domenica 14 marzo 2010

l’Unità 14.3.10
L’equilibrio e la forza
di Concita De Gregorio

Né troppo né poco, era difficile stare in equilibrio su un crinale così. Né troppa pancia troppe urla, rabbia, troppe accuse all’indirizzo sbagliato né troppa testa, che non diventi per la folla un incomprensibile sussurro di diffidenze reciproche. Esiste un posto così? Un luogo dove la piazza e la politica si incontrino? E che forma ha, che sapore ha, di cosa suona? Eccolo, chi arriva si guardano intorno come per riconoscerlo ma è nuovo, non somiglia a niente: è piazza del Popolo alle tre del pomeriggio. Vista dall’alto e da lontano un puzzle di tessere che combaciano, pezzi di bandiere che si incastrano, gialle viola rosse e coi gabbiani, bianche rosse e verdi con le scritte ma anche senza, bandiere italiane. Un vestito da arlecchino ben cucito: non stringe, calza elastico su una folla di persone che si somigliano ma non si conoscono, arrivate da storie diverse sotto insegne distinte, o con nessuna. A destra i viola, a sinistra il Pd, al centro Di Pietro. Palloncini Cgil, Sinistra e Libertà, cartelli scritti a pennarello: «Votate Alì Babà, almeno i ladroni saranno solo 40». Molti venuti da soli, in treno famiglie coi bambini, direttamente da scuola i ragazzi in viola con gli zaini. Sembra un’enorme piazza di paese dove si siano riuniti tutti dopo il maremoto. Una comunità di persone che si erano fino a ieri solo intraviste, oggi qui insieme per il bene comune. C’è qualcosa da difendere, è di tutti. C’è un paese in rovina. C’è un futuro da ricostruire. Ci siamo? Ci siamo.
Che sia un inizio lo sentono e con parole diverse lo dicono tutti, dal palco. «Il nuovo inizio», dice proprio Emma Bonino. «Il cantiere», dice Vendola. «L’inizio dell’alternativa, piazza di primavera», Bersani. Che sia una piazza dove la gente è venuta a portar via le macerie di un paese fatto a pezzi anche, lo sentono e lo dicono tutti. «Macerie», inizia Vendola. Poi Di Pietro, «macerie che lascia questo regime al crepuscolo», da ultimo Bersani.
Dunque questo. Come dopo un lutto comune: una folla appena un po’ guardinga, prudente ad alzare la voce, più acuta la speranza della rabbia. Al posto delle carriole hanno tra le mani la Costituzione, l’Agenda rossa di Borsellino, un giornale. Una piazza così devota alle regole da aver creato, spontaneamente, una zona fumatori: tutti davanti al bar Canova, nessuno tra la folla che ci si potrebbe bruciare. «No ai trucchi, sì alle regole» c’è scritto infatti sul palco. Gente onesta, che rispetta le regole e le vuole rispettare. La novità politica, si dirà poi a sera, è la moderazione di toni di Di Pietro che per tre volte, tre, si rivolge alla folla chiedendo «vi prego», «per favore, state uniti». «Per favore» a un comizio non si era ancora sentito. L’obiettivo è vincere, non sbagliamo bersaglio. «Questa piazza è qui per sapere cosa vogliamo fare noi». Applausi. «E cosa volete fare?», domanda una ragazza. «Ricostruire». Non una parola su Napolitano e campo aperto a Bersani che, subito dopo, può attaccare forte su Berlusconi-Carnera, quello delle bolle di sapone e dei miracoli, «il capopopolo e caporedattore Tg1». Risate, bandiere. Ma è Nichi Vendola, per primo, a scaldare i cuori.
Presto, appena all’inzio, subito dopo Emma Bonino che esile come una piuma dice parole di ferro: «Un regime da basso impero, prepotente perché moribondo. Evitate, evitiamo le trappole. Siamo la riscossa democratica e civile». Ovazione e donne in prima fila premurose: mangia, però, Emma. Poi Vendola. Immaginifico e fiorito come un prato, l’unico leader al mondo che possa parlare ad una piazza in latino ed essere salutato con la ola, «Berlusconi è legibus solutus», ovazione. Parla di «sponda del fiume» che non possiamo permetterci, dice cose come «la povertà è colpevole per definizione, la ricchezza innocente per ontologia». Invita: bisogna riflettere su quale sia stata la forza e il segreto del berlusconismo. Non parla mai di programma politico, lo chiama racconto perché sa che è di questo che c’è oggi bisogno: una narrazione nuova. «Il racconto del berluconismo non funziona più ma noi non abbiamo ancora trovato un racconto convincente, coerente». Ecco, appunto sventolano in piazza le bandiere. «Oggi, qua, si riapre il cantiere». (Dalla piazza: speriamo). «Il centrosinistra qui ritrova il suo popolo. Perché per troppo tempo abbiamo avuto un popolo senza politica e una politica senza popolo». (È vero, è vero: due anziani con la bandiera del Pd sulle spalle).
Movimenti a centro piazza. Strilloni che vendono Repubblica e il suo direttore Ezio Mauro tra la folla. Stand de L’Unità, Il Manifesto, davanti a quello Liberazione Adelmo Cervi, figlio di uno dei sette fratelli (Aldo). Rammenta quando Berlusconi voleva conoscere il nonno. Tenda, sulla destra, che dispensa «panini di Milioni». Con la porchetta, questi. Magliette a dieci euro: Sono incazzato nero. Resistere. Pertini non avrebbe firmato. Tana per Minzolini.
Sotto il palco Epifani e Susanna Camusso, Marino Franceschini e Veltroni, Cossutta padre e figlia, Castagnetti, Lannutti paladino dei consumatori che parla dell’inchiesta di Trani. Bobo Craxi ormai identico a suo padre, fisicamente. Sul palco Riccardo Iacona, coraggioso, parla del coraggio di tanti giornalisti Rai. De Magistris a una telecamera: vogliamo in poco tempo riportare la parte migliore della politica al governo del nostro paese. Dietro a lui una bandiera col volto di Berlinguer. Più in là Falcone e Borsellino nella foto in cui si parlano, il Che, No nuke, Democrazia atea che è un nuovo partito, spiega la fondatrice Carla Corsetti, «per un paese democratico e laico nel rispetto della Costituzione». Musica, giovani che intonano in coro la canzone di Frankie Hi Energy, cinquantenni che ignorano chi siano e vanno a ritmo con la testa.
Ora sul palco Di Pietro in sciarpa viola, la usa anche per reggere il braccio rotto. «Berlusconi è Nerone che ride mentre l’Italia brucia». Gli applausi più forti sono quando dice «le nostre mele marce buttiamole fuori da soli» e poi, a proposito dello sfacelo dell’informazione ad opera del Nerone, «sul conflitto di interessi con il padrone dei media c’è chi in passato ha pensato di scherzare col fuoco e si è bruciato le mani. Dovrebbe essere qui oggi a chiedere scusa». Molto fotografato l’unico striscione polemico col capo dello Stato: giallo come per gli annunci immobiliari dice «Vendesi Repubblica, rivolgersi Napolitano». Glielo indicano, Di Pietro risponde «non ne so niente». «Servono fiducia e umiltà», dice alla fine. «Servono lavoro, onestà, regole, civismo», riprende Bersani che parla subito dopo di lui, e conclude. «Cari amici e compagni»: su questo governo «che si fa solo vestiti su misura» vinceremo liste o non liste. Il lavoro al primo posto. La scuola pubblica. Un progetto per il futuro: «Berlusconi non può più parlare al futuro». Saluta col sorriso. «Guardate che le cose cambiano». Bisogna crederci. Cambiano? Chiede una giovane madre con in braccio la bambina Elisa. Accanto a lei tre ragazzi ripiegano lo striscione «Basta de-cretini»: cambiano, cambiano, fa uno. Cambiano, dice tornando lento verso via del Corso Denis, che ha ottant’anni scritti in faccia e viene da Ravenna. «Io magari non lo vedo ma lei indica la bimba lei di certo sì. Il fatto è, cara signora, che adesso tocca a voi».

