domenica 21 febbraio 2010

Il Fatto 21.2.10
I Radicali minacciano il ritiro (anche della Bonino)
Il segretario Staderini: verso le regionali con gli spazi tv spartiti tra Pd, Pdl, Idv e Lega
di Giampiero Calapà

Radicali sull’orlo di una crisi di nervi, pronti a considerare anche la possibilità di un ritiro dalle elezioni regionali, “illegali perché gli italiani non sono messi in condizione di conoscere tutti i candidati”. Durante la campagna per le europee della scorsa primavera giravano con la stella gialla sul bavero per denunciare il loro “oscuramento” dal sistema mediatico, “in un contesto in cui solo il 3% degli italiani era informato, a un mese dal voto, rispetto ai partiti che partecipavano alle elezioni”. Oggi, denuncia Mario Staderini, segretario di Radicali italiani, “la situazione di illegalità è peggiore, quindi si impone una rif lessione”.
Alle europee, però, poi votò il 65% degli aventi diritto, contro la media europea del 43. Rivendichiamo quel risultato che fu in gran parte merito nostro. Le cose cambiarono dopo la nostra denuncia al presidente Giorgio Napolitano, che si ritrovò tra le mani un sondaggio da noi commissionato: dimostrava che solo il 3% degli elettori erano informati su quali fossero le forze politiche in corsa. Quindi Napolitano intervenne con una “moral suasion” importante nel correggere in positivo la situazione. Mentre Marco Pannella era in sciopero della fame. E finalmente furono aperte le porte di alcuni programmi tv anche ai Radicali. Vi rivolgete, con un nuovo appello, al presidente della Repubblica? Non solo, anche ai media e all’opinione pubblica. Perché siamo in una situazione tecnica di illegalità, dove ad esempio in Rai mancano le tribune politiche da ventidue mesi. Elemento che fa gioco alle due gambe del sistema Raiset.
Cioé?
La gamba sinistra è rappresentata dall’asse Santoro-Floris e quella destra da quasi tutti i tg: loro assicurano la massima spartizione possibile del mercato televisivo alle presenze di 3, al massimo 4, partiti.
Le liste devono essere presentate entro il 27 febbraio, se le cose non cambiano potreste davvero ritirarvi? Emma Bonino potrebbe abbandonare la corsa nel Lazio?
Non sappiamo come andranno le cose, ci auguriamo che tutto sia risolto e fino ad allora andremo avanti ma non saremo complici di una situazione d’illegalità, questo sia chiaro a tutti. Bisogna riportare nella legalità questa campagna elettorale da subito. Un altro problema è quello della raccolta e autenticazione delle firme per le candidature.
Il Pd vi sta aiutando?
Ci sono situazioni, come nel Lazio, dove è più facile: in molti casi il servizio di autenticazione lo paghiamo rivolgendosi a cancellieri che sono a disposizione. Nel resto dell’Italia è molto diverso, noi non abbiamo consiglieri comunali e a parte in qualche caso neppure quelli del Pd si rendono disponibili. Non hanno aiutato neppure i continui cambiamenti apportati alle leggi elettorali regionali, perché ormai in Italia c’è quest’usanza di cambiare le regole a un minuto dall’inizio dei giochi. È una situazione a macchia di leopardo, ma anche su questo tema bisogna ragionare in ottica nazionale. Se non riusciremo a presentare le liste in alcune regioni, diventerà necessario pensare ad un ritiro in quelle dove ci siamo riusciti.
Scusi se insisto, ma davvero c’è la possibilità che Emma Bonino si ritiri nel Lazio?
Se le cose non cambieranno rifletteremo anche su questo. Non posso escluderlo.

l’Unità 21.2.10
A un anno dalle dimissioni l’ex segretario a un’iniziativa di Area Democratica per Emma Bonino
La candidata presidente del Lazio: «Non minaccio di ritirarmi, chiedo il rispetto delle regole»
Il ritorno di Veltroni: il Pd sia pìù leggero, troppa tattica
«Non è possibile che le primarie siano diventate il modo per sbrogliare i problemi», dice Veltroni. Che ricorda i suoi successi alle comunali, e poi: «Alle politiche del 2008 il Pd a Roma ha preso il 41%».
di Simone Collini

Legge elettorale
«No alle preferenze, sono d’accordo con Fini si torni all’uninominale»

Il Pd parla «soprattutto di tattica» mentre «bisogna parlare il linguaggio della vita reale delle persone», i partiti devono essere «leggeri» perché «quelli pesanti diventano il dominio di appartati sempre più sganciati dalla realtà», e poi «non è possibile che le primarie siano diventate il modo per sbrogliare i problemi». Esattamente un anno fa (era il 17 febbraio) aveva lasciato l’incarico di segretario del Pd con queste parole: «Basta farsi del male, mi dimetto per salvare il progetto al quale ho sempre creduto». Ora Walter Veltroni, dopo dodici mesi passati tra sporadiche interviste politiche e iniziative per promuovere il suo ultimo romanzo, torna a parlare del «progetto», di com’è, di come dovrebbe essere.
Lo fa partecipando a un appuntamento promosso da Area democratica Lazio a sostegno di Emma Bonino, che il giorno dopo la ventilata ipotesi dei Radicali di ritirare le loro candidature continua a denunciare le «illegalità in corso nell’esercizio elettorale» (sull’informazione Rai e l’autentica delle firme per le liste) ma è tutt’altro che disposta ad «alzare bandiera bianca».
«Se questa fosse stata una riunione di corrente io non avrei partecipato perché le logiche del correntismo finiscono per avere aspetti grotteschi», sottolinea Veltroni, che definisce «quanto di peggio possa esistere» il combinarsi di «partiti caotici e centralismo democratico nelle correnti». Un concetto su cui insiste molto l’ex segretario, e pazienza se nel partito qualcuno storce la bocca venendo a sapere che la componente che al congresso ha sostenuto Franceschini si è dotata anche di un simbolo, togliendo la «P» di partito e lasciando la «D» di democratico, col rametto d’ulivo tra le parole «area» e «democratica».
Veltroni fa un intervento in cui ricorda che dopo la sconfitta alle regionali del 2000 con Storace e alle politiche del 2001 con Berlusconi, a Roma, in Provincia e in Regione ci sono state solo vittorie, inclusi i suoi due successi alle comunali (ringrazia a distanza anche Marrazzo, perché vista la «situazione disastrosa» trovata nel 2005 «ha evitato il tracollo»), e che alle stesse politiche del 2008 il Pd nella capitale ha incassato il 41%. Messaggi inviati al sindaco Alemanno e al Pdl, ma non solo.
NO AI PARTITI PESANTI
È anche al e del suo partito che Veltroni parla, quando criticando il sistema delle preferenze e i manifesti fatti affiggere da aspiranti candidati ancora prima che siano state definite le liste per le regionali («vogliono imporre la loro candidatura») dice che «il sistema bipolare deve essere rafforzato» e che dunque serve una
riforma della legge elettorale che porti ai «collegi uninominali con primarie obbligatorie per legge». E se nel Pd teme ci siano tentazioni di proporzionale secondo il modello tedesco, Veltroni pensa che una sponda nel centrodestra per il ritorno al maggioritario possa essere trovata in Fini. Col quale l’ex segretario si trova d’accordo anche su un’altra questione: la necessità di dar vita a «partiti più leggeri», perché quelli «pesanti» sono dominati da apparati politici («in zone del Mezzogiorno il segretario regionale è il padrone del partito») sganciati dalla vita dei cittadini.
Così come slegato dalla realtà rischia di essere il Pd: «Berlusconi parla solo di giustizia, noi soprattutto di tattica. Bisogna parlare il linguaggio della vita delle persone, mettere dentro di noi il dolore della gente perchè è questo che fa un buon politico, dobbiamo ritrovare la capacità di essere percepiti come parte della loro vita reale».
BERSANI INCREDULO
Parole che quando vengono riportate a Bersani, in trasferta a Sanremo, suonano tutt’altro che piacevoli. Il segretario del Pd quasi non crede a chi gli domanda un commento sulle frasi del suo predecessore. «Non ci credo che Veltroni lo abbia detto. Ma se lo ha detto gli rispondo che non è vero che il Pd pensa solo alle tattiche. Il Pd non è affatto lontano dai problemi del paese. E comunque non credo che questo lo pensi nemmeno Veltroni».❖

Repubblica 21.2.10
Bonino in corsa: non alzo bandiera bianca
Veltroni critica il Pd: "È lontano dal Paese". Replica di Bersani
di Giovanna Casadio

ROMA - Non è vero che si ritira, non è vero che alza bandiera bianca e rinuncia a correre per la presidenza della Regione Lazio.

Emma Bonino è più che mai in ballo, nonostante «la mancanza di legalità e democrazia» nella raccolta delle firme per le regionali abbiano portato i Radicali a un passo dal ritiro di tutte le candidature, Bonino inclusa. «A qualcuno piacerebbe... ma io lotto per cambiare le cose, poi si vedrà. Mi hanno attribuito le parole "minaccia, ricatto": sono vocaboli che non mi appartengono».

Mette subito il dito nella piaga, Bonino. E ha accanto Walter Veltroni che la sostiene a spada tratta: «Le preoccupazioni di Emma sulla presentazione delle liste e gli spazi tv sono fondate, lei è la migliore candidata possibile». Veltroni ha scelto proprio la kermesse Pd pro-Bonino (organizzata dalla minoranza interna, "Area democratica Lazio" con tanto di logo ad hoc) per tornare a parlare di politica. È l'occasione per togliersi un paio di sassolini dalla scarpa. Il primo segretario dei Democratici si dimise bruscamente un anno fa: era il 17 febbraio del 2009 e, l'anno prima, il 13 febbraio del 2008 aveva lasciato l'incarico di sindaco di Roma per guidare il neonato Pd. Parla ora di entrambe le questioni: il partito e Roma.

Il partito modello-Bersani e le alleanze con il bilancino che hanno tenuto banco nelle regionali non vanno bene, dice: «Dobbiamo spingerci a parlare del linguaggio della vita delle persone perché la politica lo ha smarrito: Berlusconi parla sempre di giustizia, noi soprattutto di tattica. Questo paese sta male come neppure negli Anni di piombo...». Una frecciata a Bersani. Come quell'altra: «I partiti pesanti diventano partiti dominati dagli apparati e sempre più sganciati dal rapporto con la realtà e si hanno casi di consiglieri regionali che diventano padroni dei partiti». Bersani, a Sanremo, sollecitato dai cronisti, replica: «Non è vero che il Pd è lontano dal paese, non credo che lo pensi nemmeno Veltroni».

L'ex segretario è d'accordo con Gianfranco Fini sia sull'importanza di «partiti leggeri» sia sulla riforma elettorale «maggioritaria che favorisca il bipolarismo». Altro che nostalgia delle preferenze: «Io non ne ho, le considero uno strumento fondamentale attraverso il quale le mafie controllano la vita pubblica. Certo oggi il sistema è ancora peggiore perché decidono le segreterie». Il rischio, se non si favorisce il bipolarismo, è di tornare alla Prima Repubblica «anzi peggio, senza la forza dei partiti di allora che avevano radici profondee identità». Alt insomma a qualsiasi ipotesi di accordo con l'Udc di Pier Ferdinando Casini per una riforma elettorale proporzionale. La strada è collegi uninominali e primarie obbligatorie per legge, poiché sono «un modo per selezionare la classe dirigente, non devono essere considerate un modo per sbrogliare i problemi». Quindi, Roma. Botta e risposta a distanza con l'attuale sindaco della destra, Gianni Alemanno.

«Quando la città era amministrata da noi abbiamo usato lo slogan "Orgogliosi di essere romani", ora non so se si potrebbe farlo». Contrattacca Alemanno: «Veltroni si vergogni, insulta Roma e i romani che hanno scelto chi li amministra». Ma l'ex sindaco insiste: «La città si sta arroccando e chiudendo». Né ci sta a passare per colui che gli elettori hanno voluto punire consegnando la Capitale alla destra (e bocciando Rutelli): «Ero candidato premier e a Roma alle politiche il Pd ebbe il 40%...». Veltroni ringrazia anche Piero Marrazzo, il governatore travolto dallo scandalo-transessuali: «Tutto ciò ci ha dato un profondo dispiacere umano ma Marrazzo aveva evitato il tracollo regionale quando fu eletto». A proposito di illegalità, denuncia le affissioni degli aspiranti consiglieri: «Violazione di ogni regola perché le liste non ci sono ancora». Roberto Morassut rimarca: «Si è mossa la minoranza pd per appoggiare Bonino».

Repubblica Roma 21.2.10
In 1.500 con la Bonino alla cena low cost
di Chiara Righetti

EMMA Bonino, per la sua prima cena elettorale, ha scelto la stessa location dell'avversaria: il Salone delle Fontane all'Eur. Ma le analogie sembrano finite qui. A partire dal costo: per la Polverini era di 500 euro, per la Bonino trenta.

E tra le azioni dei primi cento giorni di governo annuncia il raddoppio della ferrovia Roma-Viterbo
Appello della Bonino: "Più legalità e trasparenza Vorrei con me anche i delusi del centrodestra"

L'AVEVA detto in mattinata ai fedelissimi di Area democratica, l'ha ripetuto poche ore dopo a Viterbo: «Sono tanti i cittadini delusi da scelte recenti che noi possiamo rianimare. Persone che magari hanno votato dall'altra parte, ma sono disposte a ripensarci. Ci dobbiamo rivolgere anche a loro». Giornate in corsa per Emma Bonino, che comincia a delineare il programma. E ieri, nella Tuscia viterbese, ha annunciato che tra le azioni dei suoi primi cento giorni di governo «ci sarà la delibera per il raddoppio della ferrovia Roma-Viterbo». Un progetto, spiega, «già pronto, da realizzare in project financing: è più che possibile aprire subito i bandi per potenziare la linea che permetterebbe di arrivare a Roma in 70 minuti».

Inaugurando la campagna elettorale Idv, Antonio Di Pietro ha parlato di lei come «una di quelle candidature che indicano una strada da percorrere nel segno della trasparenza»; e ha aggiunto: «Vogliamo aiutarla non solo a vincere, ma a convincere e ben governare». Mentre il segretario regionale Stefano Pedica ha voluto darle «un consiglio col cuore: basta abbracci con la Polverini. Tu devi sbugiardarla». Ma lei ha preferito smorzare i toni: «Non amo dileggiare gli avversari. Noi abbiamo contenuti da contrapporre». Nelle liste dell'Idv, oltre agli assessori uscenti Giulia Rodano e Vincenzo Maruccio, ci saranno anche Giulio Aloisi, a nome dei noleggiatori Ncc, la "grilliana" Serenetta Monti e Romolo Rea, presidente Ater della provincia di Roma, oltre a ex lavoratori di Eutelia e dell'Alitalia.

