giovedì 25 febbraio 2010

Repubblica Roma 25.2.10
Società civile per la Bonino, Ravera capolista
Imprenditori, medici, intellettuali: ecco chi scende in campo per la candidata
di Chiara Righetti, Giovanna Vitale

Aveva detto: «L´ho sempre vista dov´ero anch´io, perché è sempre stata dalla parte delle donne». Anche per questo Lidia Ravera ha accettato la sfida: sarà lei a guidare i "Cittadini/e per Bonino". La lista civica di medici, imprenditori, avvocati in campo per Emma Bonino presidente. «Persone vere - spiega la coordinatrice, Anna Maria Malato (editrice Salerno), moglie del senatore Ranucci e già responsabile della civica di Veltroni – per una lista espressione del territorio, al motto: "Meno glamour, più sostanza"». E le iniziali resistenze della candidata a scrivere il suo nome su un´altra lista oltre alla Bonino-Pannella sono crollate quando la società civile ha bussato alla porta. Nomi celebri e non, con alle spalle storie d´impegno su temi cardine del programma, dal sociale alla sanità. Come il pediatra Mario Vela, noto per l´impegno sulle malattie rare; Massimiliano Ronco, presidente Associazione precari italiani; Lorena Guidi, responsabile nazionale precari Cri, attiva sul tema dai tempi della tenda a piazza Venezia,
Come esempio di questi "cittadini della porta accanto", Malato cita Cristiana Colombino, «imprenditrice, madre di due figli. Impegnata da sempre, a scuola, nel quartiere, è la prima volta che fa politica direttamente». O Ivo Mazzucchelli, ex della nazionale di rugby: di lui al comitato raccontano che abbia bussato chiedendo come poteva dare una mano. Ma ci sono anche assi nella manica come Massimo Marino (quello di «Bella fratè, a frappè»), noto per i film di Verdone e Vanzina ma soprattutto per ViviRoma Television, trasmissione giovanile cult sul mondo della notte. E con forte attenzione a categorie che difficilmente trovano cittadinanza politica. Spazio quindi alle donne, come Maria Giovanna Talia, avvocato e vicepresidente dell´associazione Corrente rosa; agli immigrati, con Balraj Singh, imprenditore indiano da vent´anni a Roma; alle comunità regionali, rappresentate da Antonio Turdò. Oltre all´esperienza dei consiglieri uscenti della civica Marrazzo: Roberto Alagna, Massimo Pineschi, Giuseppe Celli, Giuseppe Mariani, Luigi Canali. E potrebbe esserci anche Sandro Battisti dell´Api.
Intanto Bonino non si sottrae al tour de force elettorale e torna a parlare di legalità; un tema che, ha spiegato ai dipendenti dell´Enea, «soffre della stessa sindrome della ricerca: tutti ne parlano, nessuno fa nulla. Mi dicono di parlare di cose più concrete, ma la legalità è quanto di più concreto ci sia. Possiamo avere un programma migliore, e lo abbiamo, ma se non cambiamo il modo di fare politica finirà come i peggiori». E alle associazioni dei disabili: «Per me è fondamentale l´attenzione ai più fragili, non solo nell´assistenza. Un Paese è tanto più democratico quanto più è attento agli altri da noi, come carcerati, immigrati. Una parte di società che si tende a non vedere, ma è utile all´altra perché ne è lo specchio».

Repubblica 25.2.10
Bonino a digiuno "rallenta" la campagna
Incontro annullato per lo stress. Bersani: confermi la candidatura. E lei: sono in pista
L'esponente radicale senza cibo e acqua da lunedì. "Più concreta? La legalità lo è"
di Umberto Rosso

ROMA - Lascia, esausta, la sede del suo comitato elettorale a Trastevere, mentre si fa avanti un gruppo di emigrati in una giornata già fitta di incontri. Ma Emma Bonino, al terzo giorno di sciopero della fame e della sete, fisicamente non ce la fa e se ne torna a casa. Nei prossimi giorni, fanno sapere dal quartier generale del candidato governatore del centrosinistra, agenda elettorale alleggerita e «calibrata» sulle condizioni di salute condizionate dal digiuno. Ma dentro il Pd scoppiano subito altre polemiche. «Emma sospenda lo sciopero - torna alla carica Rosy Bindi, presidente del partito - e adesso faccia la candidata del Lazio. Per le battaglie dei radicali, anche giuste, passi il testimone ad altri suoi compagni». Pesano pure le minacce di Marco Pannella, che semina scompiglio annunciando che è ancora possibile la rinuncia alla corsa sotto le insegne del centrosinistra. Tanto che Bersani in mattinata, prima di partire per l´Aquila, sente il bisogno di una pubblica richiesta di chiarimenti alla Bonino. La sua è una battaglia di legalità che «merita ascolto», e che il Pd «appoggia» anche concretamente mettendo a disposizione amministratori locali per autenticare le firme delle liste radicali, ma «i cittadini chiedono di avere conferma della candidatura nel Lazio». E la vicepresidente del Senato, a stretto giro, rassicura: «Sono leale e quando prendo un impegno lo mantengo. Però vado avanti con il mio sciopero in nome delle regole e della legalità». Alla catena di solidarietà, con 24 ore di digiuno, si uniscono intellettuali e personaggi dello spettacolo, dal regista Paolo Virzì alla cantante Fiorella Mannoia.
Ad un clamoroso dietrofront di Emma, dentro il Pd, dunque non credono. Nemmeno nell´area cattolica, che in queste ore mastica amaro per una campagna tutta in chiave radicale che "subiscono". «La barra va raddrizzata - avverte Beppe Fioroni - ma ho troppo stima di Emma per pensare che possa confondere l´interesse generale con il proprio ombelico». Niente sospetti perciò, nessuna teoria del "tranello" - la Bonino che usa il Pd solo per tirare la volata ai radicali, e all´ultimo minuto scende dal treno in corsa - con quella sortita derubricata a "pannellata" e alla diversa strategia fra Marco e Emma. Con l´intenzione, soprattutto dell´ala bersaniana, di far quadrato attorno alla candidata radicale. «Con lei siamo in grande ripresa. I sondaggi - calcola l´uomo-organizzazione del Pd, Maurizio Migliavacca - danno la Bonino ad un punto dalla Polverini, e la coalizione ad un punto e mezzo». Al centrodestra risulterebbero ben altre cifre, come in Emila Romagna, dove secondo i sondaggisti del premier il centrosinistra non vincerebbe più rullo compressore (Errani sarebbe infatti al 53, la Bernini al 38).
Però Emma le liste radicali le vuole in pista. Aveva già avvisato, con una lettera nei giorni scorsi, Pier Luigi Bersani. «Rischiamo di sparire, dateci una mano per le firme». La prima reazione del partitone le è apparsa lenta, ma adesso perfino in Lombardia (dove i radicali si presentano in alternativa a Penati) il segretario ha chiesto ai militanti di accorrere in soccorso. Forse non basterà, i radicali potrebbero alla fine rinunciare in alcune regioni, ma di certo ci proveranno fino all´ultimo nel Lazio. Qui Emma fa da traino. E per sè ha chiesto metà listino, sette posti, da aprire poi all´esterno, alla società civile, come le hanno chiesto anche Goffredo Bettini e Nicola Zingaretti. Un po´ troppi, per il segretario del pd laziale Mazzoli che guida il tavolo delle trattative.

il Fatto 25.2.10
Offensiva papale sui preti pedofili
Dopo l’ultimo scandalo, in Germania, Ratzinger corre ai ripari
Per decenni la regola era l’insabbiamento
di Marco Politi

È il cancro nascosto nel corpo della Chiesa. Migliaia e migliaia di casi di pedofilia, un rosario di violenze dal Brasile agli Usa, dall’Australia, all’Irlanda. L’Italia, con 80 casi segnalati, non è immune. L’ultimo scandalo è scoppiato in Germania, dove si parla di circa 120 vittime abusate tra gli anni 70 e 80 in un prestigioso liceo di gesuiti a Berlino e poi in altri istituti di Amburgo, Hannover, Gottinga, Hildesheim e nel famoso collegio Aloisius di Bad Godesberg. Il presidente della conferenza episcopale tedesca, monsignor Robert Zoellitsch, si è detto “sconvolto” e ha rivolto le scuse della Chiesa ai giovani rimasti vittime di un “crimine ripugnante”. Ma, cosa più importante, il prelato ha preannunciato che la Chiesa denuncerà alla magistratura i colpevoli.
L’orrendo rituale è ovunque lo stesso: un lento gioco di seduzione da parte del religioso che finisce per soggiogare la vittima, quando non scatta l’aggressione improvvisa. Un abuso di fiducia – oltre che del corpo predato – compiuto da chi al riparo dell’abito sacro avrebbe dovuto proteggere e anzi “elevare spiritualmente” i minori affidatigli. A Bad Godesberg s’è ripetuto quanto accaduto altrove. Chi è stato violentato dal sacerdote-educatore e chi ne è diventato il giocattolo, chi è stato costretto a masturbarsi sotto gli occhi di un religioso e chi spinto ad accarezzarlo per dargli eccitazione. Con danni psicologici indelebili.
Il bubbone è veramente scoppiato, quando negli Usa sono state lanciate azioni collettive di risarcimento. La diocesi di Boston ha versato 85 milioni di dollari a oltre 500 vittime. Quella di Los Angeles ha pagato 660 milioni di dollari per un numero altrettanto elevato. Nei processi di Boston, chiusi con un patteggiamento nel 2003, era emersa l’altra dimensione della grande vergogna: la tendenza dei vescovi (a Boston il cardinale Law) a spostare di parrocchia in
parrocchia i preti colpevoli, sperando che si quietassero. Tipico il caso del reverendo John Geoghan, responsabile di un centinaio di abusi compiuti durante le sue trasferte e poi finito strangolato in carcere da un altro detenuto. Ancor oggi troppi vescovi, che non sono intervenuti con determinazione, restano al loro posto. Il cardinal Law ha lasciato Boston, ma ora presiede a Roma alla basilica di Santa Maria Maggiore: uno scandalo per molti cattolici Usa. La svolta ai vertici della Chiesa cattolica avviene sul volgere del millennio. I vescovi statunitensi scelgono la linea della tolleranza zero e papa Wojtyla leva la sua voce contro i preti “traditori”. È il momento in cui si incrina la metodologia di assoluta “segretezza” (durante i procedimenti ecclesiastici e persino dopo l’individuazione dei colpevoli) propugnata da un documento dell’ex Sant’Uffizio risalente al 1962. Il testo, Crimen Sollicitationis, esige il segreto totale – pena la scomunica – dalle autorità ecclesiastiche implicate nei procedimenti e, ancora peggio, il “perpetuo riserbo” anche dopo l’eventuale sentenza. È un sistema che penalizza le vittime, costrette a umilianti attese solo per farsi ascoltare.
Il vento cambia nel 2001 con un nuovo documento elaborato dall’allora cardinale Ratzinger. La Santa Sede sposta i tempi della prescrizione decennale, facendola scattare (in modo più garantista) non dal momento del crimine, ma dalla maggiore età della vittima. Ogni fatto va poi segnalato immediatamente alla Congregazione per la dottrina della fede, mentre l’indicazione che viene dal Vaticano è di allontanare subito i sospetti dal contatto con l’ambiente giovanile. Ratzinger è stato accusato in passato d’avere gestito burocraticamente la linea della “segretezza”, derivante dal documento Crimen Sollicitationis. Certo è che da pontefice Benedetto XVI ha iniziato sistematicamente un mutamento di strategia, tendendo a maggiore trasparenza, maggiore attenzione alle vittime, maggiore rigore e – ciò che rappresenta una rivoluzione rispetto al passato – esortando le autorità ecclesiastiche a deferire alla magistratura i colpevoli. Poco dopo la sua elezione ha dato l’esempio, decretando che il capo dei Legionari di Cristo, il padre Maciel (accusato di ripetuti abusi, ma il cui dossier era stato insabbiato per anni) fosse costretto a ritirarsi in una “vita di penitenza, rinunciando a ogni ministero pubblico”. Nei suoi viaggi negli Usa e in Australia nel 2008 s’è incontrato con rappresentanze di vittime e ha dettato il percorso da seguire. “Mi vergogno”, ha detto recandosi in America. E a più riprese ha chiarito che per i preti pedofili “non c’è posto nella Chiesa”.
Nei fatti si sono ancora verificate nel passato recente molte resistenze, in vari paesi, a intervenire immediatamente e senza remore contro i preti-predatori. In Irlanda il rapporto del giudice Yvonne Murphy ha accusato ben 4 vescovi di avere negletto la “protezione di bambini indifesi" anteponendo la “reputazione della Chiesa”. Con casi raccapriccianti: come quel prete che ha ammesso di avere abusato di cento bambini e un altro che approfittava di un minore diverso ogni due settimane. Ecco perché la Lettera che Benedetto XVI trasmetterà fra breve all’episcopato d’Irlanda avrà il carattere di un documento d’indirizzo per la Chiesa universale. Il primo testo solenne sulla pedofilia di un pontefice dell’era contemporanea.

l’Unità 25.2.10
Se la scuola è solo per cristiani
L’asilo di Goito e il razzismo istituzionale
di Giuseppe Civati, Ernesto Maria Ruffini

In provincia di Mantova, a Goito, il Consiglio comunale, a maggioranza di centrodestra e capeggiato da un sindaco di area Udc, ha approvato un regolamento che prevede l’accesso all’asilo pubblico comunale ai soli bambini che provengono da famiglie che accettano «l’ispirazione cristiana della vita». La giustificazione sarebbe quella per cui «pur essendo l’asilo pubblico, da sempre viene gestito secondo criteri che si ispirano al cristianesimo». A questo punto è il caso di fornire a quegli amministratori locali delle brevi istruzioni per l’uso della cosa pubblica.
Primo: la nostra Costituzione vieta ogni discriminazione fondata su motivi religiosi (art. 3) e garantisce a tutti, senza alcuna distinzione, l’accesso alla scuola pubblica (artt. 33 e 34). La scuola infatti, come ci rammentano gli stessi Costituenti, dovrebbe rappresentare una «aperta palestra di tutte le idee» (Preti), in cui si dovrebbe «entrare con animo tranquillo», perché dovrebbe rappresentare un «asilo di tutte le coscienze e... di tutti i cittadini» (Marchesi) e dovrebbe essere laica e «al di sopra d’ogni confessione» (Nenni).
Secondo: se non bastasse la Costituzione, rammentiamo ai consiglieri comunali di Goito che il Testo unico sull’immigrazione definisce discriminatorio ogni comportamento che comporti «una distinzione, esclusione o preferenza basata sulle... convinzioni e le pratiche religiose» (art. 43 D.lgs. n. 286/1998) e che il d.l. n. 122/1993 (legge Mancino) punisce con la reclusione fino a tre anni chi «commette atti di discriminazione per motivi... religiosi» (art. 1).
Terzo: la Convenzione europea sui diritti dell’uomo vieta qualsiasi forma di discriminazione fondata sula religione e impone agli Stati di rispettare la diversità culturale e religiosa delle persone (artt. 21 e 22).
Quarto: quali sarebbero i criteri cristiani cui sarebbe ispirata la gestione dell’asilo comunale di Goito? Ma il Vangelo non dovrebbe invitare tutti all’accoglienza e alla condivisione? Nel Vangelo, a proposito di bambini, perché di bambini che dovrebbero andare all’asilo stiamo parlando, non c’è forse scritto che «chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me»? (Mt. 18, 5).
Adesso un consiglio agli altri, esponenti politici (più o meno) democratici: smettiamola di credere che si tratti di uscite innocue e insignificanti. Per dirla con Bobbio, siamo di fronte a forme di razzismo istituzionale e non è il caso si sottovalutarle, ma di segnalarle e di pretendere il rispetto dei valori sui quali la nostra comunità si fonda. In nome del rispetto che dobbiamo nei confronti chi è diverso da noi e verso noi stessi.

l’Unità 25.2.10
«Impedimento legittimo?» Torna in piazza il Popolo viola
Sabato prossimo a Roma manifestazione nazionale in difesa della Costituzione
Gli organizzatori: «Ci saranno migliaia di persone. A rischio la democrazia». Il Pd aderisce
di Max Di Sante

Piazza del Popolo, sabato prossimo, si tingerà di viola per protestare contro il legittimo impedimento e difendere la Costituzione. «Sarà una proav di maturità», dicono gli organizzatori. Il Pd aderisce.

