martedì 23 febbraio 2010

il Fatto 23.2.10
Il caso Bonino
di Furio Colombo

C’è dell’assurdo in ciò che sta succedendo intorno a Emma Bonino dopo che la candidata del Pd in una regione chiave come il Lazio ha fatto sapere di avere iniziato lo sciopero della fame e della sete. Il problema è dove e a carico di chi collocare questo assurdo che graficamente si potrebbe rappresentare solo con “L’ Urlo” di Munch. Ci guida dentro l’assurdo la frase di Rosy Bindi che ha detto, più o meno: “Ma questa è matta, fa la radicale invece di fare la candidata del Pd. Avevo ragione io a non fidarmi”. Questa frase è come la Bibbia incisa su una capocchia di spillo. In miniatura si trova tutta la storia. Primo. La Bonino fa la radicale (tavolini, raccolta di firme, ostinazione su battaglie della legalità, tipo trovare i verificatori di firme, l’ossessione un po’ noiosa d’informare su chi e perché si candida) in quel paesaggio tipo San Fratello che è la vita pubblica italiana. In esso la comune saggezza suggerisce di non insistere (vedi il conflitto d’interessi, vedi il trattato di alleanza militare con la Libia) e di cercare benevolenza invece che la soluzione del problema. Secondo. La Bonino adesso è la candidata del Pd. Ha ben altri doveri. Si adegui se non vuole che si dica che ha già rotto il patto. Qui c’è un vistoso errore, che persino gli elettori distratti avranno notato. Non è la Bonino che, nascondendo il saio dei radicali penitenti, è andata dalPdavederesec’eraunposto.ÈilPdchesiè recato dalla candidata radicale alla presidenza della regione Lazio per chiedere (ottima idea, continuo a pensare): vuoi essere la candidata del Pd? Vero, c’è stato chi si è dichiarato sospettoso, ansioso e scontento (Franceschini). Ma un nome alternativo non è mai stato proposto. Ed Emma Bonino è sembrata subito la soluzione (forse vincente ma certo unica) al problema del Pd nel Lazio, dopo la vicenda Marrazzo. Terzo. Adesso la Bonino fa sapere due cose: che il rappresentare il Pd (che sta facendo da subito e bene) non la separa da vita, legami, impegni, militanza, passato e visione su ciò che accade in Italia; e che, certe volte, questo legame chiede la tenacia e l’ostinazione di non lasciar perdere. Esattamente ciò che ha indotto il Pd a decidere: ecco la persona giusta. Bene. Ma come si esce dalla contraddizione di fare una simile campagna elettorale continuando lo sciopero della fame e della sete? Domanda ansiosa e ragionevole, vista l’importanza di vincere in questa regione e in queste elezioni. Però, benché estranea alla consueta vita italiana, la Bonino non sta chiedendo la luna. Volete dire che è impossibile oggi in Italia, raccogliere firme, candidarsi, informare, essere informati, votare con piena coscienza di causa, partiti grandi e partiti piccoli, un paese in cui la Costituzione c’è e vale per tutti?

il Fatto 24.2.10
Lo sciopero della fame della Bonino che non piace ai cattolici del Pd
Ma la candidata radicale replica: “Non mi sto approfittando di nulla”
di Stefano Ferrante

A gettare acqua sul fuoco è Bersani: “Emma sta sollevando una protesta che va ascoltata”

Nella sede nazionale del Pd si cerca di dissimulare l’irritazione. Per il secondo giorno consecutivo Emma Bonino è attesa come Godot. Dopo il forfait alla presentazione dei candidati del centrosinistra organizzata dai Democratici, lo stallo, ieri, nella direzione laziale del partito costretta ad attendere fino a tarda sera il ritorno a Roma dell’aspirante governatrice per sciogliere il nodo dei candidati del “listino”.
Perché la Bonino fa due campagne: quella di candidata del centrosinistra nel Lazio e quella di capolista dei radicali che corrono da soli in Lombardia; è insieme trait d’union della coalizione nel nome del rassicurante slogan “ Ti puoi fidare” e leader militante impegnata in uno sciopero della fame e della sete per la legalità nella raccolta delle firme per le liste dall’inconfondibile copyright pannelliano. Un marchio indigeribile per gli ex popolari del Pd. Che dopo lo sfogo della vicepresidente del partito Bindi in un’intervista al Corriere (“Emma si sta approfittando del suo ruolo di candidata della coalizione per fare le battaglie radicali, le perplessità che ho sempre avuto sul nome ora crescono, così è venuta meno la lealtà") rispolverano le vecchie obiezioni: “Tra gli interessi generali e contemplare il proprio ombelico c’è una bella differenza” dice Beppe Fioroni. Che spiega che la questione non è tanto nel “modo radicale” della protesta “perché sulle firme Emma ha ragione e quella è una battaglia radicale”, quanto nell’inconciliabilità delle due campagne della Bonino, nel modo in cui è maturata la sua candidatura nel Lazio.
Nonostante i mal di pancia, però non c’è nessun attacco frontale. Al massimo i “franceschiniani” alzano le spalle come per dire “noi ve l’avevamo detto”. Profilo basso, perché il tema dell’autocandidatura della Bonino imposta a un Pd incapace di esprimere un proprio uomo dopo la bufera Marrazzo, sarà semmai argomento da tirare fuori dopo i risultati delle Regionali. Ora la parola d’ordine è non esasperare la polemica. Le comunicazioni dirette tra il Nazzareno, sede del Pd, e Torre Argentina , quartier generale dei radicali, si sono interrotte e si svolgono a mezzo stampa. La risposta all’intervista della Bindi arriva da Radio Due dove la Bonino è ospite di Barbara Palombelli. “Chi non vuole fare lo sciopero della fame perché è faticoso faccia altro. Lei per esempio può sentire il governo per vedere se può fare qualcosa. Non mi sto approfittando di nulla. Chi mi critica invece di sciupare tempo, assodato che è vero ciò che dico, può impegnarsi in altro modo, rivolgendosi al governo o all’associazione dei comuni. Questa non è una battaglia radicale è una battaglia di tutti”.
Così è Bersani a gettare acqua sul fuoco e a tendere la mano alla Bonino: “Io sono sempre sereno, Emma sta sollevando una protesta per problemi istituzionali e credo sia giusto ascoltarla. Chi ha il dovere di ascoltarla lo faccia”.
Toni soft. Non tanto per scongiurare lo scenario – cui nessuno crede davvero – di un dietrofront in extremis della Bonino nel caso del fallimento della battaglia per la presentazione delle liste, che lascerebbe il Pd in braghe di tela, quanto perché, sciopero della fame o no, perplessità cattoliche o meno, la Bonino in base ai sondaggi si sta rivelando cavallo sorprendente. In Transatlantico Enrico Letta glissa sull’imbarazzo dei cattolici e spiega: “ La vicenda dello sciopero della fame per la campagna del Lazio è irrilevante, i dati di ieri danno la Bonino in crescita, a un’incollatura dalla Polverini, può vincere”.
Anche per questo il centrodestra va all’attacco. “La Bonino umilia il Pd – dice il Pdl Gramazio. E la Santanchè ironizza: “ La Bonino sciopera contro il Pd che non la vuole”.

l’Unità 24.2.10
Il digiuno di Emma
di Lidia Ravera

Non è grassa Emma Bonino. Ieri la televisione mostrava il suo viso affilato dal digiuno. Le labbra spaccate dalla mancanza d’acqua. Quarantacinque chili di pura energia cinetica, già intaccati dallo stress elettorale. Quanto potrà durare? Il motivo della protesta: la raccolta firme per le liste non procede, per tutti, con la stessa cor-
rettezza. Chi è più corretto, rischia di non farcela. Chi tira via, ha già le firme necessarie e amen. È un’ossessione democratiEmmaBonino ca, che tutti abbiano
gli stessi strumenti per far valere le proprie idee, che la concorrenza sia leale. La famigerata «par condicio» che, in un Paese dove il potere economico politico e mediatico sta nelle stesse due mani, si configura come una malattia mortale. Di quelle che non lasciano spazio alla speranza. Il suicidio, comunque, non è fra le terapie consigliate. Meglio diventare Governatore del Lazio. Poi si vedrà.

l’Unità 24.2.10
Bersani a Bonino: ti aiuto per le firme
Il caso del listino. La candidata radicale vuole metà nomi per sé democratici contrari
Sondaggio premia il Pd in 8 regioni

Emma Bonino prosegue lo sciopero della fame e della sete, sostenuta con un’analoga iniziativa da personalità del mondo della cultura e dello spettacolo come Mariangela Melato, Marco Bellocchio, Eugenio Bennato. Pier Luigi Bersani le telefona e le assicura che gli amministratori locali del Pd si impegneranno nell’autentica delle firme per le liste Radicali e registra soddisfatto che i sondaggi danno il centrosinistra in vantaggio in otto delle tredici regioni che vanno al voto. La minoranza franceschiniana e l’ala cattolica della maggioranza (con Rosy Bindi in testa) mordono il freno ma il loro malumore per la mossa della candidata laziale viene comunque fuori.
Bonino chiede che la legge sulla raccolta delle firme per le liste sia rispettata. Bersani dice che «va ascoltata», ma nel Pd voci critiche si sentono in Area democratica (Giovanna Melandri e Paolo Gentiloni discutono del caso animatamente nel Transatlantico della Camera) e anche Rosy Bindi giudica poco leale il comportamento della leader Radicale, che così appare più interessata al destino delle liste Bonino-Pannella che a quello della Regione Lazio. Controbatte Bonino: «Chi non vuole fare lo sciopero della fame perché è faticoso faccia altro. Lei per esempio può sentire il governo per vedere se può fare qualcosa».
A complicare le cose c’è anche la questione listino, ovvero la lista di 14 consiglieri che si aggiudicano automaticamente un seggio in caso di vittoria. I Radicali vorrebbero riservarne la metà a personalità della società civile, lasciando al resto della coalizione l’altra metà. Ipotesi che non piace al Pd.
Bersani è ottimista sul piano generale, visto che i sondaggi appena ricevuti danno il centrosinistra in vantaggio in Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Basilicata, Piemonte, Liguria e Puglia. Polverini e Bonino sono 40 a 39. Ma Bersani registra anche la bassa percentuale di intervistati che ritengono più probabile la vittoria della radicale, e teme che la sua iniziativa non aiuti. S.C.

Repubblica 24.2.10
“La Bonino pensi a vincere, basta scioperi"
Letta e Marini attaccano. Bersani le offre sostegno. Lei: la mia campagna c´è
Irritati anche Franceschini e Melandri. Secondo i sondaggi pd il Lazio è a portata
di G. D. M.

ROMA - Il vicesegretario del Pd Enrico Letta mostra gli ultimi sondaggi, quelli di ieri. Lazio: 49 per cento Polverini e coalizione di centrodestra, 48 Emma Bonino. Così fa anche più male la protesta della leader radicale. «Questa partita possiamo vincerla. Perciò Emma lasci perdere lo sciopero della fame e si concentri sulla campagna elettorale», taglia corto Letta. Franco Marini non ha mai avuto i dubbi di altri cattolici e dell´area popolare sulla candidata del Lazio. L´ha sempre considerata competitiva, non gli ha mai fatto velo il passato di battaglie malviste dal Vaticano. «La penso allo stesso modo, la Bonino ha tutte le caratteristiche per fare bene la presidente della regione. Ma adesso la candidata di una coalizione ha il dovere di un impegno straordinario per vincere la sfida». In una parola, basta. «La battaglia richiede dedizione assoluta», insiste l´ex presidente del Senato. E nessuna distrazione.
Ieri Pierluigi Bersani ha telefonato alla Bonino. Le ha garantito l´impegno del Pd per la raccolta delle firme a favore delle liste radicali. Un soccorso democratico che risponde a un bisogno immediato. «Io sono sereno», ripete il segretario Pd. La leader radicale insisterà con il governo per una rettifica delle norme sulla presentazione delle liste. È una toppa, quella del Pd, ma serve ad arginare il malumore dei democratici contro la candidata. Per motivi diversi, nel partito si respira un´atmosfera di irritazione per Emma. I cattolici non l´hanno mai avuta in simpatia. Girano per il Transatlantico con l´aria di chi pensa «ve l´avevo detto». Beppe Fioroni non ha dubbi: «Sono antico e non mi piace la politica moderna. Mi devono spiegare, Pannella e Bonino, come si può fare la campagna di tutti nel Lazio e andare contro il candidato del Pd in Lombardia». Brucia ancora l´assenza di Bonino alla presentazione dei candidati del centrosinistra a Roma, per di più nella città chiave della sua sfida. Al dissenso dei militanti la radicale risponde così: «Sono stata Rieti, a Viterbo, in tutti gli ospedali, ai mercati. Nessuno mi può dire che non sto facendo campagna elettorale. Ma decido io dov´è importante stare e quando. L´appuntamento di lunedì si può recuperare». Rosy Bindi ha parlato di «slealtà di Emma», di dubbi confermati sull´affidabilità radicale. La Bonino, a 28 minuti, ribatte: «Invece di criticarmi Rosy mi dia una mano nella battaglia di legalità». La candidata del Lazio sta facendo lo sciopero della fame e della sete per contestare gli ostacoli nella raccolta delle firme per le liste e per l´assenza radicale nelle reti Rai. Ma questo oscura la partita del Lazio?
Rosa Calipari, dirigente della mozione Marino, la più vicina alle posizioni della Bonino, sostiene la sua battaglia: «Trasparenza, legalità: sono lotte sacrosante. Emma è coerente con la sua storia personale e politica. La campagna sulle regole non la distrae e mi sembra che ci sia piena disponibilità a sostenerla, dopo le prime resistenze». Giovanna Melandri continua ad avere il dente avvelenato con i radicali per il regolamento sulla par condicio che cancella i talk show. «Sulle regole invocate dalla Bonino dobbiamo essere chiari: condivido la battaglia per le firme, considero miope e incostituzionale il voto della Vigilanza del radicale Beltrandi. Comunque - dice la Melandri - siccome nel Lazio si può vincere sarebbe bene che Emma tornasse a fare campagna a tempo pieno». Commenta sconsolato Paolo Gentiloni: «La Bonino è Bonino, prendi tutto il pacchetto». Tace invece Dario Franceschini il primo a dire in pubblico che lui non avrebbe mai candidato la vicepresidente del Senato: «Non voglio far male alla causa».
La causa, negli ultimi dati demoscopici, sembra avere qualche chance di successo. Il Pd ha chiesto rilevazioni sulle regioni chiave e in bilico. In Piemonte la Bresso è 52 a 49 sull´avversario, in Liguria è in testa anche se di poco, in Puglia i numeri dicono 46 Vendola, 41 Palese, 13 Poli Bortone. E il Lazio è sul filo. Per questo Bersani e Bonino hanno stabilito un filo diretto.
(g.d.m.)

