giulio Tremonti, che a fine 2009 aveva rassicurato alcuni direttori dei giornali coinvolti (tra cui anche Concita De Gregorio) promettendo un intervento entro gennaio, non ha ancora sciolto le riserve. Oggi è il giorno decisivo: un emendamento bipartisan al milleproroghe che ristabilisce il diritto soggettivo ad accedere ai fondi andrà al voto nell’Aula di Palazzo Madama. I giochi sono aperti, ma la partita è ad alto rischio. Il governo, infatti, non ha ancora dato un’indicazione chiara, tanto che in commissione la proposta è stata accantonata per evitare brutte sorprese. E alla vigilia sono circolati insistenti le voci di un possibile maxiemendamento del governo, con la richiesta di fiducia. In questo caso cadrebbero tutti i tentativi parlamentari di intervenire sul testo.
MOBILITAZIONE
Per l’informazione è allarme rosso. La Federazione nazionale della stampa annuncia la mobilitazione delle testate politiche, cooperative e di idee. In gioco c’è molto. Non solo fondi, ma anche il diritto a un’informazione plurale, non condizionata soltanto da forti poteri economici o dal mercato pubblicitario. L’intervento del governo in Finanziaria ha sostanzialmente eliminato il diritto soggettivo delle testate politiche e non profit ad accedere al finanziamento pubblico. Tradotto in cifre vuol dire che le attuali norme consentono al tesoro di stanziare una somma, che poi le diverse testate dovranno spartirsi pro-quota. Se aumentano le testate, la quota singola diminuisce. In questa situazione, diventa complicato per molte aziende editoriali persino chiudere i bilanci. Insomma, il blitz del Tesoro mette a rischio sia l’informazione, sia la sopravvivenza di decine di imprese editoriali, sia centinaia di posti di lavoro. Un vero terremoto.
La «questione» editoria non è nuova: ormai già da mesi divide il governo. Il Tesoro aveva già tentato mesi fa di imporre il nuovo sistema: tentativo sventato poi da un intervento parlamentare. Con l’ultima finanziaria è arrivato il secondo blitz, su cui si è consumato anche un duro braccio di ferro tra Tremonti e Paolo Bonaiuti, che nel frattempo ha presentato in Parlamento il nuovo regolamento per l’editoria. Ma sarebbe grave come osservano all’unisono Vincenzo Vita e Giuseppe Giulietti se il regolamento fosse approvato senza prima ripristinare il diritto soggettivo all’accesso ai fondi. Proprio quello che chiede l’emendamento bipartisan, voluto dai senatori Vita e Lusi dell’opposizione, e Butti e Mura della maggioranza. Una proroga di un anno delle condizioni ante Finanziaria, che consenta di riscrivere nuove regole complessive. «L’emendamento è indispensabile per trovare il tempo per varare una riforma condivisa del settore come richiesto dalle organizzazioni sociali e dal mondo della comunicazione», ha dichiarato ieri la presidente dei senatori Pd Anna Finocchiaro. A questo hanno lavorato ieri le «diplomazie» parlamentari fino a tarda sera. I parlamentari della maggioranza avrebbero avuto un incontro con un esponente del Tesoro (forse con lo stesso Tremonti) in tarda serata. Ma la situazione è rimasta fluida per l’intera giornata. I giochi si capiranno soltanto oggi.❖

l’Unità 10.2.10
Capiremo i folli solo con la nostra follia
L’esperienza basagliana travalica i confini suscitando entusiasmi In Brasile, in Norvegia, in Canada le tracce del suo insegnamento
di Luigi Cancrini

Trieste, 1976. Mi incontro con Franco nel suo ospedale. Un paziente con un buffo cappello sulla testa passa veloce accanto a noi che parliamo chiedendogli dove sta Big House, lui risponde «di là mi pare», poi si gira verso di me e mi spiega che stava parlando di Casagrande, il suo aiuto che di li a qualche anno sarebbe andato a dirigere l’ospedale dei servizi psichiatrici di Venezia. Stavamo per salutarci, avevamo discusso della legge che stava per venire, il mio ruolo era quello di rappresentante della commissione sanità del Pci nell’ambito della trattativa complessa che sarebbe sfociata nella 180 e mi dispiaceva andarmene e mi venne da chiedergli dove viveva in quel periodo, la sua famiglia era a Venezia e lui sembrava come un po’ smarrito nella confusione di una vita troppo piena di cose da fare. Mi guardò Franco allora per un attimo negli occhi con quella sua aria trasognata e dolce e si guardò intorno e gli occhi gli si fermarono su una valigia aperta che era la sua, e mi disse ridendo che era lì che abitava, forse, nella valigia con cui andava in giro per il mondo a raccontare la buona novella del superamento degli ospedali psichiatrici, dei matti, che erano solo persone che non avevano più la capacità o la possibilità di raccontare se stessi e la loro vita. Suscitando entusiasmi straordinarii di cui ho trovato le tracce quando ho viaggiato per parlare di lui e della rivoluzione psichiatrica italiana. In Canada dove le sue idee erano oggetto di insegnamento all’università e in Inghilterra dove R. Laing, Esterson ed altri portavano avanti, in contesti tanto diversi, un discorso tanto simile al suo, in Brasile dove le sue conferenze furono raccolte in un libro straordinario ed in Norvegia dove, a Tromso, mi sarebbe capitato di ricordarlo insieme agli psichiatri che avevano seguito i suoi consigli liberando i pazienti dall’ospedale, a Liegi dove ancora c’è oggi una associazione con il suo nome e un po’ dappertutto nel mondo dove l’esperienza di Gorizia e di Trieste è stata presentata e discussa come una proposta rivoluzionaria dal punto di vista politico e straordinariamente coerente dal punto di vista scientifico.
Semplice e forte, il discorso di Franco sulla follia ha aperto prospettive teoriche di grande respiro di cui il superamento degli ospedali era solo la premessa. Contestuale e non genetica, l’origine dei comportamenti che non capiamo e che difensivamente chiamiamo «folli» va cercata sempre nella storia della persona e nella geografia dei suoi rapporti più significativi. Nulla accade a caso nella vita psichica, aveva detto Freud e Basaglia l’invera, questa affermazione, nel contatto quotidiano con gli ultimi degli ultimi. Con quelli che a parlare non provano più dopo che tanti muri hanno incontrato che respingono e soffocano le loro parole. Cui è possibile stare vicini solo se si riesce a stare in contatto con le parti «folli» e bambine di sé. Conoscere l’handicap, diceva Franco (è uno degli ultimi ricordi che ho di lui a Roma, la malattia lo condizionava già molto) è possibile solo per chi si guarda dentro alla ricerca del suo di handicap. Sorridendo lo diceva, come se lo stesse ancora cercando.

l’Unità 10.2.10
L’azionismo? Molto laico e socialista
di Bruno Gravagnuolo

Si riaccende l’attenzione sul Partito d’Azione. Merito della lettera inedita di Beniamino Placido del 1990 alla figlia Barbara, ripescata da Repubblica. Alla quale ha fatto seguito ieri la lettera di Walter Veltroni sempre su Repubblica sui «valori dell’azionismo che mancano all’Italia». Certo, eticità della politica, civismo, fascismo non come «parentesi» ma come «autobiografia della nazione», bipolarismo, «non mollare» etc., sono grandi lasciti dell’azionismo. Così come lo sono la laicità, la libertà culturale e di coscienza senza compromessi. E ben sappiamo quanto l’Italia difetti di queste virtù e di queste consapevolezze, che animarono una parte cospicua della Resistenza antifascista, particolarmente bersagliata dalla destra e da uno spurio revisionismo acrimonioso. E tuttavia c’è il rischio che qualcosa vada perso, nelle due lettere citate che a quei valori giustamente si richiamano. Cosa? La memoria di quel che fu davvero il Partito d’Azione, scioltosi nel 1947. Un partito modernamente socialista, già a partire da Carlo Rosselli e dal suo Socialismo liberale del 1929. Socialista a sinistra del Pci. Che denunciava la «Resistenza tradita» incapace di fare rivoluzione. Un partito i cui membri di spicco erano non di rado marxisti duri come Francesco De Martino, radical-socialisti come Riccardo Lombardi, anarco-sindacalisti e poi psiuppini come Vittorio Foa. E radicali di sinistra antipadronali come Ernesto Rossi, o socialisti liberali come Bobbio e Salvemini. Poi c’erano i moderati di sinistra come La Malfa, keynesiano e rooseveltiano. E quelli che andarono nel Pci, come Spriano e Trentin. Morale, era gente molto di sinistra, per lo più. Che sognava un nuovo socialismo, non autoritario e fatalista, ad economia mista, e con lo stato e le autogestioni operaie al centro! Quanto a Rosselli in Spagna esaltò persino l’Urss a un certo punto, nel fuoco dello scontro antifranchista. Non erano buonisti civici quegli azionisti, ma piuttosto estremisti e laicisti. Ce li vedete voi oggi gli azionisti a star buoni e calmi nell’odierno Pd? Noi no.

martedì 9 febbraio 2010

Repubblica 9.2.10
Secondo i sondaggi chiesti dal Pd il 14% dei consensi di Emma sarebbe rubato agli avversari
La sfida della Bonino al centrodestra "Convincerò anche i vostri elettori"
di Giovanna Vitale

La leader radicale prevede 2 milioni di euro di spese, ma per ora "non ho una lira"
La percentuale di indecisi stimata al 20%. "Rottamerò l´edilizia degradata delle periferie"

ROMA - «Voglio vincere», ripete come un mantra Emma Bonino. La pasionaria radicale che ha conquistato la nomination alla presidenza del Lazio imponendo la sua candidatura al Pd e al centrosinistra tutto, non si fa illusioni ma comincia a crederci. Sa bene quanto pesino il caso Marrazzo e la fatica di ricompattare una coalizione in frantumi. Senza contare le difficoltà di cassa: «Noi radicali non abbiamo una lira, come sempre e non a caso», ha ricordato ieri a proposito della polemica sui costi della campagna elettorale, una previsione di 2 milioni di euro contro i 500mila dichiarati dalla sua avversaria. «Una cifra che però mi pare assai improbabile, a vedere il numero di manifesti in giro», l´ha subito sfidata la Bonino, costringendo Polverini a correggere il tiro: «Il dato di riferisce alle spese iniziali, che sicuramente aumenteranno. Abbiamo detto ad oggi quello che abbiamo nella disponibilità e come lo impegniamo».
Una battaglia fra dame combattuta colpo su colpo con una strategia ben chiara in testa. «Convincere chi nelle passate elezioni non è andato a votare o ha votato altro». La vicepresidente del Senato l´ha ribadito con forza ieri in tv: «Non so quante chance ho, c´è uno squilibrio di forze in campo, ma io la sto portando avanti con grande determinazione». E i sondaggi sembrano darle ragione. Secondo una rilevazione riservata commissionata dal Pd alla Key Research, Bonino sarebbe avanti di qualche decimale rispetto a Polverini (42,1% contro 41,8), mentre la coalizione di centrosinistra - nella quale ieri è entrata anche la Federazione della Sinistra - è ancora piuttosto indietro (44,9%) rispetto al centrodestra (53%). Ma è dall´analisi delle intenzioni di voto che arrivano le sorprese: Bonino prenderebbe il 14% dei suoi consensi da destra, Polverini solo il 6% da sinistra. Considerando tuttavia che la percentuale di indecisi è ancora altissima (oltre il 20%), a stupire è in particolare la tendenza dei giovani: fra gli elettori di Roma compresi fra i 18 e i 34 anni, Bonino vincerebbe 65 a 35.
Una capacità di attrazione oltre gli schieramenti venuta alla luce ieri nel corso dell´incontro con la giunta dell´Acer, l´associazione dei costruttori romani considerata fra i maggiori artefici della vittoria di Alemanno in Campidoglio. Inaugurando la campagna d´ascolto con le categorie imprenditoriali, i sindacati e il volontariato sociale, è nella "tana del lupo" che la vicepresidente del Senato ha dato il meglio di sé. «Bisogna attuare quello che è stato già deciso, i progetti di Comune e Regione che sono in cantiere ma si sono persi tra le scartoffie. Occorre sburocratizzare le procedure, non solo i pagamenti», ha esordito Bonino toccando i temi più cari ai suoi interlocutori. Uno in particolare, che «è già nei programmi»: ovvero «la rottamazione edilizia di quelle periferie con edilizia non di qualità e il recupero di intere zone di Roma e del Lazio». Demolire e ricostruire, insomma, come prevede il Piano casa «che però va rivisto». Spingendo, anche, «sul partenariato pubblico-privato, soprattutto per le grandi infrastrutture ma non solo», «sull´attivazione dei fondi Ue» e sulla «legge sugli appalti che è ancora in consiglio regionale e mi impegnerò a sbloccare». Non riuscivano a credere alle loro orecchie, i costruttori romani. Entusiasti al punto che «è stato sicuramente un incontro utile», ha esclamato il presidente Eugenio Batelli: «Con la Bonino c´è una comunanza di intenti».