A due mesi dal “No B Day”, denuncia il “Popolo viola”, «il rischio per la democrazia è ancora più grande» e per questo è convocata per sabato a Roma, in piazza del Popolo dalle 14,30, una manifestazione nazionale contro il legittimo impedimento, a fianco alla Costituzione e a sostegno degli organi di garanzia costituzionale. Questa volta le adesioni politiche, anche se i leader non potranno prendere la parola dal palco, non si sono fatte attendere e alla scontata adesione dell'Italia dei valori di Antonio Di Pietro, il quale sarà sicuramente in piazza, ha fatto seguito quella ufficiale del Pd, attraverso Bersani, dopo che i “democrat” avevano invece deciso di non dare l'adesione ufficiale all'iniziativa del 5 dicembre in piazza San Giovanni. Con il Popolo viola, ci saranno anche la Federazione della Sinistra, Sinistra ecologia e libertà (Sel) e i Verdi. Ma la parte del leone a piazza del Popolo la faranno ancora una volta gli autoconvocati sul web che questa volta hanno deciso deciso di organizzare la manifestazione «senza l'appoggio economico o logistico dei partiti» e per questo hanno lanciato una sottoscrizione per raccogliere almeno 20 mila euro per allestire il palco e pagare tutte le spese organizzative. A chi sottoscriverà la cifra maggiore andrà in premio una colazione con Dario Vergassola. «Speriamo che questa manifestazione dicono gli organizzatori venga più plurale possibile. Era questo anche lo spirito dell’altra volta, ci eravamo rivolti alla base e non ai partiti». «Questa volta spiega Gianfranco Mascia, uno degli organizzatori è una prova di maturità. Non ci confrontiamo con l’altra volta, ma con l’emergenza che c’è adesso. Siamo dal 4 febbraio davanti a Montecitorio».
TANTE ADESIONI
Chi sarà in piazza? «Sicuramente rispondono gli organizzatori delegazioni di lavoratori della ThyssenKrupp, dell’Alcoa, dei call center, rappresentanti di Articolo 21 e poi esponenti politici di tutta l’opposizione di centrosinistra tranne l’Udc, ma soprattutto tanta, tanta gente comune. Gli argomenti ruotano intorno alla difesa della Costituzione, in particolare agli articoli 1, 3 e 21, quelli relativi alla libertà individuale, d’espressione e dei diritti fondamentali». «Lo facciamo concludono per dire la nostra su quanto accade nel Paese: un Parlamento bloccato a risolvere i problemi personali del premier e che non si occupa dei problemi dei cittadini», tra i quali naturalmente in primo piano le questioni del lavoro e della libertà di informazione. Insomma, le motivazioni «sono simili a quelle che hanno spinto il 5 dicembre scorso tantissime persone a scendere nelle vie di Roma per il “No Berlusconi Day”» e la protesta di sabato prossimo a piazza del Popolo si trasferirà domenica all'Aquila per sostenere «con le carriole» la lotta dei cittadini per i necessari interventi nel centro storico.
IL PD: «È LA NOSTRA BATTAGLIA»
Infine è il Pd a parlare. Dice Maurizio Migliavacca, coordinatore della segreteria del Partito Democratico: «Il Pd sta facendo da settimane una battaglia decisa contro il legittimo impedimento e a salvaguardia degli organi di garanzia costituzionale. La manifestazione di sabato prossimo a Roma, indetta dal “popolo viola”, ha come obiettivo l'opposizione alla legge sul legittimo impedimento. Perciò alla manifestazione parteciperanno militanti e dirigenti del Pd, a partire da Rosy Bindi e Andrea Orlando».

l’Unità 25.2.10
«Si dia visibilità alla manifestazione su radio e tv»

«L'assurda decisione presa dalla commissione parlamentare di Vigilanza, che non cambierà il rigido regolamento sulla presenza degli uomini politici nei talk show televisivi durante la campagna elettorale, non può limitare il diritto dei cittadini ad essere informati». Lo affermano Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo 21, e Vincenzo Vita (Partito democratico).
«È preciso dovere di ogni giornalista, di ogni autore televisivo e, ancor di più, di ogni direttore illuminare quelle situazioni di protesta che partono dai cittadini», continuano Vincenzo Vita e Giuseppe Giulietti, che chiedono di «illuminare di più» la manifestazione organizzata a Roma dal Popolo Viola il 27 Febbraio, a difesa della Costituzione, e “Primo marzo 2010 Una giornata senza di noi”, ovvero lo sciopero dei migranti.
«L'entrata in vigore della par condicio ribadiscono Giuseppe Giulietti e Vincenzo Vita non può oscurare queste iniziative. Se in televisione e alla radio non possono parlare i politici è giusto dar voce agli invisibili, che in questo sono sempre di più. Perché le reti pubbliche e commerciali non decidono di trasmettere in diretta questi eventi facendo sentire le voci dei cittadini?».

l’Unità 25.2.10
«Devono avere la forza di diventare loro la politica»
di Eduardo Di Blasi

Giulio Cavalli, regista, attore e candidato «indipendente» dell’IdV in Lombardia: «È dal 500 che si va in piazza per le ingiustizie. La società civile non deve essere “ospite” in casa d’altri»

Giulio Cavalli, classe 1977, attore teatrale, autore e interprete di quel cosiddetto «teatro civile» che lo ha portato per vie scomode, affrontando nei propri spettacoli temi difficili, primi fra tutto quello della mafia. Ha subito ritorsioni. E per questo vive sotto scorta. A Milano, due settimane fa, hanno rinvenuto nei pressi del teatro dove andava in scena il suo spettacolo «A cento passi dal Duomo» (scritto con Gianni Barbacetto), una busta con 23 proiettili. Ennesima minaccia. Giulio, che è candidato per l’IdV al consiglio regionale della Lombardia, spiega così la sua «discesa in campo», sponsorizzata anche da Luigi De Magistris e Sonia Alfano: «Mi ero stancato di essere accusato di fare teatro troppo politico...». Lui, candidato indipendente, figlio della cosiddetta società civile, cosa pensa del Popolo viola che scende in piazza per la giustizia?
«La piazza è stata per me è stata una cassa di risonanza importante, soprattutto se contenuta nei modi civili. E il Popolo Viola ha anche aggiunto vette estetiche magnifiche come il manifesto sul “compagno Fini”. Quello che serve è che faccia lo scatto e diventi “politica”». Quella del No B-day è stata definita una piazza antipolitica. «No, era l’alternativa politica, che però deve “entrare” ancora nella politica. A me fa arrabbiare la distinzione tra società civile e politica. Io, ad esempio, sono un candidato indipendente, nuovo prodotto di marketing. Si dice: “La politica apre alla società civile”, come se fosse un piacere che le fa. Non è un danno enorme pensare che il professionismo politico può poi fare delle concessioni alla società civile? No, adesso bisogna reclamare il proprio posto. Siccome io mi incazzo sulle parole. E noi siamo riusciti a farcele fregare, credo che il candidato indipendente faccia il paio con il giusto processo, l’impedimento legitti-
mo. Un giorno mi aspetto la giraffa alta... Il candidato indipendente viene accolto in una casa ma lo arreda. io non voglio fare il coinquilino a sbafo».
Che speranza ha di essere eletto?
«Non ne ho la più pallida idea».
È una battaglia praticabile?
«Per me sì, ma sta parlando con uno che si è buttato dentro anche alla battaglia contro la ‘ndrangheta in Lombardia, che vedo praticabile...».
A Milano non c’è la mafia, dicono le istituzioni cittadine... «La mafia in Lombardia è così conclamata che basta mettere in fila cinque subappalti. E per questo che la società civile deve avere un proprio posto al Pirellone, dove le carte dei subappalti passano. Si tratta solo di rendere tutto trasparente. Io voglio essere quello che in siciliano si direbbe uno scassaminchia. Uno scassaminchia con una sua estetica. Non un urlatore da piazza, ma uno scassaminchia con poesia. Voglio essere il Ponte di Messina tra la società civile e il Pirellone».
Le ultime notizie di cronaca ci consegnano un quadro inquietante... «Che Di Girolamo fosse vicino agli Arena, basterebbe alzare il telefono e chiamare Pino Masciari. Si vedrebbe anche come in Italia vivono i testimoni di giustizia e come vivono corrotti e corruttori. La cosa che mi stupisce è che ogni volta ci debba essere questa fatica a dover convincere che la ‘ndrangheta è vicinissima alla politica. Quelle intercettazioni hanno alzato il tappeto e ci hanno fatto vedere i veri rapporti di forza in questo Paese».
Queste informazioni non sembrano muovere l’opinione pubblica... «È che c’è troppa poca gente che vota, ed è frutto dell’impermeabilizzazione che la televisione ha fatto». Il Popolo viola scende in piazza per la giustizia...
«Uno degli aspetti più sorprendenti del Popolo viola è stato quello di aver reso “la giustizia” un problema di pancia. La giustizia! Che di solito è vista come un problema tecnico delegato ai tecnici. E invece è dal Cinquecento che il popolo scende in piazza per le ingiustizie».
La mobilitazione è nata sulla rete. Pensa possa essere una nuova piattaforma di scambio di idee? «Non riusciranno a fermarlo. A differenza della televisione che l’hanno educata loro, che l’hanno male-educata come loro conveniva, la rete è difficile da educare. La rete è uno dei valori da difendere».

Repubblica 25.2.10
Sabato a Roma manifestazione a difesa della Costituzione: già 200 pullman e 210 mila adesioni online
Il Popolo Viola ritorna in piazza e il Pd annuncia: noi ci saremo
di Vladimiro Polchi

Distinguo tra i democratici. Follini: "La trincea radicale aiuta Berlusconi"

ROMA - A tre mesi dal "No B Day", il "Popolo viola" torna in piazza. Parole d´ordine? Stop al legittimo impedimento, difesa della Costituzione e «di tutti gli organi di garanzia». L´appuntamento è fissato per sabato 27 febbraio in piazza del Popolo a Roma, a partire dalle ore 14,30. La macchina organizzativa è in moto: 200 pullman, 210mila adesioni online, gruppi attivi su Facebook in tutte le province italiane. Sul palco, immigrati, precari, operai e giuristi. In piazza il popolo degli autoconvocati e i partiti politici che hanno aderito: il Pd, innanzitutto e poi Idv, Sinistra Ecologia e Libertà, Verdi, Radicali, Federazione della Sinistra.
Ad annunciare l´adesione del Partito democratico (che era invece mancata al No B Day del 5 dicembre 2009) è il coordinatore della segreteria, Maurizio Migliavacca: «La manifestazione di sabato a Roma ha come obiettivo l´opposizione alla legge sul legittimo impedimento e per questo motivo vi parteciperanno militanti e dirigenti del Pd, a partire dal presidente dell´Assemblea nazionale Rosy Bindi e dal responsabile Giustizia, Andrea Orlando». Ma la scelta non convince tutte le anime del partito. «In piazza non ci sarò - fa sapere infatti Marco Follini - perché indossare la sciarpa viola rischia solo di compattare l´edificio del consenso berlusconiano, proprio quando cominciava a scricchiolare. Spingersi in una trincea radicale, non ci aiuta certo a offrire un riferimento a quella parte dell´elettorato di Berlusconi, oggi meno convinta».
La parte del leone in piazza la faranno comunque gli autoconvocati sul web, che hanno deciso di organizzare la manifestazione «senza l´appoggio economico o logistico dei partiti». Per questo hanno lanciato una sottoscrizione (su www.27febbraio2010. org) per raccogliere almeno 26mila euro. A chi sottoscriverà la cifra maggiore andrà in premio una colazione con Dario Vergassola. Per ora è in testa un certo Andrea P., che ha versato 500 euro.
«Siamo già arrivata a quota 17mila - dichiara uno degli organizzatori, Gianfranco Mascia - soldi che serviranno per le spese e per il palco. Vi saliranno giuristi, dipendenti della Thyssen, di Termini Imerese, dei call center e un immigrato che annuncerà la sciopero del primo marzo. E poi: Oliviero Beha, Gianni Minà, Alberto Asor Rosa, Paolo Flores d´Arcais, Lidia Ravera, Gioacchino Genchi e in video Marco Travaglio e Giorgio Bocca. All´inizio - prosegue Mascia - ci eravamo dati appuntamento a piazza Navona. Poi le adesioni sono cresciute e abbiamo chiesto piazza del Popolo».
«L´agenda politica ci ha imposto di tornare in piazza - spiega un´altra delle organizzatrici, Sara De Sanctis - per dire la nostra su quanto accade nel Paese: un Parlamento bloccato a risolvere i problemi personali del premier, che non si occupa dei problemi dei cittadini, tra i quali il lavoro e la libertà di informazione». Sul palco infatti la difesa della Costituzione si concentrerà su tre articoli: 1, 3 e 21. «Lavoro, uguaglianza e libertà di stampa - conferma De Sanctis - saranno il cuore della manifestazione».
In piazza sarà presente anche l´Associazione nazionale partigiani, mentre Giuseppe Giulietti (Articolo 21) e Vincenzo Vita (Pd) chiedono che la par condicio non oscuri la manifestazione del 27 Febbraio e quella del "Primo marzo 2010-Una giornata senza di noi"(ovvero lo sciopero dei migranti).

l’Unità 25.2.10
Dopo la terra Israele occupa i luoghi sacri di Palestina
La guerra della memoria. Il governo Netanyahu si annette la Tomba dei Patriarchi a Hebron quella di Rachele a Betlemme. E a Gerusalemme...
L’imposizione del Muro. Confisca la terra e i campi, ma anche i luoghi di identità
Robert Serry, Onu: «Impediscono la pace Allarmanti le imposizioni istraeliane»
di Umberto De Giovannangeli

Questa è una triste storia. Una storia dove passato e presente s'intrecciano indissolubilmente, in cui ogni corda identitaria viene toccata e tesa all'estremo. Una storia nella quale politica e religione si fondono dando vita a una miscela esplosiva. Una storia che fa riemergere quella bramosia di possesso assoluto in nome della quale si è combattuto e sparso sangue in Terrasanta. «Dopo la terra ora vogliono toglierci anche i luoghi della memoria. Dopo l'annientamento politico, i falchi israeliani hanno deciso di espropriarci anche di qualcosa ancor più importante della terra: la memoria storica di ciò che è stato, di ciò che è la Palestina», dice a l'Unità Sari Nusseibeh, rettore dell'Università Al Quds di Gerusalemme Est, il più autorevole intellettuale palestinese.
A scatenare l'ira dei palestinesi è stata la decisione del governo di Benyamin Netanyahu di includere fra i luoghi della «memoria storica» del popolo ebraico che vanno preservati anche la Tomba di Rachele a Betlemme e la Tomba dei Patriarchi a Hebron. Luoghi santi che si trovano in zone autonome palestinesi e sono venerati sia da fedeli ebrei sia da fedeli islamici. La decisione israeliana «è una provocazione per i musulmani di tutto il mondo e soprattutto per i palestinesi», denuncia il capo dei negoziatori dell'Anp,
Saeb Erekat. «Siamo di fronte ad una ulteriore, gravissima escalation politica unilaterale, dei fatti compiuti, messa in pratica dai governi israeliani succedutisi negli ultimi quindici anni», gli fa eco Hanan Ashrawi, più volta ministra dell'Anp oggi paladina dei diritti umani nei Territori. «Il dialogo, per avere senso ci dice Ashrawi deve partire dal riconoscimento non solo delle ragioni dell'altro, ma ancor prima, riconoscerne l'esistenza in quanto nazione, con una sua storia, una sua identità culturale. Una sua memoria». «Ora aggiunge Ahrawi, prima donna portavoce della Lega Araba come si può pensare ad una pace fondata su due Stati se Israele rifiuta anche di condividere luoghi sacri a ambedue i popoli?».
Una considerazione che ci conduce al cuore di questa sottrazione in divenire. Ci porta a Hebron, alla grotta di Makpelah, dove la tradizione vuole siano inumati Abramo, Isacco, Giacobbe con le loro mogli. È la Tomba dei Patriarchi, luogo di culto sia per i musulmani che per gli ebrei. Luogo conteso, che venerdì 25 febbraio 1994 si trasformò in un campo di battaglia. Quella mattina, giorno di Purim per gli ebrei, ultimo venerdì di Ramadan per i musulmani, un colono di Kiryat Arba, il grande insediamento presso Hebron, roccaforte della destra ultranazionalista ebraica, superati controlli militari israeliani all'ingresso della Moschea di Abramo, dove sorge anche la sinagoga che gli ebrei chiamano Makpelah, si avvia verso una delle sale la sala Isacco dell'edificio. Baruch Goldstein, medico piuttosto noto tra i coloni, nasconde un fucile mitragliatore M16 in una borsa sportiva blu. Indossa la divisa da riservista. Senza pronunciar parola, spara diversi caricatori sui musulmani in preghiera, uccidendone trenta e ferendone decine prima di essere a sua volta linciato dai sopravvissuti. Negli incidenti che seguirono altri 20 palestinesi saranno uccisi dall'esercito israeliano.
Da quel giorno tragico, la tomba di Goldstein, a Kiryat Arba, è meta di continui pellegrinaggi dei militanti dell'estrema destra moltissimi i giovani che considerano «Baruch, eroe di Erez Israel». Tra i gli organizzatori delle visite alla tomba di «Goldstein, re d'Israele» c'era pure Yigal Amir, l'assassino di Yitzhak Rabin. «Israele non ha il solo il diritto ma anche il dovere di preservare i luoghi della memoria del popolo ebraico. E Makpelah è parte inalienabile di essi. A sancirlo è la Torah, guai a dimenticarlo...», dice a l'Unità David Wilder, leader degli ultraortodossi israeliani, in maggioranza originari degli Stati Uniti, che vivono 500, circondati da 170mila palestinesi in una enclave trasformata in fortino nel cuore di Hebron.
La tensione è tornata altissima. Un portavoce della Jihad islamica ha detto al sito web del quotidiano Yediot Ahronot che la iniziativa di Netanyahu è un tentativo israeliano di «annettere» luoghi islamici di preghiera, e dunque un atto «aggressivo» che provocherà la ripresa degli attacchi armati. In una Terrasanta che si «nutre» di simboli, è altamente simbolico anche il fatto che l'annuncio del governo israeliano di un piano nazionale per «riabilitare» circa 140 siti storico-religiosi dell’ebraismo, è stato dato dopo un Consiglio dei ministri straordinario, tenutosi a Tal Hai, nel nord di Israele, luogo in cui nel 1920 ebrei e arabi combatterono. «L’annessione della Tomba dei Patriarchi incalza l’ex ministro Mustafa Barghouti e di quella di Rachele a Betlemme, non è altro che una dichiarazione da parte di Israele del fatto che imporrà azioni concrete: annettendo terre e impedendo la pace». Preoccupazione condivisa dall'emissario Onu per il processo di pace israelo-palestinese, Robert Serry, che definisce allarmanti le rivendicazioni israeliane sul «territorio palestinese occupato». Per realizzare questa «sottrazione di memoria» è funzionale anche la Barriera di sicurezza (il muro dell'apartheid per i palestinesi) in Cisgiordania. Nel settembre 2002, le autorità israeliane approvarono l'inclusione della Tomba di Rachele (la seconda moglie di Giacobbe), alle porte di Betlemme, all'interno dei confini del Muro.
Da allora il progetto è marciato spedito. Quella barriera impedisce ai palestinesi di Betlemme di recarsi a pregare alla Tomba di Rachele. Il piano rientra a pieno titolo nel disegno della «Grande Gerusalemme» ebraica coltivato dalla destra oggi al governo in Israele. La Barriera-Muro spezza in mille frammenti la Cisgiordania e crea dei ghetti. Uno di essi, il ghetto-sud, una volta portato a compimento, comprenderebbe Betlemme e Hebron, e i loro luoghi sacri. La Tomba dei Patriarchi, la Spianata delle Moschee, la Tomba di Rachele... Ciò che un intero popolo, quello palestinese, vive è una doppia confisca: quella della terra, e quella, non meno dolorosa, dei luoghi di identità.
Legami che uniscono, è il titolo di prima pagina del Jerusalem Post che parla dell'inserimento della Tomba dei Patriarchi a Hebron e della Tomba di Rachele a Betlemme nella lista dei 150 siti dell'identità nazionale israeliana. Ma ciò che unisce Israele spezza i palestinesi, espropriandoli del passato e del futuro. «Vi chiediamo di impedire ad Israele di attuare il suo brutale, espansionistico progetto di annettere la zona della Tomba di Rachele e le terre circostanti e di chiudere l’entrata principale della nostra città che collega Betlemme con Gerusalemme, impedendo il flusso dei pellegrini e dei turisti in Betlemme». Era l'appello disperato rivolto dai palestinesi di Betlemme al mondo libero. Un appello rimasto senza risposta.