Repubblica 24.2.10
Pannella: non me ne frega niente se i Democratici sono irritati, ma neanche noi vogliamo perdere
"Emma potrebbe ancora ritirarsi la battaglia vera è sulla legalità"
di Goffredo De Marchis

L´assenza di Emma alla presentazione dei candidati Pd? Non c´erano neanche altri
47 milioni di italiani non sapevano niente finora della raccolta di firme per le liste

ROMA - I malumori del Pd sono l´ultimo dei suoi problemi: «Non me ne frega niente», dice Marco Pannella chiuso nella sede radicale di Torre Argentina per l´ennesima riunione con Emma Bonino e gli altri dirigenti del partito. «È la battaglia di legalità che mi interessa: 47 milioni di italiani che non sapevano niente della fase pre-elettorale, della raccolta di firme per le liste, della corruzione rispetto alla legge, non solo quella per il denaro o per il sesso, della Rai che non dà voce a noi e ad altri».
La minaccia di un ritiro della Bonino nel Lazio è ancora in piedi?
«Valutiamo giorno per giorno, con vigore e con umiltà, l´ipotesi di una scelta responsabile».
Per capirci, gli elettori del Lazio possono essere sicuri di trovare la Bonino candidata il 28 marzo?
«Assolutamente no. Non possono avere la certezza di poter votare Emma. Quello che faremo non lo sappiamo noi e non lo può sapere nessun altro».
Allora?
«Siamo sempre stati capaci di trovare soluzioni terze, vedremo».
L´assenza della Bonino all´assemblea dei candidati del centrosinistra non era dovuta solo a un problema di agenda, quindi.
«Perché, la cerimonia dei governatori era un grande evento? Era il centro della politica? Secondo me no. Comunque non c´erano nemmeno Errani e Penati. Dovrebbero apprezzare la prudenza di Emma, che non voleva far coincidere l´inizio del digiuno, la sua azione non violenta più dura, con l´appuntamento dei candidati».
Bindi parla di radicali sleali, altri dirigenti del Pd sono preoccupati per una campagna elettorale oscurata dallo sciopero della fame e della sete.
«Alla Bindi abbiamo risposto: occupatene anche tu della battaglia di legalità. Noi radicali saremmo lietissimi di difendere la legge assieme a qualcun altro. Questo è quello che ci preme: restaurare immediatamente la legalità. E lo diciamo anche al Pd, certo».
Perché dovrebbero aiutarvi in Lombardia dove vi presentate contro il loro candidato?
«Ma di che parlano. Noi contro Penati? Non è vero. Vogliamo che ci sia un´opposizione ampia al governo partitocratico e ladro della Lombardia. Penati, anzi, è uno dei più decenti, ma vogliamo condurre la nostra battaglia contro il regime lombardo dei misfatti clericali».
Fate la campagna elettorale o lo sciopero della fame?
«Sono la stessa cosa. Se uno vuole fare la battaglia fedaralista regionale lo fa lottando contro le vandee, contro chi non applica le leggi regionali. E Bersani non fa l´apologia di Emma perché è una fuoriclasse, competente e brava, ma perché è una radicale come lui lo sa benissimo. Emma non è autocandidata, è in pista dallo scorso giugno. Per il Pd».
Qualcuno sospetta che perso per perso il Lazio puntate a fare il pieno dei voti di lista.
«A noi interessa perdere il Lazio? Ma cosa dite. Mica siamop masochisti, non siamo affetti da manie suicide. Quello che cerchiamo è imporre a destra e sinistra l´abc delle regole democratiche».
Sono bene accette le firme del Pd?
«Fa piacere che i democratici si pongano il problema in modo radicale, questo sì. Ma sia chiaro: la Bonino è la Bonino, non è mica una di loro. È solo un´alleata che testimonia, con la sua candidatura, una virata positiva del Partito democratico. Detto questo, a noi interessa stanare la questione giuridica».
Dopo la garanzia di Bersani il digiuno può essere interrotto?
«Noi vogliamo raccontare, come la Arendt, la banalità del male, il senso di un regime che dura ormai da tre o quattro generazioni e che ha creato un´antropologia ancora più del Ventennio. È quello che facciamo da 30 anni e che continueremo a fare».

il Riformista 24.2.10
Il Pd nella trappola di Emma
di Peppino Caldarola

Ditemi voi se si può fare una campagna elettorale così. Ieri Emma Bonino ha replicato ai quei dirigenti del Pd che hanno messo in discussione la sua scelta di proclamare lo sciopero della fame e della sete per ottenere un diverso sistema di raccolta delle firme per la presentazione delle liste e una presenza televisiva maggiore per i radicali. La Bonino ha detto al Pd: «Invece di criticarmi, fate qualcosa». È scattata così la trappola per il Pd. Formalmente gli obiettivi della Bonino sono il Governo e il Parlamento. Sostanzialmente ha aperto un fronte con il partito che l’ha voluta come candidata presidente della Regione Lazio. Molti dirigenti piddini hanno introiettato il senso di colpa e già si stanno sbracciando per dare ragione alla leader radicale. Non capiscono di essere loro nel mirino del fuoco amico. A mano a mano che i giorni passeranno l’obiettivo polemico dei radicali diventerà il centrosinistra che fa poco per far vincere i radicali. Che dovrebbe fare la coalizione? Dovrebbe battersi per ottenere l’esenzione del Partito radicale dalla raccolta delle firme, dedicando a questo tema tutte le energie e rinunciando, quindi, alla campagna elettorale. Fin qui passi. Ma sull’altro tema, quello dell’informazione, che cosa si aspettano Bonino e gli altri? Che il Pd apra uno scontro generalizzato con tutto il sistema di informazione per ottenere più visibilità per i Radicali? Insisto, è una trappola. Forse l’obiettivo è solo quello di avere più posti per i radicali nel listino.

il Riformista 24.2.10
Regionali. Botta e risposta con la Bindi: «Invece di criticare Rosy mi aiuti»
Adesso nel Pd è vera rivolta anti-Bonino
Dopo l’apertura ufficiale della campagna, la candidata diserta anche una tappa a Guidonia. D’Ubaldo, responsabile del programma: «Si fa prima a dire quali problemi non ha creato».
di Emanuele Colasanti

«Si fa prima a dire quali problemi non ha creato», sbotta lo stesso responsabile programma della campagna elettorale nel Lazio, l’ex dc di lungo corso e oggi senatore Lucio D’Ubaldo. La decisione di Emma Bonino di iniziare, ormai da due giorni, lo sciopero della fame e della sete a causa del macchinoso e penalizzante sistema di raccolta firme per la presentazione delle liste – sistema che, a suo dire, penalizza i Radicali – ha creato non pochi problemi, al Pd. Tecnicoorganizzativi da un lato, come dice, per smussare i toni della polemica il coordinatore della campagna, Riccardo Milana (senatore a sua volta). Infatti, la Bonino è rimasta tutto il giorno a Milano anche ieri, dopo aver «disertato» (titolo dell’Unità) la presentazione di tutti i candidati presidenti organizzata dal Pd lunedì scorso al teatro Alibert, con tanto di nome della Bonino scritto grande, affianco a quello di Bersani.
E così, all’appuntamento elettorale già fissato in quel di Guidonia, a parlare al suo posto ieri pomeriggio c’era Milana. «Domani (oggi per chi legge, ndr.) torna, e si continua a lavorare», sbotta secco Milana, che pure non nasconde la “rivoluzione” subita dall’agenda. Per dirne un’altra, l’altro giorno la Bonino ha saltato anche un altro appuntamento non di poco conto, quello con la potente Confcommercio. Certo, pubblicamente il partito – specialmente quello di rito bersaniano – continua a fare quadrato intorno al candidato presidente, come già ha detto e ripetuto più volte lo stesso segretario nazionale Pierluigi Bersani. Anche il segretario del Pd laziale, Alessandro Mazzoli, ribadisce la sua solidarietà a Emma, intervenendo nel corso della direzione regionale del suo partito che si è tenuta ieri pomeriggio a Sant’Andrea delle Fratte, e sprona il Pd all’impegno e alla mobilitazione, annunciando anche che, entro oggi, vi sarà la definizione delle liste, a partire dai nomi del listino. Il centrodestra sfotte e punge, il problema resta e il malumore del Pd pure.
Lo ha reso palese, sul Corriere della Sera di ieri, la presidente nazionale Rosy Bindi, che ha accusato la Bonino di «slealtà» e rivelando di nutrire «sempre più dubbi», sulla sua candidatura. La leader radicale ha risposto, altrettanto a muso duro: «Invece di criticarmi faccia qualcosa, e ci aiuti», ha detto dai microfoni di Radio 2 Rai. Le critiche arrivano dal livello locale come da quello nazionale, dentro il Pd. E sono quasi trasversali alle aree. Il popolare Pierluigi Castagnetti, che non ha mai nascosto i suoi dubbi sulla stessa candidatura della Bonino, non vorrebbe fare altre polemiche, ma teme «una campagna elettorale tutta sulle spalle del Pd» e la scarsa, o quasi nulla, «capacità coalizionale dei radicali, che mettono sempre davanti loro stessi, rispetto alle logiche e alle esigenza della coalizione». Il veltroniano Stefano Ceccanti è un altro che nutriva dubbi ab urbe condita: «La candidatura Bonino poteva e può essere di tutti o solo dei radicali, ma nasce ambigua. Ecco perché avrei preferito le primarie».
Le battute del popolare Fioroni si sprecavano, l’altro ieri, alla kermesse nazionale del Pd («Speriamo che lo sciopero della fame non diventi uno sciopero di voti») e anche se il suo fidato luogotenente sul territorio e nel comitato Bonino, D’Ubaldo cerca, come gli altri maggiorenti del Pd, di metterci una pezza, malcontento e malumore continuano a serpeggiare. «La Bonino è la candidata di tutti – spiega paziente – e tale deve essere, non può venir meno al proprio ruolo o dimenticarsene, anche solo per 48 ore, abbandonando il Lazio e pensando solo ai radicali. Una cosa del genere, da parte di un candidato presidente di centrosinistra, non s’era mai vista».
E visto che le disgrazie non arrivano mai da sole, basta ascoltare uno stimato sondaggista come Roberto Weber per scoprire che «l’esibizione ostentata di un profilo radicale forte inficia la logica coalizionale della Bonino e si traduce in una minore capacità di presa sull’elettorato. Un problema ancora maggiore se si pensa che le due coalizioni sono molto vicine, la trasversalità di entrambi i candidati sta evaporando e si vince se si fa il pieno dei voti della propria parte politica». Nel Pd lo sconforto sale.

Repubblica Roma 24.2.10
Bonino-Polverini, testa a testa nei sondaggi
Tra le candidate scarto da 1 a 2 punti, centrosinistra in rimonta. È indeciso il 20%
di Giovanna Vitale

A poco più di un mese dal voto scoppia la guerra dei sondaggi. Che però, al netto di piccoli scostamenti percentuali, offrono tutti lo stesso risultato: Renata Polverini è in leggero vantaggio su Emma Bonino, ma complessivamente la coalizione di centrosinistra guadagna terreno rispetto a un centrodestra in arretramento. Gli indecisi, in grado di sovvertire ogni pronostico, si confermano terzo partito: tra il 15 e il 20% a seconda dell´istituto di ricerca.
È quanto emerge dalle due diverse rilevazioni - Crespi per Omniroma e Swg per il Pd - pubblicate ieri. La prima, effettuata tra il 18 e il 22 febbraio, dà la segretaria Ugl avanti di una lunghezza rispetto alla vicepresidente del Senato (40 a 39), mentre scende a soli 5 punti il distacco tra gli schieramenti (erano 10 due settimane fa): con il centrodestra al 51.5% (Pdl 42, Udc 5.5, Destra 3) contro il 46.4 del centrosinistra (Pd 27.5, Idv 6, Lista Bonino-Pannella 5.4, Federazione sinistra 3, SeL 2, Verdi 1.5). La seconda fotografia assegna invece a Polverini fra il 47 e il 51%, a Bonino tra il 45 e il 49, con uno scarto medio di 2 punti, lo stesso certificato nei giorni scorsi dall´Ipsos. La differenza tra i due sondaggi resi noti ieri starebbe dunque nella forbice che separa le coalizioni: appena il 2,5% per Swg, con il centrosinistra che sale complessivamente al 47% (era al 43.9 alle europee e al 46 un mese fa) e il centrodestra che scende al 49.5 (meno 1 sulle europee, meno 3 su gennaio). Entrambi tuttavia concordi su un dato: l´exploit della Lista Bonino-Pannella, accreditata fra il 4.5% (Swg) e il 5.4 (Crespi), alza sì l´asticella della coalizione ma erode consensi a un Pd che oscilla tra il 25.5 e il 27.5, sotto la performance europea. Comunque «la prova della rimonta di un centrosinistra che», secondo il segretario democratico Alessandro Mazzoli, «ha le carte in regola per vincere». Sorpreso anche il sondaggista Crespi: «Polverini è favorita, ma sarà battaglia fino all´ultimo e il risultato finale nel Lazio è quanto mai incerto», spiega. «Assistiamo a un avanzamento del Pd e del centrosinistra in generale e a un arretramento del Pdl e del centrodestra. In ogni caso il fatto che a 30 giorni dal voto Bonino sia in corsa è clamoroso in una regione in cui il centrosinistra, dopo il caso Marrazzo, sembrava dovesse essere spazzato via».

l’Unità 24.2.10
Editoria, i contributi tornano
Non per radio e giornali minori
Giochi ancora aperti sull’editoria. La proposta di governo e maggioranza salva i giornali solo per il 2009, ma impone costi pesantissimi al sistema radiofonico. Fnsi: è cannibalismo. Pd: lavorare ancora. Oggi il voto.
di Bianca Di Giovanni

Oggi il voto conclusivo sulle «milleproroghe»: un emendamento ripristina parzialmente i fondi
Le opposizioni presentano un sub-emendamento. La Fnsi contraria: «È cannibalismo»

Quella dell’editoria resta una battaglia aperta. Il finanziamento alle testate di idee e non profit ha tenuto banco per l’intera giornata alla Camera. Riunioni su riunioni, che hanno fatto slittare per tutto il pomeriggio l’avvio del voto in Aula sul Milleproroghe. Si è lavorato per un emendamento condiviso. Ma in serata si è ottenuto un testo molto rischioso, che apre nuovi problemi. Si capirà oggi, al momento del voto, se nella nottata sono stati fatti ulteriori passi avanti. Per il momento il Pd ha presentato un subemendamento al testo, per correggere le storture introdotte.
DISCRIMINAZIONE
Il relatore, Massimo Polledri (Lega) definisce il testo prodotto da maggioranza e governo «un compromesso più che accettabile tra l’esigenza di fare pulizia in alcune zone grigie salvando però l’occupazione nel settore». In realtà a un dato positivo, cioè il ripristino del diritto soggettivo sul 100% dei fondi relativi al 2009 (che si versano nel 2010), si aggiunge però una drastica discriminazione. Vengono infatti spazzati via le radio, i giornali dei consumatori e quelli degli italiani all’estero. Quanto ai fondi per il 2010 (da versare nel 2011), la situazione attualmente resta quella introdotta con la finanziaria: niente diritto soggettivo è un possibile taglio di risorse tra il 20 e il 40%. Le opposizioni hanno presentato un emendamento che reintroduce radio e giornali esclusi dal finanziamento, mentre in serata si è tenuto un altro lungo confronto per affrontare anche il nodo relativo al 2010: senza diritto soggettivo all’acceso ai fondi, infatti, resta assai complicato redigere i bilanci preventivi.
REAZIONI
La reazione del sindacato dei giornalisti non si è fatta attendere. «Se fossero confermate queste notizie scrive in una nota la Fnsi anziché la soluzione di un problema avremmo un danno con beffa: si tratterebbe infatti della cannibalizzazione ai danni del sistema delle radio private e della stampa per gli italiani all’estero. La grande mobilitazione a favore dei giornali messi a rischio dai tagli dei fondi non può trovare risposta attraverso lo spostamento del danno su un altro settore dell’informazione. Il Governo presti attenzione urgente a non combinare un pasticcio grave. il diritto soggettivo per i giornali non può essere alimentato togliendo i fondi per i rimborsi delle tariffe elettriche e telefoniche e per l’utilizzo delle agenzie di stampa previsti per il sistema radiofonico locale».
Intanto l’Aula ha iniziato a votare le altre parti del provvedimento. È stata sventata, anche questo grazie al pressing delle opposizioni, l’ipotesi dell’ennesima fiducia. Respinta per soli 18 voti la proposta del Pd Pierluigi Mantini che proponeva la certezza per legge della sospensione delle tasse per i lavoratori dipendenti e i pensionati del cratere dell’Aquila. Ancora una volta nulla di fatto per i terremotati. Passa invece all’unanimità la proposta della Pd Manuela Ghizzoni che consente alle Università con i bilanci 2009 in ordine di usare parte delle proprie risorse per nuove assunzioni. «È un’importante vittoria del Pd dichiara Ghizzoni che dimostra che, quando c’è la volontà comune di risolvere i problemi del Paese, in parlamento si possono trovare soluzione condivise che superano gli schieramenti».❖

l’Unità 24.2.10
Biotestamento, che inganno Non alimentate...il cadavere
La commissione Affari sociali della Camera approva una modifica al biotestamento che sembra un’apertura alle ragioni delle opposizione, ma che in realtà, spiega Ignazio Marino, si limita a sancire un’ovvietà.
di Susanna Turco