Repubblica Roma 9.2.10
Dal lavoro all´ambiente, i temi dell´accordo. La candidata del centrodestra in Campidoglio
Bonino, patto in 6 punti con la Sinistra
Il Pdc: "Con Emma una ventata di aria nuova"
di Laura Mari

Un altro sì. E il fronte degli alleati si allarga sempre di più. A incassare nuove adesioni in vista delle elezioni del 28 e 29 marzo è la candidata del Pd Emma Bonino, che ieri pomeriggio ha siglato l´alleanza con la Federazione della Sinistra del Lazio. Un accordo che la vicepresidente del senato ci ha tenuto a definire «politico-elettorale, ma non di governo» e che si basa su sei temi fondamentali: il lavoro, l´energia, l´acqua, l´ambiente, il territorio, la pubblica amministrazione e la sanità. Nel patto, tra i punti programmatici, è stato previsto l´incremento del fondo per il reddito minimo garantito, l´istituzione di un osservatorio regionale per la sicurezza sul lavoro e la realizzazione di distretti industriali per il rilancio dell´occupazione. Soddisfazione, sull´accordo, da parte della segretaria Prc del Lazio Loredana Fraleone, che parla «di un confronto positivo», mentre la deputata radicale Rita Bernardini ha sottolineato come «da posizioni diverse è stato tirato fuori qualcosa di nuovo». Un patto, quello siglato con la candidata del Pd alle prossime regionali, che piace anche al segretario del Pdc del Lazio Mario Michelangeli che ha definito la Bonino «una ventata di aria nuova». Intanto il segretario regionale del Pd Alessandro Mazzoli ieri ha proposto alla direzione del Lazio del partito di scegliere Esterino Montino come capolista per le regionali. Una scelta che, ha detto Mazzoli, «valorizza positivamente il lavoro fatto dalla giunta regionale in questi cinque anni».
Nel pomeriggio, invece, per «valutare alcune iniziative elettorali» la candidata del Pdl Renata Polverini ha incontrato in Campidoglio il sindaco Gianni Alemanno e il leader dell´Udc Pier Ferdinando Casini. Un vertice in cui probabilmente si è discusso anche della cena elettorale che domani vedrà la sindacalista dell´Ugl insieme al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. La serata di gala si terrà al Palazzo dei Congressi, all´Eur, e che costerà circa mille euro a persona. Ancora top-secret il menu, ma in tavola lo staff di Berlusconi ha espressamente richiesto che non vengano serviti piatti preparati con aglio o salmone.
Una cena che servirà alla candidata del Pdl per raccogliere fondi elettorali visto che, dopo aver annunciato che per la campagna non spenderà più di 500 mila euro, ieri la Polverini ha corretto il tiro precisando che «la cifra si riferisce solo alle spese iniziali, ma probabilmente il budget aumenterà».

Corriere della Sera Roma 9.2.10
Bonino ai costruttori: «Realizzare i progetti già decisi»
«Si alla rottamazione delle periferie»
di Alessandro Capponi

l’Unità 9.2.10
I dati di una ricerca e l’Avvenire
Il caso Eluana tra scienza e ideologia
di Carlo Albero Defanti

Domenica 7 febbraio, commentando su Avvenire l’articolo di Martin M. Monti e collaboratori apparso sul New England Journal of Medicine, nel quale si descrivono i risultati di uno studio condotto dai due principali centri attivi nella ricerca sul coma (Oxford e Liegi) su una serie di pazienti in stato vegetativo e di minima coscienza, Assuntina Morresi sottolinea il fatto, certamente importante, che in questo studio è stato dimostrato che in 2 pazienti (su 23) diagnosticati in stato vegetativo sono state rilevate, con tecniche sofisticate, risposte di aree corticali che suggeriscono la persistenza di funzioni cognitive. Il dato era già noto dopo lo studio di Owen del 2006 (su un caso singolo, studiato 5 mesi dopo il trauma); la novità è che le risposte rilevate sembrano comportare una componente di volontà e che i due casi avevano una durata di malattia maggiore (inferiore comunque ai 30 mesi). Morresi ne trae la conclusione che tutti gli stati vegetativi sono «persone vive» e sono in grado potenzialmente di comunicare con noi. Non solo, ma si chiede che cosa sarebbe accaduto se Eluana Englaro fosse stata sottoposta a queste indagini.
In realtà la conclusione generale di Morresi non è affatto giustificata e la sua illazione tendenziosa riguardante Eluana non tiene conto né della sua lunghissima fase di malattia (pari a 17 anni), né dei risultati dell’esame neuropatologico, che è stato condotto in maniera estremamente scrupolosa ed è stato molto chiaro sia sulla coerenza con la diagnosi di stato vegetativo permanente sia sull’irreversibilità delle lesioni.
Quel che è certo è che negli ultimi anni si è aperta una nuova era nel campo degli studi sui disturbi di coscienza e che le nuove metodiche promettono di cambiare profondamente il nostro sapere in materia. Come suggerisce Alan Ropper nell’editoriale che, sul New England Journal of medicine accompagna l’articolo di Monti, è presto però per trarre da questo studio conclusioni circa la pratica clinica. E, aggiungo io, è del tutto fuori luogo leggere questo importante contributo scientifico alla luce di un partito preso ideologico. Io spero soprattutto che grazie a queste nuove indagini si possano trarre in un prossimo futuro indicazioni utili per formulare una prognosi più attendibile e un congruo programma di cura.
Carlo Albero Defanti, il neurologo che ha seguito Eluana Englaro, è primario emerito presso l’Ospedale Niguarda di Milano ed è membro della Consulta di Bioetica onlus.❖

Repubblica 9.2.10
Un anno dopo mi batto ancora in nome di Eluana
di Beppino Englaro

Caro direttore, un anno è passato dalla «fine di un incubo». Era un incubo nostro, degli Englaro, perché avevamo un componente della famiglia in balìa di mani altrui, contro la sua volontà. Ma credo che questo incubo familiare sia entrato in molte case. Incontro sempre più persone che vogliono stringermi la mano, salutarmi e dirmi grazie. Penso che questa gente abbia capito il senso dei diritti individuali di libertà delle persone. Sono convinto che molti si siano resi conto del prezzo che abbiamo pagato.
C´è una questione che viene sempre capovolta. Mi sento dire: «Mai più Eluane». E cioè, mai più contro la sacralità della vita e la sua indisponibilità. Ma, secondo me, è l´esatto contrario. E cioè, nessuno deve avere il potere di disporre di un´altra vita com´è avvenuto per Eluana. Il miglior modo di tutelare la vita in tutte le situazioni è affidarne le decisioni a chi la vive. Sia a chi è in condizioni di intendere e volere, sia a chi non è più capace, ma ha spiegato che cosa avrebbe voluto per sé. Che cosa mi diceva Eluana? «La morte l´accetto, fa parte della vita, ma che altri mi possano ridurre a una condizione di non-morte e di non-vita, no, questo non l´accetto». C´è chi la pensa in maniera diversa, e lo so bene. Ma so bene anche che mentre Eluana moriva, il Parlamento aveva organizzato una corsa per approvare una norma che annullasse quello che aveva stabilito la corte di Cassazione.
C´era un giudicato e c´erano dei politici che volevano sovvertirlo. C´era una nostra lunga e dolorosa battaglia, e c´era chi voleva farne carta straccia. Sembrava che quella legge fosse indispensabile per gli italiani. Che fosse fondamentale per la salvaguardia ideologica di alcuni partiti. Adesso io vorrei dire: è passato un anno, e la legge non c´è. Come mai? A che punto è? Tutta quella forza d´urto lanciata mentre una ragazza moriva dov´è finita?
Vedo che non hanno capito niente: i politici ne fanno una questione di conflitto di poteri, di chi decide che cosa. Dimenticano che la corte costituzionale s´è già espressa, avallando l´operato della magistratura di fronte a un cittadino che s´era rivolto a loro per il riconoscimento di un suo diritto. E se questi politici leggono bene la sentenza del 16 ottobre 2007, capiscono che è perfettamente allineata ai principi della nostra Costituzione.
Se i politici vogliono riappropriarsi, come del resto a loro spetta, del diritto "dell´ultima parola" su temi eticamente controversi, devono tenere conto di quello che è accaduto sinora. E come diceva Pulitzer, «un´opinione pubblica bene informata è la nostra corte suprema». I sondaggi ci sono, dicono che il mio è il sentire comune. E invece questa legge, così come viene formulata, non tiene e non terrà. E poi come non considerare che anche la terza carica dello Stato si è espressa sul tema, mettendo in guardia il legislatore da autoritarismi da stato etico?
I cittadini, come era esasperatamente cittadina Eluana, vogliono essere messi in condizione di assumersi le loro responsabilità. E non essere trattati come se non fossero responsabili delle loro scelte di coscienza. Un anno dopo la morte di Eluana, io voglio semplicemente separare la tragedia privata di aver perso una figlia dalla violenza terapeutica. Non credo che la medicina giusta sia quella che offre una «vita senza limiti». Eluana un anno dopo è come un anno fa, o diciotto anni fa: un simbolo pulito della libertà individuale. Ed è nel mio cuore costantemente.

Repubblica 9.2.10
"Aiutai Eluana a morire da allora la mia vita non è più la stessa"
Il medico De Monte: sotto scorta per mesi
di Piero Colaprico

Ho lasciato passare l´onda del lutto, poi mi sono scese le lacrime Il libro l´ho scritto per raccogliere le emozioni

MILANO - Un anno fa c´era alla clinica La Quiete un medico robusto, con il camice slacciato, gli occhi arrossati, in una sorta di "corazza" professionale. Oggi Amato De Monte, anestesista, primario, l´uomo che osservò Eluana spegnersi e ne avvisò il padre è - come successo a non poche persone dopo quella tragedia personale e collettiva - un uomo cambiato.
Professore, c´è una domanda che s´impone: quali contraccolpi ha avuto dalla storia di Eluana?
«Pensavo che nella fase acuta, del tritacarne tra politica e telegiornali, avessi quasi quasi dominato la situazione meglio di quanto pensassi. Invece allora ero sotto stress e dovevo essere presente, reagivo. Le cose più pesanti sono venute fuori dopo».
Non si riferisce solo all´inchiesta...
«No, anche se quando sono partite le denunce di omicidio, sono rimasto di stucco. È stata anche brutta da sopportare la consegna del silenzio, in modo da essere rispettosi dell´indagine. Terribile poi non poter ribattere al "battage" sul fine vita, a libri e articoli con cose inventate di sana pianta. E che dire della scorta?».
Due mesi di scorta per timore di qualche pazzo...
«Queste difficoltà mi hanno un po´ minato. A uno come me non andava proprio giù di essere accusato e indagato per aver fatto una cosa che era "passata in cassazione". Solo in Italia sembrava non aver valore. Tutto alla fine passa, ma è che mi è successo quello che annunciava Borasio».
Il professore Borasio, milanese, cattolico, palliativista, e consulente della Chiesa tedesca sul "testamento biologico", che oltre le Alpi approvano.
«Già, da collega mi aveva avvertito. Ti arriverà l´onda del lutto, lasciala passare. Io pensavo di non essere toccato, non è mia parente, mi dicevo. E noi medici, un po´ come alcuni di voi giornalisti, ne vediamo da vicino di cose terribili. Invece un giorno mi sono scese le lacrime, copiose».
Come se l´è spiegato?
«Per me, ora come allora, Eluana è morta diciassette anni prima, per l´incidente d´auto. Non sottovaluto il condizionamento mediatico. Anzi, faccio fatica a dire che Eluana non sia la persona virtuale di cui si vedono le foto dovunque, ma è quel povero essere... Quante menzogne sono state diffuse sulla sua salute, io lo so bene, eppure "vedo" l´Eluana delle foto».
Lei è cambiato come medico?
«Sì, certo. Prima con le persone ero più controllato, più riflessivo. Ora mi viene più facile parlare con i parenti, mi è più facile trovare le parole per ricordare che la morte è l´unica cosa certa che abbiamo nella nostra vita».
E sulla vita e la morte? Ha trattato Eluana come doveva o...?
«Il mio punto di vista medico non è cambiato, ero e resto sicuro che in quella stanza ho assistito a un processo di morte naturale. Non occorre essere anestesisti o grandi specialisti per capirlo. Lo spegnersi Eluana per la sospensione della nutrizione e dell´alimentazione è molto simile alla morte a casa sua dell´anziano, che non si alza dal letto, a cui si affievoliscono funzioni vitali. È che prima non me ne occupavo, lavoravo molto nella terapia intensiva. Adesso mi sono accorto che anche accompagnare alla morte una persona, senza farle perdere dignità, è importante».
Non ha tenuto un diario?
«Avevo preso degli appunti. E sa la cosa strana? Con mia moglie, che è stata anche la mia capoinfermiera (Cinzia Gori, ndr) un po´ evitavamo di parlare delle nostre sensazioni, dei vari episodi, forse per non stare a rivangare. Ma poi scopro che anche lei ha preso appunti. Ci siamo detti delle cose che entrambi abbiamo vissuto. "Ma perché non me l´hai detto subito?", ci siamo chiesti, ma non esistono risposte in un episodio come questo, che non è passato liscio sulle nostre vite».
Fatene un libro più serio degli altri che contestate, o no?
«Sì, uscirà tra un paio di mesi. Esiste un prima e un dopo Eluana, descrivere per onore di documentazione e raccogliere le nostre emozioni ci serve».

l’Unità 9.2.10
Amnesty all’Italia: «Stop ai respingimenti dei migranti in Libia»
Tra le richieste anche la fine delle discriminazioni di rom e minoranze e il bando della tortura. Oggi a Ginevra il Consiglio Onu esaminerà il «caso italiano»
di Umberto De Giovannangeli