Repubblica 25.2.10
Caso Dubai, i killer del Mossad erano 26
Partiti da Roma e Milano alcuni degli agenti che uccisero l’uomo di Hamas
di Alberto Stabile

Individuati altri quindici passaporti europei falsi usati dai membri del commando
Resta da chiarire perché il gruppo di fuoco fosse composto da così tante persone

Gerusalemme - La polizia di Dubai ha identificato altre 15 persone sospettate di aver preso parte all´omicidio di Mahmud al Mabhuh, il dirigente di Hamas ucciso il 19 gennaio in un albergo di lusso del piccolo emirato, portando a 26 il numero complessivo delle persone coinvolte nel delitto. Al centro delle indagini su mandati ed esecutori resta il Mossad, ma alla luce delle nuove rivelazioni, ammesso che i sospetti degli inquirenti siano fondati, resta da capire come mai il potente servizio segreto israeliano abbia deciso di mobilitare un così alto numero di agenti per uccidere una persona sola e disarmata.
Il precedente capitolo di questo giallo che non sembra ancora concluso ci aveva consegnato le foto e i passaporti manipolati di undici persone: sei inglesi, tre irlandesi un francese e un tedesco. Secondo le autorità di Polizia di Dubai, avevano fatto parte della squadra incaricata di assassinare al Mabhuh, un capo militare del Movimento islamico cui da anni i servizi israeliani davano la caccia, responsabile del traffico d´armi che dall´Iran arrivano a Gaza.
La pubblicazione delle foto e dei nomi degli undici sospettati aveva portato alla scoperta più sensazionale. E cioè che l´identità di alcuni di loro corrispondeva a quella di altrettanti cittadini israeliani emigrati in Israele in epoche diverse e per questo muniti di doppio passaporto. Persone la cui identità era stata rubata e clonata sui passaporti di alcuni degli assassini.
Ora la polizia di Dubai, «grazie all´aiuto amichevole» di alcuni paesi ha aggiunto altri 15 nomi alla lista dei killer: sei con passaporti britannici, tre irlandesi, tre francesi e tre australiani. Le modalità seguite per confezionare queste 15 nuove identità sembrano analoghe alle precedenti. Infatti, c´è già un cittadino israeliano, Adam Marcus Korman, nato in Australia nel ‘75 ma emigrato in Israele sin da bambino, che ha visto il suo nome sulla lista dei nuovi ricercati diffusa da un sito ma non si è riconosciuto nella foto corrispondente. Ed ha subito protestato.
Assieme ai nomi dei 15 la polizia di Dubai ha reso noti altri dettagli. Il gruppo sarebbe giunto a Dubai proveniente da diverse città, tra cui Roma e Milano. Compiuto il delitto la «squadra» si sarebbe dispersa in molte direzioni. In particolare, una coppia di finti australiani sarebbe partita in nave con destinazione l´Iran. Proprio il temutissimo Iran.
Ma per quanto accuratamente addestrati, anche a far fronte agli inevitabili errori e contrattempi, gli uomini e le donne del commando, si sono lasciati dietro una «traccia elettronica» che oggi ha permesso la loro «esposizione» anche se non si può parlare di una vera identificazione. Nel caso di Michael Bodenheimer, poi, la traccia era ben visibile da tempo. Nell´estate del 2009, infatti, un uomo in possesso di passaporto israeliano si è presentato al consolato tedesco di Colonia chiedendo un passaporto tedesco che, a suo dire, gli spettava essendo figlio di una coppia di ebrei tedeschi sfuggiti ai nazisti. Alle autorità tedesche l´uomo presenta tutti i documenti necessari, compreso il certificato di matrimonio dei genitori. Solo che il vero Michael Bodenheimer è un rabbino che vive nella cittadina ultraortodossa di Bnei Barak.

Repubblica 25.2.10
Gli 007 israeliani e il nostro paese. Un libro di Eric Salerno
Il Mossad, l’Italia e la decima Mas
di Fabio Scuto

Dopo la fine della Seconda Guerra mondiale l´Italia era diventata la base operativa dell´organizzazione responsabile dell´immigrazione ebraica clandestina post bellica, la "madre" di uno dei più potenti e abili servizi segreti del mondo: il Mossad. Erano anni confusi, anni curiosi – scrive Eric Salerno in Mossad, Base Italia (Il Saggiatore, pagg. 255, euro 19) – fatti di alleanze strane e lealtà confuse. Ebrei e inglesi contro la Germania nazista, altri ebrei che guardavano con simpatia i tedeschi perché nemici dei colonizzatori britannici in Palestina. Tutti fedeli al vecchio adagio mediorientale: il nemico del mio nemico è mio amico.
Per la sua posizione geografica l´Italia fu il luogo scelto dai fondatori del Mossad – il leggendario Yehuda Arazi, impersonato nel film Exodus da Paul Newman, e Mike Harari, lo 007 più famoso di Israele che da spia ormai in pensione ha accettato di rivelare a Salerno alcune delle sue verità sulle origini del servizio segreto – per impiantare la loro rete per il transito degli ebrei verso la Palestina: ventiseimila in meno di tre anni. Il Mossad poté contare all´epoca e negli anni a venire su un altro fattore determinante: il beneplacito delle autorità politiche italiane – dalla Dc di De Gasperi, al Pci di Togliatti, al Msi di Romualdi.
Alla fine della guerra l´Italia era nel caos, il contrabbando infuriava e i depositi d´armi degli Alleati venivano svuotati per rifornire ex–partigiani e gruppi di destra, arabi e ebrei: bastava avere soldi in contanti. Il giro di spie doppie e anche triple era vasto, un complesso gioco di specchi che solo menti raffinate potevano gestire. Come il colonnello delle SS Walter Rauff – l´inventore dei terribili "furgoni a gas" – arrestato in Italia, salvato dagli americani a Norimberga e agganciato poi dal Mossad. Diventato consigliere militare in Siria, il doppiogiochista venne poi "esfiltrato" e munito di documenti falsi dal Mossad per fuggire in Sudamerica dove poi offrì i suoi servigi al dittatore cileno Pinochet. O come il "capo di terza" Fiorenzo Capriotti della Xª Mas di Junio Valerio Borghese che dopo un internamento di cinque anni venne segnalato dai nostri servizi come istruttore per gli incursori della nascente marina di Israele dalla quale poi fu congedato con tutti gli onori.
Basi importanti del Mossad erano a Milano, Genova, Foggia, Formia, Bari. Ma era Roma il cuore delle attività. L´atmosfera cospiratoria che esce dal libro di Salerno – nel quadrilatero definito dagli alberghi di lusso attorno a Via Veneto – era palpabile ma forse offuscata dai fasti della Dolce Vita che si consumava in quegli stessi luoghi. Roma assomigliava alla Casablanca del film con Bogart e la Bergman. Spie con licenza di uccidere, diplomatici veri e falsi, mercanti d´armi, finanzieri e grandi sognatori si intrecciavano in una strana danza. Personaggi reali che escono dal libro attraverso i ricordi di Mike Harari. Sabotaggi, uccisioni, rapimenti. In una lunga corsa che attraverso gli anni Sessanta, Settanta e Ottanta arriva fino ai nostri giorni. Roma, allora come adesso, è sempre rimasta "città aperta".

Repubblica 25.2.10
Circe
Quella maga che continua a sedurci
di Maurizio Bettini e Cristiana Franco

L´anticipazione Un saggio di Bettini e Franco ripercorre le tappe del mito Dalla Grecia a oggi, tra interpretazioni e iconografie diverse, l´eterno fascino della figura usata anche da Joyce
Anticipiamo un brano da Il mito di Circe di Maurizio Bettini e Cristiana Franco (Einaudi, pagg. 402, euro 28), in uscita in questi giorni.

La reazione eroica di Odisseo instaura sull´isola di Circe una dinamica che ai Greci dell´età arcaica e classica doveva apparire come giusto ordine delle cose. Prima dell´arrivo dell´eroe sull´isola, Aiaie è una terra di sole femmine – Circe e le sue ninfe ancelle – in cui il potere virile viene neutralizzato ogni volta che si affaccia all´orizzonte. Ogni uomo che passa di lì perde la propria identità di essere umano maschio libero indipendente, trasformandosi in belva sottomessa o in bestia da cortile, in ogni caso al servizio della dea. Doveva giungere il guerriero di Itaca perché l´incantesimo si rompesse – così aveva preannunciato Hermes – e Circe, almeno una volta, fosse sottomessa a una volontà maschile. Ecco perché a Odisseo non capita quello che accadrà all´"Ulisse" di Joyce, umiliato e trasformato in donna dalla sua virilissima "Circe". Né quello che succede agli hetáiroi, ridotti a un branco di suini all´ingrasso, ammassati nel porcile e nutriti dalle mani della dea, che possono essere salvati soltanto dal «cinghiale» eroico, il loro capo, capace di affrontare e vincere Circe a spada tratta. Come Penelope, anche Circe non cede a un pretendente qualunque; come Penelope, anche Circe accetta solo Odisseo nel proprio letto. (...)
Se nel racconto omerico Odisseo finisce per rimanere da Circe un anno intero, senza mai desiderare di andarsene (sono i suoi compagni a protestare per la lunga permanenza) è proprio perché ha scelto di essere temuto, anziché disprezzato. Benché nel riassumere le proprie traversie Odisseo equipari le due esperienze presso Calipso e presso Circe, dicendo che entrambe lo avevano trattenuto volendolo come sposo, egli non è schiavo di Circe come invece poi lo sarà della ninfa a Ogigia. Ad Aiaie nessuno cerca di fermarlo: appena chiede di ripartire, Circe gli fornisce i mezzi e lo aiuta a raggiungere il suo scopo. In questo senso, l´episodio omerico di Circe è qualcosa di più che un racconto fantastico: è insieme una scena di riconoscimento e una narrativa esemplare. La dea riconosce in Odisseo l´uomo della profezia, l´eroe destinato a sottometterla e il maschio degno del letto divino. Il lieto fine del racconto indica che l´intervento di Odisseo ha normalizzato una situazione anomala e pericolosa; per una volta, per quell´anno trascorso dall´eroe ad Aiaie, nella casa di Circe maschi e femmine, umani e animali sono stati messi al loro posto.
L´affermazione che l´Odissea sia stata composta da una donna è una provocazione che ricorre nella storia della ricezione del poema almeno fin dall´epoca di Tolomeo Chenno. Questo singolare autore dell´età imperiale (...) raccontava di come Omero avesse rubato il materiale dei suoi poemi plagiando l´opera di una sacerdotessa egiziana dal nome piuttosto significativo: Phantasia. Pochi oggigiorno sono disposti a prendere sul serio ipotesi di questo tipo, e tuttavia, a tenerla in considerazione almeno per un istante, ci si guadagna in consapevolezza di quanto varia possa essere la risposta dei lettori a un medesimo testo. Con ciò si avverte anche la necessità di abbandonare il tono impersonale del resoconto per denunciare il carattere parziale e relativo della propria lettura e i presupposti impliciti su cui essa poggia.
Nella lettura dell´episodio di Circe che ho proposto, l´assunzione di fondo è che il mondo di valori espresso dal racconto omerico possegga una sua coerenza interna e sia eminentemente androcentrico. Per lo scrittore inglese Samuel Butler, uno dei convinti assertori dell´authorship femminile del poema, proprio la lettura del passaggio su Circe era stata invece rivelatrice dello sguardo femminile nascosto sotto la finzione autoriale: quale uomo avrebbe potuto concepire una regina che regna sulla sua isola da sola, senza l´aiuto dei maschi? In forma meno ingenua, il dubbio sul tipo di sguardo presupposto dalle figure femminili dell´Odissea è stato espresso più recentemente da altri lettori e lettrici. Si è notato, per esempio, che la celebrata fedeltà del marito di Penelope non è affatto rappresentata nel poema come supina passività, ma è piuttosto espressione di volontà, ingegnosità e capacità d´azione (e non solo per il trucco della tela con cui tiene a bada i pretendenti arroganti). Insomma le figure femminili del poema, con la loro dignità, forza e determinazione sono sembrate incompatibili con una visione del mondo oppressivamente maschile e maschilista, in cui non ci sarebbe alcuno spazio di riconoscimento per i saperi e le competenze delle donne. Fino a qualche anno fa gli studiosi pensavano di spiegare la presenza di questi elementi come sopravvivenze di un mondo antecedente alla composizione dei poemi, ricordi fossili, ormai privi di riferimento reale, di una società in cui le donne avrebbero goduto di uno status decisamente superiore a quello loro riservato dalle più recenti culture maschiliste. Circe, in questo quadro, sarebbe stata un´ipostasi della grande dea mediterranea «Signora delle erbe», accompagnata dal paredro Helios, e venerata come potente prima dell´arrivo degli Indoeuropei. Miraggi di società matriarcali e di ordini simbolici dominati dalla Dea Madre.
Apparirà evidente che non condivido il carattere semplificatorio e autoconsolatorio di molte fra queste posizioni. Non c´è dubbio che ogni lettrice dell´Odissea sia libera di scegliere fra differenti opzioni. (...) La mia proposta presuppone che il mito di Circe, per come è raccontato, abbia un precisa funzione narrativa all´interno di quella sezione del poema e che questa funzione si illumini a partire dalla fine: la grandezza di Circe nella prima parte del racconto sta soprattutto in funzione dell´importanza e del valore del gesto dell´eroe che, al contrario dei suoi compagni, risulta oggettivamente capace di scampare l´insidia e conquistarsi l´amore e l´appoggio di una dea. Se davvero a comporre il poema fosse stata un aedo donna, credo dovremmo meravigliarci di quanto abile sia stata costei ad assumere su Circe – e sugli altri caratteri femminili delle avventure narrate dall´eroe – lo sguardo virile del narratore interno, nonché a prestargli una certa vanità di maschio, corteggiato e conteso da mortali e dee del pari, che tutte a suo dire lo vorrebbero «fare sposo». L´Odissea è una narrativa complessa e raffinata, non dimentichiamolo: quel che sappiamo di Circe è quello che Odisseo racconta per compiacere i suoi ospiti, convincerli del proprio prestigio e guadagnarsi così la via del ritorno. I Feaci lo prendono sul serio. E così, io credo, il poema invita a fare anche con noi.

Repubblica 25.2.10
Lascia la leader dei luterani trovata ubriaca al volante
I suoi 14 vescovi l'hanno difesa ma la Kaessmann ha deciso di dare le dimissioni
di Andrea Tarquini

BERLINO - Crolla per un affaire minuscolo, l´eroina della Chiesa luterana e di molte donne tedesche, quella che quasi sembrava la seconda donna più potente di Germania dopo Angela Merkel. La vescovo Margot Kaessmann, presidente del sinodo della Chiesa evangelica e titolare della diocesi di Hannover, si è dimessa ieri sera da ogni incarico dopo che era stata fermata dalla polizia e sorpresa in guida in stato d´ebbrezza. Il suo probabile successore sarà di nuovo un uomo, Nikolaus Schneider, dal 2003 numero uno della chiesa protestante in Renania.
Ancora giovane (51 anni), iperattiva, coraggiosa - ha retto uno dopo l´altro i colpi del divorzio e della lotta contro il cancro - Margot Kaessmann ha preso l´iniziativa contro il parere del vertice della Chiesa protestante. Il quale, poche ore prima, le aveva confermato piena fiducia. Non le è bastato. Ha preferito assumersi ogni responsabilità fino in fondo, e ha convocato di corsa una conferenza stampa. «Ho commesso un grave errore, che deploro nel modo più profondo. Ma non sono in condizione di restare in carica con la necessaria autorità. Mi spiace di deludere molti, ma ne va della mia coerenza. mi sono detta "va dove il cuore ti dice di andare"».
Da oggi, quindi, la popolarissima "Demi Moore dei luterani" è soltanto pastore protestante, e non si sa ancora in quale chiesetta di provincia andrà a curare i fedeli e a predicare. «Almeno so per esperienza che per quanto tu possa cadere in basso, non cadrai mai troppo in basso perché le mani di Dio ti colgano e ti sorreggano», ha detto.
Margot Kaessmann, alla guida della Chiesa evangelica da fine anno, si era subito distinta per la popolarità estrema (quando diceva messa riempiva le chiese, in un paese sempre più secolarizzato) e per il coraggio quasi sfacciato con cui sfidava il governo: sull´Afghanistan, da cui chiedeva il ritiro, o sui tagli al welfare, che condannava. Ma l´altra sera a Hannover, al volante della Phaeton di servizio, è passata col rosso. Fermata, è risultata positiva all´etilometro. In commissariato è stata sottoposta a un prelievo di sangue. Aveva una percentuale di alcol dello 0,154, tripla rispetto a quella concessa. Rischia ora un procedimento penale.
Le sue dimissioni sono state uno shock per tutto il paese. «Per lei la scelta è giusta, per noi fedeli, per il protestantesimo, è sbagliata», ha detto il teologo critico Friedrich Schorlemmer. E da parte cattolica il presidente della Conferenza episcopale tedesca, vescovo Robert Zollitsch è stato il primo a rammaricarsi per l´uscita di scena della "papessa luterana".

