giovedì 11 marzo 2010

l’Unità 11.3.10
Se Bersani duetta con Pannella
Democratici e radicali, perché no?
di Valter Vecellio

Domenica scorsa a Roma non si è “solo” svolta un’assemblea in cui i radicali si sono interrogati, non tanto se prendere parte alla competizione elettorale, piuttosto come farlo stante la perdurante illegalità, le patenti, clamorose, pervicaci violazioni di legge; di come, insomma, “giocare” al tavolo dei bari. In quell’assemblea è accaduto qualcosa di importante, significativo, che autorizza ottimismo. La partecipazione del segretario del Pd Bersani non è stata formale, non si è limitato a un “saluto”. Tutt’altro. Bersani è venuto e ha subito salutato il “popolo” radicale riconoscendolo come soggetto politico; e ha parlato con «amicizia e rispetto», riconoscendone autonomia, correttezza, onestà politica. Sono importanti anche i “gesti”, la mimica, il “portarsi”: Bersani non ha parlato da un podio, come pure avrebbe potuto fare, non ha estratto i foglietti di un discorso preconfezionato; si è invece seduto, tra Emma Bonino, Marco Pannella, Mario Staderini, come si fa tra compagni e amici di una tavolata, interessato ad ascoltare e a farsi ascoltare, comprendere, farsi capire. Ha parlato e ascoltato la controreplica di Pannella: che ha puntigliosamente ripercorso le tappe del travagliato, difficile rapporto tra radicali e Pd. Bersani e Pannella si sono guardati negli occhi, pari a pari.
Lo può confessare un radicale fin dai primi anni ’70 che si ritrova ora tra i quasi-vecchi di questo partito? È stato emozionante. Ricordo bene come l’incontro, il dialogo, di domenica sia il risultato di un lungo cammino: iniziato, a voler trovare una data, nel 1959, quando Pannella sul Paese offriva al Pci, in luogo dell’unità delle sinistre laiche, l’unità laica delle sinistre; e ne veniva rampognato da Togliatti da una parte, dal Mondo dall’altra...
In questa nostra lunga storia ci sono stati momenti di dura contrapposizione, dove nulla è stato risparmiato: brucia ancora, perché nasconderlo, il verboten a liste collegate che portassero il nome di Luca Coscioni; e l’altro verboten alle candidature di Pannella e Sergio D’Elia; il mancato accordo alle elezioni europee... lo ricordo non per una sterile rivendicazione dei torti subiti, quanto perché si tratta di ragionare, conoscere, e superare. Perché dagli errori di “ieri” tutti abbiamo da apprendere qualcosa. Per il momento, mi basta e mi scalda il cuore aver assistito al “duetto” tra Bersani e Pannella, solo qualche mese fa impensabile. Non appare più una missione impossibile quella di riuscire a costituire un autentico Partito Democratico, dove siano rispettate e valorizzate le diverse “anime” come negli Stati Uniti. Abbiamo un sogno, sta a noi far sì che diventi realtà. E l’Unità può avere un ruolo importante, di stimolo, conoscenza, collettiva riflessione, nella costruzione di questo sogno.❖

Repubblica 11.3.10
Il documento di adesione alla piazza di sabato. "Nessuno di noi interverrà dal palco"
Il Popolo viola: lasciamo stare il Colle la priorità è far cadere il Cavaliere
È online l´appello del movimento Coreografia: serpentoni, pupazzi e la Costituzione
di Alberto D’Argenio

ROMA - "Andiamo avanti". Con questo slogan il popolo viola si prepara alla manifestazione di sabato convocata dopo l´approvazione del decreto salva-liste. Ma la gente della Rete guarda oltre, al di là dei partiti che saranno in Piazza del popolo (salvo sorprese tutti quelli del centrosinistra) e di quelle che definisce "beghe" della politica quotidiana. Punta al sodo: «Il nostro obiettivo sono e rimangono le dimissioni di Silvio Berlusconi». E quindi, è la decisione, nessuno del movimento prenderà la parola dal palco. «Per non entrare nelle polemiche tra partiti su chi parla e chi non parla, se Napolitano ha fatto bene o male a firmare il decreto». La presenza viola sarà comunque ben visibile, si pensa anche a dei serpentoni giganti, rigorosamente viola, che attraverseranno la piazza.
Eppure un messaggio politico il popolo della Rete lo manda già nell´appello stilato dalla sua "intelligenza collettiva" che sta circolando online: «Il teatrino della politica italiana si sta fossilizzando su temi particolari - come la rapidità della firma di Napolitano o la legittimità delle liste - che rischiano di mascherare il reale attentato alla democrazia da parte del governo». Ecco perché i viola tra le condizioni poste per la loro adesione in piazza hanno chiesto che fossero presenti tutti i partiti del centrosinistra, in modo da non essere accostati a nessuno in particolare.
Intanto gli organizzatori preparano le coreografie da esporre sabato alle manifestazioni sparse nelle varie città italiane (tra cui Milano, Bologna, Reggio Calabria) e per quella di Piazza del Popolo, a Roma. I partiti del centrosinistra puntano al pienone, cento o anche duecento mila persone. E tra musica, interventi dei leader politici e della società civile, una parte della piazza sarà occupata dagli autoconvocati del web. Una macchia di colore, sciarpe e magliette viola, ma anche pupazzi e simboli per la difesa della Costituzione. Preparativi magmatici, come Internet, in cui ognuno si prende «un pezzetto» di spazio e lo gestisce. Potrebbero tornare i letteroni giganti a comporre scritte e slogan.
Di cosa parleranno è chiaro, basta leggere l´appello viola: «C´è un governo che sta imponendo una deriva autoritaria cambiando le regole del gioco, promulgando leggi ad personam e minacciando i supremi rappresentanti delle nostre istituzioni alla quale bisogna reagire con una grande battaglia di democrazia e civiltà» in difesa della Costituzione. Basta con le polemiche su Napolitano e «andiamo avanti», «tutti uniti per combattere l´Emergenza Democratica». Ecco perché, conclude la convocazione online, «la manifestazione deve essere un nuovo punto di inizio e di riconquista della fiducia dei cittadini che credono ancora nelle istituzioni e nello Stato. Cambiare è possibile e il rispetto delle regole esiste ancora in questo Paese».

Repubblica 11.3.10
Perché le regole sono la democrazia
La controversia sulle elezioni regionali porta alla luce due concezioni opposte della politica e del diritto
di Carlo Galli

Porre in contrasto il diritto al voto con l´ordinamento vigente non è filosofia politica, ma la solita emergenza quotidiana
La teoria "contenutistica" che vede nel popolo il "sovrano assoluto" è in concorrenza con il costituzionalismo

Un triste destino ha colpito le due categorie centrali della metafisica occidentale, sostanza e forma. Dal loro significato originario – elaborato da Platone e Aristotele – , che indicava rispettivamente il fondamento di tutto ciò che è, e gli schemi razionali del suo configurarsi, sono giunte a essere sinonimo, nell´attuale discorso pubblico italiano, di "contenuto reale" e di "apparenza superficiale". Un impoverimento che ha anche un forte valore polemico, e che riprende, semplificandola e distorcendola, una dialettica autentica che si è storicamente manifestata – con altri nomi e altri concetti – all´interno della teoria politica. Infatti, la politica non si esaurisce certo nelle forme giuridiche, nella norma, nella procedura, nelle istituzioni. E soprattutto la democrazia è anche sostanza: implica infatti, alla radice, la pienezza del popolo, la sua presenza sulla scena politica come identità, come fonte della sovranità, come origine e fondamento del potere.
C´è, nella teoria democratica moderna l´esigenza che il popolo sia una unità politica originaria, immanente, autonoma e autosufficiente, che precede ogni forma istituzionale e giuridica: questa democrazia sostanziale si presenta come potenza della moltitudine in Spinoza, come rinnovamento morale dell´uomo e della società in Rousseau, come emergere di una forte conflittualità in Sorel, e come radicale avversione per le istituzioni nel marxismo rivoluzionario: in questi casi, pur così lontani tra di loro, la forza del popolo non conosce se non quei limiti e quelle forme che pone da sé, in via provvisoria e transitoria, sempre pronta superarli, a travolgerli. Il popolo, qui, è potere costituente, energia che non si neutralizza mai del tutto; è legittimità, sempre in grado di forzare la legalità; è un Bene che si impone assolutamente, un Valore che si afferma, con una voce corale e collettiva.
Questo modo sostanziale e radicale di pensare la democrazia è in concorrenza per tutto il corso della modernità – e nel XX secolo alimentò il confronto fra due giuristi come Schmitt e Kelsen – con la democrazia liberale e costituzionale, che differisce dalla prima su due punti. Innanzi tutto, è intrinsecamente limitata, poiché valuta come Bene fondamentale i diritti dei singoli, in regime di uguaglianza; e al fine di salvarli e promuoverli incanala il potere entro le forme e le procedure delle istituzioni repubblicane. Inoltre, questa democrazia riconosce sì al popolo la titolarità originaria della sovranità, ma non gliene consente l´esercizio diretto. La democrazia liberale è quindi rappresentativa, non identitaria, e prevede che la voce del popolo si articoli in una pluralità di opinioni, all´interno di un´istituzione che nel dialogo trova la propria ragion d´essere: il parlamento – contro il quale si rivolgono le polemiche di Rousseau, di Sorel, di Marx e di Lenin – . In questa democrazia il potere del popolo, la sostanza, non si dà senza la forma, e soprattutto non può mai trascenderla. Il che significa che la legittimità deve farsi legalità, che il potere costituente non può non istituzionalizzarsi in potere costituito. Non esiste alcun potere assoluto, neppure quello del popolo – meno che mai quello dei suoi rappresentanti, o del governo – .
Il liberalismo seicentesco di Locke e quello ottocentesco di Mill, oltre alla tradizione del costituzionalismo inglese e nord-americano, stanno alla base di questa accezione della democrazia, che ispira anche le costituzioni contemporanee. Ma non è una democrazia inerte, apatica e relativistica, non persegue la piena giuridificazione tecnica, formalistica e procedurale della politica, non esclude passioni e sentimenti, valori e speranze; vive anzi della dialettica tra le dimensioni del diritto e del potere, tra forma e sostanza, fra legalità e legittimità. E nel nostro tempo la sostanza della democrazia, del potere del popolo, sono i valori dell´umanesimo laico e cristiano, liberale e socialista, incorporati nella Costituzione. Sono lo sforzo all´inclusione, alla partecipazione (anche in senso elettorale), all´uguaglianza reale. Sono gli interessi legittimi e i loro conflitti, la dignità del lavoro e delle professioni, le fatiche e le speranze dei cittadini. Ma tutto ciò può valere e essere difeso nelle forme del diritto, che sono ormai pienamente democratiche.
La contrapposizione tra sostanza e forma, infatti, è stata risolta in quell´autentico caso d´eccezione che fu l´instaurazione dell´attuale ordinamento giuridico-politico, fra il 1943 e il 1948; lì c´è stata la decisione sovrana del popolo, che ha affermato come legittimo il proprio potere e gli ha dato la forma costituzionale attuale. Quindi mettere oggi in contrapposizione forma e sostanza – come se la prima fosse nulla, senza capire che è invece il modo d´essere della sostanza – è usare il caso d´eccezione non per creare ma per distruggere: nessuna sostanza politica, oggi, può affermarsi contro la forma costituzionale, o fuori di essa; neppure il diritto di voto può essere contrapposto all´ordinamento (come si è tentato di fare, poiché non si sono volute perseguire altre vie). La democrazia della sostanza, oggi, è una democrazia informe e illegale; non potere del popolo ma conato di populismo; non ordine, ma la solita emergenza quotidiana.

Repubblica 11.3.10
Monarchia carismatica
Tra politica e show-business. Un regime privatizzato
Per sua natura e vocazione la monarchia carismatica, aziendale, populista e spettacolare appare poco compatibile con la complessità degli assetti giuridici e istituzionali
di Filippo Ceccarelli

Residenze private fatte pubbliche, da villa La Certosa a Palazzo Grazioli, con tanto di tricolore al balcone e seratine «simpatiche»come dice il premier. Picchetto d´onore a Palazzo Chigi per accogliere il socio d´affari, principe Al Walid. Istituzionalizzazione di casa Letta, del salotto Angiolillo e dello studio di Bruno Vespa per la firma del Contratto con gli italiani e la sua verifica annuale, sulla medesima scrivania in ciliegio.
Cosa è più, ormai, la distinzione tra forma e sostanza in tarda epoca berlusconiana? I miscugli di cui sopra si riferiscono al quinquennio 2001-2006, due legislature orsono. Per dirne l´evoluzione o regressione che sia, per far capire quanto poco al Cavaliere stia a cuore di salvare la forma, appunto, oltre che la sostanza, basterà qui far presente che dopo aver presentato il suo quarto governo alle Camere, nel maggio del 2008, non è più intervenuto né a Montecitorio né a Palazzo Madama.
Del resto lì ha messo gente anch´essa molto poco portata a soffermarsi sulle antiche distinzioni, tanto formali quanto sostanziali, che regolano i rapporti fra le istituzioni. Uno di questi testimonial del berlusconismo trans-istituzionale, anche lui segnalatosi per un´impegnativa e temeraria valutazione su forma e sostanza, è il presidente del Senato Schifani, a suo tempo (2002) innalzato dal suo ex compagno di partito Filippo Mancuso a «Principe del foro del recupero crediti».
Mancuso era quell´ex alto magistrato piccoletto, già Guardasigilli ribellatosi al governo Dini, che parlava una strana lingua aulica e assai espressiva, ma il senso giuridico della separazione senza dubbio lo possedeva. La sua turbinosa uscita da Forza Italia, dove era stato accolto come una sorta di coscienza della continuità, segna un punto di non ritorno nel processo di alterazione della norma e delle regole e quindi dei comportamenti. Con il che lo stesso giorno in cui Schifani ascese alla terza carica dello Stato pensò bene di andare a ringraziare a Palazzo Grazioli.
Fossero solo le liste elettorali, infatti, i decreti legge interpretativi o le pantomime in Consiglio dei Ministri quando c´è da legiferare sulla televisione e allora Berlusconi e Letta si alzano e fanno finta di astenersi. Tutto questo non dipende da innata cattiveria o conveniente ipocrisia. Solo quel tanto che attiene alla natura umana. È che per sua natura e vocazione, la monarchia carismatica, aziendale, populista e spettacolare appare del tutto incompatibile con la complessità degli assetti giuridici; né mai riuscirà a comprendere i vincoli posti da tradizioni lontanissime dalle logiche del potere personale, del mercato e dello show-business.
A proposito del suo governo ha detto il presidente Berlusconi nell´autunno del 2008: «Per la prima volta ne ho uno che fila come un orologio, sembra un consiglio d´amministrazione». Che l´ingranaggio si sia con il tempo un po´ rallentato non toglie nulla a un paradigma, a un modello, a una condizione del tutto inedita secondo cui il Cavaliere tiene moltissimo sia alla forma che alla sostanza: ma a patto che sia lui non solo a ridefinirne i confini, ma a stabilire cosa siano l´una e l´altra.
E poiché tale processo, che poi coincide con la definitiva presa del potere, non si è ancora compiuto, ecco che tra commistioni, contaminazioni, superamenti, scavalcamenti e altre poco simpatiche forzature, dal continuo miscuglione di forma & sostanza ha finito per generarsi una specie di "formanza". Mostruosa ibridazione, enigmatico incrocio che in fondo ha già cominciato a mettere a dura prova politici, giuristi, filosofi, sociologi e addirittura giornalisti rotti a qualsiasi invecchiatissima novità.

Repubblica 11.3.10
L’importanza del rispetto della legge
Il potere alla prova
di Nadia Urbinati

La formula "stato di opinione" che si usa per alcuni sistemi sudamericani sta prendendo il sopravvento sullo "stato di diritto". Soprattutto quando il governo compie atti in contrasto con le norme

"The law is the law is the law" – a molti nostri connazionali questa massima deve apparire come un´insopportabile tirannia del formalismo. Forse si sentono piú a loro agio con quest´altra formula: "estado de opinión", usata nei regimi demo-autoritari sudamericani per sottolineare il contrasto con lo "estado de derecho", la tensione tra il governo dell´opinione di chi governa e il governo della legge. Forma e sostanza non sono due opposte dimensioni della democrazia perché senza procedure che limitano l´azione politica non c´è sostanza democratica in quanto a contare non sarà l´opinione generale ma un´opinione di parte, non importa quanto grande. In altre parole, violare le norme che mettono in pratica il principio di eguaglianza si traduce in una violazione della sostanza democratica che è appunto l´eguaglianza. Ecco perché mentre la legge è sempre al nostro servizio, l´opinione di chi governa non lo è necessariamente. Questo vale soprattutto quando si ha a che fare con un diritto politico fondamentale come quello elettorale.
Perciò, in casi estremi, quando ci sono dubbi o evidenti scorrettezze è al potere giudiziario che la democrazia si rivolge (un potere che, vale ricordarlo, è anch´esso democratico). Perché è possibile che nell´espletamento del diritto elettorale si verifichino negligenze ed errori. Ad essere rivelatore della solidità democratica è in questo caso il comportamento della classe politica. Nelle contestatissime elezioni americane del 2000, quando per risolvere la diatriba sul conteggio dei voti in Florida intervenne la Corte Suprema, Al Gore, il candidato che risultò perdente (benché forse i voti gli avevano dato la vittoria) non si sognò neppure di attaccare i giudici e gridare che è la sostanza politica a fare la democrazia. Nel caso da noi in discussione in questi giorni, invece, si assiste a questo ribaltamento delle parti: se l´esclusione di una lista elettorale avviene perché qualcuno non ha rispettato le regole, allora si invoca la sostanza contro la forma e si dice che l´esclusione è stata provocata dalla legge, non dal suo mancato rispetto. Qui l´intervento della giustizia è dichiarato un attentato alla democrazia. L´esito politico di questo ragionamento assurdo è inquietante.
Il paradosso è il seguente: fino a quando esiste un accordo tra l´opinione politica e la legge allora vale la massima "the law is the law is the law". Quando invece c´è disaccordo tra opinione e legge ad avere la precedenza è la sostanza che consiste appunto nella preferenza di una parte – la massima diventa allora "estado de opinión" contro "estado de derecho". Il fatto è che, siccome a decretare l´una o l´altra soluzione è comunque la preferenza politica, anche quando pare che a vincere sia la legge in realtà a vincere è sempre l´opinione. Ecco perché le interruzioni della regola nel nome della sostanza sono ben più di un incidente di percorso o di una soluzione di emergenza per sanare una situazione eccezionale. Esse si traducono in una vera e propria sostituzione dello "estado de opinión" allo "estado de derecho". E questo puó scardinare la democrazia.
Ma allora, perché alcuni stati democratici sono piú inclini di altri a rispettare le regole che si sono dati? La spiegazione non è univoca perché la domanda mette in campo dimensioni diverse, come quella legale e quella etico-culturale; tuttavia è possibile formulare questa massima generale: perché una società democratica resista nel tempo è fondamentale non solo che abbia buone leggi ma anche che il suo personale politico sia disposto ad autolimitarsi per rispettarle.

l’Unità 11.3.10
Quando eravamo clandestini
Quando manca un mese alla fine dei diritti Rai su Il cammino della speranza, esce un libro con lo stesso titolo sulla nostra emigrazione
di Vittorio Emiliani