Sarà un esame molto impegnativo. Le premesse per una solenne bocciatura sembrano esserci tutte. L’appuntamento è oggi a Ginevra, dove l’Italia sarà sottoposta all’Esame periodico universale da parte del gruppo di lavoro del Consiglio Onu dei diritti umani. In vista della riunione di Ginevra, Amnesty International ha sottoposto all’attenzione del Consiglio Onu un documento contenente informazioni sulla situazione dei diritti umani in Italia e una serie di raccomandazioni indirizzate al governo italiano, che l’organizzazione auspica siano prese in considerazione durante l’esame. L’Unità anticipa il vademecum sette capitoli estremamente impegnativi per un Paese più degno in un campo decisivo: quello delle libertà e dei diritti umani.
«L’esame dice a l’Unità Riccardo Noury, portavoce e direttore dell’Ufficio comunicazione della sezione italiana di Amnesty International è una opportunità importante come tutte le occasioni in cui organismi internazionali per i diritti umani si occupano di sottoporre a scrutinio la situazione interna ai vari Paesi. Amnesty International ha rappresentato al Consiglio Onu di Ginevra una fotografia dell’attuale erosione della tutela dei diritti umani in Italia. Erosione che si manifesta sottolinea Noury attraverso norme discriminatorie e un vocabolario spesso altrettanto discriminatorio nei confronti di minoranze, rom, migranti e possibili richiedenti asilo». «Oltre che a raccomandare la fine di tutto questo aggiunge il Consiglio Onu ha l’occasione per raccomandare all’Italia l’adeguamento delle norme interne al Diritto internazionale e di segnalare le leggi in vigore che con esso confliggano». «Di recente conclude Noury le autorità italiano hanno manifestato più volte insofferenza nei confronti dei richiami degli organismi internazionali in materia di diritti umani. Ci auguriamo che in questa occasione il Governo italiano si impegni in un dialogo costruttivo con il Consiglio di Ginevra e che tenga conto delle sue osservazioni finalizzate ad un miglioramento sostanziale della tutele dei diritti umani».
Reato di tortura. Amnesty International chiede che sia introdotto nell’ordinamento italiano il reato di tortura adottando una definizione di tortura che includa tutti gli elementi contenuti nell’articolo 1 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura.
«Pacchetto sicurezza». Modificare le disposizioni del «pacchetto sicurezza» che possono risultare discriminatorie nei confronti delle minoranze che vivono in Italia. Assicurare che quelle disposizioni siano pienamente conformi agli obblighi dell’Italia derivanti dalle norme internazionali sui diritti umani garantendo, in particolare, il rispetto del diritto a un alloggio adeguato e fornendo assistenza in tal senso. Astenersi da azioni che potrebbero indurre alla discriminazione e all’ostilità verso minoranze quali i rom, i sinti e i migranti.
Migranti, richiedenti asilo e rifugiati. Assicurare il pieno rispetto dei diritti umani dei richiedenti asilo, dei migranti e dei rifugiati. Cooperare strettamente con gli altri Paesi affinché coloro che vengono soccorsi in mare siano portati immediata-
mente in un luogo sicuro nel pieno rispetto del principio di non-refoulement, e abbiano accesso a un ́equa e soddisfacente procedura di asilo. Assicurare che il controllo delle frontiere non sia realizzato a scapito dei diritti umani dei migranti ma rispetti gli obblighi internazionali e regionali sui diritti umani; porre fine immediatamente al trasferimento verso la Libia di cittadini di Paesi terzi intercettati nelle acque internazionali.
Sgomberi forzati. Assicurare che gli sgomberi forzati siano eseguiti solo dopo aver valutato ogni altra soluzione alternativa e includano consultazione delle persone coinvolte e una notifica dello sgombero in anticipo, con tempi ragionevoli e adeguati. Garantire una sistemazione alternativa e il diritto di ricorrere legalmente contro lo sgombero contestandolo davanti alla magistratura.
Accordi di Diritto internazionale. Rispettare la Convenzione europea sui diritti umani, il Patto internazionale sui diritti civili e politici delle persone e il trattato delle Nazioni Unite contro la tortura.
Legislazione anti-terrorismo.
Rendere la legislazione antiterrorismo, incluse le norme della legge Pisanu, conforme agli obblighi internazionali dell’Italia sui diritti umani. Astenersi dal trasferire persone verso Paesi dove potrebbero subire torture o altri maltrattamenti. Dare piena e immediata attuazione alle decisioni della Corte europea dei diritti umani.
Aziende estrattive. Adottare una legislazione che imponga alle aziende estrattive italiane di prendere tutte le misure necessarie e adeguate per rispettare e tutelare i diritti umani nel corso delle operazioni che conducono all’estero, con particolare attenzione alle aree ad alto rischio come il Delta del Niger.
Stabilire un meccanismo di supervisione parlamentare che riceva ed esamini le denunce relative alle attività delle aziende del settore estrattivo. Assicurare che le vittime di violazioni dei diritti umani causate dalle aziende estrattive italiane possano avere accesso a una tutela efficace, compresa la possibilità di accedere ai tribunali italiani, nel caso in cui tale possibilità sia negata nel loro Paese. Assistere il governo della Nigeria nella”istituzione di un ente indipendente che supervisioni le operazioni estrattive di gas e petrolio.
Il meccanismo dell’Esame periodico universale – spiega Amnesty International consente di esaminare la situazione dei diritti umani di ogni Stato membro delle Nazioni Unite ogni quattro anni; dà la possibilità agli Stati membri di esprimere la loro posizione sulla necessità che la situazione dei diritti umani del Paese sotto esame sia migliorata e di lavorare in modo cooperativo con il Paese stesso all’identificazione di misure che possano portare a tale miglioramento.
Per questo è importante che il dialogo tra il paese sotto esame e gli altri Paesi che partecipano al meccanismo sia condotto nel miglior modo possibile. Tale dialogo dovrebbe essere basato sui principali problemi relativi al rispetto e all’attuazione dei diritti umani in quel Paese, e i Paesi che partecipano dovrebbero rivolgere raccomandazioni precise e concrete per risolvere questi problemi e rafforzare il pieno rispetto dei diritti umani di tutti i cittadini del Paese posto sotto esame. ❖

l’Unità 9.2.10
Immigrati vessati
Permessi senza diritti
di Amara Lakhous

Il ministro Maroni ha definito il permesso di soggiorno a punti «una cosa buona, perché è un processo che migliora gli strumenti di integrazione, tutto il contrario di quello che dice certa sinistra». Ormai la parola “integrazione” non ha più senso. Forse, è più corretto parlare di disintegrazione. La politica del governo non mira ad includere gli immigrati, ma ad escluderli dalla società. Anziché migliorare la legge attuale sull’immigrazione, si tende a burocratizzarla ancora di più.
La Bossi Fini aveva già ridotto la durata del permesso da quattro a due anni, mandando in tilt le questure. Il tempo previsto per il rinnovo non dovrebbe superare tre settimane. Però questa è pura teoria. In pratica, gli immigrati devono aspettare tempi biblici che possono arrivare fino a due anni, quindi c’è il rischio di ritirare un permesso rinnovato, ma già scaduto! In attesa del nuovo documento, viene rilasciato un cedolino, un pezzetto di carta con un numero, che non ha nessun valore giuridico. Il titolare non può aprire un conto in banca, comprare una macchina, affittare una casa, andare all’estero, ecc. In sostanza, diventa un mezzo clandestino, tenuto in ostaggio!
I nuovi requisiti per il permesso di soggiorno vanno dalla conoscenza dell’italiano e della Costituzione all’iscrizione al servizio sanitario, dal possesso della fedina penale pulita alla trasparenza nei contratti abitativi. Queste condizioni in realtà, vengono richieste per ottenere la cittadinanza. Che senso ha insistere sui doveri senza garantire i diritti?
Poche settimane fa, un gruppo di immigrati (sostenuti dai radicali) ha iniziato uno sciopero della fame per protestare contro i lunghi tempi di attesa per il rinnovo del permesso di soggiorno. La risposta del governo non si è fatta aspettare. Se questa è integrazione!

l’Unità 9.2.10
Giolitti, il «socialismo possibile» che s’oppose a Togliatti e Craxi
di Bruno Gravagnuolo

«Padre costituente» Partigiano, comunista, dopo i fatti d’Ungheria lasciò il Pci per il Psi
Intellettuale più volte ministro del Bilancio. Napolitano, appena eletto, andò a trovare lui

È scomparso ieri a Roma a 95 anni l’uomo che si contrappose a Togliatti dopo i fatti di Ungheria e si schierò con Nenni. Oggi la camera ardente alla Sala Moro alla Camera: parlano Amato, Ruffolo, ci sarà Napolitano.

Con il suo grande avo Giovanni Giolitti, del quale era nipote, Antonio Giolitti aveva in comune due cose: tenacia e grande visione, legate a un grande progetto. All’interno di un medesimo tema, diversamente declinato e in nome di altri interessi di fondo. Il tema comune era quello dell’ingresso al governo dei ceti subalterni e delle loro rappresentanze politiche. Socialisti dell’otto-novecento ieri. Comunisti e socialisti del secondo dopoguerra poi. Se l’obiettivo del liberale Giovanni fu l’incontro tra Italia liberale e movimento operaio, il fine di Antonio ex comunista e Ministro del Bilancio Psi fu invece quello di schiudere a Psi e Pci le vie di un’alternativa di governo. Passando per una fase intermedia di condominio tra Dc e Psi, ma senza sacrificare autonomia progettuale del Psi e idea di un’altra società.
Ecco, a questo grande disegno mancato è legata indissolubilmente la figura di Antonio Giolitti, intellettuale, partigiano, fuoriuscito dal Pci nel 1957 e anima pensante della politica autonomista nenniana, nonché dell’intera stagione «programmatoria» del centrosinistra. Giolitti se ne è andato ieri sulla soglia dei 95 anni, che avrebbe compiuto venerdì. Dopo una vita straordinaria e ben spesa, che ha lasciato tracce profonde nella nostra storia nazionale.
Laureato in legge nasce a Roma, e si muove tra la capitale e Torino dove presto comincia a lavorare come consulente per Einaudi. Arrestato dalla polizia per attività sovversiva, viene scagionato dal Tribunale speciale per insufficienza di prove e prosegue quel lavoro clandestino che lo porterà dopo l’8 settembre a fondare con Pajetta le Brigate Garibaldi del Piemonte. Ferito gravemente in battaglia nel 1944, si cura in Francia e ritorna in Italia nel 1945, dove diventa sottosegretario agli Esteri con Parri, membro dell’Assemblea Costituente e poi deputato Pci dal 1948 al 1957.
Data chiave il 1957, anno della sua uscita «con dolore» dal Pci, dopo lo scontro con Togliatti al VIII Congresso, dominato dalla tragedia ungherese del 1956, e dalla contesa su revisione democratica del socialismo e rapporto con l’Urss. Da quella stretta e con tempi e ragioni diverse esce dal Pci gente come Furio Diaz, Asor Rosa, Renzo De Felice, Luciano Cafagna, Piero Melograni. Firmatari con Giolitti del «Manifesto dei 101». Rientrato ufficialmente, e però egualmente devastante per la diaspora intellettuale che ne segue. Giolitti è contro il socialismo alla sovietica, contro la non riformabilità del capitalismo, e contro il legame di ferro con l’Urss, che giustifica i carri a Budapest. Ed è viceversa per un «Socialismo possibile», per il ruolo programmatorio dello stato, per la democrazia come terreno e sostanza del socialismo, tramite i diritti sociali e la redistribuzione.
In nome di tutto questo si schiera con l’autonomismo di Pietro Nenni, che nel frattempo ha rotto il patto d’unità d’azione con il Pci e lavora ad un centrosinistra dinamico, che revisiona il legame con Pci ma chiede ad esso di mutare pelle. Per un alternativa possibile, compatibile con l’economia data e gli equilibri internazionali.
IL NEOPRESIDENTE GLI DETTE RAGIONE
Quello di Giolitti a questo punto è il ruolo dell’artefice della Programmazione, come Ministro del Bilancio a più riprese tra il 1963 e il 1974. Lotta su due fronti perciò, con gli strumenti tecnici del Programma: contro l’inerzia Dc e contro l’opposizione per lo più pregiudiziale del Pci (oscillante a riguardo con Togliatti). Altro riferimento di Giolitti: Riccardo Lombardi. Accanto al quale militerà in una prospettiva che legava «riforme di struttura» fatte proprie a poco a poco dal Pci e spostamento a sinistra del centrosinistra. La vera svolta però è il craxismo, che Giolitti contesterà dopo il Midas come perversione del disegno originario di Nenni. Non più un far leva dentro il centro sinistra, per spostare a sinistra il paese in alleanza a distanza col Pci. Bensì manovra di potere al centro che bloccava il sistema politico, eliminava l’alternativa in nome dell’alternanza. E condannava il sistema dei partiti alla degenerazione. Su questi punti Giolitti rompe nel 1985 con Craxi e il Psi, denunciando presidenzialismo e carismatismo. Sino all’approdo nel 1987 al Pci come senatore indipendente, ruolo che lascerà nel 1992, quando dà l’addio alla politica. Insomma, politico serio e testa fine, studioso di Weber e del New Deal. Che nel 2006 ricevette l’onore di una visita di Napolitano: già suo avversario al VIII Congresso, il nuovo presidente appena eletto al Quirinale andò da lui a dargli ragione su quel 1956. Ragione incontrovertibile, e non l’unica però. A cominciare dal suo «Socialismo possibile» al quale mai Antonio Giolitti rinunciò.❖

l’Unità 9.2.10
Ci insegnò moralità e cultura
di Vittorio Emiliani

Per i 90 anni gli scrissi che aveva insegnato a noi ventenni di metà anni ’50 moralità, cultura, passione riformatri-
ce. Mi rispose con una grafia appena incerta: ti sono molto grato, ma forse esageri. Giolitti era così. Non esponeva mai medaglie. Nel ’56 uscì dalla «chiesa» comunista in modo netto ed elegante, il solo «eretico» a non diventare anti-comunista. Tuttavia il primo dei «libri bianchi» curati per Einaudi fu Qui Budapest di Luigi Fossati inviato dell’Avanti! (ancor oggi palpitante). Gli interessava elaborare idee per un socialismo rinnovato. Fondò Passato e presente. Leggevamo con passione Alberto Caracciolo, Franco Momigliano, Alessandro Pizzorno. Poi impresse una svolta culturale a Mondoperaio facendone un vero laboratorio riformatore (all’epoca «riformista» suonava flebile). Molti di quei giovani intellettuali furono con lui all’ufficio del Piano, nella difficile ma entusiasmante esperienza di governo: Ruffolo, Sylos Labini, Coen, Cafagna, Amato e tanti altri. Del ’67 è Un socialismo possibile, una delle rare riflessioni sullo Stato regionale in confusa gestazione. Inascoltata.
In pieno Midas, nel luglio ’76, col comitato centrale del Psi impantanato alla ricerca di un nuovo segretario, il suo nome venne portato dai sindacalisti socialisti (Marianetti, Benvenuto e altri) e dal gruppo di Mondoperaio. Anche Lombardi (i due si erano allontanati non condividendo Antonio le punte radicali di Riccardo) si disse pronto a votarlo. Fausto De Luca, Pansa, Scardocchia ed io gli assicurammo il sostegno dei primi giornali nazionali. Non se la sentì. Peccato. Sarebbe stato un gran bel segretario, moderno, socialista, europeo. Se «socialismo» torna a non esser più una brutta parola, con Giolitti bisognerà fare i conti. ❖