Repubblica 25.2.10
Salvate il soldato bambino
Viaggio tra i guerrieri-ragazzini del Congo. Che ora combattono la battaglia più importante: quella per conquistare un futuro normale
di Pietro Del Re

Sono stati presi con la forza, costretti a imparare a combattere, spinti ad ammazzare e torturare I "kadogo", i bambini-soldato del Congo, sono il volto più feroce delle guerre che insanguinano il continente. Ma ora c´è qualcuno che cerca di riportarli alla normalità
Il Centro Madre Misericordia di Kamituga ospita una decina di reduci teenager
Aiutarli è difficile: quando lasciano le armi non hanno un lavoro, né una casa né una famiglia
Se ne contano anche nell´esercito regolare, che dovrebbe vietarne l´arruolamento
Si calcola che più della metà degli effettivi delle bande ribelli sia composta da minori

KAMITUGA (CONGO) Bienvenu Kakulé sa come torturare un uomo con il coltello. Sa come farlo soffrire a lungo, pizzicandolo al ventre e in testa senza mai affondare la lama, prima di finirlo con un fendente alla gola. Ma Bienvenu non sa leggere. Non ha un lavoro, né una casa. Non ha più neanche una famiglia. A 17 anni questo ex bambino-soldato, o ex kadogo, neologismo locale che indica "una piccola cosa, senza importanza", vorrebbe tornare sui banchi di scuola. «Sono stato arruolato quando avevo 9 anni, e a 10 avevo già ucciso il mio primo prigioniero: il nostro comandante ce li lasciava a noi, gli ostaggi, perché sosteneva che i bimbi non provano pietà», racconta Bienvenu.
Lo incontriamo nel centro Madre Misericordia di Kamituga, duecento chilometri a Sud del lago Kivu, nel cuore di quella che una volta era un´ampia giungla di montagna, e che il disboscamento e l´erosione hanno reso un´interminabile sequela di colline calve. Il centro è appena stato ristrutturato dalla Cooperazione italiana, che adesso gli fornisce farmaci, lettini ginecologici, zanzariere, libri scolastici e soldi per acquistare cibo. Qui, infatti, oltre agli ex kadogo, sono promiscuamente ascoltati, auscultati, consigliati, ospitati e nutriti malati di Aids, donne violentate, vedove di guerra e un centinaio di orfanelli. «Ma sono proprio gli ex bambino-soldato i più difficili da aiutare perché la gente ha ancora paura di loro e nessuno vuole assumerli», dice Fabrizio Falcone dell´ufficio della Cooperazione di Goma.
Bienvenu è stato smobilitato pochi mesi fa grazie all´operato dell´Unicef. «Cerchiamo di recuperare i ragazzi negoziando direttamente con i ribelli: dal 2005 ne abbiamo liberati 34.000, e 2.953 solo dall´inizio del 2009», spiega la newyorchese Tasha Gill, specialista della protezione dei bambini nel conflitto congolese. «Nel paese abbiamo creato 17 centri per accogliergli e paghiamo 250 famiglie per un loro primo reinserimento». Già, perché smobilitarli non basta. Per scongiurare il rischio di riarruolamenti è necessario seguire da vicino i loro primi passi verso la normalità. «Molti recuperano, ma per altri è più difficile. Mi riferisco a coloro che hanno sofferto di più, che hanno assistito allo stupro di persone care, o ai quali è stato chiesto di uccidere un genitore o una sorellina». Per loro sono necessarie cure psichiatriche o psicologiche, che spesso però non possono seguire, sia per mancanza di farmaci sia di personale specializzato.
Bienvenu ci aspetta assieme a una decina di suoi compagni di sventura. Tutti loro sono stati carne da macello per le milizie implicate nella guerra infinita che dal 1996 nel Congo orientale ha già prodotto 4 milioni di morti. Quando combattevano assieme ai ribelli hanno tutti patito la fame, la fatica, le malattie. Hanno tutti violentato, saccheggiato, ucciso. Quell´infanzia trascorsa tra marce forzate nella giungla, digiuni e imboscate ha lasciato cicatrici difficilmente sanabili: due dei dieci ex kadogo del centro di Kamituga tartagliano, tre hanno deturpanti tic nervosi.
Le loro storie si somigliano tutte. Racconta Mukulutombo Kisimbi: «Quando avevo 12 anni il mio villaggio è stato circondato dai ribelli Mai Mai, i quali hanno prima ucciso mio padre, poi dato fuoco alle case. Sono stato costretto a seguirli nella giungla. Mi hanno picchiato fino a quando non ho imparato a combattere». Dice Christian Nyangi: «Avevo 8 anni quando sono stato preso. Vista l´età, pensavo che non mi avrebbero fatto combattere. Mi sbagliavo. Mi hanno messo in prima linea. Facevo finta di mendicare per le strade. Appena i nemici mi davano le spalle io li attaccavo». Riferisce Kilongo Lipanda: «Un giorno mi sono rifiutato di andare a saccheggiare un villaggio e mi hanno bastonato. Alla fine sono stato costretto a unirmi agli altri. In quel villaggio viveva la mia famiglia».
Ma quanti sono i kadogo nel Congo orientale? Nessuno lo sa. E nessuno osa ipotizzare cifre. «Sappiamo però che le milizie continuano ad arruolarli o riarruolarli con violenza», spiega la Gill. «Ci sono anche coloro che si arruolano volontariamente, abbagliati dall´illusione di facili guadagni, ma non superano il 20 per cento». Si sa anche che più della metà degli effettivi delle venti milizie ribelli del Congo orientale è composta da kadogo. Ci sono bambini-soldato perfino nelle Forces armées de la République Démocratique du Congo, le regolari Fard, che dovrebbe invece impedire l´arruolamento dei bimbi tra i ribelli, e che sono accusate di compiere nei villaggi le stesse scorrerie della guerriglia, con la medesima ferocia. Dice ancora Falcone: «Il problema è che il governo non ha soldi per pagare neanche i propri soldati: compiono tutti atrocità contro i civili, poi si scaricano l´un l´altro la colpa».
Dei quasi tremila kadogo liberati lo scorso anno, solo 387 sono bambine (le più giovani hanno 12 anni). Per i soldati, regolari o ribelli che siano, più che "combattenti" queste sono considerate donne a tutto tondo, e perciò destinate a fare il bucato, cucinare, soddisfare i loro appetiti sessuali. Perciò, quando un´organizzazione internazionale riesce a identificarne la presenza in una milizia, è molto difficile che vengono liberate. Ora, secondo Felix Ackebo, capo sezione dell´Unicef a Goma, la maggior parte delle volte sono le bambine stesse che rifiutano di abbandonare la guarnigione di chi le ha schiavizzate. Hanno paura della libertà, perché una volta diventate "serve" della truppa, il loro villaggio e la loro famiglia si rifiuteranno di accoglierle nuovamente, poiché nessuno vorrà sposarle. «Che i kadogo vengano arruolati per combattere, per soddisfare le voglie sessuali dei capi, che siano destinati ai lavori forzati nelle miniere o al trasporto delle armi, a noi poco importa: in ogni caso si tratta di violazione dei diritti dell´infanzia», spiega Ackebo.
Come spiega Paolo Urbano della nostra Cooperazione a Kinshasa, nel Congo orientale c´è una mescolanza di problematiche etniche e di enormi interessi commerciali. È come se il paese fosse vittima della propria ricchezza. «Il governo non ha i mezzi per proteggere quel territorio ambito da tutti perché pieno di legni pregiati e di minerali costosissimi. Qualsiasi ditta che voglia sfruttare queste risorse deve pagare una sorta di pizzo a chi controlla militarmente la regione. Perciò le alleanze tra ribelli si creano e si disfano di continuo, e ogni fazione ha sempre bisogno di nuovi uomini, di staffette, cecchini, sentinelle e così via». Ha bisogno, cioè, di manovalanza armata. Anzi di bassa manovalanza, perché non pagata. O di kadogo, che sono appunto "una piccola cosa", e che non costano nulla. Basta arruolarli, o meglio, rapirli dopo aver depredato un villaggio.
Le testimonianze dei dieci ex kadogo del centro Madre Misericordia non sono storie di bambini-soldati, ma piuttosto di martiri-soldato. Racconta ancora Bienvenu: «Quando nella giungla non trovavamo scimmie o serpenti a cui sparare, eravamo costretti a rubare il bestiame nei villaggi. Un giorno mi hanno costretto a mangiare carne di un militare ucciso. Se avessi rifiutato, mi avrebbero ammazzato come avevano fatto con altri bimbi».
Adesso Bienvenu sta imparando a leggere. Vorrebbe prendere la licenza elementare, e un giorno diventare agronomo. Il suo è solo un sogno, perché è disoccupato, e non ha neanche i pochi franchi necessari per iscriversi a scuola. Ma lui ci crede ugualmente. Dopotutto, nel corso della sua breve vita, ha affrontato situazioni ben più difficili.

Repubblica 25.2.10
In molte aree del mondo anche possedere un mitra è un privilegio
Uccidere per sopravvivere così nascono i baby-killer
di Guido Rampoldi

Chi più di ogni altro capì le potenzialità militari della prima adolescenza fu Pol Pot. Il cambogiano aveva studiato presso l´università parigina della Sorbona, ma probabilmente ignorava quella scuola di pensiero che da Sant´Agostino a Freud intuisce una certo grado di malvagità dietro l´apparenza innocente dei bambini. Però intendeva costruire l´Uomo nuovo, ed era convinto che quel nemico irriducibile del mondo decadente potesse nascere soltanto dalle menti incorrotte dei Khmer giovanissimi, se opportunamente addottrinati. Quando, conquistata Phnom Penh, ebbe modo di sperimentare la sua teoria, i risultati furono rimarchevoli. Migliaia di ragazzi analfabeti furono trasformati nei più spaventosi aguzzini che l´Asia ricordi. «Ammazzavano con una naturalezza sconvolgente», mi raccontò molti anni dopo una cambogiana espatriata in Francia, spiegandomi perché non sarebbe mai più rimpatriata: se quella generazione era il futuro, il Paese era spacciato.
"Naturalezza" in questo caso è parola problematica, in natura sono rarissimi i mammiferi che pratichino l´overkilling, l´uccidere in eccesso e senza scopo, per frenesia omicida priva di ragione pratica. Ma neppure si può dire che a quell´età i guerrieri di Pol Pot ammazzassero per odio di classe: cosa poteva saperne della borghesia cambogiana la Khmer di cui lessi in una lettera pubblicata dal Phnom Penh Post? Nella Cambogia di Pol Pot dirigeva un "campo di rieducazione". Un mostro, scriveva il sopravvissuto. L´aveva vista uccidere per un´inezia e giurava che, se ne avesse avuta l´opportunità, l´avrebbe volentieri strangolata. La Khmer - concludeva la lettera, quasi si trattasse di un dettaglio - all´epoca dei fatti aveva dodici anni.
Quel che rendeva quella ragazzina così proclive ad uccidere probabilmente non era l´ideologia, ma, almeno in origine, la paura di essere a sua volta uccisa. Chi esita è un traditore, la regola che trasformò una generazione di piccoli montanari Khmer in uno sciame di sistematici assassini, potrebbe spiegare la facilità all´omicidio dei bambini-soldato congolesi di cui ci parla Pietro Del Re nel suo reportage. Anche quelli sono cresciuti nella pancia di una guerra caotica nella quale i più deboli, non più protetti dalle remore morali di una società ordinata, possono facilmente convincersi che la loro unica difesa risiede nell´ammazzare per non essere ammazzati. Del resto, chi presta attenzione alla loro sorte? Il Protocollo delle Nazioni Unite che solennemente vieta l´impiego in guerra di bambini-soldato resta una di quelle proibizioni prive di qualsiasi efficacia che riempiono gli scaffali del Palazzo di Vetro. Quella parte d´Africa continua a richiamare eserciti e trafficanti di armi con le sue straordinarie ricchezze. E il Congo di fatto è uno Stato collassato, decomposto a tal punto che il bambino con il kalashnikov è comunque un fortunato rispetto alle migliaia di coetanei che villaggi e famiglie scacciano considerandoli indemoniati, o peggio, consegnano ad esorcisti cristiani che li tortureranno a lungo, perché il diavolo abbandoni i loro corpi.
Nella sola Kinshasa, la capitale del Congo, quei "bambini stregati" sarebbero diciottomila, stima l´associazione italiana Amici dei Bambini (Ai. Bi.) che si prenderà cura di 500 di loro attraverso un programma finanziato con sms solidale (48542). Secondo le credenze locali i sintomi di stregoneria in un bambino sono la sua presenza in concomitanza di piccole o grandi disgrazie, e comportamenti tra i più comuni, come fare la pipì a letto o essere iperattivi e distratti. Tanto basta perché famiglie poverissime si liberino da una bocca da sfamare, e un prete-esorcista trovi una cavia su cui esercitarsi.

l'Unità Firenze 25.2.10
Da oggi al 18 luglio 31 opere in mostra a Palazzo Strozzi a Firenze
Presenti anche splendidi lavori di Ernst, Magritte, Carrà e Morandi
Lo «sguardo dell’invisibile» esalta l’opera di De Chirico
di Gianni Caverni

Articolata in 7 sezioni la mostra offre l’occasione per godere di opere straordinarie come “L’enigma dell’arrivo e del pomeriggio”, “La torre”, Paesaggio romano”, “Il trovatore”, “Tempio nella stanza”.

C’è una parola per definire “De Chirico, Max Ernst, Magritte, Balthus – Uno sguardo nell’invisibile”, la mostra che da oggi e fino al 18 luglio occuperà il piano nobile di Palazzo Strozzi, a Firenze. Questa parola è “bellissima”. Di tutte le mostre che, in questi tre anni di Fondazione Palazzo Strozzi, si sono succedute siamo convinti che questa sia la più bella. Un vecchio manichino da sartoria ci accoglie come una delle “Muse inquietanti” del maestro nato in Tessaglia, a Volo (toponimo quanto mai azzeccato perché il caso, arguto e creativo, ci mette spesso lo zampino). «Le cose e le persone – spiega Paolo Baldacci che con Gerd Roos e Guido Magnaguagno ha curato la mostra – insieme sono e non sono le stesse cose e persone». Questa intuizione il ventunenne De Chirico l’ebbe proprio a Firenze, in piazza Santa Croce, nel 1909: nell’autoritratto dell’11 l’iscrizione in latino recita «cosa potevo amare se non l’enigma?». Nasce la Metafisica che va oltre le ricerche formali dei cubisti e che, come dice ancora Baldacci, «influenzò contemporaneamente movimenti d’avanguardia come il Dadaismo ed il Surrealismo, e movimenti conservatori». Insomma De Chirico è al centro della trasformazione di molta dell’arte del secolo scorso e non è un’eresia dire che anche nella Transavanguardia di Chia e Paladino se ne sente l’eco. Se il rapporto intimo fra realtà e sogno viene solo segnalato dalla pittura metafisica il surrealismo approfondirà l’argomento dando ormai come punto di non ritorno la consapevolezza che l’immagine come la parola non rappresentano più la natura. Articolata in 7 sezioni la mostra offre l’occasione per godere di opere straordinarie come “L’enigma dell’arrivo e del pomeriggio”, “La torre”, Paesaggio romano”, “Il trovatore”, “Tempio nella stanza” per citare solo alcune delle 31 opere di De Chirico esposte. Ma anche i quadri del Carrà e del Morandi metafisici, “L’isola degli incanti” e “La siesta” di Alberto Savinio, fratello di De Chirico. La IV sezione, “Spostamenti di senso”, propone Max Ernst e di René Magritte fra gli altri uno spiazzante “La chiave dei sogni”. Poi Balthus (con il gigantesco “Le passage du Commerce-Saint-André”), Stecklin, Roy e l’ingiustamente meno conosciuto Arturo Nathan, triestino.
Come è ormai consuetudine delle mostre della Fondazione Strozzi molte le opportunità offerte alle famiglie e le iniziative collaterali. ❖
PER SAPERNE DI PIÙ: www.palazzostrozzi.org

martedì 23 febbraio 2010

il Fatto 23.2.10
Il caso Bonino
di Furio Colombo

C’è dell’assurdo in ciò che sta succedendo intorno a Emma Bonino dopo che la candidata del Pd in una regione chiave come il Lazio ha fatto sapere di avere iniziato lo sciopero della fame e della sete. Il problema è dove e a carico di chi collocare questo assurdo che graficamente si potrebbe rappresentare solo con “L’ Urlo” di Munch. Ci guida dentro l’assurdo la frase di Rosy Bindi che ha detto, più o meno: “Ma questa è matta, fa la radicale invece di fare la candidata del Pd. Avevo ragione io a non fidarmi”. Questa frase è come la Bibbia incisa su una capocchia di spillo. In miniatura si trova tutta la storia. Primo. La Bonino fa la radicale (tavolini, raccolta di firme, ostinazione su battaglie della legalità, tipo trovare i verificatori di firme, l’ossessione un po’ noiosa d’informare su chi e perché si candida) in quel paesaggio tipo San Fratello che è la vita pubblica italiana. In esso la comune saggezza suggerisce di non insistere (vedi il conflitto d’interessi, vedi il trattato di alleanza militare con la Libia) e di cercare benevolenza invece che la soluzione del problema. Secondo. La Bonino adesso è la candidata del Pd. Ha ben altri doveri. Si adegui se non vuole che si dica che ha già rotto il patto. Qui c’è un vistoso errore, che persino gli elettori distratti avranno notato. Non è la Bonino che, nascondendo il saio dei radicali penitenti, è andata dalPdavederesec’eraunposto.ÈilPdchesiè recato dalla candidata radicale alla presidenza della regione Lazio per chiedere (ottima idea, continuo a pensare): vuoi essere la candidata del Pd? Vero, c’è stato chi si è dichiarato sospettoso, ansioso e scontento (Franceschini). Ma un nome alternativo non è mai stato proposto. Ed Emma Bonino è sembrata subito la soluzione (forse vincente ma certo unica) al problema del Pd nel Lazio, dopo la vicenda Marrazzo. Terzo. Adesso la Bonino fa sapere due cose: che il rappresentare il Pd (che sta facendo da subito e bene) non la separa da vita, legami, impegni, militanza, passato e visione su ciò che accade in Italia; e che, certe volte, questo legame chiede la tenacia e l’ostinazione di non lasciar perdere. Esattamente ciò che ha indotto il Pd a decidere: ecco la persona giusta. Bene. Ma come si esce dalla contraddizione di fare una simile campagna elettorale continuando lo sciopero della fame e della sete? Domanda ansiosa e ragionevole, vista l’importanza di vincere in questa regione e in queste elezioni. Però, benché estranea alla consueta vita italiana, la Bonino non sta chiedendo la luna. Volete dire che è impossibile oggi in Italia, raccogliere firme, candidarsi, informare, essere informati, votare con piena coscienza di causa, partiti grandi e partiti piccoli, un paese in cui la Costituzione c’è e vale per tutti?