l’Unità 14.3.10
Emma cita Politkovskaja «No a sentimenti tiepidi»
La leader radicale rilancia l’allarme per la democrazia «Ringrazio Bersani, ha avuto fiducia. Non abbiamo fatto finta di essere uguali, ma saprò rappresentare tutti voi...»
di Mariagrazia Gerina

Occhiali da sole, giacca gialla, il colore della sua campagna elettorale. Emma Bonino, l’outsider» della corsa nel Lazio diventata epicentro del conflitto politico-istituzionale scatenato da Berlusconi, sale sul palco di piazza del Popolo per prima. I radicali non ci sono: «Per noi è stato impossibile correggere le illegalità più gravi», spiega Emma a loro nome. «Io invece sono qui perché sono la candidata di tutti voi e sono grata per la fiducia e l’emozione che mi avete dato», si presenta, tra gli applausi. E scalda il popolo del centrosinistra, suonando la «riscossa democratica e civile» contro «un regime da basso impero», un «nuovo inizio» che par-
te dalla vittoria nel Lazio e nelle altre regioni, il cui senso ormai è «politico» e non solo amministrativo.
«Spero di rappresentare anche chi finora ha votato altro e si sente confuso, deluso, ha bisogno di recuperare il decoro istituzionale», dice dal palco. Perfino Castagnetti, in prima fila, sembra conquistato.
Lei ringrazia: la piazza, Bersani «che ha avuto fiducia in me». Difende la sincerità di questa unione «non abbiamo fatto finta di essere uguali» -, rivendica la capacità dei radicali di essere sempre stati dei «federatori». E a quanti si sono mobilitati in difesa delle regole consegna il motto gandhiano «siate voi il cambiamento che volete vedere nel mondo», l’invito ad essere «la piazza della speranza e della proposta non solo della protesta». E l’incitazione con Anna Politkovskaja a «non avere sentimenti tiepidi» perché «non servono a conquistare la fiducia»: «Io non ne ho», assicura, «non abbiatene voi».