Repubblica 9.2.10
I valori dell’azionismo che mancano all’Italia
di Walter Veltroni

Caro direttore, la bellissima lettera scritta a sua figlia vent´anni fa e pubblicata ieri da Repubblica racconta innanzitutto che persona fosse Beniamino Placido, quale passione civile, quale modo di intendere la vita lo animassero. Ma questa lettera fa anche altro. Prende «un fatto antico», come lo definisce Placido riferendosi alla sua giovanile adesione al Partito d´Azione, e porta a riflettere sulla politica. Su quella di oggi, non solo su quella di ieri. Non starò a ripetere quel che è già noto e che le parole di Placido spiegano bene: cosa fu il Pd´A, quali erano le sue radici culturali, quanto grandi furono gli intellettuali e i dirigenti politici che ne animarono la breve esistenza. Non vorrei nemmeno indugiare sulle cause che ne segnarono la fine. Molto c´entra quel modo di essere «terribilmente astratto» degli azionisti di cui si parla nella lettera, quel non comprendere fino in fondo che le persone sono fatte anche di «ambizioni e interessi» e che è in base a ciò che in molti casi indirizzano il loro consenso.
Nel dopoguerra, non c´è dubbio che larghi strati della popolazione avvertissero prima di tutto il bisogno di certezze e di sicurezza, e che in tal senso a dare più garanzie erano i partiti di massa, i partiti «chiesa», grazie alla funzione di «riconoscimento» svolta dall´ideologia. Gli azionisti si presentavano in tutt´altro modo: non davano, ma chiedevano; non assolvevano, ma chiamavano tutti a un impietoso esame di coscienza e a fare i conti con il proprio passato (non era forse il fascismo «autobiografia della nazione» e non parentesi?); non concedevano di continuare a vivere allo stesso modo di sempre, aspettando che tutto venisse calato dall´alto da uno Stato caritatevole e indulgente, ma pretendevano uno sforzo di assunzione di responsabilità da parte di ogni singolo individuo, chiamato a domandarsi non solo quali erano i suoi diritti, ma anche quali erano i suoi doveri. Queste idee, questi obiettivi, non fecero presa, non potevano farcela, nell´Italia di quel tempo.
Ecco allora il punto su cui mi interessa soffermarmi: gli azionisti furono sconfitti, è un dato di fatto. Ma cosa ha significato, per questo Paese, la mancata affermazione non tanto del loro partito, quanto delle loro idee? C´è chi è molto netto: si è trattato solo di un piccolo partito, formato da intellettuali lontani dai problemi reali e animati da una sorta di intransigente furore moralistico, che non poteva durare se non lo spazio di un mattino, e anche la cosiddetta «cultura azionista» è stata sempre minoritaria, non ha mai inciso e quando lo ha fatto ha provocato solo danni. Io non sono assolutamente d´accordo. La penso anzi in maniera opposta. Non credo che in quel dato momento storico, con quei vincoli internazionali e quella condizione sociale e «psicologica» del Paese, se il Partito d´Azione fosse rimasto in vita la vicenda nazionale sarebbe andata molto diversamente. Questo no. Sono però convinto che a quella domanda su quanto abbia pesato il mancato affermarsi delle loro idee, la risposta debba essere secca: molto, ha pesato molto. Basta, del resto, elencarne alcune tra quelle di fondo: l´idea di una politica animata da una forte tensione etica, con una forte componente di moralità e di coerenza con i propri ideali; la convinzione che il gioco democratico non possa funzionare senza un chiaro, limpido e netto conflitto di idee e posizioni alternative; il senso vivissimo delle questioni dello Stato e del suo governo; l´assoluta necessità di istituzioni efficienti per dare stabilità al Paese e per far crescere nei cittadini il senso di appartenere a una comunità; il valore della legalità e della responsabilità; una costante attenzione al rapporto tra politica e società, da intendere in modo dinamico e biunivoco, dando spazio alle individualità e ai soggetti sociali, senza le chiusure tipiche di una concezione «professionale» della politica.
Ecco, al di là della vicenda «terrena» del Partito d´Azione, credo sia lecito pensare che una democrazia compiuta, una democrazia integrale, per essere veramente tale avrebbe avuto bisogno (ha bisogno) di comprendere al suo interno più di un elemento di quelli sostenuti dagli azionisti. Elementi che oggi si incontrerebbero e si fonderebbero con le culture del personalismo cristiano, della solidarietà, del comunitarismo, della sostenibilità dello sviluppo, di quella tensione alla giustizia sociale e alla correzione delle disuguaglianze che è scritta nel pensiero del riformismo socialista. Un incontro e una fusione che sarebbe quanto di più vicino alle moderne culture democratiche occidentali. E del resto non riesco a pensare sia un caso l´eterna «permanenza» dell´azionismo nel dibattito pubblico di questo Paese. E´ successo che i suoi nemici si siano fatti sentire, ad esempio, all´inizio degli anni Novanta, quando uscito di scena il Pci la cultura azionista fu attaccata per colpire, come scrisse Vittorio Foa, «quella sfera di pensiero che con qualche approssimazione si potrebbe definire progressista». E succede ancora oggi, quando l´innovazione e il riformismo provano a spingersi più avanti, verso il nuovo, e allora si ritrovano affibbiata l´etichetta negativa di «azionismo di massa». Si tratta, evidentemente, di tendenza alla conservazione, a percorrere strade note e apparentemente più sicure.
Ma a questo proposito la cosa più bella la scrive proprio Beniamino Placido, alla fine della sua lettera, quando a sua figlia dice che in fondo la vera essenza degli azionisti, lo spirito che non si è mai perso, e che continua a destare così tanti timori e resistenze, è «la voglia di volare». E cioè cercare, sperimentare, innovare, cambiare. «Provarci sempre, non cedere mai. Senza paura di fare. Senza paura di sbagliare». Rispettando le leggi di gravità, muovendosi consapevolmente nella realtà, con quell´opera di «artigianato ortopedico» che Placido descrive. E comunque con la voglia, con l´ambizione di volare. E´, d´altra parte, il senso di quel che scriveva lo stesso Foa in Questo Novecento: «L´idea di una politica che va oltre i suoi schemi, oltre i suoi stessi tentativi di definirsi, per cercare nell´agire di uomini e donne il pensiero che lo sorregge, per dare a esso e alle sue passioni un senso e una visibilità capaci di orientare l´agire comune, di tracciare un orizzonte generale. Questa idea non può essere cancellata da una o più sconfitte. Essa si ripresenta con contenuti diversi. Si ripropone anche adesso, quando la politica sembra astrarsi da ogni realtà, quando bisogna andare a cercarla nei luoghi dove può rinascere». E´ questa, ora come allora, la grande sfida di questo Paese meraviglioso e sfortunato. Rompere la corazza del conservatorismo, ovunque dissimulata, e avere il coraggio di un grande disegno, una visione che possa finalmente portare l´Italia fuori dai suoi eterni mali. Per me questo è stato e resta il grande compito dei democratici di questo Paese e del partito che con tanto colpevole ritardo si sono finalmente dati.

Corriere della Sera 9.2.10
La svolta di Togliatti aprì la strada agli Usa
L’ingresso del Pci nel governo Badoglio nel ’44 convinse gli americani ad impegnarsi per l’Italia
di Paolo Mieli

il Riformista 9.2.10
Bertinotti, la Tv e la politica
di Stefano Munafò

Da Fazio, a “Che tempo che fa”, Bertinotti ne ha parlato di nuovo. Lo aveva già fatto qualche giorno prima sul “Corriere”, in una bella intervista con Aldo Cazzullo: “E’ un mondo capovolto. Una politica irriconoscibile, un’informazione impazzita. Scoppia la prima rivolta razzista della storia italiana.. migliaia di operai perdono il lavoro.. il pianeta vive una crisi di sistema, e i giornali e la Tv si occupano soprattutto di gossip”. Un’ accusa durissima. Eppure dei salotti della Tv “capovolta”, l’ex leader di Rifondazione era stato un assiduo frequentatore. Il giudizio attuale di Bertinotti è dunque, anche, un’autocritica? Bertinotti è stato (ed è) un leader politico italiano “diverso”. Diverso non solo per la sua visione del mondo, ma per il linguaggio e lo stile. Unico leader ad assumere con coraggio le responsabilità della recente sconfitta. Anche per queste ragioni, può essere utile capire il suo rapporto con la Tv. Brutalmente: le 79 convocazioni da Vespa (di cui parla Cazzullo) lo hanno favorito o danneggiato? E’vero che Bertinotti in quel contesto ha sempre cercato di difendere le proprie idee. Ma nella percezione dello spettatore comune, spesso è più importante il “contesto” del ” testo”. La presenza costante in un contenitore a torto o a ragione etichettato come il talk berlusconiano per eccellenza, può essere apparsa come un fenomeno di omologazione. La tv tende a ridurre a sua misura chi la frequenta con assiduità. Il caso-Berlusconi, con la sua onnipresenza televisiva, non inganni. Lui non è usato dalla Tv ma la usa, in quanto la governa e la può condizionare. Il rischio di molti politici di sinistra non è tanto quello di apparire poco rispetto agli avversari, quanto quello di non apparire sufficientemente diversi rispetto a loro, anche per le presenze televisive. E poi non è affatto vero che la Tv sia il solo fattore determinante per gli esiti elettorali. Il Premier ha perso per 2 volte le elezioni stando al governo. Le ha vinte, dopo essere stato all’opposizione. Per fortuna contano ancora i vecchi “fattori materiali”. In Tv, comunque, l’inflazione precede quasi sempre l’usura. Ne tenga conto anche Vendola, il quale, dopo il successo alle primarie pugliesi, nella stessa serata di un lunedì è comparso contemporaneamente all’Infedele (in diretta) e a Porta a porta (in registrata). Lerner a un certo punto ha acceso uno schermo sulla trasmissione di Vespa, per sottolineare l’ubiquità di Vendola. Ha poi aggiunto: “a che serve?”

l’Unità 9.2.10
Italia contro Italia
Tra il 1943 e il ’45 il nostro Paese visse una vera guerra civile. Ma un libro dello storico Fabbri mostra come quel conflitto nacque molto prima
di Nicola Tranfaglia