il Fatto 24.2.10
Lo sciopero della fame della Bonino che non piace ai cattolici del Pd
Ma la candidata radicale replica: “Non mi sto approfittando di nulla”
di Stefano Ferrante

A gettare acqua sul fuoco è Bersani: “Emma sta sollevando una protesta che va ascoltata”

Nella sede nazionale del Pd si cerca di dissimulare l’irritazione. Per il secondo giorno consecutivo Emma Bonino è attesa come Godot. Dopo il forfait alla presentazione dei candidati del centrosinistra organizzata dai Democratici, lo stallo, ieri, nella direzione laziale del partito costretta ad attendere fino a tarda sera il ritorno a Roma dell’aspirante governatrice per sciogliere il nodo dei candidati del “listino”.
Perché la Bonino fa due campagne: quella di candidata del centrosinistra nel Lazio e quella di capolista dei radicali che corrono da soli in Lombardia; è insieme trait d’union della coalizione nel nome del rassicurante slogan “ Ti puoi fidare” e leader militante impegnata in uno sciopero della fame e della sete per la legalità nella raccolta delle firme per le liste dall’inconfondibile copyright pannelliano. Un marchio indigeribile per gli ex popolari del Pd. Che dopo lo sfogo della vicepresidente del partito Bindi in un’intervista al Corriere (“Emma si sta approfittando del suo ruolo di candidata della coalizione per fare le battaglie radicali, le perplessità che ho sempre avuto sul nome ora crescono, così è venuta meno la lealtà") rispolverano le vecchie obiezioni: “Tra gli interessi generali e contemplare il proprio ombelico c’è una bella differenza” dice Beppe Fioroni. Che spiega che la questione non è tanto nel “modo radicale” della protesta “perché sulle firme Emma ha ragione e quella è una battaglia radicale”, quanto nell’inconciliabilità delle due campagne della Bonino, nel modo in cui è maturata la sua candidatura nel Lazio.
Nonostante i mal di pancia, però non c’è nessun attacco frontale. Al massimo i “franceschiniani” alzano le spalle come per dire “noi ve l’avevamo detto”. Profilo basso, perché il tema dell’autocandidatura della Bonino imposta a un Pd incapace di esprimere un proprio uomo dopo la bufera Marrazzo, sarà semmai argomento da tirare fuori dopo i risultati delle Regionali. Ora la parola d’ordine è non esasperare la polemica. Le comunicazioni dirette tra il Nazzareno, sede del Pd, e Torre Argentina , quartier generale dei radicali, si sono interrotte e si svolgono a mezzo stampa. La risposta all’intervista della Bindi arriva da Radio Due dove la Bonino è ospite di Barbara Palombelli. “Chi non vuole fare lo sciopero della fame perché è faticoso faccia altro. Lei per esempio può sentire il governo per vedere se può fare qualcosa. Non mi sto approfittando di nulla. Chi mi critica invece di sciupare tempo, assodato che è vero ciò che dico, può impegnarsi in altro modo, rivolgendosi al governo o all’associazione dei comuni. Questa non è una battaglia radicale è una battaglia di tutti”.
Così è Bersani a gettare acqua sul fuoco e a tendere la mano alla Bonino: “Io sono sempre sereno, Emma sta sollevando una protesta per problemi istituzionali e credo sia giusto ascoltarla. Chi ha il dovere di ascoltarla lo faccia”.
Toni soft. Non tanto per scongiurare lo scenario – cui nessuno crede davvero – di un dietrofront in extremis della Bonino nel caso del fallimento della battaglia per la presentazione delle liste, che lascerebbe il Pd in braghe di tela, quanto perché, sciopero della fame o no, perplessità cattoliche o meno, la Bonino in base ai sondaggi si sta rivelando cavallo sorprendente. In Transatlantico Enrico Letta glissa sull’imbarazzo dei cattolici e spiega: “ La vicenda dello sciopero della fame per la campagna del Lazio è irrilevante, i dati di ieri danno la Bonino in crescita, a un’incollatura dalla Polverini, può vincere”.
Anche per questo il centrodestra va all’attacco. “La Bonino umilia il Pd – dice il Pdl Gramazio. E la Santanchè ironizza: “ La Bonino sciopera contro il Pd che non la vuole”.

l’Unità 24.2.10
Il digiuno di Emma
di Lidia Ravera

Non è grassa Emma Bonino. Ieri la televisione mostrava il suo viso affilato dal digiuno. Le labbra spaccate dalla mancanza d’acqua. Quarantacinque chili di pura energia cinetica, già intaccati dallo stress elettorale. Quanto potrà durare? Il motivo della protesta: la raccolta firme per le liste non procede, per tutti, con la stessa cor-
rettezza. Chi è più corretto, rischia di non farcela. Chi tira via, ha già le firme necessarie e amen. È un’ossessione democratiEmmaBonino ca, che tutti abbiano
gli stessi strumenti per far valere le proprie idee, che la concorrenza sia leale. La famigerata «par condicio» che, in un Paese dove il potere economico politico e mediatico sta nelle stesse due mani, si configura come una malattia mortale. Di quelle che non lasciano spazio alla speranza. Il suicidio, comunque, non è fra le terapie consigliate. Meglio diventare Governatore del Lazio. Poi si vedrà.

l’Unità 24.2.10
Bersani a Bonino: ti aiuto per le firme
Il caso del listino. La candidata radicale vuole metà nomi per sé democratici contrari
Sondaggio premia il Pd in 8 regioni

Emma Bonino prosegue lo sciopero della fame e della sete, sostenuta con un’analoga iniziativa da personalità del mondo della cultura e dello spettacolo come Mariangela Melato, Marco Bellocchio, Eugenio Bennato. Pier Luigi Bersani le telefona e le assicura che gli amministratori locali del Pd si impegneranno nell’autentica delle firme per le liste Radicali e registra soddisfatto che i sondaggi danno il centrosinistra in vantaggio in otto delle tredici regioni che vanno al voto. La minoranza franceschiniana e l’ala cattolica della maggioranza (con Rosy Bindi in testa) mordono il freno ma il loro malumore per la mossa della candidata laziale viene comunque fuori.
Bonino chiede che la legge sulla raccolta delle firme per le liste sia rispettata. Bersani dice che «va ascoltata», ma nel Pd voci critiche si sentono in Area democratica (Giovanna Melandri e Paolo Gentiloni discutono del caso animatamente nel Transatlantico della Camera) e anche Rosy Bindi giudica poco leale il comportamento della leader Radicale, che così appare più interessata al destino delle liste Bonino-Pannella che a quello della Regione Lazio. Controbatte Bonino: «Chi non vuole fare lo sciopero della fame perché è faticoso faccia altro. Lei per esempio può sentire il governo per vedere se può fare qualcosa».
A complicare le cose c’è anche la questione listino, ovvero la lista di 14 consiglieri che si aggiudicano automaticamente un seggio in caso di vittoria. I Radicali vorrebbero riservarne la metà a personalità della società civile, lasciando al resto della coalizione l’altra metà. Ipotesi che non piace al Pd.
Bersani è ottimista sul piano generale, visto che i sondaggi appena ricevuti danno il centrosinistra in vantaggio in Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Basilicata, Piemonte, Liguria e Puglia. Polverini e Bonino sono 40 a 39. Ma Bersani registra anche la bassa percentuale di intervistati che ritengono più probabile la vittoria della radicale, e teme che la sua iniziativa non aiuti. S.C.

Repubblica 24.2.10
“La Bonino pensi a vincere, basta scioperi"
Letta e Marini attaccano. Bersani le offre sostegno. Lei: la mia campagna c´è
Irritati anche Franceschini e Melandri. Secondo i sondaggi pd il Lazio è a portata
di G. D. M.

ROMA - Il vicesegretario del Pd Enrico Letta mostra gli ultimi sondaggi, quelli di ieri. Lazio: 49 per cento Polverini e coalizione di centrodestra, 48 Emma Bonino. Così fa anche più male la protesta della leader radicale. «Questa partita possiamo vincerla. Perciò Emma lasci perdere lo sciopero della fame e si concentri sulla campagna elettorale», taglia corto Letta. Franco Marini non ha mai avuto i dubbi di altri cattolici e dell´area popolare sulla candidata del Lazio. L´ha sempre considerata competitiva, non gli ha mai fatto velo il passato di battaglie malviste dal Vaticano. «La penso allo stesso modo, la Bonino ha tutte le caratteristiche per fare bene la presidente della regione. Ma adesso la candidata di una coalizione ha il dovere di un impegno straordinario per vincere la sfida». In una parola, basta. «La battaglia richiede dedizione assoluta», insiste l´ex presidente del Senato. E nessuna distrazione.
Ieri Pierluigi Bersani ha telefonato alla Bonino. Le ha garantito l´impegno del Pd per la raccolta delle firme a favore delle liste radicali. Un soccorso democratico che risponde a un bisogno immediato. «Io sono sereno», ripete il segretario Pd. La leader radicale insisterà con il governo per una rettifica delle norme sulla presentazione delle liste. È una toppa, quella del Pd, ma serve ad arginare il malumore dei democratici contro la candidata. Per motivi diversi, nel partito si respira un´atmosfera di irritazione per Emma. I cattolici non l´hanno mai avuta in simpatia. Girano per il Transatlantico con l´aria di chi pensa «ve l´avevo detto». Beppe Fioroni non ha dubbi: «Sono antico e non mi piace la politica moderna. Mi devono spiegare, Pannella e Bonino, come si può fare la campagna di tutti nel Lazio e andare contro il candidato del Pd in Lombardia». Brucia ancora l´assenza di Bonino alla presentazione dei candidati del centrosinistra a Roma, per di più nella città chiave della sua sfida. Al dissenso dei militanti la radicale risponde così: «Sono stata Rieti, a Viterbo, in tutti gli ospedali, ai mercati. Nessuno mi può dire che non sto facendo campagna elettorale. Ma decido io dov´è importante stare e quando. L´appuntamento di lunedì si può recuperare». Rosy Bindi ha parlato di «slealtà di Emma», di dubbi confermati sull´affidabilità radicale. La Bonino, a 28 minuti, ribatte: «Invece di criticarmi Rosy mi dia una mano nella battaglia di legalità». La candidata del Lazio sta facendo lo sciopero della fame e della sete per contestare gli ostacoli nella raccolta delle firme per le liste e per l´assenza radicale nelle reti Rai. Ma questo oscura la partita del Lazio?
Rosa Calipari, dirigente della mozione Marino, la più vicina alle posizioni della Bonino, sostiene la sua battaglia: «Trasparenza, legalità: sono lotte sacrosante. Emma è coerente con la sua storia personale e politica. La campagna sulle regole non la distrae e mi sembra che ci sia piena disponibilità a sostenerla, dopo le prime resistenze». Giovanna Melandri continua ad avere il dente avvelenato con i radicali per il regolamento sulla par condicio che cancella i talk show. «Sulle regole invocate dalla Bonino dobbiamo essere chiari: condivido la battaglia per le firme, considero miope e incostituzionale il voto della Vigilanza del radicale Beltrandi. Comunque - dice la Melandri - siccome nel Lazio si può vincere sarebbe bene che Emma tornasse a fare campagna a tempo pieno». Commenta sconsolato Paolo Gentiloni: «La Bonino è Bonino, prendi tutto il pacchetto». Tace invece Dario Franceschini il primo a dire in pubblico che lui non avrebbe mai candidato la vicepresidente del Senato: «Non voglio far male alla causa».
La causa, negli ultimi dati demoscopici, sembra avere qualche chance di successo. Il Pd ha chiesto rilevazioni sulle regioni chiave e in bilico. In Piemonte la Bresso è 52 a 49 sull´avversario, in Liguria è in testa anche se di poco, in Puglia i numeri dicono 46 Vendola, 41 Palese, 13 Poli Bortone. E il Lazio è sul filo. Per questo Bersani e Bonino hanno stabilito un filo diretto.
(g.d.m.)

Repubblica 24.2.10
Pannella: non me ne frega niente se i Democratici sono irritati, ma neanche noi vogliamo perdere
"Emma potrebbe ancora ritirarsi la battaglia vera è sulla legalità"
di Goffredo De Marchis

L´assenza di Emma alla presentazione dei candidati Pd? Non c´erano neanche altri
47 milioni di italiani non sapevano niente finora della raccolta di firme per le liste

ROMA - I malumori del Pd sono l´ultimo dei suoi problemi: «Non me ne frega niente», dice Marco Pannella chiuso nella sede radicale di Torre Argentina per l´ennesima riunione con Emma Bonino e gli altri dirigenti del partito. «È la battaglia di legalità che mi interessa: 47 milioni di italiani che non sapevano niente della fase pre-elettorale, della raccolta di firme per le liste, della corruzione rispetto alla legge, non solo quella per il denaro o per il sesso, della Rai che non dà voce a noi e ad altri».
La minaccia di un ritiro della Bonino nel Lazio è ancora in piedi?
«Valutiamo giorno per giorno, con vigore e con umiltà, l´ipotesi di una scelta responsabile».
Per capirci, gli elettori del Lazio possono essere sicuri di trovare la Bonino candidata il 28 marzo?
«Assolutamente no. Non possono avere la certezza di poter votare Emma. Quello che faremo non lo sappiamo noi e non lo può sapere nessun altro».
Allora?
«Siamo sempre stati capaci di trovare soluzioni terze, vedremo».
L´assenza della Bonino all´assemblea dei candidati del centrosinistra non era dovuta solo a un problema di agenda, quindi.
«Perché, la cerimonia dei governatori era un grande evento? Era il centro della politica? Secondo me no. Comunque non c´erano nemmeno Errani e Penati. Dovrebbero apprezzare la prudenza di Emma, che non voleva far coincidere l´inizio del digiuno, la sua azione non violenta più dura, con l´appuntamento dei candidati».
Bindi parla di radicali sleali, altri dirigenti del Pd sono preoccupati per una campagna elettorale oscurata dallo sciopero della fame e della sete.
«Alla Bindi abbiamo risposto: occupatene anche tu della battaglia di legalità. Noi radicali saremmo lietissimi di difendere la legge assieme a qualcun altro. Questo è quello che ci preme: restaurare immediatamente la legalità. E lo diciamo anche al Pd, certo».
Perché dovrebbero aiutarvi in Lombardia dove vi presentate contro il loro candidato?
«Ma di che parlano. Noi contro Penati? Non è vero. Vogliamo che ci sia un´opposizione ampia al governo partitocratico e ladro della Lombardia. Penati, anzi, è uno dei più decenti, ma vogliamo condurre la nostra battaglia contro il regime lombardo dei misfatti clericali».
Fate la campagna elettorale o lo sciopero della fame?
«Sono la stessa cosa. Se uno vuole fare la battaglia fedaralista regionale lo fa lottando contro le vandee, contro chi non applica le leggi regionali. E Bersani non fa l´apologia di Emma perché è una fuoriclasse, competente e brava, ma perché è una radicale come lui lo sa benissimo. Emma non è autocandidata, è in pista dallo scorso giugno. Per il Pd».
Qualcuno sospetta che perso per perso il Lazio puntate a fare il pieno dei voti di lista.
«A noi interessa perdere il Lazio? Ma cosa dite. Mica siamop masochisti, non siamo affetti da manie suicide. Quello che cerchiamo è imporre a destra e sinistra l´abc delle regole democratiche».
Sono bene accette le firme del Pd?
«Fa piacere che i democratici si pongano il problema in modo radicale, questo sì. Ma sia chiaro: la Bonino è la Bonino, non è mica una di loro. È solo un´alleata che testimonia, con la sua candidatura, una virata positiva del Partito democratico. Detto questo, a noi interessa stanare la questione giuridica».
Dopo la garanzia di Bersani il digiuno può essere interrotto?
«Noi vogliamo raccontare, come la Arendt, la banalità del male, il senso di un regime che dura ormai da tre o quattro generazioni e che ha creato un´antropologia ancora più del Ventennio. È quello che facciamo da 30 anni e che continueremo a fare».