Repubblica Roma 14.3.10
"Con lei possiamo farcela" in piazza l´abbraccio alla Bonino
"Dal Lazio la rinascita". E c´è chi vende il panino alla Milioni
"No alle leggi ad personam" "Siamo tanti serviva un luogo più grande"
di Carlo Picozza

Solo «Basta». Lo slogan più letto sui cartelli agitati in piazza del Popolo era di una parola. Perentoria e speranzosa: «Cresce la fiducia per il voto nel Lazio», secondo Antonio Farrugia, consulente immobiliare. I commenti più ascoltati, invece, invocavano «una piazza più grande» (anche se di giovani non ce n´erano molti). Perché, secondo Maurizio Grasso, insegnante, «il centrosinistra se è forte in piazza esce vincente dalle urne: la partita è tutta da giocare, ma quel che conta è che nella regione la fiducia stia crescendo». E mentre dal palco il segretario di Rifondazione, Paolo Ferrero, ringraziava il popolo Viola e la Cgil, che con la mobilitazione dei giorni scorsi hanno fatto da apripista anche alla manifestazione "Regole Day" che ha riempito ogni angolo della piazza, tra la gente è scattato l´entusiasmo: «Questo è il giorno della rinascita», per Katia Perilli, impiegata, «grazie alla ripresa di iniziative del centrosinistra e ai pasticci del centrodestra, nel Lazio possiamo vincere».
Aveva anticipato Emma Bonino che da palco ha scandito: «Vi chiedo aiuto: possiamo vincere se per qualche ora al giorno diventate, con me, candidati presidenti». «Spero», ha continuato, «di rappresentare anche chi in passato ha votato altri ma ora, come noi, sente il bisogno di legalità, pulizia, rispetto delle regole. Un mondo diverso è possibile ma occorre essere alternativi al vecchio e al regime da basso impero». Tra le donne e gli uomini dei partiti del centrosinistra, delle associazioni e dei movimenti di base, c´erano i Viola, con quel «Basta» scritto a caratteri cubitali; con una sciarpa, un maglione, con una gonna o i pantaloni di quel colore, mescolati tra le decine di migliaia di persone che, secondo Fausto Nuglio, impiegato in mobilità, «si aspettano una svolta dalle elezioni regionali».
Bandiere, palloncini, striscioni e tanti colori per una grande prova di unità «per le regole e contro i trucchi». Contro le leggi del governo. «Quelle ad personam e quelle liberticide», hanno ripetuto dal palco e dalla piazza gremita. E gli attacchi più duri nei cartelli scritti a mano hanno avuto come destinatario il premier: «Silvio Bokassa, basta attacchi alla Costituzione», «Non si gioca con i bari». «Berlusca in tribunale, è finito il carnevale». A firmarli sono stati soprattutto i Viola. Ma dal rosso di Rc, Sel e Cgil, al bianco azzurrato dell´Idv, passando per il verde degli ambientalisti, all´arancione dei giovani del Pd, nessuno ha risparmiato bordate alle «regole costruite sui bisogni del presidente del Consiglio». L´ha buttata in sarcasmo un venditore ambulante di bibite e snack che ha intitolato i suoi panini ad Alfredo Milioni, il presentatore delle liste del Pdl, ritardatario per colpa di uno spuntino.

Repubblica Roma 14.3.10
Bonino: "Alla fine ce la faremo ma temo ancora molte trappole"
"C´è bisogno di legalità, pulizia, rispetto delle regole, decenza e decoro istituzionale"

«Possiamo vincere, qui e in altre regioni». Una convinzione e una consapevolezza che la candidata del centrosinistra Emma Bonino aveva già prima della sentenza del Consiglio di Stato, che in serata ha sancito l´esclusione della lista del Pdl, a Roma e provincia, dalla competizione elettorale. Una decisione giuridica che la candidata non ha voluto commentare, limitandosi a recepire, come sempre fatto in questi giorni, quanto stabilito dai giudici rispetto alla lista del Pdl.
«A fine mese non c´è solo un´elezione amministrativa, ma un appuntamento importante per la riscossa democratica» aveva detto ieri pomeriggio la Bonino intervenendo alla manifestazione del centrosinistra in piazza del Popolo. Quindi, la chiamata a tutti coloro che credono nelle regole. «Temo giorni con ancora molte trappole ha ammesso la Bonino serve un nuovo inizio a partire dalla concezione della politica. E spero allora di rappresentare anche chi in passato ha votato altro ma ora sente come noi il bisogno di legalità, pulizia, rispetto delle regole, decenza e decoro istituzionale. Un mondo e una vita più dignitosa sono possibili».
Un´alternativa c´è, dunque, rispetto a un vecchio modo di fare politica. «Noi ha sottolineato al candidata del centrosinistra dobbiamo essere la speranza, la proposta e non solo la sterile protesta. Questo è il momento della scossa democratica e possiamo vincere sia qui nel Lazio che in altre regioni». Ma per farlo, la Bonino ha chiesto aiuto ai cittadini «Io sono con voi, non voi con me ed è questo che fa la differenza ha precisato la candidata chiedo a voi però di essere, per qualche ora al giorno, candidati-presidenti».