G li anni che portano l’Italia dalla guerra al fascismo restano decisivi nella nostra storia sotto moli aspetti. Il nostro è il primo Paese in Europa a precipitare nella dittatura fascista dopo il trauma del conflitto mondiale e a veder crollare un regime liberale in un ordinamento autoritario in cui le libertà fondamentali degli individui, come dei gruppi sociali, sono negate e in cui lo Stato regola tutto, senza distinzioni. Fabio Fabbri, che a queste vicende ha dedicato numerosi lavori, ricostruisce in maniera analitica quegli anni per cogliere gli elementi economici, politici e culturali che preparano questo esito e lo generano in un cammino che ha inizio con la fine della guerra e si conclude un anno prima della marcia su Roma e della vittoria formale del movimento di Mussolini (Le origini della guerra civile. L’Italia dalla grande guerra al fascismo 1918-1921, Utet editori, pp. 712, euro 28).
Nella nostra storiografia, diversamente da quanto videro in quegli anni i contemporanei a cominciare dallo stesso Mussolini e da un pensatore come Antonio Gramsci, si è sempre parlato di guerra civile per il periodo 1943-45 in cui si contrapposero in uno scontro mortale i partigiani da una parte e i nazisti con i fascisti della Repubblica sociale dall’altra. Come Fabbri dimostra in maniera convincente, invece, le origini della guerra civile emersero molto prima, percorrendo poi tutta la prima parte del secolo ventesimo e vedendo scendere in campo gli industriali, la Chiesa cattolica, la monarchia e il movimento fascista contro operai e contadini che in quel momento rappresentavano con la piccola borghesia la maggioranza dei lavoratori.
Fabbri individua nel fallimento delle agitazioni terriere e operaie del 1919, come nella paura della rivoluzione bolscevica che aveva vinto in Russia, le cause profonde di quella rivoluzione preventiva che trovò in Mussolini e nel suo movimento, caratterizzato dalla violenza di strada, gli strumenti necessari per opprimere la maggioranza della popolazione italiana uscita dalla guerra con lutti e rovine e già dominata dalle regole del latifondo e della fabbrica, senza nessun potere e capacità di contare nel governo del Paese. Ma il movimento fascista ebbe, in quegli anni, la capacità di seguire un doppio binario: quello parlamentare sostenuto dai liberali nelle elezioni dell’aprile 1921 e quello della violenza, nelle campagne della pianura padana come nelle città del centro-nord, per conquistare l’egemonia politica e culturale, sotterrare l’alternativa democratica e socialista e avvicinarsi al potere nell’Italia liberale. A proposito della violenza, basta ricordare, per rendersene conto, le cifre dello scontro riportate da Fabbri. Nel ’21, dal 1 ̊ gennaio al 31 maggio, risultavano 202 vittime per opera dei fascisti e 1144 feriti mentre da parte della forza pubblica erano state uccise 44 persone e ferite 259: un totale dunque di 246 morti e 1402 feriti. Infine era evidente la sproporzione tra i 2240 socialisti e comunisti e i 102 fascisti. Lo aiutarono i comportamenti dei prefetti come dei giudici che si dimostrarono più sensibili alla difesa dello statu quo che a quella della giustizia sociale e dei principi dello Statuto Albertino. In quella crisi naufragò l’esperimento nittiano per molti aspetti contraddittorio ma anche quello giolittiano che cercò di addomesticare i fascisti e inserirli nel gioco parlamentare come se potessero diventare una forza normale, fallendo clamorosamente.
L’ora del fascio cadde nell’estate del 1920 e i fatti di Sarzana mostrarono che lo scontro tra le squadre dei fascisti e le forze dell’ordine non si risolveva sul piano militare ma su quello politico. In questo senso l’occupazione delle fabbriche, nel triangolo industriale del Nord, fu la goccia che fece traboccare il vaso e spingere gli industriali e le principali istituzioni a sferrare l’attacco decisivo contro le classi subalterne colpite dalla guerra. Lo scontro vide forze contrapposte tra la difesa della legalità e la sua violazione e armò le forze decise a un vero e proprio “colpo di Stato” che si sarebbe realizzato con la commedia della marcia su Roma. Non si trattò di un assalto al palazzo ma di una manifestazione folcloristica che coprì, per così dire, l’intensa trattativa tra il movimento armato e la monarchia che alla fine negò il decreto sullo stato d’assedio al Governo Facta e consegnò il potere al duce del fascismo.
Si dipanò così la fragorosa caduta dello Stato liberale in Italia, che altri Paesi, a cominciare dalla Germania di Weimar e all’Austria avrebbero seguito negli anni successivi, e di sicuro fu la guerra, come aveva intuito Sigmund Freud, l’agente fondamentale del trauma e della successiva crisi sociale e culturale.❖

l’Unità 9.2.10
Pedofilia, l’accusa del Papa: diritti violati anche da preti
di Roberto Monteforte

Dal Pontefice dura condanna per abusi compiuti «anche da uomini della Chiesa»
Difesa della famiglia: «Un ambiente sereno la migliore tutela per i minori»

Dura condanna per i preti pedofili, impegno della Chiesa per i diritti dei minori, difesa della famiglia tradizionale «che meglio li garantisce». Il Papa detta la linea e lancia un «vademecum» per le nozze religiose.

I diritti dei bambini sono stati violati anche da uomini di Chiesa. Sugli abusi sessuali su minori la Santa Sede continua a fare outing. Ieri papa Benedetto XVI ha rinnovato la sua denuncia ferma e intransigente contro i preti pedofili. «La Chiesa, lungo i secoli, sull’esempio di Cristo, ha promosso la tutela della dignità e dei diritti dei minori e, in molti modi, si è presa cura di essi. Purtroppo, in diversi casi, alcuni dei suoi membri, agendo in contrasto con questo impegno ha rimarcato -, hanno violato tali diritti: un comportamento che la Chiesa non manca e non mancherà di deplorare e di condannare». Lo mette in chiaro papa Ratzinger ricevendo in udienza i partecipanti dell’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia che ha avuto per tema proprio quello dei diritti dell’Infanzia. «Le dure parole di Gesù contro chi scandalizza uno di questi piccoli ha spiegato ancora il pontefice che ha già annunciato per le prossime settimane una lettera pastorale ai fedeli irlandesi dopo alcuni rapporti giudiziari su abusi compiuti da religiosi impegnano tutti a non abbassare mai il livello di tale rispetto e amore. Perciò anche la Convenzione sui diritti dell’infanzia è stata accolta con favore dalla Santa Sede, in quanto contiene enunciati positivi circa l’adozione, le cure sanitarie, l’educazione, la tutela dei disabili e la protezione dei piccoli contro la violenza, l’abbandono e lo sfruttamento sessuale e lavorativo». La Chiesa, quindi, non solo è impegnata a fare pulizia al suo interno,, ma è ben determinata a fare per intero la sua parte a tutela dei minori partendo dalla difesa della famiglia tradizionale fondata sul matrimonio.
IL DIVORZIO FA MALE AI BAMBINI
La separazione e il divorzio, ha spiegato, «non sono senza conseguenze per i bambini», mentre «sostenere la famiglia e promuovere il suo vero bene» è il «modo migliore» per tutelare i diritti dei minori. «Un ambiente familiare non sereno continua il pontefice -, la divisione della coppia dei genitori, e, in particolare, la separazione con il divorzio non sono senza conseguenze per i bambini, mentre sostenere la famiglia e promuovere il suo vero bene, i suoi diritti, la sua unità e stabilità è il modo migliore per tutelare i diritti e le autentiche esigenze dei minori». Benedetto XVI rinnova, ora da questo punto di vista, la sua critica verso le coppie non tradizionali di fatto e omosessuali. I bambini, ha ricordato, «vogliono essere amati da una madre e da un padre che si amano, complementari nell’educazione dei figli e nella costruzione della loro personalità e della loro identità». «È importante ha aggiunto che si faccia tutto il possibile per farli crescere in una famiglia unita e stabile» e, «a tal fine, occorre esortare i coniugi a non perdere mai di vista le ragioni profonde e la sacramentalità del loro patto coniugale e a rinsaldarlo con l’ascolto della parola di Dio, la preghiera, il dialogo costante, l’accoglienza reciproca ed il perdono vicendevole».
Perché questo avvenga diventa essenziale una adeguata preparazione al matrimonio religioso. Insiste Benedetto XVI che le scorse settimane ha invitato la Sacra Rota a stringere le maglie sugli annullamenti. Ha rilanciato la definizione di un «vademecum» che aiuti bambini, adolescenti e giovani alla preparazione del matrimonio cristiano.❖

lunedì 8 febbraio 2010

Repubblica 8.2.10
Suonerà Emma la sveglia al Pd?
di Mario Pirani

Quando Emma Bonino si presentò alle elezioni del Lazio, rompendo l´incantesimo delle trattative inconcludenti per cercare un candidato che non si trovava, scrissi che quel gesto, se raccolto con un sussulto di fantasia, avrebbe potuto aiutare gli elettori di centro sinistra a recuperare un senso di identità che era andato via via smarrendosi. Mi basavo su due precedenti, storicamente assai più rilevanti, che avevano in comune l´essersi rivelati praticabili dopo una specie di "precipitazione chimica", una "contaminazione" tra un personaggio esterno, eterodosso, e un partito stremato dalle sconfitte subite o indebolito dalla caduta della sua spinta propulsiva.
Il primo episodio si riferisce al rapporto tra Mitterrand e il partito socialista francese. All´inizio degli anni Settanta questo partito ridotto al lumicino, stracciato da De Gaulle, compromesso dalla guerra d´Algeria, tallonato a sinistra dai comunisti non raccoglieva ormai più del 6-7% dei voti. Si susseguirono vani tentativi di rilancio, fino al congresso di Epinay, dove vennero chiamati al capezzale del morituro anche gruppetti e circoli radicali, post sessantottini ed altri. Il personaggio esterno più noto era l´ex ministro radicale, Francois Mitterrand che, avvantaggiato dalla generale debolezza della coalizione, si offrì come federatore e futuro candidato alle elezioni presidenziali.
Sconfisse la vecchia nomenclatura socialista, trasformò il partito in "partito del candidato", funzionale al presidenzialismo e al combinato disposto tra "effetto presidenziale" e "effetto maggioritario", e dieci anni dopo, il 10 maggio 1981, vinse le presidenziali. Il partito socialista, completamente trasformato dalla sua "contaminazione", governerà a lungo.
L´altro episodio l´ho vissuto personalmente. Nel 1976 Altiero Spinelli che frequentavo quasi quotidianamente, stava per scadere da commissario della Comunità europea, dove era stato nominato da Nenni, ministro degli Esteri del centro sinistra.
Avrebbe voluto continuare la sua battaglia per una Europa diversa ma si stava rassegnando a ritirarsi ormai a vita privata per accudire la moglie inferma. In quei giorni ricevette una telefonata da Antonio Giolitti che gli proponeva a nome del Psi di correre come sindaco alle elezioni di Roma, ma la carica non gli interessava. «E se ti offrissero un altro trampolino per l´Europa? Nel ´79 ci saranno le elezioni dirette per Strasburgo e, nel frattempo, a maggio, si svolgeranno quelle nazionali. Cosa ne dici?», buttai lì quasi per caso. «Allora sarebbe diverso», rispose. Conoscevo un solo personaggio, non socialista ma comunista, Giorgio Amendola, in grado di capire e raccogliere un messaggio del genere. Gli telefonai. Mancavano tre giorni alla presentazione delle candidature. Berlinguer dette ordine di rivoluzionare l´ordine dei capilista a Roma e Torino per lasciare spazio ad un reprobo che era stato cacciato dal partito nel 1937 e che si era inventato quel sospetto federalismo europeo. A quei tempi i comunisti si erano semi convertiti all´Europa, ma ogni tanto ci ripensavano (voteranno ancora contro il Sistema monetario europeo e contro gli euromissili, invisi all´Urss). Ma la ventata di europeismo che Spinelli riuscì negli anni di Strasburgo ad infondergli sono alla fine risultati decisivi. Il paragone con la Bonino, sia chiaro, non vuol essere storico ma "chimico".
Se il Pd seguiterà a tormentarsi su se medesimo, a dilaniarsi in ridicole contese interne, a perdere tempo (a 50 giorni dal voto non ha ancora scelto i candidati e neppure gli scrutatori, non ha stampato un manifesto o indetto un comizio) presto chiuderà bottega per fine esercizio. Gli resta una grande opportunità: dal popolo che è corso a votare Vendola a quello che si affolla alle prime apparizioni di Emma Bonino, emana una autentica passione.
Forse un "innesto" esterno ridarà linfa al Pd. Se ne faccia "contaminare", accantoni pretese e povere gelosie. Persino la "gioiosa macchina da guerra" potrebbe ripartire.

Repubblica Roma 8.2.10
Bonino: la Regione non è al servizio del Campidoglio
La Bonino polemizza con il sindaco. Il Pdl: non è informata. Cesa: "Emma osso duro"
di Chiara Righetti

La frecciata all´"asse" Alemanno-Polverini arriva da Frosinone, dove Emma Bonino incontra i Giovani socialisti. «Da molte dichiarazioni, anche di esponenti dell´altro schieramento, sembra che la Regione debba essere concepita come ente al servizio del sindaco di Roma o di Roma come tale». Diverso, spiega la candidata del centrosinistra, il modello di Lazio che ha in mente: «In giunta saranno rappresentate tutte le Province, perché è la Regione nel suo insieme che può e deve essere competitiva».
«A Renata voglio dare un consiglio - aveva detto Casini in mattinata - La sua non sia una candidatura in continuità con la giunta Alemanno, deve avere requisiti di trasversalità da non disperdere in campagna elettorale». Ma è stata la stessa Polverini la prima a parlare del «patto d´onore» siglato col sindaco prima di accettare la candidatura. Tema ripreso da Alemanno, che giorni fa ha scaldato il Palacongressi spiegando al Pdl come sarà il futuro di Roma se Comune e Regione avranno giunte dello stesso colore. E del resto Fabio Rampelli l´ha detto chiaro: «Il piano per il lavoro del sindaco è al centro del nostro programma». Tuttavia la frecciata irrita Andrea Augello, che ribatte: «Temo che la Bonino non sia ben informata. Gran parte degli ex assessori regionali erano assessori o consiglieri di Veltroni: Montino, Di Carlo, Nieri, Valentini». E aggiunge che «nell´era Veltroni il Campidoglio dispose largamente di risorse regionali, e il povero Marrazzo fu oscurato dal primo cittadino; dopo la vittoria di Alemanno è arrivato il contrordine».
La Bonino, che oggi vedrà Acer e Legacoop, raccoglie l´appello di Zingaretti sul listino: «Dobbiamo liberare energie, aprire alla società e chiamare a raccolta, non solo in campagna elettorale, imprese, volontariato, cooperative, spesso emarginati dall´eccessiva presenza dei partiti». Tra le energie da raccogliere anche quelle al femminile, con il grande raduno di domenica prossima. Sarà presentato oggi l´accordo con la Federazione della sinistra, mentre la direzione Pd riunita a discutere delle liste dovrebbe ufficializzare il ruolo di capolista per Montino.
Bonino avverte: «La coalizione avversaria è potente, non solo dal punto di vista finanziario. La sfida è difficile, ma potrà essere vinta se ognuno si sentirà candidato». Il segretario Udc Lorenzo Cesa ricambia la cortesia: «La Bonino è un osso duro, non sarà una passeggiata. Ma credo che Renata riuscirà a guidare la Regione, abbiamo condiviso questioni importanti che devono far fare al Lazio un balzo in avanti». Cesa glissa opportunamente su un altro balzo in avanti della Polverini, quello sulle coppie di fatto: «Più opinione personale che sostanza, perché il programma parla chiaro». Poi interviene Luciano Ciocchetti, che ne approfitta per "mettere il cappello" su un posto in giunta regionale: «Abbiamo proposto alla Polverini e lei lo ha sottoscritto - ricorda il segretario regionale Udc - di creare un assessorato unico per Lavoro, formazione e politiche giovanili». In prima fila al convegno Udc c´è anche la mamma della candidata, che ieri non si è sottratta al consueto tour de force: in mattinata era a Viterbo, dove ha parlato ancora dell´aeroporto; dopo pranzo è riapparsa dagli schermi di Domenica In a spiegare che «serve un patto tra generazioni, o avremo tante Alcoa».