il Riformista 24.2.10
Il Pd nella trappola di Emma
di Peppino Caldarola

Ditemi voi se si può fare una campagna elettorale così. Ieri Emma Bonino ha replicato ai quei dirigenti del Pd che hanno messo in discussione la sua scelta di proclamare lo sciopero della fame e della sete per ottenere un diverso sistema di raccolta delle firme per la presentazione delle liste e una presenza televisiva maggiore per i radicali. La Bonino ha detto al Pd: «Invece di criticarmi, fate qualcosa». È scattata così la trappola per il Pd. Formalmente gli obiettivi della Bonino sono il Governo e il Parlamento. Sostanzialmente ha aperto un fronte con il partito che l’ha voluta come candidata presidente della Regione Lazio. Molti dirigenti piddini hanno introiettato il senso di colpa e già si stanno sbracciando per dare ragione alla leader radicale. Non capiscono di essere loro nel mirino del fuoco amico. A mano a mano che i giorni passeranno l’obiettivo polemico dei radicali diventerà il centrosinistra che fa poco per far vincere i radicali. Che dovrebbe fare la coalizione? Dovrebbe battersi per ottenere l’esenzione del Partito radicale dalla raccolta delle firme, dedicando a questo tema tutte le energie e rinunciando, quindi, alla campagna elettorale. Fin qui passi. Ma sull’altro tema, quello dell’informazione, che cosa si aspettano Bonino e gli altri? Che il Pd apra uno scontro generalizzato con tutto il sistema di informazione per ottenere più visibilità per i Radicali? Insisto, è una trappola. Forse l’obiettivo è solo quello di avere più posti per i radicali nel listino.

il Riformista 24.2.10
Regionali. Botta e risposta con la Bindi: «Invece di criticare Rosy mi aiuti»
Adesso nel Pd è vera rivolta anti-Bonino
Dopo l’apertura ufficiale della campagna, la candidata diserta anche una tappa a Guidonia. D’Ubaldo, responsabile del programma: «Si fa prima a dire quali problemi non ha creato».
di Emanuele Colasanti

«Si fa prima a dire quali problemi non ha creato», sbotta lo stesso responsabile programma della campagna elettorale nel Lazio, l’ex dc di lungo corso e oggi senatore Lucio D’Ubaldo. La decisione di Emma Bonino di iniziare, ormai da due giorni, lo sciopero della fame e della sete a causa del macchinoso e penalizzante sistema di raccolta firme per la presentazione delle liste – sistema che, a suo dire, penalizza i Radicali – ha creato non pochi problemi, al Pd. Tecnicoorganizzativi da un lato, come dice, per smussare i toni della polemica il coordinatore della campagna, Riccardo Milana (senatore a sua volta). Infatti, la Bonino è rimasta tutto il giorno a Milano anche ieri, dopo aver «disertato» (titolo dell’Unità) la presentazione di tutti i candidati presidenti organizzata dal Pd lunedì scorso al teatro Alibert, con tanto di nome della Bonino scritto grande, affianco a quello di Bersani.
E così, all’appuntamento elettorale già fissato in quel di Guidonia, a parlare al suo posto ieri pomeriggio c’era Milana. «Domani (oggi per chi legge, ndr.) torna, e si continua a lavorare», sbotta secco Milana, che pure non nasconde la “rivoluzione” subita dall’agenda. Per dirne un’altra, l’altro giorno la Bonino ha saltato anche un altro appuntamento non di poco conto, quello con la potente Confcommercio. Certo, pubblicamente il partito – specialmente quello di rito bersaniano – continua a fare quadrato intorno al candidato presidente, come già ha detto e ripetuto più volte lo stesso segretario nazionale Pierluigi Bersani. Anche il segretario del Pd laziale, Alessandro Mazzoli, ribadisce la sua solidarietà a Emma, intervenendo nel corso della direzione regionale del suo partito che si è tenuta ieri pomeriggio a Sant’Andrea delle Fratte, e sprona il Pd all’impegno e alla mobilitazione, annunciando anche che, entro oggi, vi sarà la definizione delle liste, a partire dai nomi del listino. Il centrodestra sfotte e punge, il problema resta e il malumore del Pd pure.
Lo ha reso palese, sul Corriere della Sera di ieri, la presidente nazionale Rosy Bindi, che ha accusato la Bonino di «slealtà» e rivelando di nutrire «sempre più dubbi», sulla sua candidatura. La leader radicale ha risposto, altrettanto a muso duro: «Invece di criticarmi faccia qualcosa, e ci aiuti», ha detto dai microfoni di Radio 2 Rai. Le critiche arrivano dal livello locale come da quello nazionale, dentro il Pd. E sono quasi trasversali alle aree. Il popolare Pierluigi Castagnetti, che non ha mai nascosto i suoi dubbi sulla stessa candidatura della Bonino, non vorrebbe fare altre polemiche, ma teme «una campagna elettorale tutta sulle spalle del Pd» e la scarsa, o quasi nulla, «capacità coalizionale dei radicali, che mettono sempre davanti loro stessi, rispetto alle logiche e alle esigenza della coalizione». Il veltroniano Stefano Ceccanti è un altro che nutriva dubbi ab urbe condita: «La candidatura Bonino poteva e può essere di tutti o solo dei radicali, ma nasce ambigua. Ecco perché avrei preferito le primarie».
Le battute del popolare Fioroni si sprecavano, l’altro ieri, alla kermesse nazionale del Pd («Speriamo che lo sciopero della fame non diventi uno sciopero di voti») e anche se il suo fidato luogotenente sul territorio e nel comitato Bonino, D’Ubaldo cerca, come gli altri maggiorenti del Pd, di metterci una pezza, malcontento e malumore continuano a serpeggiare. «La Bonino è la candidata di tutti – spiega paziente – e tale deve essere, non può venir meno al proprio ruolo o dimenticarsene, anche solo per 48 ore, abbandonando il Lazio e pensando solo ai radicali. Una cosa del genere, da parte di un candidato presidente di centrosinistra, non s’era mai vista».
E visto che le disgrazie non arrivano mai da sole, basta ascoltare uno stimato sondaggista come Roberto Weber per scoprire che «l’esibizione ostentata di un profilo radicale forte inficia la logica coalizionale della Bonino e si traduce in una minore capacità di presa sull’elettorato. Un problema ancora maggiore se si pensa che le due coalizioni sono molto vicine, la trasversalità di entrambi i candidati sta evaporando e si vince se si fa il pieno dei voti della propria parte politica». Nel Pd lo sconforto sale.

Repubblica Roma 24.2.10
Bonino-Polverini, testa a testa nei sondaggi
Tra le candidate scarto da 1 a 2 punti, centrosinistra in rimonta. È indeciso il 20%
di Giovanna Vitale

A poco più di un mese dal voto scoppia la guerra dei sondaggi. Che però, al netto di piccoli scostamenti percentuali, offrono tutti lo stesso risultato: Renata Polverini è in leggero vantaggio su Emma Bonino, ma complessivamente la coalizione di centrosinistra guadagna terreno rispetto a un centrodestra in arretramento. Gli indecisi, in grado di sovvertire ogni pronostico, si confermano terzo partito: tra il 15 e il 20% a seconda dell´istituto di ricerca.
È quanto emerge dalle due diverse rilevazioni - Crespi per Omniroma e Swg per il Pd - pubblicate ieri. La prima, effettuata tra il 18 e il 22 febbraio, dà la segretaria Ugl avanti di una lunghezza rispetto alla vicepresidente del Senato (40 a 39), mentre scende a soli 5 punti il distacco tra gli schieramenti (erano 10 due settimane fa): con il centrodestra al 51.5% (Pdl 42, Udc 5.5, Destra 3) contro il 46.4 del centrosinistra (Pd 27.5, Idv 6, Lista Bonino-Pannella 5.4, Federazione sinistra 3, SeL 2, Verdi 1.5). La seconda fotografia assegna invece a Polverini fra il 47 e il 51%, a Bonino tra il 45 e il 49, con uno scarto medio di 2 punti, lo stesso certificato nei giorni scorsi dall´Ipsos. La differenza tra i due sondaggi resi noti ieri starebbe dunque nella forbice che separa le coalizioni: appena il 2,5% per Swg, con il centrosinistra che sale complessivamente al 47% (era al 43.9 alle europee e al 46 un mese fa) e il centrodestra che scende al 49.5 (meno 1 sulle europee, meno 3 su gennaio). Entrambi tuttavia concordi su un dato: l´exploit della Lista Bonino-Pannella, accreditata fra il 4.5% (Swg) e il 5.4 (Crespi), alza sì l´asticella della coalizione ma erode consensi a un Pd che oscilla tra il 25.5 e il 27.5, sotto la performance europea. Comunque «la prova della rimonta di un centrosinistra che», secondo il segretario democratico Alessandro Mazzoli, «ha le carte in regola per vincere». Sorpreso anche il sondaggista Crespi: «Polverini è favorita, ma sarà battaglia fino all´ultimo e il risultato finale nel Lazio è quanto mai incerto», spiega. «Assistiamo a un avanzamento del Pd e del centrosinistra in generale e a un arretramento del Pdl e del centrodestra. In ogni caso il fatto che a 30 giorni dal voto Bonino sia in corsa è clamoroso in una regione in cui il centrosinistra, dopo il caso Marrazzo, sembrava dovesse essere spazzato via».

l’Unità 24.2.10
Editoria, i contributi tornano
Non per radio e giornali minori
Giochi ancora aperti sull’editoria. La proposta di governo e maggioranza salva i giornali solo per il 2009, ma impone costi pesantissimi al sistema radiofonico. Fnsi: è cannibalismo. Pd: lavorare ancora. Oggi il voto.
di Bianca Di Giovanni

Oggi il voto conclusivo sulle «milleproroghe»: un emendamento ripristina parzialmente i fondi
Le opposizioni presentano un sub-emendamento. La Fnsi contraria: «È cannibalismo»

Quella dell’editoria resta una battaglia aperta. Il finanziamento alle testate di idee e non profit ha tenuto banco per l’intera giornata alla Camera. Riunioni su riunioni, che hanno fatto slittare per tutto il pomeriggio l’avvio del voto in Aula sul Milleproroghe. Si è lavorato per un emendamento condiviso. Ma in serata si è ottenuto un testo molto rischioso, che apre nuovi problemi. Si capirà oggi, al momento del voto, se nella nottata sono stati fatti ulteriori passi avanti. Per il momento il Pd ha presentato un subemendamento al testo, per correggere le storture introdotte.
DISCRIMINAZIONE
Il relatore, Massimo Polledri (Lega) definisce il testo prodotto da maggioranza e governo «un compromesso più che accettabile tra l’esigenza di fare pulizia in alcune zone grigie salvando però l’occupazione nel settore». In realtà a un dato positivo, cioè il ripristino del diritto soggettivo sul 100% dei fondi relativi al 2009 (che si versano nel 2010), si aggiunge però una drastica discriminazione. Vengono infatti spazzati via le radio, i giornali dei consumatori e quelli degli italiani all’estero. Quanto ai fondi per il 2010 (da versare nel 2011), la situazione attualmente resta quella introdotta con la finanziaria: niente diritto soggettivo è un possibile taglio di risorse tra il 20 e il 40%. Le opposizioni hanno presentato un emendamento che reintroduce radio e giornali esclusi dal finanziamento, mentre in serata si è tenuto un altro lungo confronto per affrontare anche il nodo relativo al 2010: senza diritto soggettivo all’acceso ai fondi, infatti, resta assai complicato redigere i bilanci preventivi.
REAZIONI
La reazione del sindacato dei giornalisti non si è fatta attendere. «Se fossero confermate queste notizie scrive in una nota la Fnsi anziché la soluzione di un problema avremmo un danno con beffa: si tratterebbe infatti della cannibalizzazione ai danni del sistema delle radio private e della stampa per gli italiani all’estero. La grande mobilitazione a favore dei giornali messi a rischio dai tagli dei fondi non può trovare risposta attraverso lo spostamento del danno su un altro settore dell’informazione. Il Governo presti attenzione urgente a non combinare un pasticcio grave. il diritto soggettivo per i giornali non può essere alimentato togliendo i fondi per i rimborsi delle tariffe elettriche e telefoniche e per l’utilizzo delle agenzie di stampa previsti per il sistema radiofonico locale».
Intanto l’Aula ha iniziato a votare le altre parti del provvedimento. È stata sventata, anche questo grazie al pressing delle opposizioni, l’ipotesi dell’ennesima fiducia. Respinta per soli 18 voti la proposta del Pd Pierluigi Mantini che proponeva la certezza per legge della sospensione delle tasse per i lavoratori dipendenti e i pensionati del cratere dell’Aquila. Ancora una volta nulla di fatto per i terremotati. Passa invece all’unanimità la proposta della Pd Manuela Ghizzoni che consente alle Università con i bilanci 2009 in ordine di usare parte delle proprie risorse per nuove assunzioni. «È un’importante vittoria del Pd dichiara Ghizzoni che dimostra che, quando c’è la volontà comune di risolvere i problemi del Paese, in parlamento si possono trovare soluzione condivise che superano gli schieramenti».❖

l’Unità 24.2.10
Biotestamento, che inganno Non alimentate...il cadavere
La commissione Affari sociali della Camera approva una modifica al biotestamento che sembra un’apertura alle ragioni delle opposizione, ma che in realtà, spiega Ignazio Marino, si limita a sancire un’ovvietà.
di Susanna Turco

Una modifica inutile e oscurantista: «Alimentazione e idratazione sospese se non efficaci»
È come ribadire il no all’accanimento. L’opposizione: «Un’ovvietà, una truffa»

Nel migliore dei casi si tratta di un’ovvietà. Nel peggiore, di una presa in giro. Questo, a sentire le parole non solo dell’opposizione, ma anche di una parte del Pdl (finiani, manco a dirlo) il brillante risultato raggiunto ieri in commissione Affari sociali della Camera, impegnata nella discussione sul biotestamento (fino a dopo le Regionali, pare). È stata infatti approvata una modifica che va al cuore del provvedimento. Ma solo in apparenza.
L’emendamento, presentato dal relatore Domenico Di Virgilio, approvato per 23 a 13 con il no dell’opposizione (eccetto la Binetti), e salutato da monsignor Fisichella come «una difesa della vita» , prevede infatti che alimentazione e idratazione pur continuando a essere escluse dalle dichiarazioni anticipate di trattamento (dat), possano essere sospese in «casi eccezionali». Si tratta forse di una marcia indietro della maggioranza? Assolutamente no: come spiega anche Di Virgilio, alimentazione e idratazione continuano a non essere considerate una cura, e nessuno potrà quindi chiedere di rinunciarvi. Ciò che cambia, da ieri, è che potranno essere sospese quando il paziente non è più in grado di assimilarle.
PLATEA ALLARGATA
Ora. La modifica, a sentire la maggioranza, è funzionale a un altro emendamento (non ancora approvato) che allargherà la platea di persone alle quali si applica la legge: non solo i pazienti in stato vegetativo (poco meno di tremila) ma anche i malati terminali (250 mila). «Si tratta di casi diversi, il ddl Calabrò andava modificato», spiega Di Virgilio. Sta di fatto che, in pratica, il correttivo è «pleonastico», dice il finiano Benedetto Della Vedova. O, peggio, una presa in giro. Come spiega Ignazio Marino, infatti, «somministare una terapia quando questa non è più efficace si chiama accanimento terapeutico, oppure sperimentazione non autorizzata su esseri umani. Se a giudizio del medico la terapia non serve è ovvio che verrà sospesa. Non è necessario che il Parlamento lo indichi in una legge. E far passare un’ovvietà per un’apertura della destra è una presa in giro», dice il senatore del Pd.
Insomma, se non è efficace, qualunque somministrazione non solo può, ma deve essere interrotta, a meno di non ipotizzare dice qualcuno, fuori dai dentidi «nutrire un cadavere». Probabilmente, è proprio il principio di considerare alimentazione e idratazione qualcosa che «non può essere sospeso» fino alla fine della vita per i pazienti in stato vegetativo, ad aver reso ieri necessaria la previsione di poterle sospendere, nel caso si tratti di malati terminali. Sono, per così dire, i paradossi dell’ideologia. In ogni caso, la modifica non affronta il nodo cruciale della responsabilità della decisione. La maggioranza, spiega la Pd Livia Turco, «ha fatto un pasticcio: non è chiaro in quali casi concreti sia possibile la sospensione e chi la decida». Ciò, aggiunge la radicale Maria Antonietta Coscioni, «equivale a rendere inapplicabile la norma: perché nessun medico si assumerà mai la responsabilità di interrompere nutrizione e idratazione senza una chiara indicazione di legge».

il Fatto 24.2.10
Fine vita
Cambia il Ddl: finta apertura ai laici

Il Ddl sul testamento biologico verrà discusso in Parlamento dopo le regionali e riguarderà circa 250 mila persone. Lo ha detto Domenico Di Virgilio (Pdl) che ieri ha presentato un emendamento, approvato dalla commissione Affari sociali della Camera, che ha modificato il disegno di legge allargando la platea delle persone cui la norma si rivolge. Con l’emendamento Di Virgilio, la legge ingloberà non solo le persone in stato vegetativo (stimate in circa 2500-3000), ma anche i malati terminali non più in grado di intendere e volere. Si stabilisce, infatti, che alimentazione e idratazione non possono mai essere sospese “a eccezione dei casi nei quali risultino non più efficaci nel fornire i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo”. Il Pd, in commissione, ha votato contro. “Somministrare una terapia quando questa non è più efficace – ha spiegato il senatore Ignazio Marino – si chiama accanimento terapeutico. Far passare un’ovvietà per un’apertura della destra sul testamento biologico è una presa in giro che umilia la professione medica”. Il punto contestato è questo: “i medici sanno quando una terapia non è più efficace e non è necessario che il Parlamento lo indichi in una legge”. Sarebbe, conclude Marino, come dire che non bisogna somministrare antiepilettici a chi non ne ha bisogno.

il Fatto 24.2.10
Asilo vietato ai bimbi non cristiani
Regolamento voluto da un sindaco Udc nel mantovano
di Elisabetta Reguitti

