mercoledì 10 marzo 2010

l’Unità 10.3.10
Lazio, ancora no per le liste Pdl È rimasto solo il Consiglio di Stato
Il Cavaliere chiama la piazza «Contro di noi sopruso violento»
Fiducia sul voto per salvarlo dai processi
Il Csm accusa il premier «Democrazia a rischio»

l’Unità 10.3.10
Resta la rabbia per i trucchi Ma Emma Bonino non va sull’Aventino
di Jolanda Bufalini

Combattiva assemblea dei radicali: non basta vincere, è importante anche come ristabilire lo stato di diritto. Applausi al segretario del Pd. Il paradosso di “Raiset”: niente campagna elettorale in Tv e niente talk show.

Satyagraha, forza fermezza e amore per la realtà: c’è un bel clima all’assemblea nazionale dei radicali a Roma. Forza, fermezza e amore aiutano ad ascoltare l’oretta e mezzo dei due interventi di Marco Pannella, grande maestro di cerimonie. Per gli altri il tempo è fissato in dieci minuti, discussione serrata intorno all’interrogativo: «Si può giocare al tavolo dei bari?» e che Emma Bonino sintetizza così: «Non si può andare avanti come se niente fosse successo». Un’assemblea di discussione politica di quelle che non si vedono quasi più, abituati come siamo alle scenografie dai cieli azzurri. C’è una gran voglia di vincere, anche se «è importante il come», perché non basta «lucrare sulla cialtroneria degli altri». Anche perché, con “Raiset”, Berlusconi ci mette due giorni a capovolgere la realtà. Siamo al paradosso, denuncia Mario Staderini e anche Pannella «che non ci sono più i talk show e non ci sono le tribune elettorali».
E, in più, c’è l’affetto dei radicali per Pier Luigi Bersani: un applauso accoglie la mattina l’annuncio del suo intervento, calorosissimi applausi quando arriva e quando parla, anche se non accoglie la proposta pannelliana di un rinvio breve della consultazione elettorale in tutta Italia.
E, d’altra parte, dirà Bersani: «Voi sapete che non ho aspettato un minuto ad accogliere la candidatura di Emma Bonino e che non ho mai pensato che non fosse una candidatura radicale». Proprio questo gli era stato riconosciuto da Gianfranco Spadaccia, da Pannella al mattino che, invece, ha attaccato i predecessori, Veltroni e Franceschini perché bruciano ancora la preclusione alla Rosa nel pugno (preclusione che non valeva per l’Idv) alle politiche e la soglia del 4 per cento che ha fatto sparire i radicali dall’Europa. Goffredo Bettini, chiamato in causa, arriva a salutare Emma.
«Si gioca con i bari?» non vuol dire che ci sia una concreta possibilità di ritirarsi. Un po’, spiega Marco Cappato, perché sarebbe tecnicamente difficile uscire dal gioco una volta che la candidatura è presentata, un po’ perché, spiega benissimo Nicolò Figà Talamanca, «mi sorprende che vi sorprenda che il gioco è truccato, visto che è quello che denunciamo da anni».
Ora che «per la nostra cocciutaggine», dice Emma Bonino, la questione della legalità è esplosa «cosa è più efficace per restaurare lo stato di diritto?» che non è, aggiunge, un tema da elite che non interessa alla gggente (con tre g, chiosa), al contrario, «nelle borgate si sa bene cosa siano i diritti, senza i quali ci sono favori e raccomandazioni. Per i prepotenti il diritto è un impiccio, è ai più fragili che serve».
Il costituzionalista Mario Patrono mette in guardia dalla «bomba ad orologeria» innescata dal decreto e dalla sentenza del Tar. «Sono le elezioni più a rischio di essere invalidate che si siano mai fatte».
Marco Cappato pone un doppio problema, che è d’accordo con Pannella su una sanatoria e rinvio erga omnes delle elezioni, visto che non ci sono solo gli elettori del Pdl penalizzati a Roma ma per esempio, anche quelli dei radicali in Lombardia: il senso della manifestazione di sabato prossimo, «perché non basta protestare se non si punta a ristabilire la legalità». E poi: il rispetto dei diritti civili in Italia non è solo un nostro problema, è anche un problema di cui investire l’Europa che ha condannato la Bulgaria per avere modificato la legge elettorale troppo a ridosso della consultazione, due mesi prima.❖

Repubblica 10.3.10
Radicali in piazza col Pd Bersani a Pannella: niente rinvii
Il leader: nel Pdl apprendisti stregoni. La Bonino non si ritira
Il segretario Pd all'assemblea radicale, tra dissensi e incoraggiamenti
di Giovanna Casadio

ROMA - Marco Pannella la vorrebbe così: una bella, affollata manifestazione in piazza del Popolo, sabato, per chiedere democrazia, legalità e il rinvio delle regionali. Una sorta di sanatoria. Tutte le liste che «hanno presentato difetti qualitativi o quantitativi di firme saranno accettate». E le elezioni dovrebbero slittare perciò di un mesetto. È il pensiero di Marco. Ma Pierluigi Bersani arriva all´assemblea dei radicali, prende la parola e gli dice di no. Nessun rinvio del voto, sì alla grande manifestazione tutti insieme, ci sarà anche il Popolo Viola; Di Pietro ha anche moderato i toni. Però, spiega il segretario Pd: «Lasciamo stare i cavilli, non ci indeboliamo da soli, la palla della confusione e del pasticcio è tutta di là, lasciamola di là. Andiamo davanti agli elettori, andiamo sicuri, andiamo a vincere». Con Emma Bonino (che presiede ieri l´assemblea no-stop dei Radicali) nel Lazio.
Bersani è convinto che la gente non capirebbe un rinvio. Fa un´analisi spietata del berlusconismo. «È evidente che hanno imbrogliato, il governo è l´unico responsabile e nel farsi regole su misura hanno anche sbagliato la misura, come un sarto che non fa bene il suo lavoro». Il premier appare in difficoltà. Il premier, ragiona, «non può più indicare il futuro, ma questo non promette bene per il presente. Berlusconi è troppo forte per essere finito, ma è un po´ finito per essere così forte». Aggiungerà, dopo la decisione dell´ufficio elettorale del Tribunale che ha escluso a sua volta la lista Pdl del Lazio: «Nella maggioranza sono degli apprendisti stregoni, hanno prodotto e stanno producendo solo inutili strappi alle regole».
Quindi, sulla sfida laziale. Bonino non si ritira dalla corsa per la guida della Regione, lo conferma lei stessa spazzando via le voci delle ultime ore che, in nome della battaglia della legalità, l´avrebbero voluta pronta all´Aventino. Tutt´altro. «Tuttavia non è pensabile andare avanti come se nulla fosse successo. L´ipotesi di rinviare le elezioni solo nel Lazio è esilarante». La questione «di legalità e di decenza istituzionale» riguarda la presentazione delle liste in tutta Italia.
I Radicali non cambiano idea sul rinvio «per ripristinare la legalità di un processo politico già ampiamente compromesso». Pensano inoltre di sondare se ci sono le condizioni politiche per portare avanti la loro ipotesi di rinvio. Comunque. In piazza del Popolo ci saranno con uno striscione "Vincere e con-vincere", annuncia Pannella che riconosce il feeling con l´attuale segretario Pd. Si becca Bersani, anche una contestazione: «Bersani, coraggio», lo incitano due giovani militanti. In disaccordo quindi, Radicali e Pd. Marco e Pierluigi se lo dicono amabilmente. Pannella tiene una lezione di mezz´ora a Bersani. E lui, alla fine: «Non replico. Ma se vent´anni fa mi avessero detto che avrei avuto per mezz´ora Pannella tutto per me...». Giocano di fioretto il leader radicale e il segretario del Pd. Marco Cappato, escluso dalla corsa alla guida della Lombardia con la lista Radicale, ribadisce che non abbandoneranno la strada dei ricorsi per fare valere le loro ragioni.

Corriere della Sera 10.3.10
Bonino: «E ora una campagna elettorale sana»
di Alessandro Capponi
qui
http://www.scribd.com/doc/28127739/%C2%ABE-ora-una-campagna-elettorale-sana%C2%BB-10-mar-2010-Page-2

il Riformista 10.3.10
Le chance di Emma nel Lazio iniziano a preoccupare la Chiesa
di Francesco Peoloso
qui
http://www.scribd.com/doc/28127792/Il-Riformista-p7

l’Unità 10.3.10
L’adunata oceanica
di Giovanni Maria Bellu

Proprio mentre il tribunale civile di Roma, come già aveva fatto il Tar del Lazio, stava per dichiarare l’inutilità del decreto ad listam emanato dalla maggioranza per sanare i pasticci dei suoi maldestri dirigenti laziali, il governo ha annunciato il voto di fiducia il trentesimo sull’ennesima legge ad personam denominata «legittimo impedimento». Ci sono buone probabilità che la giornata di ieri, con un decreto ad hoc, venga proclamata la festa nazionale del Partito del fare gli affari propri alla faccia dei gonzi e degli onesti.
Il paese non può che rallegrarsene. La confusione è solo apparente e le prossime tappe della squallida vicenda sono chiare. Intanto ci sarà il ricorso al Consiglio di Stato e assisteremo alla più spaventosa attività di pressione sulla giustizia amministrativa della storia del dopoguerra. Detto per inciso, le possibilità che in quella sede la giustizia del premier e dei suoi angosciati legali trionfi non sono piccole. Contemporaneamente imbavagliata l’informazione televisiva e affidata la velina politica nazionale al solo Augusto Minzolini si farà in modo di accreditare l’idea che il Popolo delle libertà è vittima della perfidia. La circostanza dell’accoglimento giudiziario, in Lombardia, delle ragioni del meno maldestro Formigoni sarà opportunamente taciuta. E intanto ferveranno i preparativi per l’adunata oceanica convocata per sabato 20 marzo. A Roma, secondo le migliori tradizioni nazionali.
Il tema dell’adunata sarà la difesa della democrazia sostanziale contro i vecchi formalismi costituzionali. La balla della “violenza fisica” che avrebbe impedito al distratto mangiatore di panini di presentare la lista sarà ripetuta ossessivamente nel tentativo di farla entrare nella testa del più alto numero di telespettatori. Come già la guida suprema ha tentato di suggerire col parallelo giudici-talebani, i sostenitori laziali del Pdl saranno accostati agli elettori iracheni. Qua è là, durante i programmi di satira compiacente, si suggerirà l’idea che i giudici nascondono le urne. Apicella scriverà qualche verso dove accosterà gli ex voto per San Gennaro alla condizione del popolo berlusconiano afflitto.
Il mondo ci riderà dietro cosa che d’altra parte fa da tempo ma solo gli utenti del web ne avranno una percezione precisa. Poi, finalmente, si andrà alle urne. Ma non prima che il duce abbia raccomandato ai suoi di vigilare contro i soliti brogli della sinistra. E nel caso in cui il paese gli desse la batosta che merita, attribuirà la sconfitta al complotto ordito dalla magistratura, dai comunisti e da potenze straniere. E ragionerà sulla possibilità di un decreto interpretativo del voto popolare.
Ecco perché il paese deve gioire per quanto è accaduto ieri. La consapevolezza delle tappe future, ci dà gli strumenti per andare avanti senza commettere errori. Soprattutto quello segnalato ieri da Andrea Camilleri di dividerci. Se queste elezioni regionali sono un referendum, la democrazia non può perderlo. Cominciamo a lavorare subito.

Repubblica 10.3.10
Le macerie istituzionali
di Adriano Prosperi

Oggi non è solo all´Aquila che si deve sgombrare il terreno dalle macerie. Quelle che segnano i luoghi istituzionali del Paese sono diventate così tante da cancellare il profilo del nostro orizzonte di riferimento e da diffondere un sentimento generale di ansia e di smarrimento. Per questo fa bene il Presidente della Repubblica a segnalare che il valore della Costituzione resta ancora un punto di riferimento fondamentale per l´opinione pubblica.
È dall´altezza di questo osservatorio che bisogna misurare la gravità della situazione. Oggi il documento votato all´unanimità della prima sezione del Consiglio Superiore della Magistratura mette sotto gli occhi di tutti lo spettacolo del disastro provocato dagli attacchi violentissimi del presidente del Consiglio dei ministri alla magistratura. Ne abbiamo letti quasi uno al giorno per anni. Qualcuno li considera intemperanze caratteriali su cui poi esperti mediatori dal sorriso facile e dalla parola morbida si occupano di versare mielate rassicurazioni. Si rischia di abituarsi allo spettacolo: una variante italiana dei costumi politici, con tanto di sesso, barzellette e canzoni napoletane. Non così pensano i magistrati della prima sezione del Csm. Si tratta secondo loro di una denigrazione e di un condizionamento della magistratura assolutamente inaccettabili perché mettono in pericolo l´equilibrio tra poteri e ordini dello Stato. Senza questo equilibrio non si dà un ordinamento civile capace di tutelare i diritti di ognuno. Lo sappiamo. Dovremmo saperlo. È un dato elementare, semplicissimo, un pilastro fondamentale del sistema democratico. Ma i magistrati non si limitano a condannare. Il loro documento rivolge «un pressante appello a tutte le istituzioni perché sia ristabilito un clima di rispetto dei singoli magistrati e dell´intera magistratura». Oggi la magistratura è accusata nientemeno che di sovversione. E non si è trattato solo di parole. Le accuse del premier si sono tradotte in gravissimi episodi di diffamazione e aggressione all´immagine e alla dignità di singoli magistrati, vere e proprie esecuzioni in effigie. Questo documento del Csm segna una svolta storica nella lotta politica italiana: segnala una situazione di emergenza e invita a scelte adeguate. Scuote un torpore politico e morale che è frutto di una corruzione radicata in profondità. Quando si cominciano ad accettare certe cose in silenzio, quando si decide di smorzare i toni della reazione e a far finta di niente non si è contribuito al buon andamento della cosa pubblica come qualcuno può pensare: di fatto si è già accettato di vivere nella «Repubblica del Male Minore». È quello che sta accadendo da tempo.
È un fatto che appartiene al peggiore costume del nostro passato, a forme di corruzione morale e di indifferenza per le regole che ha avuto tanti nomi ma che ha una sola sostanza. Di secolo in secolo si sono usati nomi diversi: «nicodemismo»,«dissimulazione onesta», «familismo amorale». Diversi i fenomeni storici, legati però da un minimo comune denominatore morale che si è fissato nel costume di casa: il chiudere la porta e la finestra sul mondo degli altri, il conservarsi indifferenti alla cosa pubblica , il tollerare le lesioni ai diritti individuali in nome del tranquillo vivere dei più, il considerare ovvio che chi dispone del potere faccia straccio dei diritti di chi non gli obbedisce. Da questo costume sono nate le vergogne e gli errori della storia italiana: è questo che permise al popolo italiano nel suo insieme di accettare senza reagire l´immane vergogna delle leggi razziali, salvo poi addossare questa colpa al solo pontefice regnante come unico titolare della coscienza collettiva.
Ma quello della violenza contro i magistrati non è che il fenomeno più evidente prodotto da un leader politico che disprezza la giustizia come norma e come istituzione e si fabbrica le leggi e le sentenze su misura. Altre rovine sono state seminate un po´ dovunque da quella che oggi anche i commentatori più moderati e più filo governativi si rassegnano ormai a riconoscere come una congenita incapacità di Silvio Berlusconi di affrontare le responsabilità del governo di una grande nazione. Un sistema di potere personalistico ha fatto continuamente leva sul principio rozzo e intrinsecamente dittatoriale di interpretare una vittoria elettorale come una investitura plebiscitaria a comandare. I suoi attacchi alle istituzioni hanno superato da tempo ogni limite tollerabile in un sistema fondato sulla divisione dei poteri. Per disgrazia del Paese il comando è caduto nelle mani di una persona determinata a servirsene per tutelare e accrescere i suoi beni e per risolvere i suoi problemi con la giustizia. Da qui l´invenzione a getto continuo di norme e decreti «ad personam»: mentre scriviamo è in atto l´ennesima affannosa corsa del Parlamento per poter definire legittimo il fatto che un imputato non si presenta in tribunale. E non è certo la prima volta che quel potere legislativo che il popolo ha affidato al Parlamento viene confiscato e distolto dai problemi del Paese per togliere un privato cittadino che è anche per caso il presidente del Consiglio dagli impicci con la giustizia. Ai problemi del Paese si è data finora una risposta sbrigativa considerandoli come emergenze da affidare a strutture sottratte alle leggi ordinarie. Ma la politica dell´emergenza sta crollando sotto una valanga di scandali. E la vicenda delle liste elettorali segna il fallimento clamoroso di un sistema che ha concepito le elezioni non come un modo per far emergere una classe di governo dal consenso dei cittadini ma come l´imposizione agli elettori di candidati scelti su altri e ben diversi parametri da quelli della capacità e dell´onestà nel servire gli interessi del Paese. Un fatto è certo: comandare non è governare. Una cultura di governo deve conoscere e rispettare le regole. Questo governo le ignora a tal punto che ha visto ridicolizzato da un tribunale amministrativo per insipienza e approssimazione il recente decreto «interpretativo», cioè l´ennesimo tentativo di sanare le malefatte col solito decreto tappabuchi. Questo governo? Diciamo pure quest´uomo: l´uomo che oggi tace. Il suo silenzio è più di una confessione. La voce arrogante che ha aggredito e sbeffeggiato istituzioni e ordini fondamentali del sistema democratico, dalla magistratura alla presidenza della repubblica, oggi è assente da uno scenario dove si aggirano smarriti e balbettanti i suoi cortigiani. Spettava a lui, se fosse stato quello statista che non è, prendersi la responsabilità del pasticcio combinato dai suoi e chiedere alle altre forze politiche e al Paese di risolvere insieme il problema: che è un problema di tutti se è vero che il diritto al voto è l´incancellabile principio base della democrazia. Diritto di tutti: di ogni partito, non solo del più grosso come tende a dire la poco democratica petulanza dei portavoce della maggioranza. Ma se i diritti di tutti non sono difesi con la durezza e l´intransigenza necessaria, se si continua ad accettare una violenza eversiva sfacciata e uno spettacolo di conclamata immoralità e corruzione accettando di abbassare la protesta in un sussurro, forse non ci accorgeremo nemmeno quando dalla Repubblica del Male Minore ci avranno trasferito armi e bagagli nel territorio della confinante Repubblica della Giustizia assente.

il Riformista 10.3.10
Il Pd è sicuro che la battaglia sulle regole è vincente?
di Ritanna Armeni
qui
http://www.scribd.com/doc/28127780/il-Riformista-p15

Repubblica 10.3.10
Padre Ratzinger: "Anch´io ho dato schiaffi"
E dopo Ratisbona denunciate violenze sui minori anche in Austria e nei Paesi Bassi
di Andrea Tarquini