Repubblica 8.2.10
Quando sognavamo Giustizia e Libertà
di Beniamino Placido

Pubblichiamo una lettera di Beniamino Placido alla figlia Barbara del 1990. Sulle sue passioni politiche e l´impegno
"Tutti noi siamo fatti anche di miti, di pulsioni, di interessi, di ambizioni"
"Il vecchio spirito azionista: provarci sempre. Senza paura di fare. Senza paura di sbagliare"

Carissima Barbara, ho voglia di raccontarti tantissime cose (due o tre almeno) ma non so da che parte incominciare. Comincerò allora con un fatto antico, antichissimo, quasi un episodio d´infanzia: che potrebbe, dovrebbe (vorrebbe?) commuoverti.
Nei primissimi anni del dopoguerra c´era in Italia una cosa bellissima: il Partito d´Azione. In Lucania l´aveva fondato zio Valentino, con altri giovani antifascisti. Altri antifascisti – giovani o meno giovani – l´avevano fondato in tutta Italia. Il Partito d´Azione veniva fuori da una tradizione degnissima. Dal gruppo di "Giustizia e Libertà"; che era stato fondato da Carlo e Nello Rosselli, due meravigliosi antifascisti fiorentini, che il Fascismo aveva fatto uccidere: esuli in Francia. Il Partito d´Azione è stato l´unico gruppo politico organizzato a fare del vero attivo antifascismo, durante il ventennio, accanto al Pci. I suoi rappresentati avevano fondato il Non Mollare, quando tutti mollavano. Poi andarono, uno dopo l´altro, in galera e ci rimasero per un bel po´. Ernesto Rossi, l´economista ( autore di Abolire la miseria; I padroni del vapore, Settimo non rubare) anche per tredici anni di fila.
Chi ha fatto la resistenza? Due gruppi politici: i comunisti e gli "azionisti" (che venivano anche chiamati sprezzantemente "visipallidi" perché non avevano la faccia contenta e biscottata alla Berlusconi). In che cosa gli "azionisti" erano diversi dai comunisti? In questo: volevano la Giustizia, ma volevano anche la Libertà.
Benedetto Croce diceva che non era possibile. Che se tu vuoi proprio la Giustizia, l´Uguaglianza, finirai fatalmente col rinunciare alla libertà. Farai la fine della Russia di Stalin. Gli "azionisti" erano fermamente avversi alla Russia di Stalin. Mai, neppure per un momento, cedettero alle fiabesche sciocchezze che sulla Russia comunista i comunisti italiani allora dicevano. E che si sono dimostrate sanguinosamente false.
Questo li rendeva invisi a Dio ed ai nimici sui. Ai conservatori come ai comunisti ortodossi (con i quali conservarono però sempre un rapporto di affettuosa, rissosa familiarità). Nel Partito d´Azione militavano tutti (o quasi tutti) gli intellettuali italiani di quegli anni. Quelli grandi, di cui non ti faccio i nomi perché non ti direbbero nulla (De Ruggiero, Omodeo, Arturo Carlo Jemolo, Calamandrei, Codignola) e tanti altri più piccoli. Anche per questo, anche per questo prestigio, il Partito d´Azione ebbe subito fortuna, in tutto il Paese. Che aveva contribuito a liberare dai fascisti e dai nazisti.
Pensa che a Rionero, paesino di dodicimila abitanti, la sezione fondata da zio Valentino contava seicento iscritti. Poi cosa accadde? Accadde che questi intellettuali si misero a litigare fra di loro. Arrivò la scissione, consumata in un dolorosissimo, drammaticissimo congresso a Roma, al Teatro Italia (che si trova intorno a Piazza Bologna).
Il Partito d´Azione si sciolse. I suoi rappresentati più bravi si distribuirono tra i vari partiti della sinistra italiana. E vi hanno fatto le cose migliori. Cosa sarebbe stato il Partito Repubblicano italiano senza Ugo La Malfa? Cosa sarebbe stato il Partito Socialista italiano (quello di Nenni, non quello attuale di Craxi) senza Riccardo Lombardi? E questi nomi forse ancora dicono qualcosa (spero) a quelli della tua generazione.
Il Partito d´Azione si sciolse, ma non si dissolsero nel nulla i suoi componenti: anche quelli più piccoli, in ogni senso. Continuarono ad operare nella società civile, dentro e fuori i partiti, dentro e fuori le Università, dentro e fuori i sindacati. Mai rassegnandosi all´ondata di restaurazione che intanto era arrivata. La prima delle tante ondate di restaurazione che di tanto in tanto affliggono il nostro Paese. Ondata di restaurazione propiziata da un enorme imperdonabile errore del Partito comunista di allora: presentandosi come paladino della Russia di Stalin – che aveva impiccato abbondantemente, che continuava ad impiccare allegramente – i comunisti resero più agevole l´inondazione democristiana del 18 aprile 1948. Inondazione che perdura; dalla quale cerchiamo faticosamente di riemergere.
Fra quegli "azionisti" c´era anche il tuo papà: piccolo, piccolissimo allora; piccolo, piccolissimo sempre. E che non ha mai dimenticato quel giorno lontano. Quando la notizia ufficiale dello scioglimento arrivò. Quando la sezione del Partito d´Azione di Rionero fu chiusa. Quando quelle bandiere gloriose, ardimentose (le bandiere del Partito d´Azione erano rosse, con lo stemma di G. iustizia e L. ibertà) nel mezzo: gli azionisti si chiamavano "compagni") si ammonticchiarono nel cortile della nonna: dove erano state portate amorosamente da zio Valentino. E poi furono mandate al macero. Mai dimenticato.
Perché morì il Partito d´Azione? Ce lo si è chiesto molte volte. Dedicò all´interrogativo le sue riflessioni Palmiro Togliatti. Forse abbiamo una spiegazione. Che potrebbe interessare l´antropologo. Morì perché terribilmente astratto. Composto da intellettuali, aveva l´intellettualistica convinzione che gli uomini fossero fatti di sola razionalità. E che quindi bastasse fare appello alla loro ragione per convincerli a votare. Gli uomini (tutti gli uomini e tutte le donne: anche noi, non solo "gli altri") sono fatti anche di miti, di pulsioni profonde e inconfessabili, di ambizioni, di interessi. In una cosa invece il Partito d´Azione aveva ragione. Così come «non si fa la poesia con i sentimenti, ma con le parole» (l´ha detto Paul Valery) non si costruisce la società giusta con i sentimenti, siano pure i più nobili, ma con le articolazioni istituzionali.
Ed è questo che avrei voluto dire agli studenti dell´Università di Roma; è questo che vorrei dire a tutti coloro che stanno dentro a questo dibattito sulla nuova sinistra da costruire: a quelli del no, a quelli del sì, a quelli del forse. Lo avrei detto – tanto per cambiare – nella forma di un raccontino. Che si riferisce anch´esso – tanto per non cambiare – alla mia "infanzia" lucana. Il racconto ha una premessa. La seguente. Non è che sia venuta meno in noi la voglia di volare. Negli "azionisti" non viene mai meno. E adesso tu sai che tuo padre è un "azionista": non nel senso finanziario del termine, fortunatamente. No, la voglia di volare alto, di non strisciare per terra, di non vegetare, è sempre quella. Ma come si fa a volare? Quand´eravamo ragazzi, a Potenza, ci pensavamo sempre, talvolta ne parlavamo. Una volta, passeggiando passeggiando, ci trovammo sul ponte di Montereale, che è altissimo e maestoso. Uno di noi, che si chiamava Brucoli – e quindi era della dinastia dei gelatai di Potenza, e quindi apparteneva alla buona società potentina – ad un certo punto si affacciò dalla spalletta del ponte, guardò in giù (cinque metri di altezza). Poi prese il suo bastone – si poteva permettere di andare in giro con un bel bastone liberty fra le mani – e lo buttò. Poi chiese a noi – che con lui ci eravamo affacciati a guardare nella valle sottostante – ha volato il mio bastone? Si è fatto forse male? E allora volerò anch´io. Si buttò giù, e si ruppe tutte e due le gambe.
La voglia di volare – generosa e legittima – che animava i comunisti classici, che anima oggi alcuni gruppi di studenti, rassomiglia a questa. Non porta da nessuna parte. Solo ai disastri, personali o collettivi. Abbiamo imparato poi a volare. Ma rispettando le leggi di gravità, non violandole. Ma rassegnandoci ad essere – paradossalmente – più pesanti dell´aria, senza illuderci di poter mai diventare più leggeri. Ma costruendoci dei dispositivi artificiali e complessi: estremamente artificiali, estremamente complessi. Che non ci danno la soddisfazione del volo umano, ma ci fanno andare per aria, a rispettabile velocità.
E non è questa la civiltà, non è questo il progresso? La civiltà è una continua costruzione di protesi, un assiduo artigianato ortopedico. Per correggere l´inuguaglianza di partenza nel senso dell´uguaglianza; per correggere le ingiustizie di base nel senso della giustizia. Non ci si può aspettare che la libertà di stampa arrivi solo perché da qualche parte qualcuno si illude di aver costruito, o trovato, o inventato l´"uomo nuovo". Solo perché è stato eliminato il capitalismo. Come pensavano i comunisti dell´altro ieri. Come pensavano quegli studenti di ieri. Questo vale a maggior ragione per la libertà di stampa: che si costruisce – e si custodisce – non con gli esorcismi verbali all´indirizzo del capitalismo, ma con un artigianale lavoro di revisione delle leggi. Tenendo conto di resistenze, inerzie, interessi, eccetera.

Cara Barbara, non sono sicuro che questi uomini di sinistra del "forse" siano migliori di quelli del "sì", e di quelli del "no". Però sono la mia cultura, la mia biografia, la mia storia, hanno qualcosa del vecchio (e mai morto) spirito azionista. Provarci sempre, non cedere mai. Senza paura di fare. Senza paura di sbagliare.
Un abbraccio
dal tuo papà
Roma, domenica 11 febbraio 1990

l’Unità 8.2.10
L’area Marino lancia il maxi-Pd Ma l’idea non convince Bersani
di Simone Collini

Per il segretario Pd è sbagliato voler andare sempre oltre l’esistente: «Ora concentriamoci ad accorciare le distanze tra le forze di opposizione». E registra con soddisfazione il «cambiamento» dell’Idv.

«Serve una prospettiva diversa», dice Michele Meta, «c’è un disorientamento interno molto forte a cui dobbiamo saper rispondere». E per il coordinatore dell’area Marino la risposta sta nel dar vita a «un Pd più largo e aperto rispetto al duopolio sinistra-cattolici democratici». Si chiude con questa proposta politica il seminario organizzato ad Orvieto dal senatore-chirurgo e i suoi. Ignazio Marino, aprendo i lavori sabato, ha chiesto a Bersani di lavorare sui «contenuti» per dare un profilo più netto al partito e di smetterla di «privilegiare» l’Udc. Meta fa un passo oltre e, come già Bettini qualche giorno fa, propone un drastico cambio di strategia: «È fallita la vecchia idea delle alleanze e di un centro-sinistra come somma algebrica di tutti quelli contro Berlusconi. E abbiamo visto che non funziona un Pd fondato su una sorta di minicompromesso storico interno perché produce solo una trattativa di potere». La proposta è di dar vita a un «maxi-Pd» che si apra alle forze di sinistra
Ignazio Marino rimaste fuori dal Parlamento e ai Radicali: «La vittoria di Vendola alle primarie pugliesi e la candidatura di Bonino nel Lazio non sono due incidenti di percorso ma due opportunità».
ACCORCIATE LE DISTANZE
L’ipotesi del «maxi-Pd» non convince però Bersani, che dopo aver partecipato all’iniziativa sabato, ne ha seguito a distanza la chiusura. L’«oltrismo», il voler andare oltre l’esistente, non gli piace. E invece per il leader Pd ora vanno registrati il positivo «cambiamento» dell’Idv, gli accordi siglati con la sinistra in quasi tutte le regioni e anche il fatto che la stessa Bonino ha riconosciuto che dopo il congresso il rapporto tra Pd e Radicali ha conosciuto «un nuovo inizio». Le distanze tra le forze di opposizione «si stanno accorciando», nota con soddisfazione Bersani dopo questo fine settimana. E se Casini va all’attacco sostenendo che «l’Idv è un macigno su qualsiasi alternativa credibile a Berlusconi», secondo il leader Pd queste sono parole che hanno più a che vedere con la campagna elettorale che con la reale intenzione dei centristi di fare fronte comune contro l’asse Pdl-Lega.❖