A Goito, nel mantovano, c’è un asilo comunale, dunque pubblico, che accetta solo i bimbi di famiglie che professano la religione cristiana. E’ la prima volta dunque che un’amministrazione pubblica (in questo caso comunale) subordina all’ispirazione religiosa l’accesso o meno a un servizio pubblico.
Tutto scritto nell’articolo 1 del nuovo regolamento dell’asilo comunale, che pone come condizione all’iscrizione del proprio figlio l’accettazione di una sorta di preambolo religioso: la provenienza da una famiglia cattolica o cristiana. Nel dettaglio: che possano essere iscritti solo bambini appartenenti a famiglie che accettano “l’ispirazione cristiana della vita”.
Il che significa prima di tutto escludere sicuramente una gran fetta degli immigrati per lo più di religione islamica, indù oppure sikh, vista la massiccia presenza di lavoratori impegnati nelle imprese agricole del mantovano e nel veronese. Ma non si tratta solo di questo. Il regolamento potrebbe escludere anche molti italiani.
La domanda infatti è: che significa una famiglia di “ispirazione cristiana”? I divorziati sono considerati tali? E i genitori separati? Senza contare magari i figli nati da coppie di conviventi. Detto questo, resta il fatto che il nuovo regolamento sia stato approvato a maggioranza dal Consiglio comunale di Goito, il cui sindaco Marchetti ha commentato che “pur essendo l’asilo pubblico, da sempre viene gestito secondo criteri che si ispirano al cristianesimo” e di conseguenza non c’è nulla di incostituzionale dal suo punto di vista nell’approvazione di questo regolamento.
Si tratta dunque di una motivazione giustificata dalla tradizione, quella sostenuta dal sindaco. Ancora una volta un’amministrazione locale di centrodestra (sindaco Udc Anita Marchetti appoggiata da Pdl e Lega) si distingue per la creazione di una normativa discriminatoria e soprattutto indirizzata ai bambini. La minoranza politica dell’amministrazione comunale ha inviato un esposto all’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) chiedendo di fare pressione sul comune affinché questo regolamento non venga applicato. In seconda battuta ci si è chiesti come un asilo comunale possa comportarsi come se fosse privato, imponendo vincoli alle iscrizioni dei bambini, tanto più se si tratta di orientamento religioso.
Un aspetto questo sollevato in aula dagli stessi esponenti d’opposizione, che hanno peraltro sottolineato anche come la Costituzione italiana stabilisca, tra l’altro, che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge “senza distinzione di religione”.
Ma nonostante questo si moltiplicano i casi di scelte di governo locale che, con la scusa di sostenere qualcuno, escludono altri, in particolare quando si parla di bambini stranieri: minori nati in Italia da genitori stranieri che però, in base al principio del cosiddetto ius soli, non acquisiscono la cittadinanza italiana per nascita sul territorio nazionale. Tutto quindi sembra andare nella direzione di un sempre maggiore distinguo tra bambini italiani e stranieri da praticare subito: fin dai primi anni di vita.
E sulla vicenda dell’asilo discriminatorio i parlamentari del Pd Enzo Carra e Emanuele Fiano hanno presentato un’interrogazione al ministro Roberto Maroni. Fiano interviene: “Apprendo incredulo che non potrò mai trasferirmi con la mia famiglia nella cittadina di Goito, in provincia di Mantova, perché se avessi bisogno di far frequentare l’asilo comunale ai miei figli ebrei non potrei. Evidentemente, la storia non è stata maestra di vita per tutti”.

il Fatto 24.2.10
Concorso di colpa
di Oliviero Beha

Sabato torna in Piazza (del Popolo) a Roma il “popolo viola”. E già si è ricominciato a parlare di “antipolitica” e altre menate del genere, che perseguitano tutti coloro i quali
non abbozzano di fronte al precipizio del Paese. Intiero. “Antipolitica” mentre la politica si è disintegrata sostituita dai Comitati d’Affari? “Antipolitica” di fronte alla casta-cosca-oligarchia che si è impossessata della democrazia per trasformarla in “Cosa loro”? “Antipolitica” mentre la Moratti di fronte a un assessore con la mazzetta in bocca dice per tranquillizzarci “non è come Mani Pulite” e intanto la ’Ndrangheta occupa vistosamente anche il Nord Italia? “Antipolitica” mentre Berlusconi ci rassicura “non è Tangentopoli” e difatti è piuttosto “berluscopoli”, un modo di razionalizzare l’illegalità a colpi di cosmesi esecutivo-legislativa (un “monstrum” sempre più indistinguibile di cui a lungo subiremo le conseguenze)? “Antipolitica” mentre un leader acclamato come Luca di Montezemolo tuona “combattere la corruzione è impresa titanica”, lui sorta di animale socio-mitologico con qualche piccola pecca biografica? “Antipolitica” se perfino Pisanu, che se non sbaglio ha fatto il ministro degli Interni in periodi delicati, propedeutici a quelli che stiamo vivendo, ammette che “è peggio di Tangentopoli” se non altro perché vengono dopo e sono “nani sulle spalle di giganti” (della corruttela)? Ma sì, chiamatela “antipolitica” per raggirare fin dal linguaggio gente che è stufa di veder stracciata ogni soglia di illegalità sulla porta di un’Italia in cui morale ed etica, raziocinio e cultura sono temibili parolacce. E magari suggerite al “popolo viola” di andare a lavorare con tutto il lavoro che c’è e la meravigliosa trasparenza che anche l’ultima vicenda della Protezione civile inoppugnabilmente dimostra. Tutto chiaro? Si lavora per meriti, si viene chiamati per curriculum, si arriva al posto per concorso e non per un’idea prostituita di favori/disvalori di scambio. Perché allora qualcuno scende in piazza? Non c’è abbastanza libertà di stampa con le schiere contrapposte “libere” di attaccare e
difendere a pedine incrociate sulla scacchiera finta dei mass-media (come se la mia libertà non consistesse piuttosto nello scrivere tutto ciò che penso oppure so e posso dimostrare di chiunque, di Berlusconi ma anche di Bersani, di Lunardi come di Colaninno, di Bertolaso e De Luca ecc.)? E intanto tramano per mettere il bavaglio alle intercettazioni, senza le quali nulla o quasi sapremmo con l’evidenza dovuta delle magagne devastanti di un Paese intiero: numeri falsi sulle persone indagate, cifre false sui costi di queste intercettazioni, alibi falsi sulla presunta e truffaldinamente accampata impossibilità di continuare a farle pur separando l’aspetto della cronaca giudiziaria da quello del gossip nel quale sguazzano i media schierati nel modo spesso “recitato” e complementare degli eserciti politici (di cui sopra). Non sono fantasie di un atrabiliare che vede sprofondare il futuro di figli e nipoti. Basterebbe ascoltare per cinque minuti alle 20 a reti unificate nei tg il giudice Nicola Gratteri, esperto di ’Ndrine e high tech nonché autore con Nicaso dello splendido “La malapianta”, che spiega tutto l’affaire delle intercettazioni, per farsene un’idea precisa. Compreso il concorso di colpa che da troppi anni riguarda sia Berlusconi sia i suoi avversari. Diceva giorni fa Enrico Letta al Tg3, dopo aver parlato della necessità di “giustizia e ricostruzione” per l’Abruzzo: “Non credo che la gente si interessi prioritariamente del problema delle intercettazioni”. Era un modo per posporre in aula la questione. Sbagliando di grosso e contraddicendosi in due parole. Se le intercettazioni hanno a che fare con l’illegalità e la giustizia, sono una faccenda di madornale priorità, l’urgenza di un Paese. Che almeno, violaceo, va in piazza.

il Fatto 24.2.10
Ma dov’è la sinistra
risponde Furio Colombo

Caro Furio Colombo, una versione comune vi definisce, voi del “Fatto”, ora come fan di Di
Pietro, ora come “girotondini”, ora come folla di Beppe Grillo. Quando è necessario siete “radicali” o “sinistra radicale”. Quale di queste definizioni vi scontenta di meno?
Adele
LE DEFINIZIONI, o schede di appartenenza, sono tutte giuste e tutte sbagliate. Forse è necessario dividere questa breve e inadeguata risposta in due parti. Una riguarda questo quotidiano, l’altra chi ci abita perché scrive o perché legge. Vediamo. “Il Fatto Quotidiano” si chiama così per mettere bene in chiaro il senso o almeno l’aspirazione di fare giornalismo in questo modo. L’intento è ritrovare i fatti: dove, come, quando accadono. “Tutti i particolari in prima pagina” si potrebbe dire parafrasando i titolo di un celebre film di Nino Manfredi, e in un mondo truccato: il contesto, la sequenza, il prima e il dopo, il sopra e il sotto, l’alto e il basso sono notizie indispensabili, quasi sempre mancanti. E’ la risposta al giornalismo di pura invenzione e propaganda. Oppure Minzolini è la risposta al “Fatto”. Direte, ma le forti opinioni che esprimete ogni momento? La risposta è: mai prima del fatto documentato. E infatti le firme di questo giornale sono spesso redarguite, mai smentite. Quale definizione per chi scrive e legge e lavora in quest’area non vasta ma solida della vita italiana? Non possiamo portare via, e usare per noi, come si fa con grande disinvoltura in molti giornali, la parola “radicale” al partito di Bonino e Pannella.
Come se i Radicali, partito e cultura e attività accanita e appassionata, senza interruzioni e senza vacanze, non esistessero davvero. Contano, se non altro per il loro impegno esemplare sui diritti umani e civili. Ma, anche di più, per la loro visione politica che non provvede frammentazioni di un pezzo o dell’altro. “Sinistra radicale” è una definizione sospesa nel vuoto. Qualcuno di noi ha detto e scritto che è difficile appassionarsi ai convegni della sinistra sulla sinistra. E’ una sorta di sindacalismo ideologico a difesa dei convegnisti, non di un popolo che potrebbe essere la sinistra. Se girotondini (o popolo viola) serve a dire “mai tacere”, “mai rassegnarci” va un po’ meglio. Beppe Grillo è un autore che certe volte si applaude di più e certe volte di meno. Diciamo che ci accomuna la certezza di un male unico in Europa: essere le comparse del mondo privatizzato di Berlusconi. Una parte dei partiti (Pd e Idv), e una parte più grande di italiani, non si danno per vinti e non concepiscono alcun “lasciamo perdere”. Noi siamo qui.

Repubblica 24.2.10
La dieta dimagrante della scuola pubblica
di Chiara Saraceno

Le scuole pubbliche in Italia sono sottoposte ad una energica cura dimagrante su tutti i fronti: orari, offerta formativa, pulizia e manutenzione, materiali didattici, sostituzioni in casi di assenza. La cosa riguarda soprattutto la scuola, dall´obbligo all´università, ma tocca anche le scuole materne.
Il tempo pieno alle elementari è stato ridotto, soprattutto in quelle regioni (e probabilmente singoli quartieri) in cui viceversa una forte, qualificata, temporalmente consistente offerta formativa sarebbe più necessaria per contrastare gli effetti, sullo sviluppo cognitivo e delle competenze dei bambini e ragazzi, del disagio e della povertà. Un po´ in tutta Italia, ci sono scuole che a febbraio non hanno già più soldi per pagare i supplenti. Pazienza se qualche docente si ammala un po´ a lungo, o se per disgrazia una insegnante decide di avere un figlio. I colleghi faranno i turni di presenza per coprire le classi rimaste scoperte, con quali esiti formativi per gli studenti è immaginabile. Ci sono scuole che mandano circolari ai genitori perché si facciano carico della carta igienica e della cancelleria minuta e talvolta anche di lavoretti di manutenzione e di segreteria. Il volontariato dei genitori non è più una benvenuta integrazione alla dotazione di base. È una necessità per mantenere almeno quella dotazione.
Le responsabilità non sono tutte di questo governo, ovviamente. Anche gli insegnanti e i dirigenti scolastici hanno le loro responsabilità nell´avere creato un sistema spesso anarchico, non trasparente, e non valutato nella sua efficacia. Così come coorti successive di genitori troppo spesso sembrano essersi accontentate – o addirittura aver preteso – del fatto che i figli venissero promossi, piuttosto che interrogarsi sulla qualità della offerta formativa. Chi lo fa, se ne ha i mezzi sceglie oculatamente la scuola e la classe. O si rivolge al privato di qualità. La responsabilità di questo governo tuttavia è quella di aver fatto della questione della spesa, o meglio dei tagli, il criterio principale del proprio intervento. Così, appunto, si taglia il tempo scuola, come se tutti avessero a casa genitori senza impegni lavorativi, biblioteche ben fornite, computer, risorse per le attività integrative. E in un contesto in cui gli edifici scolastici sono spesso fatiscenti, al punto che ogni tanto qualcuno ci rimette la pelle, e sorveglianza e pulizia già al limite del necessario e della decenza, il ministero pretende un taglio del 25%.
Le nuove generazioni sono avvisate. Negli altri paesi si discute dell´investimento nell´educazione ad una età il più precoce possibile come forma non solo di investimento in capitale umano, ma di riduzione delle disuguaglianze provocate dalla origine di nascita. Il nostro invece mostra tutto il proprio disinteresse, offrendo un servizio che, a prescindere dalla buona volontà e competenza professionale dei singoli insegnanti, è di bassa qualità a partire dalle condizioni materiali. Lo stesso disinteresse c´è anche nei confronti dei più piccoli. Si destinano poche risorse agli asili nido, e soprattutto si assiste passivamente al loro mancato utilizzo proprio da parte delle regioni che ne hanno meno, in cui la diffusione della povertà tra i bambini è più alta e le disuguaglianze nelle competenze cognitive più elevate, quindi più necessario intervenire precocemente. Lo ha documentato di recente proprio un rapporto del Dipartimento per la famiglia.
A fronte di questo accanimento nei confronti della scuola pubblica, il governo ha fornito viceversa rassicurazioni alla Chiesa cattolica sul finanziamento alle sue scuole. Sorge il sospetto che non siamo solo di fronte ad uno scambio indecente tra legittimazione politica e riconoscimento di un monopolio etico-educativo (che coinvolge anche altri temi). Siamo di fronte anche alla progressiva squalificazione della scuola pubblica a favore di quella privata, che in Italia è soprattutto scuola cattolica. Il terreno è stato ampiamente preparato dall´ingegneria linguistico-legislativa messa in opera dal governo Prodi. Ad esso di deve la trasformazione delle scuole private (incluse quelle materne) cattoliche in "scuole paritarie", per aggirare il dettato costituzionale che ne vincola l´esistenza all´essere "senza oneri per lo stato". Ora siamo, temo, di fronte all´atto finale. Quanto più la scuola pubblica sarà squalificata e privata di risorse, tanto più diventerà la scuola di chi non può scegliere altrimenti, dei poveri, degli immigrati.

Repubblica 24.2.10
Tanto sesso siamo italiani
Si fa l´amore più per piacere (93,8%) che per avere figli (71%) e si continua a farlo da anziani
L´80% condanna l´infedeltà. Per le donne la sessualità resta legata più al sentimento
di Michele Smargiassi