Il fratello del Papa chiede scusa. Lombardi: "La Chiesa è intervenuta con forza"

BERLINO - Padre Georg Ratzinger, fratello del Pontefice, ammette che qualche volta sono scappati anche a lui ceffoni ai bimbi e ai ragazzi del Coro di Ratisbona, anche se la coscienza poi gli ha sempre fatto provare rimorso. E pur ribadendo di non aver mai saputo fino ad oggi dei gravi casi di abusi e violenze contro i minori, chiede scusa alle vittime. Il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, sottolinea invece che le chiese si sono attivate con decisione, nega che la Direttiva del 2001 della Congregazione per la dottrina della fede sia stata ispiratrice di una cultura del silenzio, e invita a non accusare solo il mondo cattolico; ma ammette che la Chiesa stessa «sta attraversando un grande travaglio». Dopo gli scandali tedeschi, intanto, in Austria e in Olanda emergono nuovi casi, con la denuncia di centinaia di abusi. La Chiesa dei Paesi Bassi ha aperto un´inchiesta indipendente.
Sul tema tragico, pesante e sofferto degli abusi omosessuali e pedofili, le istituzioni cattoliche e il mondo che fa loro capo sono nella tempesta.
Le prime notizie urgenti, ieri mattina, venivano dalla Germania. In un´intervista alla Passauer Neue Presse, un giornale ritenuto portavoce ufficioso del cattolicesimo conservatore, padre Georg Ratzinger ammetteva: «All´inizio anch´io ho distribuito ripetutamente schiaffi, anche se la coscienza poi mi rimordeva. Quando nel 1980 le punizioni corporali sono state proibite, ho provato un profondo sollievo». Non è tutto. «Quando eravamo in viaggio per concerti, i ragazzi del Coro dei passeri del Duomo», ha continuato il fratello maggiore del Pontefice, «mi raccontavano della durezza dell´allora rettore dell´Internato. Sapevo che egli picchiava mollando schiaffi di particolare durezza, ma mi era sconosciuta l´ampiezza, e la gravità del problema». Oggi, sottolinea, «provo profondo dolore per le vittime, la cui integrità fisica e spirituale fu ferita».
Per la prima volta dunque, padre Ratzinger ammette in sostanza che le percosse erano pratica corrente. Per la prima volta parla con tanta apertura e fornisce tanti dettagli sul dramma.
«Non si può negare la gravità della tormenta, del travaglio che la Chiesa attraversa», ha detto alla Radio Vaticana il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi. «Ma non bisogna rinunciare a fare il possibile per ottenere risultati positivi, più difesa dell´infanzia e dei giovani e una purificazione della Chiesa». Le chiese, sottolinea, si sono mosse bene, «si sono attivate con decisione e hanno dato prova di trasparenza e di volontà di fare luce». Ma ricordiamo, ha aggiunto, che questi drammi riguardano l´intera società: in Austria «si parla di 17 casi in ambienti religiosi e 510 in altri ambienti». E soprattutto, padre Lombardi ha risposto all´accusa della ministro della Giustizia tedesca, Sabine Leutheusser-Schnarrenberger. Non è vero, ha detto, che (come invece sosteneva lunedì la guardasigilli tedesca, ndr) la Direttiva del 2001 "de delictis gravioribus" abbia creato una cultura del silenzio. La Direttiva al contrario «ha indicato la gravità del problema al mondo ecclesiastico», e l´ha inquadrato nel contesto del diritto canonico. Il che non vuol dire affatto boicottare la Giustizia statale.
La Santa Sede tende anche la mano al governo tedesco: padre Lombardi ha detto sì alla Tavola rotonda voluta dall´esecutivo della cancelliera Merkel per il 23 aprile tra potere pubblico, mondo dell´istruzione e chiese, proposta finora non accolta dalla Conferenza episcopale tedesca. Ma intanto gli scandali dilagano: in Olanda i vescovi stessi parlano della scoperta di almeno 200 casi di abusi. In Austria si parla di violenze in almeno due istituti religiosi negli anni Settanta e Ottanta, e l´attuale padre superiore dell´Abbazia di San Pietro a Salisburgo avrebbe già ammesso di essere implicato.

Repubblica 10.3.10
Si teme che possano emergere nuovi casi nella diocesi di Monaco, già coinvolta per gli abusi nel monastero di Ettel
La grande paura del Vaticano "Adesso lo scandalo può allargarsi"
di Orazio La Rocca

Secondo un alto prelato tedesco sono rivelazioni destinate a colpire il Pontefice
Venerdì Benedetto XVI riceverà i rappresentanti dell´episcopato di Germania

CITTÀ DEL VATICANO - Dopo Ratisbona, Monaco? È l´interrogativo che sta circolando, con terrore, nella Curia pontificia già ampiamente sconvolta dalle notizie arrivate dalla Germania sulle violenze sessuali su minori avvenute nello storico coro di Ratisbona, diretto dal 1964 al 1993 dal fratello di Benedetto XVI, monsignor George Ratzinger. Notizie che - dopo quando già avvenuto in Irlanda, in Olanda e nelle diocesi Usa - hanno contribuito ad accentuare il clima di «imbarazzo, rabbia e delusione» che si respira in Vaticano. Un clima che - si apprende Oltretevere - non è stato «certamente» rasserenato dall´inattesa intervista che il fratello del Papa ha concesso ad un giornale tedesco rivelando, tra l´altro, di «essersi pentito per aver dato anche lui qualche ceffone ai suoi allievi» quando dirigeva il coro di Ratisbona.
Ammissioni «imprudenti ed inutili» si lascia scappare un alto prelato tedesco da anni in Vaticano, il quale - pur esprimendo riprovazione e condanna per i casi di pedofilia avvenuti in Germania e in altre nazioni - sospetta che «queste rivelazioni facciano parte di una strategia che tende a colpire, in ultima analisi, Benedetto XVI». Ecco perché in Vaticano si teme che, dopo i casi del coro di Ratisbona che hanno sfiorato il fratello del Papa, vicende analoghe possano emergere con altrettanta insistenza anche per la diocesi di Monaco retta dal cardinal Joseph Ratzinger dal 1977 al 1982.
Solo timori, anche se - in verità - la diocesi di Monaco in qualche modo è stata già tirata in ballo dagli abusi sessuali che hanno travolto il monastero benedettino di Ettal, dove negli anni passati sarebbero stati violentati un centinaio di bambini, molti dei quali hanno ammesso di aver subito punizioni anche a base di schiaffi e pugni. Sul monastero di Ettal il Vaticano ha subito avviato una indagine per mano di un visitatore apostolico, un monsignore "inquirente" pontificio che riferirà alla Santa Sede in applicazione di quella tolleranza zero pianificata da papa Ratzinger per stroncare alla radice la vergogna della pedofilia. Quella stessa tolleranza zero che lo stesso Benedetto XVI rammenterà ai rappresentanti dell´episcopato tedesco che verranno venerdì prossimo in Vaticano guidati dall´arcivescovo Robert Zollitsch, presidente dei vescovi tedeschi. «Certamente col Santo Padre parleremo anche degli abusi sessuali di cui sia sta parlando da qualche giorno, anche se l´incontro era previsto da tempo, ancor prima dei casi emersi al coro di Ratisbona», puntualizza il portavoce di monsignor Zollitsch.
«Ogni anno, alla conclusione della nostra assemblea plenaria - fa sapere il presidente della conferenza episcopale tedesca - riferiamo sempre al Papa dei contenuti di cui abbiamo discusso. Quest´anno, ci siamo soffermati ad analizzare in primo luogo i casi di violenze sessuali emersi nel nostro paese, ma anche le problematiche legate all´Afghanistan e al calo demografico che ha colpito la Germania».
Grande, dunque, è l´attesa per l´udienza di venerdì, anche perché da quanto papa Ratzinger dirà ai suoi connazionali si capirà se la Santa Sede ha veramente archiviato l´evidente clima di incertezza con cui finora ha fatto fronte alle rivelazioni sui preti pedofili. Come dimostra il ritardo che sta accompagnando la lettera del Papa ai cattolici irlandesi, annunciata per l´inizio della Quaresima (il 17 febbraio scorso), ma che - dopo i casi di Ratisbona - forse difficilmente vedrà la luce. Come pure il differente approccio con cui Radio Vaticana e Osservatore Romano, hanno affrontato finora il caso pedofilia. Il giornale vaticano ieri ha quasi "degradato" padre Federico Lombardi, dimenticando di scrivere che il religioso è il portavoce papale nel servizio dedicato al commento sui preti pedofili letto da Lombardi alla Radio Vaticana. Servizio pubblicato in ultima pagina con piccolissimo richiamo in prima col titolo «A proposito del dibattito sugli abusi sessuali».

Repubblica 10.3.10
La Chiesa di fronte alla scelta del celibato
Risponde Corrado Augias

Caro Augias, ho visto su Repubblica la foto di un preoccupato Benedetto XVI di fronte al dilagare di scandali di pedofilia. Si dice che per evitare queste tentazioni bisognerebbe abolire il celibato dei preti, anche se questa soluzione mi sembra piuttosto limitativa del ruolo di una moglie, come del resto di quello di un chierichetto. Certo, condurre l'esercizio pastorale confortati da una complessa affettività nei confronti della moglie e soprattutto dei figli, permetterebbe un rapporto più equilibrato e sereno con i "parvuli". Mi resta però il dubbio che a favorire le deviazioni di questo rapporto sia proprio il ruolo educativo esercitato dal sacerdozio, non solo verso i bambini, ma anche verso le donne, la cui presenza in confessionale è pure ben commentata dalla scaltrezza popolare. Del resto il popolo è sempre stato comprensivo verso la solitudine del prete e le porte di servizio dei conventi di clausura. A suo tempo, anch'io fui fatto oggetto di attenzioni particolari, sia pure senza esito. Mia madre non se ne scandalizzò, mi raccomandò di non restare mai solo col prete.
Andrea Bonucci andrea.bonucci@libero.it

S u questo terribile problema della chiesa cattolica ho letto di recente due interventi entrambi autorevoli ma quasi opposti. Il primo di Hans Küng su Repubblica nel quale il noto teologo (dissidente) diceva tra l'altro: « Abusi sessuali in massa ai danni di bambini e giovani ad opera di preti cattolici, dagli Usa alla Germania, passando per l'Irlanda: un enorme danno di immagine per la chiesa cattolica, ma anche segno palese della sua crisi. E indiscutibile che tali abusi si verifichino anche in seno alle famiglie, nelle scuole, nelle associazioni e anche nelle chiese in cui non vige la regola del celibato. Come mai si registrano in massa proprio nella chiesa cattolica, guidata da celibatari? Queste colpe non sono attribuibili solo al celibato. Ma questo resta la più importante espressione dell'approccio teso che i vertici cattolici hanno sulla sessualità». L'altra opinione è quella di monsignor Vincenzo Paglia vescovo di Terni noto per le sue aperture: «Noi preti siamo chiamati a una vita paradossale che mette in evidenza il primato di Dio. Il celibato mette una zeppa ad una società consumista ed egocentrica. La paradossalità della vita del prete rende la società più umana». Hanno ovviamente ragione entrambi anche se potrei ricordare (con Küng) che: « Pietro e gli altri apostoli erano sposati nell'esercizio del loro ufficio. Questa rimase per molti secoli una condizione ovvia per i vescovi e i presbiteri». Il celibato non ha nulla di teologico né di evangelico. E' una decisione amministrativa quindi revocabile quando le circostanze sembrino suggerirla. Le circostanze francamente sembrano suggerirla.

l’Unità 10.3.10
«Pentito di quegli schiaffi» Georg Ratzinger chiede scusa
Violenze sessuali, si allarga lo scandalo nelle scuole e negli istituti religiosi in Germania. Il governo convoca un vertice il 23 aprile. Altri due casi in Austria, nell’Abbazia di Salisburgo e in quella di Bregenz.
Tre ministre schierate contro la pedofilia. Tolleranza zero e risarcimenti anche con prescrizione
Pioggia di denunce, ora anche tra le voci bianche di Limburgo nel convento di santa Edvige
di Gherardo Ugolini

Forse davvero Georg Ratzinger, per tre decenni direttore del Coro delle voci bianche della cattedrale di Ratisbona, non sapeva nulla degli abusi sessuali ai danni degli allievi dell’internato della scuola,
ma di sicuro non disdegnava metodi punitivi violenti. Anche a lui è capitato «di assestare uno schiaffo a qualche allievo come reazione a una manchevolezza o ad un rifiuto» ha ammesso ieri monsignor Ratzinger in una nuova intervista al quotidiano Passauer Neue Presse. Era del resto era la prassi, dalla quale era difficile per gli insegnanti derogare. E quando nel 1980 le punizioni corporali sono state vietate in Germania, Ratzinger dice di essersi sentito «intimamente sollevato». Il fratello del Pontefice dice di essere pentito per il ricorso alle punizioni corporali praticate, e chiede scusa agli allievi che le hanno subite. Quanto agli abusi sessuali ribadisce di non averne mai avuto notizia ed esprime la sua pena per le vittime «la cui integrità fisica e psichica è stata ferita».
LE VOCI BIANCHE DI LIMBURG
Lo scandalo della violenza sessuale su minori nelle scuole religiose tedesche non dà tregua. Non passa giorno senza che nuovi casi vengano denunciati e nuovi istituti finiscano nel mirino. Un’ex allieva del Collegio delle suore di Sant’Edvige a Berlino ha denunciato pesanti molestie sessuali compiute anni fa ai suoi danni. L’ultimo caso riguarda i “Limburger Domsingknaben”, il coro di voci bianche della cattedrale di Limburg, in Assia: un ex allievo del coro ha scritto al vescovo, Peter Tebartz van Elst, denunciando gli abusi commessi tra il 1967 e il 1973 dal direttore, deceduto nel 2002.
Lo scandalo manda in fibrillazione anche il mondo politico tedesco. Se Angela Merkel ha scelto la massima cautela dichiarando di apprezzare il «senso di responsabilità» con cui la Chiesa sta affrontando la faccenda, ben più drastica è la posizione di alcuni suoi ministri. Sono soprattutto le donne a farsi sentire. Sabine Leutheusser-Schnarrenberger, esponente Fdp e ministro federale della Giustizia, ha accusato il Vaticano di avere ostacolato le indagini con «un muro di silenzio» per evitare che la verità trapelasse fuori dalle istituzioni coinvolte. E in un articolo sulla Süddeutsche Zeitung la leader liberale invoca risarcimenti per le vittime anche se fosse intervenuta la prescrizione giudiziaria.
Un’altra ministra federale, la cristianodemocratica Annete Schavan, responsabile dell’Istruzione, è invoca «tolleranza zero» contro i preti pedofili dal momento che «la violenza sugli scolari rappresenta la più grave rottura del rapporto di fiducia che si possa immaginare». Insieme a Kristina Schröder, ministro della Famiglia, ha lanciato il progetto di un comitato permanente, formato da esponenti del mondo scolastico e da delegati delle Chiese cattolica e protestante, con lo scopo di varare procedure vincolanti da seguire nei casi di abusi sessuali. In cantiere c’è anche una campagna di sensibilizzazione rivolta ai bambini perché sappiano riconoscere e trovino il coraggio di denunciare eventuali approcci molesti.❖

l’Unità 10.3.10
«Gli abusi sui bambini delitto orribile Ma non solo tra noi»

Sugli abusi sessuali, e non solo in Germania, la Chiesa ha «affrontato il manifestarsi del problema con tempestività e decisione». Ma accusare solo la chiesa dice il portavoce vaticano, Federico Lombardi non è bene: in Austria «i casi accertati in istituzioni riconducibili alla Chiesa sono stati 17, mentre ve ne sono stati altri 510 in altri ambienti». L’abuso sessuale sui bambini, ha continuato, « è sempre stato considerato uno dei più gravi. Anche la Lettera “De delictis gravioribus” del 2001, talora inopportunamente citata come causa di una cultura del silenzio». Quel testo, ricorda padre Lombardi, è stato «un segnale determinante per richiamare l’episcopato alla gravità del problema e un impulso concreto per l’elaborazione di direttive operative per affrontarlo». Il travaglio della Chiesa è gravissimo, ma «bisogna fare tutto il possibile perché se ne ottengano anche risultati positivi, di migliore protezione dell’infanzia e della gioventù nella Chiesa e nella società».

l’Unità 10.3.10
Il celibato dei sospetti
di Filippo Di Giacomo

I casi di pedofilia nella Chiesa sono inferiori a quelli registrati altrove. Ma il tema fa presa e c’è chi specula sulla scelta dell’astinenza