il Fatto 14.3.10
Paul Ginsborg
Potere e politica, muro di gomma
italiano Nell’ambito delle celebrazioni per il centenario della nascita di Norberto Bobbio, un ciclo di lezioni torinesi aperte dall’intervento di uno storico rigoroso
di Paul Ginsborg

“Far scendere la democrazia dal cielo dei principi alla terra dove si scontrano corposi interessi. Ho sempre pensato che questo sia l’unico modo per rendersi conto delle contraddizioni in cui versa la società democratica e delle vie tortuose che deve seguire per uscire senza smarrirvisi, per riconoscere i suoi vizi congeniti senza scoraggiarsi e senza perdere ogni illusione nella possibilità di migliorarla.” Così parlava Norberto Bobbio nel 1994, dieci anni prima della sua scomparsa. A suo nome, la Biennale democrazia, sostenuta da un’altra decina di sigle, ha organizzato un ciclo di incontri. Le lezioni Bobbio 2010 affrontano temi cruciali della attualità politica come la diseguaglianza crescente nella distribuzione delle risorse. Tra gli oratori, Fitoussi, Ambrosoli, Caselli. Il testo che segue è l’intervento che il professor Paul Ginsborg terrà domani alle 18 al Teatro Carignano di Torino.

Sono due gli elementi principali che caratterizzano la cultura politica italiana degli ultimi quarant’anni. Uno è il potere sproporzionato dei partiti politici, che si distinguono per arroganza e arbitrio perfino in un contesto internazionale di degrado della rappresentanza politica. Solo in Italia, tra tutte le democrazie europee, la letteratura scientifica fa ampio uso del termine “partitocrazia” e il livello di fiducia nei partiti è inabissato all’8,6% (dicembre 2009). Anche il Parlamento, la più preziosa delle istituzioni democratiche, ma anche un luogo lontanissimo dalla vita quotidiana dei cittadini, gode di scarsa fiducia, solo il 18,3%. L’altro elemento è una società civile che mostra senza dubbio molteplici difetti e insufficienze ma cresce, quasi come risposta obbligata alle inadempienze della società politica. La sua caparbietà, i forti valori e la capacità di rinnovarsi hanno avuto riconoscimento anche a livello internazionale. Il Civicus Global Survey of the State of Civil Society, pubblicato in due volumi nel 2007-8, ha collocato la società civile italiana al quarto posto tra i quarantacinque paesi presi in considerazione.
Nella storia di questa società civile si possono distinguere in era repubblicana tre fasi principali, assai diverse tra loro. La prima è quella delle subculture forti, sia cattolica sia comunista, degli anni ’40 e ’50, solo parzialmente autonome da poteri fortemente centralizzati. La seconda è quella massiccia degli anni ’70, marcata da grandi innovazioni come i consigli di fabbrica, ma venata da una forte tensione ideologizzante, mai molto lontana dalla violenza. L’ultima fase, nata con il 1989 in Europa dell’Est, fiorisce pienamente in Italia solo nel primo decennio di questo secolo. Essa pone un forte accento sui temi della pace, della difesa della Costituzione, dell’ambiente, cerca di costruire solidarietà orizzontali tra cittadini, invece che solidarietà verticali, tra patrono e cliente, così tipiche della società italiana.
Naturalmente sarebbe un errore grossolano presentare un quadro manicheo, in cui la società politica sia luogo di tutti i peccati e la società civile scrigno di etica e virtù. Mi auguro di non essere così superficiale. Resta il dato di fatto della sostanziale incomprensione tra le due società: la prima vede la seconda come ausiliare alle sue funzioni e la seconda vede la prima come usurpatore di tutto il potere decisionale.
A questo punto vorrei complicare il quadro. Finora ho parlato di due modalità di associazione – quella politica e quella civile. Ora vorrei aggiungere due forme di democrazia – quella rappresentativa e quella partecipata. Come si configurano questi quattro elementi nella storia della Repubblica italiana e soprattutto come potrebbero configurarsi in futuro? In altre parole, che forma assume il quadrilatero che ha come vertici le due forme di democrazia e i due modi di associarsi? Non è una questione di poco conto per il futuro della democrazia italiana. In questa sede posso concentrarmi solo su un momento particolare, ripetutosi però più volte negli ultimi anni, il momento in cui una parte significativa della società civile si mette in movimento e incontra sulla sua strada la società politica, rappresentata dai partiti del centrosinistra. È un incontro-scontro senza procedure prestabilite. La retorica utilizzata dai partiti in queste occasioni è sempre la stessa – di inclusione, valorizzazione, partecipazione.