È un film drammaticamente attuale ed efficace, anche se un po' “melò”, Il cammino della speranza (1950) di Pietro Germi. Una storia degli anni del dopoguerra quando noi italiani eravamo ancora fra i protagonisti assoluti dell’emigrazione in Europa, nelle Americhe, in Australia. Emigrazione con tanti clandestini. Insomma, i migranti di Rosarno o di Castel Volturno eravamo noi. Come racconta questa pellicola della quale la Rai possiede i diritti ancora per un mese o poco più. Secondo noi, dovrebbe trasmetterla al più presto. Se pur dovesse attrarre un pubblico limitato (ma non è detto, se sarà pubblicizzata a dovere), parecchie centinaia di migliaia di italiani si renderebbero conto di una realtà spesso dimenticata o rimossa. Comunque sconosciuta, ne siamo certi, a giovani e giovanissimi.
Il film racconta la disperata povertà di un gruppo di ex zolfatari di Favara (Caltanissetta), la loro dolorosa decisione di emigrare, il viaggio da clandestini verso la Francia, che rischia la tragedia al confine italo-francese, sulle Alpi. La proiezione della pellicola di Germi andrebbe accoppiata ai dati e ai temi proposti da un libro molto recente, documentatissimo nelle sue 435 pagine, appena uscito da Einaudi. Reca lo stesso titolo del film in questione, Il cammino della speranza di Sandro Rinauro dedicato all’emigrazione clandestina italiana. Esso riporta talune tabelle che parlano da sole.
Dal 1946 al 1961 (quando l’Italia vive il suo primo “boom” economico) gli Italiani espatriati legalmente nei vari continenti sono quasi 4 milioni e mezzo: 2.735.170 nell'area europea, fra Comunità Europea, Inghilterra, Svizzera (meta importantissima, allora). Ma 1.423.770 varcano ancora l’Oceano, dei quali ben 890.000 diretti in America del Sud. Da dove partono questi emigranti “legali”? Si sa che i leghisti più integralisti negano che i veneti emigrassero: invece sono proprio loro a lasciare l’Italia più di tutti, in oltre 611.000 (più 276.000 friulani e veneto-giuliani e 62.000 fra trentini e alto-atesini), seguiti dai campani (496.000), dai siciliani e dai calabresi (entrambi sui 420.000 espatriati), dai pugliesi, e così via. Ma vi sono ancora, in questa massa di emigranti, ben 292.000 lombardi e 222.000 emiliano-romagnoli.
Gli espatri continuano e questo è meno noto anche dopo il 1961. Da qui al 1976 partono quasi 3.000.000 di italiani. Per l’80 per cento in Europa. La metà circa diretta in Svizzera. Mentre in 400.000 prendono la via degli Usa. Ora però gli emigranti risultano soprattutto meridionali, all'80 e più per cento. In prevalenza pugliesi e campani (rispettivamente 471.000 e 441.000), seguiti da siciliani e calabresi appena più sotto. Tuttavia ci sono ancora, fra i nostri migranti, 245.000 veneti, 184.000 lombardi e 111.000 fra friulani e veneto-Giuliani. Tuttavia, in questo secondo e ultimo periodo del grande esodo italiano all’estero, gli espatri risultano quasi integralmente bilanciati dai rimpatri.
Andiamo ora al nodo vero: quanta è stata e dove si è diretta l’emigrazione clandestina italiana? Il libro di Rinauro, approfondito e ricco di dati, si sofferma soprattutto sugli espatri illegali, di stagionali inizialmente, verso la vicina Francia (dove i “macaronì” erano comunque meglio accolti, nonostante tutto, degli algerini). Da noi la destra ha enfatizzato gli arrivi via mare di clandestini che poi sono risultati inferiori alle 30.000 unità l’anno. Ma quella grancassa propagandistica doveva servire a creare insicurezza, paura, rifiuto dell'immigrazione, soprattutto di quella di origine africana. Ebbene, dal libro di Sandro Rinauro si rileva che i lavoratori italiani regolarizzati dopo la loro entrata nel solo territorio francese sono stati tanti. «A parere del Quai d’Orsay, dal 1946 al 1950», fa notare l'autore, «erano entrati in Francia (e siamo già in pieno secondo dopoguerra, non fra Ottocento e Novecento ndr) 143.416 lavoratori italiani e di questi nientemeno che il 40-50 per cento, ovvero da 58.000 a 72.000 individui, erano entrati clandestinamente ed erano stati regolarizzati successivamente». Per non parlare dei familiari, sia italiani che spagnoli o portoghesi. E anche fra il 1960 e il 1970 poco meno di 100.000 lavoratori italiani vengono regolarizzati dopo il loro ingresso in Francia. Clandestini pure loro, dunque. Ma chi se ne ricorda in questa Italia che purtroppo sembra tendere sempre più alla chiusura e al razzismo? Ricordiamoglielo con libri, film, dibattiti. Rai, se ci sei, batti un colpo.❖

l’Unità 11.3.10
Ronde, clandestinità e centri: l’Onu mette sotto accusa l’Italia
L’Alto commissario per i diritti umani interviene al Senato e denuncia la politica sui migranti: «Alimenta paura e sfiducia»
di Umberto De Giovannangeli

Un j’accuse pesante contro le norme contenute nel pacchetto sicurezza varato dal Governo italiano. A pronunciarlo è l’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, Navi Pillay, parlando ieri alla Commissione diritti umani del Senato. Nel mirino dell’Alto commissario in particolare l’aggravante di clandestinità, l’istituzione delle ronde, i militari in città, le condizioni all’interno dei Cie (centri di identificazione ed espulsione).
«I migranti spiega sono spesso percepiti come una minaccia alle comunità esistenti ed in alcuni Paesi c’è il rischio di tenere la migrazione all’interno dei confini della sicurezza. Si tratta di un approccio riduttivo che alimenta sfiducia e paura». Ha quindi criticato l’istituzione delle ronde e la decisione di usare militari per la sicurezza delle città. «Quando sottolinea vengono chiamate militari a presidiare le strade e volontari per la sicurezza si danno risposte molto visibili alla migrazione ma a soffrire è la tutela dei diritti». Inoltre, aggiunge, «i politici devono astenersi da dichiarazioni discriminatorie nei confronti dei migranti». «È responsabilità delle autorità pubblica secondo Pillay garantire che i migranti non siano attaccati e discriminati. Sono poi in corso inchieste sui fatti di Rosarno e sollecito le autorità a portare i responsabili davanti alla giustizia e ad attuare politiche di prevenzione di questi fenomeni». «Continuo a essere preoccupata dalle misure contenute nel “pacchetto sicurezza” italiano incalza Pillay che rende lo status irregolare di un migrante una circostanza aggravante per un reato comune. mi auguro sia assolutamente chiaro che è responsabilità delle pubbliche autorità assicurare che i migranti non siano stigmatizzati, calunniati o aggrediti». «In base alle leggi internazionali,
la privazione della libertà deve essere sempre l’ultima misura da applicare, serve una base giuridica per la detenzione. I migranti devono essere informati dei loro diritti e devono poter ricorrere contro l’illegalità della detenzione». Si è quindi detta «preoccupata per le condizioni all’interno dei Cie, in cui relazioni indicano la presenza di sovraffollamento e difficoltà di accesso a diritti. Pillay ha espresso in generale «preoccupazione per lo stato di diritto in Italia», sottolineando come la «magistratura sia messa a repentaglio dall’esecutivo».❖

l’Unità 11.3.10
Ramallah, Biden contro Israele: così salta il negoziato di pace
I nuovi 1600 alloggi da costruire a Gerusalemme Est criticati da Usa, Europa e Onu
Il vice presidente americano ribadisce il pieno appoggio alla nascita dello Stato Palestinese
di Umberto De Giovannangeli

Una mossa intempestiva. Uno schiaffo all’amico americano. Da Ramallah, il vice presidente Usa ribadisce la critica al piano di colonizzazione di Gerusalemme Est. Critiche anche da Onu, Ue, Lega Araba.

La colonizzazione israeliana sta minando la fiducia dei palestinesi in nuovi negoziati di pace. È la presa d’atto del vice presidente americano Joe Biden. E con lui, dell’Unione Europea e del segretario
generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon.
PIOGGIA DI CRITICHE
Biden, che già l’altro ieri aveva condannato pubblicamente la decisione israeliana di dare via libera ai 1600 nuovi alloggi a Gerusalemme Est, ha rilasciato una dichiarazione a margine del suo incontro con Mahmud Abbas (Abu Mazen) nella sede di Ramallah della presidenza dell' Autorità nazionale palestinese (Anp): dichiarazione nella quale ha fra l'altro reiterato il pieno sostegno di Washington alla nascita di un futuro Stato palestinese nell'ambito di un accordo di pace con Israele fon-
dato sulla soluzione dei “due Stati per due popoli”. «È compito di entrambe le parti costruire un clima di sostegno ai negoziati e non complicarne il cammino», ha ammonito Biden, ribadendo che a giudizio degli Usa «la decisione del governo israeliano di far avanzare i piani di edificazione di nuovi alloggi a Gerusalemme est mina esattamente la fiducia di cui c'è bisogno adesso al fine di avviare e realizzare negoziati proficui». Quanto al futuro, il vice-Obama è stato netto nel riaffermare l'impegno Usa a favore di «uno Stato palestinese governabile e dotato di continuità» territoriale. «Deve essere chiaro a tutti ha rimarcato che non c'è oggi alternativa alcuna alla soluzione dei due Stati, destinati a essere parte integrante di qualsiasi piano di pace globale». Abu Mazen, da parte sua, ha avvertito che i negoziati potranno andare avanti solo se Israele adempirà con i fatti agli «impegni del processo di pace» e «cesserà di compiere azioni che ne pregiudicano l'esito». «Questo è un momento di grandi sfide per gli sforzi degli Stati Uniti di portare avanti il processo politico» in Medio Oriente, ma l'azione di Israele sta «danneggiando sicuramente» e «minerà definitivamente la fiducia nelle prospettive di pace», ribadisce il premier palestinese Salam Fayyad nel suo incontro con il vice presidente Usa.
LO SCONTRO
Le reazioni nello Stato ebraico all’improvviso annuncio del ministero dell’Interno sulle 1600 nuove abitazioni a Gerusalemme Est, toccano tutta una gamma di emozioni che vanno dall'imbarazzo, allo sgomento, alla rabbia e a poco sono valse le spiegazioni del primo ministro, Benyamin Netanyahu, che ha affermato di essere stato sorpreso dall'annuncio, e del ministro dell'Interno, Eli Ishai, che ha ammesso, scusandosi, che il momento «non era quello giusto». Alle critiche scontate dell'opposizione, per la quale l'annuncio del ministero ha toccato «un record di stupidità diplomatica», si sono aggiunte quelle del ministro della Difesa e leader laburista, Ehud Barak, che ha espresso «collera per un superfluo comunicato, che turba i negoziati di pace con i palestinesi».
«È difficile decidere quale possibilità sia quella peggiore: che il premier Netanyahu abbia deciso di sabotare la ripresa dei negoziati di pace con i palestinesi anche a spese di una crisi nei rapporti con l'amministrazione Obama o che abbia perso il controllo di una delle questioni più esplosive del Medio Oriente», scrive il quotidiano Haaretz in un commento dal titolo «Uno schiaffo udito in tutto il mondo». «L'uomo più vicino a Netanyahu a Washington rileva il Maariv, riferendosi a Biden ha ricevuto qui il trattamento abituale, a causa del quale l'ospite tornerà a casa furibondo, umiliato e con animo vendicativo». Malgrado l'evidente imbarazzo del premier, fonti a lui vicine hanno detto d'altronde che Netanyahu non può condannare un'iniziativa edilizia, per quanto controversa, essendo in armonia con la sua convinzione che l'intera Gerusalemme debba essere l'indivisibile capitale di Israele.❖

l’Unità 11.3.10
Intervista a Shulamit Aloni, L’avvocata pacifista che lavorò a fianco di Rabin
«Obama apra gli occhi
Al governo di Israele razzisti e colonialisti»
L’ex ministra israeliana: «L’esecutivo Netanyahu è un ostacolo alla pace. Il mio Paese ostaggio del fanatismo religioso. Gli Usa devono fermarli»
di Umberto De Giovannangeli

Dialogo addio «Sono estremisti, puntano al Grande Israele. Ne faranno un ghetto atomico in guerra con il mondo»

Spero che Biden abbia compreso la lezione. E si sia reso finalmente conto, e con lui Barack Obama, che Israele è oggi governano del suo incontro con Biden, fosse un messaggio rivolto non solo agli Usa ma anche a Netanyahu: un messaggio di chi sa di avere il coltello dalla parte del manico».
Cosa la preoccupa di più dell’attuale
to da pericolosi estremisti ispirati da una cultura razzista e colonialista». A sostenerlo è una delle personalità di maggior spicco della sinistra laica e pacifista d’Israele: Shulamit Aloni, fondatrice di «Gush Shalom» (Pace Adesso), più volte ministra nei governi guidati da Yitzhak Rabin e Shimon Peres.
«Obama sottolinea Aloni non può considerare la colonizzazione di Gerusalemme Est e dei Territori come un “incidente di percorso”, o un espediente tattico di Netanyahu. La colonizzazione è una scelta strategica per la destra nazionalista. È la realizzazione del disegno del Grande Israele. La colonizzazione è l’atto di morte per una pace fondata su due Stati». Uno schiaffo in faccia al vice presidente Usa: così i giornali israeliani hanno interpretato l’annuncio del via libera per la costruzione di altre 1600 unità abitative a Gerusalemme Est. «Più che di “schiaffo”, metaforicamente parlando, direi che si tratta di una sonora legnata. Spero almeno che sia “salutare”...». Salutare per cosa? «Perché Barack Obama prenda finalmente atto di chi governa oggi Israele...» E chi lo governa? «Un esecutivo dominato da razzisti come Lieberman o da ultrafondamentalisti rispetto ai quali Benjamin Netanyahu appare un pragmatico moderato. Tant’è che da più parti si è detto e scritto che l’aver annunciato il via libera al progetto di altre 1600 case a Gerusalemme nel giorno del suo incontro con Biden, fosse un messaggio rivolto non solo agli Usa ma anche a Netanyahu: un messaggio di chi sa di avere il coltello dalla parte del manico».
Cosa la preoccupa di più dell’attuale governo israeliano?
«La sua arroganza. Il concepire Israele come un “ghetto atomico” in guerra col mondo circostante. È la logica militarista che lo anima. È pretendere la cacciata dell’Iran dalle Nazioni Unite e al tempo stesso far carta straccia di quei Rapporti o Risoluzioni che inchiodano Israele a impegni mai attuati. È il giocare con la parola “dialogo” solo per guadagnare tempo e gettare sabbia negli occhi di una comunità internazionale che fa finta di non vedere, di non capire...».
Al suo j’accuse si può eccepire sostenendo che Israele è una democrazia e chi governa è perché ha vinto libere elezioni.
«Lei ha toccato il punto più dolente. Da tempo sono giunta alla conclusione che Israele non è più una democrazia ma una “etnocrazia” aggressiva. Questa destra non vuole la pace, ma l’intera Terrasanta senza arabi né moschee. Mi piange il cuore nel dire che oggi Israele, il Paese per cui ho combattuto, è ostaggio del fanatismo religioso. La nostra democrazia è oggi minata dall’interno. E sa perché?...». Perché, signora Aloni...
«Perché democrazia e oppressione esercitata contro un altro popolo sono tra loro inconciliabili. Perché se a dettare legge, nei rapporti con i palestinesi, è la forza, essa finisce per penetrare in ogni ambito della nostra vita sociale, a determinare ogni atto. Contro questa destra che uccide ogni speranza di pace ci vorrebbe una rivolta morale, prima che politica».
Cosa si attende da Barack Obama?
«Una coerenza tra parole e fatti. Ciò, purtroppo, non è avvenuto nel suo primo anno di presidenza. Obama deve agire sugli attuali governanti israeliani considerandoli per ciò che essi sono: un ostacolo sul cammino della pace. Costoro sembrano conoscere solo il linguaggio della forza. E allora, che Obama lo usi. L’America ha gli argomenti convincenti per farsi ascoltare».
Cosa resta della sinistra israeliana?
«Un ammasso di macerie. Sulle quali si erge colui che ha dato il colpo di grazia al partito laburista, svendendone la storia in cambio di poltrone: Ehud Barak».❖

l’Unità Firenze 11.3.10
Sciopero Cgil: domani fermi trasporti, scuola e sanità
Le richieste: stop ai licenziamenti, riforma fiscale e diritti ai migranti
Corteo da piazza Indipendenza a Santissima Annunziata
di Silvia Casagrande

Possibili disagi alla circolazione ferroviaria dalle 14 alle 18. Fermi anche i conducenti Ataf dalle 18.30 alle 22 e il personale di Peretola dalle 10 alle 14. Sciopero di tutto il giorno per scuola, sanità e pubblico impiego.

Stop ai licenziamenti, meno tasse su pensioni e salari, diritti ai lavoratori migranti. Questo il “progetto per il paese” della Cgil, che domani scenderà in piazza anche a Firenze. L’appuntamento per i lavoratori di tutta la provincia è alle 9 in piazza Indipendenza. Gli operai delle aziende simbolo della crisi, come le Seves e la Ginori, apriranno il corteo che si chiuderà alle 11 in piazza SS. Annunziata.
«La prima richiesta al governo e a Confindustria spiega il segretario della Camera del lavoro di Firenze Mauro Fuso è di salvaguardare l’occupazione e tenere aperti gli stabilimenti predisponendo più risorse per gli ammortizzatori sociali: viviamo tempi eccezionali, con le domande di disoccupazione passate da 11mila a 21mila in un anno, e bisogna governare di conseguenza». La seconda proposta è una riforma del fisco da attuare «entro la primavera 2010» per ridare slancio ai consumi: «L’80% della fiscalità
Una manifestazione della Cgil deriva da lavoratori dipendenti e pensionati», spiega Fuso noi proponiamo di allineare al 20% i prelievi fiscali sulle rendite finanziarie (attualmente al 12%) e quelli sui conti correnti, pari al 27%». Per quanto riguarda l’Irpef, si chiede una detrazione di 500 euro per i redditi sotto i 55mila euro annui, l’abbassamento della prima aliquota al 20% e bonus fiscali per gli incapienti. Ma lo sciopero di domani sarà anche a favore dei lavoratori migranti, per i quali la Cgil chiede la regolarizzazione, l’abolizione del reato di clandestinità e l’equiparazione del caporalato alla tratta.
Non si tralascerà, infine, di denunciare l’aggiramento dell’articolo 18 attuato dal governo sostituendo la tutela giudiziaria dei lavoratori con un semplice arbitrato.
Incroceranno le braccia, con diverse modalità, i lavoratori di tutti i comparti e si annunciano disagi sul fronte dei trasporti: il personale addetto alla circolazione ferroviaria si fermerà dalle 14 alle 18. I conducenti Ataf sciopereranno dalle 18.30 alle 22 e il personale di Peretola dalle 10 alle 14. Fermi per tutta la giornata anche i lavoratori di scuola, sanità e pubblico impiego.❖

Repubblica 11.3.10
In trent´anni siamo passati dalle otto ore alle sei e mezzo. Troppo poche per i medici che lanciano l´allarme Impegni e stress, così aumentano obesità, diabete e problemi cardiaci. “L’importante è seguire i propri ritmi"
Un´ora e mezza persa ogni notte gli italiani non sanno più dormire
di Caterina Pasolini

La palma dei sogni d´oro va ai francesi, peggio di noi i tedeschi e i giapponesi
Chi ha più passioni e relazioni sociali rinuncia a riposare per coltivarle. Ma ci rimette la salute

Un´ora e mezza scomparsa, annullata, persa per sempre. Stritolata dagli impegni, annegata nella voglia e nel bisogno di recuperare spiccioli di vita dopo il lavoro, sistemati i bambini, la casa o fatti i compiti. Un´ora e mezza dimenticata, tradita, spazzata via dalle nostre abitudini serali che allontanano sempre più il tempo del riposo per guadagnare un po´ di socialità in giornate convulse e caotiche in cui il tempo sembra non bastare mai. Negli ultimi anni, dicono gli esperti dell´Aims, l´Associazione italiana medicina del sonno, dormiamo sempre meno e soprattutto meno delle otto ore che il nostro fisico avrebbe bisogno per rigenerarsi. Sempre più lontani, estranei alla formula magica che in teoria garantirebbe salute ed equilibrio: 480 minuti giornalieri tra le coltri. Col risultato di ritrovarci stanchi e sgualciti, visto che il 46% degli italiani di giorno soffre di sonnolenza.
Dal ´80 ad oggi, raccontano infatti all´Aims, gli italiani hanno rinunciato mediamente ogni notte a un´ora e mezza di sonno per dedicarsi ad altro. Ne passavamo 8 tra le braccia di Morfeo, ora ne trascorriamo a malapena dalle 6,5 alle 7 prima di scattare come una molla dal letto per rincorrere i figli con la cartella o finire la relazione da presentare. Sonni sempre più brevi e più agitati, sogni continuamente interrotti: ora 4 italiani su dieci parlano infatti di notti in bianco, di insonnia mentre trent´anni fa erano meno della metà quelli che si ritrovavano a "contare le pecore" prima di rivolgersi esasperati al medico. Magari perché, come oggi, oltre due milioni uomini e donne da Torino a Palermo hanno la sindrome da apnea notturna che li fa svegliare all´improvviso perché manca il respiro. E se gli italiani, secondo un´indagine dell´Ocse, dormivano una volta 498 minuti ogni giorno, la palma dei sogni d´oro va sicuramente ai francesi che tra le lenzuola passano 530 minuti, seguiti dagli americani con 518 e dagli spagnoli con 514. Peggio di noi, i tedeschi che dormono solo 492 minuti, i giapponesi con 470 e la Corea con 469.
Insonni per scelta, dunque, per vivere oltre gli obblighi e gli impegni quotidiani compressi, ma anche per natura. «Il fabbisogno di sonno è determinato geneticamente, c´è chi ha bisogno di 9 ore per stare bene ed essere lucido e a chi ne bastano 6. Come non si può scegliere di quante ore il nostro corpo ha bisogno per rigenerarsi, così non si può scegliere se essere mattutini o nottambuli, si nasce allodole o gufi e questa è la nostra natura. Certo, poi, tutti la forziamo per seguire la vita, i nostri interessi, ma la risposta migliore per evitare insonnia e stress sarebbe seguire i nostri veri ritmi». Parola di Marco Zucconi, segretario dell´Associazione italiana medicina del sonno che di rem si occupa tra 30 anni. E che ha notato una stretta relazione tra qualità della vita e durata del sonno. Un legame inversamente proporzionale. «Nella civiltà contadina dormivano di più, seguivano il ritmo scandito dalla luce e dal buio mentre abbiamo notato che con l´innalzamento della qualità della vita si riducono le ore di sonno. Riduzione netta che va di pari passo con il livello scolastico: più studi, più interessi e meno sonno, è l´equazione». Insomma, chi ha più passioni e relazioni sociali rinuncia al sonno per coltivarle. «Il problema è che deprivarci a lungo del riposo può renderci deboli, stressati, provocare vera e propria insonnia con rischi per la salute: chi dorme poco rischia infatti più di altri l´obesità, il diabete, problemi cardiaci». Senza contare che da scelta, la mancanza di sonno può diventare una «condanna, tanto che ogni anno in Italia si spendono 200 milioni di euro in farmaci perché non si riesce a dormire abbastanza. Per evitare colpi di sonno e pesanti sbalzi d´umore, gli esperti consigliano a chi ha carenza di sogni la goduriosa pratica del pisolino pomeridiano. Ma mai più di 45 minuti. Altrimenti si rischia l´occhio sbarrato a mezzanotte.