Anche in Germania, come negli Usa e in altri Paesi europei, i vescovi cattolici hanno obiettato sullo smantellamento dello stato sociale. A una Merkel intenzionata a svendere il welfare per i trenta denari versati dai liberali all’attuale coalizione di governo, i vescovi hanno ricordato il significato che la dizione “cristiano-sociali” ha sempre rappresentato per l’identità e le politiche del partito in nome del quale è stata eletta. A stretto giro di posta è arrivata la risposta dei “liberali” tedeschi: la Chiesa farebbe meglio a occuparsi dei problemi al suo interno. E quale problema mediaticamente parlando, è più spendibile delle intemperanze sessuali del clero? Circola per il mondo un manipolo di avvocati anglosassoni specializzati nella bisogna, e il loro sbarco in Italia è già programmato per i prossimi mesi. Probabile quindi che dopo quella irlandese, tedesca, austriaca e olandese, avremo diritto a una puntata italiana sui luoghi comuni dell’ormai poco originale dibattito su ciò che la Chiesa è, e su ciò che dovrebbe fare. In questi giorni già si leggono argomentazioni tese a dimostrare come gli atti di pedofilia clericali sarebbero ricollegabili al celibato dei preti, ad una indotta regressione sessuale risalente alla formazione impartita nei seminari minori (praticamente scomparsi da quarant’anni), secondo un modello imposto dal concilio di Trento, nella seconda metà del millecinquecento.
In realtà, il celibato esiste dal 306, dal Concilio di Elvira (nome di Granada nella Hispania romana), nella Chiesa d’Occidente è diventata regola indiscussa già nel IV secolo, quando Agostino suggerì l’adozione della disciplina monastica a tutti i suoi preti. Ha dato prova di poter garantire una struttura psichica che favorisce l’indipendenza e la disponibilità esistenziale, e continua a rappresentare uno dei carismi che la Chiesa Cattolica testimonia nel cristianesimo globale. E anche nel sacerdozio celibe, gli uomini sani non hanno mai conosciuto lo sviluppo di attrazioni erotiche nei confronti dei bambini come risultato dell’astinenza. Negli oltre ottanta casi di abusi denunciati nella diocesi di Boston, la prima circoscrizione cattolica ad essere arrivata sui media in odore di pedofilia diffusa, solo quattro sono stati riconosciuti colpevoli. In Irlanda, le due commissioni governative che hanno investigato sui circa 2800 casi denunciati, ne hanno considerati fondati solo il 10 %. Ciò vuol dire che il 90% delle accuse, benché fortemente mediatizzate, erano false. C’è una latente, oscura vena fascista in questo accanito tentativo di voler esorcizzare in salsa clericale un problema, quello dell’uso e dell’abuso dei bambini, che a livello globale è beceramente strutturato in ogni categoria professionale e abbraccia la pedofilia così come la pornografia, il turismo sessuale, la prostituzione, lo sfruttamento del lavoro minorile, la mendicità schiavistica. Non per nulla ieri Padre Federico Lombardi ha ricordato che: «In Austria, in uno stesso periodo di tempo, i casi accertati in istituzioni riconducibili alla Chiesa sono stati 17, mentre ve ne sono stati 510 in altri ambienti. È bene preoccuparsi anche di questi».
Si può notare come l’ondata europea di massmediatizzazione degli abusi cattolici avvenga in un contesto ambiguo. Da un lato, è ormai certo che Benedetto XVI ha dispiegato sulla materia una fermezza disciplinare che non lascia dubbi né dentro né fuori la Chiesa, dall’altro la virulenza degli attacchi anticattolici risultano enfatizzati dall’immagine di isolamento del Pontefice, dovuta verosimilmente a una macchina curiale e amministrativa che non appare a lui fedele e che viene descritta all’opinione pubblica come da lui non controllata. Nella pubblicistica ecclesiologica e canonistica d’Oltralpe è dalla fine degli anni Settanta che ci si chiede (famoso il saggio che aveva significativamente il titolo L’Eglise à l’heure du management, La Chiesa all’epoca del management) se il cattolicesimo abbia ancora bisogno di una curia che occupa circa 2800 persone, impermeabile ai volenterosi tentativi fatti da Paolo VI e Giovanni Paolo II per renderla ecclesialmente compatibile con la Chiesa reale, capace (come dimostrano le vicende di certi “gentiluomini” del Papa) solo di internazionalizzare gli atavici privilegi e vizi. Nell’editoriale del settembre 1997 l’allora direttore di Jesus, (mensile dei Paolini), fece rimbalzare in Italia una proposta molto seria avanzata da alcuni vescovi statunitensi: abolire la curia senza ulteriori indugi. Allora, il direttore perse il posto. Ora se il suo sogno si avverasse, a battere le mani sarebbe, probabilmente, la Chiesa intera.

il Riformista 10.3.10
Chiesa tedesca nel mirino
Una valanga di denunce
Mea culpa di G. Ratzinger
di Alessandra De Ferrà
qui
http://www.scribd.com/doc/28127780/il-Riformista-p15

Repubblica 10.3.10
"Il Diavolo abita anche in Vaticano"
Padre Amorth, l´esorcista più famoso del mondo, racconta la sua lotta contro il maligno. E rivela: "Si è infiltrato anche in Vaticano"
di Marco Ansaldo

Beelzebul, Zago, Astarot, Asmodeo, Jordan. Quanti sono i nomi e le trasformazioni del Maligno? La stanza del mistero è spoglia. L´atmosfera fredda. Però padre Gabriele Amorth, l´Esorcista con la "e" maiuscola, settantamila casi affrontati in nemmeno 25 anni, sorride serafico. Lui è abituato a porte che sbattono, sedie che si rovesciano, occhi che roteano, bestemmie che volano. Ma parlare di demonio nella casa del Papa mette i brividi lo stesso. Anche se l´Esorcista non si tira indietro di fronte all´Avversario. E il Santo Padre? «Oh, Sua Santità crede in pieno nella pratica dell´esorcismo. Perché il diavolo alberga in Vaticano. Naturalmente è difficile trovare le prove. Ma ho confidenze di persone che lo confermano. E, del resto, se ne vedono le conseguenze. Cardinali che non credono in Gesù, vescovi collegati con il demonio. Quando si parla di "fumo di Satana" nelle Sacre stanze è tutto vero. Anche queste ultime storie di violenze e di pedofilia».

Beelzebul, Zago, Astarot, Asmodeo, Jordan. Quanti sono i nomi e le trasformazioni del Maligno? La stanza del mistero è spoglia. L´atmosfera fredda. Però padre Gabriele Amorth, l´Esorcista con la "e" maiuscola, settantamila casi affrontati in nemmeno 25 anni, sorride serafico. Lui è abituato a porte che sbattono, sedie che si rovesciano, occhi che roteano, bestemmie che volano. Ma parlare di demonio nella casa del Papa mette i brividi lo stesso. Anche se l´Esorcista non si tira indietro di fronte all´Avversario.

Ha guardato in faccia il diavolo. O almeno le sue incarnazioni terrene. Padre Gabriele Amorth ha affrontato 70 mila indemoniati (veri o presunti) in 24 anni di esercizio. "Il Papa crede in questa pratica" assicura. Anche perché "il Maligno alberga in Vaticano, e se ne vedono le conseguenze" Un esempio? Le ultime storie di pedofilia
Il sacerdote, che lavora a Roma, è il più famoso "liberatore di anime" al mondo
"Il nostro compito principale è affrancare l´uomo, soprattutto dalla paura di Satana"
"Il 90 per cento delle vessazioni diaboliche è la conseguenza di malefici"
"La notte di Natale il Nemico ha provato a colpire Ratzinger cercando di buttarlo a terra"

E il Santo Padre? «Oh, Sua Santità crede in pieno nella pratica della liberazione dal Male. Perché il diavolo alberga in Vaticano. Ho confidenze di persone che lo confermano. Naturalmente è difficile trovare le prove. E, comunque, se ne vedono le conseguenze. Cardinali che non credono in Gesù, vescovi collegati con il demonio. Quando si parla di "fumo di Satana" nelle Sacre stanze è tutto vero. Anche queste ultime storie di violenze e di pedofilia. Anche la vicenda di quella povera guardia svizzera, Cedric Tornay, trovata morta con il suo comandante, Alois Estermann, e la moglie. Hanno coperto tutto. Subito. Lì si vede il marcio».
Tutti lo conoscono come l´Esorcista. Molti ne chiedono l´assistenza. Perché Gabriele Amorth, sacerdote paolino nato a Modena, laureato in Giurisprudenza, ex partigiano, medaglia al valor militare, democristiano di scuola dossettiana ed ex direttore del giornale mariano Madre di Dio, è il più famoso liberatore del demonio al mondo.
Ma a 85 anni settantamila casi si fanno sentire. E don Amorth è appena convalescente. «Da un improvviso crollo», dice lui. «Un qualcosa di inspiegabile», rivela confidenzialmente l´amico don Francesco che, a 90 anni, don Gabriele considera come «il bastone della mia vecchiaia». Sebbene sia in pigiama, attorniato dalle medicine sul tavolo, da immagini della Madonna, da una copia di Avvenire che accenna al suo nuovo libro da poco in libreria ("Memorie di un esorcista", intervista di Marco Tosatti, edito da Piemme), lo sfidante di Satana mostra un piglio energico. Osserva la propria foto in copertina ed esclama: «Che faccia da bulldozer. Invece, quando sono tranquillo, i tratti del mio volto si distendono e divento un altro. Forza, parliamo, che di là ho dei casi che mi aspettano».
Padre Amorth, com´è il diavolo? «È puro spirito, invisibile. Ma si manifesta con bestemmie e dolori nelle persone di cui si impossessa. Può restare nascosto. O parlare lingue diverse. Trasformarsi. Oppure fare il simpatico. A volte mi prende in giro. Io però sono un uomo felice del mio lavoro, una nomina inaspettata giunta 25 anni fa dal cardinale Poletti. E né gli indemoniati, che a volte sei o sette dei miei assistenti devono tener fermi, né i chiodi o i vetri che escono dalla bocca dei posseduti, e conservo in questo sacchetto, mi spaventano. So che è il Signore a servirsi di me».
Il Maligno può manifestarsi con violenza. Nella stanza prescelta - padre Amorth ha girato 23 sedi diverse, cacciato ovunque perché i confratelli erano stufi di sentire urla fino a tarda sera, finché non ha trovato stabile dimora nel quartier generale delle edizioni San Paolo - c´è un lettino con le corde per legare l´indemoniato. E una poltrona per le persone che non urlano, e stanno tranquillamente sedute durante le preghiere di esorcismo. «Dalla bocca può uscire di tutto - racconta - pezzi di ferro lunghi come un dito, ma anche petali di rosa. Certi posseduti hanno una forza tale che nemmeno sei uomini riescono a trattenerli. Così vengono legati. Mi aiutano i miei assistenti laici, che pregano con me. Quando gli ossessi sbavano, e allora bisogna pulire, lo faccio anch´io. Vedere la gente vomitare non mi dà nessun fastidio».
Sulla pratica dell´esorcismo, dentro la Chiesa, esistono opinioni diverse. Diffidenze. Resistenze. Dubbi. «Ma il Papa ci crede - ribadisce padre Amorth - tanto è vero che in un discorso pubblico ha incoraggiato e lodato il nostro lavoro. Gli ho scritto, e mi ha promesso che chiederà alla Congregazione per il Culto divino un documento per raccomandare che i vescovi abbiano almeno un esorcista in ogni diocesi, come minimo. Ho avuto modo di parlargli più volte anche quando era prefetto alla Congregazione per la Dottrina della fede, ci ricevette proprio come Associazione degli esorcisti. E non scordiamo che, sia del diavolo sia delle pratiche per allontanarlo, parlò moltissimo lo stesso Wojtyla». Alcuni, addirittura, ricordano ancora la dichiarazione fatta nel 1972 da Papa Montini, quando Paolo VI parlò del "fumo di Satana", cioè delle sètte sataniche, entrato nelle Sacre stanze. Una frase che creò un caso, seguito da un nuovo discorso papale tutto incentrato sul demonio.
Ma il Maligno può colpire anche il Pontefice? «Ci ha già provato. Lo fece nel 1981, con l´attentato a Giovanni Paolo II, lavorando su coloro che armarono la mano di Ali Agca. E anche adesso, la notte di Natale, con quell´ultima matta che ha buttato per terra Benedetto XVI. In fondo, è quel che accadde a Gesù attraverso Giuda, Ponzio Pilato, il Sinedrio».
Don Amorth si fa serio. Riflette in silenzio per qualche secondo, alza la testa e dice gravemente: «Altroché. Altroché se il demonio alberga nella Santa Sede. C´è un volume, "Via col vento in Vaticano" (Kaos edizioni, ndr), che parla appunto delle lotte di potere in Curia e del "fumo di Satana". Bene, il 99 per cento di quel che è scritto lì è vero. I vescovi non parlano per timore di critiche di altri vescovi. E sì che su questo tema le Sacre scritture sono le più salate, perché i comandi di Gesù appaiono molto chiari: "Andate, predicate il Vangelo, cacciate i demoni". Secondo me, quando un vescovo non nomina l´esorcista commette un peccato mortale».
Tante le figure di santi che, senza esserne investiti, erano noti come liberatori dal demonio. San Benedetto, che era un monaco. Santa Caterina da Siena, di cui si narrano effetti portentosi. Padre Pio, che secondo i fedeli liberava dall´influenza del maligno. Pure Don Bosco occasionalmente si prestava. «Io lavoro sette giorni su sette, Natale e Pasqua compresi - dice don Gabriele - e non posso materialmente correre ovunque mi chiamano. Perciò spiego a tutti che anche i laici possono operare esorcismi con successo. È scritto in Marco, XVI, 17: "Coloro che credono in me cacceranno i demoni". Ci sono formule ufficiali. Si può dire: "Satana, vattene". Ma c´è anche molta libertà, con preghiere semplici: il Padre Nostro - che contiene già in sé un esorcismo: "e liberaci dal Male" - l´Ave Maria, il Salve Regina, il Credo. Poi raccomando le orazioni quotidiane, la messa, il rosario, la confessione, la comunione, il digiuno».
Un tema, quello della figura antitetica al Messia, che per altri aspetti muove fior di scienziati. L´altro ieri a Roma, nei locali della Sapienza prima e in quelli dell´Università Roma Tre più tardi, si è svolto un convegno dal titolo "L´ultimo nemico di Dio". Cioè l´Anticristo, il personaggio che incarna l´avversario della divinità, presente nell´immaginario giudaico e cristiano relativo agli ultimi tempi del mondo. Approccio scientifico, impronta storica, studiosi di calibro internazionale: Enrico Norelli, Jean-Daniel Kaestli, Marco Rizzi, Gian Luca Potestà, Alberto D´Anna.
«Il ruolo della figura dell´Anticristo - spiegava al pubblico la docente Emanuela Valeriani, una dei coordinatori dell´evento - a prescindere dalle diverse posizioni assunte dagli studiosi, è senza dubbio un tassello tematico fondamentale all´interno del grande mosaico degli studi relativi all´identità cristiana. L´attenzione alla strana e, diciamo pure, spettacolare fisionomia dell´Anticristo è un tema ben rappresentato nelle apocalissi cristiane di epoca più tarda, contribuendo all´elaborazione anche leggendaria di questa figura escatologica. La prima testimonianza si trova in un´opera del III secolo, "Il Testamento siriaco del nostro Signore Gesù Cristo". Ma se, in linea generale, il terribile aspetto dell´Anticristo si può ricondurre alla tradizione precedente al cristianesimo, che identifica l´avversario escatologico con esseri mostruosi, nel caso specifico del nostro testo, esso assume una rilevanza teologica derivante dal confronto con la visione di Dio. Se prendiamo la sezione degli "Acta Iohannis", un testo scritto probabilmente nel secondo secolo, vediamo che lì si afferma che Gesù può essere visto sotto diverse forme (bambino, giovane adulto, vecchio) e apparire contemporaneamente anche a più testimoni».
Nella sua stanza al terzo piano della sede paolina, padre Amorth si prepara ad affrontare il Nemico nell´ennesimo caso difficile. Ma il diavolo chi sceglie di colpire? «Non lo sappiamo - risponde - eppure al 90 per cento le vessazioni diaboliche sono conseguenze di malefici, cioè sono causate da persone che per vendetta o per rabbia si rivolgono a maghi e occultisti legati a Satana i quali, pagati profumatamente, si attivano per far intervenire il maligno. È dunque la cattiveria degli uomini a chiamare il Male. Un´ultima cosa: il diavolo non è così diffuso. Quando c´è, è doloroso. E noi interveniamo. Ma il compito principale dell´Esorcista è uno solo: liberare l´uomo, soprattutto dalla paura del demonio».

Repubblica 10.3.10
Il Papa e il diavolo
I cristiani e il potere del male
di Giancarlo Zizola

Negli ultimi anni la dottrina cattolica sull´esistenza del diavolo è stata messa in dubbio da più di un teologo. Urs Von Balthazar diceva di credere nell´Inferno ma anche che lo riteneva vuoto. E Borges azzardava che forse i teologi, che avevano esagerato i vantaggi del Paradiso non essendoci mai stati, non avrebbero potuto giurare che i reprobi all´Inferno fossero sempre infelici: come immaginare che una fabbrica così sadica, vendicativa e inarrestabile di tortura dei dannati, una Auschwitz eterna possa essere compatibile con l´idea cristiana di un Dio misericordioso? Il minimo che si esigeva dalla teologia era di rimodellare l´idea della Geenna, destinata ai malvagi.
Soprattutto tenendo in maggiore considerazione il ruolo di salvezza assegnato alla figura di Gesù: i Vangeli raccontano le sue lotte contro i demoni, ma anche le loro disfatte e le guarigioni operate sugli indemoniati. Il Credo cristiano dice che dopo morto egli scese tre giorni agli Inferi con altrettanta potenza liberatoria ma una lettura pigra di quell´evento sembra trattenerlo agli Inferi per molto più tempo.
La maggior parte dei biblisti pensa che non sia possibile, o comunque sia piuttosto rischioso, negare l´esistenza di spiriti maligni. Molti temono che una cerimonia troppo disinvolta di addio al diavolo potrebbe far parte della sua tattica. Citano Baudelaire: "L´astuzia più raffinata del diavolo è di persuadervi che non esiste". Il licenziamento teologico del diavolo produrrebbe l´insignificanza del male nei contemporanei ma questa censura non sembra abbia l´effetto di porre fine al suo evidente successo. Nel 1972 Paolo VI è il primo a lamentare che il "fumo di Satana" si sia infiltrato da qualche fessura anche «nel tempio di Dio». Si rompe l´incantesimo post-conciliare su un approccio indiscriminato della Chiesa al mondo moderno. Il Papa reagisce a una interpretazione del dialogo con la cultura dei Lumi che potrebbe risolversi in una liquidazione delle soglie critiche della coscienza cristiana di fronte al mondo e dunque in una omologazione della Chiesa ai "poteri del male". Sulla stessa linea Wojtyla lancia dal Monte Gargano, mitico luogo di lotte anti-demoniache, la sfida ai cattolici a sguainare di nuovo la spada di San Michele Arcangelo «contro il dragone, il capo dei demoni, vivo e operante nel mondo». I suoi segni non sono più le corna, il piede caprino, l´odore dantesco di zolfo ma «consumismo, sfruttamento disordinato delle risorse naturali, voglia sfrenata di divertimento, individualismo esasperato». Negli stessi anni il cardinale Ratzinger ricorda «a certi teologi superficiali» che il diavolo è per la fede cristiana «una presenza misteriosa ma reale, personale, non simbolica, una realtà potente, una malefica libertà sovrumana opposta a quella di Dio». Rivendica al cristianesimo di avere introdotto in Occidente «la libertà dalla paura dei demoni» ma teme che «se questa luce redentrice di Cristo dovesse spegnersi il mondo con tutta la sua tecnologia ricadrebbe nel terrore e nella disperazione». Segnali di ritorno di forze oscure, secondo il futuro Papa, sono i culti satanici in aumento nel mondo secolarizzato, l´espansione del mercato della pornografia e della droga, «la freddezza perversa con cui si corrompe l´uomo, l´infernale cultura che persuade la gente che il solo scopo della vita siano il piacere e l´interesse privato».
Sono i primi tentativi della dottrina cattolica per far uscire la descrizione del diavolo da un linguaggio tradizionale ormai incomprensibile dalla stragrande maggioranza dei contemporanei. Il diavolo esiste ma assume le nuove forme delle ingiustizie e delle alienazioni. Il suo teatro non è solo il cuore umano ma anche la struttura sociale. Un teologo come Bernard Haring raccomandava molta cautela considerando il modo fantasioso con cui era stata riprodotta la dottrina sul diavolo: «Oggi lo psichiatra si mostra competente nella maggior parte dei casi nei quali si usava far intervenire l´esorcista - dice -. La Scrittura non conosce quel tipo di discorso alienante sul diavolo che è stato coltivato nei secoli dai cristiani delle diverse Chiese sotto l´influsso di culture in cui si realizzava una spaventosa alienazione». E Karl Barth rispondeva a chi chiedeva se dubitasse del diavolo: «Esiste pure quella bestia. Ma quando interviene la fede in Cristo mette la coda tra le gambe e non si fa più vedere».