La realtà delle loro azioni parla invece di un grande rifiuto, quasi di un’insofferenza, dietro la quale si cela la riluttanza o l’incapacità di teorizzare e di praticare nuove forme di democrazia.
Di fronte a questo muro di gomma il dinamismo della società civile si fiacca e si scoraggia. Migliaia di cittadini si allontanano sia dalla società politica (‘non vale la pena neanche votare’) sia da quella civile (‘tanto il nostro impegno non serve a nulla’). Come si può evitare una sindrome tanto autolesionista? Bisogna interrogarsi su come riavvicinare la società politica a quella civile, e allo stesso tempo combinare le due forme di democrazia, quella rappresentativa e quella partecipativa.
Delle tante sperimentazioni internazionali di questi ultimi anni, scelgo due che possono esserci d’aiuto. La prima è americana d’origine, la seconda brasiliana; la prima ha a che fare con la forma della deliberazione e la seconda con l’esercizio del potere.
assemblee nella culla della trasparenza
The Electronic Town Meeting, come viene chiamato, è un’assemblea pubblica che a giudizio della quasi totalità dei partecipanti si distingue in positivo da un’assemblea tradizionale. Nel Town Meeting i partecipanti sono riuniti in piccoli gruppi attorno a tavoli rotondi. Ad ogni tavolo siede un facilitatore che ha il compito di garantire che la discussione si svolga in maniera f luida e democratica. Si inizia ascoltando le comunicazioni degli esperti, mirate ad informare il Meeting sulle tematiche oggetto di dibattito, presentando visioni diverse del problema considerato. Segue la discussione ai tavoli, una forma di dibattito che agevola l’ascolto reciproco e il confronto con opinioni divergenti dalla propria. Le decisioni dei tavoli sono comunicate elettronicamente ai coordinatori del Meeting che hanno il compito di presentarne una sintesi all’attenzione di tutta l’assemblea, chiamata quindi ad approvare un documento finale.
I partecipanti a questo tipo di assemblea parlano spesso, conclusi i lavori, della ‘magia’ della formula, di ‘gioia pubblica’, della sensazione forte che ‘la politica dovrebbe essere questo’. Bisogna notare che gli Electronic Town Meeting hanno costi elevati e non sono facilmente riconvocabili. Ma va anche osservato che esistono sperimentazioni recenti, come quella dell’associazione fiorentina ‘Sinistra unita e plurale’, mirate a sviluppare forme di Town Meeting quasi a costo zero.
le basi della democrazia
Tornando al momento politico che ho isolato, quello dell’incontro-scontro tra società civile e partiti politici, sarebbe tutt’altro che impossibile proporre un Town Meeting per portare avanti la discussione in modo proficuo. Il tema in oggetto potrebbe essere: ‘Quale è la strategia migliore per rafforzare la democrazia italiana in questo momento storico?’ L’assemblea potrebbe essere composta per un terzo dai rappresentanti dei partiti, per un terzo dalla società civile e il restante terzo (importantissimo) selezionato per sorteggio. Le discussioni ai tavoli sarebbero davvero interessanti.
Attenzione, però. Per quanto la formula sia affascinante il Town Meeting elude la questione principale: chi, alla fine, decide? A questo punto ci viene in aiuto il secondo esempio, quello di Porto Alegre in Brasile. Il Bilancio Partecipativo è un processo a cadenza annuale che coinvolge a vari livelli migliaia di cittadini. Con l’ausilio di esperti vengono individuate le priorità da sottoporre ai consigli municipali locali. Questo processo deliberativo esteso – che non si limita alla discussione ma include l’elezione di delegati al Consiglio di bilancio – ha impatto sui politici. Benché il processo partecipativo non rivesta alcun potere formale, non si è a conoscenza di casi in cui il consiglio municipale abbia bocciato le priorità segnalategli. L’esperimento di Porto Alegre ormai ha superato il momento d’oro ma il suo esempio si è esteso ad altre 170 città brasiliane.
Unire la forma del Town Meeting con la sostanza e l’impatto del processo di bilancio partecipativo rappresenta una valida base su cui poter fondare una democrazia combinata. Il potere e la responsabilità dei rappresentanti non ne escono negati e neppure sminuiti. Sono piuttosto modificati e arricchiti dalle attività deliberative che hanno luogo intorno a loro. E sotto il profilo teoretico il punto cruciale del rapporto tra democrazia rappresentativa e partecipativa è che l’attività della seconda garantisce la qualità della prima. Al contempo i cittadini membri della società civile non tornano a casa con una sensazione di impotenza personale e di separatezza dalla sfera politica, ma si sentono coinvolti in un processo democratico che ha forma e sostanza.