Ora lo facciamo con la luce accesa. Tre volte su quattro. La vergogna è finita. Lo facciamo più spesso, più volentieri, più a lungo nella vita. Ci diverte, ci soddisfa, non ci ossessiona ma ne sentiamo il bisogno. Lo facciamo una volta al mese in più di trent´anni fa, altro che stress e sonnolenza da tivù. Lo facciamo spensierati ma non incoscienti, senza tabù ma con rispetto, via via più audaci e sperimentatori. La sessualità degli italiani (Il Mulino editore, in libreria da domani) è sempre più sensuale, ma non insensata. Giunti all´ultima delle oltre trecento pagine di analisi, grafici e tabelle di quello che non è esagerato chiamare il "Rapporto Kinsey italiano", è palese che la pornomania, nel nostro paese, è essenzialmente una patologia del potere mediatico. Era legittimo temere che la volgarità televisiva interpretasse una dissolutezza pandemica, pescasse in un libertinismo di massa. Ma pagina dopo pagina ci si convince che nel nostro paese la "modernizzazione sessuale" (quanto alla rivoluzione, vedremo poi) non solo non ci sta trascinando verso un bordello di lolite e prosseneti, ma l´abbandono progressivo dei due paradigmi tradizionali, quello ascetico e quello procreativo, insomma del «non lo fo per piacer mio», solo in parte è sfociato in puro edonismo, più spesso in un legame più intenso tra affettività e sensualità, libero da sensi di colpa e di norme imposte, ma non privo di codici e di valori.
L´Italia del «si fa ma non si dice» è profondamente cambiata, rincorrendo un po´ a fatica i trend internazionali: questo l´équipe di sociologi coordinata da Marzio Barbagli, Giampiero Dalla Zuanna e Franco Garelli l´aveva previsto. Sul come, questa ricerca, basata sulle migliaia di interviste di tre successive indagini, riserva invece sorprese rispetto alle tendenze da rotocalco. Esempi. Una sessualità più spregiudicata non distrugge la famiglia, al contrario.
Il single, eroe dell´immaginario libertino degli ultimi vent´anni, ha una vita sessuale meno intensa del coniugato. L´età media della "prima volta" non è scesa tra i banchi della scuola media, e almeno per i maschi è stabile da ottant´anni.
Sì, la coppia trionfa ancora, e il matrimonio è tutt´altro che la tomba dell´amore. Nella classica partita fra scapoli e ammogliati, qui sono i secondi che vanno in gol più spesso: nella maturità sessuale, tra i 30 e i 50, chi vive in coppia si gode ogni mese due-tre rapporti in più di chi vive solo, anche se quest´ultimo cambia partner più spesso. E se i francesi fanno l´amore più di noi (8,8 volte al mese contro 7,6 per gli uomini, 8,7 contro 6,7 per le donne) è solo perché oltralpe si convive di più. La disponibilità di una stanza da letto è un afrodisiaco più efficiente del Viagra. E già: i nostri bamboccioni scopano (scusate, sto esaurendo i sinonimi) meno dei coetanei europei non perché vittime di un crollo della libido nazionale, ma perché lungodegenti in casa dei genitori. Nel frattempo si arrangiano come possono, ma senza fretta. Certo, le ragazze oggi si lanciano prima: quelle nate un secolo fa aspettavano fino ai 22 anni, le ventenni di oggi l´hanno fatto poco dopo i diciotto, cioè appena un anno più tardi dei loro coetanei maschi. Che invece perdono la verginità più o meno alla stessa età dei bisnonni, ossia poco dopo i 17, ma in modo diverso: l´apprendistato con le professioniste è tramontato, oggi si debutta con la morosa, meglio se "fissa". In compenso ci si sposa più tardi: quindi tra la "prima volta" e il primo figlio ora passano dodici anni di vita sessuale attiva, un´enormità rispetto ai tre dei nostri nonni. È per questa lunga parentesi di sesso spensierato e non procreativo che forse è passato il cambiamento epocale. Il ´68 se ne è attribuito il merito, ma per Barbagli «è solo il momento in cui la vita sessuale è diventata raccontabile e il privato è diventato pubblico», insomma il passaggio in cui si è cominciato a dire ciò che da tempo già si faceva.
Comunque, rivoluzione o modernizzazione lenta, l´approdo è un´inedita, travolgente voglia di sperimentare senza imbarazzi. Un´avventura libera che è più bella se vissuta in complicità con un partner affiatato: la vita sessuale degli italiani è fatta di poche relazioni importanti (l´80% non ne ha avute più di tre), con rari intervalli più disinvolti. Il sesso è molto più importante di un tempo, ma non lo si grida ai quattro venti: la rivendicazione "sindacale" è diventata diritto privato acquisito, i figli del ´68 danno per scontato ciò che per i padri era uno strappo scandaloso. Si fa l´amore per il piacere (93,8%) più che per avere figli (71%), e lo si fa a ogni età: per gli uomini forse era più normale, ma che le donne ultrasessantenni dichiarino di avere ancora tre rapporti al mese ha dell´incredibile. Ci si masturba senza complessi (un terzo degli italiani), anche da adulti (il boom del piacere solitario femminile in età matura è un´autentica rivoluzione) e anche da sposati, perché non è un surrogato ma un complemento, perfino "terapeutico"; e la verginità è un feticcio ormai vuoto. Il rapporto di coppia non è più il momento in cui si scopre il sesso, ma quello in cui lo si raffina, senza farsi dire da nessuno come-si-fa e soprattutto come-non-si-fa: per il 71% nel sesso «non c´è giusto o sbagliato». In camera da letto, né psicologo né confessore. Lo dimostra il più sorprendente capitolo della ricerca, quello dedicato ai comportamenti privatissimi dei credenti "convinti e attivi". Tra i cattolici italiani il magistero della Chiesa in tema di etica sessuale sembra dissolto: 83 praticanti su cento ammettono i rapporti prematrimoniali, 81 la convivenza more uxorio, 67 la masturbazione, e non finisce qui: sei su dieci gradiscono il sesso orale, e quasi uno su quattro perfino il sesso anale. Non ci sono ormai più differenze con i laici nel ricorso agli anticoncezionali, i ragazzi di parrocchia usano il condom addirittura più dei loro coetanei miscredenti (più informati, più prudenti?). Se c´è ancora uno scarto fra chi va in chiesa e chi no, non è di qualità ma di grado: la coscienza cattolica morigera, attenua, orienta verso l´affettività e la stabilità di coppia, ma non vieta più tassativamente nulla.
Sembra proprio che, anche per i credenti, il discrimine non sia più "cosa è morale nel sesso" ma "cosa è naturale"; e la natura si mostra molto generosa. Zitti zitti, gli italiani da sessant´anni fanno tranquillamente sesso orale (oggi, 8 uomini e 7 donne su 10), quasi sempre col marito o la moglie (solo il 5% dei maschi lo "compra"); ma quel che sorprende davvero è che sia caduto anche l´estremo tabù: «E quando a letto lui / ti chiederà di più / glielo concederai / perché tu fai così»: spiacenti per Cocciante, se è questo che intendeva, ma oggi non è più necessario essere "bella senz´anima" per accettare ciò che un tempo era sinonimo di perversione e oggetto di derisione: la penetrazione anale, il più diseguale dei piaceri di coppia, è chiesta dagli uomini (41%) ma è sempre più accettata dalle donne (19%), e 42 italiani su cento l´hanno praticata solo con una compagna stabile. Di fatto, essendo gli etero più numerosi dei gay, da noi quel particolare capitolo del Kamasutra va in scena quattordici volte più spesso fra un uomo e una donna che fra due maschi. In questo siamo all´avanguardia mondiale: gli inglesi ad esempio bussano alla back door cinque volte meno di noi; curioso primato italico, forse un´eredità che risale all´antichità, azzardano i ricercatori.
Quanta disinvoltura: siamo diventati immoralisti? No. L´etica sessuale ha solo traslocato dal come al perché, dalle tecniche alle relazioni. In camera da letto tutto o quasi è lecito fra consenzienti, ma guai a chi tradisce: otto italiani su dieci condannano l´infedeltà, due su tre l´andare a puttane. Con qualche tolleranza: la "scappatella tecnica", senza legame affettivo, del marito frustrato, e lo "sfogo" di chi non ha altre opportunità. E qui s´affaccia una delle scoperte profonde della ricerca. Le differenze di genere si colmano, uomini e donne condividono sempre più alla pari la caduta dei tabù e la leggiadria sessuale, ma resta una frattura segreta, non quantificabile perché appartiene alla categoria delle credenze profonde: per le donne la sessualità è sorella del sentimento, per gli uomini del piacere. Antico pregiudizio, figlio della concezione "idraulica" della sessualità maschile («la natura vuole il suo sfogo...») che però continua ad essere condivisa anche da molte donne.
La maggioranza degli uomini (con sorprendente unanimità tra classi, età, istruzione) confessa di considerare sinonimi "piacere" e "orgasmo": le donne, no. Come può funzionare bene questo regime di aspettative discordanti? Eppur funziona, al prezzo di qualche tacito gioco delle parti. Le coperte nuziali sono il sipario di un teatrino in cui è ancora e sempre lui a chiedere, anche se lei sempre più spesso acconsente, anzi magari è lei che manda a lui un segnale di "chiedimelo", ma la formalità antica va rispettata, come se un eccesso di intraprendenza femminile fosse pericoloso per l´equilibrio della coppia. Allo stesso modo funziona il copione del momento clou: nove maschi su dieci pensano che le compagne raggiungano sempre l´orgasmo, ma se lo chiedi a queste, è vero solo per sette su dieci. Se la matematica non è un´opinione, qualcosa non va; infatti, a domanda diretta, due donne su tre ammettono di aver simulato ogni tanto l´orgasmo. Maschi ingenui, donne da Harry ti presento Sally o tacito patto? Si "fa finta" nelle coppie in crisi, per non peggiorare la situazione, o in quelle appena nate, per non comprometterla subito, ma anche in quelle stabili, se lei non vuole deludere lui; in fondo, fare l´amore per il 91% è anche «un modo per mantenere stabile la coppia». È vero che sempre più maschi si preoccupano del piacere delle partner, ma più che una generosa ricerca dell´unisono sembra essere una prova di autostima virile. Immaginari diversi della sessualità convivono sotto l´apparente parità del nuovo "modello affettivo". Sempre più condiviso, egualitario, libertario e sperimentale, il talamo del terzo millennio sembra nascondere un mistero: con reciproco appagamento facciamo l´amore in due, sì, ma non è che poi ciascuno pensa il suo?

Repubblica 24.2.10
Se la trasgressione è un’idea superata
I dati rivelano una società che ha perso molti suoi tabù rispetto al sesso
di Umberto Galimberti

Quando in un sondaggio l´intervista riguarda il sesso, anche se anonima, è difficile che uno dica la verità. Perché nell´atto di rispondere entra in gioco, di fronte a se stessi, l´immagine di sé che ne esce. E siccome ognuno di noi cerca di nascondere a se stesso la propria ombra, le macchine psichiche della rimozione e della negazione, che Freud ha bene illustrato e che ogni psicoanalista verifica parlando a tu per tu con i pazienti in studi ben protetti, entrano in azione automaticamente, per dare a se stessi, prima che agli altri, un´immagine il più possibile apprezzabile di sé.
Detto questo, e accettando per vere tutte le risposte, quel che risulta è che nell´arco di cento anni le pratiche sessuali non sono variate di molto. La differenza è che un tempo erano segrete e oggi sono più verbalizzate, perché la sessualità non è più un tabù. A partire dal ´68, infatti, siamo passati dalla società della disciplina, dove il conflitto era tra la regola e la trasgressione, alla società dell´efficienza e della performance spinta, dove il conflitto è tra adeguatezza e inadeguatezza della prestazione. Non è un caso che i medici ci informano che i giovani, più degli anziani, sono i maggiori consumatori di Viagra e simil-farmaci, e questo ci dice due cose.
La prima è, che se è vero come scrive Freud: «Dove c´è tabù c´è desiderio» (la stessa cosa diceva San Paolo a proposito del divieto della Legge), la liberalizzazione della sessualità e la facile accessibilità alla pornografia hanno determinato una caduta del desiderio che, per essere all´altezza delle prestazioni, ha bisogno di supporti chimici. La seconda è che, se nella pratica sessuale entra in gioco il grado di prestazione o l´immagine di sé, allora si incarica la sessualità a tenere un discorso che non è propriamente il suo, perché non parla solo di piacere, ma di immagine di sé e quindi di identità che, nell´atto sessuale, viene rafforzata o diminuita.
Quando parliamo di identità oggi assistiamo (come mi pare di dedurre dalle risposte fornite) a un´identità sempre meno coincidente con il proprio genere femminile o maschile, come se nel sesso i maschi non rinunciassero a mettere in gioco la propria femminilità e le donne il tratto maschile dell´intraprendenza e dell´iniziativa. Tutto ciò è bene se non si arresta solo alle pratiche sessuali, ma diventa anche disposizione psichica, capacità dei maschi di esseri teneri e dolci senza vergognarsi, e capacità delle donne di saper guardare negli occhi i loro partner chiedendo loro di non essere trattate come «genere» (le donne), ma come «persone» (quella donna colta nella sua unicità).
Se la liberalizzazione del sesso portasse all´integrazione della nostra controparte sessuale e a un processo sempre più significativo di individuazione, non potremmo che approvarla e considerarla un´emancipazione delle relazioni personali in quel luogo, un tempo segreto e secretato, che è la sessualità.

Terra 21.2.10
Angelo, ci servi in forze
di Luca Bonaccorsi

Ecoignoranti o ecodelinquenti. Questo è il dilemma. Questi signori che si scagliano contro il blocco del traffico per un giorno “tanto non serve a niente” a che categoria appartengono? Non leggono, non studiano, non si informano (ma non sono loro che dovrebbero informare?). Oppure sanno tutto ma le loro buste paga e i loro conti in banca riescono ad anestetizzare quel poco che gli resta di onestà intellettuale? Saranno i lauti stipendi che attutiscono il grido che ogni ora scandisce il tempo, quello di una nuova vittima legata all’inquinamento?
Mancano forse le evidenze scientifiche per affermare che nell’aria emettiamo veleni che ci ammazzano? Mancano forse le evidenze mediche sulla salute dei bambini che crescono in città? Nulla di tutto ciò. E allora? Non serve a niente fermare le auto per un giorno, dicono. La cultura reazionaria e retrograda parte sempre da un presunto, seppur parziale, dato di verità. Il nucleare non emette Co2. Il parlamento è inefficiente. L’economia ha bisogno che persone e merci si possano “muovere”. Tutto vero.
Eppure gli ingredienti non vengono cucinati per servire un pasto sano, fatto di energia pulita, di democrazia efficiente, di mobilità sostenibile collettiva e individuale. No, gli ingredienti vengono digeriti e rivomitati in una sostanza radioattiva, peronista, che viaggia su gomma diesel euro “zero meno”.
Lo sanno anche i sassi che la soluzione dell’inquinamento non è fermare le auto un giorno. Non è la soluzione di “lungo periodo”. Perchè, gli scienziati spiegano, la gestione della qualità dell’aria è complessa e chiama in ballo molti fattori. Ma da qualche parte bisognerà pur iniziare. E riprendersi le nostre città, passeggiare al centro della strada con i bambini, in bici o coi pattini. Avere nelle orecchie un rumore diverso da quello delle marmitte, nel naso un odore diverso da quello dei carburanti bruciati. Tutto ciò, non farà male a nessuno. Ambiente, salute, cultura e informazione. Da 24 giorni Angelo Bonelli sta digiunando perchè a questi temi venga restituita non la centralità che le spetterebbe, ma almeno il diritto di esistere. Qui su Terra avete letto uomini politici, intellettuali, associazioni ambientaliste, esprimere la solidarietà alla battaglia dei Verdi e di Bonelli.
Ma i giorni passano e il corpo si indebolisce, e si danneggia. Per questo all’appello di tutti gli amici oggi si aggiunge il mio, il nostro. La battaglia perchè le persone e la loro salute venga prima degli affari, perchè il nostro pianeta non sia più il terreno del consumo e dello sfruttamento, ma della conoscenza e della convivenza, è una battaglia lunga. Che avrà bisogno di tutte le energie migliori. Insomma, Angelo, interrompi il digiuno per favore.
Per il bene di tutti.

Il Giornale 22.2.10
Gli ecoinsulti degli ultrà Verdi
di Nino Materi

«Ecoignoranti», «ecodelinquenti», «reazionari», «retrogradi». E poi: «Non leggono», «non studiano», «non informano». Infine, un doppio rilievo di carattere deontologico-finanziario: «Le loro buste paga e i loro conti in banca riescono ad anestetizzare quel poco che gli resta di onestà intellettuale».
Sono le parole sobrie ed equilibrate con cui ieri Luca Bonaccorsi, direttore del quotidiano ecologista Terra («Organo ufficiale d’informazione della Federazione dei Verdi»), ha impreziosito il suo pacato editoriale contro i tre personaggi accomunati in un bel fotomontaggio in prima pagina: Umberto Bossi, Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro.
La loro «colpa»? Sostenere che «le domeniche senza auto non risolvono il problema dello smog». Tanto è bastato per far diventare Bonaccorsi verde (di rabbia) peggio dell’incredibile Hulk. Il direttore dai super poteri ecologisti ce l’ha soprattutto con il direttore del Giornale: «Parte la propaganda ideologica contro le misure anti-smog. Feltri & C. dimenticano le vittime e inventano un complotto contro Berlusconi». Dove? Come? Quando? Boh...
Ma, ecoinsulti a parte, c’è un passaggio dell’editoriale di Terra che fa particolarmente ridere: è lì dove Bonaccorsi dopo averci ricoperti di contumelie giunge esattamente alla nostra stessa conclusione; e cioè che «lo sanno anche i sassi che la soluzione dell’inquinamento non è fermare le auto un giorno. Non è certo questa la soluzione di “lungo periodo”...». Noi lo andiamo dicendo da un bel po’ di tempo; ora ci fa piacere che ci sia arrivato anche il direttore Bonaccorsi. Il quale, in conclusione, ci regala una notizia esclusiva: «Ogni giorno in Italia muoiono 20 persone per cause strettamente riconducibili allo smog». Ma chi l’ha fatta questa classifica? Mistero.
Quando si dice un sondaggio terra terra. Anzi, Terra Terra.

Terra 23.2.10
Miei cari ecoignoranti
di Luca Hulk Bonaccorsi

Le sparate radioattive della ditta Feltri & C. di solito non trovano risposta, tanto sono squalificate. Domenica invece, noi abbiamo voluto rispondere a quella apertura delinquenziale del Giornale di sabato che recitava “Gli ecocretini bloccano il nord”. Ce l’avevano con i comuni che hanno deciso il blocco del traffico il 28 febbraio, per cercar di contrastare il fatto che l’inquinamento, specie nel nord, ha superato i limiti di legge (35 giorni in un anno con più di 50 nanogrammi di polveri sottili per metro cubo). Intanto chiariamo una cosa: il limite non è stato stabilito da Pico della Mirandola, o da quel fricchettone di John Lennon durante un concerto a Central park, ma in base a studi epidemiologici. Ci sono, cioè, dei medici che studiano queste cose.
Ma quelli del Giornale si sono offesi. E siccome di andarsi a documentare non gli va proprio, hanno deciso di perseverare nelle loro stupidaggini. Nel Giornale di ieri infatti leggiamo una mirabile intervista in cui si sostiene che: 1) i limiti di legge sono ingiusti perché in certe città la dispersione dell’inquinamento è più difficile (confronto tra Lombardia e Portogallo); 2)che le emissioni permesse alle auto andrebbero proporzionate a peso e cilindrata del veicolo. Cioè, tanto per capirci, siccome a Milano non ci sono i venti atlantici di Lisbona che puliscono l’aria, e ci sono un sacco di macchinoni, cosa suggeriscono di fare gli eco“geni”? Alzare i limiti concessi di schifezze nell’aria a Milano. Neanche per un attimo, gli ecoignoranti si pongono il problema della salute dei cittadini. Al contrario, siccome il blocco delle auto 1 giorno su 365 farà effettivamente poco (lo sa anche il più ottimista degli ambientalisti), tanto vale... non fare nulla. Anzi, meglio alzare i limiti di legge della schifezza respirabile! Inutile cercare di comprenderli: nel mondo degli ecoignoranti vigono regole logico-formali diverse. Sono gli stessi che sostengono che se nevica d’inverno vuol dire che non ci sono cambiamenti climatici.
Forse si sono offesi perché sono personcine delicate. Sono diretti da quel timidone di Feltri, quello che sbattè un topless da “velina ingrata” in faccia alla Veronica Berlusconi (si era arrabbiata di ricevere corna a cariolate, seppur “professionali”). Mah.
P.s. Per il collega Materi: i dati sulle morti da smog li dobbiamo a tanti studi seri. Uno, fra tanti, è di quella organizzazione fricchettona che si chiama Organizzazione Mondiale della Sanità.