Repubblica 10.3.10
Laicità
Essere padroni della nostra esistenza
di Stefano Rodotà

L´anticipazione/ La lezione di Rodotà sul rapporto tra i poteri della Chiesa e dello Stato, la persona e il governo della vita
Scienza e tecnologia aprono nuovi spazi ma avviano processi che riducono la libertà di scelta
La lunga e faticosa battaglia combattuta nella storia per affermare l´autodeterminazione

Pubblichiamo parte della lezione su "Laicità e governo sulla vita" che terrà oggi all´Università di Torino dove riceverà il premio "Laico dell´anno"
Laicità rinvia ad autonomia, e questa si declina come autodeterminazione. Sì che, parlando di laicità, non possiamo più ritenere che l´orizzonte sia individuato soltanto dal rapporto tra due poteri, lo Stato e la Chiesa, «ciascuno nel loro ordine, indipendenti e sovrani», o dallo stesso confronto tra secolarizzazione e religiosità. È avvenuta una più complessa distribuzione dei poteri, che individua la persona come protagonista istituzionale. La laicità, oltre che come principio di organizzazione istituzionale e sociale, si manifesta così anche come principio di governo della vita, che inquieta a tal punto da suscitare la tentazione di mimare un incipit famoso, e annotare che «uno spettro s´aggira per l´Italia – lo spettro dell´autodeterminazione».
«La circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all´autodeterminazione e quello alla salute». Queste parole della Corte costituzionale individuano una distribuzione di poteri, la cui portata può essere colta attraverso due rapidi esercizi di riflessione storica. Partiamo dal 1215, dalla Magna Charta e dal suo habeas corpus, con la promessa del re a ogni "uomo libero": «non metteremo né faremo mettere la mano su di lui, se non in virtù di un giudizio legale dei suoi pari e secondo la legge del paese». Siamo di fronte all´abbandono di una prerogativa regia, a un autolimitazione, a un atto che laicizza il potere del re, che non riposa più sulla sovranità/sacralità, ma si cala nel mondo, si presenta come l´esito di una negoziazione complessa, che porterà poi alla "autolimitazione" dello Stato sovrano come atto di fondazione dei diritti pubblici subiettivi.
Sette secoli dopo, nel 1947, l´Assemblea costituente approva l´articolo 32 della Costituzione, che riconosce la salute come diritto fondamentale e prevede che i trattamenti obbligatori possano essere imposti solo per legge. Ma si aggiunge: «la legge non può in nessun caso violare il limite imposto dal rispetto della persona umana». È una delle dichiarazioni più forti della nostra Costituzione, pone al legislatore un limite invalicabile. Quando si giunge al nucleo duro dell´esistenza, siamo di fronte all´indecidibile. Nessuna volontà esterna, fosse pure espressa da tutti i cittadini o da un Parlamento unanime, può prendere il posto di quella dell´interessato. Siamo di fronte ad una sorta di nuova dichiarazione di habeas corpus. Il sovrano democratico, una assemblea costituente, rinnova a tutti i cittadini la promessa di intoccabilità: «non metteremo la mano su di voi», neppure con una legge. La rottura è netta. Non vi è più una autolimitazione, ma un vero trasferimento di potere, anzi di sovranità. Sovrana nel decidere della propria salute, e dunque della propria vita, diviene la persona.
Passiamo al secondo esercizio storico, al quarto secolo prima di Cristo quando Ippocrate formula il giuramento che accompagnerà la professione medica. «Sceglierò il regime per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, e mi asterrò dal recar danno e offesa». Di nuovo una autolimitazione del potere, di cui scopriremo la radicale inadeguatezza ventitre secoli dopo, nel 1946, quando a Norimberga vengono processati i medici nazisti. L´abuso del potere medico attraverso la sperimentazione sugli esseri umani provoca una reazione, affidata al Codice di Norimberga, che si apre con le parole «il consenso volontario del soggetto umano è assolutamente necessario». Dall´autolimitazione del potere del medico, definita unilateralmente dal giuramento, si passa ad un integrale trasferimento del potere alla persona che, sottratta a quel potere, rinasce come "soggetto morale".
L´autodeterminazione si identifica così con il progetto di vita della persona. Qui vita è davvero quella di cui ci parla Montaigne, «un movimento ineguale, irregolare, multiforme», governato da un esercizio ininterrotto di sovranità che permette quella libera costruzione della personalità iscritta in testa alla nostra e ad altre costituzioni. E sovranità e proprietà sono parole che, non da oggi, accompagnano la definizione del nostro rapporto con il corpo, dunque con la vita tutta intera. Respinto sullo sfondo il riferimento alla proprietà, si creava la condizione propizia all´incontro con la sovranità. Certo tra "sovrani" sono sempre possibili tensioni o conflitti. Ma, proprio per evitare che la vita divenga un campo di battaglia, vengono definiti confini che potere politico e medico non possono varcare, escludendo che lo Stato abbia giurisdizione sulla vita, possa considerare il corpo come un luogo pubblico, che è cosa diversa da limiti coerenti con la natura dell´autodeterminazione.
Ma le controversie rimangono. L´iconografia tradizionale e gli antichi scritti sono fitti di descrizioni nelle quali figure diverse si contendono corpo e vita di una persona. La virtù e il diavolo, il sacerdote e il principe, il medico e il soldato, le donne tentatrici e i mercanti avidi sono tutti lì intorno ad una spoglia, privata di libertà e autonomia. Un grumo di quelle rappresentazioni è ancora presente. Il pane e le bottiglie d´acqua sul sagrato d´una chiesa o davanti ad una clinica, le scritte che rivendicano la proprietà d´un corpo e d´una vita, la presentazione del diritto come un´arma che uccide ripropongono con deliberata violenza la negazione dell´autodeterminazione. E il Presidente del consiglio manda una lettera alle suore che avevano ospitato Eluana Englaro, addolorato «per non aver potuto evitare la sua morte». Non è il rammarico di un Re Taumaturgo al quale è stato impedito di imporre le sue mani per una guarigione altrimenti impossibile. È la rivendicazione di un potere sulla vita, di cui il politico vuole tornare a essere l´unico depositario.
Intorno a noi è tutto un cercar di chiudere i varchi aperti perché l´autodeterminazione potesse essere esercitata. In un´ansia di rivincita, l´alleanza tra libertà e tecnologie viene rovesciata. Le tecniche contraccettive avevano reso possibile una sessualità liberata e una maternità consapevole. Ma le tecnologie della riproduzione o la pillola Ru 486 diventano l´occasione per riprendere il controllo del corpo delle donne. Le tecnologie della sopravvivenza vengono trasformate nell´obbligo di sopravvivere attraverso manipolazioni sconosciute alle leggi di altri paesi. Si dovrà rinunciare ai loro benefici per il timore di divenirne, poi, prigionieri?
Via via che si entra nel mondo nuovo della scienza e della tecnologia l´autodeterminazione guadagna nuovi spazi e, proprio per questo, richiede un ambiente pienamente laicizzato, dove tutte le opportunità possano essere valutate senza pregiudizi. Ma scienza e tecnologia avviano anche processi di riduzione drammatica della libertà di scelta che possono essere contrastati solo esaltando al massimo le potenzialità dell´autodeterminazione. Segnalo quella che chiamerei la consegna della persona alla società dell´algoritmo. Scopriamo sempre più spesso un mondo governato dall´algoritmo, quello di Google o quello al quale la finanza aveva affidato le scelte di investimento. E scorgiamo pure una costruzione dell´identità sempre più sottratta alla consapevolezza degli interessati, affidata invece a processi variamente automatici.
Tornando alle parole iniziali, e senza la pretesa di chiudere un cerchio, la laicità si rivela un presidio contro la pretesa di qualsiasi potere di impadronirsi della vita, fino alla sua totale spersonalizzazione. Non dirò che la laicità sia il più umano dei principi, ma pure ad esso è affidata la nostra problematica umanità.

l’Unità 10.3.10
I democratici si mobilitano in tutto il Paese a difesa dell’istruzione con i loro leader
Iniziative da domani Venerdì lo sciopero generale promosso dalla Cgil
Pd: il governo cancella la scuola pubblica
di G. V.

I democratici con i suoi leader, Bersani in testa, a difesa della scuola pubblica. Iniziative in mille piazze da domani. Venerdì ci sarà lo sciopero generale della scuola promosso dalla Cgil.

Incontri pubblici in diverse città italiane, un appello che sta raccogliendo le firme del mondo della cultura e dello spettacolo, una gomma da cancellare da distribuire davanti alle scuole per dire che «il governo cancella la scuola pubblica, il Pd sta con gli studenti e gli insegnanti». È la campagna che i democratici
lanciano a partire dalla giornata clou di domani. L’appuntamento principale è a Reggio Emilia, città simbolo della «buona scuola», con il segretario Pier Luigi Bersani. contemporaneamente, tra gli altri, Dario Franceschini sarà a Roma, Massimo D’Alema a Potenza, Anna Finocchiaro a San Giovanni in Persiceto (in provincia di Bologna).
Visto che le «durissime battaglie» combattute dai parlamentari del Pd non bastano, «abbiamo deciso di cambiare strategiaspiega Francesca Puglisi, responsabile nazionale scuola del partito, in conferenza stampa a Bolognapartiamo dal basso e andiamo ad incontrare il mondo della scuola». Nelle «1.000 piazze per la scuola», quindi, i militanti del Pd «denunceranno le gravi condizioni in cui la scuola pubblica è ridotta spiega Puglisi
Una gomma
Sarà distribuita dal Pd: il simbolo in negativo di quel che fa Gelmini
e il caos che regna sovrano a causa del riordino degli indirizzi nelle superiori», con tanto di «scippo di competenze alle regioni da parte del governo».
Oltre il Pd artefici delle proteste di piazza che si concentreranno davanti al ministero dell’Istruzione e toccheranno l’apice venerdì 12 con lo sciopero generale saranno associazioni, movimenti, partiti politici, sindacati, studenti e genitori.
Stamattina in piazza, dalle 8,30 alle ore 14,00 davanti al Miur, saranno due associazioni di settore Conitp e Adesso scuola per chiedere alle Regioni (a cui la riforma delle superiori affida un ruolo decisivo nello sviluppo dell’offerta formativa degli istituti professionali) di ampliare gli organici attraverso l’aggiunta di più ore di laboratorio

Repubblica 10.3.10
Stalin
Segretarie costrette ad assecondare le voglie dei funzionari, uffici pubblici usati per accogliere le prostitute Nelle carte segrete, le scorribande dei burocrati del regime. Che costrinsero il capo del Pcus a intervenire
"Niente sesso, siamo comunisti" la crociata moralista del dittatore
Nel 1935 decise di frenare "l´ondata di libertinaggio che mina le basi del nostro sistema"
di Nicola Lombardozzi

MOSCA 1929, la capitale dell´Unione Sovietica brulica di fervore rivoluzionario. Stalin sempre più saldo al potere ha appena varato il primo piano quinquennale per la modernizzazione del paese. Il documentario "L´uomo con la cinepresa" di Dziga Vertov mostra i cittadini in presa diretta, indaffarati nel costruire il socialismo. Ma cosa fanno i funzionari del sindacato presso la Associazione edilizia, nella loro austera sede vicino al Cremlino? Ce lo raccontano loro stessi in vecchie carte riemerse da atti giudiziari dimenticati: «Siamo usciti alle due di notte dal ristorante Praga. Abbiamo preso delle puttane, abbiamo affittato un´auto e siamo andati in ufficio». Per stare comodi, visto le micragnose dimensioni degli appartamenti imposte anche ai funzionari di rango. Ma anche per poter compiere la missione di cui si erano auto insigniti in una sorta di statuto: «La nostra società si fonda sull´ubriacatura totale e sull´amore libero. Tutti i membri del nostro gruppo si prestano assistenza reciproca nello scambio delle donne».
Marachelle, rispetto a quello che le autorità giudiziarie scoprirono nel 1935 quando il regime decise di frenare «l´ondata di libertinaggio che mina le basi del sistema». Nei documenti ingialliti, scoperti la settimana scorsa nella procura di Mosca c´è un´inchiesta del giudice Vycinskyij su una organizzazione analoga spudoratamente chiamata Bljadokhod la cui traduzione più logica è "Puttanaggio". Il gruppo era formato da otto uomini di partito nella lontana cittadina di Uvat in Siberia diretti dall´agronomo capo Komarov. Quello che sconcerta il giudice di allora è la perfetta assimilazione da parte della banda del linguaggio e della programmazione sovietica. Obiettivo di Bljadokhod era «il costringimento al rapporto sessuale del maggior numero possibile di donne». La cosa era organizzata con tanto di verbali, si stabiliva quante donne dovesse "usare" ciascun membro del gruppo, quante dovessero essere contagiate con malattie veneree. L´agronomo Komarov compilava anche i preventivi di spesa e ne pretendeva il rispetto. Quando furono tutti arrestati e condannati a dieci anni di carcere a Komarov toccò una condanna supplementare di 24 mesi per un reato ancora più infamante per un agronomo sovietico: «Ha trascurato di assistere i kolkhoz nella germinazione dei seminativi. Di conseguenza in molti kolkhoz la germogliazione ottenuta è stata inferiore alla percentuale prestabilita».
Morale e piano quinquennale andavano infatti a braccetto nella logica del Cremlino che 75 anni fa scatenò la campagna castigatrice intuendo che le furie sessuali degli uomini di partito bloccavano in qualche modo la macchina del potere. La svolta risale al 7 giugno del ‘35. Le indagini su un presunto complotto per assassinare Stalin rivelarono che il Cremlino è pieno di impiegati «ostili al governo sovietico». Tutta colpa, si decise, di Avel Enukidze segretario del Comitato Centrale. Comunista integerrimo aveva però reclutato il personale secondo criteri tutti personali. «Disponendo - dicono le carte di beni di lusso irraggiungibili dalle masse, si comprava donne di tutte le età che dopo un po´ venivano girate ai suoi amici». Vero o falso è difficile da accertare. Di certo quando il Comitato Centrale, quel 7 giugno, decise di espellere dal Partito Enukidze «per la sua condotta di vita». I giudici capirono che la questione morale era diventata prioritaria e riaprirono fascicoli lasciati marcire in archivio. Fu così che solo quindici giorni dopo il solerte giudice Vycinskij aveva già redatto un verbale contro Serghej Meshki già direttore dell´Intourist e poi di altri grandi consorzi di stato. Meshki è un vero recordman secondo i giudici di Stalin: almeno 300 le sue impiegate costrette a compiacerlo. Ad alcune raddoppiava le razioni alimentari o aumentava lo stipendio. A quelle che non cedevano tendeva imboscate in ufficio violentandole e sapendo bene di non rischiare alcuna denuncia.
Sesso e potere andavano tanto bene assieme che qualcuno si inventò un potere che non aveva come un tale Boris Gonkun che falsificando una tessera di partito del 1907 riuscì a farsi passare per anni come ex segretario di Lenin. Con questa magica etichetta si offriva di accudire piccole orfanelle pescate di volta in volta dagli istituti per l´infanzia. Il risultato è un elenco spaventoso di imprese pedofile con bambine di 10 e 14 anni. Ma l´ansia moralizzatrice di Stalin durò poco. I processi non erano pubblici ma la voce che le malefatte erotiche venissero finalmente punite si diffuse. I giudici furono sommersi di delazioni e ne fecero un uso massiccio. Poi arrivarono nomi veramente intoccabili e si cominciò ad insabbiare. Fino a quando un ordine non scritto dal Cremlino fece capire che era il caso di tornare ad occuparsi d´altro.

Repubblica 10.3.10
Pornografia alla sovietica
di Viktor Erofeev

Sembrerebbe strano: in superficie, l´Unione Sovietica era lo stato più antisessuale del mondo, e tuttavia il suo sottosuolo erotico si è rivelato oltremodo incandescente e ha generato un´orgia di fantasie perverse. I nuovi documenti relativi alla lotta contro il vizio fra la fine degli anni Venti e la metà degli anni Trenta, proprio il periodo in cui si formava il totalitarismo staliniano, mi convincono che la Russia è la più perfetta incarnazione del doppio pensiero descritto da Orwell. Appena il funzionario sovietico o l´attivista di partito acquistava l´impunità del potere, la sua principale tentazione diventava il sesso, che non riusciva a dominare, e la sua vita si trasformava in un calderone sessuale dove cuocevano segretarie, giovani iscritte alla Gioventù comunista, attrici, mogli altrui e minorenni.
Il grande amoralismo dell´Unione Sovietica era generato dal vuoto: l´effettiva, storica assenza di saldi valori morali, una mentalità che considerava la donna come un semplice oggetto sessuale. Stalin sapeva che il sesso impediva di costruire il comunismo, e in sua presenza erano vietate anche le poesie più innocenti che cantavano l´amore, ma gli uomini terrorizzati, che non conoscevano altri piaceri, trasformarono il sesso (insieme all´ubriachezza) in un mezzo di autoaffermazione segreta e di protesta inconscia contro le condizioni d´esistenza sovietiche.
Ma la dissolutezza sovietica non nasceva dal nulla. La dissolutezza è una costante della storia russa.
La Santa Russia non è mai stato un paese puritano. I viaggiatori stranieri del Medio Evo descrivevano con stupore le selvagge scene di dissolutezza a cui avevano assistito nelle bettole moscovite, dove, dopo aver bevuto vodka senza mangiare nulla, uomini e donne si accoppiavano direttamente sul pavimento, sotto gli occhi di tutti. Le radici di queste orge sono nell´antico paganesimo russo, religione edonistica con rituali sessuali; paganesimo che ha resistito alla guerra secolare mossagli dalla Chiesa Ortodossa e ha conservato la sua influenza fino ai nostri giorni.
In Russia non c´è mai stata una filosofia del lavoro. Tutti gli sforzi per creare qualcosa finivano in catastrofi: incendi, fame, guerre. L´orgia russa è il grido disperato dell´ozio forzato.
L´Urss non cominciò solo con la propaganda del comunismo, ma anche con il libero amore. La teoria di Aleksandra Kollontaj, secondo la quale fare sesso era semplice come bere un bicchier d´acqua, diventò una bandiera della gioventù degli anni Venti, quando i matrimoni e i divorzi divennero una vuota formalità. Fra gli studenti universitari Freud era non meno popolare di Marx. Tutta la prima letteratura sovietica, Pil´njak, Zamjatin, Sholokhov, testimoniava del fatto che il paese respirava un´atmosfera satura di sesso ed era afflitto dalle malattie veneree. Stalin vietò la prostituzione - tutte quelle sorelline minori della Sonja Marmeladova di Dostoevskij - e propose di creare il tipo unisex dell´uomo sovietico. Ma la natura umana si rivelò più forte di Stalin. Il risultato fu una caricatura: la parte alta sovietica, la parte bassa uscita dalle fantasie del marchese De Sade. E ancora oggi siamo fondamentalmente delle persone amorali.
(traduzione di Emanuela Guercetti)

martedì 9 marzo 2010

l’Unità 9.3.10
Bonino: resta la nostra sfida
Ma il ritiro si allontana
La candidata radicale soddisfatta ma cauta sulla decisione del Tar: «Aspetto le motivazioni»
Pannella: «Non parlate di Aventino, semmai troveremo una forza equivalente di protesta»
di Natalia Lombardo

Emma Bonino prende atto della scelta del Tar, «i giudici vadano avanti e decidano». Pannella esclude il ritiro della candidata, oggi l’assemblea radicale deciderà le forme di protesta: anche chiedere il rinvio del voto.