Repubblica Roma 15.3.10
Nuovo sondaggio Bonino in testa per cinque punti
Una rilevazione della Key Research. Polverini: "Renata contro tutti"
di Giovanna Vitale

Pesa eccome l´esclusione della lista provinciale del Pdl. Secondo il sondaggio riservato effettuato dalla Key Research per il Pd Lazio, se si votasse oggi Emma Bonino staccherebbe Renata Polverini di ben cinque punti: la candidata del centrosinistra otterrebbe il 43,7%, quella del centrodestra si fermerebbe al 38,5. Un divario colmabile neppure se entrambe le sfidanti riuscissero infine a convincere quel 15,9% di elettori che ancora non sa se andrà alle urne né quale simbolo sbarrerà: gli indecisi per la leader radicale sono infatti il 5,2%, il doppio quelli per la segretaria Ugl (10,7%). Mancando appena due settimane all´apertura dei seggi, la rimonta del centrodestra assume i contorni dell´impresa.
Sarà per questo, per dare la sensazione di una coalizione compatta nonostante la disfatta sulla lista, che ieri il Pdl ha schierato i suoi pezzi da 90 per dare precise indicazioni di voto. «Renata c´è, sta sulla scheda, per vincere basterà mettere una croce sul suo nome», spiega con involontaria ironia il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri. «Dobbiamo sconfiggere questi ladri di voti, perché non c´è dubbio che rimane un vulnus alle regole», gli fa eco il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto: «I nostri avvocati proseguiranno i ricorsi ma per adesso la lista del Pdl non si presenta. Perciò dobbiamo far convergere i voti sulla civica della Polverini». Una chiamata alle armi improvvisata nel gazebo Pdl di piazza del Popolo, dove in favor di telecamere i dioscuri della candidata governatrice ribadiscono la tesi del complotto e negano qualsivoglia errore dei delegati di partito nella presentazione della lista. Peccato che a ricordarglielo ci penserà più tardi un alleato come Casini: «Diciamocelo pure, sappiamo tutti che le lotte continue dentro il Pdl hanno fatto cambiare i nomi della lista fino all´ultimo momento», attaccherà il leader udc.
Intanto, una e trina, la segretaria Ugl non demorde, costretta all´ubiquità per conquistare voti: eccola al mattino tagliare il traguardo della maratonina per Haiti e dopo pranzo in curva Nord all´Olimpico, accolta dai laziali al grido di «Polverini caccia Lotito!», poi nel pomeriggio a Magliano Sabina. «Lasciamo perdere tutti ‘sti ricorsi, ora l´unico modo per dare prova di democrazia è andare a votare», si sfoga in piazza del Popolo. «Dobbiamo dire chiaro a tutti che a Roma c´è una coalizione di centrodestra, una candidata, un Pdl che mi sostiene e si impegna sulla civica, candidati nel mio listino che rappresentano il Pdl e che, votando me saranno eletti consiglieri». Perciò: «Polverini contro tutti!», urla alla fine, facendo sorridere Isabella Rauti, ormai diventata la sua ombra. «Ora noi del listino dovremo moltiplicarci per tre, per quattro, coprire gli spazi lasciati vuoti dai 41 candidati del Pdl esclusi», sussurra la moglie del sindaco Alemanno. Il manifesto dell´ultimo scampolo di campagna elettorale.

Repubblica Roma 15.3.10
Presentati i candidati radicali. "Chi vuole può votarmi anche due volte"
Emma sulle liste del Pdl escluse "Le regole non si aggiustano in corsa"
di Carlo Picozza