l’Unità 8.2.10
Finanziamento pubblico
Editoria, l’ultima chance
di Vincenzo Vita

Allarme rosso per le testate –nazionali e localinon profit, cooperative, di partiti e movimenti politici, di minoranze linguistiche, di comunità italiane all’estero. L’ultima legge finanziaria abolì, con il maxiemendamento del governo arrivato all’ultimo con la protezione del voto di fiducia, il diritto soggettivo dei giornali ad accedere ai contributi pubblici previsti dalla legge. Dal 2010: dunque subito, visto che le risorse vengono erogate l’anno successivo. Ora c’è una possibilità (forse l’ultima?) di rimettere nella nostra normativa quel diritto. Almeno per due anni, una “tregua” necessaria a varare la tanto necessaria riforma del settore. È la richiesta di un emendamento “bipartisan” presentato nella discussione del decreto “milleproroghe”: adesso al voto presso la commissione affari costituzionali del Senato. Senza l’approvazione di quell’emendamento, ogni ipotesi di riordino è una presa in giro, a cominciare dal Regolamento portato dal sottosegretario Bonaiuti competente per materianelle sedi parlamentari. Ed appare ancor più squallido il conflitto di interessi pantelevisivo di cui sono vittime proprio l’editoria e la rete. Tra l’altro, la stessa commissione bilancio, generalmente rigidissima, ha dato parere favorevole, pur chiedendo la riduzione da due a un anno del periodo di transizione. Così, a maggior ragione, se la “tregua” troverà, al contrario, il consenso nella commissione, sarà più facile il completamento positivo dell’intero iter nelle due Camere. E diverrà credibile discutere con la cura dovuta la revisione degli stessi meccanismi che presiedono al finanziamento pubblico, da rendere insieme più aperti alle novità e di maggior rigore nei criteri. Sono almeno cento le testate interessate, quelle meno tutelate dal finto mercato dei media italiani. Sindacati, Federazione della stampa, associazioni si sono espressi nettamente. E, quindi, speriamo bene, benché il recente decreto sulla televisione o l’ennesimo colpo alle edicole non siano sintomi incoraggianti. Ma battiamoci fino in fondo: la difesa della libertà di informazione non ammette tregue. ❖

Repubblica 8.2.10
La fiction sull'uomo che provò a chiudere i manicomi è una bella "rivoluzione"
Basaglia in tv, l'utopia dei matti
di Umberto Galimberti

Trasformare i pazzi in uomini la bella rivoluzione va in tv
Precisione efficacia e commozione nella descrizione delle pratiche punitive terribili
Il medico si batté contro la miseria e il degrado a cui la follia non di rado si imparenta
Stasera su RaiUno la seconda puntata di "C´era una volta la città dei matti", il bel film di Marco Turco che ripercorre la vicenda dello psichiatra veneziano. E ci convince a non cancellare le sue conquiste

COME faccio a sapere che malattia ha una persona legata in un letto di contenzione da 15 anni? Come faccio a sapere di che cosa soffre un individuo a cui sono stati tolti, oltre ai suoi abiti, tutti gli oggetti personali, in cui poter rintracciare una pallida memoria di sé?
E che dire di quanti, in occasione di una crisi, venivano immersi in un bagno d´acqua gelata, o sottoposti a elettroshock? Erano queste alcune domande che Franco Basaglia si era posto quando, escluso dalla carriera universitaria per le sue idee non proprio in linea con la psichiatria vigente, giunse a Gorizia a dirigere il manicomio di quella città.
Marco Turco, regista della fiction televisiva, la cui prima puntata è andata in onda su RaiUno ieri sera, descrive con precisione, efficacia e commozione le pratiche di punizione, di controllo e persino di tortura che si praticavano nei manicomi in nome della scienza psichiatrica, ma soprattutto coglie e mette bene in evidenza che la chiusura dei manicomi era, negli intenti dello psichiatra veneziano, solo un primo passo verso una rivisitazione dei rapporti sociali a partire dalla "clinica", la quale, per tranquillizzare la società, non aveva trovato di meglio che incaricare la psichiatria a fornire le giustificazioni scientifiche che rendessero ovvia e da tutti condivisa la reclusione dei folli entro mura ben cintate.
Entro queste mura Basaglia, prima della follia, incontrò la miseria, l´indigenza, il degrado, l´emarginazione, l´abbandono, la spersonalizzazione, a cui la follia non di rado si imparenta. Infatti la follia dei ricchi non si esprime con la "segregazione", ma tutt´al più con l´"interdizione", qualora intacchi gli interessi patrimoniali. E allora non è che per controllare e contenere questa miseria non s´è trovato modo migliore che renderla muta come "miseria" e farla parlare solo come "malattia"?
Questo tema è messo bene in evidenza dallo sceneggiato televisivo che ha colto perfettamente l´intenzione di Basaglia secondo il quale: se la clinica ha messo il suo sapere al servizio di una società che non vuole occuparsi dei suoi disagi, non è il caso di tentare a l´operazione opposta, ossia l´accettazione da parte della società di quella figura, da sempre inquietante, che è la follia, dal momento che, scrive Basaglia: "La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, per tradurre la ‘follia´ in ‘malattia´ allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d´essere che è poi quella di far diventare razionale l´irrazionale. Quando qualcuno è folle ed entra in manicomio smette di essere ‘folle´ per trasformarsi in ‘malato´. Diventa razionale in quanto malato".
L´ansia di accreditarsi come scienza sul modello della medicina ha fatto sì che la psichiatria trascurasse, senza curarsene, la "soggettività" dei folli, i quali furono tutti "oggettivati" di fronte a quell´unica soggettività salvaguardata che è quella del medico. Ma è davvero credibile che, negando istituzionalmente la soggettività del folle, sia possibile guarirlo, cioè restaurarlo nella sua soggettività? Di qui l´invito agli operatori sanitari di togliersi i camici, simboli del potere medico che non può operare, dice lo sceneggiato, se prima non si smonta il lager. "Ma i pazienti sono muti" obiettano gli infermieri. E allora, risponde Basaglia: "Avresti voglia di parlare quando nessuno ti ascolta?". E ancora: "Le anime di questi pazienti non sono ‘vuote´, come voi dite, ma semplicemente ‘svuotate´, in questo carcere di cui voi siete ‘buoni´ carcerieri, ma sempre carcerieri". E poi perché non restituire ai ricoverati gli abiti e i loro effetti personali. "Se a voi, medici e infermieri, togliessero tutte le cose più care che avete in casa, che cosa resta di voi?"
Accettando la condizione di parità tra medico e paziente Basaglia scopre che, restituendo al folle la sua soggettività, questi diventa un uomo con cui si può entrare in relazione. Scopre che il folle ha bisogno non solo delle cure per la malattia, ma anche di un rapporto umano con chi lo cura, di risposte reali per il suo essere, di denaro, di una famiglia e di tutto ciò di cui anche il medico che lo cura ha bisogno. Insomma, dice Basaglia: "Il malato non è solamente un malato, ma un uomo con tutte le sue necessità".
L´utopia di Basaglia di fare della clinica un laboratorio per rendere "umane" e non "oggettivanti" le relazioni tra gli uomini, attraverso la creazione di servizi di salute mentale diffusi sul territorio, residenze comunitarie, gruppi di convivenza, con la partecipazione di maestri, educatori, accompagnatori, attori motivati, oggi sembra in procinto di naufragare e fallire. Anche se l´Organizzazione Mondiale della Sanità, che nel 2003 ha definito la legge Basaglia che ha chiuso i manicomi come "uno dei pochi eventi innovativi nel campo della psichiatria su scala mondiale", ci informa che un giovane su cinque in Occidente soffre di disturbi mentali, che nel 2020 i disturbi neuropsichiatrici cresceranno in una misura superiore al 50 per cento, divenendo una delle cinque principali cause di malattia, di disabilità e di morte. Che facciamo? Mettiamo tutti in manicomio o facciamo recuperare loro quel rapporto col mondo che il manicomio preclude definitivamente e i servizi di salute mentale, così come sono oggi, non garantiscono, per incuria, trascuratezza, indifferenza, per la paura che la società ha della diversità che ospita nelle figure degli immigrati, dei tossici, dei senzatetto, degli emarginati?
Questo Basaglia lo temeva e perciò, un anno prima di morire scrisse: "Magari i manicomi torneranno a essere chiusi e più chiusi di prima, io non lo so, ma a ogni modo noi abbiamo dimostrato che si può assistere la persona folle in un altro modo, e la testimonianza è fondamentale. Noi, nella nostra debolezza, in questa minoranza che siamo, non possiamo ‘vincere´, perché è il potere che vince sempre. Noi possiamo al massimo ‘convincere´. Nel momento in cui convinciamo, vinciamo, cioè determiniamo una situazione da cui sarà più difficile tornare indietro". E il contributo dello sceneggiato televisivo, bellissimo nel suo ritmo, nelle sue cadenze e nella sua documentazione, va nella direzione di convincerci a non tornare indietro.

l’Unità 8.2.10
Questioni di cuore sul lettino
Nuovi modelli clinici Lo psicanalista, i genitori e il bambino, tutti insieme nella stessa stanza
di Manuela Trinci

Dina Vallino la chiama «consultazione partecipata», un’esperienza creativa: mette al centro il fatto che l’analisi diventa un campo di studio per i genitori e per il bambino.

«Questioni di cuore» quelle che arrivano nella stanza di analisi infantile portate da babbi e mamme al-
le prese con l’incomprensibile malessere dei loro bambini. Genitori con le lacrime a fior di pelle, tormentati dalla colpa di aver commesso chissà quanti e quali errori, o paralizzati da un senso di inadeguatezza per scelte educative impellenti, e comunque sia genitori che chiedono consiglio e aiuto coi cuori palpitanti per il futuro dei loro piccini. E sono proprio le «questioni di cuore» ad essere messe al centro dell’ultimo, avvincente, libro di Dina Vallino psicoanalista didatta della Società Psicoanalitica Italiana e psicoanalista infantile – intitolato Fare psicoanalisi con genitori e bambini (Ed. Borla, pp. 293, euro 30,00).
Un lavoro psicoanalitico tanto straordinario quanto inedito rispetto alla tradizione quello proposto dalla psicoanalista milanese dove all’unisono genitori e figli sono i protagonisti in azione. Indubbiamente, in quella che Dina Vallino chiama la «consultazione partecipata» si annuncia un nuovo modello clinico. Un modello corale, dalle molte facce, focalizzato sulla collaborazione tra lo psicoanalista e i genitori, integralmente riconosciuti «nelle loro funzioni naturali, che sono quelle di accudire, curare, vigilare sui loro figli».
Ma non sembri scontato perché, anche in un recente passato, l’analisi infantile, costruita sulle analogie con quella degli adulti, giustificava il lasciare fuori dalla stanza d’analisi i genitori, centrandosi piuttosto sulla relazione intrapsichica fra analista e piccolo paziente. Nel tempo, le riflessioni su questa stessa esperienza ne hanno contraddetto i presupposti, mostrando la solitudine dei genitori nonché il loro sentirsi esautorati ed esclusi da un’esperienza così importante. Senza considerare che sono stati proprio i nuovi scenari familiari – dal progressivo sgretolamento del welfare state, con mamme strangolate fra corse in carriera o angosce di disoccupazione, all’aumento di divorzi e big-family conseguenti, alle tantissime adozioni ecc... a dirottare più o meno forzatamente la psicoanalisi verso un’apertura diversa ai problemi dei genitori con i figli.
In tale modificato panorama, la «consultazione partecipata» (a ben guardare leggibile come una sorta di estensione dell’Infant observation, che genera la consuetudine a stare con i genitori e il loro bambino, insieme) è una delle esperienze più creative che mette al centro il fatto che l’analisi diventa un campo di studio: per i genitori, per riconoscere i loro fraintendimenti e, per il bambino, per apprendere come avviene il confronto con la realtà di punti di vista diversi dai suoi.
GUARDARE CON OCCHI NUOVI
Parlare con il bambino anziché parlare di lui, predisporre uno schermo sul quale madre e padre abbiano l’opportunità di guardare il figlio con occhi nuovi e di capire il legame che passa tra loro, cogliere l’atmosfera emotiva familiare, rendere i genitori consapevoli di come anche un bebé sia sensibile ai loro lamenti o commenti, di come per i piccoli perdere la cacca possa essere pauroso, così come allontanarsi troppo dalla mamma gattonando, così come andare a scuola o mangiare o dormire. Ecco, durante questo lavoro di cooperazione, le paure, come qualsiasi altro segnale o sintomo dei bambini, devono essere osservati, segnalati. Bisogna andare oltre i comportamenti, cogliere le sofferenze interne, mostrare ai genitori
la vulnerabilità del bambino, il suo bisogno di protezione e di sicurezza ma anche il suo il suo talento. Cambiare, ribaltare l’ottica... e, dunque, far respirare i legami che già ci sono, raccogliere le note di fiducia rispetto alla stanchezza, liberare il campo dai fraintendimenti per arrivare a relazioni più schiette. Nella «consultazione partecipata» emergono conflitti, rabbioni, rimproveri, desideri; e i pensieri segreti possono essere narrati, trovando un «luogo» immaginario, ma concreto, per farsi riconoscere da tutti.
Così bambini e genitori si fanno inventori di sogni e brandelli di storielle ascoltate, di cartoon, di quotidiana banalità possono venire ricamati, tessuti, cucinati, raccontati o messi in scena giocando. Dal fraintendimento alla comprensione confortante, sotto l’occhio poetico di Dina Vallino, i genitori ritrovano quella tenerezza che aiuta a crescere. Tutti.❖