E oggi alle 10 l'ex dc Publio Fiori, segretario di Rinascita popolare - Rifondazione Dc, ha invitato i candidati presidenti Bonino, Polverini e Michele Baldi a un incontro pubblico all'hotel Summit per parlare di governo della Regione e consegnare un elenco di proposte.

Repubblica 21.2.10
La polemica Attacco di monsignor Sgreccia. Imminente la distribuzione della pillola agli ospedali, ma solo sei Regioni hanno stabilito le regole
"Troppe morti, bloccare la Ru486" la nuova condanna del Vaticano
di Caterina Pasolini

ROMA - Sta per arrivare la RU486 in corsia e si riaccende la polemica politica, col Vaticano che accusa: «Provoca troppe morti, perchéè stata permessa?».

Un paio di settimane al massimo e la pillola che consente l'aborto farmacologico, in alternativa a quello chirurgico, verrà infatti consegnata negli ospedali italiani dopo che è già in uso da anni in tutto il mondo. Ma sull'argomento nel nostro paese regna ancora il caos: non si sa come e quando verrà usata, visto che le Regioni sono in ritardo. Solo sei hanno infatti deciso come somministrarla: Lombardia, Toscana e Veneto in ricovero ordinario, prevedendo per le donne tre giorni in ospedale, mentre hanno optato per il day hospital con controlli Emilia, Piemonte e Provincia autonoma di Trento.

E sull'onda della decisione delle Regioni, si muovono le contestazioni. Monsignor Elio Sgreccia, ex presidente del Comitato di Bioetica dell'università cattolica, presidente emerito della Pontificia Accademia e storico collaboratore di Wojtyla, accusa: «La Ru486 ha già provocato 29 morti. Come mai questo farmaco non è stato bloccato?». Il presule si domanda poi «con quale fondamento giuridico le regioni si siano mosse», e soprattutto chiede: «Cosa intende fare il governo di fronte a questa situazione?». Una risposta indiretta sulle posizioni del governo viene dal senatore Maurizio Gasparri che ha annunciato denunce penali parlando in Emilia Romagna, regione in cui si è scelto il regime di day hospital. «Non consentiremo l'aborto a domicilio, per cose di questo tipo c'è la galera» ha scandito, mentre Vincenzo Donvito, presidente Aduc, gli ha ribattuto che «salvo il ricovero coatto, non c'è nessuna legge che possa imporre ad un paziente di stare in ospedale senza la propria volontà». La polemica in vista della somministrazione della Ru486 dunque si riaccende, anche se ai dubbi del monsignore aveva già risposto ad ottobre in commissione sanità del Senato Guido Rasi, direttore dell'Agenzia del farmaco. Sottolineando che dall'88 le morti nel mondo collegate alla Ru486 come farmaco abortivo sono 17 su 29 e che con una corretta applicazione del farmaco «l'indice di mortalità è identico all'aborto chirurgico».

E se sei regioni hanno deciso come usare la pillola abortiva, le altre aspettano prima di pronunciarsi: chi attende le linee guida del governo, chi invece le elezioni di marzo. Perché, come dicono in molti nelle corsie degli ospedali, questa sembra sempre di più una decisione politica piuttosto che sanitaria.

Si aspettano indicazioni che potrebbero prendere la forma di linee guida nazionali, come auspicato dal ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Maurizio Sacconi. O invece, come preferito dalle Regioni, di un'intesa in Conferenza Stato-Regioni. Su tutto comunque peserà il parere del Consiglio superiore della sanità, annunciato dal ministro Ferruccio Fazio, che tornerà a pronunciarsi sulla RU 486 dopo averlo già fatto in occasione della sperimentazione all'ospedale S. Anna di Torino nel 2004-2005 dando parere favorevole.

Repubblica 21.2.10
L'intervista. L'autore di "Vincere" aveva firmato l'appello per la scarcerazione
Bellocchio: "No al risarcimento ma neanche alla vendetta"
di Roberto Rombi

ROMA Marco Bellocchio è uno dei registi che insieme a altri - tra cui Ettore Scola, Giuseppe Tornatore, Michele Placido - aveva firmato un appello, dopo l'arresto di Polanski in Svizzera, per chiedere la sua liberazione.

Cosa ne pensa della vittoria di Polanski a Berlino?
«Non ho visto The ghost writer e quindi non sono in grado di dare un giudizio. Se il film ha delle qualità, tutto bene. Ma se la giuria l'avesse premiato per una sorta di risarcimento, sarebbe una cosa sbagliata. Sarebbe come se la casta dei cineasti si autodifendesse, avrebbe un brutto sapore mafioso. Ci sono già troppe caste, tra le altre quella dei politici, che da sempre si proteggono».

C'è stata una campagna contro Polanski che poteva pregiudicare una sua vittoria a Berlino.
«Il suo è stato un crimine gravissimo, questo è fuori discussione. Ma è un uomo di quasi ottant'anni e credo che abbia pagato abbastanza. La mia firma aveva il senso di sottolineare la sproporzione dell'arresto rispetto a un uomo che aveva ammesso la propria colpa. Questa giustizia che scatta dopo quarant'anni sembra una vendettae io sono contro la vendetta, non credo a questo tipo di giustizia».

Una vendetta?
«Sì, si è manifestato come un accanimento feroce che aveva in sé qualcosa di violento. Come la legge del taglione. Bisogna ricordare ma nello stesso tempo non accanirsi».

Il cinema ha spesso sfruttato il tema della vendetta, non è vero?
«C'è una tradizione fortissima del motivo della vendetta e una folla di personaggi che impersonano il vendicatore. Nei film, soprattutto nel genere western, chi ha commesso un reato viene perseguitato per tutta la vita e finalmente quando è vecchio qualcuno gli spara. Parliamo però di cinema americano».

Infatti è una mentalità tipicamente americana.
«Negli Stati Uniti c'è quello spaventoso rituale della pena di morte. Con il condannato che viene eliminato sulla sedia elettrica mentre tutti i parenti della vittima assistono come se consumassero la loro vendetta».

l’Unità 21.2.10
Dio è morto
Quanto vale un campo Rom?
di Andrea Satta

Nel frattempo, sgomberato il Casilino 900. Ci sono passato davanti ieri sera col mio amico Lorenzo. Pioveva, era buio, non c’era più nessuno. Ci sono ripassato stamani, sempre con Lorenzo. Piove ed è deserto. Meglio, peggio, boh. Si fa campagna elettorale spostando i rom? Si vendono bene i bagni chimici attrezzandoci i campi rom? Nelle aree soggette a vincoli archeologici e ambientali è più semplice edificare palazzine al posto del campo rom? Sotto le elezioni si sgombra un campo rom? Sarà un problema veder crescere, al suo lercio, posto un centro commerciale? Non sarà pur sempre un bel bonificare? Che ne sarà di questo appetitosissimo fazzoletto di rifiuti residuali all’angolo tra la Casilina e la Togliatti? «Lì dentro bruciavano i copertoni, si ubriacavano, parlavano forte, avevano i denti d’oro e non la pensavano neanche tutti allo stesso modo». Urlano i megafoni tra le nuvole di Roma, un coro greco nella città imperiale.
Ma sussurro a Lorenzo... i bambini che seguivano lezioni nelle scuole dove sono? I progetti di relazione con la nostra società, avviati da anni nel quartiere, che fine fanno?
Lorenzo Romito degli Stalker, i camminatori, i giovani architetti che hanno seguito la vicenda rom per anni e realizzato “la casa di tutti” la “Savorengo”, bruciata da sconosciuti, dice che li hanno portati a a Salone, a Candoni, al Camping river, sulla Tiberina a 20 km, molto lontani dal centro e da qualunque relazione preesistente. Fare le cose facili è più facile che fare quelle difficili e conviene di più fare una cosa facile e che riesce, in campagna elettorale, che una difficile che fallisce. Infatti, ecco lo sgombero del Casilino 900. Dice Lorenzo che si potevano costruire case con materiali nuovi e riciclati, con la manodopera degli stessi rom, che si stava avviando da tempo un percorso in questo senso, ma mai si è stati sostenuti, né dalla vecchia, né dalla nuova giunta comunale.
Chiedete ad un politico quanti voti guadagna se chiude un campo rom. I rom bisognerebbe inventarli, sono un assegno circolare di consensi. Bisognerebbe inventarli per cacciarli via e goderne i vantaggi. Razzismo? Se ne può parlare.
Tutti hanno diritto ad una casa. Gli italiani e i rom. Tutti i bambini hanno diritto all’acqua pulita e a un letto caldo. Tutti hanno diritto alla scuola e alla libertà. Ma i rom, nei nuovi campi, si muovono tra telecamere e controlli, sotto tutela.
Una domenica facemmo un Piccolo Evento. Portammo il quartiere là dentro, gli artisti a suonare con gli zingari del campo e i bambini di Centocelle a mangiare le torte preparate dalle donne dalle gonne a fiori, nelle baracche. Faceva freddo e c’era il sole. Era inverno come ora, per un giorno sorrisero tutti, anche Geo si divertì molto.❖

l’Unità 21.2.10
Anche il Pd «sciopera» con gli stranieri d’Italia
I Democratici aderiscono all’appello del comitato organizzatore. Previste manifestazioni in tutta Italia Livia Turco: «Ne condividiamo gli obiettivi»
di D. M.

Ci sarà anche il Partito democratico al primo maggio degli immigrati. Mescolato al giallo scelto dagli organizzatori del «primo marzo ventiquattr’ore senza di noi». Un appuntamento partito dal basso, poco prima di Natale. Con un tam tam che ha attraversato città per città, regione per regione, l’Italia delle ronde e di Rosarno. E che in pochi mesi è diventato un evento a cui il paese civile e solidale non può mancare.
Giorno degli immigrati, ma non solo. Alla giornata del «ventiquattr’ore senza di noi» hanno aderito in tanti, sindacati, associazioni, piccoli gruppi organizzati, organizzazioni studentesche. Un popolo che come quello del «no B-Day» si è autoconvocato, con un lavoro capillare fatto nella rete le email, il gruppo facebook, il sito e soprattutto sul territorio, con decine di comitati nati spontaneamente in tutta Italia.
Una mobilitazione senza precedenti. A cui il Pd promette da qui al primo marzo di dare sostegno, chiamando iscritti ed elettori a partecipare. «Dall'incontro con il comitato organizzatore», spiega Livia Turco, presidente del Forum Immigrazione Pd, «è emersa una condivisione degli obiettivi e, soprattutto, la volontà di promuovere una partecipazione dal basso e dai territori, coinvolgendo direttamente gli immigrati per promuovere una nuova cultura della convivenza e dell'integrazione».
Tutti in piazza, quindi. Mescolati al «popolo giallo». Perché la piazza sarà il luogo deputato a dare visibilità al popolo che c’è ma non ha diritti. Saranno tante le iniziative, differenti da luogo a luogo, con cui celebrare la giornata. Decine di manifestazioni in tutta Italia da Milano a Siracusa organizzate insieme da italiani e stranieri.
L’idea è arrivata dalla Francia e la data prescelta anche è la stessa. Una giornata in cui gli immigrati incrocino le braccia per far sentire la loro presenza. Uno sciopero per dire all’intero paese che senza di loro è solo un paese che deve fare a meno di badanti e di manovali, di operai nei cantieri edili, di pizzaioli e di baristi. E non solo, ovviamente.
Una scommessa del tutto inedita, non solo in Italia. E l’idea non a caso è venuta a quattro donne, Stefania, Daimarely, Nelly e Cristina. E ormai cammina sulle gambe di migliaia di persone. Un popolo giallo che promette di crescere ancora. Ci sono ancora nove giorni per mobilitare, mobilitarsi, far passare il tam tam.
Tutte le informazioni sullo svolgimento della giornata sono all'indirizzo www.primomarzo2010.it.❖

Il Fatto 21.2.10
Sabbie fatali Ad Agadez, in Niger, tra i clandestini che tentano la traversata del deserto per arrivare in Europa
di Lorenzo Di Pietro

Giovanissimi, vengono dall’Africa Occidentale. Nel traffico coinvolti guerriglieri, militari e amministratori

Gli accordi Libia-Italia per frenare il flusso migratorio hanno reso più rischioso e caro il viaggio