Una modifica inutile e oscurantista: «Alimentazione e idratazione sospese se non efficaci»
È come ribadire il no all’accanimento. L’opposizione: «Un’ovvietà, una truffa»

Nel migliore dei casi si tratta di un’ovvietà. Nel peggiore, di una presa in giro. Questo, a sentire le parole non solo dell’opposizione, ma anche di una parte del Pdl (finiani, manco a dirlo) il brillante risultato raggiunto ieri in commissione Affari sociali della Camera, impegnata nella discussione sul biotestamento (fino a dopo le Regionali, pare). È stata infatti approvata una modifica che va al cuore del provvedimento. Ma solo in apparenza.
L’emendamento, presentato dal relatore Domenico Di Virgilio, approvato per 23 a 13 con il no dell’opposizione (eccetto la Binetti), e salutato da monsignor Fisichella come «una difesa della vita» , prevede infatti che alimentazione e idratazione pur continuando a essere escluse dalle dichiarazioni anticipate di trattamento (dat), possano essere sospese in «casi eccezionali». Si tratta forse di una marcia indietro della maggioranza? Assolutamente no: come spiega anche Di Virgilio, alimentazione e idratazione continuano a non essere considerate una cura, e nessuno potrà quindi chiedere di rinunciarvi. Ciò che cambia, da ieri, è che potranno essere sospese quando il paziente non è più in grado di assimilarle.
PLATEA ALLARGATA
Ora. La modifica, a sentire la maggioranza, è funzionale a un altro emendamento (non ancora approvato) che allargherà la platea di persone alle quali si applica la legge: non solo i pazienti in stato vegetativo (poco meno di tremila) ma anche i malati terminali (250 mila). «Si tratta di casi diversi, il ddl Calabrò andava modificato», spiega Di Virgilio. Sta di fatto che, in pratica, il correttivo è «pleonastico», dice il finiano Benedetto Della Vedova. O, peggio, una presa in giro. Come spiega Ignazio Marino, infatti, «somministare una terapia quando questa non è più efficace si chiama accanimento terapeutico, oppure sperimentazione non autorizzata su esseri umani. Se a giudizio del medico la terapia non serve è ovvio che verrà sospesa. Non è necessario che il Parlamento lo indichi in una legge. E far passare un’ovvietà per un’apertura della destra è una presa in giro», dice il senatore del Pd.
Insomma, se non è efficace, qualunque somministrazione non solo può, ma deve essere interrotta, a meno di non ipotizzare dice qualcuno, fuori dai dentidi «nutrire un cadavere». Probabilmente, è proprio il principio di considerare alimentazione e idratazione qualcosa che «non può essere sospeso» fino alla fine della vita per i pazienti in stato vegetativo, ad aver reso ieri necessaria la previsione di poterle sospendere, nel caso si tratti di malati terminali. Sono, per così dire, i paradossi dell’ideologia. In ogni caso, la modifica non affronta il nodo cruciale della responsabilità della decisione. La maggioranza, spiega la Pd Livia Turco, «ha fatto un pasticcio: non è chiaro in quali casi concreti sia possibile la sospensione e chi la decida». Ciò, aggiunge la radicale Maria Antonietta Coscioni, «equivale a rendere inapplicabile la norma: perché nessun medico si assumerà mai la responsabilità di interrompere nutrizione e idratazione senza una chiara indicazione di legge».

il Fatto 24.2.10
Fine vita
Cambia il Ddl: finta apertura ai laici

Il Ddl sul testamento biologico verrà discusso in Parlamento dopo le regionali e riguarderà circa 250 mila persone. Lo ha detto Domenico Di Virgilio (Pdl) che ieri ha presentato un emendamento, approvato dalla commissione Affari sociali della Camera, che ha modificato il disegno di legge allargando la platea delle persone cui la norma si rivolge. Con l’emendamento Di Virgilio, la legge ingloberà non solo le persone in stato vegetativo (stimate in circa 2500-3000), ma anche i malati terminali non più in grado di intendere e volere. Si stabilisce, infatti, che alimentazione e idratazione non possono mai essere sospese “a eccezione dei casi nei quali risultino non più efficaci nel fornire i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo”. Il Pd, in commissione, ha votato contro. “Somministrare una terapia quando questa non è più efficace – ha spiegato il senatore Ignazio Marino – si chiama accanimento terapeutico. Far passare un’ovvietà per un’apertura della destra sul testamento biologico è una presa in giro che umilia la professione medica”. Il punto contestato è questo: “i medici sanno quando una terapia non è più efficace e non è necessario che il Parlamento lo indichi in una legge”. Sarebbe, conclude Marino, come dire che non bisogna somministrare antiepilettici a chi non ne ha bisogno.

il Fatto 24.2.10
Asilo vietato ai bimbi non cristiani
Regolamento voluto da un sindaco Udc nel mantovano
di Elisabetta Reguitti

A Goito, nel mantovano, c’è un asilo comunale, dunque pubblico, che accetta solo i bimbi di famiglie che professano la religione cristiana. E’ la prima volta dunque che un’amministrazione pubblica (in questo caso comunale) subordina all’ispirazione religiosa l’accesso o meno a un servizio pubblico.
Tutto scritto nell’articolo 1 del nuovo regolamento dell’asilo comunale, che pone come condizione all’iscrizione del proprio figlio l’accettazione di una sorta di preambolo religioso: la provenienza da una famiglia cattolica o cristiana. Nel dettaglio: che possano essere iscritti solo bambini appartenenti a famiglie che accettano “l’ispirazione cristiana della vita”.
Il che significa prima di tutto escludere sicuramente una gran fetta degli immigrati per lo più di religione islamica, indù oppure sikh, vista la massiccia presenza di lavoratori impegnati nelle imprese agricole del mantovano e nel veronese. Ma non si tratta solo di questo. Il regolamento potrebbe escludere anche molti italiani.
La domanda infatti è: che significa una famiglia di “ispirazione cristiana”? I divorziati sono considerati tali? E i genitori separati? Senza contare magari i figli nati da coppie di conviventi. Detto questo, resta il fatto che il nuovo regolamento sia stato approvato a maggioranza dal Consiglio comunale di Goito, il cui sindaco Marchetti ha commentato che “pur essendo l’asilo pubblico, da sempre viene gestito secondo criteri che si ispirano al cristianesimo” e di conseguenza non c’è nulla di incostituzionale dal suo punto di vista nell’approvazione di questo regolamento.
Si tratta dunque di una motivazione giustificata dalla tradizione, quella sostenuta dal sindaco. Ancora una volta un’amministrazione locale di centrodestra (sindaco Udc Anita Marchetti appoggiata da Pdl e Lega) si distingue per la creazione di una normativa discriminatoria e soprattutto indirizzata ai bambini. La minoranza politica dell’amministrazione comunale ha inviato un esposto all’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) chiedendo di fare pressione sul comune affinché questo regolamento non venga applicato. In seconda battuta ci si è chiesti come un asilo comunale possa comportarsi come se fosse privato, imponendo vincoli alle iscrizioni dei bambini, tanto più se si tratta di orientamento religioso.
Un aspetto questo sollevato in aula dagli stessi esponenti d’opposizione, che hanno peraltro sottolineato anche come la Costituzione italiana stabilisca, tra l’altro, che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge “senza distinzione di religione”.
Ma nonostante questo si moltiplicano i casi di scelte di governo locale che, con la scusa di sostenere qualcuno, escludono altri, in particolare quando si parla di bambini stranieri: minori nati in Italia da genitori stranieri che però, in base al principio del cosiddetto ius soli, non acquisiscono la cittadinanza italiana per nascita sul territorio nazionale. Tutto quindi sembra andare nella direzione di un sempre maggiore distinguo tra bambini italiani e stranieri da praticare subito: fin dai primi anni di vita.
E sulla vicenda dell’asilo discriminatorio i parlamentari del Pd Enzo Carra e Emanuele Fiano hanno presentato un’interrogazione al ministro Roberto Maroni. Fiano interviene: “Apprendo incredulo che non potrò mai trasferirmi con la mia famiglia nella cittadina di Goito, in provincia di Mantova, perché se avessi bisogno di far frequentare l’asilo comunale ai miei figli ebrei non potrei. Evidentemente, la storia non è stata maestra di vita per tutti”.

il Fatto 24.2.10
Concorso di colpa
di Oliviero Beha

Sabato torna in Piazza (del Popolo) a Roma il “popolo viola”. E già si è ricominciato a parlare di “antipolitica” e altre menate del genere, che perseguitano tutti coloro i quali
non abbozzano di fronte al precipizio del Paese. Intiero. “Antipolitica” mentre la politica si è disintegrata sostituita dai Comitati d’Affari? “Antipolitica” di fronte alla casta-cosca-oligarchia che si è impossessata della democrazia per trasformarla in “Cosa loro”? “Antipolitica” mentre la Moratti di fronte a un assessore con la mazzetta in bocca dice per tranquillizzarci “non è come Mani Pulite” e intanto la ’Ndrangheta occupa vistosamente anche il Nord Italia? “Antipolitica” mentre Berlusconi ci rassicura “non è Tangentopoli” e difatti è piuttosto “berluscopoli”, un modo di razionalizzare l’illegalità a colpi di cosmesi esecutivo-legislativa (un “monstrum” sempre più indistinguibile di cui a lungo subiremo le conseguenze)? “Antipolitica” mentre un leader acclamato come Luca di Montezemolo tuona “combattere la corruzione è impresa titanica”, lui sorta di animale socio-mitologico con qualche piccola pecca biografica? “Antipolitica” se perfino Pisanu, che se non sbaglio ha fatto il ministro degli Interni in periodi delicati, propedeutici a quelli che stiamo vivendo, ammette che “è peggio di Tangentopoli” se non altro perché vengono dopo e sono “nani sulle spalle di giganti” (della corruttela)? Ma sì, chiamatela “antipolitica” per raggirare fin dal linguaggio gente che è stufa di veder stracciata ogni soglia di illegalità sulla porta di un’Italia in cui morale ed etica, raziocinio e cultura sono temibili parolacce. E magari suggerite al “popolo viola” di andare a lavorare con tutto il lavoro che c’è e la meravigliosa trasparenza che anche l’ultima vicenda della Protezione civile inoppugnabilmente dimostra. Tutto chiaro? Si lavora per meriti, si viene chiamati per curriculum, si arriva al posto per concorso e non per un’idea prostituita di favori/disvalori di scambio. Perché allora qualcuno scende in piazza? Non c’è abbastanza libertà di stampa con le schiere contrapposte “libere” di attaccare e
difendere a pedine incrociate sulla scacchiera finta dei mass-media (come se la mia libertà non consistesse piuttosto nello scrivere tutto ciò che penso oppure so e posso dimostrare di chiunque, di Berlusconi ma anche di Bersani, di Lunardi come di Colaninno, di Bertolaso e De Luca ecc.)? E intanto tramano per mettere il bavaglio alle intercettazioni, senza le quali nulla o quasi sapremmo con l’evidenza dovuta delle magagne devastanti di un Paese intiero: numeri falsi sulle persone indagate, cifre false sui costi di queste intercettazioni, alibi falsi sulla presunta e truffaldinamente accampata impossibilità di continuare a farle pur separando l’aspetto della cronaca giudiziaria da quello del gossip nel quale sguazzano i media schierati nel modo spesso “recitato” e complementare degli eserciti politici (di cui sopra). Non sono fantasie di un atrabiliare che vede sprofondare il futuro di figli e nipoti. Basterebbe ascoltare per cinque minuti alle 20 a reti unificate nei tg il giudice Nicola Gratteri, esperto di ’Ndrine e high tech nonché autore con Nicaso dello splendido “La malapianta”, che spiega tutto l’affaire delle intercettazioni, per farsene un’idea precisa. Compreso il concorso di colpa che da troppi anni riguarda sia Berlusconi sia i suoi avversari. Diceva giorni fa Enrico Letta al Tg3, dopo aver parlato della necessità di “giustizia e ricostruzione” per l’Abruzzo: “Non credo che la gente si interessi prioritariamente del problema delle intercettazioni”. Era un modo per posporre in aula la questione. Sbagliando di grosso e contraddicendosi in due parole. Se le intercettazioni hanno a che fare con l’illegalità e la giustizia, sono una faccenda di madornale priorità, l’urgenza di un Paese. Che almeno, violaceo, va in piazza.

il Fatto 24.2.10
Ma dov’è la sinistra
risponde Furio Colombo

Caro Furio Colombo, una versione comune vi definisce, voi del “Fatto”, ora come fan di Di
Pietro, ora come “girotondini”, ora come folla di Beppe Grillo. Quando è necessario siete “radicali” o “sinistra radicale”. Quale di queste definizioni vi scontenta di meno?
Adele
LE DEFINIZIONI, o schede di appartenenza, sono tutte giuste e tutte sbagliate. Forse è necessario dividere questa breve e inadeguata risposta in due parti. Una riguarda questo quotidiano, l’altra chi ci abita perché scrive o perché legge. Vediamo. “Il Fatto Quotidiano” si chiama così per mettere bene in chiaro il senso o almeno l’aspirazione di fare giornalismo in questo modo. L’intento è ritrovare i fatti: dove, come, quando accadono. “Tutti i particolari in prima pagina” si potrebbe dire parafrasando i titolo di un celebre film di Nino Manfredi, e in un mondo truccato: il contesto, la sequenza, il prima e il dopo, il sopra e il sotto, l’alto e il basso sono notizie indispensabili, quasi sempre mancanti. E’ la risposta al giornalismo di pura invenzione e propaganda. Oppure Minzolini è la risposta al “Fatto”. Direte, ma le forti opinioni che esprimete ogni momento? La risposta è: mai prima del fatto documentato. E infatti le firme di questo giornale sono spesso redarguite, mai smentite. Quale definizione per chi scrive e legge e lavora in quest’area non vasta ma solida della vita italiana? Non possiamo portare via, e usare per noi, come si fa con grande disinvoltura in molti giornali, la parola “radicale” al partito di Bonino e Pannella.
Come se i Radicali, partito e cultura e attività accanita e appassionata, senza interruzioni e senza vacanze, non esistessero davvero. Contano, se non altro per il loro impegno esemplare sui diritti umani e civili. Ma, anche di più, per la loro visione politica che non provvede frammentazioni di un pezzo o dell’altro. “Sinistra radicale” è una definizione sospesa nel vuoto. Qualcuno di noi ha detto e scritto che è difficile appassionarsi ai convegni della sinistra sulla sinistra. E’ una sorta di sindacalismo ideologico a difesa dei convegnisti, non di un popolo che potrebbe essere la sinistra. Se girotondini (o popolo viola) serve a dire “mai tacere”, “mai rassegnarci” va un po’ meglio. Beppe Grillo è un autore che certe volte si applaude di più e certe volte di meno. Diciamo che ci accomuna la certezza di un male unico in Europa: essere le comparse del mondo privatizzato di Berlusconi. Una parte dei partiti (Pd e Idv), e una parte più grande di italiani, non si danno per vinti e non concepiscono alcun “lasciamo perdere”. Noi siamo qui.