Repubblica 11.3.10
Il critico, nato nel 1910, racconta la sua vita: "Da ragazzo decisi di fare medicina per amore della psichiatria Poi ho scelto l'estetica"
Cent’anni da Dorfles
"io, Don Giovanni dell'arte"
di Achille Bonito Oliva

"Ho conosciuto Svevo: il nostro fu un rapporto molto amicale. Saba era bizzoso"
"Il kitsch è il fenomeno dei nostri giorni ma ha alimentato la Pop Art"

Nel sistema dell´arte contemporanea c´è chi passa alla storia e chi alla geografia. Alla prima, gli artisti che scavalcano il presente e cavalcano il futuro. Alla seconda, i critici per nomadismo e vagabondaggio di scoperta. Gillo Dorfles, artista e critico, è passato ad entrambe le dimensioni. Nato a Trieste il 12 aprile 1910, letture precoci e pittura dall´adolescenza. Poi studi di medicina ma ritorno all´estetica nel 1938 e professore universitario. Da critico ha liberamente spaziato tra arte, semiologia, architettura, musica, design e analisi del gusto.
Libri e saggi dal 1952: Le oscillazioni del gusto (1958), Il divenire delle arti (1959), Ultime tendenze nell´arte di oggi (1961), Il Kitsch (1968), L´intervallo perduto (1980), Horror pleni (2008). Ha fondato il Gruppo MAC (Movimento Arte Concreta) nel 1948 con Anastasio Soldati e Bruno Munari e ha dipinto per tutta la vita. La città di Milano festeggia a Palazzo Reale il suo centenario con una mostra antologica e un catalogo ragionato della sua opera (edito da Mazzotta), per la cura di Luigi Sansone.
Trieste, città di mare e sbocco dell´impero austro-ungarico, segnata da Svevo, toccata da Joyce, cantata da Saba e movimentata culturalmente da Bobi Bazlen. Tutto questo ha influenzato la tua formazione?
«Certamente, ho incontrato Italo Svevo quando avevo 18 anni, quando lui finalmente era riconosciuto come un grande romanziere. E incontrai Saba naturalmente, un poeta a suo modo bizzoso col quale non ebbi il rapporto dolce e amicale che ebbi con Svevo. E poi il famoso Bobi Bazlen che mi ha immesso nella cultura, mi ha fatto leggere Kafka e Strindberg. Così come ebbe grande importanza per me la frequentazione di Leonor Fini, allora giovane artista entusiasta dell´arte contemporanea e lei stessa pittrice. Lasciai Trieste due volte: durante la Prima guerra mondiale e quando partii poi per l´università: l´impressione di Trieste ammantata dei colori giallo e grigio delle bandiere austriache non l´ho mai dimenticata, tanto che ritorna spesso negli accordi cromatici delle mie opere».
La letteratura e la pittura entrano presto nella tua vita. E come mai entra poi la medicina?
«La medicina è una parentesi di auto-flagellazione, io ero un intellettuale precoce, anche insopportabile, avevo letto tutto Proust a diciotto anni e già mi interessavo alla pittura, disegnavo, e pensai di dover andare all´università con l´idea di scegliere una cosa seria, per cui mi sono autoimposto medicina, la famiglia non c´entrava per niente in questa mia scelta, mio padre era ingegnere. Scelsi di fare medicina soprattutto con l´idea della psichiatria. Non dimentichiamoci che Trieste era la seconda culla della psicoanalisi, un allievo di Freud stava a Trieste e aveva contagiato la città. Mi laureai a Roma col grande clinico Frugoni che mi diede anche una fotografia dedicata "Al caro allievo", quale in effetti non fui perché poi dopo qualche anno ho abbandonato la medicina per passare all´estetica. Scrissi alcuni libri e poi vinsi il concorso di professore ordinario a Cagliari».
Tu nella tua stilizzata eleganza, come ti trovavi durante il fascismo?
«Sono stato fortemente antifascista, all´università come tutti ero iscritto al GUF. Mi sono laureato nel 1932-33 e ho cominciato a insegnare nel ´38. Non che facessi la lotta aperta o politica aperta, ma ero decisamente antifascista. Non dimentichiamoci che sotto il fascismo ci sono stati artisti, architetti importantissimi, Terragni, Libera, Moretti. Ci sono state personalità importantissime. Eppure avevano accettato il fascismo, senza essere dei fascisti. Quindi bisogna saper distinguere».
Il tuo essere husserliano ti ha impedito di cadere nella parzialità ideologica e nel partito preso. Questa libertà ti permette di apprezzare l´architettura razional-fascista. Che tipo di design c´era in quegli anni?
«C´era Adriano Olivetti, che ho conosciuto, un romantico, un idealista che aveva una strana mescolanza di cristianità e chiesa valdese, a cui come sai apparteneva. L´inizio del design avviene per merito degli architetti chiamati da Olivetti a Ivrea, ma non si sapeva ancora cosa fosse il design, erano architetti che facevano anche mobili ma solo poi è diventato design consapevole».
Col secondo dopoguerra avviene la tua discesa in campo completa e interdisciplinare, tra arte e critica, analisi e sintesi. Io credo che il MAC sia la spia del tuo carattere eclettico, da una parte una tua idea sociale delle arti, tra pittura e design, dall´altra parte un edonismo sempre presente nelle tue opere e spia di questa complessità: il tuo amore strabico per Licini e Fontana.
«Si, giustissimo! Il piacere di dipingere, del colore, per me è stato sempre fondamentale. E´ una delle caratteristiche della mia pittura».
La pittura e il pianoforte sono due modi che hai usato per tenere in vita il corpo oltreché la mente. La manualità che spazio ha avuto nella tua vita?
«E´ giusto, anche se suono il pianoforte solo da dilettante. Eppure per me la manualità è stata fondamentale, le statue e le ceramiche che ho fatto mi hanno dato grande soddisfazione proprio per questa impronta della mano che vi ho lasciato, una specie di Body Art applicata».
Che rapporto avevi con Leo Castelli?
«Eravamo molto amici, fin da quando ragazzi a Trieste andavamo a fare il bagno insieme e poi l´ho ritrovato a New York, all´inizio quando ancora aveva la galleria in casa, era molto preparato, intelligente, amava la cultura, la letteratura, ha saputo inventare la Pop Art, artisti come Johns e Raushenberg non esistevano prima che lui li adocchiasse. Leo era un caso raro di una grande persona che sapeva essere anche un grande mercante».
Tu sei un osservatore del gusto, tanto che sei stato quello che ci ha illustrato il kitsch. Anche per un tuo orrore verso la volgarità, la convenzione, il luogo comune?
«Si certamente, ho segnalato questo fenomeno che era ben noto in Germania e che ha moltiplicato la conoscenza del kitsch come fenomeno dei nostri giorni, perché esso comincia alla metà dell´Ottocento, con l´industrializzazione, con la produzione in serie. E comunque il kitsch ha alimentato anche molte forme artistiche contemporanee, come la Pop Art».
Sei stato un controcanto rispetto ad Argan e alla scuola romana della critica. Argan, critico ideologico, impregnato di storicismo. Dall´altra parte Dorfles, critico husserliano aperto al divenire delle arti, che è anche il titolo di un tuo libro. Che rapporti c´erano tra voi?
«Avevo grande stima e amicizia per lui, ho seguito quello che lui ha fatto, il congresso di Verucchio per esempio è stato importantissimo per la cultura della sua epoca, per la teoria sul Bauhaus».
Negli anni Sessanta il design italiano assurge a livello mondiale e coniuga forma e funzione, ma col Postmodern diventa styling e decorazione, e poi gadget. Cos´è il divenire del design, una spia del divenire della società?
«Si, è come per la moda. Il design è a metà strada tra architettura e moda, per la quale ho il massimo interesse, pensa al mio libro da poco ristampato Mode & Modi».
Dico sempre che la moda veste l´umanità mentre l´arte la mette a nudo. Tu hai sempre avuto molto interesse per la moda. Perché?
«Si, la moda come il design sono due forme di arte non pura, ma ugualmente molto importanti per la società».
Ma gli stilisti sono artieri o artisti?
«Sono artieri, come l´artigianato. Appartengono a una attività artistica sempre dipendente dalla funzione sociale che rivestono».
Che rapporto avevi con Giò Ponti?
«Era un uomo molto gioviale e vivace, aveva un gusto frivolo, eclettico. Con lui ho avuto un buon dialogo perché sono stato condirettore di Domus per un anno. Non era un uomo che apparteneva a un´élite d´avanguardia. Ricordo quei raffinatissimi disegni che faceva sui biglietti per gli auguri natalizi».
Dalla fine degli anni Sessanta in avanti, nello sviluppo internazionale dell´arte italiana quali sono i movimenti più interessanti?
«Certamente l´Arte Povera e la Transavanguardia. Sono stati due grandi movimenti dopo i movimenti nucleare e spaziale, dopo la Pop Art americana, l´avvento dell´Arte Povera e della Transavanguardia ha segnato due snodi chiave della cultura del secolo scorso. E la Transavanguardia è stata importantissima perché ha significato un ritorno alla nuova figurazione dopo una parentesi astratta, artificiale. Cucchi e Paladino sono stati le prime nuove figurazioni accettabili, in contrasto con quanto era avvenuto con Corrente, ad esempio».
Per nomadismo, edonismo creativo ed eclettismo, ti definirei un Don Giovanni della conoscenza.
«Un titolo perfetto, in me c´è sempre stata una certa libido nell´accostarmi all´arte».
Il record anagrafico della tua longevità ti fa paura o ti dà orgoglio?
«Devo dire che non ho nessun apprezzamento per la mia età e preferirei piuttosto tornare indietro di una ventina d´anni».
Gillo, infine che cos´è l´arte?
«Achille, se non lo sappiamo noi due».

Repubblica 11.3.10
Dopo 40 anni riesce la lettura della tragedia shakespeariana di Agostino Lombardo
La tragedia del potere ai tempi di Macbeth
di Nadia Fusini

Diceva Shakespeare che sono "le tristi cronache delle morti dei re" a interessare il popolo. Accadeva nel Seicento, in Inghilterra Non è una cosa nata oggi

Un classico della critica shakesperiana": così lo presenta l´attenta curatrice Rosy Colombo e questo è la Lettura di Macbeth di Agostino Lombardo, che comparve quarant´anni fa per i tipi di Neri Pozza, e ora Feltrinelli ripresenta (pagg.286, euro 15,00): un classico. Un libro importante, che nel più puro amore filologico invita a sillabare la tragedia shakespeariana parola per parola, pur non perdendo mai l´unità dell´interpretazione, che in sintesi potremmo riassumere così: la tragedia di Macbeth è la tragedia del potere, quando in particolare il potere è conquistato con la frode. Ovvero, nel caso specifico in cui il potente si presenta come l´usurpatore. Neppure per un attimo Shakespeare ci lascia dimenticare che il cuore del problema è lì per Macbeth: la corona l´ha strappata a chi l´aveva di diritto. Macbeth non è un ladro qualunque che chiede o la borsa o la vita, Macbeth s´è preso tutto, vita e corona. E ora domina la Scozia qualcuno che non è al "suo" posto: regna il regicida. La sovversione è al comando. Macbeth è in questo senso la continuazione dell´Amleto, dal punto di vista di Claudio.
Non è la prima tragedia del potere che Shakespeare scrive; il suo teatro abbonda di figure di re spodestati, trucidati, morti in battaglia, perseguitati dai fantasmi di chi hanno deposto. Riccardo II è il primo a dire che sono proprio "le tristi cronache della morte dei re" a interessare il popolo; Shakespeare, il teatrante, direbbe il pubblico. Ma è la stessa cosa, pubblico e popolo coincidono. Come si vede, accadeva anche all´inizio del Seicento, a Londra. Non è una cosa nuova dei nostri tempi. Alle vicende del potere l´uomo comune non poteva, non può partecipare che così: come fosse a teatro. E riguardo all´estraneità che si prova di fronte alla recita non v´è differenza essenziale tra l´uomo monarchico di allora e l´uomo post-democratico di oggi. Siamo sempre a teatro.
Sono però diverse le mosse del potente. E cambia la consapevolezza dell´atto. E´ perché sa di aver sbagliato nel governare che Riccardo II cede la corona all´usurpatore Bolingbroke. Conquista così, fuori tempo massimo, l´intima coscienza che, al di là dell´appello al diritto divino, al diritto di stirpe, al puro sangue blu, per essere re bisogna saper regnare. Elisabetta, la quale non a caso pare si identificasse con Riccardo, sapeva bene come compiacere il popolo, ingraziarselo, come dimostrare almeno un po´ di giustizia e tolleranza nei confronti della moltitudine. E governò con modestia regale, e pratico realismo. Idee più grandiose aveva il suo successore Giacomo, che venne dalla Scozia invocando idealità monarchiche assolutiste, un ultimo colpo di coda di fronte ai tempi che cambiavano. E così in fretta che tra poco gli uomini comuni avrebbero portato davanti al loro tribunale l´Unico, l´Unto. Lo avrebbero processato! Non fu una vera e propria rivoluzione, come quella in Francia, ma negli anni quaranta del Seicento in Inghilterra ci si trovò di fronte a una scena in un certo senso ancora più memorabile, dove l´Unico, l´Unto, dovette accettare di essere giudicato e condannato dagli "uomini comuni", eguali l´uno all´altro nel non avere nessun´altra qualità, se non quella di parlare a nome del "bene comune". Che gli "uomini comuni" avessero acquisito il diritto di giudicare i loro governanti, da allora in poi è diventato un fatto. Anche se non nel nostro paese, a quanto sembra.
Sul significato politico del dramma Lombardo insiste. Nel linguaggio dell´opera si nasconderebbe criptata un´analisi del potere, addirittura un´evoluzione del concetto di governo. Dal re buono Duncan, attraverso lo stato d´eccezione del tiranno Macbeth, si arriverebbe all´esercizio più moderno della sovranità da parte del figlio Malcolm, il quale coniugherà la forza del leone e la scaltrezza della volpe. Non perché abbia letto Machiavelli, ma perché nel dramma la scienza politica dell´epoca affiora. E il dibattito sulla forma di governo monarchica era acceso ai tempi.
L´interpretazione di Lombardo è a lieto fine: il tiranno viene sconfitto, l´ordine restaurato, la Scozia, il tempo, il mondo sono "liberi", alla fine. Come la curatrice del volume, io non concordo su questo punto. E qui si data la lettura del critico: Lombardo è un uomo di sinistra di quelli che oggi non possiamo che chiamare "d´altri tempi"; crede alle magnifiche sorti e progressive; crede che dalle esperienze negative si può imparare, che dal male può nascere il bene. Suggestionata dai miei tempi, io sarei portata a dire che nella tragedia di Macbeth, il prode atleta della morte, domina una tonalità sovversiva che non lascia scampo a nessuna speranza. Direi semmai che la passione dominante nel dramma è il contrario della speranza, è la paura. E della paura non c´è catarsi.
Non c´è nulla di più violento della paura, commenta Simone Weil nei suoi quaderni. Ha ragione. La paura sta all´ambizione di Macbeth, come il dolore al piacere nell´economia libidica del sadico. E´ sadico, il potente. E´ spaventato. Così appare ai nostri giorni. Ma attenzione; è pur sempre adrenalina.

Repubblica 11.3.10
Mali culturali
Così sono state svuotate le soprintendenze
di Carlo Alberto Bucci e Francesco Erbani

Tagli ai budget, blocco delle nomine, concorsi senza fine, sedi vacanti, commissariamenti. Dovrebbero tutelare il patrimonio pubblico e invece sono al collasso
Il Tar ha annullato la prova che doveva assegnare quindici posti
Mantova, Torino e Siena sono alcune delle città rimaste senza dirigenti

Tagli fino al 50 per cento dei budget, con archeologi che non possono andare in missione e restauratori che non riescono a rinnovare gli strumenti per mancanza di fondi. Soprintendenti andati in pensione e mai sostituiti, lasciando sguarnite ben otto sedi che vengono assegnate, ad interim, a colleghi già oberati di lavoro. Un patrimonio umano sempre più vecchio e demotivato, con il blocco del turn over e i concorsi per le nuove (poche) assunzioni appesi al filo dei ricorsi. Così, bloccate dai tagli e stressate dai commissariamenti, le soprintendenze italiane stanno per collassare. «Sono già collassate», confessa un alto dirigente dei Beni culturali.
A Mantova, la città di Palazzo Ducale e di Palazzo Tè, di Mantegna, dell´Alberti e di Giulio Romano, non c´è più un soprintendente storico-artistico. Ad agosto è andato via Filippo Trevisani e la sede è rimasta vacante fino a dicembre quando è stata data a Fabrizio Magani, che contemporaneamente reggeva quelle di Verona e del Friuli. Ma ora lascia anche lui. Si è fatto un bando per quel posto, però nessuno ha presentato domanda. È andato via il soprintendente a Siena, Gabriele Borghini, che vigilava sugli affreschi di Ambrogio Lorenzetti. Non si sa chi lo sostituirà. Forse sarà affidato ad interim. Non c´è soprintendente a Parma, dove ha lasciato Lucia Fornari Schianchi, né a Torino, per via del pensionamento di Carlenrica Spantigati. Stanno per restare vuote o già lo sono le cariche di soprintendente di Lucca e di Pisa.
Alla paralisi si avviano anche le soprintendenze archeologiche: l´ultimo concorso ha designato 15 nuovi dirigenti, ma le loro poltrone vacillano perché il Tar ha annullato la prova e per i primi di maggio si attende la sentenza del Consiglio di Stato. Colpa del rancore e della vocazione causidica di chi ha perso, dice qualcuno. Oppure di commissioni composte male («completamente fuori norma di legge», secondo i ricorrenti). Sembra che l´annullamento verrà confermato. E si ripartirà con un nuovo concorso. E nel frattempo? Altri interim?
La minaccia di annullamento grava anche su un concorso per quattro soprintendenti storico-artistici, uno fra i più tormentati nella storia della pubblica amministrazione visto che si trascina dal 2006 fra ricorsi, sdoppiamenti, bocciature clamorose e ripescaggi sorprendenti: due concorrenti non ammesse per due volte agli orali, Rossella Vodret e Vittoria Garibaldi, hanno ricevuto dal ministro Bondi una nomina con contratto esterno. Vodret ha sostituito Claudio Strinati nella potente Soprintendenza che unisce a Roma il Polo museale e la tutela dei Beni storico-artistici; alla Garibaldi è toccata invece la Soprintendenza dell´Umbria. Per la cronaca, il concorso è stato vinto dai giovani Luca Caborlotto, Marta Ragozzino, Stefano Casciu ed Edith Gabrielli. Ora saranno nominati. Ma per sapere se resteranno al loro posto bisogna attendere che il 20 ottobre si pronunci il Tar.
Che cosa succederà per la tutela del patrimonio italiano? Da più parti si ascolta una sola diagnosi: così il sistema muore. Lo svuotamento delle soprintendenze procede da anni. I finanziamenti sono ridotti all´osso: dal bilancio totale già magrissimo del ministero sono stati tagliati, fra 2009, 2010 e 2011, un miliardo e 414 milioni di euro, come ha spiegato la Uil Beni culturali. Per la sola attività di tutela nel 2005 erano disponibili 335 milioni, nel 2009 sono stati 179. L´età media di tutti i dipendenti è di 52 anni e 10 mesi. E fra il 2011 e il 2015 vanno in pensione tutti i funzionari assunti fra fine anni Settanta e i primi Ottanta.
Di pari passo è proceduta la nomina di commissari, che hanno mano libera per affidare consulenze, incarichi e appalti e sono politicamente più controllabili. Ma anche questa "soluzione" sembra volgere al termine. Gli scandali intorno al sistema della Protezione civile hanno mostrato quanto il regime della deroga sia a rischio. Nei giorni scorsi il ministro Bondi ha revocato il commissariamento per l´ampliamento degli Uffizi (affidato a Elisabetta Fabbri) e ha annunciato che a Pompei non verrà riconfermato l´incarico a Marcello Fiori, il cui mandato scade a luglio 2010. A L´Aquila, invece, il commissario per i beni culturali resta in carica, anche oltre la fine del mandato di Guido Bertolaso. «Bisogna togliere anche l´altro commissariamento, quello di Brera», dice il segretario della Uil Gianfranco Cerasoli.
Nelle ultime settimane il tracollo del sistema di tutela ha conosciuto un´accelerazione. Una norma varata dal ministro Renato Brunetta anticipa la pensione per i dirigenti del pubblico impiego che hanno 40 anni di contributi. E così, dopo l´uscita di scena di alcuni grandi nomi della tutela in Italia, da Adriano La Regina a Pietro Giovanni Guzzo, mandati via allo scadere dei 65 anni, nonostante fosse possibile trattenerli in servizio per altri due, è stata falcidiata un´intera generazione di soprintendenti, più o meno sui sessant´anni. Via la Fornari Schianchi, la Spantigati, via Angelo Bottini (Roma), via Aldo Cicinelli (Urbino). Via molti direttori regionali. E sorprendenti alcune sostituzioni: in Sardegna al posto dell´architetto Elio Garzillo, che si è battuto contro l´assalto cementizio alla necropoli di Tuvixeddu, arriva Assunta Lorrai, che non è né architetto né storico dell´arte né archeologa e proviene dai ranghi amministrativi.
È un carosello vorticoso, che sfibrerebbe qualunque amministrazione. E che va avanti da anni. A Lucca in cinque anni sono cambiati cinque soprintendenti. Molti dirigono più sedi. Ma alcuni lasciano campo libero ai commissari. A Pompei e a Napoli è arrivata l´estate scorsa la soprintendente Maria Rosaria Salvatore, la cui nomina è oggetto di un ricorso e che ad aprile va in pensione. Ma a Pompei chi decide è il commissario Fiori. Il paradosso è emerso in occasione dell´incidente accanto alla casa dei Casti amanti. Lì lavorava una ditta incaricata dal commissario per costruire delle passerelle. Un´infiltrazione d´acqua e la sostituzione di un ponteggio hanno fatto venir giù venti metri di un muro. Ma subito dopo sono emersi un peristilio e alcuni vani, segno che si stava anche scavando. Ma chi scavava? I testimoni assicurano: erano operai e non archeologi. È dovuto intervenire il Direttore generale, Stefano De Caro, perché lo scavo, senza uomini della Soprintendenza, non proseguisse.
La penuria di personale non riguarda solo i posti di comando. Le soprintendenze di tutta Italia si stanno già contendendo i 395 custodi che, concluso da poco un concorso, stanno per essere sparpagliati lungo tutto lo stivale. E c´è poi da dividersi la miseria di 5 storici dell´arte vincitori dell´ultimo concorso da funzionario, lo stesso che ha immesso 50 architetti (le soprintendenze che si occupano del paesaggio sono le più a rischio visti abusi e condoni pendenti), 30 archeologi e una quindicina tra amministrativi, archivisti e bibliotecari.
Uno dei cinque storici dell´arte spetta al Veneto. Se lo contenderanno le tre soprintendenze. Quella occidentale (ora ne ha quattro che controllano Verona, Vicenza e Rovigo), l´orientale (tre esperti per occuparsi di Padova, Treviso e Belluno) e quella veneziana, dove Caterina Bon Valsassina dirige appena dieci storici dell´arte per gestire le Gallerie dell´Accademia e gli altri quattro musei statali, ma anche per tutelare l´immenso patrimonio lagunare.
La Soprintendenza storico-artistica della Puglia, guidata da Fabrizio Vona, ha in forza 60 persone, compresi funzionari, tecnici, custodi e restauratori. Un numero insufficiente per controllare, senza avere spesso i soldi per le missioni esterne, un territorio vastissimo. Vona ha l´interim anche della Basilicata. E nella piccola Matera i dipendenti totali sono più del doppio: 135. Soprintendente sdoppiato è anche Fabio De Chirico, dal 2008 tutore dei beni storico-artistici della Calabria e dall´anno scorso anche di Salerno e Avellino (interim). «Essere il più giovane nel mio ufficio non mi fa certo piacere», spiega lo studioso quarantasettenne. «Mancano i giovani specializzati anche per gestire le nuove tecnologie: abbiamo creato il portale web ma non abbiamo personale per tenerlo aperto». E il budget? «Siamo passati da 300 mila euro l´anno per le spese correnti a 120 mila. E l´anno prossimo sarà anche peggio».