Agadez.Amadou ha 21 anni e la mano destra tumefatta, gonfia come un melone. Una grave infezione contratta nel corso dell'interminabile viaggio, 1.500 chilometri di deserto, aggrappato al cassone di un camion. Lo compie chi, come Amadou, giunge qui da Bamakò, in Mali, o dagli altri Paesi dell'Africa occidentale. Siamo nella città di Agadez, in Niger, alle porte del Sahara. Il centro abitato è oggi una tappa imprescindibile per quanti, da questa parte di Africa, viaggia in direzione della Libia, puntando all'Italia. Amadou è partito da solo, lasciandosi alle spalle il suo villaggio rurale, ma anche, com'egli stesso dice: “La mia famiglia e la ragazza che voglio sposare. È stata lei a convincermi a partire, mi ripeteva che per mettere su una famiglia occorrono soldi, e dove viviamo non c'è lavoro. In Europa, invece, si guadagna bene”. .In Italia ha un cugino ad attenderlo, uno di quelli che hanno tentato il salto e ce l'hanno fatta.
Inizia spesso così il viaggio dei migranti, con una telefonata dall'Italia di un amico, un parente o un conoscente che è riuscito nell'impresa e che fornisce contatti, e soldi, per affrontarla. È l'unico modo per molti per raggiungere l'Europa, perché il viaggio è complesso e costoso, un vero investimento per chi non ha niente, o per chi sente il peso della responsabiltà di una o più famiglie da sostenere. In Africa, dove lo stato sociale è una chimera, il senso di solidarietà è forte, e spesso ci si fa carico degli orfani del proprio ramo di parentela. Provengono da molti Paesi dell'Africa occidentale, dal Cameroun e dalla regione a sud della Nigeria. Raggiungono il Niger quasi sempre a bordo di camion, attraversando diversi stati, per un viaggio massacrante che conta moltissime tappe e, spesso, può durare alcune settimane o addirittura mesi. Una volta in Niger i flussi convergono verso Agadez passando per Niamey, capitale del Niger, o Zinder, proseguendo da queste città a bordo di pullman o, più frequentemente secondo le capacità economiche -, ancora su vecchissimi camion. Ad “accoglierli”, all'ingresso di Agadez, alcuni chilometri prima della città, un posto di blocco militare. Lì tutti coloro che, in base alla provenienza, o per mancanza di un documento di riconoscimento vengono identificati come exodants (emigranti), sono costretti a scendere e, per essere rilasciati, viene loro richiesto il pagamento di 1.000 Cfa (circa 1,5 euro). A chi non ha soldi viene intimato di fare una colletta tra gli amici. Mentre si consuma questa scena, ai camion viene detto di andar via, lasciando i migranti soli con i militari. Chi non riesce in nessun modo a pagare, viene trattenuto e malvessato fino a sera, per poi essere lasciato andare via, a piedi, di notte. Per tutti gli altri scatta un'efficiente organizzazione, dai militari vengono cioè consegnati ai cockseur, i veri gestori di questo traffico. I cockseur riscuotono dai migranti una somma “all-inclusive”, che comprende il trasferimento in città sui pickup, la sistemazione nelle case dove resteranno durante tutta la permanenza in città, l'organizzazione del viaggio e il biglietto per la tratta successiva verso l'oasi di Djanet (Algeria) o a quella di Dirkou (verso la Libia). Sarà il cockseur a occuparsi di trovare gli autisti e pagare loro una somma prestabilita, di cui il 66% finisce alle alle guardie di confine. Diverso è il destino riservato alle ragazze. Dopo la messa al bando, negli anni ‘90 da parte del Sultano di Agadez, del prolifico mercato della prostituzione, le giovani vengono oggi immesse nel mercato clandestino.
A spiegarlo è E.G., un occidentale ben inserito nel tessuto cittadino: “Dal posto di blocco, le ragazze vengono consegnate ai cockseur, ai quali non pagano alcun biglietto. Al contrario, spiega sono i cockseur a pagare il rilascio delle ragazze dalle mani dei militari, per condurle in case dove, oltre ad alloggiare, dovranno prostituirsi”. È così che le ragazze riscattano la somma pagata per la loro liberazione, oltre a pagare vitto, alloggio e il biglietto per proseguire. Tutto avviene per telefono: i militari avvisano i cockseur dell'arrivo delle ragazze e questi informano i clienti, abituali, poiché il giro è chiuso, sottolineando l’eventuale presenza di minorenni. Nella città un tempo straordinaria che Bertolucci scelse per girare “Il tè nel deserto”, oggi con un'economia in ginocchio anche per l'isolamento provocato dalla guerriglia, si percepisce la vita intorno al fenomeno migratorio. Nei mercati, dove i migranti sono sempre in cerca di lavoretti per pagarsi il viaggio, essendo spesso stati derubati, e non di rado dai militari.Alla gare routieredove si trovano gli uffici delle partenze dei pullman per Djanet e Dirkou, una catena di montaggio umana produce le taniche che i migranti utilizzeranno per la loro preziosa scorta d'acqua. Vecchie taniche di benzina, che una catena di uomini e donne sciaqua con acqua di pozzo, avvolge in più strati di carta -per creare l'isolamento termico-, serra in un sacco di juta e, infine con un manico colorato. Ospiti della stazione anche alcuni bambini abbandonati. Giungono qui per studiare alla scuola coranica, ma finiscono spesso per mendicare e drogarsi aspirando le esalazioni della colla, che lenisce il loro stato di abbandono.
A beneficiare dei migranti sono anche i proprietari degli appartamenti dove questi vengono alloggiati, in attesa di proseguire il viaggio. Siamo entrati in una di queste case, dove vivono una settantina di clandestini. Un desolato cortile ospita dei rifiuti, una parabola e alcuni pentoloni, dove ogni comunità cucina ciò che riesce a trovare. In un capanno alloggia la comunità della Repubblica di Guinea. Più avanti l'ingresso di una vecchia casa colonica francese. Fuori alcuni ragazzi ci guardano stupiti, di sguardi curiosi e diffidenti, ma soprattutto vacui, svuotati di ogni identità. L'interno della casa è tetro, maleodorante, buio. Vivono radunati in piccole stanze senza luce, dormono su tappeti, agli angoli delle pareti è raccolto quel poco che portano con se, zaini, taniche d'acqua. Le scarpe restano fuori. Quando c'è da mangiare, riso o mais, lo si cucina nell'unica pentola, perché ciascuna comunità condivide tutto, ma tra comunità diverse i rapporti sono quasi nulli. Si mangia tutti assieme nella stessa ciotola, con le mani. È difficile instaurare un dialogo, nessuno di essi vuol essere il primo. Quando però apriamo un sacco di medicinali la diffidenza evapora, ed escono fuori tutti dalle proprie stanze, chiamano gli amici, si mettono in fila. Alcuni richiamano l'attenzione: “Malaria, malaria”. Problemi respiratori, forti dolori al bacino e alla spina dorsale, risultato dell'insopportabile viaggio sui cassoni dei camion. E c'è anche chi “mon frère, les yeux de mon ami”, richiama l'attenzione sul proprio amico malato. Veniamo condotti in una stanza più buia. Si chiama Ibrahim, è steso per terra da due giorni, non riesce ad aprire gli occhi per la quantità di terra e sabbia ricevuta durante il viaggio, su un camion, come gli altri. Proviene dalla Sierra Leone, ha lasciato il suo paese due mesi fa ed è giunto ad Agadez solo da due giorni. Datogli il collirio e una pomata, riusciamo a sapere cosa sogna: fare il bracciante in Italia. Preferiamo non dirgli cos'è accaduto a Rosarno.
Le storie, quelle di chi fugge e quelle dei rimpatriati, sono drammatiche, e si ripetono quasi a disegnare il profilo del migrante-tipo. Ci sono emarginati, che a stento accettano di parlare della propria vita. Qualcuno racconta di essere stato rifiutato dalla famiglia per i propri “problemi mentali”. Mali spesso facilmente trattabili, in Occidente.
Quando facciamo per andar via, incontriamo nel cortile un mendicante, è malridotto, chiede uno spicciolo per mangiare. Ha una grave infezione alla gamba e non è in se. Ci dicono che era stato sorpreso dai libici a passare il confine e catturato. Lo portarono nel carcere libico di Al-Gatrun, lì fu torturato, con bastonate sotto la pianta dei piedi fino a svenire. Impazzì e fu rispedito indietro.
Quasi tutti aspirano a raggiungere la costa, a nessuno importa dei respingimenti, dei libici, delle carceri, dicono che tanto nel loro paese sarebbero comunque morti, tanto vale tentare. Per alcuni è il secondo, terzo tentativo, dopo essere già stati rimandati indietro, a piedi, nel deserto: “Tenterò ancora è quel che dicono tutti prima o poi ci riuscirò, come altri prima di me”. ‘Italia, o morte’ parafrasando un motto che, in bocca alla retorica nostrana del Belpaese, a tanti fa gonfiare il petto.

Il Fatto 21.2.10
Il destino di un Touareg “Da guerrigliero a passeur”
Mine, guardie e prigioni: così si evitano le trappole del Sahara
di L.D.P.

I racconti delle torture nelle prigioni libiche da parte di chi è stato ricacciato Ma tutti dicono: ci riproveremo
Agadez. Ogni medaglia ha il suo rovescio e ogni storia, in questo angolo di deserto, ne nasconde un'altra. Storie di migranti, di trafficanti e di guerriglieri, si intrecciano e si confondono nella città di fango. Ad Agadez conosciamo Moussa, un touareg con passato da guerrigliero. A seguito del cessate-il-fuoco, del 18 agosto, tra i guerriglieri e il governo, con la mediazione della Libia, Moussa e gli altri 3000 uomini hanno fatto ritorno alle loro famiglie. Altri, non soddisfatti dell'accordo siglato, armi in mano hanno deciso invece di darsi al banditismo .Moussa ha fatto fruttare diversamente la sua esperienza, è diventato un passeur, ovvero colui che porta i migranti oltreconfine, e che, nella lunga catena, che di passeur in passeur porta i migranti fino al mare, tiene i contatti con il suo omologo anello precedente e con il successivo. Oggi buona parte del deserto tra Agadez e Arlit è disseminato di mine, messe dalla guerriglia, e gli unici a conoscerne l'esatta ubicazione, sono, ovviamente, i guerriglieri. Molte tragedie sono già accadute in passato, camion carichi di migranti saltati su una mina con tragiche conseguenze. Ma Moussa conosce i corridoi liberi dalle mine, che gli permettono di abbandonare la strada asfaltata evitando i controlli. Moussa è il terzo di tre fratelli, tutti guerriglieri convertiti al traffico di clandestini e al contrabbando di alcool, un mercato redditizio, poiché in Libia, dov'è severamente vietato, l'alcool al mercato nero viene venduto a più di 5 volte il suo valore.
Nel 2009 i due fratelli di Moussa sono stati uccisi dalle guardie di confine libiche. A lui invece, poche settimane fa, le guardie algerine hanno bruciato il pickup. Oggi Moussa è senza lavoro, con la sua famiglia, più quelle dei fratelli, da sfamare. Lo incontriamo nella sua casa, quattro mura di fango e un tetto di lamiera. La temperatura è insopportabile, e le mosche regnano in un ambiente nauseante. I ‘trafficanti’ sono spesso l'altra faccia della disperazione. Ci spiega che si occupa della tratta Agadez-Djanet, 80.000 Cfa (circa 120 euro) il prezzo di un biglietto per raggiungere il confine. Per arrivare a Dirkou ne bastano invece 35.000 (circa 50 euro), ma richiede un ulteriore tratta da 70.000 Cfa, un altro passeur e ulteriori giorni di viaggio. Il percorso di Moussa, invece, a fine giornata ti lascia in Algeria. Ma è un viaggio pericoloso, disseminato di mine e infestato dai banditi. Il passaggio della frontiera non avviene mai nello stesso punto, i migranti vengono portati ogni volta in un luogo di confine diverso, dove attende un passeur algerino che ha il compito di prendere in consegna i migranti e tradurli al confine libico. Il percorso ha un certo grado di complessità, perché richiede un doppio passaggio delle frontiere, con però il vantaggio che il versante ovest della frontiera libica è meno pattugliata. Una volta entrati in Libia il meccanismo cambia: un poliziotto corrotto, d'accordo con il passeur, prende in consegna i migranti, chiedendo loro di farsi inviare dai parenti una somma tra i 50.000 ai 100.000 Cfa (100-150 euro). Ricevuto il denaro li rilascerà nelle mani di un altro poliziotto, che farà altrettanto, in un passaggio di mani che si concluderà sulla costa.
Quando però si viene colti dalle guardie libiche a varcare la frontiera, iniziano i problemi. Condotti nel carcere di Al-Gatrun o Sabha, si rimane dentro per un tempo indefinito, 3, 6, 8 mesi. Nei racconti di chi ha fatto ritorno, sono luoghi infernali, sovraffollati all'inverosimile, senza contatti con l'esterno e senza alcuna regola, esposti al razzismo e alla violenza gratuita dei libici, che hanno per i neri africani una vera avversione. E poi i racconti delle torture: “I libici sono razzisti” è la frase più ricorrente, quando ad Agadez si parla con qualcuno che dalla Libia è riuscito a tornare .Gli accordi Italia-Libia, visti da qui: un vero dramma. Nel 2008 la Libia ospitava migliaia di lavoratori africani; di colpo dopo gli accordi con l’Italia sono stati prelevati dalle case e condotti al confine. Gente che non aveva nessuna intenzione di andare in Europa. Rimpatriati. Perché per i rimpatri il governo italiano paga bene, e vale la pena farne un po' di più.
Sei sono le principali organizzazioni di passeurs che operano a Dirkou. Partono con i camion alla volta di Madamà per recuperare i migranti, ma alcuni di essi, criminali senza scrupoli, attuano una tecnica crudele e spietata per arricchirsi: la sera fermano il camion e fanno scendere i passeggeri per la sosta. Poi in piena notte, salgono sul camion e vanno via. Così ai migranti non rimane che incamminarsi, seguendo le tracce del camion. Ma sono centinaia di chilometri. Pochi giorni più tardi, gli stessi autisti, torneranno a ritroso sulle loro tracce trovando una fila di cadaveri, che deruberanno di tutto. Anche così finisce la speranza, il viaggio, la vita, di chi vuole raccogliere arance italiane.

sabato 20 febbraio 2010

l’Unità 20.2.10
«Queste elezioni sono illegali» I Radicali mettono in forse la partecipazione alle regionali
Cappato verso il forfait in Lombardia. Bonino e Pannella vanno oltre: «La decisione se partecipare o no s’impone». Il nodo della raccolta delle firme. Esposto contro la Rai. Annunciata «richiesta di annullamento del voto».
di Simone Collini

«Se continua così, non ci sarà la mia candidatura in Lombardia». Marco Cappato fa parte della pattuglia di Radicali che alle regionali di fine marzo corre in solitaria. E se Emma Bonino, nel Lazio, può contare su una coalizione che va da Rifondazione all’Idv e non ha problemi a raccogliere le firme necessarie per candidarsi, per i suoi compagni di partito tira una brutta aria. Denuncia il segretario dell’Associazione Luca Coscioni, sceso in campo per sfidare Penati e Formigoni al Pirellone: «Ci viene impedito di presentare la lista Bonino-Pannella. Non è partita l’informazione istituzionale sul fatto che si possono raccogliere le firme per le liste. Agli autenticatori, 300 mila persone in tutta Italia, quasi 50 mila in Lombardia, non sono mai stati ufficialmente spiegati tempi e modi in cui svolgere la loro funzione. Solo i partiti che hanno consiglieri possono autenticare le liste. Agli altri è reso impossibile».
Ma il problema va oltre la Lombardia e i Radicali hanno depositato presso la Procura di Roma un esposto denuncia nei confronti del Direttore generale, del Cda e dei direttori dei tg della Rai per mancato rispetto degli obblighi di informazione: «A causa della pressoché totale mancanza di informazione da parte della Rai si legge nell’esposto gli elettori continuano ad ignorare gli adempimenti previsti così come la possibilità di recarsi presso ogni Comune per la sottoscrizione delle liste».
E ora Bonino e Pannella hanno scritto un documento in cui si mette in forse la partecipazione dei Radicali in tutte le regioni: «Se, come è purtroppo ormai probabile, si dovesse giungere al voto regionale di marzo nelle attuali condizioni di negate legalità e democrazia, la decisione del parteciparvi o no s’impone sin d’ora come gravissimo, inevitabile problema di coscienza dinanzi all’inverarsi (per nonviolenti democratici quali siamo) del sicuro rischio di incorrere nel reato di complicità con opere di un regime che negano radicalmente diritti umani, costituzionali, internazionali, individuali e collettivi...».
Il problema è che i moduli per la raccolta delle firme stanno tornando indietro vuoti. E visto che entro sabato prossimo vanno depositati con annesse tra le mille e le duemila firme per provincia, rischiano di non esserci le candidature dei Radicali. Dice Cappato: «Queste sono elezioni totalmente illegali. Se le condizioni non cambiano ci sarà una nostra richiesta di annullamento». Anche se la Bonino confermerà che corre nel Lazio? «Non è che la tornata elettorale diventa legale per questo. Chiederemo l’annullamento del voto per violazione delle leggi».❖