Repubblica 24.2.10
La dieta dimagrante della scuola pubblica
di Chiara Saraceno

Le scuole pubbliche in Italia sono sottoposte ad una energica cura dimagrante su tutti i fronti: orari, offerta formativa, pulizia e manutenzione, materiali didattici, sostituzioni in casi di assenza. La cosa riguarda soprattutto la scuola, dall´obbligo all´università, ma tocca anche le scuole materne.
Il tempo pieno alle elementari è stato ridotto, soprattutto in quelle regioni (e probabilmente singoli quartieri) in cui viceversa una forte, qualificata, temporalmente consistente offerta formativa sarebbe più necessaria per contrastare gli effetti, sullo sviluppo cognitivo e delle competenze dei bambini e ragazzi, del disagio e della povertà. Un po´ in tutta Italia, ci sono scuole che a febbraio non hanno già più soldi per pagare i supplenti. Pazienza se qualche docente si ammala un po´ a lungo, o se per disgrazia una insegnante decide di avere un figlio. I colleghi faranno i turni di presenza per coprire le classi rimaste scoperte, con quali esiti formativi per gli studenti è immaginabile. Ci sono scuole che mandano circolari ai genitori perché si facciano carico della carta igienica e della cancelleria minuta e talvolta anche di lavoretti di manutenzione e di segreteria. Il volontariato dei genitori non è più una benvenuta integrazione alla dotazione di base. È una necessità per mantenere almeno quella dotazione.
Le responsabilità non sono tutte di questo governo, ovviamente. Anche gli insegnanti e i dirigenti scolastici hanno le loro responsabilità nell´avere creato un sistema spesso anarchico, non trasparente, e non valutato nella sua efficacia. Così come coorti successive di genitori troppo spesso sembrano essersi accontentate – o addirittura aver preteso – del fatto che i figli venissero promossi, piuttosto che interrogarsi sulla qualità della offerta formativa. Chi lo fa, se ne ha i mezzi sceglie oculatamente la scuola e la classe. O si rivolge al privato di qualità. La responsabilità di questo governo tuttavia è quella di aver fatto della questione della spesa, o meglio dei tagli, il criterio principale del proprio intervento. Così, appunto, si taglia il tempo scuola, come se tutti avessero a casa genitori senza impegni lavorativi, biblioteche ben fornite, computer, risorse per le attività integrative. E in un contesto in cui gli edifici scolastici sono spesso fatiscenti, al punto che ogni tanto qualcuno ci rimette la pelle, e sorveglianza e pulizia già al limite del necessario e della decenza, il ministero pretende un taglio del 25%.
Le nuove generazioni sono avvisate. Negli altri paesi si discute dell´investimento nell´educazione ad una età il più precoce possibile come forma non solo di investimento in capitale umano, ma di riduzione delle disuguaglianze provocate dalla origine di nascita. Il nostro invece mostra tutto il proprio disinteresse, offrendo un servizio che, a prescindere dalla buona volontà e competenza professionale dei singoli insegnanti, è di bassa qualità a partire dalle condizioni materiali. Lo stesso disinteresse c´è anche nei confronti dei più piccoli. Si destinano poche risorse agli asili nido, e soprattutto si assiste passivamente al loro mancato utilizzo proprio da parte delle regioni che ne hanno meno, in cui la diffusione della povertà tra i bambini è più alta e le disuguaglianze nelle competenze cognitive più elevate, quindi più necessario intervenire precocemente. Lo ha documentato di recente proprio un rapporto del Dipartimento per la famiglia.
A fronte di questo accanimento nei confronti della scuola pubblica, il governo ha fornito viceversa rassicurazioni alla Chiesa cattolica sul finanziamento alle sue scuole. Sorge il sospetto che non siamo solo di fronte ad uno scambio indecente tra legittimazione politica e riconoscimento di un monopolio etico-educativo (che coinvolge anche altri temi). Siamo di fronte anche alla progressiva squalificazione della scuola pubblica a favore di quella privata, che in Italia è soprattutto scuola cattolica. Il terreno è stato ampiamente preparato dall´ingegneria linguistico-legislativa messa in opera dal governo Prodi. Ad esso di deve la trasformazione delle scuole private (incluse quelle materne) cattoliche in "scuole paritarie", per aggirare il dettato costituzionale che ne vincola l´esistenza all´essere "senza oneri per lo stato". Ora siamo, temo, di fronte all´atto finale. Quanto più la scuola pubblica sarà squalificata e privata di risorse, tanto più diventerà la scuola di chi non può scegliere altrimenti, dei poveri, degli immigrati.

Repubblica 24.2.10
Tanto sesso siamo italiani
Si fa l´amore più per piacere (93,8%) che per avere figli (71%) e si continua a farlo da anziani
L´80% condanna l´infedeltà. Per le donne la sessualità resta legata più al sentimento
di Michele Smargiassi

Ora lo facciamo con la luce accesa. Tre volte su quattro. La vergogna è finita. Lo facciamo più spesso, più volentieri, più a lungo nella vita. Ci diverte, ci soddisfa, non ci ossessiona ma ne sentiamo il bisogno. Lo facciamo una volta al mese in più di trent´anni fa, altro che stress e sonnolenza da tivù. Lo facciamo spensierati ma non incoscienti, senza tabù ma con rispetto, via via più audaci e sperimentatori. La sessualità degli italiani (Il Mulino editore, in libreria da domani) è sempre più sensuale, ma non insensata. Giunti all´ultima delle oltre trecento pagine di analisi, grafici e tabelle di quello che non è esagerato chiamare il "Rapporto Kinsey italiano", è palese che la pornomania, nel nostro paese, è essenzialmente una patologia del potere mediatico. Era legittimo temere che la volgarità televisiva interpretasse una dissolutezza pandemica, pescasse in un libertinismo di massa. Ma pagina dopo pagina ci si convince che nel nostro paese la "modernizzazione sessuale" (quanto alla rivoluzione, vedremo poi) non solo non ci sta trascinando verso un bordello di lolite e prosseneti, ma l´abbandono progressivo dei due paradigmi tradizionali, quello ascetico e quello procreativo, insomma del «non lo fo per piacer mio», solo in parte è sfociato in puro edonismo, più spesso in un legame più intenso tra affettività e sensualità, libero da sensi di colpa e di norme imposte, ma non privo di codici e di valori.
L´Italia del «si fa ma non si dice» è profondamente cambiata, rincorrendo un po´ a fatica i trend internazionali: questo l´équipe di sociologi coordinata da Marzio Barbagli, Giampiero Dalla Zuanna e Franco Garelli l´aveva previsto. Sul come, questa ricerca, basata sulle migliaia di interviste di tre successive indagini, riserva invece sorprese rispetto alle tendenze da rotocalco. Esempi. Una sessualità più spregiudicata non distrugge la famiglia, al contrario.
Il single, eroe dell´immaginario libertino degli ultimi vent´anni, ha una vita sessuale meno intensa del coniugato. L´età media della "prima volta" non è scesa tra i banchi della scuola media, e almeno per i maschi è stabile da ottant´anni.
Sì, la coppia trionfa ancora, e il matrimonio è tutt´altro che la tomba dell´amore. Nella classica partita fra scapoli e ammogliati, qui sono i secondi che vanno in gol più spesso: nella maturità sessuale, tra i 30 e i 50, chi vive in coppia si gode ogni mese due-tre rapporti in più di chi vive solo, anche se quest´ultimo cambia partner più spesso. E se i francesi fanno l´amore più di noi (8,8 volte al mese contro 7,6 per gli uomini, 8,7 contro 6,7 per le donne) è solo perché oltralpe si convive di più. La disponibilità di una stanza da letto è un afrodisiaco più efficiente del Viagra. E già: i nostri bamboccioni scopano (scusate, sto esaurendo i sinonimi) meno dei coetanei europei non perché vittime di un crollo della libido nazionale, ma perché lungodegenti in casa dei genitori. Nel frattempo si arrangiano come possono, ma senza fretta. Certo, le ragazze oggi si lanciano prima: quelle nate un secolo fa aspettavano fino ai 22 anni, le ventenni di oggi l´hanno fatto poco dopo i diciotto, cioè appena un anno più tardi dei loro coetanei maschi. Che invece perdono la verginità più o meno alla stessa età dei bisnonni, ossia poco dopo i 17, ma in modo diverso: l´apprendistato con le professioniste è tramontato, oggi si debutta con la morosa, meglio se "fissa". In compenso ci si sposa più tardi: quindi tra la "prima volta" e il primo figlio ora passano dodici anni di vita sessuale attiva, un´enormità rispetto ai tre dei nostri nonni. È per questa lunga parentesi di sesso spensierato e non procreativo che forse è passato il cambiamento epocale. Il ´68 se ne è attribuito il merito, ma per Barbagli «è solo il momento in cui la vita sessuale è diventata raccontabile e il privato è diventato pubblico», insomma il passaggio in cui si è cominciato a dire ciò che da tempo già si faceva.
Comunque, rivoluzione o modernizzazione lenta, l´approdo è un´inedita, travolgente voglia di sperimentare senza imbarazzi. Un´avventura libera che è più bella se vissuta in complicità con un partner affiatato: la vita sessuale degli italiani è fatta di poche relazioni importanti (l´80% non ne ha avute più di tre), con rari intervalli più disinvolti. Il sesso è molto più importante di un tempo, ma non lo si grida ai quattro venti: la rivendicazione "sindacale" è diventata diritto privato acquisito, i figli del ´68 danno per scontato ciò che per i padri era uno strappo scandaloso. Si fa l´amore per il piacere (93,8%) più che per avere figli (71%), e lo si fa a ogni età: per gli uomini forse era più normale, ma che le donne ultrasessantenni dichiarino di avere ancora tre rapporti al mese ha dell´incredibile. Ci si masturba senza complessi (un terzo degli italiani), anche da adulti (il boom del piacere solitario femminile in età matura è un´autentica rivoluzione) e anche da sposati, perché non è un surrogato ma un complemento, perfino "terapeutico"; e la verginità è un feticcio ormai vuoto. Il rapporto di coppia non è più il momento in cui si scopre il sesso, ma quello in cui lo si raffina, senza farsi dire da nessuno come-si-fa e soprattutto come-non-si-fa: per il 71% nel sesso «non c´è giusto o sbagliato». In camera da letto, né psicologo né confessore. Lo dimostra il più sorprendente capitolo della ricerca, quello dedicato ai comportamenti privatissimi dei credenti "convinti e attivi". Tra i cattolici italiani il magistero della Chiesa in tema di etica sessuale sembra dissolto: 83 praticanti su cento ammettono i rapporti prematrimoniali, 81 la convivenza more uxorio, 67 la masturbazione, e non finisce qui: sei su dieci gradiscono il sesso orale, e quasi uno su quattro perfino il sesso anale. Non ci sono ormai più differenze con i laici nel ricorso agli anticoncezionali, i ragazzi di parrocchia usano il condom addirittura più dei loro coetanei miscredenti (più informati, più prudenti?). Se c´è ancora uno scarto fra chi va in chiesa e chi no, non è di qualità ma di grado: la coscienza cattolica morigera, attenua, orienta verso l´affettività e la stabilità di coppia, ma non vieta più tassativamente nulla.
Sembra proprio che, anche per i credenti, il discrimine non sia più "cosa è morale nel sesso" ma "cosa è naturale"; e la natura si mostra molto generosa. Zitti zitti, gli italiani da sessant´anni fanno tranquillamente sesso orale (oggi, 8 uomini e 7 donne su 10), quasi sempre col marito o la moglie (solo il 5% dei maschi lo "compra"); ma quel che sorprende davvero è che sia caduto anche l´estremo tabù: «E quando a letto lui / ti chiederà di più / glielo concederai / perché tu fai così»: spiacenti per Cocciante, se è questo che intendeva, ma oggi non è più necessario essere "bella senz´anima" per accettare ciò che un tempo era sinonimo di perversione e oggetto di derisione: la penetrazione anale, il più diseguale dei piaceri di coppia, è chiesta dagli uomini (41%) ma è sempre più accettata dalle donne (19%), e 42 italiani su cento l´hanno praticata solo con una compagna stabile. Di fatto, essendo gli etero più numerosi dei gay, da noi quel particolare capitolo del Kamasutra va in scena quattordici volte più spesso fra un uomo e una donna che fra due maschi. In questo siamo all´avanguardia mondiale: gli inglesi ad esempio bussano alla back door cinque volte meno di noi; curioso primato italico, forse un´eredità che risale all´antichità, azzardano i ricercatori.
Quanta disinvoltura: siamo diventati immoralisti? No. L´etica sessuale ha solo traslocato dal come al perché, dalle tecniche alle relazioni. In camera da letto tutto o quasi è lecito fra consenzienti, ma guai a chi tradisce: otto italiani su dieci condannano l´infedeltà, due su tre l´andare a puttane. Con qualche tolleranza: la "scappatella tecnica", senza legame affettivo, del marito frustrato, e lo "sfogo" di chi non ha altre opportunità. E qui s´affaccia una delle scoperte profonde della ricerca. Le differenze di genere si colmano, uomini e donne condividono sempre più alla pari la caduta dei tabù e la leggiadria sessuale, ma resta una frattura segreta, non quantificabile perché appartiene alla categoria delle credenze profonde: per le donne la sessualità è sorella del sentimento, per gli uomini del piacere. Antico pregiudizio, figlio della concezione "idraulica" della sessualità maschile («la natura vuole il suo sfogo...») che però continua ad essere condivisa anche da molte donne.
La maggioranza degli uomini (con sorprendente unanimità tra classi, età, istruzione) confessa di considerare sinonimi "piacere" e "orgasmo": le donne, no. Come può funzionare bene questo regime di aspettative discordanti? Eppur funziona, al prezzo di qualche tacito gioco delle parti. Le coperte nuziali sono il sipario di un teatrino in cui è ancora e sempre lui a chiedere, anche se lei sempre più spesso acconsente, anzi magari è lei che manda a lui un segnale di "chiedimelo", ma la formalità antica va rispettata, come se un eccesso di intraprendenza femminile fosse pericoloso per l´equilibrio della coppia. Allo stesso modo funziona il copione del momento clou: nove maschi su dieci pensano che le compagne raggiungano sempre l´orgasmo, ma se lo chiedi a queste, è vero solo per sette su dieci. Se la matematica non è un´opinione, qualcosa non va; infatti, a domanda diretta, due donne su tre ammettono di aver simulato ogni tanto l´orgasmo. Maschi ingenui, donne da Harry ti presento Sally o tacito patto? Si "fa finta" nelle coppie in crisi, per non peggiorare la situazione, o in quelle appena nate, per non comprometterla subito, ma anche in quelle stabili, se lei non vuole deludere lui; in fondo, fare l´amore per il 91% è anche «un modo per mantenere stabile la coppia». È vero che sempre più maschi si preoccupano del piacere delle partner, ma più che una generosa ricerca dell´unisono sembra essere una prova di autostima virile. Immaginari diversi della sessualità convivono sotto l´apparente parità del nuovo "modello affettivo". Sempre più condiviso, egualitario, libertario e sperimentale, il talamo del terzo millennio sembra nascondere un mistero: con reciproco appagamento facciamo l´amore in due, sì, ma non è che poi ciascuno pensa il suo?