La Stampa 8.2.10
Dimenticare i manicomi
Salute mentale, il recupero attraverso il lavoro funziona
Lavorare come matti: a trent’anni dalla morte di Basaglia si moltiplicano le esperienze di recupero. In Spagna la catena di Zara apre un outlet di abbigliamento gestito da disabili psichici
di Gian Antonio Orighi
qui
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/societa/201002articoli/51996girata.asp

La Stampa 8.2.10
Piccoli Freud ti aiutano in Rete
Tra i sogni ricorrenti la paura per gli esami
È boom di siti che interpretano i sogni: «Sono queste le nuove community»
di Alice Castagneri
qui
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/societa/201002articoli/51975girata.asp


l’Unità 8.2.10
La riforma delle superiori ha il solo scopo di ridurre gli organici specie nei tecnici e professionali
I tagli per una scuola classista

Tagli e ancora tagli. E poi, con la canalizzazione precoce, una scuola sempre più classista. È assai negativo il giudizio della Flc CGIL sui nuovi regolamenti della scuola superiore che ridisegnano licei, istituti tecnici e professionali e che sono stati la scorsa settimana approvati dal Consiglio dei ministri. Altro che riforma epocale, come è stato sbandierato con grande enfasi dal ministro Gelmini e dal premier Berlusconi: “Ciò che il governo ha approvato – ha commentato duramente Mimmo Pantaleo, segretario generale Flc – non è una riforma ma solo una rigorosa applicazione dei tagli decisi dal ministro Tremonti”. Con una forte coloritura, come dicevamo, classista: “La decisione di ridurre l'orario nella classi successive alla prima e nei soli istituti tecnici e professionali – aggiunge il sindacalista –, accentua la separatezza tra i diversi segmenti, producendo nei fatti una divisione sociale grave e inaccettabile tra i giovani, sulla base del censo e delle condizioni sociali e culturali di partenza”. Questo vulnus è stato reso possibile dalla volontà di procedere al taglio di quasi 20.000 cattedre nei prossimi due anni e che “risale” alla legge 133/08; tuttavia, visto che il parere delle commissioni Cultura di Camera e Senato e del Consiglio di Stato aveva sconsigliato di far iniziare la riforma dalle prime classi, si è deciso di tagliare nelle classi seconde, terze e quarte degli istituti tecnici e professionali, che così passano da 36a32ore.
La riforma appena approvata rende ancora più importante il percorso di iniziative già deciso dalla CGIL. Il 17 febbraio sarà organizzata una grande assemblea nazionale della scuola secondaria superiore, aperta agli studenti, alle associazioni e alle forze politiche per decidere tutte le opportune iniziative di mobilitazione. Il 12 marzo poi, come è noto, si terrà lo sciopero generale: e lo svilimento della scuola pubblica sarà sicuramente uno dei temi forti della protesta.

La Stampa 8.2.10
Il riflusso dopo il successo del 3+2
L'università ritorna un lusso per pochi
Crollano le iscrizioni tra i ragazzi usciti dalla maturità. Ma sono soprattutto i figli delle classi più deboli a rinunciare
di Andrea Rossi
qui
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/scuola/grubrica.asp?ID_blog=60&ID_articolo=1279&ID_sezione=255&sezione=

l’Unità 8.2.10
Problema carceri, nessuna volontà di umanizzarle
di Annino Mele

Siamo sicuri che le problematiche dei detenuti possano essere risolte investendo nell’edilizia carceraria? Forse più che ai detenuti, queste dichiarazioni di perenne emergenza servono a mantenere alta la propaganda della paura. Da carcerato voglio informare gli emergenzialisti che c’è una legge che prevede di poter lasciare il carcere con il residuo pena degli ultimi tre anni: la legge «Simeoni-Saraceni». E da carcerato noto la totale mancanza di volontà di umanizzare le carceri: si parla di duemila agenti della polizia penitenziaria da arruolare, ma non si fa alcun accenno a nuove assunzioni di educatori e assistenti sociali. Da carcerato, avendo alle spalle oltre 32 anni di carcere, da anni chiedo di poter visitare mia madre, anche accompagnato dalla scorta, ma i permessi puntualmente vengono negati.
A maggio del 2009 ho chiesto di partecipare alla presentazione di un mio libro alla Fiera del Libro di Torino: mai avuto risposta. I medici dell’infermeria di questo carcere, dal mese di aprile 2009, hanno sollecitato un mio ricovero in un centro clinico, anche in questo caso nessuna risposta.
La situazione delle mansioni lavorative è a dir poco indescrivibile. Con la scusa delle poche ore lavorative, un portavitto arriva a prendere non più di 150 euro al mese. Uno scopino non più di 250. Lo spesino, cioè colui che distribuisce la spesa del sopravvitto nelle sezioni, prende sì e no 100 euro al mese. Il barbiere, che poi barbiere non è, viene assunto giusto per coprire una mansione che dovrebbe essere coperta da un vero barbiere, ma quello costa, e chiede i giusti diritti. Al detenuto basta dare dai 30 ai 40 euro al mese.
Quando al carcerato viene impedito di visitare il proprio genitore con gravi problemi di salute.
Quando vengono lesi i diritti al lavoro e alla giusta retribuzione.
Quando vengono lesi i diritti alla salute.
Quando si viene meno al principio richiamato dall’art. 27 della Costituzione, vuol dire che si vuole cancellare volontariamente l’esistenza delle persone recluse.
E quando si oltrepassano questi limiti, di che civiltà parliamo? Quei soldi che intendete investire per le costruzioni di nuove carceri, investiteli costruendo case per quei poveracci che vengono da noi per raccogliere pomodori e clementine.
A noi basterebbero le leggi. Quelle leggi che, fino a poco fa, facevano filtrare un po’ di luce in questi luoghi angusti. Fate in modo che possano nuovamente operare le strutture esterne, perché è il tessuto della società libera che comunque dovrà farsi carico del detenuto quando sarò fuori. Spero che, invece di spendere per nuove carceri, si investa affinché il delinquere diminuisca, e in carcere si entri di meno.❖

l’Unità 8.2.10
Appello di Shirin Ebadi: «L’11 febbraio l’Onda verde in piazza»
I democratici vogliono usare l’anniversario della caduta dello Shah per denunciare il tradimento degli ideali rivoluzionari
di Ga B.

Cresce come una febbre in Iran l’attesa per l’anniversario della rivoluzione khomeinista, che governo ed opposizione si apprestano a celebrare in opposta maniera. Il movimento democratico vuole trasformare la ricorrenza in un’occasione per denunciare il tradimento degli ideali rivoluzionari. Il potere si appresta a reprimere con la forza ogni manifestazione di dissenso.
Il regime cerca pretesti Un appello ai connazionali affinché giovedì 11 febbraio scendano in piazza ed esprimano la loro esigenza di libertà, è stato rivolto ieri dalla premio Nobel per la pace 2003, Shirin Ebadi. La donna vive all’estero dai giorni delle elezioni presidenziali del giugno scorso. Ha buone ragioni di temere di essere arrestata non appena metta piede in patria.
In un'intervista al giornale britannico Sunday Telegraph, Ebadi, avvocata e fondatrice di un centro per la tutela giuridica delle vittime di abusi e violenze, esorta gli iraniani a «protestare pacificamente». «Penso che tutti dovrebbero partecipare alle dimostrazioni -affermae rivendicare i propri diritti in modo pacifico». La premio Nobel mette anche in guardia verso il fatto, a suo giudizio «evidente, che il regime cerca una scusa per poter intervenire».
Il regime già sta intervenendo. Sette dissidenti sono stati arrestati ieri cono l’accusa di avere svolto attività sovversive. Alcuni di loro, secondo notizie diffuse dall’agenzia di Stato Irna, avrebbero agito su istruzioni della Cia e avrebbero avuto legami con «i network satellitari sionisti». Vengono loro imputati rapporti con l'emittente americana in lingua farsi Radio Farda. Sono accusati di essere stati «assunti come spie» dagli Stati Uniti e «addestrati a Dubai e a Istanbul».
I pasdaran minacciano Sui media ufficiali è un susseguirsi di messaggi intimidatori. La notizia degli arresti è impacchettata in un comunicato del ministero dell’intelligence, secondo cui i sette avrebbero svolto un ruolo importante negli incidenti post-elettorali ed in particolare in quelli del giorno dell’Ashura, il 27 dicembre scorso. Il governo sostiene che stavano progettando una sedizione proprio per giovedì prossimo, anniversario della caduta dello shah.
«Le forze di sicurezza si occuperanno di garantire lo svolgimento delle dimostrazioni e affronteranno decisamente chiunque volesse uscire dai binari del percorso rivoluzionario», ha ammonito il comandante delle Guardie rivoluzionarie (Pasdaran), Hossein Hamedani. Secondo Hamedani l’anniversario della rivoluzione «appartiene a tutti i settanta milioni di iraniani e non permetteremo ad alcuno di appropriarsene per gli interessi di un gruppo particolare».
I dirigenti dell’Onda verde non si lasciano intimidire. Sui siti vicini alle organizzazioni progressiste, i massimi dirigenti del movimento democratico continuano a invitare i seguaci a mobilitarsi per il trentunesimo anniversario della nascita della Repubblica islamica. Sia Mirhossein Mousavi sia Mehdi Karroubi chiedono ai concittadini di esprimere pacificamente la loro protesta nei confronti del regime, degli arresti arbitrari, delle torture.
E mentre il presidente Mahmoud Ahmadinejad sfida il mondo ribadendo l’intenzione di andare avanti con l’arricchimento dell’uranio nei siti atomici nazionali, la Guida suprema Ali Khamenei annuncia l’«imminente» distruzione di Israele. L’ayatollah si dice «molto ottimista sul futuro della Palestina» e ritiene «che l’entità sionista sia sulla strada del tramonto a e del deterioramento. A dio piacendo, la sua distruzione è imminente». ❖

l’Unità 8.2.10
Stato vegetativo: quegli «incoscienti» che comunicano
di Pietro Greco

Studi recenti pubblicati dal “New England Journal of Medicine” sembrano dimostrare la possibilità di comunicare con chi è in stato vegetativo. Non solo questione di diagnosi: in ballo c’è la bioetica.
La ricerca In alcuni casi i pazienti reagivano correttamente alle informazioni
Risvolti etici Potranno decidere se essere sottoposti a terapie invasive?

Alcuni pazienti con una diagnosi di stato vegetativo potrebbero essere incapaci di comunicare, ma ancora parzialmente coscienti. È quanto sembra indicare la ricerca condotta da un’ equipe di medici inglesi e belgi ,i cui risultati sono stati pubblicati sull’ultimo numero del New England Journal of Medicine. La ricerca ha riguardato 54 pazienti che a una diagnosi effettuata con metodi classici sono risultati: 23 in uno stato vegetativo (alcuni dei quali permanente) e 31 in uno stato di coscienza minimo. Tutti sono stati sottoposti a una nuova indagine mediante risonanza magnetica funzionale per immagini (Fmri) . Cinque di loro hanno mostrato una certa consapevolezza e anche la capacità di elaborare le informazioni. Quattro su 5 avevano una diagnosi di stato vegetativo. Sottoposti a nuova diagnosi con metodi classici, 3 su 5 hanno mostrato una capacità reattiva: segno che o in precedenza la diagnosi era errata o che le loro condizioni si sono modificate nel tempo. Il test cui sono stati sottoposti i pazienti è abbastanza sofisticato. Il loro cervello veniva osservato, con la risonanza magnetica funzionale per immagini, mentre erano stimolati a figurarsi in due diverse situazioni: giocare a tennis o aggirarsi un luoghi conosciuti. Con le loro reazioni cerebrali i cinque hanno mostrato di poter recepire ed elaborare le informazioni fornite. Un paziente in particolare ha mostrato anche di poter comunicare, rispondendo correttamente con un sì o con un no a cinque domande su sei: alla domanda se il padre si chiamasse Thomas il paziente, attivando certe aree cerebrali, ha risposto correttamente no. Alla domanda se il padre si chiamasse Alexander, ha risposto correttamente sì.
ERRORI POSSIBILI
Questa ricerca conferma che le diagnosi sui danni al cervello effettuate normalmente negli ospedali possono essere sbagliate. Nell’articolo nato da questa ricerca si sostiene che gli errori riguardano addirittura il 40% delle diagnosi. Nel campione sottoposto a indagine dall’equipe l’errore ha riguardato 5 casi su 54: poco più del 9%. In 2 di questi casi la risonanza magnetica funzionale per immagini ha fornito informazioni non accessibili alle diagnosi classiche. Tutto questo sembra confermare che sappiamo ancora poco degli stati vegetativi e degli stati di coscienza minima. Che la tecnica della risonanza magnetica funzionale per immagini (Fmri) è molto potente e andrebbe utilizzata di routine. Questa tecnica potrebbe essere utile anche per stabilire dei canali di comunicazione con quei pazienti che, pur conservando un qualche grado di consapevolezza, non hanno alcun altro modo per esprimerla. Si potrebbero avere così informazioni utili per migliorare la qualità della loro vit, chiedendogli ad esempio se provano dolore. Bisognerebbe, infine, indagare la possibilità di far esprimere questi pazienti su questioni di grande rilevanza etica: per esempio, se vogliono continuare a essere sottoposti a terapia medica invasiva.❖

La Stampa 8.2.10
I super-doveri degli immigrati
La cittadinanza dell’Ue e quelle dei singoli Paesi membri seguono due logiche antitetiche. Il permesso di soggiorno a punti rischia di imitare quella sbagliata
di Giovanna Zincone
qui
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