Repubblica 11.3.10
Da Dante a De Amicis i testi delle Biblioteche nazionali vanno on line
Accordo con Google per 1 milione di libri
Il colosso Usa si accollerà le spese e non avrà l´esclusiva
di Laura Montanari

Un milione di testi online, dalle stanze e dagli scaffali delle Biblioteche nazionali di Firenze e Roma al web, nei computer del mondo. Gratis e senza banner di pubblicità incollati alle pagine: tramite Google Books, si potranno consultare prime edizioni o edizioni critiche di capolavori della letteratura italiana, volumi scientifici del Sei-Settecento, testi popolari del Risorgimento: dalla Divina Commedia alla Gerusalemme liberata, dall´Ariosto alle Mie Prigioni, a Galileo, Keplero o alle prime traduzioni di grandi romanzi, come Madame Bovary e un lungo elenco di opere che saranno selezionate della stesse biblioteche. E´ il primo accordo che Google sigla con un governo per portare in rete parte del patrimonio librario non coperto dal diritto d´autore, cioè fino al 1870. La trattativa col colosso americano è andata avanti per mesi: Google si accollerà le spese per tradurre i testi dalla carta al digitale e non avrà l´esclusiva. Capitolo quest´ultimo molto discusso. Una copia di ogni «web-libro» che andrà in rete resterà di proprietà della biblioteca che l´ha fornito con la possibilità di metterlo sul proprio sito (unico vincolo è di non cederlo a concorrenti del motore di ricerca americano). «E´ un accordo all´avanguardia» ha detto il ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi citando Borges e il sogno della biblioteca universale, «un´utopia che diventa realtà». Ci vorrà tempo, due anni per una prima catalogazione (parte era già in corso): «i soldi ce li metterà il ministero e sarà reclutato del personale esterno» spiega Ida Fontana della Biblioteca Nazionale di Firenze. Poi Google procederà a scannerizzare le opere creando uno o due centri specifici in Italia. Roma ha già dato la sua disponibilità, Firenze sta valutando: «Metteremo a disposizione dei lettori gratuitamente qualcosa come 200 milioni di pagine - prosegue la direttrice della Biblioteca fiorentina - è un impegno di circa 60 milioni di euro per Google. Costi che noi certo non ci potremmo permettere. Il governo francese ha investito 750milioni di euro, la Spagna 10 per digitalizzare i capolavori della letteratura, noi da anni non vediamo un centesimo». Il responsabile di Google Nikesh Arora, presidente di Global Sales Operation & Businnes Development ha detto che «il web è ancora troppo anglosassone ed è giusto dare spazio ad altre culture». Quello di ieri è un´intesa che si aggiunge ad altre otto fatte con biblioteche di lingua non inglese. Terminato il lavoro con Firenze e Roma, l´accordo coinvolgerà le biblioteche statali di Venezia e Napoli. «Rendere i testi fruibili gratis in rete è importante - spiega Nicoletta Maraschio, dell´Accademia della Crusca - ma è altrettanto importante investire in un processo di digitalizzazione più raffinata e meno generalista per chi fa ricerca. Invece da due anni l´Accademia non riceve più fondi per questo capitolo ».

l’Unità Firenze 11.3.10
L’intesa con il ministero dei beni culturali coinvolge anche Roma
Chiunque nel mondo potrà accedere a milioni di libri senza copyright
Accordo storico con Google i libri della Nazionale sul web
Una volta digitalizzate, le opere di Dante, Petrarca, Leopardi, rari testi scientifici del XVIII secolo e litografie di ogni epoca saranno a disposizione dei navigatori del web. Il costo sarà a carico di Google.
di Matilde Tempesti

Non sempre vecchio e nuovo parlano lingue diverse, soprattutto non sempre il mondo virtuale logora quello reale. È stato siglato un accordo già definito storico tra il motore di ricerca Google e il ministero per i Beni e le Attività Culturali, che consentirà a chiunque nel mondo di accedere a fino ad un milione di libri non coperti da copyright conservati nelle Biblioteche Nazionali di Roma e Firenze.
Una volta digitalizzate, le opere di Dante, Petrarca, Leopardi e Manzoni saranno a portata di clic da Genova a Nairobi. Google fornirà inoltre alle due biblioteche le copie digitali di ciascun libro parte del progetto, così che possano a loro volta renderli disponibili anche su piattaforme diverse da Google Books, come quella del progetto Europeana. L’accordo prevede la
La Biblioteca Nazionale di Firenze
digitalizzazione e messa in rete di circa un milione di volumi, 285mila dei quali sono stati già metadatati e catalogati dal Servizio Bibliotecario Nazionale, e nei prossimi 2 anni si completerà la catalogazione dei volumi scelti, che saranno digitalizzati da Google e poi messi online. Il costo della digitalizzazione sarà a carico di Google. Tra i libri rari e rilevanti che la Biblioteca Nazionale di Firenze includerà nel progetto vi sono rare opere scientifiche del XVIII se-
colo e dell’Illuminismo, opere letterarie del XIX secolo, opere illustrate e litografie di ogni epoca. «La speranza è che questo sia un punto di partenza ha dichiarato il ministro Sandro Bondi e che presto molti altri volumi possano essere disponibili».❖
PER SAPERNE DI PIÙ
www.bncf.firenze.sbn.it

Repubblica 11.3.10
Il cardinale Schoenborn sullo scandalo pedofilia
"Gli abusi dei preti colpa del celibato"
La Scaraffia sull´Osservatore: "Ampliare il ruolo delle donne tra i cattolici"
di Marco Ansaldo

CITTÀ DEL VATICANO - Le cause degli abusi operati dai sacerdoti? Vanno ricercate «sia nell´educazione dei preti, sia negli strascichi della rivoluzione sessuale fatta dalla generazione del 1968». Un problema che riguarda «il tema del celibato, così come la formazione della persona». Proprio sul celibato, anzi, ci vuole «un cambiamento di visione».
A sostenere questa tesi che non mancherà di suscitare reazioni è l´arcivescovo di Vienna, Christoph Schoenborn. L´alto prelato, un cardinale giovane, ma autorevole e aperto, messo a capo della Chiesa viennese dopo gli scandali degli abusi sessuali per cui fu cacciato il suo predecessore Hans Hermann Groer, ritiene che il celibato ecclesiastico spieghi in parte gli atti di pedofilia commessi da religiosi cattolici, emersi ultimamente a cascata in Germania e in Austria.
In una pubblicazione della sua diocesi, l´arcivescovo di Vienna ha fatto appello al «cambiamento» sul celibato, argomento che invece per il Vaticano non è in discussione. «Basta scandali - ha detto Schoenborn - come è possibile che veniamo considerati sospetti di infrazioni che non abbiamo commesso? Perchè è sempre la Chiesa nel suo insieme che viene messa in dubbio».
La questione del celibato verrà più volte affrontata oggi e domani a Roma, all´Università Lateranense, in un interessante convegno promosso dalla Congregazione per il clero. Sarà presente il prefetto Hummes, autore all´inizio del suo incarico di una dichiarazione che suscitò qualche perplessità. «Il celibato non è un dogma», disse. Tesi poi mai più affermata pubblicamente. Ci saranno poi il vescovo di Ratisbona, Gerhard Mueller, il primo a parlare dei casi nella città tedesca, e una serie di alti esponenti del mondo ecclesiastico.
Il tema delle violenze in chiese e sacrestie, imposto dalle cronache, sta conquistando spazio anche sulla stampa vaticana. L´Osservatore Romano ieri ha affrontato in prima pagina l´argomento con un articolo della saggista Lucetta Scaraffia. Una maggiore presenza femminile nella Chiesa, è la tesi della studiosa, «avrebbe potuto squarciare il velo di omertà maschile che spesso in passato ha coperto con il silenzio la denuncia dei misfatti». «I cambiamenti delle società occidentali - continua la storica - che hanno aperto alle donne gli spazi prima riservati agli uomini, cambiamenti che stanno influenzando le altre culture del mondo, hanno provocato una rivoluzione nella configurazione dei ruoli sessuali, ponendo anche per la Chiesa cattolica la questione di ampliare il ruolo delle donne». Un problema che si pone non solo in termini di «pari opportunità», ma al fine di «fare fruttare energie e contributi spesso di primaria importanza».
Oggi intanto i vescovi tedeschi partono per Roma. L´incontro fra la loro delegazione, guidata dal presidente della Conferenza episcopale locale, Robert Zollitsch, e Papa Benedetto XVI, è previsto per domani. Sul tavolo lo scottante dossier dei casi di pedofilia scoppiati nella Chiesa tedesca. In Germania, lo scandalo è arrivato a coinvolgere, secondo i dati conosciuti, 19 diocesi su 27.

Left 32-33/08
Viaggio nel silenzio della Chiesa sui preti pedofili

di Federico Tulli

«Accadde una domenica pomeriggio. In genere, si giocava a calcetto nel cortile del seminario. Invece quella volta don Bruno mi invitò nella sua camera a riposare. Spesso noi ragazzi entravamo nelle camere degli assistenti. Magari per fare due chiacchere. Invece quel pomeriggio lui mi spogliò, mi baciò, e poi abusò di me. Dopo andò in bagno. Quando tornò mi chiese solo: “Ti sei sporcato?”. Mi diceva che la nostra era solo un’amicizia, un’amicizia particolare, divina. E io gli credevo. Mi diceva che era normale e che era giusto. E anche che non dovevo dirlo a nessuno, perché avrei suscitato invidie, gelosie. Io non lo dissi. Neanche quando l’abuso si ripeté. Era un uomo di Dio: con lui pregavo, mi fidavo. Ciecamente». Marco Marchese aveva 12 anni quando fu violentato la prima volta da don Bruno Puleo. Gli abusi proseguirono per 4 anni, durante i quali Marco subì in silenzio. Fino a quando si rivolse al superiore del suo violentatore. Questi lo invitò a «non preoccuparsi e proseguire nel suo cammino religioso». Comincia così il Viaggio nel silenzio (Chiarelettere) di Vania Lucia Gaito, la psicologa che nel 2007 ha sottotitolato in italiano e pubblicato su bispensiero.it il video della Bbc, mai mostrato nel nostro Paese, sulle migliaia di casi di pedofilia che hanno coinvolto uomini di Chiesa, Sex, crimes and Vatican. In poco tempo il video fu scaricato 5 milioni di volte. «Accadde anche qualcos’altro – scrive l’autrice -. Mi arrivarono centinaia di email. Di protesta, di ringraziamento, di indignazione. In mezzo c’erano lettere di chi aveva subito abusi. Una sola volta o a lungo. Ma sempre in silenzio». Nel libro l’autrice dà la parola ad alcune di queste persone. Viene fuori un quadro agghiacciante della Chiesa e di come si svolge l’educazione nei seminari. Al centro la mancanza di uno sviluppo psico-sessuale normale che spiega la tendenza diffusa alla pedofilia. Non è un caso che di recente tutte le diocesi americane abbiano chiuso i seminari minori. Come pure colpisce che la convenzione dei diritti del minore dell’Onu non sia mai stata firmata dal Vaticano. E ancora che in Italia sono ancora aperti 123 seminari minori. Nel libro ci si ritrova irretiti in tante storie come quella di Marco, tutte simili tra loro, nonostante si siano svolte a migliaia di chilometri di distanza. Negli Usa ad esempio. Con l’incredibile scandalo e l’omertà della diocesi di Boston e del cardinale Bernard Law. Che ora è arciprete a santa Maria Maggiore a Roma e che come tanti suoi colleghi, pur avendo solide prove di colpevolezza, si è sempre e solo limitato a spostare in altra curia ogni prete accusato di pedofilia da una o dieci o decine di vittime. Negli Usa s’incrocia per un attimo pure la figura di Ratzinger, l’attuale papa, che in Texas, grazie all’ascesa al soglio pontificio, è riuscito a evitare la comparizione, come imputato, a un processo contro la diocesi di Houston, che per coprire un seminarista «aveva seguito fedelmente le indicazioni del Crimen sollicitationis e del successivo Ad exequandam». Documenti che obbligano al vincolo di segretezza, pena la scomunica, i vescovi che vengono a conoscenza di casi di pedofilia che coinvolgono preti. Ad exequandam è stato redatto e firmato da Ratzinger, citato dunque in giudizio per aver «ostacolato il corso della giustizia» Usa. Ciò che balza agli occhi è come anche in questo caso il Vaticano mantenga un atteggiamento di totale incuranza per le vittime e quasi distaccato nei confronti dei preti violentatori o presunti tali. Atteggiamento che non si manifesta nei confronti di chi si sposa o lascia la Chiesa. Come racconta all’autrice Alessandro Pasquinelli, un ex prete oggi sposato. «La Chiesa usa la riduzione allo stato laicale per gettare fumo negli occhi, pur di non fronteggiare il problema dei preti sposati». «Ma tutti i sacerdoti pedofili sono ridotti allo stato laicale?», gli chiede la Gaito. «Neanche per sogno!», risponde Alessandro. «La Chiesa ha pochissimi sacerdoti, non può mica permettersi di gettarli via così. Preferisce buttare via chi s’innamora, piuttosto che i pedofili. Certi scandali si possono soffocare, nascondere, ma un sacerdote che si sposa non può essere occultato»

Decine di storie di violenze su minori da parte di preti scuotono l’Italia. Sulla prevenzione si lavora poco e male. La denuncia della scrittrice e psicologa Vania Lucia Gaito
di Federico Tulli

Dottoressa Gaito, in poche settimane i casi di Bolzano, Verona e Casal di Principe. Rischiamo di fare la fine degli Usa, dove, una volta rotto il silenzio decennale imposto dai vescovi in osservanza del Crimen sollicitationis, sono stati accertati migliaia di casi di violenza pedofila commessi da uomini di Chiesa?

Il pericolo è più che reale. Non siamo di fronte a casi isolati. E qualcosa in Italia comincia a emergere. Ma quando una storia arriva sulla stampa nazionale di rado è messa in relazione con le altre vicende simili che si verificano in tutta la penisola. L’opinione pubblica perde così la possibilità di cogliere il filo che c’è tra questi abusi. Col risultato che da noi ancora non si parla in maniera aperta della pedofilia nel clero. Soprattutto non si racconta perché questo fenomeno non si arresta. Cosa d’altronde impossibile se prima non si scopre qual è la sua genesi.
L’abuso di preti nei confronti di minori ha una genesi completamente diversa da quello che si verifica in ambito familiare. La pedofilia clericale è spesso figlia del tipo di educazione che viene impartita nei seminari. Non è un caso se la Carta dei diritti del fanciullo delle Nazioni unite (1989), proibisce l’istituzionedei seminari minori. Nel documento, che il Vaticano non ha mai sottoscritto, si spiega che i bambini devono rimanere in famiglia per crescere nell’ambiente più consono a uno sviluppo normale. Per impedire cioè che avvenga uno “strappo” educativo proprio negli anni in cui si entra nell’età adolescenziale, quella più delicata dal punto di vista della definizione della sessualità. Ebbene, questi seminari sono oramai chiusi in quasi tutto il mondo, ma in Italia ce ne sono ancora 123.
Dove si trovano?
Sono dislocati specie al Sud e nel Nordest. Vero è che stanno chiudendo, ma non per rispetto della direttiva Onu quanto perché sono in calo le “vocazioni”. Tranne appunto che in certe regioni dove certa “cultura” permane. Che è quella di chi si fida ciecamente e pensa che entrando in seminario il proprio figlio vada in un ambiente protetto. Ora, a parte la disgustosa vicenda del Provolo – e sfido chiunque a parlare ancora di casi isolati – basta pensare a quanto racconta nel mio libro Marco Marchese, abusato per quattro anni all’interno di un seminario dal suo insegnate, don Bruno Puleo. Ciò che emerge dalla storia di Marco è la demonizzazione della figura femminile, una visione pesantissima, sessuofobica che dagli educatori ricade su dei ragazzini nel pieno dello sviluppo adolescenziale. E che vedono condannato il proprio corpo come se fosse la fonte del peccato. Questo atteggiamento manicheo, nichilistico è veramente deleterio per la psiche di un adolescente. Tanto più se poi viene violentato dalla stessa persona che lo dovrebbe “educare”.
È vero che Puleo non è stato nemmeno un giorno in carcere?
Sì, patteggiando meno di tre anni è stato affidato ai servizi sociali. Fortunatamente dal 2006 il patteggiamento per casi di pedofilia non è più permesso.
Come giudica la legislazione italiana al riguardo?
Assolutamente arretrata visto che prevede ancora la prescrizione del reato. Cosa che, per dire, la Svizzera ha abolito. Subire un abuso non significa automaticamente avere la forza di denunciarlo. Come prima cosa la violenza devasta l’autostima della persona che la subisce. Inoltre il pedofilo è molto spesso una persona di cui tanto la famiglia quanto il bambino si fidano. È seduttivo nei confronti del bimbo, non agisce in maniera violenta, lo blandisce approfittando della sua naturale fiducia nel prossimo. Questo incide talmente nel profondo che raccontare quanto subito richiede una forza che il pedofilo stesso ha distrutto. E che per essere recuperata, laddove è possibile, a volte richiede decenni. Ma questa cosa in Italia non è percepita.
Dopo gli scandali Usa, come ha gestito le proprie responsabilità il Vaticano?
Per comprenderlo basta raccontare dell’ultimo viaggio oltreoceano di papa Ratzinger. Mentre era in volo disse che la pedofilia è un peccato gravissimo, e che è incompatibile con il sacerdozio. Che fosse compatibile in realtà noi non lo abbiamo mai pensato, ma lui ha sentito la necessità di precisarlo. E poi nei fatti con chi si è accompagnato nelle due tappe americane di Washington e New York? Nella capitale era con il cardinale Francis George. Questo signore sapeva dell’esistenza di accuse contro padre Daniel McCormack. Ma non ha mai fatto nulla. McCormack fu arrestato nel 2005 e condannato a cinque anni per abusi su bambini tra gli 8 e gli 11 anni. Oggi George è presidente della Conferenza episcopale Usa. A New York, invece, l’anfitrione di Benedetto XVI era il cardinale Egan, un altro che non si è certo distinto per un’accanita lotta ai sacerdoti pedofili della sua diocesi. Allora mi chiedo, questa pulizia che il papa dice di voler fare all’interno della Chiesa da dove dovrebbe partire se non dai vertici? Diciamoci la verità: il Vaticano ha perso oltre 120mila sacerdoti e non può permettersi di lasciarne tornare altri alla vita laica. La priorità è questa.
Di cosa si occuperà nel suo prossimo libro?
Racconterò le responsabilità della Chiesa, talvolta dirette, talvolta indirette, negli ultimi tre genocidi del secolo scorso: Argentina, Rwanda e Canada. Responsabilità passate praticamente sotto silenzio, anche dei media. Basta guardare come alla sua morte si è celebrato il cardinale Pio Laghi, che era quello che andava a giocare a tennis con il genocida Eduardo Masera.
A parte il documentario “Unrepentant” di Kevin Annett, che ha vinto diversi premi internazionali ma che in Italia ha trovato diffusione solo online su arcoiris.tv, del genocidio in Canada non se ne è mai sentito parlare apertamente…
I giornali pubblicarono la notizia del primo ministro Harper che chiedeva scusa ai nativi canadesi, risarciti con 5 miliardi di dollari. E si dimenticarono di dire “perché”. In certi casi emerge la capacità tutta italiana di dare una notizia… senza darla. Non si disse che alla base di quanto è successo c’era l’Indian act del 1874 alla cui stesura aveva contribuito una commissione cattolica. Non si disse del genocidio di oltre 50mila bambini commesso dai responsabili religiosi delle scuole dove per decenni i bambini nativi sono stati rinchiusi e costretti a professare la religione cristiana.
Tutto questo sarà denunciato?
Sì, dettagliatamente.