Repubblica 24.2.10
Se la trasgressione è un’idea superata
I dati rivelano una società che ha perso molti suoi tabù rispetto al sesso
di Umberto Galimberti

Quando in un sondaggio l´intervista riguarda il sesso, anche se anonima, è difficile che uno dica la verità. Perché nell´atto di rispondere entra in gioco, di fronte a se stessi, l´immagine di sé che ne esce. E siccome ognuno di noi cerca di nascondere a se stesso la propria ombra, le macchine psichiche della rimozione e della negazione, che Freud ha bene illustrato e che ogni psicoanalista verifica parlando a tu per tu con i pazienti in studi ben protetti, entrano in azione automaticamente, per dare a se stessi, prima che agli altri, un´immagine il più possibile apprezzabile di sé.
Detto questo, e accettando per vere tutte le risposte, quel che risulta è che nell´arco di cento anni le pratiche sessuali non sono variate di molto. La differenza è che un tempo erano segrete e oggi sono più verbalizzate, perché la sessualità non è più un tabù. A partire dal ´68, infatti, siamo passati dalla società della disciplina, dove il conflitto era tra la regola e la trasgressione, alla società dell´efficienza e della performance spinta, dove il conflitto è tra adeguatezza e inadeguatezza della prestazione. Non è un caso che i medici ci informano che i giovani, più degli anziani, sono i maggiori consumatori di Viagra e simil-farmaci, e questo ci dice due cose.
La prima è, che se è vero come scrive Freud: «Dove c´è tabù c´è desiderio» (la stessa cosa diceva San Paolo a proposito del divieto della Legge), la liberalizzazione della sessualità e la facile accessibilità alla pornografia hanno determinato una caduta del desiderio che, per essere all´altezza delle prestazioni, ha bisogno di supporti chimici. La seconda è che, se nella pratica sessuale entra in gioco il grado di prestazione o l´immagine di sé, allora si incarica la sessualità a tenere un discorso che non è propriamente il suo, perché non parla solo di piacere, ma di immagine di sé e quindi di identità che, nell´atto sessuale, viene rafforzata o diminuita.
Quando parliamo di identità oggi assistiamo (come mi pare di dedurre dalle risposte fornite) a un´identità sempre meno coincidente con il proprio genere femminile o maschile, come se nel sesso i maschi non rinunciassero a mettere in gioco la propria femminilità e le donne il tratto maschile dell´intraprendenza e dell´iniziativa. Tutto ciò è bene se non si arresta solo alle pratiche sessuali, ma diventa anche disposizione psichica, capacità dei maschi di esseri teneri e dolci senza vergognarsi, e capacità delle donne di saper guardare negli occhi i loro partner chiedendo loro di non essere trattate come «genere» (le donne), ma come «persone» (quella donna colta nella sua unicità).
Se la liberalizzazione del sesso portasse all´integrazione della nostra controparte sessuale e a un processo sempre più significativo di individuazione, non potremmo che approvarla e considerarla un´emancipazione delle relazioni personali in quel luogo, un tempo segreto e secretato, che è la sessualità.

Terra 21.2.10
Angelo, ci servi in forze
di Luca Bonaccorsi

Ecoignoranti o ecodelinquenti. Questo è il dilemma. Questi signori che si scagliano contro il blocco del traffico per un giorno “tanto non serve a niente” a che categoria appartengono? Non leggono, non studiano, non si informano (ma non sono loro che dovrebbero informare?). Oppure sanno tutto ma le loro buste paga e i loro conti in banca riescono ad anestetizzare quel poco che gli resta di onestà intellettuale? Saranno i lauti stipendi che attutiscono il grido che ogni ora scandisce il tempo, quello di una nuova vittima legata all’inquinamento?
Mancano forse le evidenze scientifiche per affermare che nell’aria emettiamo veleni che ci ammazzano? Mancano forse le evidenze mediche sulla salute dei bambini che crescono in città? Nulla di tutto ciò. E allora? Non serve a niente fermare le auto per un giorno, dicono. La cultura reazionaria e retrograda parte sempre da un presunto, seppur parziale, dato di verità. Il nucleare non emette Co2. Il parlamento è inefficiente. L’economia ha bisogno che persone e merci si possano “muovere”. Tutto vero.
Eppure gli ingredienti non vengono cucinati per servire un pasto sano, fatto di energia pulita, di democrazia efficiente, di mobilità sostenibile collettiva e individuale. No, gli ingredienti vengono digeriti e rivomitati in una sostanza radioattiva, peronista, che viaggia su gomma diesel euro “zero meno”.
Lo sanno anche i sassi che la soluzione dell’inquinamento non è fermare le auto un giorno. Non è la soluzione di “lungo periodo”. Perchè, gli scienziati spiegano, la gestione della qualità dell’aria è complessa e chiama in ballo molti fattori. Ma da qualche parte bisognerà pur iniziare. E riprendersi le nostre città, passeggiare al centro della strada con i bambini, in bici o coi pattini. Avere nelle orecchie un rumore diverso da quello delle marmitte, nel naso un odore diverso da quello dei carburanti bruciati. Tutto ciò, non farà male a nessuno. Ambiente, salute, cultura e informazione. Da 24 giorni Angelo Bonelli sta digiunando perchè a questi temi venga restituita non la centralità che le spetterebbe, ma almeno il diritto di esistere. Qui su Terra avete letto uomini politici, intellettuali, associazioni ambientaliste, esprimere la solidarietà alla battaglia dei Verdi e di Bonelli.
Ma i giorni passano e il corpo si indebolisce, e si danneggia. Per questo all’appello di tutti gli amici oggi si aggiunge il mio, il nostro. La battaglia perchè le persone e la loro salute venga prima degli affari, perchè il nostro pianeta non sia più il terreno del consumo e dello sfruttamento, ma della conoscenza e della convivenza, è una battaglia lunga. Che avrà bisogno di tutte le energie migliori. Insomma, Angelo, interrompi il digiuno per favore.
Per il bene di tutti.

Il Giornale 22.2.10
Gli ecoinsulti degli ultrà Verdi
di Nino Materi

«Ecoignoranti», «ecodelinquenti», «reazionari», «retrogradi». E poi: «Non leggono», «non studiano», «non informano». Infine, un doppio rilievo di carattere deontologico-finanziario: «Le loro buste paga e i loro conti in banca riescono ad anestetizzare quel poco che gli resta di onestà intellettuale».
Sono le parole sobrie ed equilibrate con cui ieri Luca Bonaccorsi, direttore del quotidiano ecologista Terra («Organo ufficiale d’informazione della Federazione dei Verdi»), ha impreziosito il suo pacato editoriale contro i tre personaggi accomunati in un bel fotomontaggio in prima pagina: Umberto Bossi, Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro.
La loro «colpa»? Sostenere che «le domeniche senza auto non risolvono il problema dello smog». Tanto è bastato per far diventare Bonaccorsi verde (di rabbia) peggio dell’incredibile Hulk. Il direttore dai super poteri ecologisti ce l’ha soprattutto con il direttore del Giornale: «Parte la propaganda ideologica contro le misure anti-smog. Feltri & C. dimenticano le vittime e inventano un complotto contro Berlusconi». Dove? Come? Quando? Boh...
Ma, ecoinsulti a parte, c’è un passaggio dell’editoriale di Terra che fa particolarmente ridere: è lì dove Bonaccorsi dopo averci ricoperti di contumelie giunge esattamente alla nostra stessa conclusione; e cioè che «lo sanno anche i sassi che la soluzione dell’inquinamento non è fermare le auto un giorno. Non è certo questa la soluzione di “lungo periodo”...». Noi lo andiamo dicendo da un bel po’ di tempo; ora ci fa piacere che ci sia arrivato anche il direttore Bonaccorsi. Il quale, in conclusione, ci regala una notizia esclusiva: «Ogni giorno in Italia muoiono 20 persone per cause strettamente riconducibili allo smog». Ma chi l’ha fatta questa classifica? Mistero.
Quando si dice un sondaggio terra terra. Anzi, Terra Terra.

Terra 23.2.10
Miei cari ecoignoranti
di Luca Hulk Bonaccorsi

Le sparate radioattive della ditta Feltri & C. di solito non trovano risposta, tanto sono squalificate. Domenica invece, noi abbiamo voluto rispondere a quella apertura delinquenziale del Giornale di sabato che recitava “Gli ecocretini bloccano il nord”. Ce l’avevano con i comuni che hanno deciso il blocco del traffico il 28 febbraio, per cercar di contrastare il fatto che l’inquinamento, specie nel nord, ha superato i limiti di legge (35 giorni in un anno con più di 50 nanogrammi di polveri sottili per metro cubo). Intanto chiariamo una cosa: il limite non è stato stabilito da Pico della Mirandola, o da quel fricchettone di John Lennon durante un concerto a Central park, ma in base a studi epidemiologici. Ci sono, cioè, dei medici che studiano queste cose.
Ma quelli del Giornale si sono offesi. E siccome di andarsi a documentare non gli va proprio, hanno deciso di perseverare nelle loro stupidaggini. Nel Giornale di ieri infatti leggiamo una mirabile intervista in cui si sostiene che: 1) i limiti di legge sono ingiusti perché in certe città la dispersione dell’inquinamento è più difficile (confronto tra Lombardia e Portogallo); 2)che le emissioni permesse alle auto andrebbero proporzionate a peso e cilindrata del veicolo. Cioè, tanto per capirci, siccome a Milano non ci sono i venti atlantici di Lisbona che puliscono l’aria, e ci sono un sacco di macchinoni, cosa suggeriscono di fare gli eco“geni”? Alzare i limiti concessi di schifezze nell’aria a Milano. Neanche per un attimo, gli ecoignoranti si pongono il problema della salute dei cittadini. Al contrario, siccome il blocco delle auto 1 giorno su 365 farà effettivamente poco (lo sa anche il più ottimista degli ambientalisti), tanto vale... non fare nulla. Anzi, meglio alzare i limiti di legge della schifezza respirabile! Inutile cercare di comprenderli: nel mondo degli ecoignoranti vigono regole logico-formali diverse. Sono gli stessi che sostengono che se nevica d’inverno vuol dire che non ci sono cambiamenti climatici.
Forse si sono offesi perché sono personcine delicate. Sono diretti da quel timidone di Feltri, quello che sbattè un topless da “velina ingrata” in faccia alla Veronica Berlusconi (si era arrabbiata di ricevere corna a cariolate, seppur “professionali”). Mah.
P.s. Per il collega Materi: i dati sulle morti da smog li dobbiamo a tanti studi seri. Uno, fra tanti, è di quella organizzazione fricchettona che si chiama Organizzazione Mondiale della Sanità.
Repubblica Roma 23.2.10
Il Pd sostenga la battaglia della Bonino"
L’appoggio da Zingaretti a Bettini. E lei: lo sciopero darà più forza alla mia sfida nel Lazio
di Chiara Righetti

Il Pd sposa la battaglia di Emma Bonino «per la democrazia e la legalità». Una decisione, quella di avviare lo sciopero della fame per denunciare l´inadempienza di tv e Comuni sulla raccolta firme per la presentazione delle liste elettorali, che la candidata definisce «costosa e pesante», ma anche «una battaglia di libertà». E mentre Renata Polverini ironizza: «Non ho tempo per scioperare, sono in campagna elettorale», e il segretario Idv Pedica si mette pure lui in sciopero per solidarietà, è Nicola Zingaretti il primo che, oltre a esprimerle solidarietà, rivolge un appello «al Pd e a tutte le forze democratiche affinché collaborino per rispondere alle richieste di Emma».
La risposta non si fa attendere: la battaglia è «giusta e condivisibile» per il segretario regionale Mazzoli, «tanto più in uno scenario in cui sono riemersi segnali di connivenza tra certa politica e il mondo degli affari». Mentre Bettini si augura che il governo non resti sordo, e aggiunge: «Non si tratta solo di esprimere solidarietà alla nostra candidata ma di garantire il funzionamento della democrazia». Pure Bersani, rimasto "orfano" della Bonino all´iniziativa di presentazione delle candidature, esorta: «Emma va ascoltata». E smentisce seccamente l´ipotesi che la candidatura nel Lazio sia a rischio. Anche se Beppe Fioroni, premesso che sul tema firme «Bonino ha ragione», aggiunge che «chi ha la rappresentanza del tutto non può correre contro il tutto». Ma il riferimento sembra più che altro alla scelta che vede i Radicali, in alcune Regioni, avversari del Pd.
Intanto Bonino promette che «nel limite delle possibilità fisiche» continuerà le iniziative elettorali. E si dice sicura «che la campagna possa prender forza anche da questa iniziativa, che tende a dire: senza democrazia e legalità anche il programma più innovativo non ha gambe». Su Facebook, gli oltre 10mila iscritti al gruppo che la sostiene la appoggiano contro «l´illegalità dilagante», ma il commento più diffuso è «Mangia e bevi: ci servi in forze, devi vincere».
Oggi la direzione Pd si riunirà per definire gli ultimi dettagli sulle liste, ma è già certo che gli uscenti si ricandideranno quasi in blocco. Ancora in corso invece le trattative sul listino, dove dovrebbero essere due i nomi dell´Idv, uno a testa quelli di Sel e Federazione della sinistra. Degli altri, Emma Bonino ne aveva chiesti 7; ma potrebbe cederne alcuni a vantaggio del Pd se si lascerà spazio a esponenti della società civile. Pressoché certa finora solo la presenza delle assessore uscenti Laurelli e Di Liegro.

il Fatto 23.2.10
Bonino costretta allo sciopero della fame
La candidata presidente del Lazio protesta contro l’illegalità elettorale
di Giuseppe Caruso