Repubblica 20.2.10
Bonino e Pannella: ritiriamo le candidature
Regionali, la minaccia dei Radicali: "Troppe irregolarità nella raccolta delle firme"
di Aldo Fontanarosa

Per la Par condicio in Rai salta anche "Protestantesimo" Sky, per noi quelle regole non valgono
I Radicali denunciano la Rai per la mancata informazione sulle firme delle liste

ROMA - La par condicio in Rai è una mina vagante. Persino un programma come "Protestantesimo" incappa nel regolamento che applica la legge e due servizi - sul caso-Rosarno e sulla Costituzione, previsti per lunedì notte su Rai2 - sono stati cancellati. Giudicati «troppo politici» a un mese dalle regionali. Invece, dopo tante polemiche, la macchina della par condicio ha sdoganato la puntata di "A sua immagine" su Vittorio Bachelet, a trent´anni dalla morte, con l´intervento del figlio Giovanni (deputato Pd): andrà in onda oggi su Rai1.
Lucio Malan, onorevole (Pdl) di fede valdese, interviene sull´altolà a "Protestantesimo", programma della Federazione Chiese evangeliche: «Sono gli effetti collaterali di una legge che crea storture. Ho elaborato una proposta per riordinare la legge». Il centrosinistra vuole evitare la mordacchia sui talk show Rai più seguiti (da Annozero a Porta a Porta). Giorgio Merlo (Pd), vicepresidente della Vigilanza, caldeggia una «modifica» al regolamento che azzoppa i talk-skow, auspica «una riflessione seria e non strumentale sull´applicazione della par condicio». Ma Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo 21, e Vincenzo Vita, senatore pd, indicano al presidente dell´AgCom, Calabrò, che i candidati del Pdl «Cota e Brunetta violano la par condicio» nei programmi tv.
Anche i Radicali mettono sotto tiro la Rai. Ieri, il legale che rappresenta la Lista Bonino-Pannella, ha depositato presso la Procura di Roma una denuncia per omissioni di atti d´ufficio contro il direttore generale Rai Masi, il Cda, i direttori dei tg. Per la mancanza di informazione Rai: «gli elettori ignorano gli adempimenti come la possibilità di sottoscrivere le liste presso ogni comune». Pannella e Bonino mettono in forse la partecipazione dei Radicali e delle liste Bonino-Pannella alle prossime regionali. Una minaccia per il Lazio, dove la Bonino è candidata. Altri quattro dirigenti sono in corsa per la guida di altrettante Regioni.
La par condicio è un nervo scoperto anche per Sky. Tom Mockridge, amministratore delegato della tv satellitare, ha scritto ai commissari dell´Autorità per le Tlc. Mockridge avverte i commissari di non estendere a Sky le norme anti-talk show che hanno investito la Rai. Mettere sullo stesso piano la Rai, soggetto pubblico, e i privati come Sky sarebbe a suo avviso un´operazione «illegittima».

il Fatto 20.2.10
Ecco perché Bertolaso non poteva non sapere
I radicali presentarono un’interrogazione parlamentare sui lavori alla Maddalena
di Paola Zanca

Era il 5 gennaio 2009. Guido Bertolaso stava sereno al timone della Protezione civile, Balducci e Anemone erano nomi sconosciuti al grande pubblico, i lavori alla Maddalena procedevano coperti dal segreto di Stato. Ma una settimana prima, su l’Espresso, Fabrizio Gatti aveva lanciato la prima pietra nello stagno. Raccontava dei legame d'affari tra i familiari di Balducci e le imprese appaltatrici, denunciava l’uso di manodopera in nero, chiedeva conto delle macerie contaminate da amianto, ipotizzava spese gonfiate. Grande inchiesta, indifferenza generale. Solo i deputati radicali, dopo aver letto quell’articolo, sobbalzarono sugli scranni. E il 5 gennaio 2009, appunto, presentarono un’interrogazione parlamentare al presidente del Consiglio, al sottosegretario per la Protezione civile, ai ministri dell’Ambiente, della Giustizia e dell’Interno. Chiedevano se quelle cose scritte da Gatti corrispondessero “anche solo parzialmente alla realtà”, ed avanzavano la proposta di levare il segreto di Stato da quell’affare multimilionario. Risposte? Nessuna. Né Berlusconi, né Bertolaso, né Prestigiacomo, né Alfano, né Maroni spiccicarono una parola. Funziona così: i parlamentari presentano un’interrogazione, questa viene trasmessa agli uffici dei ministeri destinatari che istruiscono la pratica: fanno verifiche, trovano le risposte e poi sottopongono il documento alla firma del sottosegretario responsabile. Nel caso dei lavori alla Maddalena – come succede spesso – quella pratica si inabissò negli uffici. Ma qui il punto è un altro: è che Bertolaso non poteva non sapere. “Nella sua intervista a Panorama – spiega la deputata radicale Elisabetta Zamparutti, prima firmataria di quell’interrogazione e componente della commissione Ambiente e Infrastrutture della Camera – Bertolaso dice che qualcosa può essergli sfuggito: qualcosa sì, ma non certo quello di cui parlavamo nell’interrogazione, visto che gliel’abbiamo chiesto per iscritto, in tempi non sospetti. Ti può sfuggire un articolo di stampa, non ti può sfuggire un’interrogazione parlamentare”. I Radicali, tra l’altro, usano anche sollecitare periodicamente la risposta alle interrogazioni rimaste senza: in questo caso, dal gennaio 2009 a oggi, l’hanno fatto otto volte. Bertolaso non poteva non sapere. “Il sottosegretario – prosegue Zamparutti – sostiene anche che per ogni segnalazione di presunti abusi veniva attivata una commissione di controllo. Come mai, nonostante la nostra segnalazione, non c’è mai stato modo e tempo di verificare gli appalti a La Maddalena?”. Bertolaso (e il governo) non l’hanno fatto. Zamparutti lo chiama “il complotto del silenzio”. I complici stanno anche nell’opposizione: “Sul tema degli appalti non vedo un grande interesse dei partiti a fare luce”. Quell’interrogazione, un anno fa, la firmarono solo i deputati radicali. Sotto alle domande sugli appalti a La Maddalena nessuno ha voluto metterci nome e cognome.
Repubblica 20.2.10
Popolo viola pronto al bis in piazza il 27 febbraio "Alt alle leggi-privilegio"
E un libro racconta il movimento nato sul web
di Alessandra Longo

L´Idv aderisce subito. Bersani: battaglie comuni, anche i nostri militanti ci saranno

ROMA - «Guardo i ragazzi e le ragazze accanto a me sul palco: hanno facce la cui felicità riesce a cancellare i segni della stanchezza, hanno sguardi che mi sarà difficile dimenticare, lo sguardo di chi sa di averla fatta grossa, ma ricomincerebbe subito. Poi spengo la luce: che sia stato tutto un sogno?». Gianfranco Mascia, blogger, giornalista freelance, fondatore, al tempo del fax, dei Bobi (i comitati Boicotta il Biscione), animatore dei Girotondi, racconta l´emozione di quel 5 dicembre 2009 che ha «spiazzato» un po´ tutti, partiti e classe dirigente. Quell´autoconvocazione che parte dalla Rete e travolge gli argini, quelle centinaia di migliaia di persone in piazza che urlano: «Dimissioni! Dimissioni!».
L´azzardo ora ritorna. L´appuntamento è per sabato prossimo, a Roma, piazza del Popolo, quando i viola arriveranno da tutta Italia al grido di «Basta! La legge è uguale per tutti». L´Italia dei Valori sarà ancora della partita e Bersani da subito assicura: «Non mancheranno i nostri militanti». Altre uscite nel mese di marzo: un «No razzismo Day» a Milano, e un «No Mafia Day» a Reggio Calabria. I viola sono vivi e già si raccontano. Esce in questi giorni "Il Libro viola - Storia del Movimento No B-day" (edizioni Baldini Castoldi Dalai), copertina ovviamente viola, diario della prima manifestazione di massa promossa via web. Mascia è stato uno dei protagonisti di quella giornata, di «quella cosa grandissima e inaspettata» che ha sconfitto «il pensiero pigro» di tanti italiani delusi dalla politica.
Il libro parte da lontano, ricostruisce le origini dell´antiberlusconismo, basate sull´»anomalia tutta italiana» del cosiddetto «Uomo Nuovo» che «non ha un megafono, ma tre reti televisive». Conflitto di interessi mai risolto. Frecciata, nelle prime pagine, anche a Walter Veltroni. Era lui, racconta Mascia, il responsabile dell´Informazione a Botteghe Oscure quando due giudici ordinarono il black out televisivo della Fininvest in Piemonte, Lazio e Abruzzo. Motivo: «Trasmetteva su scala nazionale malgrado la legge non lo consentisse». Veltroni criticò il black out, preoccupato «per le abitudini degli utenti». Mascia riporta le sue parole: «Non è così che si risolvono i problemi».
Storia ripercorsa tante volte, quella della nascita dello strapotere mediatico di Berlusconi. Storia che, secondo Mascia, porta dritta all´esplosione dell´onda viola. Storia scandita anche da una terribile esperienza personale che l´autore ha il coraggio di rievocare. 18 febbraio 1994: Mascia, con i suoi Comitati di boicottaggio, dà fastidio. A Ravenna, nel suo studio, ignoti fanno irruzione, «mi seviziano con un manico di scopa». Pare fossero personaggi vicini all´estrema destra veneta. «Questo episodio mi è costato tanto», scrive Mascia che trova utile ricordare «in quale contesto può nascere questo genere di violenza».
Deluso dai partiti, anche da quelli che ha contribuito a fondare, come i Verdi, subito abbandonati perché troppo interessati al «loro percorso nazional-istituzionale». Sconcertato «dalla logica da vecchio politburo», rintracciata a volte persino in Sel, la creatura vendoliana, allergica «alle modalità aperte, virali e ironiche della Rete». Ecco che Mascia ritrova energia altrove, cliccando su Facebook e scoprendo che un anonimo «San Precario» sta convocando i frustrati cittadini italiani che vogliono le dimissioni di Berlusconi, dopo la bocciatura del Lodo Alfano.
Nasce il «popolo viola» (colore «a metà strada tra passione e intelligenza»). Di Pietro e Ferrero afferrano al volo l´occasione, il vertice Pd è prudente. Bersani non verrà alla manifestazione ma scriverà su Facebook un messaggio in cui dichiara interesse per l´inedito fenomeno. «Stile burocratico-politico», chiosa l´insoddisfatto Mascia. E adesso? Adesso si torna in piazza il 27. Da lì partirà l´appello ai senatori perché non votino la legge sul legittimo impedimento già passata alla Camera. I viola vanno avanti, senza un capo, con la formula dell´»intelligenza collettiva». Parte dei proventi del libro, dice Mascia, sarà usata per la creazione di «un giornale online» che aiuti a «imbrigliare l´energia sana di questo Paese».

l’Unità 20.2.10
I dati scientifici secondo Avvenire
Il caso Eluana e la strategia delle illusioni
di Carlo Alberto Defanti

Prosegue lo scambio a distanza fra Assuntina Morresi e il sottoscritto sulla questione se Eluana fosse o no capace di interagire con il mondo esterno, così dimostrato in alcuni casi descritti nel recente articolo di Martin M. Monti. Nella mia replica avevo affermato che i risultati dell’esame neuropatologico di Eluana avevano chiarito la questione e avevo riferito le conclusioni dei periti sulla coerenza fra i reperti e la diagnosi di stato vegetativo permanente. In proposito Morresi fa osservare che «non esistono studi che mostrino un legame fra la gravità del grado di atrofia e il po-tenziale di reversibilità del disturbo di coscienza». La sua asserzione è corretta: non ci sono in letteratura studi scientifici che abbiano correlato in modo esatto i dati anatomici con lo stato di coscienza. Tuttavia, la gravità delle lesioni riscontrate, in particolare il gravissimo impoverimento delle fibre nervose che collegano le aree della corteccia cerebrale fra loro e con i centri sottostanti, soprattutto con il talamo, nonché la degenerazione di quest’ultima struttura così importante, rendono assai poco verosimile la loro compatibilità con un’attività di coscienza. I periti, inoltre, hanno sottolineato, sulla base del confronto fra gli esami radiologici eseguiti in vita, che nel cervello di Eluana sono avvenuti, a distanza dal trauma, processi degenerativi che hanno interessato strutture nervose inizialmente non colpite.
Morresi riprende poi le note di una cartella clinica del 1993 in cui viene riferito che Eluana avrebbe pronunciato due volte la parole “mamma” e che avrebbe eseguito talora semplici ordini. L’esperienza di chi assiste questi malati è ricca di segnalazioni come queste, che suscitano nei familiari grandi speranze e che poi tanto spesso sono deluse. Ribadisco però che, dal febbraio 1996, quando ho preso in cura Eluana, non c’è mai stata alcuna segnalazione di questo tipo.
Infine Morresi afferma che i risultati scientifici confermano la sua convinzione che queste persone siano vive e non “inerti vegetali”, ma su questo non c’è mai stato il minimo dubbio: anzi il problema nasce proprio dal fatto che questi soggetti sono vivi e si trovano in condizioni che la maggior parte dell’opinione pubblica considera “invivibili”. Mi permetto di osservare che, contrariamente a quanto Mortresi pensa, il riscontro di segni di coscienza in un piccolo numero di pazienti diagnosticati come vegetativi non risolve affatto il problema morale di come comportarci nei loro riguardi. Alcuni studiosi di bioetica hanno cominciato a riflettere su questo e a chiedersi se i nuovi dati scientifici, proprio in quanto dimostrano il persistere (in alcuni malati) di tracce di coscienza e rendono verosimile che essi provino dolore e sofferenza, non possano essere addotti come argomento non a favore, ma piuttosto contro il mantenimento del sostegno vitale.
Consulta di bioetica onlus

l’Unità 20.2.10
Incontro a Palazzo Chigi Il sindacato dei giornalisti: «Va avviata una incisiva riforma»
Milleproroghe Può essere inserito nel provvedimento «un opportuno emendamento»
Editoria, la Fnsi a Bonaiuti: «Subito il ripristino dei fondi»
Faccia a faccia di due ore a Palazzo Chigi tra i vertici della Fnsi e il sottosegretario all’editoria Bonaiuti. Il sindacato dei giornalisti ha chiesto di inserire «un opportuno emendamento finanziario» nel milleproroghe.
di Giuseppe Vittori