«CHI vuole potrà votarmi due volte, come candidata-presidente e come prima della lista Bonino-Pannella nelle province di Roma, Frosinone, Latina». Emma Bonino, con il segretario dei Radicali italiani, Mario Staderini, ha presentato le donne e gli uomini di sua fiducia per il governo del Lazio, la sua «lista di riferimento». Lo ha fatto con l´occhio rivolto ai ripetuti no, ultimo quello della Corte d´appello, due giorni fa, alla richiesta del Pdl di veder riammessa la lista per le elezioni regionali di fine mese: «Non me ne rallegro» ha ripetuto «ma le leggi non possono essere sovvertite, le regole non si aggiustano in corsa in base a esigenze particolari».
I candidati della "Bonino-Pannella" indossavano quasi tutti una sciarpa gialla, colore simbolo della campagna elettorale: «Per me», ha detto la donna scelta dal centrosinistra per la presidenza della Regione, «rappresentano il punto fermo di tante battaglie». «Sono grata a partiti e liste che mi sostengono», ha precisato, «ma è indubbio che questa è la mia lista di riferimento: mi sentirei rassicurata se al mio fianco avessi un gruppo di radicali cocciuti e preparati». Perché, ha spiegato, «dietro a ogni nome c´è un patrimonio di resistenza e di idee che ha segnato il nostro Paese». Staderini aveva già indicato qualcuno dei 41 della lista provinciale di Roma che, dalle associazioni dell´universo radicale, si calano ora nell´agone elettorale: da Edda Billi a Mina Welbi, da Rocco Berardo a Diego Sabatinelli.
Sono stati tratteggiate anche le priorità del programma: la riforma del sistema elettorale sul modello americano, con collegi uninominali; un´authority per il trasporto pubblico e «l´opportunità di ricorrere ai referendum senza il vincolo del quorum». «Sui 19 miliardi del bilancio regionale, 12 vanno alla Sanità», ha detto Bonino. «Guai a fare promesse, occorrono idee chiare e impegno per far quadrare i conti senza penalizzare l´assistenza ai cittadini, soprattutto ai più deboli. E ogni azione sarà animata dal metodo della legalità e della trasparenza».

l’Unità 14.3.10
Nuove rivelazioni del settimanale Spiegel sullo scandalo pedofilia
La difesa del Vaticano «Cercano invano di coinvolgere il Papa»
Ex-corista stuprato: Georg Ratzinger era collerico. Ci tirò sedie addosso
Nuove rivelazioni su violenze sessuali nel convitto di Ratisbona sino al 1992, quando il coro era diretto dal fratello di papa Ratzinger. Il Vaticano: cercano invano di coinvolgere il pontefice.
di Gabriel Bertinetto

Si erano tenuti tutto dentro per anni e anni. Finalmente trovano il coraggio di parlare. La confessione dell’uno comunica all’altro la forza di raccontare ciò che, forse per vergogna, aveva cercato di occultare in fondo alla memoria. Tra gli ultimi a denunciare gli abusi sessuali in istituti religiosi è un ex-corista di Ratisbona, Thomas Mayer. Il settimanale tedesco Spiegel pubblicherà domani i particolari di una vicenda destinata a suscitare ulteriore imbarazzo in casa Ratzinger. Perché le rivelazioni riguardano violenze subite dai cosiddetti «Passeri del duomo di Ratisbona» nel periodo in cui il fratello di Benedetto XVI, Georg, dirigeva il coro. Sostiene Mayer che nel convitto dei «Passeri» abusi e violenze si sono protratti almeno fino al 1992, anno in cui lui se ne andò. All’epoca, e ancora sino al 1994, il coro era diretto da Georg Ratzinger, che sinora si è sempre difeso dicendo di non avere saputo nulla dei quegli episodi. Mayer lo ricorda come persona «estremamente collerica e irascibile», capace di scagliare sedie contro i cantori rei di stonature o errori di tempo. Una volta si imbestialì a tal punto, che gli cadde di bocca la dentiera.
SISTEMA TOTALITARIO
Ma accadeva ben di peggio in quello che avrebbe dovuto essere un luogo di preghiera e di educazione. Mayer afferma di essere stato violentato da colleghi più grandi. Lui come tanti altri. C’era un prefetto, uno dei presunti istruttori, che prestava la sua casa agli stupratori. Secondo Mayer ci sono dirette responsabilità di coloro che gestivano la struttura, perché i più grandi avrebbero esteso ai minori «la pressione di un sistema totalitario».
E mentre altri casi di pedofilia vengono scoperti anche in Austria (al convitto di Fuegen tra il 1970 ed il 1976, e nella sede dei Piccoli cantori di Vienna durante gli anni sessanta), il Vaticano in questi giorni è particolarmente impegnato a fare muro attorno alla figura del Papa, come se fosse in atto un tentativo di infangarne la dignità religiosa. Padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, parla di «un certo accanimento» alla ricerca di «elementi per coinvolgere personalmente il Santo Padre nelle questioni degli abusi». Sforzi «falliti» secondo Lombardi. L’Osservatore Romano rivendica alla Chiesa, «a dispetto dell'immagine deformata con cui la si vuole rappresentare», di essere «l'istituzione che ha deciso di condurre la battaglia più chiara contro gli abusi sessuali a danno dei minori partendo dal suo interno». Monsignor Scicluna in un’intervista informa che la Congregazione per la dottrina della fede, di cui fa parte, ha indagato dal 2001 su tremila casi di presunti abusi, accertando che 300 erano «atti di vera e propria pedofilia». Troppi, dice Scicluna, «ma il fenomeno non è così esteso come si vorrebbe far credere».