Repubblica 11.3.10
Classica in rete
Beethoven diventa un gioco da ragazzi
Più rigidi i siti europei, inventivi quelli americani. E Dudamel debutta sull´iPhone
di Aldo Lastella

Sabato 13 marzo, sono seduto sul divano di casa. Ho voglia di bella musica, in una sala da concerto come si deve, con una delle massime orchestre del mondo e sul podio un signor direttore. Ci sono. Farò un salto alla Philharmonie di Berlino: alle 20 è in programma il Requiem di Giuseppe Verdi eseguito dai Berliner Philharmoniker diretti dal lettone Mariss Jansons. Ottimo. Sono le 19.45. Collego il computer alla tv, entro in Internet, mi collego al sito dei Berliner, pago il biglietto di 9.90 euro con la carta di credito, entro nella Digital Concert Hall di Berlino. E mi godo il concerto in alta definizione, con l´impianto sonoro 5.1. Senza muovermi dal salotto di casa.
La musica classica non è più solo un "paese per vecchi", ma dentro lo smisurato continente che è la rete ha trovato nuovo slancio e possibilità difficili da immaginare. L´iniziativa dei Berliner è solo una delle tante. Se ormai ogni istituzione musicale ha un suo proprio sito, va detto che non tutte sfruttano al meglio le possibilità multimediali offerte dal digitale. Lo fa bene l´Orchestra della Rai, che offre concerti in streaming e podcast musicali da scaricare. Da poco ha inaugurato la diretta on line di alcuni concerti. Mentre appaiono ancora piuttosto rigidi i siti dei nostri teatri lirici a cominciare dalla Scala, poco più che depliant digitali, poco inventivi, informazione vecchio stile senza alcuna volontà di catturare la curiosità di navigatori alieni all´interesse specifico per l´opera o il balletto. Da alcuni giorni la romana Accademia di Santa Cecilia ha inaugurato un primo approccio alla rete: con Emi e iTunes, offrirà la possibilità di scaricare gratis una serie di brani con un codice abbinato al biglietto acquistato per un concerto.
Qualche chance in più la offrono la Royal Opera House di Londra o l´Opéra di Parigi, ma niente che vada oltre un´idea televisiva di Internet (interviste a cantanti e direttori per esempio, o podcast da vari spettacoli). Ultimamente l´Opéra Royal de Wallonie di Liegi offre on line e in diretta alcune delle opere in scena: la prossima sarà il Rigoletto verdiano il 23 marzo, a 6 euro per l´alta definizione o 4 per la risoluzione normale.
Chi però vuole davvero "giocare" con la musica classica in digitale deve volgersi oltre Atlantico. Per esempio, sull´onda del clamore suscitato dall´arrivo del giovane direttore venezuelano Gustavo Dudamel, la Los Angeles Philharmonic Orchestra ha preparato una applicazione per iPhone chiamata "Bravo Gustavo": seguendo i movimenti delle braccia di Dudamel si può imparare a dirigere la Sinfonia Fantastica di Berlioz. La San Diego Symphony propone video e podcast molto divertenti per insegnare la teoria musicale anche ai bambini. Ogni istituzione musicale ha la sua "application" per i Phone, con registrazioni di concerti, podcast, vendita di biglietti on line, calendari, blog, tutto sullo schermo del telefono. La gran parte di queste applicazioni sono appaltate al sito InstantEncore, uno dei migliori "palazzi della musica" che circolino in Internet: un vero godimento fra concerti, foto, video, social network, notizie, podcast e persino applicazioni personalizzate per cantanti. I patiti dei cellulari trovano suonerie "classiche" dagli editori Boosey & Hawkes. E la musica contemporanea? C´è solo l´imbarazzo della scelta ma un giro in Sequenza21.com o nel sito del critico del New Yorker Alex Ross (therestisnoise.com) è caldamente consigliato.
Ciliegina sulla torta, il primo talent show lirico-classico in rete. Lo propongono Casa Ricordi con il Festival Puccini e YouTube. Si chiama "That´s opera talent" e parte oggi: fino all´8 maggio si possono caricare i video-provini sul canale www.youtube.com/thatsoperatalent. Fra questi saranno selezionati 10 fra cantanti e orchestrali che si esibiranno a luglio nella Madama Butterfly a Torre del Lago.

Repubblica Roma 11.3.10
Perché non bocciare il preservativo a scuola
di Marco Lodoli

E così forse ci sarà il primo distributore automatico di preservativi in una scuola romana, sempre che non si scateni una crociata assurda in nome di chissà quale valore cristiano. Eppure il problema delle gravidanze precoci, capitate sciaguratamente a ragazzine di quattordici o quindici anni, in America è esploso da tempo, e noi come al solito seguiamo a ruota: sono storie amare, comunque si concludano. Il più delle volte sono aborti che segnano per sempre la vita di quelle adolescenti, dolori che non si rimarginano facilmente.
Altre volte – e in periferia è un fenomeno che cresce a dismisura – la maternità viene accettata, come un gioco di bambole che presto però diventa faticoso, malinconico, infelice. Nascono bambini non voluti, dunque non amati.
E allora mettiamoli questi distributori di preservativi, che stiano al centro del cortile a ricordare come non è giusto rovinarsi la vita quando della vita si sa ancora così poco, e come non è giusto rovinarla a una creatura caduta dal cielo a casaccio, un innocente che non troverà una famiglia ad accoglierlo, ma solo pena e recriminazioni.
Nella mia scuola attaccata al muro c´è una enorme macchina colorata che sputa merendine ipercaloriche, melasse che si appiccicano ai denti e scaricano zucchero nelle vene. Io la sbatterei serenamente per la strada, e al suo posto ci metterei un sano distributore di preservativi.
Magari i primi tempi volerebbero le battutacce, magari in pochi oserebbero infilare la moneta davanti agli occhi dei compagni. Ma è solo questione di tempo, qualche mese e tutto diventa normale.
Ecco, far sentire la sessualità come parte viva e bella dell´esistenza, far capire che non bisogna agire alla cieca, che non è il caso di rovinarsi per distrazione: questo è uno dei compiti della scuola. E allora ben vengano i preservativi, ben venga la consapevolezza.

mercoledì 10 marzo 2010

l’Unità 10.3.10
Lazio, ancora no per le liste Pdl È rimasto solo il Consiglio di Stato
Il Cavaliere chiama la piazza «Contro di noi sopruso violento»
Fiducia sul voto per salvarlo dai processi
Il Csm accusa il premier «Democrazia a rischio»

l’Unità 10.3.10
Resta la rabbia per i trucchi Ma Emma Bonino non va sull’Aventino
di Jolanda Bufalini

Combattiva assemblea dei radicali: non basta vincere, è importante anche come ristabilire lo stato di diritto. Applausi al segretario del Pd. Il paradosso di “Raiset”: niente campagna elettorale in Tv e niente talk show.

Satyagraha, forza fermezza e amore per la realtà: c’è un bel clima all’assemblea nazionale dei radicali a Roma. Forza, fermezza e amore aiutano ad ascoltare l’oretta e mezzo dei due interventi di Marco Pannella, grande maestro di cerimonie. Per gli altri il tempo è fissato in dieci minuti, discussione serrata intorno all’interrogativo: «Si può giocare al tavolo dei bari?» e che Emma Bonino sintetizza così: «Non si può andare avanti come se niente fosse successo». Un’assemblea di discussione politica di quelle che non si vedono quasi più, abituati come siamo alle scenografie dai cieli azzurri. C’è una gran voglia di vincere, anche se «è importante il come», perché non basta «lucrare sulla cialtroneria degli altri». Anche perché, con “Raiset”, Berlusconi ci mette due giorni a capovolgere la realtà. Siamo al paradosso, denuncia Mario Staderini e anche Pannella «che non ci sono più i talk show e non ci sono le tribune elettorali».
E, in più, c’è l’affetto dei radicali per Pier Luigi Bersani: un applauso accoglie la mattina l’annuncio del suo intervento, calorosissimi applausi quando arriva e quando parla, anche se non accoglie la proposta pannelliana di un rinvio breve della consultazione elettorale in tutta Italia.
E, d’altra parte, dirà Bersani: «Voi sapete che non ho aspettato un minuto ad accogliere la candidatura di Emma Bonino e che non ho mai pensato che non fosse una candidatura radicale». Proprio questo gli era stato riconosciuto da Gianfranco Spadaccia, da Pannella al mattino che, invece, ha attaccato i predecessori, Veltroni e Franceschini perché bruciano ancora la preclusione alla Rosa nel pugno (preclusione che non valeva per l’Idv) alle politiche e la soglia del 4 per cento che ha fatto sparire i radicali dall’Europa. Goffredo Bettini, chiamato in causa, arriva a salutare Emma.
«Si gioca con i bari?» non vuol dire che ci sia una concreta possibilità di ritirarsi. Un po’, spiega Marco Cappato, perché sarebbe tecnicamente difficile uscire dal gioco una volta che la candidatura è presentata, un po’ perché, spiega benissimo Nicolò Figà Talamanca, «mi sorprende che vi sorprenda che il gioco è truccato, visto che è quello che denunciamo da anni».
Ora che «per la nostra cocciutaggine», dice Emma Bonino, la questione della legalità è esplosa «cosa è più efficace per restaurare lo stato di diritto?» che non è, aggiunge, un tema da elite che non interessa alla gggente (con tre g, chiosa), al contrario, «nelle borgate si sa bene cosa siano i diritti, senza i quali ci sono favori e raccomandazioni. Per i prepotenti il diritto è un impiccio, è ai più fragili che serve».
Il costituzionalista Mario Patrono mette in guardia dalla «bomba ad orologeria» innescata dal decreto e dalla sentenza del Tar. «Sono le elezioni più a rischio di essere invalidate che si siano mai fatte».
Marco Cappato pone un doppio problema, che è d’accordo con Pannella su una sanatoria e rinvio erga omnes delle elezioni, visto che non ci sono solo gli elettori del Pdl penalizzati a Roma ma per esempio, anche quelli dei radicali in Lombardia: il senso della manifestazione di sabato prossimo, «perché non basta protestare se non si punta a ristabilire la legalità». E poi: il rispetto dei diritti civili in Italia non è solo un nostro problema, è anche un problema di cui investire l’Europa che ha condannato la Bulgaria per avere modificato la legge elettorale troppo a ridosso della consultazione, due mesi prima.❖

Repubblica 10.3.10
Radicali in piazza col Pd Bersani a Pannella: niente rinvii
Il leader: nel Pdl apprendisti stregoni. La Bonino non si ritira
Il segretario Pd all'assemblea radicale, tra dissensi e incoraggiamenti
di Giovanna Casadio

ROMA - Marco Pannella la vorrebbe così: una bella, affollata manifestazione in piazza del Popolo, sabato, per chiedere democrazia, legalità e il rinvio delle regionali. Una sorta di sanatoria. Tutte le liste che «hanno presentato difetti qualitativi o quantitativi di firme saranno accettate». E le elezioni dovrebbero slittare perciò di un mesetto. È il pensiero di Marco. Ma Pierluigi Bersani arriva all´assemblea dei radicali, prende la parola e gli dice di no. Nessun rinvio del voto, sì alla grande manifestazione tutti insieme, ci sarà anche il Popolo Viola; Di Pietro ha anche moderato i toni. Però, spiega il segretario Pd: «Lasciamo stare i cavilli, non ci indeboliamo da soli, la palla della confusione e del pasticcio è tutta di là, lasciamola di là. Andiamo davanti agli elettori, andiamo sicuri, andiamo a vincere». Con Emma Bonino (che presiede ieri l´assemblea no-stop dei Radicali) nel Lazio.
Bersani è convinto che la gente non capirebbe un rinvio. Fa un´analisi spietata del berlusconismo. «È evidente che hanno imbrogliato, il governo è l´unico responsabile e nel farsi regole su misura hanno anche sbagliato la misura, come un sarto che non fa bene il suo lavoro». Il premier appare in difficoltà. Il premier, ragiona, «non può più indicare il futuro, ma questo non promette bene per il presente. Berlusconi è troppo forte per essere finito, ma è un po´ finito per essere così forte». Aggiungerà, dopo la decisione dell´ufficio elettorale del Tribunale che ha escluso a sua volta la lista Pdl del Lazio: «Nella maggioranza sono degli apprendisti stregoni, hanno prodotto e stanno producendo solo inutili strappi alle regole».
Quindi, sulla sfida laziale. Bonino non si ritira dalla corsa per la guida della Regione, lo conferma lei stessa spazzando via le voci delle ultime ore che, in nome della battaglia della legalità, l´avrebbero voluta pronta all´Aventino. Tutt´altro. «Tuttavia non è pensabile andare avanti come se nulla fosse successo. L´ipotesi di rinviare le elezioni solo nel Lazio è esilarante». La questione «di legalità e di decenza istituzionale» riguarda la presentazione delle liste in tutta Italia.
I Radicali non cambiano idea sul rinvio «per ripristinare la legalità di un processo politico già ampiamente compromesso». Pensano inoltre di sondare se ci sono le condizioni politiche per portare avanti la loro ipotesi di rinvio. Comunque. In piazza del Popolo ci saranno con uno striscione "Vincere e con-vincere", annuncia Pannella che riconosce il feeling con l´attuale segretario Pd. Si becca Bersani, anche una contestazione: «Bersani, coraggio», lo incitano due giovani militanti. In disaccordo quindi, Radicali e Pd. Marco e Pierluigi se lo dicono amabilmente. Pannella tiene una lezione di mezz´ora a Bersani. E lui, alla fine: «Non replico. Ma se vent´anni fa mi avessero detto che avrei avuto per mezz´ora Pannella tutto per me...». Giocano di fioretto il leader radicale e il segretario del Pd. Marco Cappato, escluso dalla corsa alla guida della Lombardia con la lista Radicale, ribadisce che non abbandoneranno la strada dei ricorsi per fare valere le loro ragioni.

Corriere della Sera 10.3.10
Bonino: «E ora una campagna elettorale sana»
di Alessandro Capponi
qui
http://www.scribd.com/doc/28127739/%C2%ABE-ora-una-campagna-elettorale-sana%C2%BB-10-mar-2010-Page-2

il Riformista 10.3.10
Le chance di Emma nel Lazio iniziano a preoccupare la Chiesa
di Francesco Peoloso
qui
http://www.scribd.com/doc/28127792/Il-Riformista-p7

l’Unità 10.3.10
L’adunata oceanica
di Giovanni Maria Bellu

Proprio mentre il tribunale civile di Roma, come già aveva fatto il Tar del Lazio, stava per dichiarare l’inutilità del decreto ad listam emanato dalla maggioranza per sanare i pasticci dei suoi maldestri dirigenti laziali, il governo ha annunciato il voto di fiducia il trentesimo sull’ennesima legge ad personam denominata «legittimo impedimento». Ci sono buone probabilità che la giornata di ieri, con un decreto ad hoc, venga proclamata la festa nazionale del Partito del fare gli affari propri alla faccia dei gonzi e degli onesti.
Il paese non può che rallegrarsene. La confusione è solo apparente e le prossime tappe della squallida vicenda sono chiare. Intanto ci sarà il ricorso al Consiglio di Stato e assisteremo alla più spaventosa attività di pressione sulla giustizia amministrativa della storia del dopoguerra. Detto per inciso, le possibilità che in quella sede la giustizia del premier e dei suoi angosciati legali trionfi non sono piccole. Contemporaneamente imbavagliata l’informazione televisiva e affidata la velina politica nazionale al solo Augusto Minzolini si farà in modo di accreditare l’idea che il Popolo delle libertà è vittima della perfidia. La circostanza dell’accoglimento giudiziario, in Lombardia, delle ragioni del meno maldestro Formigoni sarà opportunamente taciuta. E intanto ferveranno i preparativi per l’adunata oceanica convocata per sabato 20 marzo. A Roma, secondo le migliori tradizioni nazionali.
Il tema dell’adunata sarà la difesa della democrazia sostanziale contro i vecchi formalismi costituzionali. La balla della “violenza fisica” che avrebbe impedito al distratto mangiatore di panini di presentare la lista sarà ripetuta ossessivamente nel tentativo di farla entrare nella testa del più alto numero di telespettatori. Come già la guida suprema ha tentato di suggerire col parallelo giudici-talebani, i sostenitori laziali del Pdl saranno accostati agli elettori iracheni. Qua è là, durante i programmi di satira compiacente, si suggerirà l’idea che i giudici nascondono le urne. Apicella scriverà qualche verso dove accosterà gli ex voto per San Gennaro alla condizione del popolo berlusconiano afflitto.
Il mondo ci riderà dietro cosa che d’altra parte fa da tempo ma solo gli utenti del web ne avranno una percezione precisa. Poi, finalmente, si andrà alle urne. Ma non prima che il duce abbia raccomandato ai suoi di vigilare contro i soliti brogli della sinistra. E nel caso in cui il paese gli desse la batosta che merita, attribuirà la sconfitta al complotto ordito dalla magistratura, dai comunisti e da potenze straniere. E ragionerà sulla possibilità di un decreto interpretativo del voto popolare.
Ecco perché il paese deve gioire per quanto è accaduto ieri. La consapevolezza delle tappe future, ci dà gli strumenti per andare avanti senza commettere errori. Soprattutto quello segnalato ieri da Andrea Camilleri di dividerci. Se queste elezioni regionali sono un referendum, la democrazia non può perderlo. Cominciamo a lavorare subito.