Oggi il compleanno. Emma scherza sui 62 anni: ci vorrebbe un decreto per averne 26...
Assemblea radicale. Oggi la decisione sul da farsi dopo il «salva-liste» Sabato in piazza col Pd

Non si avventura in considerazioni «imprudenti», Emma Bonino, appena è arrivata la notizia sul no del Tar alla lista romana del Pdl: «Prendo atto di questa decisione. Sarà utile vedere le motivazioni che sono lunghe, a quanto mi dicono, e che saranno rese pubbliche domani. I giudici vadano avanti, chi deve decidere decida». Sono le otto di sera, ma già da un paio d’ore nel quartier generale radicale le dichiarazioni del ministro Maroni fanno capire che la situazione si può ribaltare, fino all’ipotesi di un rinvio delle elezioni. Marco Pannella è cauto, alle sei, nell’anticipare le prossime mosse. E dall’assemblea nazionale dei radicali, convocata oggi a Roma per inventare iniziative in difesa della legalità, potrebbe uscire anche la proposta di un rinvio delle elezioni.
«L’ALTERNATIVA»
Suggerita da Bonino e Pannella (e ribadita anche in risposta a Napolitano) per uscire dal «caos liste» in maniera «pulita» senza che i risultati possano venire messi in discussione, dopo il voto, da ricorsi e controricorsi. Per fare questa proposta giovedì i due leader radicali chiesero un incontro a Berlusconi, senza ottenere risposta.
Da Civitavecchia, Emma Bonino, che oggi compie 62 anni, spiega che «la nostra è una sfida di metodo: trasparenza, legalità e stato di diritto. Le leggi ci sono e sono fatte per essere rispettate soprattutto dai potenti. Girare pagina è una necessità per il Paese, ma è anche la cosa più difficile da fare».
Prima dell’ultimora dal Tar era ancora in ballo il possibile ritiro di Emma Bonino dalla corsa nel Lazio. Lei stessa però sembrava escluderlo: «Non sono una che getta la spugna e credo che l’intero Paese si debba interrogare su come battere meglio questa arroganza». Il decreto salva-liste. «Ritirarsi? Non significa nulla di per sé un ritiro, e comunque non sarebbe mai un Aventino», spiegava alle sei Marco Pannella a l’Unità, «da sessant’anni non siamo abituati a compiere scelte perdenti, semmai troveremo una forma equivalente di protesta, ma vincente». I radicali saranno in piazza con il Pd e le opposizioni sabato prossimo, ma oggi, dalle 10 alle 19 al Teatro di piazza Santa Chiara, «ci spremeremo le meningi per farci venire un’idea» sul da farsi da qui a sabato, «perché non possiamo fare campagna elettorale nei mercatini come se niente fosse», spiegano dallo staff Bonino. L’obiettivo è recuperare quel 20 per cento di astensionisti nel Lazio, sfiduciati o indecisi, se non convertire il malumore nel centrodestra per il caos liste.
Dal dibattito non stop, in stile pannelliano, dovrebbe uscire l’idea con la quale coinvolgere tutto il centrosinistra: iniziative diffuse per denunciare lo stato di illegalità del Paese anche in sedi internazionali. E non solo ricorsi alla Corte Europea, già previsti. Ci saranno tutti, Pannella vecchio leone, Emma Bonino, i dirigenti, i parlamentari e i candidati delle liste a doppio nome, militanti dall’estero. La convocazione, ieri, lasciava aperte tutte le possibilità,
compreso il ritiro di Emma per non «giocare con i bari». Significativa la citazione di Benedetto Croce: «Esistono momenti nella storia in cui è necessario che vi sia pur qualcuno per il quale Parigi non valga una messa».
I radicali «sono riusciti a far saltare il tappo» della mancanza di democrazia e legalità, spiega il segretario Mario Staderini, che ricorda le mosse eclatanti per «affermare il diritto individuale alla democrazia»: dai certificati elettorali bruciati nel 1972, alla campagna di protesta astensionista nel 1983, alla stella gialla indossata alle ultime europee.

l’Unità 9.3.10
Dalla A alla Zeta
Emma si racconta in un dizionario
La qualità che la unisce a Pannella è la cocciutaggine, dalla famiglia piemontese ha ereditato pudore e rigore. Due soli grandi amori e il rimpianto di costumi troppo rigidi
di Jolanda Bufalini

Un piccolo dizionario per descrivere Emma Bonino è in libreria, per Bompiani, a cura di Cristina Sivieri Tagliabue.

Aung San SuuKyi. Le donne tendono alla pace perché nessuno come loro conosce l’oppressione e il silenzio della libertà. Ogni volta che non arrivo a toccare un obiettivo, ogni volta che mis fugge un progetto o un sogno, penso alla lettera che mi scrisse la mia amica Aung San Suu Kyi. Finiva con questa frase: «Per favore, usate la vostra libertà per trovare la nostra libertà».
Bovary. Sono il contrario di Emma Bovary, ho avuto due amori fondamentali più qualche intrattenimento di poco conto. I primi rapporti sessuali li ho avuti molto tardi, in un’età che nemmeno confesso.
Burqa. Secondo me non c’è bisogno di specificare. Basta fare una legge che dica: non si possono usare copricapo che rendono impossibile l’identificazione in luoghi pubblici. Il problema religioso non c’è. Lo Stato fa le leggi, poi si può aprire il dibattito sul dialogo religioso, sulle umiliazioni che le donne devono subire. Sui costumi che cambiano: mia nonna non usciva mai senza il fazzoletto nero in testa.
Cittadinanza. Credo che in questo paese ci sia un problema culturale gigantesco, in pochi decenni siamo passati da cittadini a popolo, da popolo a audience e da audience a plebe: non è una fotografia brillante.
Cocciutaggine. La cocciutaggine contraddistingue me e Marco Pannella. Sì, la cocciutaggine è una qualità
Donne. Il ricorso all’aborto clandestino provoca una ferita nella salute delle donne, oltre che all’anima: nei paesi dove l’aborto non è regolamentato per legge rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica.
Famiglia. Per me è stata essenziale anche se il rapporto con i miei genitori è stato a fasi alterne. La prima è stata quella dell’ansia, poi si è passati all’accettazione, fino ad arrivare all’orgoglio.
GianBurrasca alla Camera.
Sandro Pertini mi definiva così. Monello. Mi voleva bene.
Illegalità. Queste elezioni sono illegali. Nelle regioni dove gli altri partiti sono già in Consiglio regionale noi dobbiamo raccogliere 160mila firme. Ma gli autenticatori sono esponenti di altre forze politiche che, quando siamo siamo irritanti o pericolosi, non firmano.
Kabul. Vedete questa foto? Ero a Kabul prima che mi arrestassero i talebani. Poi mi hanno rilasciato. Vede? Non mi si prende nessuno.
LA PRIMA VOLTA. Nel senso di rapporto sessuale a 24 anni: tardi. Ma era una questione di tabù. Rimpiango molto, però, di non averlo fatto prima.
N come nucleare. Io non sono per il nucleare ma per la ricerca sul nucleare. Il treno nucleare è passato più di venti anni fa.Cercare di riagganciarlo ora rischia di essere velleitario, antieconomico, sostanzialmente inutile.
Z come zero. HO incontrato Giovanni Paolo II una sola volta, in occasione della campagna sulla fame nel mondo. Ma legami con l’establishment della Chiesa, zero.

Repubblica 9.3.10
La candidata del centrosinistra: "Oggi festeggio i miei 62 anni, ma con un decreto potrebbero darmene 26"
Bonino: "Una boccata di legalità i giudici hanno fatto il loro mestiere"
"Io non sono per l’Aventino”. Ma i Radicali insistono per il rinvio delle elezioni
di Giovanna Casadio

ROMA - «Una boccata di legalità. I giudici hanno fatto il loro mestiere». Cauta, più che prudente Emma Bonino. Non vuole entrare nel merito perché, dice, manca la motivazione completa con cui il Tar ha respinto il ricorso del Pdl, la cui lista per ora nel Lazio resta fuori. Renata Polverini correrà alla guida della Regione con altre liste del centrodestra.
«Ho cercato di capire. Appare chiaro che si tratta intanto di una decisione cautelare, ma bisogna capire bene», commenta Bonino che ha appena concluso una manifestazione elettorale a Civitavecchia. È la giornata della donna: «Non la festeggio, ma festeggio il mio compleanno». Ironizza sull´età (la sua) e i decreti interpretativi («Una scelta da bari», l´aveva definita). «Per diventare presidente della Repubblica in Italia bisogna avere 80 anni. Io ne ho 62, però si potrebbe fare un decreto interpretativo e assegnarmene 26... al Tar ci vado dopo, prima mi faccio il decreto e poi vado al Tar...». Sono le 14. Solo sei ore dopo, il Tribunale amministrativo blocca la strada tentata dal Pdl per rimettersi in gara. «Calma, lasciamo lavorare i magistrati e chi deve decidere decida». Non canta quindi vittoria? Non si esalta Bonino per lo stop? «No, non mi cimento in valutazioni perché non sappiamo ancora bene quale è il legame tra la decisione del Tar e il decreto del governo già operativo». C´è poi il ricorso annunciato dal Pdl: non si può insomma sapere - secondo la leader radicale - a cosa esattamente si va incontro in questo delirio di forzature. Non si può escludere che a un certo punto le elezioni del Lazio siano invalidate.
I Radicali ieri sera sono riuniti con Marco Pannella per preparare l´assemblea di oggi. Assemblea confermata. «Decideremo sull´impatto che questa decisione del Tar ha sulla campagna elettorale. Io non ho cambiato opinione». Sul decreto e sulla firma del presidente Napolitano: «Credo che non si debba tirare in ballo il Quirinale. Il presidente della Repubblica non aveva alternative a firmare, però io non avrei firmato. Mi sarei aspettata una sua parola nelle settimane precedenti quando siamo stati noi a sollevare dei problemi. Ci sono elettori che non potranno votare come vorrebbero in tutta Italia. Nella lettera che il presidente ha scritto si legge che non è stata fatta un´altra proposta. In realtà, la nostra c´era: chiedevamo di azzerare tutto».
E il rinvio delle elezioni resta sempre la proposta più sponsorizzata dai Radicali. Marco Pannella l´ha già detto e dovrebbe ribadirlo nell´assemblea di oggi. Se a bocce ferme, l´ipotesi del ritiro della Bonino dalla gara è improbabile («Non sono per l´Aventino», ha spiegato lei), tuttavia il Pr non è disposto a continuare in una campagna elettorale "ordinaria" dopo le violazioni del decreto salva-liste e «lo stato di illegalità del paese». Stamani la proposta sul tavolo sarà proprio quella di dare un taglio netto al rosario di ricorsi e controricorsi, di pezze peggiori della toppa.

il Fatto 9.3.10
Quell’ora al Quirinale che ha cambiato il corso del decreto
Così B. minacciò Napolitano
“Se ti metti di traverso sei finito” avrebbe urlato Berlusconi Il nuovo squilibrio
di Alessandro Ferrucci

Isolato, avvilito. Provato. Ma quelle che potrebbero essere (solo) suggestioni di chi gli sta attorno da anni, lo se-
gue, gli strappa le rare confidenze, hanno una base solida: gli ultimi quattro giorni, per Giorgio Napolitano, sono stati i più duri da quando è stato eletto, il 10 maggio del 2006. Telefonate, colloqui, confronti, consigli. E ancora mediazioni, rotture, fratture e ricomposizioni. Toni alti, aspri, addirittura minacciosi da parte di Silvio Berlusconi verso il capo dello Stato (“Tra noi due, sono io quello eletto dal popolo. E se ti metti di traverso, vado avanti anche senza di te. Sei finito”, sarebbe stato lo sfogo del premier, giovedì sera, ancora non smentito). Così assumono un sapore differente anche le parole pronunciate ieri durante i festeggiamenti dell’ “8 marzo”, al Quirinale: “Al di là di ogni differenza di modi di pensare e di posizioni politiche, profonda è tra le italiane e gli italiani la condivisione del patrimonio di valori e principi che si racchiude nella Costituzione repubblicana, a coronamento di una lunga e travagliata esperienza storica”. Travagliata. Come a dire: è stata dura, è dura, ma sono io il garante della Costituzione, gli italiani si rispecchiano in essa, quindi io li rappresento. Anche se non sono stato eletto direttamente.
Eppure, da quando è stata apposta la firma sul decreto legge, venerdì sera, in molti non capiscono il ruolo e la strategia del presidente. Cosa è realmente accaduto nelle stanze del Quirinale? Partiamo da giovedì. Napolitano è ancora in visita a Bruxelles, un appuntamento politico nato male, visti gli inevitabili diktat diplomatici posti dal Colle per evitare un incontro tra lo stesso presidente e l’ambasciatore Siggia, al centro delle intercettazioni sull’elezione dell’ex senatore Di Girolamo. Sono le 17:40, manca poco alla partenza, direzione Roma. Dalla Capitale giungono voci di un accordo imminente con il Colle per un decreto legge; Berlusconi ha già fissato il Consiglio dei ministri per le 22 della sera stessa. L’arrivo del volo è previsto alle 20. Una mezz’ora di tempo dall’aeroporto al centro di Roma e al capo dello Stato resta giusto il tempo di salutare gli esponenti del governo, scambiare due convenevoli. E firmare, tutto, comunque. È l’idea di Berlusconi. Eppure Napolitano, prima di salire sulla scaletta dell’aereo, dichiara: “'Ancora non c’è nulla di definito, in alcun modo. Quando arriverò a Roma stasera, vedrò”. E a chi gli chiede se è possibile una soluzione politica, replica: “Se qualcuno mi spiega cos’è, e da parte di chi e su che cosa, la esaminerò”. Atterra, si attacca al cellulare, scambia due impressioni con gli uomini più fidati. Lo descrivono come nervoso, il trattamento da passa carte non lo apprezza. Salgono al Quirinale il presidente del Consiglio, l’immancabile Gianni Letta, Ignazio La Russa, Roberto Maroni e Roberto Calderoli. La discussione non è facile. Lo stesso Letta indossa un “guanto sem-
pre più spesso l'artiglio di ferro”, come ha scritto Eugenio Scalfari su Repubblica. Anche lui è deciso a ottenere il bottino, tutto e subito. Si frena solo quando vede Berlusconi alzare troppo i toni, minacciare, come hanno rivelato Bruno Vespa su il Mattino e Marzio Breda su il Corriere della Sera. Per quest’ultimo, Napolitano sarebbe andato vicino a cacciare i suoi “ospiti”. Ma niente firma.
Venerdì. Libero titola: “Ponzio Napolitano” e parla di Don Abbondio. Ponzio Pilato, secondo i vangeli, ordinò la crecifissione di Gesù. La Russa conferma il “siamo pronti a tutto”; il Giornale parla di “clima da guerra civile” e descrive Palazzo Grazioli come “una sorta di gabinetto, di guerra”. Il capo dello Stato ribadisce l’esigenza di rispettare le regole. Mentre gli uffici del Quirinale mantengono i contatti con Palazzo Chigi e con il Viminale, perstudiare i precedenti. Si inizia a parlare di “decreto interpretativo”. I toni si abbassano, scatta l’apnea. Berlusconi fa sapere al Colle di essere pronto a parlare agli italiani al Tg1 delle venti, in zona Minzolini, nel caso di una mancata firma. Non serve, i segnali di ritorno sono positivi. A un patto: nessuna dichiarazione. Napolitano dà l’ok. A Palazzo Grazioli si esulta, le opposizioni si dividono su come reagire. Sabato. Il giorno delle domande, in parte, ancora irrisolte. Delle prime manifestazioni, delle prime analisi sulla costituzionalità, delle dichiarazioni politiche e delle valutazioni sulla decisione del presidente. Si parla ancora delle minacce del giovedì, di un clima inedito per le stanze del Quirinale. Il presidente convoca i suoi e fa selezionare due delle lettere giunte sul sito istituzionale. A queste risponde. “Erano in gioco due interessi o ‘beni’ entrambi meritevoli di tutela: il rispetto delle norme e delle procedure previste dalla legge e il diritto dei cittadini di scegliere col voto tra programmi e schieramenti alternativi”. Per poi ammettere: “La vicenda è stata molto spinosa, fonte di gravi contrasti e divisioni, e ha messo in evidenza l’acuirsi non solo di tensioni politiche, ma di serie tensioni istituzionali. È bene che tutti se ne rendano conto”. Quindi concludere: “Un effettivo senso di responsabilità dovrebbe consigliare a tutti i soggetti politici e istituzionali di non rivolgersi al capo dello Stato con aspettative e pretese improprie, e a chi governa di rispettarne costantemente le funzioni e i poteri”. Rispetto dei ruoli. Ci tiene a ribadirlo. Garante della Costituzione, lo sottolinea ieri. Restano in piedi tanti punti interrogativi, a partire da tutto ciò che ha detto Berlusconi nella sera di giovedì.

il Fatto 9.3.10
Smontata la nostra Carta per favorire il premier. È stato costretto? Allora lo dica
Tabucchi: il Colle? Garante ad personam
di Carlo Tecce