«I fondi per l’editoria debbono essere ripristinati». La Federazione nazionale della stampa ha ribadito in un incontro a Palazzo Chigi con Paolo Bonaiuti che il governo deve mantenere gli impegni presi nel settore dell’editoria. «Va garantito il diritto soggettivo fin qui maturato e, contestualmente, va avviata una incisiva riforma che assicuri trasparenza e rigorosi criteri di effettivo sostegno al pluralismo e all’occupazione giornalistica», hanno detto i vertici della Fnsi al sottosegretario con delega all’editoria.
E l’occasione per intervenire può essere il cosiddetto «mille proroghe», provvedimento di legge in cui può essere inserito «un opportuno emendamento finanziario»: «È un’occasione sottolineato la delegazione della Fnsi su cui il governo può e deve dare risposta alle istanze del sindacato dei giornalisti e delle parti sociali e deve sentirsi impegnato a coerenti soluzioni con l’appello sottoscritto, sino ad ora, da più della metà dei deputati di tutti gli schieramenti e già contenuto in un ordine del giorno approvato dal Senato».
La delegazione della Fnsi era composta dal segretario generale, Franco Siddi, dal presidente, Roberto Natale e dal direttore, Giancarlo Tartaglia e l’incontro è durato oltre due ore. Un nuovo incontro ci sarà la prossima settimana.
NO AI TAGLI
I tagli previsti nella Finanziaria, sottolinea la Fnsi, colpiranno «facendole sprofondare in una grande emergenza, decine di testate giornalistiche gestite da cooperative, o dei settori no profit, minoranze linguistiche e di partito, si è sviluppato nella ricerca di soluzioni concrete». Al sottosegretario Bonaiuti è stata sottolineata anche l’opportunità di ricorrere ad uno strumento straordinario ad hoc che fissi le garanzie per la fase di transizione a nuove regole da definire, meglio con soluzioni bipartisan dopo aver adeguatamente sentito le parti sociali.
Con nettezza, la Fnsi ha anche ribadito che non sarebbe affatto una soluzione un’ipotesi di intervento tampone riservato solo a testate cosiddette storiche o di partito. La Fnsi ha apprezzato la disponibilità del sottosegretario a ricercare soluzioni condivise e ha dato la disponibilità a concorrere attivamente al tavolo di confronto per la riforma della legislazione per l’editoria da avviare subito dopo la pausa elettorale.❖

L’intervento sul perché i cattolici devono impegnarsi in politica. Ma il contesto è particolare
Il segretario di Stato interviene fra i ministri, governatori, candidati del popolo della libertà
l’Unità 20.2.10
Alla kermesse elettorale del Pdl c’è Bertone, che insegna la politica
La lezione del segretario di Stato, cardinale Bertone apre a Riccione la kermesse dei giovani «cattolici» del Pdl organizzata da Roberto Formigoni. Parlano i ministri, domenica chiude il premier Silvio Berlusconi.
di Roberto Monteforti

Una brillante lectio magistralis sul perché i cattolici devono impegnarsi in politica a difesa del bene comune. Il segretario di Stato, Tarcisio Bertone ammaestra e sprona i giovani a ritrovare il gusto dell’impegno politico. L’obiettivo è quello di costruire «una nuova generazione di politici cristiani» avendo come riferimento la dottrina sociale della Chiesa. «La politica non è una cosa sporca» così inizia la sua relazione che apre il convegno organizzato da «Rete Italia», la struttura promossa da Roberto Formigoni che raccoglie l’anima ciellina del Partito delle Libertà. Il tema è attualissimo: «Costruire il bene comune possibile». Bertone ricorda le sollecitazioni di Giovanni Paolo II e le parole di Benedetto XVI che a Cagliari invocò la formazione di una nuova generazione di politici cattolici. Invita a lasciarsi alle spalle cinismo e utilitarismo. A guardare alla «buona politica» e ai buoni maestri. A Tommaso Moro contrapposto allo spregiudicato Macchiavelli e alle culture politiche utilitaristiche che hanno aperto la strada al relativismo. Cita la lezione di Maritain e di don Luigi Sturzo, l’impegno degli intellettuali cattolici che nel 1943 lavorarono alla stesura del Codice di Camaldoli che fu alla base del sistema di valori cristiani recepiti dalla Costituzione. Ripercorre i nodi della dottrina sociale della Chiesa: solidarietà, sussidarietà, bene comune, richiamo al senso etico dell’economia, alla coscienza dell’agire politico,il valore della famiglia e della scuola, l’attenzione alla giustizia sociale e ai più poveri. «Il bene comune osserva non è delegato allo Stato, il suo fondamento è nella dignità dell’uomo». Invita «alla rettitudine e al discernimento alla luce del Vangelo». Spiega che il bene comune «non è solamente un obiettivo, ma un modo di essere». Ricorda che tutti devono concorrere alla sua costruzione «ricercando ciò che unisce su ciò che divide».
Principi etici, moralità pubblica, spirito di servizio: c’è tutto nella dotta relazione del cardinale. Come quelle che si tengono ai giovani nei seminari di formazione organizzati dalla Acli o dall’Azione cattolica. O negli incontri del Meeting di Rimini organizzato da Comunione e Liberazione. L’ambiente è simile. La località poco distante: il palazzo dei Congressi di Riccione. L’iniziativa si presenta come una carrellata elettorale. Partecipano in massa i ministri: Fitto, Sacconi,Bondi,Frattini, Gasparri, Gelmini, Scajola. E i parlamentari, gli assessori, i «Governatori» Cappellacci (Sardegna),Iorio (Basilicata), Chiodi (Abruzzo) tutti rigorosamente del Pdl. Sarà il premier Berlusconi a chiudere i lavori domani 21 febbraio.
La partecipazione del segretario di Stato ad iniziative di questo tipo in campagna elettorale è una novità assoluta. Forse in Vaticano non se ne sono accorti. Non si sono ricordati che il prossimo 28 e 29 marzo in Italia si vota. Oppure hanno deciso di correre il rischio della strumentalizzazione politica pur di indicare la via della «buona politica», dell’onesta e del rigore morale, del servizio e del disinteresse personale. Della coerenza tra morale privata e morale pubblica. Temi smarriti. L’aria che si respira è ben diversa. Le parole del pastore riusciranno a fare breccia? Forse questa era l’intenzione del porporato: «Ho parlato di rettitudine per tutti i politici e non solo per quelli cattolici» ha puntalizzato ai giornalisti al termine del suo intervento senza nascondere la sua preoccupazione per l'attuale situazione politica. ❖

Repubblica 20.2.10
Aborto, bufera in Vaticano su monsignor Fisichella
Lettera di 5 membri dell´Accademia per la vita: deve dimettersi, difese la bimba stuprata dal patrigno
di Marco Ansaldo

CITTÀ DEL VATICANO - Una dura polemica sul tema dell´aborto sta agitando in Vaticano la Pontificia accademia per la vita. In una lettera riservata, ma in circolazione su Internet, cinque membri dell´organismo che si occupa di bioetica hanno scritto un documento per chiedere al Papa e al suo segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, di rimuovere il presidente dell´accademia, monsignor Rino Fisichella. Ma la Santa Sede smentisce che la lettera sia mai arrivata a Benedetto XVI.
Il pomo della discordia è un articolo che il presule scrisse sull´Osservatore romano sul caso della scomunica comminata dall´arcivescovo brasiliano, Josè Cardoso Sobrinho, ai medici e alla madre che avevano aiutato una ragazzina di Recife ad abortire. La bambina di 11 anni era rimasta incinta di due gemelli dopo i ripetuti stupri del patrigno. Nel suo articolo Fisichella aveva criticato lo stile pastorale di Sobrinho, affermando che la Chiesa deve essere prima di tutto accanto alla bambina vittima, e poi suggerito «che ci sono situazioni difficili in cui i dottori godono di uno spazio per esercitare autonomamente la propria coscienza».
Le proteste che quel testo provocò, nei settori più intransigenti del movimento per la vita, originarono una Chiarificazione da parte della Congregazione per la dottrina della fede, che denunciava la «manipolazione e strumentalizzazione» di cui era stato oggetto l´articolo di monsignor Fisichella, ribadendo la dottrina cattolica sull´aborto.
Ieri il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, ha detto che «non è arrivata nessuna lettera», sottolineando come «uno dei firmatari, il professor Michael Schooyans», non fosse «neppure presente all´assemblea plenaria». Nella lettera si spiegava però la decisione di non sfidare Fisichella in Plenaria, pur auspicandone le dimissioni.


l’Unità 20.2.10
Come divento italiano? Ecco il kit culturale di sopravvvivenza

La firma dell’«accordo per l’integrazione» segna l’inizio del macchinoso percorso, della durata di due anni, al termine del quale si accumulano i 30 punti necessari per ottenere il permesso di soggiorno (secondo la ricetta del ministro dell’Interno). Tre sono le prove da superare: italiano; Costituzione; iscrizione al Servizio sanitario. Chi ha figli deve garantire loro l’istruzione primaria. E i reati fanno perdere punti. Quindi tutti a scuola, sperando di non essere bocciati. Provvidenzialmente, qualcuno si dà da fare per agevolare la volontà di integrazione di così tanti immigrati. Si tratta del Knowledge Network Estero (Kne) che avrà inizio, in via sperimentale, dopodomani a Roma con l’obiettivo di agevolare l’inserimento degli immigrati nel mondo del lavoro e accelerare i processi di inclusione sociale. La formazione sarà di tipo linguistico, civico e professionale con uno stage finale in alcune aziende del settore preso in considerazione. L’Irfi, Azienda Speciale della Camera di commercio di Roma, è tra i promotori del progetto. La buona riuscita di iniziative come questa è fondamentale affinché si sperimenti un metodo e si realizzi un modello di inserimento sociale degli stranieri. L’immigrazione infatti non dovrebbe più essere trattata come un fenomeno extra ordinario a cui far fronte in maniera coercitiva, ma come una pratica abituale e diffusa per cui si predispongono degli schemi razionali, che mirino a fornire alle persone interessate un kit culturale di «sopravvivenza» nel paese dove giungono. Ciò appare sempre più necessario se si considera la decisione del governo di aprire i flussi 2010 a 150mila lavoratori, che si aggiungeranno agli oltre 4milioni di stranieri già residenti. ❖

l’Unità 20.2.10
Quei santi più veri del vero
Crivelli e Brera
di Renato Barilli

a cura di Emanuela Daffra
Milano
Pinacoteca di Brera
Fino al 28 marzo
Catalogo: Electa

Siamo abituati a vedere in Napoleone il grande razziatore dei beni artistici del nostro Paese, intento ad asportare capolavori da palazzi e chiese per avviarli oltr’Alpe. Ma almeno in un caso egli ha proceduto asportando sì, però per concentrare in un luogo interno, nella Milano da lui eretta a capitale del regno d’Italia, che quindi volle dotare di un’Accademia di belle arti, insediandola a Brera, con annessa Pinacoteca. Il tutto prese vita nel 1808, e dunque se ne sta celebrando la ricorrenza con una serie di eventi. Un beneficiato o danneggiato da quest’intervento centralizzante è stato il veneziano Carlo Crivelli (1430-1494-5), salvato con ciò dall’oblio in cui era caduto, ma fin troppo, ben tredici furono i dipinti di lui concentrati a Brera, tanto che i dirigenti della Pinacoteca intesero poi barattare quell’eccesso di opere di un artista non considerato primario procedendo a opportuni baratti con musei stranieri. È stato utile di conseguenza che tra gli eventi concepiti per il bicentenario di Brera ci fosse il rientro nell’antica dimora di gran parte di quei polittici.
Ma certo il Crivelli aveva tutto da perdere per quell’eccesso di visibilità ottenuto a un tratto, forse era meglio lasciarlo a un destino «provinciale», di fuga da una Venezia in cui si veniva imponendo la grande arte di Giovanni Bellini, ormai avviato alla modernità, pronto a porgere il testimone a Giorgione e Tiziano. Mentre il Crivelli se ne stava ben dentro quella «seconda maniera» dura, acerba, inanimata, che meritava non pochi strali da parte del Vasari, intrepido sostenitore della maniera moderna, capace di dare alle figure umane il sapore della carne viva. Invece l’artista padovano Squarcione e tutti i suoi seguaci, tra cui appunto il Crivelli, trattavano le membra umane come se fossero dei reperti fossili. E Crivelli, nella schiera degli squarcioneschi, tra cui il grande Mantegna, e perfino i ferraresi capeggiati da Cosmé Tura, si caratterizzava proprio per lo scrupolo con cui praticava quest’invito al congelamento dei corpi. I santi dei politittici in mostra a Brera sembrano fusi nel bronzo, con sentori e splendori metallici, inseriti in muri di tappezzerie, o in panoplie di fiori e frutti redatti nel nome del «più vero del vero».
CORPI CONGELATI
Forse a Crivelli sarebbero state utili le attuali resine sintetiche che consentono ad artisti come Piero Gilardi o Dwane Hanson di simulare alla perfezione le sembianze di natura. Il Mantegna o il Tura riuscivano a balzar fuori da quel letto di spine agitando le membra delle loro creature in spasimi, in guizzi e palpiti, invece il Crivelli le lascia immobili a un destino di pietrificazione cimiteriale. Con un solo luogo di riscatto, ravvisabile nei volti della Madre e del Bambino, in questo senso la Madonna della candeletta, immagine di culto del nostro pittore, resta l’esempio più superbo e suadente, col pallore del volto simile a quello della bacca del vischio, diafana, morbida, fragile, ma protetta da una selva di aridi rami e spine.●

l’Unità 20.2.10
Preti pedofili
Colpa del ‘68
di Toni Jop

C hiesa tedesca in subbuglio per via dei preti pedofili. Ma ecco che Walter Mixa, vescovo di Augsburg, in un’intervista alla Sueddeutsche Zeitung mette a fuo-
co un concetto degno della cultura del partito della Libertà: se questa infamia ha travolto le sacre tonache, la colpa tuona è del permissivismo sessuale e della culla che lo ha sdoganato, e cioè il Sessantotto. Suggeriamo che anche la Bibbia, con quel travolgente numero di disinvolti accoppiamenti raramente regolari è figlio di quella tremenda cultura sessantottina. Perfino i massaggi allo stanco capo della Protezione civile vengono da lì. Mentre i nostri bastioni arretrano incalzati da una mascalzonaggine culturale che fa sembrare il congresso di Vienna un covo di rivoluzionari, incassiamo un altro duro colpo: Sanremo è tornato al sesso contro natura nei confronti del paese provvedendo a recuperare l’inno reazionario messo in scena da Emanuele Filiberto e dal suo portamazze, Pupo. Ci risiamo: colpa del Sessantotto.