È un'iniziativa di speranza e di lotta”. Con queste parole ieri Emma Bonino, in un’affollata conferenza stampa a Milano, ha spiegato la sua volontà di iniziare uno sciopero totale della fame e della sete per protestare contro una situazione di “totale illegalità” del processo elettorale. Uno sciopero che da molti, soprattutto all’interno dello schieramento di centro-sinistra che sostiene la Bonino nella corsa alla poltrona di presidente della Regione Lazio, viene letto come un dèjà vu che ormai ha fatto il suo tempo. Lo stesso dicasi per la minaccia ventilata dai Radicali, e ribadita ieri dalla stessa Bonino, di “ritirare le nostre liste, un’ipotesi che è tutt’ora in piedi, anche se una decisione non è stata ancora presa, altrimenti non farei lo sciopero della fame e della sete”. Tanto che ieri il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, ha liquidato la questione con un laconico “non credo”. E la stessa candidata del centro-sinistra ha evitato di attaccare direttamente i suoi compagni di viaggio, parlando di una “questione di democrazia generale”.
La Bonino, affiancata dal candidato dei Radicali alla regione Lombardia, Marco Cappato, ieri ha parlato “dell’oscuramento elettorale condotto dalla Rai nei nostri confronti e dei sabotaggi nella raccolta delle firme, due fatti gravissimi e che si ripetono ad ogni campagna elettorale. Tutti i Comuni devono assicurare la possibilità di raccogliere celermente le firme ed il governo deve scendere in campo e trovare una soluzione per risolvere il problema, perché i trecentomila autenticatori delle firme ed i Comuni non fanno il loro dovere”. “Esistono degli strumenti per porre un argine a questa discriminazione” ha continuato la candidata del centro-sinistra alla Regione Lazio “magari abolendo le firme quando un partito ha dei deputati in Parlamento, dimezzando il numero delle stesse firme da raccogliere o allungando i tempi a disposizione come già fatto in passato. Perchè noi non vogliamo barare. Abbiamo inviato a nostre spese a tutti i Comuni le liste e i moduli di raccolta firme. A oggi quasi nessuno degli ottomila Comuni italiani grandi e piccoli ha pensato di adempiere all'articolo 4 della legge 43. In parecchie Regioni, solo pochissime delle trecentomila persone tra consiglieri, assessori, sindaci che possono autenticare le firme, ha pensato di ottemperare a questa funzione attribuita loro dalla legge”. Quindi l’affondo sulla televisione di Stato: “La Rai come sempre è un baluardo dell’illegalità, basti pensare che ancora non ha dato il via alle tribune politiche, come invece avrebbe dovuto fare già da molto tempo. Noi poniamo un problema di legalità delle istituzioni e di democrazia e trasparenza, senza le quali è impossibile competere correttamente in una campagna elettorale ”.

il Fatto 23.2.10
Il popolo viola torna in piazza
Ma non chiamatelo”No B.Day 2”
Sabato a Roma in nome della legge uguale per tutti
di Federico Mello

E’ incominciato il conto alla rovescia. “Non è un No B. Day 2” dicono gli organizzatori della manifestazione lanciata sabato in Piazza del Popolo, a Roma. “La legge è uguale per tutti” il nome della giornata: ultimo atto della mobilitazione del Popolo Viola contro le leggi ad personam cominciata il 30 gennaio con i sit-in in tutta Italia a difesa della Costituzione e continuata con il presidio viola che da due settimane staziona di fronte a Mon-
tecitorio. Il 5 dicembre, dopo che la manifestazione era montata su Facebook, arrivarono le adesioni di Italia dei Valori, Rifondazione, Verdi, associazioni, singoli e società civile. Il Pd, invece, rimase a rosolare nel vado-non-vado fino all’ultimo momento utile (Rosy Bindi sciolse gli indugi alla vigilia). Questa volta da Bersani – che contro il legittimo impedimento ha parlato chiaro durante il dibattito alla Camera – è arrivata l’adesione con una settimana di anticipo. “Quando c’è una manifestazione – la sua dichiarazione di sabato da Sanremo – con una piattaforma che ha parole d’ordine che condividiamo, i dirigenti e i militanti del Pd ci sono. Sul legittimo impedimento il Pd ha fatto una battaglia molto forte, quindi se c’è una manifestazione in questo senso, ci saremo”. Per evitare il tira e molla già andato in scena sul 5 dicembre, i democratici questa volta stanno concordando le modalità di adesione, annunciando che saranno in piazza numerosi esponenti dell’area mariniana e veltroniana, da Ignazio Marino a Giovanna Melandri. Già in campo da giorni Di Pietro e l’Italia dei Valori, Rifondazione comunista, i Verdi, Pdci, singoli e associazioni (a cominciare da Articolo 21). Per l’organizzazione del 5 dicembre il nodo organizzativo da risolvere fu proprio quello dell’adesione dei partiti. Alla fine si decise che in testa al corteo ci sarebbero state solo bandiere viola e che i politici non sarebbero intervenuti in Piazza (l’Italia dei Valori pagò il palco e con Rifondazione contribuì a portare pullman nella Capitale). Questa volta i viola vogliono fare da soli: “Abbiamo deciso di organizzare la manifestazione del 27 febbraio senza l’appoggio economico o logistico dei partiti” scrivono sul sito www.27febbraio2010.org. Per le spese del palco, della burocrazia, della piazza, si affidano alla sottoscrizioni spontanee raccolte sul Web. “Abbiamo aperto una sottoscrizione che finora ha reso circa 5.000 euro. Ne mancano ancora perlomeno 20.000”. Quindi dalle 7:20 di questa mattina parte “20.000 euro in 20 minuti” che si concluderà alle alle 24:00 di martedì 23 febbraio.
Gli assi degli interventi di sabato saranno tre, tutti legati ad articoli della Costituzione: l’articolo 1 con interventi sul tema della difesa del lavoro e della lotta alla precarietà; l’articolo 3 (“Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge”) contro le leggi ad personam; e l’articolo 21 legati alla libertà di stampa e a quella della Rete. Ma il palco sarà anche come un trampolino di lancio per altre manifestazioni che, sull’esempio del No B. Day, sono partite da Facebook. Si parte dalla “Giornata senza stranieri” il primo marzo in tutta Italia (sull’esempio dello sciopero dei migranti nato in Francia), si continua con il “No Lega nord Day” il 6 marzo a Milano e il No Mafia day il 13 marzo a Reggio Calabria.
Tra i viola, su Facebook, non tutti hanno condiviso appieno l’iniziativa del 27. Critiche dai gruppi locali sono rimbalzate di pagina in pagina soprattutto per i tempi – ristretti – con i quali è stata convocata la manifestazione. “Alcuni gruppi locali – dice Simonetta del Popolo Viola Piemonte – non hanno apprezzato e condiviso le dinamiche relative ai tempi e ai metodi”. Lamentano scarsa consultazione e una decisione arrischiata, presa a ridosso delle elezioni. Ciononostante, c’è ottimismo, e voglia di guardare avanti: “La manifestazione deve andare bene – aggiunge Simonetta – e andrà sicuramente bene. Dopo si ricomincerà a cercare una sintesi con i gruppi locali”. Il problema come al solito, è quello dell’organizzazione politica online. “Le dinamiche della comunicazione orizzontale sono difficilissime” chiosa Simonetta.

Repubblica 23.2.10
Psicofarmaci
Pillola contro pillola le interazioni pericolose di Prozac & company
di Francesco Cro

Gli incroci tra varie sostanze possono diminuire o aumentare gli effetti di molecole terapeutiche, soprattutto in psichiatria e neurologia Per evitare mix rischiosi ora nasce un sito che si rivolge a specialisti e medici di base. Con un augurio: che le cure prescritte siano sempre più personalizzate
L´iperico antidepressivo può interagire con antiepilettici e anticoagulanti

Alla luce dei recenti progressi della farmacocinetica (il ramo della farmacologia che studia il destino metabolico di un farmaco, una volta che questo sia stato introdotto nell´organismo), anche bere un semplice succo di mirtillo o di pompelmo potrebbe essere un atto non privo di conseguenze. Il primo, infatti (dotato, peraltro, di un´azione preventiva sulle infezioni urinarie), potrebbe interagire con un´eventuale terapia anticoagulante, aumentando il rischio di emorragie, mentre il secondo potrebbe potenziare gli effetti collaterali di numerosi antidepressivi (e della caffeina); azione inversa sembra avere invece il fumo di sigaretta, capace di attenuare l´effetto di molti farmaci.
Molti sono i meccanismi attraverso i quali due principi attivi possono interagire tra loro: un farmaco può interferire con l´assorbimento di un altro attraverso lo stomaco, può spiazzarlo dalle proteine del sangue alle quali è legato aumentandone l´effetto, facilitarne o ostacolarne il legame alla membrana delle cellule, favorirne o renderne più difficoltosa l´eliminazione. Una sostanza può inoltre (ed è questo il meccanismo alla base degli esempi sopra citati) interagire con un´altra attraverso una stimolazione o un´inibizione degli enzimi deputati al suo metabolismo, in particolare quelli della famiglia dei "citocromi P450", proteine presenti soprattutto nel fegato, che, utilizzando l´ossigeno, sono responsabili della detossificazione della maggior parte dei farmaci introdotti nell´organismo.
Il fenomeno acquista particolare rilevanza nella cura dei disturbi psichici, che, proprio a causa della loro natura sfuggente e difficile da afferrare, sono spesso curati con più farmaci, appartenenti alla stessa classe o a classi diverse di agenti terapeutici. Molti antidepressivi, se somministrati contemporaneamente ad altri psicofarmaci, antiepilettici, antidiabetici orali o antibiotici, metabolizzati dallo stesso sistema enzimatico, possono aumentare gli effetti di queste sostanze, con importanti ricadute sul piano clinico. Un altro citocromo si è rivelato cruciale per il metabolismo di alcuni anestetici, di sostanze d´abuso come la ketamina, del bupropione (dipendenza da nicotina), e della sibutramina, (farmaco anti-obesità oggi ritirato per effetti potenzialmente sfavorevoli sull´apparato cardiovascolare). Persino l´iperico ("erba di San Giovanni"), utilizzato come antidepressivo, può interagire con anticoagulanti, antivirali, antiepilettici e farmaci per il cuore.
Per Giorgio Racagni, ordinario di farmacologia all´Università di Milano, per prescrivere un farmaco occorre avere consapevolezza del suo comportamento nell´organismo e delle interazioni tra le varie molecole: profilo farmacocinetico e fattori attinenti al paziente, come l´età (il metabolismo dei farmaci è ridotto negli anziani) o il corredo genetico individuale. Racagni ha così coordinato, insieme con il farmacologo Filippo Drago, docente all´università di Catania, e con Giancarlo Palmieri, direttore dell´unità di medicina interna II al Niguarda di Milano, la realizzazione di un sito (www. interdrugs. net: accesso consentito agli specialisti tramite card della InnovaPharma-Recordati), che aggiorna specialisti e medici di base su tutte le possibili interazioni degli psicofarmaci tra di loro (parte curata da Eugenio Aguglia, ordinario di psichiatria all´Università di Catania) e con i farmaci più comunemente usati in neurologia e in medicina interna.
* Psichiatra, Servizio psichiatrico diagnosi e cura, Viterbo

Repubblica 23.2.10
Indagini su cause e rimedi di una malattia che colpisce una persona su cento
Omega3 dell´olio di pesce speranza anti-schizofrenia
Studio austriaco su 81 giovani a rischio con risultati sorprendenti
di Francesco Bottaccioli

Contrariamente a quello che si potrebbe immaginare, la schizofrenia non è una malattia rara, interessa quasi una persona su cento. E non è solo una importante malattia mentale, riguarda l´organismo umano nella sua interezza: le persone che soffrono di questa malattia hanno infatti un´aspettativa di vita ridotta di 12-15 anni rispetto alla media della popolazione.
Per decenni si è data la caccia ai geni che sarebbero responsabili della malattia: ma la schizofrenia, come si può leggere nel recente editoriale dell´American Journal of Psychiatry, è «l´esito di una complessa interazione tra migliaia di geni e molteplici fattori di rischio ambientale, nessuno dei quali per proprio conto causa la schizofrenia».
La ricerca, anche con l´ausilio delle tecniche di neuroimaging, è quindi sempre più orientata a vedere la schizofrenia come malattia dello sviluppo, un processo patologico che spesso inizia in giovane età e che si caratterizza come alterazione delle connessioni tra aree cerebrali fondamentali, che riguardano sia la corteccia sia strutture profonde come l´ippocampo e che spiegherebbe i deliri, le allucinazioni e i deficit cognitivi tipici della malattia.
Dai primi anni Novanta, sull´esempio della Università di Melbourne che ha aperto la strada, si sono moltiplicati i centri universitari che si sono posti l´obiettivo di identificare precocemente i segni della malattia e proporre interventi preventivi. Ma che tipo di interventi? Gli psichiatri innanzitutto hanno pensato, come era prevedibile, ai farmaci antipsicotici, ma i risultati, pur significativi nel breve periodo, non si sono mantenuti nel tempo. L´Unità di identificazione delle psicosi del dipartimento di psichiatria infantile e adolescenziale dell´Università di Vienna, invece, ha pensato di usare olio di pesce concentrato ricco di omega-3. Lo studio, pubblicato da Archives of General Psychiatry di febbraio, è stato fatto in doppio cieco con placebo in un gruppo di 81 giovani classificati "ad alto rischio" sia per la presenza di sintomi psicotici sia per la presenza di familiarità per la malattia. Tutti hanno ricevuto, per dodici settimane, pillole identiche per aspetto, odore, gusto, ma solo per la metà di loro le quattro pillole, assunte giornalmente, contenevano 1200 grammi di acidi grassi polisaturi a catena lunga della serie omega-3 (EPA e DHA in sigla). Al controllo, dopo dodici mesi dalla fine dello studio, solo una persona del gruppo in trattamento ha sviluppato una sindrome psicotica contro gli undici del gruppo placebo (22,6%). Un risultato davvero rilevante che, se confermato da studi più ampi, rafforzerà la spinta di ricercatori e clinici all´approccio integrato alla prevenzione e alla cura di una malattia che da oltre un secolo arrovella le menti più acute della psichiatria.
*Pres. onorario Soc. it. psiconeuroendocrinoimmunologia

Repubblica 23.2.10
Mario Maj: "I rischi del futuro Dsm? Psichiatrizzare situazioni non patologiche"
Malati di shopping e cibo i nuovi fronti psichiatrici
"Il pericolo resta quello di sempre: medicalizzare situazioni del tutto normali"
di Johann Rossi Mason

l suo nome per esteso è Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder, ma è universalmente noto come Dsm: è il manuale che contiene tutte le malattie mentali esistenti. Nato nel 1952, discende dal manuale usato dall´esercito americano per stabilire se le reclute fossero adatte al combattimento ed è stato sottoposto a diverse revisioni che hanno visto scomparire dalle sue pagine malattie quali l´isteria e l´omosessualità e comparirne circa cento di nuove ad ogni nuova versione. L´inserimento di una nuova patologia permette il rimborso di cure e trattamenti da parte delle assicurazioni sanitarie, e può fare la fortuna di una casa farmaceutica.
Da anni si pensa alla quinta edizione, un lavoro che sta facendo emergere varie polemiche: sull´ultimo numero della rivista Science si affronta l´ipotesi (per alcuni prematura) di introdurre altre "dipendenze comportamentali" (ora si prevede solo per alcol e droghe) tra cui sicuramente il gioco (gambling). Robert Spitzer e Allen Frances, curatori delle precedenti edizioni del 1980 e del 1994, sostengono che alcuni revisori sono ricercatori senza alcuna esperienza clinica. Temono inoltre che l´ampliare il numero delle malattie possa avere come effetto una medicalizzazione della normalità (per esempio rendere malattia il dolore che segue ad un lutto).
Il professor Mario Maj, presidente della Società mondiale di psichiatria e uno tra i pochi revisori europei del manuale, ha affrontato, in occasione del congresso della Società italiana di psicopatologia che si è appena tenuto a Roma, alcuni dei temi più "caldi": «Tra le novità c´è il tentativo di rendere più precisa e quindi più utile per la scelta della terapia la descrizione di alcuni disturbi mentali. Ad esempio, nel caso della depressione, sarà possibile valutare la gravità del quadro e il rischio suicidario utilizzando una apposita scala "dimensionale". Altra novità è l´inserimento del "binge eating disorder", un´alimentazione incontrollata che sfocia nell´obesità».
«Ho cercato di oppormi invece all´introduzione di una nuova categoria diagnostica - continua lo psichiatra - che dovrebbe comprendere i bambini tra i sei e i dieci anni che presentano per almeno un anno gravi accessi di rabbia ripetuti e in cui l´umore è costantemente triste o irritabile. Se l´idea è di evitare un eccesso di diagnosi di disturbo bipolare nei bambini, temo che si rischi invece una eccessiva "psichiatrizzazione" di situazioni non patologiche, come ad esempio le reazioni di un bambino alla separazione dei genitori».
Intanto gli studiosi hanno due anni per decidere se nel prossimo volume siano da includere disturbi come la "dipendenza da internet" o lo "shopping compulsivo".