Il decreto-golpe visto da Parigi.
Dallo scrittore Antonio Tabucchi, intervistato da “MicroMega”: “È un’altra legge vergogna. Un obbrobrio che Berlusconi s’è fatto fare. Da quando col becco strappa pezzi di carne al corpo martoriato della Costituzione. E Napolitano firma, stavolta nottetempo, mi viene in mente la ‘ronda di notte’. Sembra una catena di montaggio, o meglio, di smontaggio della Costituzione”. Tabucchi mette in fila i colpevoli dell’obbrobrio: c’è Silvio Berlusconi con i suoi ‘azzeccagarbugli’ eletti in Parlamento e c’è, senza perifrasi, il presidente della Repubblica. Già a dicembre, nella diatriba politica lanciata da Enrico Letta (‘difendersi dal processo e nel processo’), Tabucchi aveva chiamato in causa Napolitano: “Ha convocato una conferenza stampa per un invito alle istituzioni espresso in un italiano di limpidità cristallina comprensibile anche al cittadino analfabeta. Cito: ‘Basta al crescendo di tensioni fra giudici e politici. Il capo dello Stato chiede che la magistratura svolga rigorosamente le sue funzioni e rispetti i ruoli’ Il giorno dopo la frase è stata sottoposta a esegesi dai più accreditati interpreti dei testi, rigorosamente di opposte tendenze politiche, e ovviamente con opposte conclusioni”.
Questa volta, tra sentenze del Tar che pendono e contestazioni che bollono, l’autore di ‘Sostiene Pereira’ indica Napolitano: “In questo momento, per me, Napolitano non è garante della mia Costituzione, ma è garante di Berlusconi o degli interessi di un partito politico italiano. Siccome il referente principale di Berlusconi riposa in Tunisia, dove è deceduto fuggiasco dalle leggi italiane, e Berlusconi ha una nostalgia di Craxi, vedrei molto bene Berlusconi in Tunisia. Ma se Napolitano non capisce che deve difendere la Costituzione, con le sue forme e le sue sostanze, nessuno lo obbliga a stare al Quirinale: non è un obbligo, è un dovere. E questo dovere richiede molta, molta attenzione. Perché ormai in Italia la Costituzione è stata divorata”. E poi che ne sarà di noi: “Cosa lasciano Napolitano, Berlusconi e gli ultimi governi alle generazioni future? Ce lo diranno i giovani. Io mi chiedo: cos’è che induce persone di età molto avanzata a diventare presidente della Repubblica? Non è un paesino in cui si fa una vacanza quando si diventa presidenti. In questo recente passato più scuro (scandali, mafia, servizi deviati), ci sono cose sulle quali Napolitano non ci ha detto niente pur essendo ex ministro dell’Interno. Lo fa per il nostro bene, per le nostre coscienze? Ci potrebbe prendere un colpo”. Tabucchi chiude con un paragone storicamente ingombrante: “Napolitano poteva non firmare, bastava non volesse. A meno che non avesse una pistola alla tempia. Le leggi razziali nel ‘38 non le firmò Mussolini, ma Vittorio Emanuele III. Questa è una legge illegale perché vanifica la legge dell’88 che vieta decreti in materia elettorale e si beffa dell’articolo 72 della Costituzione. Come tutte le leggi di natura totalitaria, ha valore retroattivo e dunque condona, ma si proietta anche nel futuro: d’ora in poi ogni irregolarità sarà tollerata a discrezione di Berlusconi o della P2 o di non so chi”.

Repubblica 9.3.10
Parla Ciampi "È la prova che quel testo è incostituzionale"
Aberrante torsione del sistema
di Massimo Giannini

Il mio rimpianto di novantenne
"È il massacro delle istituzioni elezioni a rischio annullamento ora proteggiamo il Quirinale"
Il governo doveva chiedere scusa

La maggioranza ha fatto ciò che la Costituzione vieta: intervenire su una materia di competenza regionale. È un altro aberrante episodio di torsione del sistema democratico
A 20 anni ogni giorno eravamo convinti di fare un passo avanti. Oggi, alla soglia dei 90 anni, quanta amarezza: ogni giorno un passo indietro. Ma chi è più giovane non deve perdersi d´animo

ROMA - Benvenuti nella Repubblica del Male Minore. Cos´altro si può dire di un Paese che ormai, per assecondare i disegni plebiscitari di chi lo governa, è costretto ogni giorno ad un nuovo strappo delle regole della civiltà politica e giuridica, nella falsa e autoassolutoria convinzione di aver evitato un Male Maggiore? Carlo Azeglio Ciampi non trova altre formule: «La strage delle illusioni, il massacro delle istituzioni...».
Ancora una volta, l´ex presidente della Repubblica parla con profonda amarezza di quello che accade nel Palazzo. Dopo il Lodo Alfano, il processo breve, lo scudo fiscale, il legittimo impedimento, il decreto salva-liste è solo l´ultimo, «aberrante episodio di torsione del nostro sistema democratico». Il "pasticciaccio di Palazzo Chigi" non è andato giù all´ex capo dello Stato, che considera il rimedio adottato (cioè il provvedimento urgente varato venerdì scorso) ad alto rischio di illegittimità costituzionale. E la clamorosa sentenza pronunciata ieri sera dal Tar del Lazio, che respinge il ricorso per la riammissione della lista del Pdl nel Lazio, non arriva a caso: «È la conferma che con quel decreto il governo fa ciò che la Costituzione gli vieta, cioè interviene su una materia di competenza delle Regioni. Speriamo solo che a questo punto non accadano ulteriori complicazioni...», dice. Dopo il ricorso già avanzato da diverse giunte regionali, potrebbe persino accadere che, ad elezioni già svolte, anche la Consulta giudichi quel decreto illegittimo, con un verdetto definitivo e a quel punto davvero insindacabile. Questo preoccupa Ciampi: «Il risultato, in teoria, sarebbe l´invalidazione dell´intero risultato elettorale. Il rischio c´è, purtroppo. C´è solo da augurarsi che il peggio non accada, perché a quel punto il Paese precipiterebbe in un caos che non oso immaginare...». Il presidente emerito non lo dice in esplicito, ma dal suo ragionamento si evince che qualche dubbio lui l´avrebbe avuto, sulla percorribilità giuridica e politica di un decreto solo apparentemente «interpretativo», ma in realtà effettivamente «innovativo» della legislazione elettorale.
Ora si pone un interrogativo inquietante: questo disastro si poteva evitare? E se sì, chi aveva il potere di evitarlo? Detto più brutalmente: Giorgio Napolitano poteva non autorizzare la presentazione del decreto legge del governo? Ciampi vuole evitare conflitti con il suo successore, al quale lo lega un rapporto di affetto e di stima: «Non mi piace mai giudicare per periodi ipotetici dell´irrealtà. Allo stesso tempo, trovo sbagliato dire adesso "io avrei fatto, io avrei detto...". Ognuno decide secondo le proprie sensibilità e secondo le necessità dettate dal momento. Napolitano ha deciso così. Ora, quel che è fatto è fatto. Lo ripeto: a questo punto è stata imboccata una strada, e speriamo solo che ci porti a un risultato positivo...». Ma in questa occasione non si può negare che il Quirinale sia dovuto passare per la cruna di un ago particolarmente stretta, e che secondo molti ne sia uscito non proprio al meglio. In rete e sui blog imperversano le critiche: Scalfaro e Ciampi, si legge, non avrebbero mai messo la firma su questo «scempio». Al predecessore di Napolitano questo gioco non piace: «Queste sono cose dette un po´ a sproposito». Come non gli piacciono le rischieste di impeachment che piovono sull´inquilino del Colle dall´Idv: «Ma che senso ha, adesso, sparare sul quartier generale? Al punto in cui siamo, è nell´interesse di tutti non alimentare la polemica sul Quirinale, e semmai adoperarsi per proteggere ancora di più la massima istituzione del Paese...».
Premesso questo, Ciampi non si nega una netta censura politica di quanto è accaduto: «Io credo che la soluzione migliore sarebbe stata quella di rinviare la data delle elezioni. Ma per fare questo sarebbe stata necessaria una volontà politica che, palesemente, nella maggioranza è mancata. Ma soprattutto io credo che sarebbe stato necessario, prima di tutto, che il governo riconoscesse pubblicamente, di fronte al Paese e al Parlamento, di aver commesso un grave errore. Sarebbe stato necessario che se ne assumesse la responsabilità, chiedendo scusa agli elettori e agli eletti. Da qui si doveva partire: a quel punto, ne sono sicuro, tutti avrebbero lavorato per risolvere il problema, e l´opposizione avrebbe dato la sua disponibilità a un accordo. Bisognava battersi a tutti i costi per questa soluzione della crisi, e inchiodare a questo percorso chi l´aveva causata. Ma purtroppo la maggioranza, ancora una volta, ha deciso di fuggire dalle sue responsabilità, e di forzare la mano». I risultati sono sotto gli occhi di tutti: «Di nuovo, assistiamo sgomenti al graduale svuotamento delle istituzioni, all´integrale oblio dei valori, al totale svilimento delle regole: questo è il male oscuro e profondo che sta corrodendo l´Italia».
Su questo piano inclinato, dove si fermeranno lo scivolamento civico e lo smottamento repubblicano? «Vede – osserva Ciampi – proprio poco fa stavo rileggendo il De senectute di Cicerone: ci sarebbe bisogno di quella saggezza, di quell´amore per la civiltà, di quell´attenzione al bene pubblico. E invece, se guardiamo alle azioni compiute e ai valori professati da chi ci governa vediamo prevalere l´esatto opposto». Aggressione agli organi istituzionali, difesa degli interessi personali: l´essenza del berlusconismo – secondo l´ex capo dello Stato - «è in re ipsa, cioè sta nelle cose che dice e che fa il presiedente del Consiglio: basta osservare e ascoltare, per rendersi conto di dove sta andando questo Paese». Già qualche mese fa Ciampi aveva rievocato, proprio su questo giornale, l´antico principio della Rivoluzione napoletana di Vincenzo Cuoco sulla felicità dei popoli «ai quali sono più necessari gli ordini che gli uomini», e poi il vecchio motto caro ai fratelli Rosselli, «non mollare», poi rideclinato da Francesco Saverio Borrelli nel celebre «resistere, resistere, resistere».
Oggi l´ex presidente torna su queste «urgenze morali», per ribadire che servono ancora tanti «atti di coraggio», se vogliamo difendere la nostra democrazia e la nostra Costituzione. «I miei sono lì, sono le firme che non ho voluto apporrre su alcune leggi che mi furono presentate durante il settennato, e che successivamente mi sono state rinfacciate in Parlamento, come se si fosse trattato di atti "sediziosi", o decisioni "di parte". E invece erano ispirati solo ai principi del vivere civile in cui ho sempre creduto, e che riposano sulla sintesi virtuosa dei valori e delle istituzioni». Tra i 2001 e il 2006 Ciampi non potè rinviare alle Camere tutte le leggi-vergogna del secondo governo Berlusconi, perché in alcune di esse mancava il vizio della «palese incostituzionalità» che solo può giustificare il diniego di firma da parte del capo dello Stato. Ma dalla riforma Gasparri sul sistema radiotelevisivo alla riforma Castelli sull´ordinamento giudiziario, Ciampi pronunciò alcuni «no» pesantissimi.
Nonostante questo, anche a lui tocca oggi constatare che quella forma di «pedagogia repubblicana», necessaria ma non sufficiente, è servita a poco o a nulla. «Cosa vuole che le dica? Purtroppo questo è il drammatico paesaggio italiano, né bello né facile. E questo è anche il mio più grande rimpianto di vecchio: sulla soglia dei 90 anni, mi accorgo con amarezza che questa non è l´Italia che vagheggiavo a 20 anni. Allora ci svegliavamo la mattina convinti che, comunque fossero andate le cose, avremmo fatto un passo avanti. Oggi ci alziamo la mattina, e ogni giorno ci accorgiamo di aver fatto un altro passo indietro. E´ molto triste, per me che sono un nonuagenario. Ma chi è più giovane di me non deve perdersi d´animo, e soprattutto non deve smettere di lottare». Sabato prossimo Ciampi non andrà in piazza, per sfilare in corteo contro il "pasticciaccio" di Berlusconi: «Non ho mai aderito a manifestazioni, e comunque le gambe non mi reggerebbero...», dice. Ma chissà: magari con vent´anni di meno ci sarebbe andato anche lui.
m.gianninirepubblica.it

Repubblica 9.3.10
Una crisi di regime
di Stefano Rodotà

Che cosa indica la decisione del Tar del Lazio che, ritenendo inapplicabile l´assai controverso decreto del Governo, ha confermato l´esclusione della lista del Pdl dalle elezioni regionali in questa regione? In primo luogo rivela l´approssimazione giuridica del Governo e dei suoi consulenti, incapaci di mettere a punto un testo in grado di superare il controllo dei giudici amministrativi. Ma proprio questa superficialità è il segno della protervia politica, che considera le regole qualcosa di manipolabile a proprio piacimento senza farsi troppi scrupoli di legalità. E, poi, vi è una sorta di effetto boomerang, che mette a nudo le contraddizioni di uno schieramento politico che, da una parte, celebra in ogni momento le virtù del federalismo e, dall´altra, appena la convenienza politica lo consiglia, non esita a buttarlo a mare, tornando alla pretesa del centro di disporre anche delle materie affidate alla competenza delle regioni.
Proprio su quest´ultima constatazione è sostanzialmente fondata la sentenza del Tar del Lazio. La materia elettorale, hanno sottolineato i giudici, è tra le competenze delle regioni e, partendo appunto da questo dato normativo, la Regione Lazio ha approvato nel 2008 una legge che ha disciplinato questa materia.
Lo Stato non può ora invadere questo spazio, sostituendo con proprie norme quelle legittimamente approvate dal Consiglio regionale. Il decreto, in conclusione, non è applicabile nel Lazio.
I giudici amministrativi, inoltre, hanno messo in evidenza come non sia possibile dimostrare alcune circostanze che, in base al decreto del 5 marzo, rappresentano una condizione necessaria per ritenere ammissibile la lista del Pdl. In quel decreto, infatti, si dice che il termine per la presentazione delle liste si considera rispettato quando «i delegati incaricati della presentazione delle liste, muniti della prescritta documentazione, abbiano fatto ingresso nei locali del Tribunale». Il Tar mette in evidenza due fatti. Il primo riguarda l´assenza proprio del delegato della lista che ha chiesto la riammissione. E, seconda osservazione, non è possibile provare che lo stesso delegato, presentatosi in ritardo, avesse con sé il plico contenente la documentazione richiesta.
Se il primo rilievo sottolinea l´approssimazione di chi ha scritto il decreto, il secondo svela la volontà di usare il decreto per coprire il "pasticcio" combinato dai rappresentanti del Pdl. Che non è frutto, lo sappiamo, di insipienza. È stato causato da un conflitto interno a quel partito sulla composizione della lista, trascinatosi fino all´ultimo momento, anzi oltre l´ultimo momento fissato per la presentazione della lista.
È una morale politica, allora, che deve essere ancora una volta messa in evidenza. Per risolvere le difficoltà di un partito non si è esitato di fronte ad uno stravolgimento delle regole del gioco. La prepotenza ha impedito anche di avere un minimo di pazienza, visto che la riammissione da parte dei giudici dei listini di Formigoni e Polverini ha eliminato il rischio maggiore, quello di impedire in regioni come la Lombardia e il Lazio che il partito di maggioranza avesse un suo candidato.
Si dirà che, una volta di più, i giudici comunisti hanno intralciato l´azione di Berlusconi e dei suoi mal assortiti consorti? È possibile. Per il momento, però, dobbiamo riconoscere che proprio i deprecati giudici hanno arrestato, sia pure provvisoriamente (si attende la decisione del Consiglio di Stato), una deriva verso la sospensione di garanzie costituzionali.
Non possiamo dimenticare, infatti, che la democrazia è anche procedura: e il decreto del governo manipola proprio le regole del momento chiave della democrazia rappresentativa. La democrazia è tale solo se è assistita da alcune precondizioni: e le sciagurate decisioni della Commissione parlamentare di vigilanza e del Consiglio d´amministrazione della Rai hanno obbligato al silenzio una parte importante dell´informazione, rendendo così precaria proprio la precondizione che, nella società della comunicazione, ha un ruolo decisivo. Non dobbiamo aver paura delle parole, e quindi dobbiamo dire che proprio la congiunzione di questi due fatti, se dovesse permanere, altererebbe a tal punto le dinamiche istituzionali, politiche e sociali da rendere giustificata una descrizione della realtà italiana di oggi come un tempo in cui garanzie costituzionali essenziali sono state sospese.
Comunque si concluda questa vicenda, il confine dell´accettabilità democratica è stato comunque varcato. Una crisi di regime era già in atto ed oggi la viviamo in pieno. Nella storia della Repubblica non era mai avvenuto che una costante della vita politica e istituzionale fosse rappresentata dall´ansiosa domanda che accompagna fin dalle sue origini gli atti di questo Governo e della sua maggioranza parlamentare: firmerà il Presidente della Repubblica? Questo vuol dire che è stata deliberatamente scelta la strada della forzatura continua e che si è deciso di agire ai margini della legalità costituzionale (un tempo, quando si diceva che una persona viveva ai margini della legalità, il giudizio era già definitivo). Questa scelta è divenuta la vera componente di una politica della prevaricazione, che Berlusconi ha fatto diventare guerriglia continua, voglia di terra bruciata, pretesa di sottomettere ogni altra istituzione. Da questa storia ben nota è nata l´ultima vicenda, dalla quale nessuno può essere sorpreso e che, lo ripeto, rivela piuttosto quanto profondo sia l´abisso nel quale stiamo precipitando,
A questo punto, la scelta di Napolitano, ispirata com´è alla tutela di "beni" costituzionali fondamentali, deve assumere anche il valore di un "fin qui, e non oltre", dunque di un presidio dei confini costituzionali che arresti la crisi di regime. Ma non mi illudo che la maggioranza, dopo aver lodato in questi giorni l´essere super partes di Giorgio Napolitano, tenga domani lo stesso atteggiamento di fronte a decisioni sgradite in materie che già sono all´ordine del giorno.
Ora i cittadini hanno preso la parola, e bene ha fatto il Presidente della Repubblica a rispondere loro direttamente. Qualcosa si è mosso nella società e tutti sappiamo che la Costituzione vive proprio grazie al sostegno e alla capacità di identificazione dei cittadini. È una novità non da poco, soprattutto dopo anni di ossessivo martellamento contro la Costituzione. Oggi la politica dell´opposizione dev´essere tutta politica "costituzionale". Dopo tante ricerche di identità inventate o costruite per escludere, sarebbe un buon segno se la comune identità costituzionale venisse assunta come la leva per cercar di uscire da una crisi che, altrimenti, davvero ci porterebbe, in modo sempre meno strisciante, a un cambiamento di regime.

il Riformista 9.3.10
Bonino non si ritira più «Io avanti nei sondaggi»
Sorpresa. La candidata radicale incassa il Tar, smorza le voci di un Aventino elettorale e difende il Colle: «Non aveva alternative sulla firma».
di Edoardo Petti