venerdì 19 febbraio 2010

l’Unità 19.2.10
Lazio, Ruini «manovra» contro Bonino Ma il Vaticano: parrocchie fuori dal voto
Dietro il duello Bonino-Polverini un altro capitolo dello scontro Cei-Vaticano. Le simpatie elettorali sono ovviamente le stesse ma mentre Ruini vuole un impegno diretto per la candidata Pdl, il Vicariato si oppone.
di Mariagrazia Gerina

Anche dietro l’uscita di Binetti dal Pd la lunga mano dell’ex presidente della Cei
Mons.Miglio: «Sono elezioni amministrative, siparli di problemi concreti come il lavoro»


Le prime battute sono state tracciate a casa di Marco Pannella, sotto gli auspici di un sacerdote di Teramo. Don Giacinto Pannella, omonimo leader radicale, che del prozio ordinato nel 1871 custodisce gelosamente il ritratto. Simbolico traghettatore tra la sponda radicale e quella cattolica tutt’altro che intenzionata a sparire all’interno del Pd. Parola di Franco Marini: «Sono un mezzo pensionato ma ci sono», ha ricordato ad arginare la portata dell’addio al Pd di Paola Binetti. Dopo che la sua difesa a spada tratta aveva spianto la strada della candidatura nel Lazio alla radicale Emma Bonino. Tra una comune origine abruzzese e un racconto su don Giacinto, è stato lui, in casa Pannella, a gettare le basi del dialogo che continua in queste ore nelle stanze del comitato per Emma Bonino, dove al programma della candidata lavorano fianco a fianco il radicale Gianfranco Spadaccia e l’uomo da lui indicato, Lucio D’Ubaldo. «Queste sono elezioni amministrative ed Emma incarna meglio di chiunque altro un bisogno diffuso di moralità e di voltare pagina», ragiona D’Ubaldo. La vera posta in gioco spiega è conquistare i tanti anche tra i cattolici che disgustati dalla politica propendono per il non-voto. Battere sulla questione morale, dunque. E lasciare sullo sfondo, ovvero fuori dal programma, «le questioni che appartengono alla sensibilità di ciascuno», leggi coppie di fatto, «su cui la Regione, fatta salva la necessità di erogare a tutti i servizi, non decide». Questo lo schema dei cattolici pro-Bonino. Riusciranno a rompere la chiamata al voto cattolico anti-Bonino?
Prima l’uscita di Paola Binetti dal
Pd, poi gli attacchi di Avvenire alla candidata radicale e al Pd che ha scelto di appoggiarla. I segnali più evidenti finora non fanno ben sperare. Ma ci sono anche altri segnali. Come la prudenza raccomandata ai vescovi laziali dal cardinale vicario di Roma Agostino Vallini, scelto dal segretario di Stato Tarciso Bertone. La parte più oltranzista dei vescovi laziali, che fa ancora riferimento a Ruini, auspica una presa di posizione pubblica sulla sfida Bonino-Polverini. Vallini ha risposto, per ora, chiedendo di tenere fuori la politica dalle parrocchie. «Niente comizi nelle parrocchie», recita il suo altolà. Che suona come un argine rispetto alla crociata anti-Bonino. Come la presa di posizione di monsignor Arrigo Miglio, responsabile problemi sociali della Cei, anche lui vicino a Bertone: sono elezioni amministrative, anche nel Lazio, al cen-
Foto Ansa
tro vanno messi i problemi concreti, i sostegni a chi perde il lavoro.
Segnali contrastanti, dietro cui leggere un altro capitolo dello scontro tra Cei e Segreteria di Stato, tra Bertone e Ruini, che ha fatto di Roma e del Lazio il fronte più importante di un nuovo scontro di religione. È stato il suo intervento diretto la spinta per Paola Binetti a lasciare il Pd. E la sua convocazione di Gianni Letta e Silvio Berlusconi nella sua dimora, presso il Seminario Minore, ribattezzato dai maligni “Vaticano Due”, a rovesciare nel Lazio, a favore della candidata del Pdl, l’alleanza con l’Udc. La segretaria dell’Ugl d’altra parte si sta dando da fare, con la sua presenza alle manifestazioni religiose ed ecclesiali. Ma soprattutto lavora a garantire presenze cattoliche significative nella sua lista civica. Come quella di Mimma Giaccari, espressione dell’ala “destra” delle Acli, che la stessa Comunione e Liberazione si accingerebbe a far votare. Dall’altra parte però non stanno fermi. L’ex ministro Beppe Fioroni, unito a Bertone da un rapporto molto diretto, fa la spola in queste ore tra le cliniche cattoliche, che non guardano con favore al ritorno della vecchia compagine storaciana alla guida della sanità laziale. E dopo gli ultimi cambi nel cda della Cattolica, che gestisce il Policlinico Gemelli, nodo centrale della sanità laziale, può contare su alcuni amici, fedelissimi di Bertone, come il presidente del Bambin Gesù, Giuseppe Profiti.❖



l’Unità 19.2.10
Se mandarini e pomodori
sono sporchi e invadenti
La nostra Italia razzista
Rosarno, Obama e il piccolo paese di Tallulah: le discriminazioni razziali e il ruolo dell’informazione. L’intervento di Enrico Deaglio, oggi a Firenze
di Enrico Deaglio

Questo mio intervento divaga tra il tempo e lo spazio, sul tema del razzismo e vi gira delle domande alle quali io sicuramente non so dare risposta. Per esempio: mi è venuto in mente che forse tra vent’anni venderemo i nostri mandarini, arance, pomodori avviluppate in quelle carte sottili che si usavano nell’Ottocento, con magnifici design grafici. Un uomo nero che raccoglie i rossi e succosi frutti della terra, lui nerboruto con un cappello di paglia, un pipa di legno in bocca e un gran sorriso bianco. E la scritta: made in Italy. Oppure andrà tutto diversamente e tra vent’anni avremo un sindaco Ahmed di Rosarno. Oppure tutte le culture agricole del sud Italia saranno abbandonate, perché quel modello economico – fare raccogliere i frutti dagli schiavi – non regge più.
Fantasie. Ma intanto mi accorgo di quanto noi conosciamo poco della nostra terra. Proprio oggi, una onlus – la Da sud – presenta a Roma uno studio sulla violenza razziale a Rosario. Si scopre che lì, sempre con il beneplacito della ’ndrangheta cominciarono a sparare ai neri a partire dal 1990. Finora ne hanno uccisi una dozzina, e centinaia sono rimasti feriti. Tutti senza nome conosciuto. Ancora prima, nel 1986, mi ricordo che andai a Castelvolturno (un po’ più su di Rosarno, lì stanno sotto la camorra, a Rosarno sotto la ’ndrangheta) perché mi avevano raccontato che quella era una specie di territorio senza stato né legge e che sembrava di essere nel Mississippi con tutti quei neri (anzi, al tempo si diceva ancora negri) che lavoravano nei campi. Era proprio così e a me e al fotografo Maurizio Bezziccheri dell’Europeo capitò verso mezzanotte di sentire degli spari in campagna. Illuminammo con i fari la strada e c’era un africano rantolante con un grosso buco nel petto. Un altro era cadavere addossato a un muretto. Nessun quotidiano ne parlò e il nostro settimanale ci mise a pagina 98 (la buona notizia è che dieci anni dopo la procura di Santa Maria Capua a Vetere ci chiamò a testimoniare perché il ferito, che noi avevamo dato per morto, era sopravvissuto).
Noi italiani non abbiamo un razzismo di vecchia data. Le leggi razziali sono appena del 1938. Noi siamo innocenti per natura, il nostro impero è durato meno di dieci anni. Trent’anni fa in Italia, praticamente non c’erano immigrati. E quindi non sappiamo bene cosa fare, anche se oggi circa 4 milioni di immigrati ci sbrigano tutte le faccende. Ho letto che nel giro di trent’anni, se l’Italia vorrà conservare la sua popolazione di 60 milioni di abitanti, sarà necessaria l’immigrazione di almeno dieci milioni di persone. Ma sono pochi, anzi a me sembra nessuno, che dicano: diamo subito il diritto di voto, ovvero il primo dei diritti civili. Non ci sono neri nel nostro parlamento, tranne uno. Un nero italiano non riesce a entrare nella nazionale di calcio. Ogni parti-
to politico teme che sollevare questi temi significhi andare incontro a un tracollo elettorale.
Ho passato l’estate scorsa tra il Mississippi e la Louisiana, girando. Lì come sapete, il razzismo è nato, lì si è combattuta una guerra civile da mezzo milione di morti, lì sono nati il Ku Klux Klan e lì milioni di africani sono stati deportati e resi schiavi per raccogliere il cotone che serve in fondo a costruire le camicie che portiamo e le lenzuola in cui dormiamo. Poi, un secolo dopo la guerra, vennero le lotte per i diritti civili e adesso c’è Obama presidente. Volevo vedere che effetto
faceva, se si vedevano i segni della vittoria. Non ne ho visti. Anche l’andamento del voto da quelle parti è poco conosciuto: quegli stati, a stragrande maggioranza nera, hanno votato Mac Cain. Obama non ha neanche fatto un salto per un comizio, li aveva dati per persi. Non solo, ma non ha conquistato un solo voto nell’elettorato bianco indeciso. In quei posti ci sono persone che mettono un adesivo sulla macchina: «Se avessi saputo che sarebbe successo tutto questo casino, il cotone me lo sarei raccolto da solo», ma non c’è nessuno che scriva «alla Casa Bianca c’è uno dei nostri». Le minacce di morte al presidente, da quelle parti, sono cresciute del 400%; il cotone è raccolto con giganteschi macchinari che praticamente non necessitano manodopera, la disoccupazione è altissima e tra i neri il diabete è tra le prime cause di morte.
L’unico ritratto di Obama l’ho visto in un ufficietto, in un piccolo museo di lamiera che ricorda Emmett Till. Emmett Till era un ragazzo nero di Chicago, di 14 anni che passava l’estate del 1963 dallo zio in Mississippi. Dicono che abbia fatto un commento galante alla cassiera bianca di una stamberga, pagando un chewing gum. Il marito lo rapisce, l’ammazza e lo butta nel fiume legato a una grossa pietra. Ma il cadavere sfigurato viene ripescato e riconosciuto per un anello che porta al dito: uno dei pochi effetti personali del padre Louis Till, morto in guerra in Italia. La madre Mamie espone il cadavere a Chicago, il martirio di Emmett Till diventa noto in tutto il mondo ed è considerato l’inizio della lotta per i diritti civili. Ma c’è un dettaglio in questa storia, che riguarda la Toscana. Louis Till, soldato semplice dell’esercito americano era morto impiccato, accusato di omicidio e stupro. Il tutto era avvenuto nell’enorme campo di prigionia di Metato, vicino a Pisa. Ezra Pound, anche lui detenuto, lo cita in uno dei suoi Cantos. Gli avvocati degli assassini lo citarono al processo, come dire tale il padre tale il figlio.
E l’ultima cosa. Ero ospite nel piccolo paese di Tallulah, cotone e miseria dappertutto. Una signora nell’ufficio del turismo mi fece conoscere la storia di cinque italiani linciati nel 1899, si chiamavano Defatta, venivano da Cefalù, in Sicilia. Avevano avviato un buon mercato di frutti: pomodori, mandarini, arance e davano fastidio: invadenti, sporchi e mafiosi. Quando tornai a casa dai miei ospiti e raccontai la mia scoperta, li vidi veramente costernati. «Ah, te l’hanno detto!» e ho scoperto che le signore di Tallulah, in un circolo parlando dell’ospite italiano, si erano augurate che nessuno me lo dicesse. E forse avevano ragione loro.
Questo per dire che l’informazione serve, ma che non bisogna farsi troppe illusioni. E che alla fine vince chi ha la forza e la pazienza di raccontare il passato. ❖

l’Unità 19.2.10
Immigrazione su www.unita.it una nuova sezione
Uno spazio fisso dedicato a migranti e “nuovi” italiani non solo reportage, inchieste e approfondimenti anche vademecum, documenti e consulenze giuridiche
di Maristella Iervasi

Il sito dell’Unità da oggi si «occupa» di immigrazione. Di migranti e “nuovi” italiani ne abbiamo sempre raccontato le storie e le battaglie per i diritti, ma per «occuparcene» meglio da oggi trovate una nuova sezione su www.unita.it. Uno spazio di informazione e approfondimento ma, soprattutto, uno spazio di servizio per i migranti d’Italia. Ci saranno storie, racconti, dossier statistici, inchieste, ma anche vademecum e appro-
GAD LERNER
fondimenti giuridici sui diritti dovuti e negati grazie alla collaborazione con l’Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. Si comincia oggi con il presidente Asgi, Lorenzo Trucco, e il tema dell’art.18, previsto dal Testo Unico sull’immigrazione e riproposto dalla Bossi-Fini, che prevede il rilascio del permesso di soggiorno per protezione sociale. Una norma che andrebbe estesa anche alle vittime del caporalato e non solo a quelle della tratta delle prostitute straniere, come accade oggi. Tra i tanti temi l’aggravante di clandestinità e le sue conseguenze, il rapporto dello straniero con la pubblica amministrazione, fino all’ultima boutade del governo sui permessi di soggiorno. Basterà cliccare nella sezione Immigrazione e da qui si potrà accedere ai documenti, i racconti dei protagonisti, all’Osservatorio sul razzismo e ai blog dei nostri autori. A guidarci un logo che ci ricorda quando gli immigrati eravamo noi italiani. Un clic per approfondire e conoscere. Perché l’immigrazione è vero che va governata ma non con le ronde e i rastrellamenti. La parola chiave è integrazione.❖

Il Fatto 19.2.10
“80 suore e preti pedofili in Italia”
I dati dal Vaticano mentre la Chiesa affronta gli scandali internazionali
di Andrea Gagliarducci