Repubblica 10.3.10
Le macerie istituzionali
di Adriano Prosperi

Oggi non è solo all´Aquila che si deve sgombrare il terreno dalle macerie. Quelle che segnano i luoghi istituzionali del Paese sono diventate così tante da cancellare il profilo del nostro orizzonte di riferimento e da diffondere un sentimento generale di ansia e di smarrimento. Per questo fa bene il Presidente della Repubblica a segnalare che il valore della Costituzione resta ancora un punto di riferimento fondamentale per l´opinione pubblica.
È dall´altezza di questo osservatorio che bisogna misurare la gravità della situazione. Oggi il documento votato all´unanimità della prima sezione del Consiglio Superiore della Magistratura mette sotto gli occhi di tutti lo spettacolo del disastro provocato dagli attacchi violentissimi del presidente del Consiglio dei ministri alla magistratura. Ne abbiamo letti quasi uno al giorno per anni. Qualcuno li considera intemperanze caratteriali su cui poi esperti mediatori dal sorriso facile e dalla parola morbida si occupano di versare mielate rassicurazioni. Si rischia di abituarsi allo spettacolo: una variante italiana dei costumi politici, con tanto di sesso, barzellette e canzoni napoletane. Non così pensano i magistrati della prima sezione del Csm. Si tratta secondo loro di una denigrazione e di un condizionamento della magistratura assolutamente inaccettabili perché mettono in pericolo l´equilibrio tra poteri e ordini dello Stato. Senza questo equilibrio non si dà un ordinamento civile capace di tutelare i diritti di ognuno. Lo sappiamo. Dovremmo saperlo. È un dato elementare, semplicissimo, un pilastro fondamentale del sistema democratico. Ma i magistrati non si limitano a condannare. Il loro documento rivolge «un pressante appello a tutte le istituzioni perché sia ristabilito un clima di rispetto dei singoli magistrati e dell´intera magistratura». Oggi la magistratura è accusata nientemeno che di sovversione. E non si è trattato solo di parole. Le accuse del premier si sono tradotte in gravissimi episodi di diffamazione e aggressione all´immagine e alla dignità di singoli magistrati, vere e proprie esecuzioni in effigie. Questo documento del Csm segna una svolta storica nella lotta politica italiana: segnala una situazione di emergenza e invita a scelte adeguate. Scuote un torpore politico e morale che è frutto di una corruzione radicata in profondità. Quando si cominciano ad accettare certe cose in silenzio, quando si decide di smorzare i toni della reazione e a far finta di niente non si è contribuito al buon andamento della cosa pubblica come qualcuno può pensare: di fatto si è già accettato di vivere nella «Repubblica del Male Minore». È quello che sta accadendo da tempo.
È un fatto che appartiene al peggiore costume del nostro passato, a forme di corruzione morale e di indifferenza per le regole che ha avuto tanti nomi ma che ha una sola sostanza. Di secolo in secolo si sono usati nomi diversi: «nicodemismo»,«dissimulazione onesta», «familismo amorale». Diversi i fenomeni storici, legati però da un minimo comune denominatore morale che si è fissato nel costume di casa: il chiudere la porta e la finestra sul mondo degli altri, il conservarsi indifferenti alla cosa pubblica , il tollerare le lesioni ai diritti individuali in nome del tranquillo vivere dei più, il considerare ovvio che chi dispone del potere faccia straccio dei diritti di chi non gli obbedisce. Da questo costume sono nate le vergogne e gli errori della storia italiana: è questo che permise al popolo italiano nel suo insieme di accettare senza reagire l´immane vergogna delle leggi razziali, salvo poi addossare questa colpa al solo pontefice regnante come unico titolare della coscienza collettiva.
Ma quello della violenza contro i magistrati non è che il fenomeno più evidente prodotto da un leader politico che disprezza la giustizia come norma e come istituzione e si fabbrica le leggi e le sentenze su misura. Altre rovine sono state seminate un po´ dovunque da quella che oggi anche i commentatori più moderati e più filo governativi si rassegnano ormai a riconoscere come una congenita incapacità di Silvio Berlusconi di affrontare le responsabilità del governo di una grande nazione. Un sistema di potere personalistico ha fatto continuamente leva sul principio rozzo e intrinsecamente dittatoriale di interpretare una vittoria elettorale come una investitura plebiscitaria a comandare. I suoi attacchi alle istituzioni hanno superato da tempo ogni limite tollerabile in un sistema fondato sulla divisione dei poteri. Per disgrazia del Paese il comando è caduto nelle mani di una persona determinata a servirsene per tutelare e accrescere i suoi beni e per risolvere i suoi problemi con la giustizia. Da qui l´invenzione a getto continuo di norme e decreti «ad personam»: mentre scriviamo è in atto l´ennesima affannosa corsa del Parlamento per poter definire legittimo il fatto che un imputato non si presenta in tribunale. E non è certo la prima volta che quel potere legislativo che il popolo ha affidato al Parlamento viene confiscato e distolto dai problemi del Paese per togliere un privato cittadino che è anche per caso il presidente del Consiglio dagli impicci con la giustizia. Ai problemi del Paese si è data finora una risposta sbrigativa considerandoli come emergenze da affidare a strutture sottratte alle leggi ordinarie. Ma la politica dell´emergenza sta crollando sotto una valanga di scandali. E la vicenda delle liste elettorali segna il fallimento clamoroso di un sistema che ha concepito le elezioni non come un modo per far emergere una classe di governo dal consenso dei cittadini ma come l´imposizione agli elettori di candidati scelti su altri e ben diversi parametri da quelli della capacità e dell´onestà nel servire gli interessi del Paese. Un fatto è certo: comandare non è governare. Una cultura di governo deve conoscere e rispettare le regole. Questo governo le ignora a tal punto che ha visto ridicolizzato da un tribunale amministrativo per insipienza e approssimazione il recente decreto «interpretativo», cioè l´ennesimo tentativo di sanare le malefatte col solito decreto tappabuchi. Questo governo? Diciamo pure quest´uomo: l´uomo che oggi tace. Il suo silenzio è più di una confessione. La voce arrogante che ha aggredito e sbeffeggiato istituzioni e ordini fondamentali del sistema democratico, dalla magistratura alla presidenza della repubblica, oggi è assente da uno scenario dove si aggirano smarriti e balbettanti i suoi cortigiani. Spettava a lui, se fosse stato quello statista che non è, prendersi la responsabilità del pasticcio combinato dai suoi e chiedere alle altre forze politiche e al Paese di risolvere insieme il problema: che è un problema di tutti se è vero che il diritto al voto è l´incancellabile principio base della democrazia. Diritto di tutti: di ogni partito, non solo del più grosso come tende a dire la poco democratica petulanza dei portavoce della maggioranza. Ma se i diritti di tutti non sono difesi con la durezza e l´intransigenza necessaria, se si continua ad accettare una violenza eversiva sfacciata e uno spettacolo di conclamata immoralità e corruzione accettando di abbassare la protesta in un sussurro, forse non ci accorgeremo nemmeno quando dalla Repubblica del Male Minore ci avranno trasferito armi e bagagli nel territorio della confinante Repubblica della Giustizia assente.

il Riformista 10.3.10
Il Pd è sicuro che la battaglia sulle regole è vincente?
di Ritanna Armeni
qui
http://www.scribd.com/doc/28127780/il-Riformista-p15

Repubblica 10.3.10
Padre Ratzinger: "Anch´io ho dato schiaffi"
E dopo Ratisbona denunciate violenze sui minori anche in Austria e nei Paesi Bassi
di Andrea Tarquini

Il fratello del Papa chiede scusa. Lombardi: "La Chiesa è intervenuta con forza"

BERLINO - Padre Georg Ratzinger, fratello del Pontefice, ammette che qualche volta sono scappati anche a lui ceffoni ai bimbi e ai ragazzi del Coro di Ratisbona, anche se la coscienza poi gli ha sempre fatto provare rimorso. E pur ribadendo di non aver mai saputo fino ad oggi dei gravi casi di abusi e violenze contro i minori, chiede scusa alle vittime. Il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, sottolinea invece che le chiese si sono attivate con decisione, nega che la Direttiva del 2001 della Congregazione per la dottrina della fede sia stata ispiratrice di una cultura del silenzio, e invita a non accusare solo il mondo cattolico; ma ammette che la Chiesa stessa «sta attraversando un grande travaglio». Dopo gli scandali tedeschi, intanto, in Austria e in Olanda emergono nuovi casi, con la denuncia di centinaia di abusi. La Chiesa dei Paesi Bassi ha aperto un´inchiesta indipendente.
Sul tema tragico, pesante e sofferto degli abusi omosessuali e pedofili, le istituzioni cattoliche e il mondo che fa loro capo sono nella tempesta.
Le prime notizie urgenti, ieri mattina, venivano dalla Germania. In un´intervista alla Passauer Neue Presse, un giornale ritenuto portavoce ufficioso del cattolicesimo conservatore, padre Georg Ratzinger ammetteva: «All´inizio anch´io ho distribuito ripetutamente schiaffi, anche se la coscienza poi mi rimordeva. Quando nel 1980 le punizioni corporali sono state proibite, ho provato un profondo sollievo». Non è tutto. «Quando eravamo in viaggio per concerti, i ragazzi del Coro dei passeri del Duomo», ha continuato il fratello maggiore del Pontefice, «mi raccontavano della durezza dell´allora rettore dell´Internato. Sapevo che egli picchiava mollando schiaffi di particolare durezza, ma mi era sconosciuta l´ampiezza, e la gravità del problema». Oggi, sottolinea, «provo profondo dolore per le vittime, la cui integrità fisica e spirituale fu ferita».
Per la prima volta dunque, padre Ratzinger ammette in sostanza che le percosse erano pratica corrente. Per la prima volta parla con tanta apertura e fornisce tanti dettagli sul dramma.
«Non si può negare la gravità della tormenta, del travaglio che la Chiesa attraversa», ha detto alla Radio Vaticana il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi. «Ma non bisogna rinunciare a fare il possibile per ottenere risultati positivi, più difesa dell´infanzia e dei giovani e una purificazione della Chiesa». Le chiese, sottolinea, si sono mosse bene, «si sono attivate con decisione e hanno dato prova di trasparenza e di volontà di fare luce». Ma ricordiamo, ha aggiunto, che questi drammi riguardano l´intera società: in Austria «si parla di 17 casi in ambienti religiosi e 510 in altri ambienti». E soprattutto, padre Lombardi ha risposto all´accusa della ministro della Giustizia tedesca, Sabine Leutheusser-Schnarrenberger. Non è vero, ha detto, che (come invece sosteneva lunedì la guardasigilli tedesca, ndr) la Direttiva del 2001 "de delictis gravioribus" abbia creato una cultura del silenzio. La Direttiva al contrario «ha indicato la gravità del problema al mondo ecclesiastico», e l´ha inquadrato nel contesto del diritto canonico. Il che non vuol dire affatto boicottare la Giustizia statale.
La Santa Sede tende anche la mano al governo tedesco: padre Lombardi ha detto sì alla Tavola rotonda voluta dall´esecutivo della cancelliera Merkel per il 23 aprile tra potere pubblico, mondo dell´istruzione e chiese, proposta finora non accolta dalla Conferenza episcopale tedesca. Ma intanto gli scandali dilagano: in Olanda i vescovi stessi parlano della scoperta di almeno 200 casi di abusi. In Austria si parla di violenze in almeno due istituti religiosi negli anni Settanta e Ottanta, e l´attuale padre superiore dell´Abbazia di San Pietro a Salisburgo avrebbe già ammesso di essere implicato.

Repubblica 10.3.10
Si teme che possano emergere nuovi casi nella diocesi di Monaco, già coinvolta per gli abusi nel monastero di Ettel
La grande paura del Vaticano "Adesso lo scandalo può allargarsi"
di Orazio La Rocca

Secondo un alto prelato tedesco sono rivelazioni destinate a colpire il Pontefice
Venerdì Benedetto XVI riceverà i rappresentanti dell´episcopato di Germania

CITTÀ DEL VATICANO - Dopo Ratisbona, Monaco? È l´interrogativo che sta circolando, con terrore, nella Curia pontificia già ampiamente sconvolta dalle notizie arrivate dalla Germania sulle violenze sessuali su minori avvenute nello storico coro di Ratisbona, diretto dal 1964 al 1993 dal fratello di Benedetto XVI, monsignor George Ratzinger. Notizie che - dopo quando già avvenuto in Irlanda, in Olanda e nelle diocesi Usa - hanno contribuito ad accentuare il clima di «imbarazzo, rabbia e delusione» che si respira in Vaticano. Un clima che - si apprende Oltretevere - non è stato «certamente» rasserenato dall´inattesa intervista che il fratello del Papa ha concesso ad un giornale tedesco rivelando, tra l´altro, di «essersi pentito per aver dato anche lui qualche ceffone ai suoi allievi» quando dirigeva il coro di Ratisbona.
Ammissioni «imprudenti ed inutili» si lascia scappare un alto prelato tedesco da anni in Vaticano, il quale - pur esprimendo riprovazione e condanna per i casi di pedofilia avvenuti in Germania e in altre nazioni - sospetta che «queste rivelazioni facciano parte di una strategia che tende a colpire, in ultima analisi, Benedetto XVI». Ecco perché in Vaticano si teme che, dopo i casi del coro di Ratisbona che hanno sfiorato il fratello del Papa, vicende analoghe possano emergere con altrettanta insistenza anche per la diocesi di Monaco retta dal cardinal Joseph Ratzinger dal 1977 al 1982.
Solo timori, anche se - in verità - la diocesi di Monaco in qualche modo è stata già tirata in ballo dagli abusi sessuali che hanno travolto il monastero benedettino di Ettal, dove negli anni passati sarebbero stati violentati un centinaio di bambini, molti dei quali hanno ammesso di aver subito punizioni anche a base di schiaffi e pugni. Sul monastero di Ettal il Vaticano ha subito avviato una indagine per mano di un visitatore apostolico, un monsignore "inquirente" pontificio che riferirà alla Santa Sede in applicazione di quella tolleranza zero pianificata da papa Ratzinger per stroncare alla radice la vergogna della pedofilia. Quella stessa tolleranza zero che lo stesso Benedetto XVI rammenterà ai rappresentanti dell´episcopato tedesco che verranno venerdì prossimo in Vaticano guidati dall´arcivescovo Robert Zollitsch, presidente dei vescovi tedeschi. «Certamente col Santo Padre parleremo anche degli abusi sessuali di cui sia sta parlando da qualche giorno, anche se l´incontro era previsto da tempo, ancor prima dei casi emersi al coro di Ratisbona», puntualizza il portavoce di monsignor Zollitsch.
«Ogni anno, alla conclusione della nostra assemblea plenaria - fa sapere il presidente della conferenza episcopale tedesca - riferiamo sempre al Papa dei contenuti di cui abbiamo discusso. Quest´anno, ci siamo soffermati ad analizzare in primo luogo i casi di violenze sessuali emersi nel nostro paese, ma anche le problematiche legate all´Afghanistan e al calo demografico che ha colpito la Germania».
Grande, dunque, è l´attesa per l´udienza di venerdì, anche perché da quanto papa Ratzinger dirà ai suoi connazionali si capirà se la Santa Sede ha veramente archiviato l´evidente clima di incertezza con cui finora ha fatto fronte alle rivelazioni sui preti pedofili. Come dimostra il ritardo che sta accompagnando la lettera del Papa ai cattolici irlandesi, annunciata per l´inizio della Quaresima (il 17 febbraio scorso), ma che - dopo i casi di Ratisbona - forse difficilmente vedrà la luce. Come pure il differente approccio con cui Radio Vaticana e Osservatore Romano, hanno affrontato finora il caso pedofilia. Il giornale vaticano ieri ha quasi "degradato" padre Federico Lombardi, dimenticando di scrivere che il religioso è il portavoce papale nel servizio dedicato al commento sui preti pedofili letto da Lombardi alla Radio Vaticana. Servizio pubblicato in ultima pagina con piccolissimo richiamo in prima col titolo «A proposito del dibattito sugli abusi sessuali».

Repubblica 10.3.10
La Chiesa di fronte alla scelta del celibato
Risponde Corrado Augias

Caro Augias, ho visto su Repubblica la foto di un preoccupato Benedetto XVI di fronte al dilagare di scandali di pedofilia. Si dice che per evitare queste tentazioni bisognerebbe abolire il celibato dei preti, anche se questa soluzione mi sembra piuttosto limitativa del ruolo di una moglie, come del resto di quello di un chierichetto. Certo, condurre l'esercizio pastorale confortati da una complessa affettività nei confronti della moglie e soprattutto dei figli, permetterebbe un rapporto più equilibrato e sereno con i "parvuli". Mi resta però il dubbio che a favorire le deviazioni di questo rapporto sia proprio il ruolo educativo esercitato dal sacerdozio, non solo verso i bambini, ma anche verso le donne, la cui presenza in confessionale è pure ben commentata dalla scaltrezza popolare. Del resto il popolo è sempre stato comprensivo verso la solitudine del prete e le porte di servizio dei conventi di clausura. A suo tempo, anch'io fui fatto oggetto di attenzioni particolari, sia pure senza esito. Mia madre non se ne scandalizzò, mi raccomandò di non restare mai solo col prete.
Andrea Bonucci andrea.bonucci@libero.it

S u questo terribile problema della chiesa cattolica ho letto di recente due interventi entrambi autorevoli ma quasi opposti. Il primo di Hans Küng su Repubblica nel quale il noto teologo (dissidente) diceva tra l'altro: « Abusi sessuali in massa ai danni di bambini e giovani ad opera di preti cattolici, dagli Usa alla Germania, passando per l'Irlanda: un enorme danno di immagine per la chiesa cattolica, ma anche segno palese della sua crisi. E indiscutibile che tali abusi si verifichino anche in seno alle famiglie, nelle scuole, nelle associazioni e anche nelle chiese in cui non vige la regola del celibato. Come mai si registrano in massa proprio nella chiesa cattolica, guidata da celibatari? Queste colpe non sono attribuibili solo al celibato. Ma questo resta la più importante espressione dell'approccio teso che i vertici cattolici hanno sulla sessualità». L'altra opinione è quella di monsignor Vincenzo Paglia vescovo di Terni noto per le sue aperture: «Noi preti siamo chiamati a una vita paradossale che mette in evidenza il primato di Dio. Il celibato mette una zeppa ad una società consumista ed egocentrica. La paradossalità della vita del prete rende la società più umana». Hanno ovviamente ragione entrambi anche se potrei ricordare (con Küng) che: « Pietro e gli altri apostoli erano sposati nell'esercizio del loro ufficio. Questa rimase per molti secoli una condizione ovvia per i vescovi e i presbiteri». Il celibato non ha nulla di teologico né di evangelico. E' una decisione amministrativa quindi revocabile quando le circostanze sembrino suggerirla. Le circostanze francamente sembrano suggerirla.

l’Unità 10.3.10
«Pentito di quegli schiaffi» Georg Ratzinger chiede scusa
Violenze sessuali, si allarga lo scandalo nelle scuole e negli istituti religiosi in Germania. Il governo convoca un vertice il 23 aprile. Altri due casi in Austria, nell’Abbazia di Salisburgo e in quella di Bregenz.
Tre ministre schierate contro la pedofilia. Tolleranza zero e risarcimenti anche con prescrizione
Pioggia di denunce, ora anche tra le voci bianche di Limburgo nel convento di santa Edvige
di Gherardo Ugolini

Forse davvero Georg Ratzinger, per tre decenni direttore del Coro delle voci bianche della cattedrale di Ratisbona, non sapeva nulla degli abusi sessuali ai danni degli allievi dell’internato della scuola,
ma di sicuro non disdegnava metodi punitivi violenti. Anche a lui è capitato «di assestare uno schiaffo a qualche allievo come reazione a una manchevolezza o ad un rifiuto» ha ammesso ieri monsignor Ratzinger in una nuova intervista al quotidiano Passauer Neue Presse. Era del resto era la prassi, dalla quale era difficile per gli insegnanti derogare. E quando nel 1980 le punizioni corporali sono state vietate in Germania, Ratzinger dice di essersi sentito «intimamente sollevato». Il fratello del Pontefice dice di essere pentito per il ricorso alle punizioni corporali praticate, e chiede scusa agli allievi che le hanno subite. Quanto agli abusi sessuali ribadisce di non averne mai avuto notizia ed esprime la sua pena per le vittime «la cui integrità fisica e psichica è stata ferita».
LE VOCI BIANCHE DI LIMBURG
Lo scandalo della violenza sessuale su minori nelle scuole religiose tedesche non dà tregua. Non passa giorno senza che nuovi casi vengano denunciati e nuovi istituti finiscano nel mirino. Un’ex allieva del Collegio delle suore di Sant’Edvige a Berlino ha denunciato pesanti molestie sessuali compiute anni fa ai suoi danni. L’ultimo caso riguarda i “Limburger Domsingknaben”, il coro di voci bianche della cattedrale di Limburg, in Assia: un ex allievo del coro ha scritto al vescovo, Peter Tebartz van Elst, denunciando gli abusi commessi tra il 1967 e il 1973 dal direttore, deceduto nel 2002.
Lo scandalo manda in fibrillazione anche il mondo politico tedesco. Se Angela Merkel ha scelto la massima cautela dichiarando di apprezzare il «senso di responsabilità» con cui la Chiesa sta affrontando la faccenda, ben più drastica è la posizione di alcuni suoi ministri. Sono soprattutto le donne a farsi sentire. Sabine Leutheusser-Schnarrenberger, esponente Fdp e ministro federale della Giustizia, ha accusato il Vaticano di avere ostacolato le indagini con «un muro di silenzio» per evitare che la verità trapelasse fuori dalle istituzioni coinvolte. E in un articolo sulla Süddeutsche Zeitung la leader liberale invoca risarcimenti per le vittime anche se fosse intervenuta la prescrizione giudiziaria.
Un’altra ministra federale, la cristianodemocratica Annete Schavan, responsabile dell’Istruzione, è invoca «tolleranza zero» contro i preti pedofili dal momento che «la violenza sugli scolari rappresenta la più grave rottura del rapporto di fiducia che si possa immaginare». Insieme a Kristina Schröder, ministro della Famiglia, ha lanciato il progetto di un comitato permanente, formato da esponenti del mondo scolastico e da delegati delle Chiese cattolica e protestante, con lo scopo di varare procedure vincolanti da seguire nei casi di abusi sessuali. In cantiere c’è anche una campagna di sensibilizzazione rivolta ai bambini perché sappiano riconoscere e trovino il coraggio di denunciare eventuali approcci molesti.❖

l’Unità 10.3.10
«Gli abusi sui bambini delitto orribile Ma non solo tra noi»