Emma Bonino aspetta di leggere le motivazioni della decisione del Tar del Lazio che ha bocciato la richiesta di sospendere la bocciatura della lista provinciale del Pdl. E chiede che i giudici vadano avanti. Una vicenda, quella delle liste per le elezioni regionali, nella quale la leader radicale difende il Presidente della Repubblica. «Giorgio Napolitano avrebbe dovuto ascoltare la nostra proposta e azzerare tutto, ma date le circostanze non aveva alternative alla firma sul decreto», osserva la vicepresidente del Senato alla vigilia dell’assemblea dei Radicali, chiamati a decidere la forma più adatta di lotta contro quella che definiscono «una partita di bari del regime antidemocratico». Il partito non esclude alcuna ipotesi, anche quella, rilanciata da Marco Pannella, di coinvolgere la giustizia internazionale sull’intera questione. La candidata alla presidenza del Lazio mette in risalto la differenza di vedute rispetto ad Antonio Di Pietro sulle responsabilità della più alta carica dello Stato, e ne evidenzia la totale estraneità politica nell’approvazione del discusso provvedimento, un «atto di arroganza compiuto dall’esecutivo». La senatrice sottolinea come «il Presidente della Repubblica non entri nel merito politico, ma solo in quello istituzionale»; si dice sicura che «abbia tentato di correggere precedenti proposte e che la questione sia stata piuttosto tesa, ma davvero non si può tirare in ballo Napolitano», dal quale, ribadisce, «forse mi sarei aspettata una parola nelle settimane precedenti, quando noi abbiamo denunciato ripetute irregolarità e avevamo suggerito di sanare tutte le situazioni, tenendo conto dei diritti di ogni elettore, e non solo di quelli del Pdl di Lombardia e Lazio». Poi, chiedendosi «cosa succederà se il governo e la maggioranza dovessero decidere di non convertire questo decreto», afferma di «non volere nessun “Aventino” né di voler gettare la spugna», ma ribadisce che «non si può andare avanti come se niente fosse successo, in una condizione di assoluta incertezza sul processo elettorale». Un tema che, secondo l’ex commissaria europea, impone la necessità che «le forze politiche si interroghino e trovino il mezzo più efficace per risvegliare un paese il quale sembra non voler reagire». Bonino si dice però convinta che «la gente si senta abbastanza sconcertata», e rende pubblica una rilevazione che attesterebbe un suo vantaggio dello 0,6 per cento rispetto alla «corazzata Potemkin dell’altra parte». Quanto alla partecipazione dei Radicali alla manifestazione di sabato, la parlamentare si limita a dire che «è in corso una valutazione».
Nel frattempo, la campagna per la presidenza del Lazio sembra aver perduto del tutto il fair play iniziale. L’assenza della Polverini alla tribuna elettorale sulla Rai dove era previsto il primo faccia a faccia viene considerato da Bonino «un segno di mancanza di rispetto e una scorrettezza». La leader radicale, ironizzando sul fatto che i propri avversari «non abbiano bisogno delle tribune poiché l’occupazione totale della Rai è già avvenuta», evidenzia come «la Polverini avesse lasciato come indirizzo di casa Ballarò», di cui il segretario dell’Ugl è stato ospite assiduo negli ultimi anni. Rispondendo infine alla figlia di Bruno Zevi, lo storico dell’architettura esponente del Partito d’Azione e dello stesso Partito radicale, che sognava Emma Bonino al Quirinale, la candidata alla guida del Lazio risponde che «per diventare presidente in Italia è necessario avere almeno 80 anni, e io ne compio 62 proprio oggi, ma potrei chiedere un decreto interpretativo per diventarlo prima: tanto si tratterebbe solo di un cavillo». E allo stesso modo ironizza sul suo compleanno: «Ho 62 anni, ma con un provvedimento ad hoc si potrebbe fare in modo che ne abbia 26».

il Riformista 9.3.10
Cari radicali, non fate scherzi
di Peppino Caldarola

Cari radicali, non fate scherzi. Dopo il decreto con cui il governo ha messo al sicuro le sue liste, si torna a parlare con insistenza del ritiro della Bonino dalla gara per le regionali. Massimo Bordin, il bravissimo direttore di “Radio radicale”, immagina che ci sarà un colpo di teatro di Marco Pannella. Conoscendo l’uomo non abbiamo dubbi. Le proteste contro il decreto salva-liste sono indubbiamente fondate. La destra aveva a disposizioni altre strade. Il rinvio del voto per consentire di sanare la situazione era sicuramente la via che avrebbe procurato meno conflitti. Comunque è andata così. Grava sulla consultazione di fine marzo il rischio di un pronunciamento della Corte Costituzionale ostile al provvedimento del governo. C’e gnali all’opinione pubblica la prepotenza e l’arroganza della destra. Bisogna evitare due rischi. Il primo riguarda l’atteggiamento verso il presidente della Repubblica. Una opposizione seria non può trascinare il Quirinale in una contesa senza senso. Se l’obiettivo polemico diventa Napolitano, la sinistra perde la faccia. D’altro canto non è possibile immaginare elezioni in cui il centro-sinistra perda per strada la candidata alla presidenza della regione Lazio. Sarebbero state falsificate le elezioni senza la Polverini, sarebbero falsate le elezioni senza la Bonino. A questa brutta storia bisogna mettere un freno. C’è una campagna elettorale da fare, ci sono soddisfazioni che solo le urne possono dare.

Repubblica 9.3.10
Germania, sugli abusi accuse al Papa
Un ministro: "Fu la sua Congregazione a chiedere il silenzio". Ma la Merkel frena
"Una direttiva del 2001 stabilisce che i casi di violenza non siano divulgati fuori dalla Chiesa"
di Andrea Tarquini

BERLINO - Sale ancora, con un´escalation che segna un salto di qualità decisivo, il tono dello scontro tra il governo tedesco e la Chiesa cattolica sulle accuse di abusi sessuali, violenze e percosse nelle istituzioni religiose. Ieri, per la prima volta un´esponente del governo di centrodestra guidato da Angela Merkel, la ministro della Giustizia Sabine Leutheusser-Schnarrenberger, ha in sostanza chiamato in causa di persona papa Benedetto XVI. Da anni, ha detto, la Chiesa ha istituito un muro di silenzio; e la decisione risale a una direttiva emanata dalla Congregazione per la dottrina della fede nel 2001. Quando cioè a guidarla era il cardinale Joseph Ratzinger, l´attuale pontefice.
Il Vaticano, ha detto intervistata dalla radio pubblica tedesca la signora Leutheusser-Schnarrenberger (dirigente del partito liberale Fdp, partner di governo della Cdu-Csu della Cancelliera Angela Merkel), da anni ha fatto regnare un muro di silenzio e così di fatto ha ostacolato le inchieste sugli episodi avvenuti all´interno delle istituzioni ecclesiastiche. La decisione, ha aggiunto in sostanza la ministro, fu presa con una disposizione ad altissimo livello. Cioè una direttiva emanata appunto nel 2001 dalla Congregazione per la dottrina della fede. Il documento, ha accusato la guardasigilli, chiedeva di non divulgare all´esterno della chiesa le notizie sugli abusi.
Il clima è pesante, la Cancelliera Merkel in persona si è sforzata di smorzare i toni dicendosi «molto soddisfatta» dei segni che la Chiesa «prende estremamente sul serio il problema». Ma la titolare della Giustizia esprime una linea più dura. «Abusi così gravi - ha continuato - in base a quella direttiva sono dunque sottomessi alla confidenzialità del Papa, e non devono essere divulgati all´esterno della Chiesa… Vi vedo un segno che la Chiesa, in caso di abusi sessuali, esamina i casi presunti o reali come un affare interno, e suggerisce ai presunti colpevoli di autodenunciarsi».
L´accusa è gravissima, e pare lanciata contro l´operato in quegli anni dell´attuale pontefice. Monsignor Stephan Ackermann, vescovo di Treviri, incaricato dalla conferenza episcopale di condurre l´inchiesta sugli abusi, ha subito replicato: «Non è vero - ha detto - nella pratica la Chiesa chiede sempre l´intervento della magistratura». Dopo aver lanciato la sua accusa, Sabine Leutheusser-Schnarrenberger ha reiterato la sua proposta di una Tavola rotonda. L´incontro si terrà il 23 aprile. Sarà opportuno, ha suggerito la ministro, discutere in quell´occasione di adeguati risarcimenti alle vittime delle violenze. Richiesta finora respinta dalla Chiesa.
Ma ormai il Santo Padre è chiamato in causa. «Egli era vescovo di Monaco e Frisinga dal 1977 al 1982», sottolinea Christian Weisner, del movimento dei cattolici dissidenti "Wir sind Kirche" (Noi siamo la Chiesa), «e sarebbe giusto sapere se era al corrente dei fatti e come reagì». La visita in Vaticano del presidente della Conferenza episcopale tedesca, Robert Zollitsch, si prepara in un clima sempre più difficile e acceso.

l’Unità 9.3.10
Israele gela la missione di pace di Biden
Sì a nuove case, i palestinesi insorgono
di Umberto De Giovannangeli

John Biden sbarca in Israele, prova a rianimare il negoziato israelo-palestinese e a convincere Gerusalemme che gli Usa saranno a fianco dello Stato ebraico nel far fronte alla minaccia iraniana

«Un Iran con armi atomiche costituirebbe una minaccia non solo per Israele ma anche per gli Stati Uniti». È il biglietto da visita del vice presidente Usa Joe Biden arrivato ieri pomeriggio in Israele, per una visita di tre giorni nello Stato ebraico – oggi l'atteso faccia a faccia con il premier Netanyahu – e nei Territori (a Ramallah incontrerà domani il presidente dell'Autorità nazionale palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen). Biden anticipa il suo pensiero in una intervista a Yedioth Ahronoth, il più diffuso giornale israeliano.
IL NODO TEHERAN
Ad una domanda riguardo ad un possibile attacco israeliano contro gli impianti nucleari iraniani, Biden ha risposto che «sebbene non sia possibile rispondere ad una domanda ipotetica riguardo all'Iran, posso promettere al popolo israeliano che noi risponderemo, da alleati, ad ogni sfida alla sua sicurezza che si potrà trovare ad affrontare». Nella visita del più alto esponente dell'amministrazione americana dall'insediamento di Barack Obama, Biden ribadirà così l'impegno di Washington in difesa di Israele. «L'amministrazione invia ad Israele aiuti militari per tre miliardi di dollari ha ricordato il vice presidente abbiamo rilanciato le consultazioni sul fronte della Difesa tra i due Paesi, raddoppiando i nostri sforzi per assicurare che Israele preservi il vantaggio militare qualitativo nelle regione». Se i programmi nucleari iraniani fossero coronati da successo ha notato il numero due alla Casa Bianca ne risentirebbe la stabilità regionale.
Iran a parte, il focus principale della visita di Biden sarà sul processo di pace, dal momento che è atteso proprio da parte del vice presidente americano l'annuncio ufficiale dell' avvio dei negoziati indiretti, i cosiddetti «proximity talks», tra israeliani e palestinesi. In un clima già pesante la notizia che Israele ha approvato la costruzione di 112 nuove case nell'insediamento di Beitar Ilit, in deroga alla moratoria di dieci mesi sulle colonie israeliane in Cisgiordania, ha dato nuovi motivi di polemica, di sfiducia e pure di ira ai palestinesi. Una decisione che il ministero della Difesa ha giustificato sostenendo che si tratta di un piano che era stato approvato dal precedente governo Olmert e che era cominciato prima del congelamento di nuovi piani di edilizia ebraica nei Territori.
Le reazioni negative palestinesi sono state immediate. Il presidente dell'Anp Mahmud Abbas (Abu Mazen) ha chiesto chiarimenti all'inviato Usa George Mitchell, che sarà l'intermediario nei colloqui, mentre il negoziatore capo palestinese Saeb Erekat ha accusato Israele «di silurare i colloqui ancora prima che siano cominciati». Questi colloqui, avverte, sono «l'ultima chance» che i palestinesi sono disposti a concedere a Israele per arrivare a un accordo. Il governo israeliano, afferma l'esponente palestinese, «non crede in realtà alla soluzione dei due Stati». Erekat liquida poi come «una bufala» la moratoria parziale dei nuovi piani edilizi negli insediamenti ebraici, che per i palestinesi è comunque insufficiente non includendo Gerusalemme est. Il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak, capofila dell'appendice laburista nel governo a maggioranza di destra del premier Benyamin Netanayhu, ha ammesso che i colloqui «non saranno facili». Netanyahu, a sua volta, ha ribadito che ogni eventuale accordo dovrà prima di tutto garantire la sicurezza di Israele. «La nostra sicurezza – afferma non è un pezzo di carta. Dovremo sventare la minaccia di missili, razzi e terrorismo». I colloqui indiretti dovranno prima di tutto, secondo i palestinesi, affrontare la questione dei confini del costituendo Stato palestinese e i connessi aspetti della sicurezza.
In questo scenario in movimento segnato dal pessimismo, un’apertura diplomatica giunge da Israele che ieri ha dato il via libera alle missioni a Gaza del segreario generale dell’Onu ban Ki-moon e di lady Pesc, Catherine Ashton.

l’Unità 9.3.10
Il confine? Non è una barriera ma solo un passaggio
di Marc Augé

Marc Augé e la mobilità «surmoderna»: l’antropologo ed etnologo francese ci spiega di cosa si tratta nel suo saggio, attraverso alcuni concetti, che vanno dalla frontiera alla migrazione.

Per una antropologia della mobilità sarà in libreria da oggi. Anticipiamo un brano
Il saggio Ci parla di urbanizzazione, migrazione, viaggio e suggerisce di ripensare la frontiera

Se il concetto di frontiera è «buono da pensare» è perché è al centro dell’attività simbolica che sin dalla comparsa del linguaggio – riprendendo Lévi-Strauss – è stata impiegata per conferire un significato all’universo, per dare un senso al mondo e renderlo vivibile. Ebbene, questa attività è essenzialmente consistita nell’opporre categorie come maschile e femminile, caldo e freddo, terra e cielo, secco e umido, per simbolizza-
re lo spazio suddividendolo. Oggi stiamo incontestabilmente vivendo un periodo storico in cui la necessità di suddividere lo spazio, il mondo o il vivente per comprenderli sembra meno evidente. Il pensiero scientifico non si basa più su opposizioni binarie, ma si sforza di rivelare la continuità dietro le apparenti discontinuità, per esempio cercando di comprendere e forse ricreare il passaggio dalla materia alla vita. L’uguaglianza tra i sessi è un’esigenza del pensiero democratico, ma, al di là di questa uguaglianza, è un’identità di funzioni, di ruoli e di definizioni a essere postulata nel momento in cui si mette l’accento sulla preminenza del concetto stesso di essere umano. Infine, la storia politica del pianeta sembra mettere in discussione le frontiere tradizionali nel momento in cui il mercato libero mondiale prende forma e le tecnologie della comunicazione sembrano di giorno in giorno cancellare gli ostacoli legati allo spazio e al tempo.
Tuttavia, sappiamo bene che le apparenze della mondializzazione e della globalizzazione nascondono anche delle ineguaglianze: assistiamo infatti, a scale diverse, alla rinascita di frontiere la cui esistenza costituisce una smentita della tesi della fine della storia. L’opposizione Nord/Sud si è ormai sostituita a quella tra paesi colonizzatori e paesi colonizzati. Nelle grandi metropoli del mondo, i quartieri ricchi si contrappongono ai quartieri «difficili», dove tutta la disparità, tutte le ineguaglianze del mondo si coagulano. In vari continenti esistono addirittura quartieri privati e città private. Le migrazioni dai paesi poveri verso quelli ricchi assumono spesso forme tragiche e sono i paesi liberali a erigere muri per proteggersi dagli immigrati clandestini. Da un lato, si disegnano nuove frontiere, o meglio si innalzano nuove barriere, sia tra paesi poveri e paesi ricchi, sia all’interno degli stessi paesi sottosviluppati o emergenti, tra i settori ricchi connessi alla rete della globalizzazione ed economica e gli altri. Dall’altro lato, quanti sognano un’unica società umana e considerano quale patria il pianeta non possono ignorare né la forza dei ripiegamenti comunitari, nazionali, etnici o di altro genere, che si ripropongono di restaurare i confini, né l’espansionismo dei proselitismi religiosi, che aspirano a conquistare il pianeta annullandone tutte le frontiere. Nel mondo «surmoderno», sottoposto alla triplice accelerazione delle conoscenze, delle tecnologie e del mercato, il divario tra la rappresentazione di una globalità senza frontiere che permetterebbe a beni, esseri umani, immagini e messaggi di circolare senza limitazioni, e la realtà di una pianeta diviso, frammentato, in cui le divisioni negate dall’ideologia del sistema si ritrovano al cuore stesso del sistema, si fa sempre maggiore. Si potrebbe contrapporre l’immagine della città-mondo, quella «metacittà virtuale», secondo l’espressione coniata da Paul Virilio, costituita dalle vie di circolazione e dai mezzi di comunicazione che abbracciano il pianeta intero nella loro rete e diffondono l’immagine di un mondo sempre più omogeneo, alle dure realtà della città-mondo in cui si ritrovano e anche si scontrano differenze e ineguaglianze. L’urbanizzazione del mondo consiste al tempo stesso nell’estensione del tessuto urbano lungo le coste e i fiumi e nell’infinita crescita delle megalopoli, ancora più rilevante e cospicua nel terzo mondo. È questo fenomeno la verità sociologica e geografica di quella che chiamiamo mondializzazione o globalizzazione, ed è una verità infinitamente più complessa dell’immagine della globalità senza frontiere che funge da alibi per gli uni e da illusione per gli altri.
Oggi dobbiamo quindi ripensare la frontiera, questa realtà continuamente negata e continuamente riaffermata. Il fatto è che essa si riafferma spesso sotto forme indurite che fungono da divieto e comportano esclusioni. Occorre ripensare il concetto di frontiera per cercare di comprendere le contraddizioni che colpiscono la storia contemporanea.
Molte culture hanno simbolizzato il limite e il crocevia, luoghi particolari in cui si gioca una parte dell’avventura umana quando uno parte all’incontro dell’altro. Esistono frontiere naturali (montagne, fiumi, stretti), frontiere linguistiche, frontiere culturali o politiche. La frontiera segnala anzitutto la necessità di apprendere per comprendere. Naturalmente l’espansionismo ha trascinato alcuni gruppi a violare i confini per imporre ad altri la propria legge, ma è capitato che, anche in questo caso, il superamento della frontiera non sia stato privo di conseguenze per coloro che lo hanno compiuto. La Grecia vinta ha civilizzato Roma e contribuito al suo fulgore intellettuale. In Africa, i conquistatori adottavano tradizionalmente le divinità dei popoli sui quali avevano trionfato.
Le frontiere non si cancellano, si ritracciano. È ciò che ci insegna il meccanismo della conoscenza scientifica, che progressivamente sposta le frontiere dell’ignoto. Un sapere scientifico non è mai concepito come assoluto; è ciò che lo distingue dalle cosmologie e dalle ideologie: all’orizzonte ha sempre nuove frontiere. La frontiera, in questo senso, ha sempre una dimensione temporale: è la forma dell’avvenire e, forse, della speranza. Non dovrebbero dimenticarlo gli ideologi del mondo contemporaneo che, di volta in volta, soffrono di eccessivo ottimismo o di eccessivo pessimismo, in ogni caso di troppa arroganza. Non viviamo in un mondo compiuto, del quale non avremmo che da celebrare la perfezione. Non viviamo nemmeno in un mondo inesorabilmente abbandonato alla legge dei più forti o dei più folli. Viviamo innanzitutto in un mondo in cui la frontiera tra democrazia e totalitarismo esiste ancora. Ma l’idea stessa di democrazia è sempre incompiuta, sempre da conquistare. Come quella della politica scientifica, la grandezza della politica democratica risiede nel rifiuto delle totalità perfette e nel fatto di porsi delle frontiere per esplorarle e superarle.
Nel concetto di globalizzazione, e in coloro che si richiamano ad esso, c’è un’idea di compiutezza del mondo e di arresto del tempo che denota un’assenza d’immaginazione e un invischiamento nel presente profondamente contrari allo spirito scientifico e alla morale politica.

l’Unità 9.3.10
Quel realismo magico del giovane Caravaggio
di Renato Barilli

«Caravaggio», a cura di Claudio Strinati, è la mostra allestita nelle sale delle Scuderie del Quirinale. Resterà aperta al pubblico fino al 13 giugno (catalogo della mostra: Skira).