A lmeno 80 sacerdoti italiani coinvolti nello scandalo pedofilia negli ultimi dieci anni. Sono cifre rivelate da don Fortunato Di Noto, fondatore dell’Associazione Meter contro la pedofilia. Meter ogni anno monitora i siti pedofili (che quest’anno, si legge nell’ultimo rapporto, sono più che raddoppiati), raccoglie segnalazioni, organizza convegni sul fenomeno, drammaticamente presente anche all’interno della Chiesa. Il caso più eclatante, quello della Chiesa statunitense. Ma ci sono stati anche i casi della Chiesa australiana e di quella irlandese. Benedetto XVI ha parlato di tolleranza zero nei confronti dei sacerdoti pedofili proprio in occasione del recente incontro con i vescovi di Irlanda, convocati a dare conto delle proprie omissioni davanti al Papa stesso e a dieci membri della Curia. Si è insomma cominciato a parlare in maniera chiara dello scandalo pedofilia anche all’interno del Vaticano, secondo un metodo persino più conciliare di quello di Giovanni Paolo II: il Papa ha partecipato a tutte le riunioni, ha ascoltato il parere di tutti, ha lasciato le decisioni
alla collegialità. È questa la strada da seguire? “Credo – dice don Di Noto che il Santo Padre abbia lanciato un appello, anche un impegno perché farà una Lettera agli irlandesi. Ma da questa lettera pastorale dovremmo attingere un po’ tutti affinché non ci sia più in silenzio e soprattutto per far sì che questa sia una azione pastorale quotidiana, dove i bambini devono essere accompagnati ed educati, ma dove gli adulti devono imparare a non offendere mai l'infanzia”. Nel frattempo, lo scandalo pedofilia dall’Irlanda arriva in Italia passando dalla Germania: lì il direttore del prestigioso collegio berlinese Canisius, Padre Klaus Merte, ha ammesso aggressioni “sistematiche e per anni”. Tre preti sono sospettati di aver abusato di almeno 30 minorenni tra il 1975 e il 1983. Quando le vittime hanno tentato di avvertire la direzione del collegio su queste pratiche, si sono “scontrate con persone che hanno guardato altrove”. Da quel momento, le testimonianze delle vittime affluiscono. Altri casi di abusi di questi tre religiosi sono stati segnalati nella diocesi di Hildesheim, in una scuola di Amburgo, e in una scuola della Foresta Nera. Per arrivare dalla Germania all’Italia, si passa dalla diocesi di Bressanone, di lingua tedesca, dove Benedetto XVI va in vacanza. E, a guardare il sito della diocesi (www.bz-bx.net), c’è una novità: nella pagina suggerimenti, si rimanda ad una pagina intitolata: “Presunte molestie da parte di sacerdoti”, nella quale c’è un’e-mail cui rivolgersi e si assicura la piena disponibilità del vicario a parlare di ciascuna situazione.
Un passo verso la trasparenza. Don Di Noto dice che il fenomeno in Italia “forse è più gestito e controllato, anche se ci sono stati dei casi affrontati con imprudenza”.
In Italia, due casi sono balzati agli onori delle cronache di recente: don Luciano Massaferro, 49 anni, parroco di Alassio (Savona) è stato arrestato con l’accusa di pedofilia il 29 dicembre scorso: la comunità prima lo ha difeso con moderazione, ma, dopo che il gip ha rifiutato la scarcerazione del sacerdote, la Curia è passata all’offensiva, con un duro atto d’accusa contro i magistrati dalle pagine diocesane di Avvenire. La vittima delle molestie, secondo la Procura, è una undicenne, chierichetta di don Luciano, che in un colloquio con gli psicologi dell’ospedale pediatrico Gaslini avrebbe raccontato delle molestie subite dal sacerdote.

il Fatto 19.2.10
Diktat bulgaro per Internet
di Loris Mazzetti

Silvio Berlusconi, dal giorno dell’editto bulgaro, 18 aprile 2002, che determinò la chiusura del Fatto di Enzo Biagi, di Sciuscià di Michele Santoro e la fine della carriera in Rai di Daniele Luttazzi, come gli ha suggerito l’amico Previti, non ha più fatto prigionieri, soprattutto quando qualcuno tenta di inserirsi tra le sue aziende e le risorse pubblicitarie e quando c’è chi si oppone al “pensiero unico”: cioè il suo. Ne sa qualcosa Sky (prima l’aumento dell’Iva dal 10 al 20%, poi la nascita di una seconda piattaforma satellitare), così come le oltre 50 testate che con il taglio del 20% del fondo
per l’editoria, previsto in Finanziaria, rischiano di chiudere. Per Winston Churchill: “La democrazia funziona quando a decidere sono in due e uno è malato”, per Berlusconi, invece, la democrazia esiste quando uno dei due non può parlare. A subìre il prossimo editto, vestito ufficialmente da decreto, quello del sottosegretario con delega alle Comunicazioni Paolo Romani, è il mondo del Web. Il governo in risposta ad una direttiva del Parlamento europeo sui media audiovisivi, mette mano a quello che oggi è il settore mediatico che gode di maggiore libertà. A lanciare l’allarme è stata la stessa Commissione europea che nutre serie perplessità sulle nuove responsabilità che il decreto Romani pone agli Internet service provider come Fastweb e Telecom Italia, in quanto la direttiva europea vieta obblighi preventivi sul commercio elettronico come, invece, obbligherebbe il decreto del governo, se approvato definitivamente. In sostanza Romani vorrebbe sottoporre la trasmissione delle immagini sui siti (dalle Web tv a YouTube), alle regole audiovisive tipiche della tv e a una preventiva autorizzazione ministeriale, ciò cambierebbe totalmente l’attuale funzionamento della Rete. Il sottosegretario Romani alle accuse risponde che si tratterebbe soltanto di una “comunicazione di inizio attività per i siti con prevalenza di trasmissione di immagini in movimento”. La realtà invece è quella che ha sottolineato il presidente dell’Autorità per le Comunicazioni, Corrado Calabrò: “Un filtro generalizzato su Internet da una parte è restrittivo, dall’altra è inefficace perché è un filtro burocratico a priori”. Il problema su Internet esiste”, ha poi aggiunto Calabrò, “però non è un caso che nessun paese occidentale abbia adottato la soluzione Romani”. L’Italia come la Cina.
A questo punto una domanda sorge legittima: “Perché il Web fa tanta paura a questo governo? La Rete è il luogo della comunicazione, tutto passa, nulla può essere nascosto. Durante la guerra del Kosovo, le informazioni da Belgrado arrivavano, nonostante la censura dei serbi di Milosevic, da Radio B92 che trasmetteva clandestinamente via Internet; grazie alla Rete, il regime di Teheran ha subìto un grosso colpo, i blog iraniani hanno informato il mondo, le televisioni straniere hanno fatto grande uso delle immagini prese dai siti aggirando così la censura. Le immagini della morte di Neda, sempre grazie al Web, hanno fatto il giro del mondo e sono diventate il simbolo della protesta al regime di Ahmadinejad. Se in Abruzzo non ci fossero stati i blogger con le loro telecamere digitali dai giorni successivi al terremoto, dall’informazione televisiva non avremmo mai saputo che il miracolo del duo Berlusconi-Bertolaso, oltre a tante altre cose non fatte, non ha mai contemplato la rimozione delle macerie dalle zone più colpite, ormai integrate nel territorio e ricoperte d’erba nel frattempo cresciuta abbondantemente. Credo che sia legittima una seconda domanda: “Obama sarebbe diventato presidente degli Stati Uniti senza Internet?”. Aldo Grasso scrive sul Corriere della Sera che “dopo anni in cui è prevalsa l’ideologia dell’informazione free (sul Web no copyright) si è scoperto che a beneficiare di ingenti guadagni non sono i giornali, ma altri soggetti”, aggiungendo poi, “con la crisi della pubblicità l’informazione non può più essere gratuita”. Se ciò accadesse la Rete rischierebbe di fare la fine della televisione, dove un imprenditore è padrone di tre reti e altre tre le controlla perché è anche presidente del Consiglio. Questo è il motivo per cui la Rete deve rimanere libera e chi lavora nell’informazione non deve temere la sua libertà, anzi, la deve garantire. Per questo il governo vuole imbavagliare il Web: lì ogni opinione ha un valore a prescindere dalla firma, e tutti possono ancora esprimere liberamente il proprio pensiero senza condizionamenti.

Repubblica 19.2.10
Matrix cancella la Bonino Bersani: noi schiacciati in tv
Invito ritirato per il no della Polverini al confronto
di G. C.

ROMA - «Caro Alessio, ho saputo che a Matrix non se ne fa niente, me ne dispiace. È una tua decisione, ma per favore non tirare in ballo la par condicio... «. Emma Bonino viene cancellata dalla puntata di oggi di Matrix e protesta con il conduttore Alessio Vinci. Che risponde: «Carissima Emma, non esiste preclusione nei tuoi confronti o della lista Bonino-Pannella, il tema della puntata sarà legato a esigenze di cronaca e di attualità che mi richiede di rinviare le puntate elettorali alle settimane successive». Lo spauracchio della par condicio in tv viene agitato dal centrodestra.

Renata Polverini, sfidante della leader radicale Bonino nel Lazio, si sottrae al faccia a faccia sia diretto che indiretto; a Mediaset trovano che sia meglio soprassedere. Il regolamento sulla par condicio per la verità non c'entra nulla. L'Agcom deve ancora recepire quello della commissione di Vigilanza (che peraltro, dopo la preoccupazione anche del Quirinale, dovrebbe essere modificato), e comunque non è ancora la "fase due" della campagna elettorale, quando le norme della par condicio diventeranno categoriche. La Bonino cita un paio di casi in cui la pari presenza in tv è lettera morta, non vale per gli esponenti del centrodestra: per il ministro Renato Brunetta, candidato sindaco di Venezia, ad esempio. «L'ho invitato quando ancora non era candidato, né si era in par condicio», replica Vinci. I radicali ribattono: «Era il 19 gennaio e il giorno dopo Berlusconi l'ha designato, sembrava quasi un lancio... «.

Il caso-Brunetta irrita anche Pierluigi Bersani. Il segretario del Pd premette: «Non sto mai a preoccuparmi dei minutaggi in tv, ma da qui ad arrivare a spazi di Kim il Sung ne passa... Il ministro-candidato sindaco a Venezia risulta esposto in tv per 1600 minuti e il suo concorrente Giorgio Orsoni per 3 minuti.

Uno scandalo. L'uso dei media per valorizzare ministri in carica candidati alle amministrative è un atto di slealtà profonda.

Faremo di tutto di più, ogni iniziativa possibile». La Bonino parla di «uso pretestuoso della par condicio».

Del resto il Pdl ha già depositato due proposte per cambiare la legge sulla par condicio. Una al Senato è firmata da Alessio Butti, componente della commissione parlamentare di Vigilanza Rai: «Vogliamo una netta revisione della legge, questo è il nostro obiettivo». Anche se per ora, in Vigilanza, Pdl e Lega hanno votato un regolamento che ingessa la par condicio, facendo saltare - se le norme non saranno modificate - i talk show politici. Nella prossima settimana, sarà di nuovo convocata la Vigilanza per sbrogliare il nodo, probabilmente grazie a un parere tecnico delle Camere sulla norma contestata.

Anche Berlusconi è tornato all'attacco sulla par condicio, spiegando che va assolutamente cambiata, perché «garantendo a tutti lo stesso spazio avvantaggia le forze più piccole come Udc e Idv». Affermazioni che il premier ha fatto nella cena con i senatori mercoledì sera. I dipietristi replicano: «Il premier è eversivo nel chiedere la modifica della legge sulla par condicio, è allergico alle norme che tutelano la democrazia».

Repubblica 19.2.10
Più soldi dal governo alle scuole cattoliche
Incontro chiarificatore tra Berlusconi e il cardinal Bertone dopo il caso Boffo
di Marco Ansaldo

ROMA - «Tutto bene, non c'è stato alcun problema», diceva un porporato accompagnato dal segretario personale all'uscita di Palazzo Borromeo. «L'incontro è filato liscio», spiegava sorridendo un funzionario della Farnesina lasciando la sede dell'ambasciata italiana presso il Vaticano. Il caso Boffo aleggiava però come un'ombra, ieri, alla cerimonia per l'anniversario dei Patti Lateranensi. Una grande festa, celebrata con un vertice fra Silvio Berlusconie il cardinale Tarcisio Bertone, il primo dopo la lunga stagione dei "veleni" collegata allo scandalo scoppiato con le dimissioni del direttore dell'Avvenire, per un'informativa falsa pubblicata sul quotidiano della famiglia del premier.

La fitta agenda dei colloqui fra la delegazione guidata dal presidente del Consiglio e quella del segretario di Stato vaticano, non aveva al centro dei temi affrontati il caso che pure, all'epoca, fece saltare il pranzo proprio fra Berlusconi e Bertone, previsto all'Aquila per la Festa della Perdonanza. «Gli argomenti all'ordine del giorno erano quelli classici di un summit bilaterale», affermava una fonte diplomatica italiana. E dunque, lo Stato dei rapporti fra Santa Sede e Stato italiano, le persecuzioni nei confronti dei cristiani in Iraq e in India, la questione del crocifisso. Il governo ha poi però assicurato alla Chiesa anche la sua attenzione alla questione dei fondi per le scuole cattoliche private e alla fecondazione assistita. Particolare impegno hanno chiesto i vertici ecclesiastici soprattutto sulla questione dei migranti, che la Conferenza episcopale italiana (Cei) mostra di avere molto a cuore. Proprio ieri l'Osservatore Romano pubblicava una nota con cui i vescovi italiani entravano in uno dei temi cruciali della campagna per le regionali, quello dell'immigrazione, dando l'altolà contro ogni suo uso strumentalea fini elettoralie contro ogni «inappropriatae falsa criminalizzazione pregiudiziale degli immigrati».

«L'incontro è andato bene», ha infine detto Berlusconi lasciando l'ambasciata, apparendo durante i colloqui un po' scuro in volto e poco espansivo. «I colloqui - aggiungeva il capo dello Stato, Giorgio Napolitano - si sono svolti in una atmosfera come sempre di grande cordialità e di grande sintonia». Nessuno dei membri delle due delegazioni, Berlusconi accompagnato da Gianni Letta, con i presidenti del Senato Schifani e della Camera Fini, Bertone assieme al sostituto alla segreteria di Stato monsignor Filoni e al segretario per i rapporti con gli Stati esteri monsignor Mamberti, hanno rilasciato dichiarazioni.

Ma nelle splendide sale di Palazzo Borromeo, non pochi fra gli ospiti parlavano - e nemmeno a mezza voce - del caso Boffo. Presente, in un parterre di politici, alti prelatie intellettuali, anche il direttore dell'Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, che alcuni hanno descritto come un deciso avversario dell'ex direttore dell'Avvenire e addirittura suo siluratore. Ipotesi smentita di recente, con una durissima nota della Segreteria di Stato vaticana, che parlava anzi di una «campagna diffamatoria» diretta anche contro il Papa. «Come vedete sono in ottima forma», rispondeva anzi Vian a chi gli poneva domande sulla vicenda. Alcun accenno ha fatto alla questione né il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, che è l'editore del giornale dei vescovi, né il cardinale Camillo Ruini, tra i primissimi a lasciare il ricevimento. Prima di rientrare in Vaticano, Ruini ha comunque incontrato brevemente la candidata del Pdl alla Regione Lazio, Renata Polverini. «Sono venuta qui per fare un giro di saluti - ha spiegato la sfidante di Emma Bonino - ho parlato con il cardinale Bertone e con Bagnasco. Sì, mi incoraggiano». All'uscita del Palazzo spiegava una personalità vicina al mondo ecclesiastico: «Oggi formalmente è andato tutto bene. Ma l'impressione è che ad avere problemi siano loro, il governo. Problemi di divisioni interne e di riuscire a fronteggiare l'ondata di critiche che sale dall'opinione pubblica. Ma i rapporti fra Stato e Chiesa, quelli, sono saldi».