Sugli abusi sessuali, e non solo in Germania, la Chiesa ha «affrontato il manifestarsi del problema con tempestività e decisione». Ma accusare solo la chiesa dice il portavoce vaticano, Federico Lombardi non è bene: in Austria «i casi accertati in istituzioni riconducibili alla Chiesa sono stati 17, mentre ve ne sono stati altri 510 in altri ambienti». L’abuso sessuale sui bambini, ha continuato, « è sempre stato considerato uno dei più gravi. Anche la Lettera “De delictis gravioribus” del 2001, talora inopportunamente citata come causa di una cultura del silenzio». Quel testo, ricorda padre Lombardi, è stato «un segnale determinante per richiamare l’episcopato alla gravità del problema e un impulso concreto per l’elaborazione di direttive operative per affrontarlo». Il travaglio della Chiesa è gravissimo, ma «bisogna fare tutto il possibile perché se ne ottengano anche risultati positivi, di migliore protezione dell’infanzia e della gioventù nella Chiesa e nella società».

l’Unità 10.3.10
Il celibato dei sospetti
di Filippo Di Giacomo

I casi di pedofilia nella Chiesa sono inferiori a quelli registrati altrove. Ma il tema fa presa e c’è chi specula sulla scelta dell’astinenza

Anche in Germania, come negli Usa e in altri Paesi europei, i vescovi cattolici hanno obiettato sullo smantellamento dello stato sociale. A una Merkel intenzionata a svendere il welfare per i trenta denari versati dai liberali all’attuale coalizione di governo, i vescovi hanno ricordato il significato che la dizione “cristiano-sociali” ha sempre rappresentato per l’identità e le politiche del partito in nome del quale è stata eletta. A stretto giro di posta è arrivata la risposta dei “liberali” tedeschi: la Chiesa farebbe meglio a occuparsi dei problemi al suo interno. E quale problema mediaticamente parlando, è più spendibile delle intemperanze sessuali del clero? Circola per il mondo un manipolo di avvocati anglosassoni specializzati nella bisogna, e il loro sbarco in Italia è già programmato per i prossimi mesi. Probabile quindi che dopo quella irlandese, tedesca, austriaca e olandese, avremo diritto a una puntata italiana sui luoghi comuni dell’ormai poco originale dibattito su ciò che la Chiesa è, e su ciò che dovrebbe fare. In questi giorni già si leggono argomentazioni tese a dimostrare come gli atti di pedofilia clericali sarebbero ricollegabili al celibato dei preti, ad una indotta regressione sessuale risalente alla formazione impartita nei seminari minori (praticamente scomparsi da quarant’anni), secondo un modello imposto dal concilio di Trento, nella seconda metà del millecinquecento.
In realtà, il celibato esiste dal 306, dal Concilio di Elvira (nome di Granada nella Hispania romana), nella Chiesa d’Occidente è diventata regola indiscussa già nel IV secolo, quando Agostino suggerì l’adozione della disciplina monastica a tutti i suoi preti. Ha dato prova di poter garantire una struttura psichica che favorisce l’indipendenza e la disponibilità esistenziale, e continua a rappresentare uno dei carismi che la Chiesa Cattolica testimonia nel cristianesimo globale. E anche nel sacerdozio celibe, gli uomini sani non hanno mai conosciuto lo sviluppo di attrazioni erotiche nei confronti dei bambini come risultato dell’astinenza. Negli oltre ottanta casi di abusi denunciati nella diocesi di Boston, la prima circoscrizione cattolica ad essere arrivata sui media in odore di pedofilia diffusa, solo quattro sono stati riconosciuti colpevoli. In Irlanda, le due commissioni governative che hanno investigato sui circa 2800 casi denunciati, ne hanno considerati fondati solo il 10 %. Ciò vuol dire che il 90% delle accuse, benché fortemente mediatizzate, erano false. C’è una latente, oscura vena fascista in questo accanito tentativo di voler esorcizzare in salsa clericale un problema, quello dell’uso e dell’abuso dei bambini, che a livello globale è beceramente strutturato in ogni categoria professionale e abbraccia la pedofilia così come la pornografia, il turismo sessuale, la prostituzione, lo sfruttamento del lavoro minorile, la mendicità schiavistica. Non per nulla ieri Padre Federico Lombardi ha ricordato che: «In Austria, in uno stesso periodo di tempo, i casi accertati in istituzioni riconducibili alla Chiesa sono stati 17, mentre ve ne sono stati 510 in altri ambienti. È bene preoccuparsi anche di questi».
Si può notare come l’ondata europea di massmediatizzazione degli abusi cattolici avvenga in un contesto ambiguo. Da un lato, è ormai certo che Benedetto XVI ha dispiegato sulla materia una fermezza disciplinare che non lascia dubbi né dentro né fuori la Chiesa, dall’altro la virulenza degli attacchi anticattolici risultano enfatizzati dall’immagine di isolamento del Pontefice, dovuta verosimilmente a una macchina curiale e amministrativa che non appare a lui fedele e che viene descritta all’opinione pubblica come da lui non controllata. Nella pubblicistica ecclesiologica e canonistica d’Oltralpe è dalla fine degli anni Settanta che ci si chiede (famoso il saggio che aveva significativamente il titolo L’Eglise à l’heure du management, La Chiesa all’epoca del management) se il cattolicesimo abbia ancora bisogno di una curia che occupa circa 2800 persone, impermeabile ai volenterosi tentativi fatti da Paolo VI e Giovanni Paolo II per renderla ecclesialmente compatibile con la Chiesa reale, capace (come dimostrano le vicende di certi “gentiluomini” del Papa) solo di internazionalizzare gli atavici privilegi e vizi. Nell’editoriale del settembre 1997 l’allora direttore di Jesus, (mensile dei Paolini), fece rimbalzare in Italia una proposta molto seria avanzata da alcuni vescovi statunitensi: abolire la curia senza ulteriori indugi. Allora, il direttore perse il posto. Ora se il suo sogno si avverasse, a battere le mani sarebbe, probabilmente, la Chiesa intera.

il Riformista 10.3.10
Chiesa tedesca nel mirino
Una valanga di denunce
Mea culpa di G. Ratzinger
di Alessandra De Ferrà
qui
http://www.scribd.com/doc/28127780/il-Riformista-p15

Repubblica 10.3.10
"Il Diavolo abita anche in Vaticano"
Padre Amorth, l´esorcista più famoso del mondo, racconta la sua lotta contro il maligno. E rivela: "Si è infiltrato anche in Vaticano"
di Marco Ansaldo

Beelzebul, Zago, Astarot, Asmodeo, Jordan. Quanti sono i nomi e le trasformazioni del Maligno? La stanza del mistero è spoglia. L´atmosfera fredda. Però padre Gabriele Amorth, l´Esorcista con la "e" maiuscola, settantamila casi affrontati in nemmeno 25 anni, sorride serafico. Lui è abituato a porte che sbattono, sedie che si rovesciano, occhi che roteano, bestemmie che volano. Ma parlare di demonio nella casa del Papa mette i brividi lo stesso. Anche se l´Esorcista non si tira indietro di fronte all´Avversario. E il Santo Padre? «Oh, Sua Santità crede in pieno nella pratica dell´esorcismo. Perché il diavolo alberga in Vaticano. Naturalmente è difficile trovare le prove. Ma ho confidenze di persone che lo confermano. E, del resto, se ne vedono le conseguenze. Cardinali che non credono in Gesù, vescovi collegati con il demonio. Quando si parla di "fumo di Satana" nelle Sacre stanze è tutto vero. Anche queste ultime storie di violenze e di pedofilia».

Beelzebul, Zago, Astarot, Asmodeo, Jordan. Quanti sono i nomi e le trasformazioni del Maligno? La stanza del mistero è spoglia. L´atmosfera fredda. Però padre Gabriele Amorth, l´Esorcista con la "e" maiuscola, settantamila casi affrontati in nemmeno 25 anni, sorride serafico. Lui è abituato a porte che sbattono, sedie che si rovesciano, occhi che roteano, bestemmie che volano. Ma parlare di demonio nella casa del Papa mette i brividi lo stesso. Anche se l´Esorcista non si tira indietro di fronte all´Avversario.

Ha guardato in faccia il diavolo. O almeno le sue incarnazioni terrene. Padre Gabriele Amorth ha affrontato 70 mila indemoniati (veri o presunti) in 24 anni di esercizio. "Il Papa crede in questa pratica" assicura. Anche perché "il Maligno alberga in Vaticano, e se ne vedono le conseguenze" Un esempio? Le ultime storie di pedofilia
Il sacerdote, che lavora a Roma, è il più famoso "liberatore di anime" al mondo
"Il nostro compito principale è affrancare l´uomo, soprattutto dalla paura di Satana"
"Il 90 per cento delle vessazioni diaboliche è la conseguenza di malefici"
"La notte di Natale il Nemico ha provato a colpire Ratzinger cercando di buttarlo a terra"

E il Santo Padre? «Oh, Sua Santità crede in pieno nella pratica della liberazione dal Male. Perché il diavolo alberga in Vaticano. Ho confidenze di persone che lo confermano. Naturalmente è difficile trovare le prove. E, comunque, se ne vedono le conseguenze. Cardinali che non credono in Gesù, vescovi collegati con il demonio. Quando si parla di "fumo di Satana" nelle Sacre stanze è tutto vero. Anche queste ultime storie di violenze e di pedofilia. Anche la vicenda di quella povera guardia svizzera, Cedric Tornay, trovata morta con il suo comandante, Alois Estermann, e la moglie. Hanno coperto tutto. Subito. Lì si vede il marcio».
Tutti lo conoscono come l´Esorcista. Molti ne chiedono l´assistenza. Perché Gabriele Amorth, sacerdote paolino nato a Modena, laureato in Giurisprudenza, ex partigiano, medaglia al valor militare, democristiano di scuola dossettiana ed ex direttore del giornale mariano Madre di Dio, è il più famoso liberatore del demonio al mondo.
Ma a 85 anni settantamila casi si fanno sentire. E don Amorth è appena convalescente. «Da un improvviso crollo», dice lui. «Un qualcosa di inspiegabile», rivela confidenzialmente l´amico don Francesco che, a 90 anni, don Gabriele considera come «il bastone della mia vecchiaia». Sebbene sia in pigiama, attorniato dalle medicine sul tavolo, da immagini della Madonna, da una copia di Avvenire che accenna al suo nuovo libro da poco in libreria ("Memorie di un esorcista", intervista di Marco Tosatti, edito da Piemme), lo sfidante di Satana mostra un piglio energico. Osserva la propria foto in copertina ed esclama: «Che faccia da bulldozer. Invece, quando sono tranquillo, i tratti del mio volto si distendono e divento un altro. Forza, parliamo, che di là ho dei casi che mi aspettano».
Padre Amorth, com´è il diavolo? «È puro spirito, invisibile. Ma si manifesta con bestemmie e dolori nelle persone di cui si impossessa. Può restare nascosto. O parlare lingue diverse. Trasformarsi. Oppure fare il simpatico. A volte mi prende in giro. Io però sono un uomo felice del mio lavoro, una nomina inaspettata giunta 25 anni fa dal cardinale Poletti. E né gli indemoniati, che a volte sei o sette dei miei assistenti devono tener fermi, né i chiodi o i vetri che escono dalla bocca dei posseduti, e conservo in questo sacchetto, mi spaventano. So che è il Signore a servirsi di me».
Il Maligno può manifestarsi con violenza. Nella stanza prescelta - padre Amorth ha girato 23 sedi diverse, cacciato ovunque perché i confratelli erano stufi di sentire urla fino a tarda sera, finché non ha trovato stabile dimora nel quartier generale delle edizioni San Paolo - c´è un lettino con le corde per legare l´indemoniato. E una poltrona per le persone che non urlano, e stanno tranquillamente sedute durante le preghiere di esorcismo. «Dalla bocca può uscire di tutto - racconta - pezzi di ferro lunghi come un dito, ma anche petali di rosa. Certi posseduti hanno una forza tale che nemmeno sei uomini riescono a trattenerli. Così vengono legati. Mi aiutano i miei assistenti laici, che pregano con me. Quando gli ossessi sbavano, e allora bisogna pulire, lo faccio anch´io. Vedere la gente vomitare non mi dà nessun fastidio».
Sulla pratica dell´esorcismo, dentro la Chiesa, esistono opinioni diverse. Diffidenze. Resistenze. Dubbi. «Ma il Papa ci crede - ribadisce padre Amorth - tanto è vero che in un discorso pubblico ha incoraggiato e lodato il nostro lavoro. Gli ho scritto, e mi ha promesso che chiederà alla Congregazione per il Culto divino un documento per raccomandare che i vescovi abbiano almeno un esorcista in ogni diocesi, come minimo. Ho avuto modo di parlargli più volte anche quando era prefetto alla Congregazione per la Dottrina della fede, ci ricevette proprio come Associazione degli esorcisti. E non scordiamo che, sia del diavolo sia delle pratiche per allontanarlo, parlò moltissimo lo stesso Wojtyla». Alcuni, addirittura, ricordano ancora la dichiarazione fatta nel 1972 da Papa Montini, quando Paolo VI parlò del "fumo di Satana", cioè delle sètte sataniche, entrato nelle Sacre stanze. Una frase che creò un caso, seguito da un nuovo discorso papale tutto incentrato sul demonio.
Ma il Maligno può colpire anche il Pontefice? «Ci ha già provato. Lo fece nel 1981, con l´attentato a Giovanni Paolo II, lavorando su coloro che armarono la mano di Ali Agca. E anche adesso, la notte di Natale, con quell´ultima matta che ha buttato per terra Benedetto XVI. In fondo, è quel che accadde a Gesù attraverso Giuda, Ponzio Pilato, il Sinedrio».
Don Amorth si fa serio. Riflette in silenzio per qualche secondo, alza la testa e dice gravemente: «Altroché. Altroché se il demonio alberga nella Santa Sede. C´è un volume, "Via col vento in Vaticano" (Kaos edizioni, ndr), che parla appunto delle lotte di potere in Curia e del "fumo di Satana". Bene, il 99 per cento di quel che è scritto lì è vero. I vescovi non parlano per timore di critiche di altri vescovi. E sì che su questo tema le Sacre scritture sono le più salate, perché i comandi di Gesù appaiono molto chiari: "Andate, predicate il Vangelo, cacciate i demoni". Secondo me, quando un vescovo non nomina l´esorcista commette un peccato mortale».
Tante le figure di santi che, senza esserne investiti, erano noti come liberatori dal demonio. San Benedetto, che era un monaco. Santa Caterina da Siena, di cui si narrano effetti portentosi. Padre Pio, che secondo i fedeli liberava dall´influenza del maligno. Pure Don Bosco occasionalmente si prestava. «Io lavoro sette giorni su sette, Natale e Pasqua compresi - dice don Gabriele - e non posso materialmente correre ovunque mi chiamano. Perciò spiego a tutti che anche i laici possono operare esorcismi con successo. È scritto in Marco, XVI, 17: "Coloro che credono in me cacceranno i demoni". Ci sono formule ufficiali. Si può dire: "Satana, vattene". Ma c´è anche molta libertà, con preghiere semplici: il Padre Nostro - che contiene già in sé un esorcismo: "e liberaci dal Male" - l´Ave Maria, il Salve Regina, il Credo. Poi raccomando le orazioni quotidiane, la messa, il rosario, la confessione, la comunione, il digiuno».
Un tema, quello della figura antitetica al Messia, che per altri aspetti muove fior di scienziati. L´altro ieri a Roma, nei locali della Sapienza prima e in quelli dell´Università Roma Tre più tardi, si è svolto un convegno dal titolo "L´ultimo nemico di Dio". Cioè l´Anticristo, il personaggio che incarna l´avversario della divinità, presente nell´immaginario giudaico e cristiano relativo agli ultimi tempi del mondo. Approccio scientifico, impronta storica, studiosi di calibro internazionale: Enrico Norelli, Jean-Daniel Kaestli, Marco Rizzi, Gian Luca Potestà, Alberto D´Anna.
«Il ruolo della figura dell´Anticristo - spiegava al pubblico la docente Emanuela Valeriani, una dei coordinatori dell´evento - a prescindere dalle diverse posizioni assunte dagli studiosi, è senza dubbio un tassello tematico fondamentale all´interno del grande mosaico degli studi relativi all´identità cristiana. L´attenzione alla strana e, diciamo pure, spettacolare fisionomia dell´Anticristo è un tema ben rappresentato nelle apocalissi cristiane di epoca più tarda, contribuendo all´elaborazione anche leggendaria di questa figura escatologica. La prima testimonianza si trova in un´opera del III secolo, "Il Testamento siriaco del nostro Signore Gesù Cristo". Ma se, in linea generale, il terribile aspetto dell´Anticristo si può ricondurre alla tradizione precedente al cristianesimo, che identifica l´avversario escatologico con esseri mostruosi, nel caso specifico del nostro testo, esso assume una rilevanza teologica derivante dal confronto con la visione di Dio. Se prendiamo la sezione degli "Acta Iohannis", un testo scritto probabilmente nel secondo secolo, vediamo che lì si afferma che Gesù può essere visto sotto diverse forme (bambino, giovane adulto, vecchio) e apparire contemporaneamente anche a più testimoni».
Nella sua stanza al terzo piano della sede paolina, padre Amorth si prepara ad affrontare il Nemico nell´ennesimo caso difficile. Ma il diavolo chi sceglie di colpire? «Non lo sappiamo - risponde - eppure al 90 per cento le vessazioni diaboliche sono conseguenze di malefici, cioè sono causate da persone che per vendetta o per rabbia si rivolgono a maghi e occultisti legati a Satana i quali, pagati profumatamente, si attivano per far intervenire il maligno. È dunque la cattiveria degli uomini a chiamare il Male. Un´ultima cosa: il diavolo non è così diffuso. Quando c´è, è doloroso. E noi interveniamo. Ma il compito principale dell´Esorcista è uno solo: liberare l´uomo, soprattutto dalla paura del demonio».

Repubblica 10.3.10
Il Papa e il diavolo
I cristiani e il potere del male
di Giancarlo Zizola

Negli ultimi anni la dottrina cattolica sull´esistenza del diavolo è stata messa in dubbio da più di un teologo. Urs Von Balthazar diceva di credere nell´Inferno ma anche che lo riteneva vuoto. E Borges azzardava che forse i teologi, che avevano esagerato i vantaggi del Paradiso non essendoci mai stati, non avrebbero potuto giurare che i reprobi all´Inferno fossero sempre infelici: come immaginare che una fabbrica così sadica, vendicativa e inarrestabile di tortura dei dannati, una Auschwitz eterna possa essere compatibile con l´idea cristiana di un Dio misericordioso? Il minimo che si esigeva dalla teologia era di rimodellare l´idea della Geenna, destinata ai malvagi.
Soprattutto tenendo in maggiore considerazione il ruolo di salvezza assegnato alla figura di Gesù: i Vangeli raccontano le sue lotte contro i demoni, ma anche le loro disfatte e le guarigioni operate sugli indemoniati. Il Credo cristiano dice che dopo morto egli scese tre giorni agli Inferi con altrettanta potenza liberatoria ma una lettura pigra di quell´evento sembra trattenerlo agli Inferi per molto più tempo.
La maggior parte dei biblisti pensa che non sia possibile, o comunque sia piuttosto rischioso, negare l´esistenza di spiriti maligni. Molti temono che una cerimonia troppo disinvolta di addio al diavolo potrebbe far parte della sua tattica. Citano Baudelaire: "L´astuzia più raffinata del diavolo è di persuadervi che non esiste". Il licenziamento teologico del diavolo produrrebbe l´insignificanza del male nei contemporanei ma questa censura non sembra abbia l´effetto di porre fine al suo evidente successo. Nel 1972 Paolo VI è il primo a lamentare che il "fumo di Satana" si sia infiltrato da qualche fessura anche «nel tempio di Dio». Si rompe l´incantesimo post-conciliare su un approccio indiscriminato della Chiesa al mondo moderno. Il Papa reagisce a una interpretazione del dialogo con la cultura dei Lumi che potrebbe risolversi in una liquidazione delle soglie critiche della coscienza cristiana di fronte al mondo e dunque in una omologazione della Chiesa ai "poteri del male". Sulla stessa linea Wojtyla lancia dal Monte Gargano, mitico luogo di lotte anti-demoniache, la sfida ai cattolici a sguainare di nuovo la spada di San Michele Arcangelo «contro il dragone, il capo dei demoni, vivo e operante nel mondo». I suoi segni non sono più le corna, il piede caprino, l´odore dantesco di zolfo ma «consumismo, sfruttamento disordinato delle risorse naturali, voglia sfrenata di divertimento, individualismo esasperato». Negli stessi anni il cardinale Ratzinger ricorda «a certi teologi superficiali» che il diavolo è per la fede cristiana «una presenza misteriosa ma reale, personale, non simbolica, una realtà potente, una malefica libertà sovrumana opposta a quella di Dio». Rivendica al cristianesimo di avere introdotto in Occidente «la libertà dalla paura dei demoni» ma teme che «se questa luce redentrice di Cristo dovesse spegnersi il mondo con tutta la sua tecnologia ricadrebbe nel terrore e nella disperazione». Segnali di ritorno di forze oscure, secondo il futuro Papa, sono i culti satanici in aumento nel mondo secolarizzato, l´espansione del mercato della pornografia e della droga, «la freddezza perversa con cui si corrompe l´uomo, l´infernale cultura che persuade la gente che il solo scopo della vita siano il piacere e l´interesse privato».
Sono i primi tentativi della dottrina cattolica per far uscire la descrizione del diavolo da un linguaggio tradizionale ormai incomprensibile dalla stragrande maggioranza dei contemporanei. Il diavolo esiste ma assume le nuove forme delle ingiustizie e delle alienazioni. Il suo teatro non è solo il cuore umano ma anche la struttura sociale. Un teologo come Bernard Haring raccomandava molta cautela considerando il modo fantasioso con cui era stata riprodotta la dottrina sul diavolo: «Oggi lo psichiatra si mostra competente nella maggior parte dei casi nei quali si usava far intervenire l´esorcista - dice -. La Scrittura non conosce quel tipo di discorso alienante sul diavolo che è stato coltivato nei secoli dai cristiani delle diverse Chiese sotto l´influsso di culture in cui si realizzava una spaventosa alienazione». E Karl Barth rispondeva a chi chiedeva se dubitasse del diavolo: «Esiste pure quella bestia. Ma quando interviene la fede in Cristo mette la coda tra le gambe e non si fa più vedere».