Repubblica 23.2.10
Le Sfide psichiatriche dei prossimi dieci anni
di F. C.

Un ampio e articolato editoriale sulla prestigiosa rivista Nature ("A decade for psychiatric disorders") pone le questioni principali sui vari fronti della malattia mentale, ipotizzando che i «prossimi dieci anni vedranno la psichiatria confrontarsi con nuove sfide», derivanti dalla maggiore conoscenza delle basi neurobiologiche dei disturbi mentali
Ma la formazione scientifica di molti psichiatri al riguardo è, secondo Thomas Insel, direttore dell'Istituto nazionale di salute mentale Usa, piuttosto carente. Le più importanti malattie mentali, come la schizofrenia, hanno una riconosciuta base genetica. Nella maggior parte dei casi, però, questa dà luogo a una vulnerabilità, più che alla patologia conclamata; perché questa si sviluppi è necessario che vi siano dei fattori stressanti ambientali. Combinare neurobiologia e scienze sociali diventa (per Jim van Os, professore di epidemiologia psichiatrica all'Università di Maastricht e per Shitij Kapur del King's College di Londra) una sfida di portata mondiale. Altra sfida è la diagnosi (e, conseguentemente, la cura) degli stati psicotici che interviene spesso quando si presentano i sintomi più appariscenti, come il delirio: lo sforzo dei ricercatori è quello di identificare dei segni precoci (marker biologici o alterazioni psicopatologiche elementari) Sul fronte farmacologico siamo di fatto fermi: i nuovi agenti terapeutici a disposizione dei clinici (con minori effetti collaterali neurologici), non riescono ad incidere in misura significativamente maggiore dei farmaci tradizionali sui sintomi nucleari della psicosi. Esiste un problema di investimenti e poi, intramontabile, culturale, di pregiudizio e stigma verso chi soffre di problemi psichici Sui disturbi depressivi, secondo Nature, maggiore è la consapevolezza, mentre la schizofrenia è ancora molto spesso ignorata dai media, salvo poi balzare agli onori della cronaca quando un paziente in crisi acuta commette un gesto violento (f. c.)

l’Unità 23.2.10
Fondi alla stampa Non si trova l’accordo, oggi è l’ultimo giorno
Tremonti punta i piedi. Il canale di Italiani europei: «Cig cautelativa»
Editoria, poche ore per l’intesa Red Tv: pronti a cassa integrazione
Fumata nera sui fondi alle testate politiche e non profit. Oggi alla Camera l’ultima possibilità di intervento nel milleproroghe. Il Pd pronto all’ostruzionismo. Tremonti: la sinistra non ha accettato mediazioni.
di Banca De Giovanni

Fumata nera sull’editoria. Nessun accordo, fino alla tarda serata di ieri, sull’ipotesi di proprogare per due anni le vecchie regole di finanziamento (abrogate con l’ultima finanziaria), per consentire di avviare una riforma complessiva del settore. Il Pd alla Camera ha tentato per l’intera giornata di imporre un emendamento al Milleproroghe che ricalca un ordine del giorno già approvato in Senato: ma il governo ha puntato i piedi. Ci si riproverà stamattina, quando l’Aula inizierà a votare sul provvedimento. I tempi sono strettissimi: il decreto scade il 28 febbraio. Il relatore del Milleproroghe, il leghista Massimo Polledri, pur dicendosi fiducioso su una possibile soluzione, avverte che questo può passare solo da un’intesa anche sui tempi d’esame. «C’è da più parti la volontà di poter risolvere in Aula il punto dell’editoria dichiara Ci vogliono, però, le condizioni perchè l’opposizione garantisca una corsia protetta al decreto qui e soprattutto al Senato. Un patto tra gentiluomini».
GIORNO DELLA VERITÀ
Oggi sarà il giorno della verità per quel centinaio di testate che rischiano una crisi irreversibile se i fondi diretti ai giornali politici, di opinioni e di idee non verranno reintrodotti con il vecchio sistema. La nuova formula, infatti, cancellando il diritto soggettivo all’accesso ai finanziamenti, impedisce di iscrivere a bilancio le risorse pubbliche, che non possono neanche fare da garanzia su prestiti e fidejussioni. Già qualche testata lancia l’allarme rosso: Red Tv ha annunciato ieri la messa in cassa integrazione dei 14 giornalisti, e la chiusura della programmazione (andranno in onda solo servizi in differita). «Red Tv non chiude. La scelta di chiedere la cassa integrazione è stata presa in accordo con i sindacati come misura cautelativa qualora il governo non mantenesse gli impegno assunti sul ripristino del diritto soggettivo», ha dichiarato Luciano Consoli, presidente del Cda.
Dunque occhi puntati sulla Camera oggi. «L’atteggiamento ostruzionistico o meno dell’opposizione dice il capogruppo del Pd in commissione Bilancio Pierpaolo Baretta dipenderà da quello che il governo farà sull’editoria». Nei giorni scorsi su questo punto è intervenuto anche il presidente della Camera Gianfranco Fini e quasi 400 parlamentari hanno firmato un appello per salvare le testate. Giulio Tremonti aveva assicurato solo pochi giorni fa sia al segretario Pd Pier Luigi Bersani, sia al capogruppo Dario Franceschini, la sua disponibilità a rivedere lo stop imposto con la Finanziaria. Ma piuttosto che tornare al vecchio sistema, congelando le regole per due anni, il Tesoro punterebbe a una soluzione ponte, con una proroga di un solo anno. Su questo punto la sinistra ha detto no. Se si proroga di un solo anno, si riesce a coprire soltanto il 2009 (le risorse vengono infatti erogate nell’anno successivo), ma sui bilanci preventivi per il 2010 resterebbero le pesanti ipoteche del nuovo sistema.

il Fatto 23.2.10
Con i tagli all’editoria se ne va anche la tv di D’Alema
Giornalisti di Red Tv in cassa integrazione. L’editore “Speriamo nel milleproroghe”
di Carlo Tecce

Un funerale in rosso, nel seminterrato vicino casa Berlusconi, ma pur sempre un conto alla rovescia verso la fine. Per i tagli ai fondi dell’editoria, tra una settimana, i 14 dipendenti di Red Tv saranno in cassa integrazione. Un cuscino che vale sino a dicembre, poi addio: “In teoria l’abbiamo assegnata dal 15 febbraio, ma non l’abbiamo attuata perché abbiamo fiducia che la norma venga corretta. Il milleproroghe. Proviamo a resistere”, e s’accende l’ennesimo sigaro, Luciano Consoli, presidente della società editrice. Nel gioco delle correnti intellettuali e nella corsa a chi è più innovativo, mentre il Pd era in fasce, la fondazione ItalianiEuropei di Massimo D’Alema s’impadroniva di Nessuno tv, un canale sperimentale, giovane e au-
dace. Una scalata a costo zero: D’Alema garantiva la “copertura politica” per ricevere i fondi pubblici, la tv diffondeva il dalemismo. E se il Pd (di Veltroni) affittava un loft al Circo Massimo, Red rimediava (per 6 mila e 500 euro al mese) un paio di stanzoni a Palazzo Grazioli. Il D’Alema editore teorico di Red è tratteggiato da Mario Adinolfi (“Sette programmi con Red”), il blogger del Pd che annuncia la serrata al popolo della Rete: “D’Alema si prese due membri del Cda, cambiò il nome e ottenne la sostituzione del direttore: Claudio Caprara, dalemiano sì ma poco ortodosso, venne ringraziato e al suo posto arrivò Francesco Cundari. “Direttore” assolutamente osservante, imitazione vivente del Capo che venera, fratello di latte di Matteo Orfini, consigliere d’amministrazione di Red Tv oltre che scrive sul proprio sito membro della “segreteria dei segretari” del Pd con delega all’informazione. Cundari, per sua stessa ammissione, di tv capisce zero, non ha un curriculum particolarmente brillante: fa fatica a scuola, bocciato all’esame da giornalista, laurea manco a parlarne, ma questo è un punto d’onore per i dalemiani, il Capo non s’è laureato dunque manco loro”. Questo è il Pd mediatico. Perché persino a un passo dalla disoccupazione, i giornalisti di Red scacciano i fratelli cattivi: “Noi come YouDem? Giammai. Loro sono una tv di partito. Noi siamo diversi”. E Consoli critica Adinolfi: “Che significa che D’Alema voleva confrontarsi con Veltroni sul piano mediatico? Chissà cosa pensano a YouDem. Ma chi gode per le disgrazie altrui, in mezzo alle briciole, è un imbecille”. Senza girare a largo: la tv di D’Alema – che poi nei fatti di D’Alema non è – muore senza i soldi pubblici. I conti sono semplici. Red costa 5 milioni di euro l’anno: 4,1 arrivano dai cittadini, i restanti 9 mila euro sono racimolati con la pubblicità. “Non solo – precisa Consoli – Siccome abbiamo gli strumenti, spesso riprendevamo i congressi dell’Udc e di An con le nostre telecamere”. D’Alema ha chiamato gli amici a raccolta e gli amici – che si definiscono ‘editori puri’ – hanno sborsato 2,2 milioni di capitale sociale più un prestito di 1,2. Chi sta dentro la tv perde il lavoro, e chi sta fuori? Quanti sono? Chissà: “Non abbiamo l’Auditel. C’è una proiezione che parla di 178 mila spettatori al giorno”. Il gran capo né si fa vedere né parla. E Adinolfi fa un piccola osservazione: “Comunisti e preti sono i padroni peggiori”.

il Fatto 23.2.10
Risorge Paese Sera in formato free press

U n ritorno in edicola dopo tanti anni di assenza per una testata storica, "Paese Sera". Che da oggi uscirà come settimanale freepress e con un nome leggermente cambiato, "Nuovo Paese Sera La voce di Roma", periodico gratuito che sarà distribuito nelle principali zone di affluenza di Roma. Il punto di forza dell'iniziativa editoriale, informano gli editori, sarà quello delle inchieste. Nel giornale in distribuzione domani si legge in una nota si approfondirà il tema della mafia e della legalità. Il Nuovo Paese Sera sarà in formato tabloid composto da 12 pagine, di cui la metà a colori, e verrà diffuso in 100.000 copie. Il direttore responsabile della testata è Silvio Di Francia, il direttore editoriale è Alessio D'Amato, mentre la rubrica delle lettere sarà curata da Pietro Folena. La nascita del nuovo giornale ha però già innescato un contenzioso con un'altra società che rivendica l'acquisto e il possesso della storica testata. Si tratta della "Paese Sera srl" che tre anni fa ha acquistato il marchio "Paese Sera" per conto di un gruppo imprenditoriale già impegnato nella pubblicazione del quotidiano regionale "CalabriaOra". La società ha presentato un ricorso d'urgenza al Tribunale di Roma la settimana scorsa.

l’Unità 23.2.10
Primo marzo 2010 Quando gli stranieri d’Italia avranno un viso

Manca meno di una settimana allo «sciopero degli immigrati». Che, poi, sciopero non è, almeno in senso classico. Per la giornata del primo gli aderenti porteranno un nastro giallo e si asterranno dall’acquisto, dal consumo e dal lavoro, sono state inoltre organizzate manifestazioni a Roma a Milano e in molte altre città. Tante in queste settimane sono state le adesioni a questa iniziativa che prende spunto dal primo sciopero nel 2008 dei sans-papier in Francia. Lì, l’impatto che ebbe l’iniziativa fu tanto forte da portare alla regolarizzazione di gran parte degli scioperanti. Quest’anno, la mobilitazione in Francia sarà contemporanea a quella in molti paesi europei. E in Italia, quali saranno le conseguenze? Il primo obiettivo, in apparenza il più modesto, è in realtà quello più importante, che corrisponde esattamente a quella presa di coscienza da cui tutto è partito. Ovvero l’idea che gli immigrati svolgono nel nostro paese un ruolo fondamentale, quasi sempre ignorato, spesso deformato, comunque largamente sottovalutato. È un ruolo, tra l’altro, di natura economica: gli immigrati producono quasi il 10% del Pil e contribuiscono ad alcuni settori significativi della nostra economia: dall’edilizia alla siderurgia, dall’agroalimentare all’allevamento alla ristorazione. Poi, c’è il grande comparto del lavoro di cura: un vero e proprio esercito di baby sitter e badanti, che svolgono una funzione essenziale nel sistema di welfare. In altri termini, il 7% della popolazione nazionale è composto da stranieri: anonimi e invisibili, misconosciuti e, spesso, utilizzati come esorcismo delle nostre ansie. Se il primo marzo, quella folla indistinta assumerà un volto e un nome, questo giorno sarà da ricordare.

il Fatto 23.2.10
La colpa degli zingari
risponde Furio Colombo

Caro Furio Colombo, ogni giorno, da qualche parte in Italia, smantellano un campo nomadi e non sai più dove finiscono coloro che sono stati cacciati. Un tempo la sinistra insorgeva. Faceva scudo. Adesso prevale un quieto silenzio. E’ cambiata la sinistra, sono cambiati i rom, o la destra è diventata umana e non c’è più ragione di protestare?
Orazio
CREDO che il caso, e lo scandalo, si concentrino intorno alla sinistra. Parlo naturalmente della sinistra parlamentare, di quella che dovrebbe avere una voce chiara e distinta (anche se di minoranza) all’interno del Pd e delle decisioni di quel partito. Prendiamo Roma. C’è uno smantellamento di campi nomadi ogni notte. “I nomadi se ne vanno” titolano i giornali. In epoca di Festival di Sanremo non sai più se quel titolo, riguarda il mondo delle canzoni o il mondo di un piccolo popolo inseguito nei secoli dal pregiudizio e adesso trattato come colpevoli di tutto. E’ bene che i lettori sappiano che le organizzazioni internazionali (prima fra tutte le Nazioni Unite) ci tormentano ogni giorno di domande, fanno piovere sul governo diplomatiche “osservazioni” che in realtà sono giudizi severi , e la richiesta di porre fine alla persecuzione dei rom, torna da un brutto passato. Prima delle ragioni civili e morali, viene lo scandalo del buon senso. Centosettantamila persone, in buona parte cittadini italiani, vengono considerati estranei, pericolosi, nemici da 60 milioni di italiani travolti, come il resto del mondo, da ben altri problemi. Il diversivo è utilissimo, per non occuparsi di cittadini troppo poveri, di malati ammassati nei corridoi troppo affollati degli ospedali divorati della politica, di carcerati che occupano in sei, in otto, la cella da due. Ogni mattina a Roma, città allo sbando, senza vigili urbani e senza controllo del traffico, il sindaco annuncia un altro smantellamento, di solito traumatico e notturno.
E giornalisti di regime ci mostrano i campi distrutti, ci raccontano (senza viva voce) di come sono felici i rom di essere portati via alle due di notte con i piccoli e i vecchi. E mai, mai ci hanno fatto visitare i mitici “nuovi campi”, sperduti nel vuoto. Le scuole? L’assistenza sanitaria? Negozi e supermercati? Soltanto qualche prete protesta, la comunità di Sant’Egidio, la Caritas e , unico cardinale, il vescovo di Milano. La sinistra o quel che ne resta, sta ancora facendo convegni su che cosa sia la sinistra. Lungo quel percorso non la troveranno mai.