Repubblica 19.2.10
L'intervista. Lo studioso racconta il suo ultimo libro sul padre dell'evoluzione
Richard Dawkins "Darwin, antidoto all'ignoranza"
di Piergiorgio Odifreddi

Il suo libro, "Il più grande spettacolo della terra.

Perché Darwin aveva ragione" in uscita per Mondadori, riporta sondaggi inquietanti, secondo cui il 20% degli italiani nega che l'uomo discenda in qualunque modo dagli animali, e il 32% pensa chei primi uomini siano vissuti all'epoca dei dinosauri! Come spiega, professor Dawkins, una tale ignoranza scientifica in un'epoca tecnologica e in un paese sviluppato? «Purtroppo non è un problema solo italiano, ma europeo e statunitense. E non riguarda solo l'evoluzione: una percentuale analoga, del 24% in Italia, pensa che la Terra impieghi un mese a girare attorno al Sole! Il che significa che c'è un'ignoranza scientifica generalizzata». Ma con l'evoluzionismo ci sono ovviamente ragioni particolari, non crede? «Certamente, soprattutto tra i fedeli della cosiddetta Chiesa Bassa dei paesi protestanti. Sarei sorpreso che fosse così in un paese a maggioranza cattolica. Mi sembra che la Chiesa accetti l'evoluzione, almeno ufficialmente, a parte l'origine dell'anima umana: se ho ben capito, secondo loro a un certo punto ci dev'essere stato qualcuno che aveva un'anima, mentre i suoi genitori non l'avevano».

A dire il vero, l'enciclica di Pio XII Humani generis dice esplicitamente che un cattolico deve credere all'esistenza reale, e non metaforica, di Adamo ed Eva.

«Questa non la sapevo! Mi faccia controllare in rete.

Ohibò, è vero! Molto interessante. Io sono stato criticato per aver attaccato i fondamentalisti, invece che i "veri" teologi, ma qui abbiamo addirittura un papa recente che dice queste cose! Affascinante, lo userò d'ora in poi».

Il papa attuale, Benedetto XVI, e il suo allievo Christian von Schönborn, cardinale di Vienna, si sono invece espressi apertamente a favore del Disegno Intelligente. Lei cosa ne pensa? «Molti aspetti del mondo vegetale e animale mostrano che, se ci fosse un Disegno, sarebbe non intelligente! E' più sensato pensare che non ci sia stato nessun Disegno, e che la Natura sia il prodotto di un'evoluzione storica».

E il Principio Antropico, secondo cui viviamo in universo fatto apposta in modo da permettere la nostra esistenza? «Oh, quella è un'altra faccenda, da tenere ben distinta dalla precedente, benché le due cose vengano spesso mescolate. Il Principio Antropicoè un argomento ateo, che isola scientificamente le condizioni necessarie alla vita».

Anche il Disegno Intelligente, però, nonè necessariamente teistico. «E' vero. Si può pensare che la pianificazione sia stata fatta da alieni, ad esempio, come nella teoria della panspermia difesa nientemeno che da Francis Crick nel suo libro La vita stessa. Ma naturalmente questo è solo un Disegno locale, che non spiega l'origine degli alieni che avrebbero dato origine alla vita terrestre».

Vogliamo ora passare alle prove dell'evoluzione? Per cominciare, inizierei da quelle che già Darwin aveva dato, a partire dall'analogia con la selezione artificiale.

«E' un esempio eccellente, che oggi viene usato meno di quanto si dovrebbe. In fondo, la selezione artificiale non è altro che la verifica sperimentale della selezione naturale: in parte effettuata coscientemente nei laboratori oggi, ma in parte effettuata inconsciamente nel corso dei secoli da coltivatori e allevatori. Darwin amava molto gli esperimenti sui piccioni, ma a me sembra che l'esempio più spettacolare di quanti cambiamenti si possano produrre in poco tempo sono i cani, dal chihuahua all'alano».

Darwin ha anche refutato fin da subito l'obiezione creazionista dei cosiddetti "organi complessi", come l'occhio.

«Sì, facendo notare che spesso non è vero che un organo complesso funziona soltanto come sistema integrato di tutte le sue parti: anche un quarto, o addirittura un centesimo, di occhio vedono meglio che nessun occhio! E nel regno animale si trovano esempi di vari stadi di evoluzione incompleta dell'occhio, che lo dimostrano». Darwin fece anche notare le tracce lasciate dall'evoluzione negli organi vestigiali, come le ali degli uccelli che hanno smesso di volare.

«Quegli organi non più funzionanti sono esempi meravigliosi ed eleganti di un avvenuto cambiamento, di cui forniscono una testimonianza storica. Oggi poi sappiamo che ci sono non solo organi, ma anche geni vestigiali: i cosiddetti pseudogeni, che hanno tutta l'apparenza dei geni normali, ma non sono più nemmeno trascritti. Sono un po' l'analogo dei frammenti di programmi e di file che rimangono sull'hard disk del nostro computer, benché non siano più accessibili».

Vorrei ora passare alle prove che ai tempi di Darwin non avevano sufficiente evidenza, tipo i fossili.

«Di fossili animali ce n'erano già allora, naturalmente, ma mancavano quelli umani: è a quelli che ci si riferiva, parlando di "anelli mancanti". In seguito ne sono stati trovati un'enormità: soprattutto in Africa, che era il luogo in cui già Darwin aveva capito si sarebbero dovuti cercare, a causa della grande somiglianza degli uomini con le scimmie africane quali gli scimpanzè e i gorilla, più che con le scimmie asiatiche quali gli oranghi e i gibboni». Ci sono poi argomenti che Darwin non poteva addurre, perché si basano su scoperte successive, come la genetica.

«Effettivamente, se c'è un campo nel quale Darwin si sbagliò, fu certamente la genetica.

Dopo la scoperta della doppia elica da parte di Watsone Crick, direi che la genetica è diventata una branca dell'informatica: una sequenza di DNA è simile a un nastro di computer, benché in un alfabeto quaternario invece che binario, e si legge e si trascrive nello stesso modo».

Nonostante tutte queste prove, come mai i creazionisti insistono a non considerare l'evoluzione una teoria scientifica? «Forse perché la considerano una teoria storica, parte dell'umanesimo invece che della scienza (benché, ironicamente, quasi tutti i creazionisti siano umanisti). Ma sbagliano, perché invece è basata su evidenza sperimentale, predittiva, e verificabile o refutabile: ad esempio, l'evoluzionismo prevede che non si possano trovare fossili di mammiferi negli strati del devoniano, e un loro ritrovamento sarebbe una confutazione della teoria».

C'è un'ultima obiezione, proposta da un paio di fisici balzani, secondo cui l'evoluzionismo non sarebbe scientifico perché non descritto da formule matematiche.

«Questa, poi! Il neodarwinismo moderno è basato sull'idea che la frequenza dei geni nelle popolazioni cambia nel tempo, e le principali ipotesi necessarie al cambiamento, e dunque all'evoluzione, si derivano da una famosa formula dovuta a Hardy e Weinberg. La moderna genetica evolutiva è altamente matematica, piena di formule: ci sono addirittura riviste scientifiche interamente dedicate ai fondamenti matematici della teoria. Anche questa obiezione, come tutte le altre, è semplicemente disinformata».

Repubblica 19.2.10
Caravaggio, lo splendore di un artista in fuga
di Fabrizio Dentice

Di M i c h e l a n g e l o Merisi, il Caravaggio, s'è detto e scritto in più istanze che dopo di lui la pittura non è più stata la stessa, o altrimenti che con lui comincia «la modernità». Nel quarto centenario della morte, una mostra a Roma, ideata da Claudio Strinati e curata da Rossella Vodret e Francesco Buranelli, vuol dirci il senso e la portata di così radicali asserzioni:e lo fa nel modo più lucido e persuasivo, esponendo alle Scuderie del Quirinale un compendio esemplare della sua arte. Non più di ventiquattro opere, scelte fra le più emblematiche e certe, in guisa da illustrare i modi e lo spirito dell'intera sua vicenda. Che durò sì e no diciotto anni, di cui gli ultimi quattro in fuga dalla giustizia, e pur anche, in fatto di quantità.

Perché l'uomo, col suo caratteraccio, segue il suo estro e «quando ha lavorato due settimane» (sappiamo da chi ben lo conosce e l'apprezza come artista) lui si stufa; e lo si vede, fosco d'occhi, capelli, umore e colorito, «andare a spasso per un mese o due con la spada al fianco e un servo dietro, da un gioco di palla all'altro, sempre pronto ad attaccar briga ed azzuffarsi...». E pazienza! Ma così, di tutto il suo lavoro resta sì e no un centinaio di pezzi, che bisogna andare a cercare dove stanno, in custodia di chiese e musei impermeabili a richieste di prestiti. Della cinquantina di tele altrimenti collocate in tutto il mondo, la mostra si è procurata la metà, privilegiando quelle che con più evidenza delineano l'avventura intima dell'artista e il suo tradursi in un dipingere mai visto fino allora. Fresco dell'apprendistato a Milano, negli occhi ancora tanta pittura lombarda, il Caravaggio arriva a Roma non si sa quando fra il 1591 e il '92.

Ha vent'anni, non conosce nessuno, e deve arrangiarsi come può: aiuto mal pagato di pittori che hanno bottega, o qua e là dipingendo qualunque cosa gli vien chiesta: per modelli, la frutta che poi mangia, compagnucci di strada o di taverna, e se stesso nello specchio. Tutta roba che non costa... Finché non viene presentato a un cardinale che lo prende a benvolere e gli dà alloggio: dal che gli arriva un paio di clienti di riguardo e di gusto sveglio. È da allora che il suo dipingere prende piena autonomia, e con essa decolla.

Siamo ormai nel '93 o '94, come datano i primi esempi in mostra. C'è dall'Ermitage di San Pietroburgo il Suonatore di liuto, dal Metropolitan di New York il Concerto di giovani, da Fort-Worth, nel Texas, La partita a carte coi bari. Dagli Uffizi arriva il torpido e celebre Bacco, dalla Galleria Borghese il Ragazzo con canestra di frutta, da Milano lo straordinario Canestro di frutta, mai uscito finora dalla Galleria Ambrosiana.

Dall'insieme già s'intravede quel che il pittore ha in mente e può diventare. Col rifiuto d'ogni gerarchia di generi e canone di «decoro» e composizione; il sovvertimento della mitologia in attualità plebea; l'ieri come l'oggi, l'altrove come qui, l'Olimpo come l'osteria... E la vita, su sfondi neutri, sempre in presa diretta, dovunquee da vicino: si stia facendo musica, o frodando un pivello giocando a carte. E c'è ancora un dipinto, a chiudere questa fase: ed è il Riposo nella fuga in Egitto della Galleria Doria: un incanto che sta in bilico fra il passato, il presente, e il futuro del pittore, con ancora memoria del Lotto e del Savoldo, lievità e trasparenze che presto andranno perdute, e quell'efebo rosso, di carnale bellezza, piovuto dall'alto in un brano di campagna romana col suo violino,a cullarei sogni della moglie del falegname.

La Giuditta e Oloferne di Palazzo Barberini, la grande Conversione di Saulo di proprietà privata, e la Cena di Emmaus di Londra contrassegnano un ulteriore avvicinamento alla pienezza dello stile maturo, che sarà raggiunto con le grandi commesse per le chiese di San Luigi dei Francesi (1600) e Santa Maria del Popolo (1601).

Questa pienezza, che fa di ogni dipinto un dramma colto nell'attimo più significante, dove la luce e l'ombra sono protagonisti quantoe ancor più dei corpi che le tenebre interrompono, e in cui lo spettatore non resta «fuori», ma con accorgimenti è come risucchiato, ha nella mostra per grandiosa testimonianza la Deposizione (1601-4) dei Musei Vaticani.

Successo, soldi, contentezza di quel che fa... È il momento più roseo di una vita torbida e risentita: e ne sono espressione l'ilare e quasi pagano San Giovanni Battista della Pinacoteca Capitolina, l'Amor vincit omnia di Berlino: «Quasi un congedo ironico» (per Roberto Longhi) «dai simboli, allegorie e "Paraphernalia" del Rinascimento». Alla stessa fase appartengono il Sacrificio d'Isacco degli Uffizi, la Incoronazione di spine di Vienna, la Cattura di Cristo nell'orto di Dublino; ed ancora il Battista, in altre due versioni: un Santo, questo, ritratto in vari contesti tanto spesso da suggerire che il pittore, per più versi, lo senta affine come figura e destino.

Il bel tempo non dura. Tutti i quadri che seguono nel percorso espositivo sono quelli di un uomo in fuga: un uomo che in una rissa di strada, il 25 maggio del 1606, ha ucciso un tale che gli reclamava dieci scudi. La Cena di Emmaus di Brera, così diversa per gravità e costrutto dall'altra in mostra, è dipinta a Zagarolo, il rifugio di prima istanza, dove il Caravaggio si sente protetto dai Colonna. Di là, per sicurezza, scende poi a Napoli, dove comanda la Spagna e si ha riguardo per la sua fama. Qui il fuggiasco si rilassa, sentendosi apprezzato e in clima consono al suo teatro di realismo plebeo. Di un tal soggiorno, che dura più di un anno, son frutto tre capolavori, di cui il primo( Le sette opere di Misericordia) è proverbiale, ed un altro, la Flagellazione di Cristo, è presente in mostra.

L'Amore dormiente di Palazzo Pitti è invece dipinto a Malta, ulteriore rifugio; e rispecchia nella sua cupezza lo stato d'animo sempre più sconsolato e tetro dell'autore, che nella Decollazione del Battista, per la Cattedrale della Valletta, si esprime al massimo grado. Un tale umore porta anche a un litigio, per cui il pittore è imprigionato; ma, evaso, fugge in Sicilia, dove erra inseguendo commesse di città in città. L'Adorazione dei Pastori di Messina e l'Annunciazione di Nancy sono sussulti di uno stile ancora conforme alla Decollazione di Malta, appena ravvivato dal colore e calore del nuovo ambiente. Siamo agli sgoccioli di una vita tutta di luce e tenebra, come quella che lui dipinge: ancora pochi mesi, e sarà la fine, a Porto Ercole, dove, al confine con lo Stato pontificio, il Caravaggio si è consumato aspettando la grazia che gli è stata promessa ma non viene. Il Davide della Galleria Borghese (che chiude la rassegna), dove la testa recisa del Golia è un autoritratto, può esser letto come il manifesto di un dramma esemplare: quello dell'eroe che per cruccio e furori si distrugge.