Scuderie del Quirinale A quattrocento anni dalla morte l’omaggio a Michelangelo Merisi
L’artista Quando lasciò Roma per la Lombardia abbandonò ogni traccia di magia

Le Scuderie del Quirinale acquisiscono un ulteriore merito organizzando esemplarmente la mostra concepita per celebrare i quattrocento anni dalla morte di Michelangelo Merisi (1571-2010), sull’onda di quanto di eccellente già avevano fatto nei casi di Antonello da Messina e di Giovanni Bellini. Forse con minore completezza, in quanto la rassegna è quasi totale per la prima fase del Caravaggio, interrotta dai drammatici fatti del 1606, cui seguono i travagliati anni dell’esilio, e proprio per questo periodo lo stesso Claudio Strinati, principale curatore dell’impresa, è costretto a deprecare qualche vuoto, da Napoli non sono giunti i Sette sacramenti, da Malta è mancata la Decapitazione del Battista. Ma, per gli anni giovanili, la rassegna è quasi a ranghi completi, e taluni capolavori mancanti, il pubblico può andarseli a vedere a poche centinaia di passi, in S. Luigi dei Francesi o in S. Maria del Popolo. Un pubblico che si stipa in troppo, a far da corona ai dipinti, affondati in una saggia oscurità da cui balzano fuori come le tappe di una incalzante via crucis, nell’allestimento di Michele De Lucchi. Intelligente, ancorché prudente e salomonica, è la formula assunta dalla regia globale della mostra, infatti risultava impossibile concentrare in un catalogo l’enorme messe di dibattiti nati attorno al Caravaggio, e dunque Strinati ha suggerito una specie di tregua delle armi, affidando il compito di introdurre ciascuno dei capolavori ad altrettanti studiosi, cosicché le varie linee critiche sono state tutte rappresentate, seppure a spizzichi, con l’aggiunta di un giusto rispetto dello ius loci, ovvero i responsabili dei musei detentori di dipinti del grande artista li hanno accompagnati con biglietti d’invio, scrivendone le schede relative.
Strinati, abile regista del tutto, è riuscito perfino ad attenuare la tesi longhiana di un Caravaggio figlio dei pittori lombardi, dei vari Savoldo e Romanino e Moretto, osservando tra le righe che la nascita del Merisi, ormai posta a Milano, nonostante il soprannome che lo accompagna, rendeva assai difficile che da giovane egli potesse andarsene in giro a vedere i frutti dei bergamaschi e bresciani. E in ogni caso, la tesi sostenuta con tanta passione dal Longhi, a favore di un Caravaggio «lombardo» lo ha portato scambiare, nel Savoldo e compagni, per umbratili e atmosferici umori padani, quanto invece in loro discendeva dall’ossequio a una modernità proveniente dal Dürer. Ovvero, essi senza dubbio sono stati maestri di realismo al Caravaggio, ma nell’accezione dura, soda, quasi metallizzata che avevano ricavato dal grande tedesco.
E dunque, quando il giovane Merisi giunge a Roma, allo scadere del secolo, si porta dietro un realismo, ma da connotarsi con l’appellativo della magia, o della surrealtà. E forse bisogna pure congetturare l’incontro con qualche componente fiamminga.
MILANO E DINTORNI
Riesce comunque difficile pensare che da Milano e dintorni egli si portasse dietro quelle carni sode, perfino grassottelle, e quei sorrisi di lieta accoglienza alla vita che connotano i suoi ragazzi di vita, i suoi garzoni d’osteria, dando loro la stessa levigatezza tersa, cristallina che va anche ai chicchi d’uva e ad ogni altro elemento delle nature morte. Il primo Caravaggio romano è dunque un mirabile maestro di realismo magico, di cui non sopravvive alcuna traccia in Lombardia, quasi che lui, andandosene, se ne fosse portata via l’aura per intero. Da lì, invece, si giunge ai suoi massimi eredi, a Georges de la Tour, a Velàzquez, forse a Vermeer. In mostra si incontra una chiara linea di discrimine, rappresentata dalla prima versione della Caduta di Saulo, che il Merisi aveva confezionato su tavola, assieme al tema coniugato della Crocefissione di Pietro, per la cappella Cerasi in S. Maria del Popolo. Ed è appunto una mirabile visione di corpi pieni, quasi cerei per troppa evidenza, animati da torsioni, investiti da fiotti di luce artificiale. Poi, avviene un fatto misterioso, il Caravaggio ritira quelle prime esecuzioni, passando alle due successive che oggi si ammirano in S. Maria del Popolo. Sulle ragioni di questa sostituzione medita, in catalogo, Francesco Buranelli, avanzando una tesi che si può condividere, non si è trattato di un rifiuto da parte della committenza, bensì di un ripensamento dello stesso artista, che accede, per così dire, a una visione della sua stessa arte più in linea con quanto ancor oggi intendiamo per caravaggismo, cioè un abbraccio naturalistico dei corpi che affondano in un’oscurità atmosferica, cosicché un effetto d’insieme ottunde le singole emergenze. Di ciò, del resto, la mostra attesta un’altra occasione, attorno alle due versioni della Cena in Emmaus, quella di Londra appartiene alla prima poetica, di un chiarore ambientale da cui scattano fuori volti e gesti dei personaggi, i quali invece, nella versione successiva di Brera, risultano offuscati da un tenebrismo che si sta diffondendo sempre più, e che nelle ultime tele dell’esilio travolgerà le sembianze umane facendole spuntar fuori come delle isole rarefatte.

Repubblica 9.3.10
Palliative
Non soffrire, l´ultimo diritto
di Anna Rita Cillis

Tutte le terapie che devono accompagnare il percorso di chi soffre
Sono 250mila le persone che ogni anno entrano in fase terminale Dopo mesi di polemiche e battaglie, finalmente in Parlamento il disegno di legge. Che comprende anche le terapie del dolore

Ha vita complicata il disegno di legge sulle "Cure palliative e terapia del dolore". Il testo è da oltre un anno accompagnato da non poche diatribe al Senato come alla Camera. L´ultima, ieri, in Parlamento dove non sono mancate le polemiche tra opposizione e maggioranza. Il progetto di legge era arrivato alla Camera per l´approvazione definitiva, prevista per oggi, peccato però che si sia arenato nuovamente.
Un vero peccato, perché gli articoli scandiscono in maniera completa quali cure dovranno accompagnare il percorso di chi soffre. Prevedendo la «realizzazione di una rete ospedaliera, territoriale, ambulatoriale e domiciliare che dovrà garantire cure adeguate, la creazione di nuovi hospice, la formazione degli operatori socio-sanitari, il riconoscimento delle professionalità acquisite sul campo e l´obbligo di introdurre nella cartella clinica la rilevazione del dolore e le sue caratteristiche», spiega Livia Turco, tra le parlamentari più attive in questo campo. In più il pdl prevede anche la nascita di una rete di "attenzioni" per i piccoli malati (progetto innovativo al quale molto ha contribuito la Fondazione Maruzza Lefebvre D´Ovidio).
L´approvazione definitiva della proposta di legge era prevista proprio oggi alla Camera: le nubi che hanno accompagnato il suo iter sembravano dissolte. Così, non è stato, però. Non è la prima volta che accade. Va ricordato infatti, che il cammino è stato lungo, tortuoso, pieno di ostacoli negli anni. Le cure palliative, ovvero quell´insieme di interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata che al suo nucleo familiare, hanno avuto grandi difficoltà a radicarsi sul nostro territorio. Nonostante alcune leggi come quella del 1999 dell´allora ministro alla Salute Rosy Bindi sulla creazione degli hospice (strutture sanitarie residenziali riservate a malati alla fine della vita) e nonostante alcune disposizioni regionali e la volontà personale di numerosi camici bianchi, i servizi sono stati sempre a macchia di leopardo.
E, anche se ogni anno 250mila persone entrano nella fase terminale, il 40,6 per cento degli italiani non ha mai sentito parlare di cure palliative, il 10 le conosce solo di nome, il 25,9 ne ha solo una conoscenza vaga e solo il 16 ha un´idea precisa di cosa siano (da un´indagine della Fondazione Maruzzi). Per la terapia del dolore le cose non sono molto diverse, anche se riguardano una persona su quattro. Dati che non stupiscono Livia Turco: «Seguo l´argomento da così tanti anni da sapere perfettamente quanto poco sia conosciuto. Per questo la legge prevede anche delle campagne d´informazione. Perché il punto fondamentale di questa disegno di legge è che riconosce il diritto alla non sofferenza. Noi speriamo che non vengano meno i fondi per realizzarle». Un punto, quello dei fondi, molto dibattuto nei mesi scorsi: ma ora il testo stanzia cento milioni di euro l´anno (soldi vincolati alla concreta realizzazione da parte delle Regioni, però) dopo che il Pd aveva chiesto più volte e in più occasioni «una copertura finanziaria definita», rimarca Turco.
In attesa che il testo si trasformi in legge, Giovanni Zaninetta, presidente della Società italiana delle cure palliative, spera «che al più presto le indicazioni vengano adottate da tutte le Regioni. Per noi sarà una "ricchezza" questa legge, peraltro attesissima. Molto di quello che è stato fatto negli anni passati si deve al settore no profit».

Repubblica 9.3.10
Sotto il segno dell'ambiguità è la generazione "bi-curious"
di Maria Novella De Luca

Sempre più adolescenti sperimentano l´omosessualità e esplorano orgogliosamente territori di confine. Lontani da scuola e famiglia, le loro confidenze viaggiano su Internet. E ora gli specialisti si chiedono: specchio dei tempi o semplice moda
"La bisessualità nell´adolescenza è sempre esistita, solo che ora non è più un tabù"

Mutano, si nascondono, giocano con l´ambiguità. Ragazzi nell´età incerta, che scoprono se stessi, la sessualità, il corpo che cambia, e sperimentano sempre più territori di confine. Non solo "etero" dunque, ma anche "omo" e soprattutto "bisex". Hanno tra i quattordici e i diciotto anni e fanno parte di un movimento young-adult che in tutto il mondo ha fatto dell´ambiguità il proprio modo di amare. Le ragazze camminano mano nella mano, provano baci e carezze, i maschi si fermano ad abbracci più virili ma più espliciti di un tempo: più che bisex molti si definiscono bi-curious, curiosi doppiamente, si vestono con stile androgino, si ispirano all´inquieto movimento "Emo", si incontrano e si confidano in una galassia di siti e blog dove raccontano la loro ambiguità.
Un fenomeno così vasto e dichiarato, un outing così collettivo, che ormai da diversi mesi psicologi, sociologi, medici (ma anche cacciatori di tendenze) hanno messo il fenomeno dei teenager bisex sotto la lente di ingrandimento. Per capire se qualcosa è davvero cambiato nella sessualità dei giovani. O se invece gli adolescenti non abbiano semplicemente smesso di nascondere la loro indefinitezza sessuale. In una recente ricerca dell´Istituto di ortofonologia di Roma, è stato calcolato che tra gli undici e i sedici anni il 35 per cento delle ragazze, e addirittura il 60 per cento dei ragazzi, si è avvicinato o ha provato l´esperienza omosessuale.
Ma, al di là dei numeri, per Francesca Sartori, docente di Sociologia del genere all´università di Trento, tutto questo è la spia di un «forte cambiamento culturale». «L´adolescenza è l´età dell´onnipotenza, del voler provare tutto. La novità è che questa generazione sembra voler fare della propria ambiguità un modo di essere, una bandiera. Del resto questi teenager sono i figli di una società dove i ruoli tradizionali sono caduti, dove la confusione è forte, dove la moda, proprio sfruttando queste tendenze giovanili, propone immagini efebiche di maschi glabri e femmine senza seno, quasi indistinguibili. A mio parere però - aggiunge Sartori - è un azzardo parlare di gioventù bisex, perché è soltanto un´avanguardia trasgressiva che gioca con questi ruoli. E tra qualche anno capiremo se si tratta di "effetto età" o di un vero cambiamento. È certo, però, che gli adolescenti sperimentano una nuova libertà, ma anche un nuovo modo di non definirsi».
L´ultimo rapporto della Sigo, la Società italiana di ginecologia e ostetricia, segnala che gli adolescenti hanno le loro prime esperienze sessuali tra i quattordici e i sedici anni. Ed è in quel momento che la sperimentazione sessuale abbraccia più strade e più forme. E dove la scuola funge da terreno di conoscenza. Un tema a cui Federico Batini, ricercatore di Pedagogia all´università di Perugia, ha dedicato L´identità sessuale a scuola. «La bisessualità nell´adolescenza è sempre esistita, ma adesso non è più un tabù. Però il vero problema è che ai ragazzi mancano gli strumenti per decodificare ciò che gli accade, della sessualità sanno ciò che scoprono su Internet, spesso in modo grossolano e non selezionato. In famiglia il discorso non viene affrontato e a scuola non se ne parla affatto. La verità - conclude - è che non esiste per i giovani una alfabetizzazione sessuale».
Legge invece il diffondersi della bisessualità tra gli adolescenti come un problema legato al riconoscimento di sé Simonetta Putti, psicologa e psicoterapeuta, curatrice di un saggio a più voci dal titolo: Chirone, dinamiche dell´identità di genere. «Il disagio esistenziale è oggi un dato diffuso anche tra adolescenti e ragazzi. E se la sessualità non costituisce più un´area di divieto da parte dei genitori, è l´area dell´affettività e del sentimento ad essere in difficoltà, e sempre più "tecnomediata" da Internet, mail, sms. E infatti, dietro questa crisi dell´identità di genere, c´è a mio parere la forte crisi di identità di questa generazione».

Repubblica 9.3.10
“Ma in realtà la confusione dei ragazzi dipende dalle sofferenze psicologiche"
di Arnaldo D’Amico

Adolescenti confusi, è colpa degli ormoni? La domanda spunta dalle ultime ricerche che stanno scoprendo anche nella specie umana le influenze sulla fertilità, sui caratteri sessuali ma anche sul comportamento, osservati da tempo nel mondo animale. Sono causati dalla diffusione nell´ambiente di una particolare categoria sostanze - su cui la Food and Drug Administration americana la scorsa settimana ha lanciato l´allarme - che interferiscono negli equilibri degli ormoni sessuali. Dai pesci di un fiume del Colorado in cui aumenta la percentuale di femmine passando dalle sorgenti alla foce, dove l´acqua è piena di scarichi industriali, alle rane di un lago africano in estinzione perché i maschi rimangono castrati chimicamente da un fitofarmaco diffuso nell´acqua. Sino alla ricerca di due settimane che ha scoperto una tendenza androgina su adolescenti maschi del nord Italia: riduzione delle dimensioni medie di pene e testicoli, aumento dei casi di "micropene", distribuzione del grasso tendente a quella di tipo femminile ed aumento di statura dovuto soprattutto ad allungamento delle gambe.
«Scoperta che non sorprende - dice il responsabile della Uo di Endocrinologia dell´Età evolutiva dell´ospedale Cervello di Palermo, Piernicola Garofalo, presidente dell´Associazione medici endrocrinologi, Ame - ci voleva solo più tempo perché gli effetti visti sugli animali si scoprissero anche nella specie umana: queste sostanze agiscono già in dosi minime, ma con tempi lunghi, di decenni. Si chiamano "interferenti endocrini" proprio perché, pur se nati con scopi diversi, come additivi delle plastiche, pesticidi, fitofarmaci, ecc, casualmente hanno la capacità di bloccare l´azione degli ormoni, in particolare gli androgeni, una volta nel corpo».
Quando agiscono e che effetto hanno?
«Agiscono durante lo sviluppo sessuale che inizia nel grembo materno e si conclude intorno ai venti anni, con fasi più o meno intense. In questo periodo gli organi riproduttivi si differenziano in maschili e femminili e poi maturano. Si acquisiscono i caratteri sessuali esterni corrispondenti, distribuzione dei peli, del grasso corporeo, tono della voce e dimensioni degli organi sessuali. Il tutto è scritto nei geni che plasmano il corpo in senso maschile o femminile attraverso gli ormoni sessuali. Ma gli interferenti endocrini, contrastando l´azione degli ormoni sessuali, frenano tutto il processo di sviluppo sessuale».
Influenzano anche il comportamento?
«Certo, il carattere maschile e femminile sono determinati dall´azione dei rispettivi ormoni sessuali sul cervello, soprattutto nelle prima fasi di sviluppo quando maggiore è la neuroplasticità».
Quindi le confusioni sulla identità sessuale degli adolescenti possono dipendere da squilibri ormonali?
«Il teoria si, perché in animali di laboratorio si può arrivare ad "invertire" l´aspetto sessuale con dosi massicce di ormoni del sesso opposto a quello dei geni. In pratica no, per due motivi. Primo, gli interferenti endocrini riducono i caratteri sessuali maschili e basta, non stimolano quelli femminili. E´ il fenomeno della androginia. Secondo, gli adolescenti che stanno a disagio nel proprio sesso hanno profili ormonali e tutto il resto perfetti 9 volte su 10. La causa sta in sofferenze psicologiche e esistenziali che si focalizzano sulla identità sessuale, che pertanto è solo un bersaglio. Parola di endocrinologo».