Repubblica 23.2.10
Gigantografie dell´ex dittatore compariranno nelle vie della città per celebrare "l´unico vincitore sui nazisti" Ma l´operazione nostalgia dei comunisti spacca l´opinione pubblica. E Gorbaciov protesta: "Era un criminale"
"Fu un eroe" così Mosca riabilita Stalin
di Nicola Lombardozzi

MOSCA. Stalin torna sulla Piazza Rossa. Altèro e trionfante come nei giorni della vittoria sui tedeschi di Hitler e i fasti della Grande guerra patriottica. Dieci gigantografie del dittatore, corredate da lunghe scritte didascaliche sulla sua mirabile strategia bellica, compariranno per le vie Mosca già dal primo di aprile secondo un complesso regolamento stilato in un lungo braccio di ferro tra il sindaco di Mosca e i rappresentanti dei veterani della Seconda guerra mondiale.
Il sindaco Luzkhov, impegnato in ben altre faccende non voleva grane ideologiche, ma i vecchietti terribili ci tenevano tanto a celebrare il loro eroe per la grande festa che dal primo al nove di maggio celebrerà la loro vittoria sui nazisti. Sono ormai tutti ultraottantenni e ne saranno rimasti poco più di duemila, ma i veterani si portano dietro da sempre l´anima nostalgica di milioni di cittadini elettori. E soprattutto finanziamenti e strutture organizzative del partito comunista di Gennadij Ziuganov che con il suo 18 percento di consensi è pur sempre il secondo partito del Paese.
Succede così che, dopo anni di quasi oblio, il volto che incarna tutti gli orrori dell´Unione Sovietica ritornerà a sorridere pacioso e accattivante ai cittadini della capitale, sulla piazza del Teatro Boslhoj, al Monte Poklonnaja, dietro l´arco di Trionfo del Kutuzovskij prospekt. Il tutto per lo scandalo dei partiti minori, e dello stesso Mikhail Gorbaciov che raramente si occupa di fatti di cronaca ma che ieri sbottava: «Queste cose vanno bene nei libri di Storia, ma riproporre quel volto e quel personaggio in chiave eroica rischia di mistificare la realtà, confondere le coscienze dei più giovani».
Sorride soddisfatto invece Vladimir Dolgikh, 86 anni, leader dei veterani e comunista irriducibile che fu membro del comitato centrale del Pcus e rappresentò a lungo l´ala più dura e anti perestrojka del Partito durante la prima segreteria di Gorbaciov. Il suo obiettivo era proprio questo, far tornare le immagini del compagno Stalin proprio nell´occasione di una festa che si preannuncia spettacolare con la prima partecipazione in assoluto di reparti militari francesi, britannici e statunitensi. Le condizioni imposte dal sindaco gli vanno benissimo. La prima è che Stalin venga raffigurato sempre in compagnia di qualche altro, partigiano, operaio o politico che sia. La seconda che le didascalie dovranno riferirsi esclusivamente al periodo della Seconda guerra mondiale. E questa gli va anche meglio, nemmeno Churchill mise mai in dubbio il valore militare del dittatore e il suo ruolo nella vittoria. Sui manifesti compariranno le belle edificanti storie che ancora oggi Dolgikh racconta ai suoi nipoti. Del leader supremo chiuso nei bunker della metropolitana che tormenta la sua pipa e firma direttive militari con il nome in codice Vasilev. Il tutto con i panzer tedeschi alle porte di Mosca e i giovani contadini arrivati dall´est con armamenti di fortuna per difendere la capitale. Ineccepibile verità storica che trascura i crimini ancora tutti da calcolare commessi dallo stalinismo.
Al Cremlino sanno ma preferiscono non contrariare il partito comunista. I comitati per i diritti umani fanno notare che c´è una lenta ripresa dell´operazione nostalgia. In autunno un busto di Stalin ristrutturato nella stazione della metropolitana Kurskaja fece scalpore. Poco dopo i soliti veterani chiesero e ottennero di far abbattere da una ruspa inviata dal prefetto l´insegna di un ristorante ribattezzato «Anti Sovetskaja - in quanto, dissero - offensivo per il passato del Paese». E promettono manifestazioni anti staliniane, annunciate dalla loro leader Ludmjlla Alekseeva, 82 anni, già dissidente ai tempi di Stalin: «Quell´uomo era un criminale. Pubblicizzare un regime che ha sterminato milioni di cittadini innocenti è semplicemente una vergogna». Nella sede del partito comunista si evitano commenti e si prepara la scelta delle foto. «Che sorrida - raccomandano i dirigenti - è importante che sorrida».

Repubblica 23.2.10
Cervello
Perché Oriente e Occidente pensano diversamente
di Anais Ginori

Le differenze geografiche e culturali determinano quali aree del cervello si attivano nel parlare e nel contare Lo sostiene un team di neuroscienziati dopo alcuni esperimenti: le loro teorie hanno già provocato molti dibattiti

Quando diciamo a qualcuno "La pensi diversamente da me", non immaginiamo quanto, effettivamente, il cervello di ognuno di noi possa funzionare in maniera differente a seconda di dove siamo cresciuti. La battuta dovrebbe insomma essere riveduta e corretta alla luce della nuova, futuribile "neuroscienza culturale". Attraverso complessi esperimenti, tra i quali la risonanza magnetica della corteccia cerebrale in attività, questa nuova branca scientifica vuole dimostrare che il contesto culturale nel quale viviamo segna il nostro cervello.
Provate per esempio a pensare a vostra madre, poi a voi stessi, infine a un politico famoso. Se siete nati a Milano o New York, il vostro cervello si attiverà in maniera diversa per ognuno di questi pensieri. Se invece vivete a Tokyo o Delhi, tenderete a unire le tre cose, mettendo insieme la percezione dell´Io, della famiglia e della società. Da qui, scaturisce una prima osservazione. Secondo alcuni neuroscienziati, l´individualismo degli occidentali o lo spirito collettivo degli orientali è visibile nei processi cognitivi. Uno scarto simile si riscontra mostrando l´immagine di un uomo con la tessa china e quella di uno con le braccia incrociate. Nell´esperimento, il giapponese aumenterà l´attività cerebrale di fronte alla persona in posizione sottomessa, mentre l´americano si riconoscerà in quella apparentemente più forte, assertiva. Anche in questo caso, si può concludere che esiste un diversa propensione al rispetto dell´autorità.
Lo choc tra culture potrebbe insomma essere anche una questione di sinapsi e neuroni. "West Brain, East Brain", ha scritto Newsweek, citando gli ultimi studi in questo campo. Sono ricerche ancora recenti, sviluppate grazie alle tecniche di neuroimmagine che per la prima volta nella storia dell´uomo permettono di osservare i funzionamenti del cervello umano dal vivo. E´ bene ricordare che alcune di queste teorie sono controverse e oggetto di accesi dibattiti, e che la catalogazione tra orientali e occidentali, in un mondo sempre più globalizzato, appare discutibile.
Ma le scoperte dei neuroscienziati possono comunque essere affascinanti, come dimostra l´attenzione del settimanale statunitense. E´ stato dimostrato così che per parlare, i cinesi attivano aree corticali diverse rispetto agli anglosassoni, a causa della differenza tra ideogrammi e alfabeto. Persino nell´aritmetica i processi cognitivi non sono gli stessi, nonostante ci siano in comune i numeri arabi. Durante un´addizione, gli orientali useranno la parte del cervello adibita all´astrazione e ai simboli, gli occidentali quella del linguaggio. In una stanza, gli occidentali scrutano ogni singola cosa, gli orientali osservano il contesto. Nel primo caso c´è una maggiore capacità analitica, con una propensione a prendere in considerazione le caratteristiche individuali, nel secondo ci sarebbe una filosofia "olistica", basata cioè sulla complessità delle relazioni tra cose e persone.
Salvatore Maria Aglioti ne è certo. «E´ possibile rintracciare tracce cerebrali di fenomeni o comportamenti sociali». Il neuroscienziato cognitivo, che insegna all´università La Sapienza di Roma e alla Santa Lucia Foundation, sostiene che le differenze culturali tra i popoli avrebbero un effetto "plastico" sul nostro cervello. «So che c´è chi dice che è tutta una mistificazione ma non sono d´accordo» racconta Aglioti che il 15 marzo ha organizzato a Roma una conferenza dedicata proprio alla "Neurocultura". «Non dobbiamo credere che questo tipo di studio voglia creare una discriminazione tra popoli». Il professore romano nega che questi esperimenti possano alimentare sottili pregiudizi o far credere che l´integrazione sia difficile per ragioni biologiche. «Vogliamo solo dimostrare che il complesso di norme che ci circonda segna il nostro cervello. Ma la plasticità della corteccia cerebrale - conclude Aglioti - è in evoluzione e può adattarsi a nuovi contesti sociali». Per fortuna.

Repubblica 23.2.10
Bambini irresistibili cittadini del mondo
di Silvia Fumarola

È già amatissimo in rete il trailer del documentario di Thomas Balmes, che uscirà in Usa il 9 maggio. Racconta il primo anno di quattro bambini nati in Namibia, Mongolia, Usa e Giappone
In Namibia e Mongolia ho avuto libertà d´azione. È stato più difficile girare in casa a Tokyo e San Francisco, perché si sconvolge la vita familiare
Uno dei rarissimi momenti in cui le riprese sono state fermate è stato quando un gruppo di mucche si è avvicinato troppo al piccolo Bayarjargal

ROMA. Internet, attraverso il passaparola, lo ha già adottato. Le immagini del trailer di "Babies" di Thomas Balmes sono semplicemente irresistibili: il regista per il suo documentario (che uscirà in America nel weekend della Festa della Mamma, il 9 maggio, e in mezzo mondo) racconta la storia di quattro bambini nati in Namibia, Mongolia, San Francisco e Tokyo. Balmes racconta il primo anno di vita di questi nuovi abitanti della terra fin dal giorno della nascita, seguendo il principio che usano i documentari naturalisti genere "La marcia dei pinguini", seguendoli passo dopo passo e filmandoli nel loro habitat. Ha intervistato e selezionato quattro donne incinte - nelle nazioni dove aveva deciso di girare il film - senza conoscere quindi il sesso dei piccoli. Senza fare provini, i protagonisti della sua storia erano pronti per il set.
Fuori dalla capanna di Opuwo, in Namibia, la piccola Ponijaio, ottava di nove figli, con la sua collana etnica, gioca felice con un sasso e una bottiglia, e fa disperare il fratellino perché non gli permette di prenderli; infila la mano nella bocca del cane del villaggio. Fa parte della tribù Himba ed è lei la star che apre il trailer di un film unico che racconta semplicemente l´avventura della vita, a latitudini diverse, condizioni culturali economiche opposte. Al tenero Bayarjargal, che abita in una grande tenda attrezzata in Mongolia, capita di essere svegliato da un gallo che lo va a trovare, mentre una capretta beve l´acqua della ciotola che è la sua vasca da bagno. La sua esistenza è dettata dai ritmi della natura. «In genere i bambini della Mongolia» ha spiegato Balmes a Usa Today «sono molto timidi, invece Bayar è molto socievole, curioso del mondo». La giapponese Mari, figlia unica, conosce solo il neon delle insegne di Tokyo, ed è il centro del mondo dei suoi genitori, "la principessa di casa"; è circondata dalla tecnologia. La bionda Hattie, grandi occhi blu, abita in un´accogliente casa di San Francisco con i genitori, vegetariani convinti: infanzia politicamente corretta, fin dai primi giorni di vita. Tre bambine e un maschietto alla conquista del mondo: nato da un´idea dell´attore francese Alain Chabat, prodotto da Studio Canal, distribuito da Focus il documentario si annuncia come un cult della stagione.
Come i cuccioli, i bambini sono le star della pubblicità, fanno ascolti record in tv, ci rassicurano nei momenti di crisi: sono il segno che il futuro esiste. Balmes, 40 anni, talentuoso documentarista francese che ha seguito anche le operazioni di peacekeeping in Bosnia, ha lavorato per due anni al progetto. Ha girato come una trottola tra i quattro paesi, supportato dalla troupe, ed essendo padre di tre figli non si è scoraggiato neanche nei momenti più duri. In un´operazione delicata come questa, le cose che contano di più sono il tempo e la pazienza. Nessuno può forzare un bambino a fare quello che non vuole, i piccoli sono stati lasciati completamente liberi, ma seguiti passo dopo passo dalla macchina da presa ad alta definizione, senza mai essere interrotti o disturbati. «Uno dei rari momenti in cui le riprese sono state fermate», ha raccontato Balmes «è stato quando un gruppo di mucche si sono avvicinate troppo al piccolo Bayarjargal». I diversi set hanno condizionato il modo di girare; nel povero villaggio della Namibia o nel meraviglioso altipiano della Mongolia, i bambini passano il tempo all´aperto, a stretto contatto con la natura e gli animali: «In quel contesto» ha spiegato il regista «la mia presenza era meno invasiva, avevo più libertà d´azione. E´ stato più difficile girare al chiuso, negli appartamenti a Tokyo e a San Francisco, perché sconvolgi la vita familiare».
La morale di "Babies" è che i bambini, a tutte le latitudini, sono uguali: sia che gattonino sul parquet lucido o nella polvere; sono curiosi, esplorano il mondo che li circonda, coltiverebbero uno spirito indipendente se non fossero fermati dai genitori. Si capisce che sanno divertirsi con poco, forse - come dimostra il sorriso meraviglioso della piccola Ponijaio, in Namibia, che non ha niente - hanno risorse che non arriviamo a conoscere. Balmes rivela che, da padre, è cambiato il suo punto di vista dopo le riprese: «Io stesso sveglio i miei figli ogni mattina, gli leggo i libri, li accompagno alle lezioni di danza, gli riempio ogni momento della giornata. Ma i bambini hanno bisogno di tempo per se stessi».