Repubblica 10.3.10
Laicità
Essere padroni della nostra esistenza
di Stefano Rodotà

L´anticipazione/ La lezione di Rodotà sul rapporto tra i poteri della Chiesa e dello Stato, la persona e il governo della vita
Scienza e tecnologia aprono nuovi spazi ma avviano processi che riducono la libertà di scelta
La lunga e faticosa battaglia combattuta nella storia per affermare l´autodeterminazione

Pubblichiamo parte della lezione su "Laicità e governo sulla vita" che terrà oggi all´Università di Torino dove riceverà il premio "Laico dell´anno"
Laicità rinvia ad autonomia, e questa si declina come autodeterminazione. Sì che, parlando di laicità, non possiamo più ritenere che l´orizzonte sia individuato soltanto dal rapporto tra due poteri, lo Stato e la Chiesa, «ciascuno nel loro ordine, indipendenti e sovrani», o dallo stesso confronto tra secolarizzazione e religiosità. È avvenuta una più complessa distribuzione dei poteri, che individua la persona come protagonista istituzionale. La laicità, oltre che come principio di organizzazione istituzionale e sociale, si manifesta così anche come principio di governo della vita, che inquieta a tal punto da suscitare la tentazione di mimare un incipit famoso, e annotare che «uno spettro s´aggira per l´Italia – lo spettro dell´autodeterminazione».
«La circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all´autodeterminazione e quello alla salute». Queste parole della Corte costituzionale individuano una distribuzione di poteri, la cui portata può essere colta attraverso due rapidi esercizi di riflessione storica. Partiamo dal 1215, dalla Magna Charta e dal suo habeas corpus, con la promessa del re a ogni "uomo libero": «non metteremo né faremo mettere la mano su di lui, se non in virtù di un giudizio legale dei suoi pari e secondo la legge del paese». Siamo di fronte all´abbandono di una prerogativa regia, a un autolimitazione, a un atto che laicizza il potere del re, che non riposa più sulla sovranità/sacralità, ma si cala nel mondo, si presenta come l´esito di una negoziazione complessa, che porterà poi alla "autolimitazione" dello Stato sovrano come atto di fondazione dei diritti pubblici subiettivi.
Sette secoli dopo, nel 1947, l´Assemblea costituente approva l´articolo 32 della Costituzione, che riconosce la salute come diritto fondamentale e prevede che i trattamenti obbligatori possano essere imposti solo per legge. Ma si aggiunge: «la legge non può in nessun caso violare il limite imposto dal rispetto della persona umana». È una delle dichiarazioni più forti della nostra Costituzione, pone al legislatore un limite invalicabile. Quando si giunge al nucleo duro dell´esistenza, siamo di fronte all´indecidibile. Nessuna volontà esterna, fosse pure espressa da tutti i cittadini o da un Parlamento unanime, può prendere il posto di quella dell´interessato. Siamo di fronte ad una sorta di nuova dichiarazione di habeas corpus. Il sovrano democratico, una assemblea costituente, rinnova a tutti i cittadini la promessa di intoccabilità: «non metteremo la mano su di voi», neppure con una legge. La rottura è netta. Non vi è più una autolimitazione, ma un vero trasferimento di potere, anzi di sovranità. Sovrana nel decidere della propria salute, e dunque della propria vita, diviene la persona.
Passiamo al secondo esercizio storico, al quarto secolo prima di Cristo quando Ippocrate formula il giuramento che accompagnerà la professione medica. «Sceglierò il regime per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, e mi asterrò dal recar danno e offesa». Di nuovo una autolimitazione del potere, di cui scopriremo la radicale inadeguatezza ventitre secoli dopo, nel 1946, quando a Norimberga vengono processati i medici nazisti. L´abuso del potere medico attraverso la sperimentazione sugli esseri umani provoca una reazione, affidata al Codice di Norimberga, che si apre con le parole «il consenso volontario del soggetto umano è assolutamente necessario». Dall´autolimitazione del potere del medico, definita unilateralmente dal giuramento, si passa ad un integrale trasferimento del potere alla persona che, sottratta a quel potere, rinasce come "soggetto morale".
L´autodeterminazione si identifica così con il progetto di vita della persona. Qui vita è davvero quella di cui ci parla Montaigne, «un movimento ineguale, irregolare, multiforme», governato da un esercizio ininterrotto di sovranità che permette quella libera costruzione della personalità iscritta in testa alla nostra e ad altre costituzioni. E sovranità e proprietà sono parole che, non da oggi, accompagnano la definizione del nostro rapporto con il corpo, dunque con la vita tutta intera. Respinto sullo sfondo il riferimento alla proprietà, si creava la condizione propizia all´incontro con la sovranità. Certo tra "sovrani" sono sempre possibili tensioni o conflitti. Ma, proprio per evitare che la vita divenga un campo di battaglia, vengono definiti confini che potere politico e medico non possono varcare, escludendo che lo Stato abbia giurisdizione sulla vita, possa considerare il corpo come un luogo pubblico, che è cosa diversa da limiti coerenti con la natura dell´autodeterminazione.
Ma le controversie rimangono. L´iconografia tradizionale e gli antichi scritti sono fitti di descrizioni nelle quali figure diverse si contendono corpo e vita di una persona. La virtù e il diavolo, il sacerdote e il principe, il medico e il soldato, le donne tentatrici e i mercanti avidi sono tutti lì intorno ad una spoglia, privata di libertà e autonomia. Un grumo di quelle rappresentazioni è ancora presente. Il pane e le bottiglie d´acqua sul sagrato d´una chiesa o davanti ad una clinica, le scritte che rivendicano la proprietà d´un corpo e d´una vita, la presentazione del diritto come un´arma che uccide ripropongono con deliberata violenza la negazione dell´autodeterminazione. E il Presidente del consiglio manda una lettera alle suore che avevano ospitato Eluana Englaro, addolorato «per non aver potuto evitare la sua morte». Non è il rammarico di un Re Taumaturgo al quale è stato impedito di imporre le sue mani per una guarigione altrimenti impossibile. È la rivendicazione di un potere sulla vita, di cui il politico vuole tornare a essere l´unico depositario.
Intorno a noi è tutto un cercar di chiudere i varchi aperti perché l´autodeterminazione potesse essere esercitata. In un´ansia di rivincita, l´alleanza tra libertà e tecnologie viene rovesciata. Le tecniche contraccettive avevano reso possibile una sessualità liberata e una maternità consapevole. Ma le tecnologie della riproduzione o la pillola Ru 486 diventano l´occasione per riprendere il controllo del corpo delle donne. Le tecnologie della sopravvivenza vengono trasformate nell´obbligo di sopravvivere attraverso manipolazioni sconosciute alle leggi di altri paesi. Si dovrà rinunciare ai loro benefici per il timore di divenirne, poi, prigionieri?
Via via che si entra nel mondo nuovo della scienza e della tecnologia l´autodeterminazione guadagna nuovi spazi e, proprio per questo, richiede un ambiente pienamente laicizzato, dove tutte le opportunità possano essere valutate senza pregiudizi. Ma scienza e tecnologia avviano anche processi di riduzione drammatica della libertà di scelta che possono essere contrastati solo esaltando al massimo le potenzialità dell´autodeterminazione. Segnalo quella che chiamerei la consegna della persona alla società dell´algoritmo. Scopriamo sempre più spesso un mondo governato dall´algoritmo, quello di Google o quello al quale la finanza aveva affidato le scelte di investimento. E scorgiamo pure una costruzione dell´identità sempre più sottratta alla consapevolezza degli interessati, affidata invece a processi variamente automatici.
Tornando alle parole iniziali, e senza la pretesa di chiudere un cerchio, la laicità si rivela un presidio contro la pretesa di qualsiasi potere di impadronirsi della vita, fino alla sua totale spersonalizzazione. Non dirò che la laicità sia il più umano dei principi, ma pure ad esso è affidata la nostra problematica umanità.

l’Unità 10.3.10
I democratici si mobilitano in tutto il Paese a difesa dell’istruzione con i loro leader
Iniziative da domani Venerdì lo sciopero generale promosso dalla Cgil
Pd: il governo cancella la scuola pubblica
di G. V.

I democratici con i suoi leader, Bersani in testa, a difesa della scuola pubblica. Iniziative in mille piazze da domani. Venerdì ci sarà lo sciopero generale della scuola promosso dalla Cgil.

Incontri pubblici in diverse città italiane, un appello che sta raccogliendo le firme del mondo della cultura e dello spettacolo, una gomma da cancellare da distribuire davanti alle scuole per dire che «il governo cancella la scuola pubblica, il Pd sta con gli studenti e gli insegnanti». È la campagna che i democratici
lanciano a partire dalla giornata clou di domani. L’appuntamento principale è a Reggio Emilia, città simbolo della «buona scuola», con il segretario Pier Luigi Bersani. contemporaneamente, tra gli altri, Dario Franceschini sarà a Roma, Massimo D’Alema a Potenza, Anna Finocchiaro a San Giovanni in Persiceto (in provincia di Bologna).
Visto che le «durissime battaglie» combattute dai parlamentari del Pd non bastano, «abbiamo deciso di cambiare strategiaspiega Francesca Puglisi, responsabile nazionale scuola del partito, in conferenza stampa a Bolognapartiamo dal basso e andiamo ad incontrare il mondo della scuola». Nelle «1.000 piazze per la scuola», quindi, i militanti del Pd «denunceranno le gravi condizioni in cui la scuola pubblica è ridotta spiega Puglisi
Una gomma
Sarà distribuita dal Pd: il simbolo in negativo di quel che fa Gelmini
e il caos che regna sovrano a causa del riordino degli indirizzi nelle superiori», con tanto di «scippo di competenze alle regioni da parte del governo».
Oltre il Pd artefici delle proteste di piazza che si concentreranno davanti al ministero dell’Istruzione e toccheranno l’apice venerdì 12 con lo sciopero generale saranno associazioni, movimenti, partiti politici, sindacati, studenti e genitori.
Stamattina in piazza, dalle 8,30 alle ore 14,00 davanti al Miur, saranno due associazioni di settore Conitp e Adesso scuola per chiedere alle Regioni (a cui la riforma delle superiori affida un ruolo decisivo nello sviluppo dell’offerta formativa degli istituti professionali) di ampliare gli organici attraverso l’aggiunta di più ore di laboratorio

Repubblica 10.3.10
Stalin
Segretarie costrette ad assecondare le voglie dei funzionari, uffici pubblici usati per accogliere le prostitute Nelle carte segrete, le scorribande dei burocrati del regime. Che costrinsero il capo del Pcus a intervenire
"Niente sesso, siamo comunisti" la crociata moralista del dittatore
Nel 1935 decise di frenare "l´ondata di libertinaggio che mina le basi del nostro sistema"
di Nicola Lombardozzi

MOSCA 1929, la capitale dell´Unione Sovietica brulica di fervore rivoluzionario. Stalin sempre più saldo al potere ha appena varato il primo piano quinquennale per la modernizzazione del paese. Il documentario "L´uomo con la cinepresa" di Dziga Vertov mostra i cittadini in presa diretta, indaffarati nel costruire il socialismo. Ma cosa fanno i funzionari del sindacato presso la Associazione edilizia, nella loro austera sede vicino al Cremlino? Ce lo raccontano loro stessi in vecchie carte riemerse da atti giudiziari dimenticati: «Siamo usciti alle due di notte dal ristorante Praga. Abbiamo preso delle puttane, abbiamo affittato un´auto e siamo andati in ufficio». Per stare comodi, visto le micragnose dimensioni degli appartamenti imposte anche ai funzionari di rango. Ma anche per poter compiere la missione di cui si erano auto insigniti in una sorta di statuto: «La nostra società si fonda sull´ubriacatura totale e sull´amore libero. Tutti i membri del nostro gruppo si prestano assistenza reciproca nello scambio delle donne».
Marachelle, rispetto a quello che le autorità giudiziarie scoprirono nel 1935 quando il regime decise di frenare «l´ondata di libertinaggio che mina le basi del sistema». Nei documenti ingialliti, scoperti la settimana scorsa nella procura di Mosca c´è un´inchiesta del giudice Vycinskyij su una organizzazione analoga spudoratamente chiamata Bljadokhod la cui traduzione più logica è "Puttanaggio". Il gruppo era formato da otto uomini di partito nella lontana cittadina di Uvat in Siberia diretti dall´agronomo capo Komarov. Quello che sconcerta il giudice di allora è la perfetta assimilazione da parte della banda del linguaggio e della programmazione sovietica. Obiettivo di Bljadokhod era «il costringimento al rapporto sessuale del maggior numero possibile di donne». La cosa era organizzata con tanto di verbali, si stabiliva quante donne dovesse "usare" ciascun membro del gruppo, quante dovessero essere contagiate con malattie veneree. L´agronomo Komarov compilava anche i preventivi di spesa e ne pretendeva il rispetto. Quando furono tutti arrestati e condannati a dieci anni di carcere a Komarov toccò una condanna supplementare di 24 mesi per un reato ancora più infamante per un agronomo sovietico: «Ha trascurato di assistere i kolkhoz nella germinazione dei seminativi. Di conseguenza in molti kolkhoz la germogliazione ottenuta è stata inferiore alla percentuale prestabilita».
Morale e piano quinquennale andavano infatti a braccetto nella logica del Cremlino che 75 anni fa scatenò la campagna castigatrice intuendo che le furie sessuali degli uomini di partito bloccavano in qualche modo la macchina del potere. La svolta risale al 7 giugno del ‘35. Le indagini su un presunto complotto per assassinare Stalin rivelarono che il Cremlino è pieno di impiegati «ostili al governo sovietico». Tutta colpa, si decise, di Avel Enukidze segretario del Comitato Centrale. Comunista integerrimo aveva però reclutato il personale secondo criteri tutti personali. «Disponendo - dicono le carte di beni di lusso irraggiungibili dalle masse, si comprava donne di tutte le età che dopo un po´ venivano girate ai suoi amici». Vero o falso è difficile da accertare. Di certo quando il Comitato Centrale, quel 7 giugno, decise di espellere dal Partito Enukidze «per la sua condotta di vita». I giudici capirono che la questione morale era diventata prioritaria e riaprirono fascicoli lasciati marcire in archivio. Fu così che solo quindici giorni dopo il solerte giudice Vycinskij aveva già redatto un verbale contro Serghej Meshki già direttore dell´Intourist e poi di altri grandi consorzi di stato. Meshki è un vero recordman secondo i giudici di Stalin: almeno 300 le sue impiegate costrette a compiacerlo. Ad alcune raddoppiava le razioni alimentari o aumentava lo stipendio. A quelle che non cedevano tendeva imboscate in ufficio violentandole e sapendo bene di non rischiare alcuna denuncia.
Sesso e potere andavano tanto bene assieme che qualcuno si inventò un potere che non aveva come un tale Boris Gonkun che falsificando una tessera di partito del 1907 riuscì a farsi passare per anni come ex segretario di Lenin. Con questa magica etichetta si offriva di accudire piccole orfanelle pescate di volta in volta dagli istituti per l´infanzia. Il risultato è un elenco spaventoso di imprese pedofile con bambine di 10 e 14 anni. Ma l´ansia moralizzatrice di Stalin durò poco. I processi non erano pubblici ma la voce che le malefatte erotiche venissero finalmente punite si diffuse. I giudici furono sommersi di delazioni e ne fecero un uso massiccio. Poi arrivarono nomi veramente intoccabili e si cominciò ad insabbiare. Fino a quando un ordine non scritto dal Cremlino fece capire che era il caso di tornare ad occuparsi d´altro.

Repubblica 10.3.10
Pornografia alla sovietica
di Viktor Erofeev

Sembrerebbe strano: in superficie, l´Unione Sovietica era lo stato più antisessuale del mondo, e tuttavia il suo sottosuolo erotico si è rivelato oltremodo incandescente e ha generato un´orgia di fantasie perverse. I nuovi documenti relativi alla lotta contro il vizio fra la fine degli anni Venti e la metà degli anni Trenta, proprio il periodo in cui si formava il totalitarismo staliniano, mi convincono che la Russia è la più perfetta incarnazione del doppio pensiero descritto da Orwell. Appena il funzionario sovietico o l´attivista di partito acquistava l´impunità del potere, la sua principale tentazione diventava il sesso, che non riusciva a dominare, e la sua vita si trasformava in un calderone sessuale dove cuocevano segretarie, giovani iscritte alla Gioventù comunista, attrici, mogli altrui e minorenni.
Il grande amoralismo dell´Unione Sovietica era generato dal vuoto: l´effettiva, storica assenza di saldi valori morali, una mentalità che considerava la donna come un semplice oggetto sessuale. Stalin sapeva che il sesso impediva di costruire il comunismo, e in sua presenza erano vietate anche le poesie più innocenti che cantavano l´amore, ma gli uomini terrorizzati, che non conoscevano altri piaceri, trasformarono il sesso (insieme all´ubriachezza) in un mezzo di autoaffermazione segreta e di protesta inconscia contro le condizioni d´esistenza sovietiche.
Ma la dissolutezza sovietica non nasceva dal nulla. La dissolutezza è una costante della storia russa.
La Santa Russia non è mai stato un paese puritano. I viaggiatori stranieri del Medio Evo descrivevano con stupore le selvagge scene di dissolutezza a cui avevano assistito nelle bettole moscovite, dove, dopo aver bevuto vodka senza mangiare nulla, uomini e donne si accoppiavano direttamente sul pavimento, sotto gli occhi di tutti. Le radici di queste orge sono nell´antico paganesimo russo, religione edonistica con rituali sessuali; paganesimo che ha resistito alla guerra secolare mossagli dalla Chiesa Ortodossa e ha conservato la sua influenza fino ai nostri giorni.
In Russia non c´è mai stata una filosofia del lavoro. Tutti gli sforzi per creare qualcosa finivano in catastrofi: incendi, fame, guerre. L´orgia russa è il grido disperato dell´ozio forzato.
L´Urss non cominciò solo con la propaganda del comunismo, ma anche con il libero amore. La teoria di Aleksandra Kollontaj, secondo la quale fare sesso era semplice come bere un bicchier d´acqua, diventò una bandiera della gioventù degli anni Venti, quando i matrimoni e i divorzi divennero una vuota formalità. Fra gli studenti universitari Freud era non meno popolare di Marx. Tutta la prima letteratura sovietica, Pil´njak, Zamjatin, Sholokhov, testimoniava del fatto che il paese respirava un´atmosfera satura di sesso ed era afflitto dalle malattie veneree. Stalin vietò la prostituzione - tutte quelle sorelline minori della Sonja Marmeladova di Dostoevskij - e propose di creare il tipo unisex dell´uomo sovietico. Ma la natura umana si rivelò più forte di Stalin. Il risultato fu una caricatura: la parte alta sovietica, la parte bassa uscita dalle fantasie del marchese De Sade. E ancora oggi siamo fondamentalmente delle persone amorali.
(traduzione di Emanuela Guercetti)