Repubblica 14.3.10
Pedofilia, altri casi in Svizzera "A Ratisbona abusi fino al ´92"
Il Vaticano: volevano coinvolgere il Papa ma hanno fallito
Nelle diocesi elvetiche si indaga su sessanta presunte vittime di sacerdoti
di Orazio La Rocca

CITTÀ DEL VATICANO Lo scandalo dei preti pedofili continua a scuotere la Chiesa cattolica. Dopo gli Usa, l´Irlanda, l´Olanda e la Germania, notizie di nuovi casi di violenze sessuali su minori ora arrivano anche dalla Svizzera, dove i giornali di ieri hanno rivelato che nelle diocesi elvetiche si sta indagando su una sessantina di presunte vittime di preti pedofili, sui quali le autorità ecclesiali assicurano che «faranno chiarezza». Mentre nella stessa Germania oltre a nuovi presunti casi di abusi denunziati ancora ieri dalla stampa nella Bassa Sassonia risalenti agli anni ‘50 e ‘60 tornano ad accendersi i riflettori sullo storico coro di Ratisbona diretto dal 1964 al 1994 da monsignor Georg Ratzinger, fratello maggiore di Benedetto XVI. Secondo il settimanale Der Spiegel nel coro gli abusi sarebbero durati fin al 1992 e, secondo un ex allievo, il maestro Ratzinger era solito usare «maniere forti» durante le lezioni. Altra notizia-shock che va a lambire la figura dell´attuale pontefice già tirato indirettamente in ballo dalla rivelazione di un caso di omesso controllo su un sacerdote pedofilo accolto nel 1980 nella diocesi di Monaco retta dall´allora arcivescovo Joseph Ratzinger. Una vicenda emersa lo stesso giorno in cui in Vaticano il Papa ha ricevuto il presidente della Conferenza episcopale tedesca, l´arcivescovo Robert Zollitsch, per pianificare gli interventi per sradicare la pedofilia nelle chiese locali.
Sul caso di Monaco, però, in Vaticano non sembrano preoccupati. «È stato tutto chiarito ha detto il portavoce papale, padre Federico Lombardi la curia di Monaco ha ammesso che la responsabilità di non aver controllato adeguatamente un sacerdote accolto in diocesi per essere curato fu tutta dell´ex vicario episcopale, non del vescovo». «È piuttosto evidente ha poi commentato padre Lombardi alla Radio Vaticana che negli ultimi giorni vi è chi ha cercato, con un certo accanimento, a Regensburg e a Monaco, elementi per coinvolgere il Santo Padre nelle questioni degli abusi». Ma «per ogni osservatore obiettivo è chiaro che questi sforzi sono falliti», assicura il portavoce pontificio, secondo il quale «nonostante la tempesta, la Chiesa vede bene il cammino da seguire, sotto la guida sicura del Santo Padre». Su questo aspetto interviene anche l´Osservatore Romano, che pubblica un commento sullo «scandalo degli abusi sessuali sui minori» intitolato "Il rigore di Benedetto XVI contro la sporcizia nella Chiesa", evocando significativamente l´analoga severa espressione con cui nel commento alla Via Crucis della Pasqua 2005 scritta dall´allora cardinale Ratzinger per condannare gli scandali consumati da sacerdoti, preti e religiosi.

Repubblica 14.3.10
Clima pesante di sfiducia nella cattolica Baviera dopo la denuncia di casi di abusi. "Noi fedeli aspettiamo una parola chiara dal Papa"
Nella Monaco di Ratzinger sotto shock "Chi porterà più i nostri figli in chiesa?"
È qui l´epicentro della crisi e la gente ora ha paura "Le vittime non vengono difese"
di Andrea Tarquini

MONACO Sulla Maximilianstrasse delle boutiques di Vuitton e Versace i bavaresi bene passeggiano eleganti come ogni sabato. Famiglie e coppiette, catenine d´oro col crocifisso o la Madonna al collo delle signore e dei bambini ancora abbronzato dalle ferie invernali. Alla messa di domenica mattina mancano poche ore. Tutto sembra come prima, finché non ascolti confidenze e mormorii: cosa dirà il nostro parroco domani? Perché alla Frauenkirche non officerà monsignor Reinhard Marx, il nostro arcivescovo? Monaco, il giorno dopo: la ricca Baviera, il bastione bianco tedesco, la cattolica, conservatrice patria di papa Benedetto, è raggelata dallo shock, sente come una pugnalata lacerante la perdita delle certezze. È qui, nella Monaco opulenta e cristiana, l´epicentro della crisi della Chiesa, e quasi come nella povera, caotica Mosca della perestrojka e dell´autunno dell´Urss, nessuno sa più di sicuro cosa porterà il domani.
«Un prete pedofilo nella nostra Chiesa bavarese, che cosa sapeva allora l´attuale Papa?». Sparata a caratteri cubitali in ogni edicola e sul sito, la domanda del quotidiano popolare Abendzeitung fa male, pesa come un macigno. Nelle parrocchie non si parla d´altro, mi dice Christian Weisner, leader di "Wir sind Kirche", cioè "La Chiesa siamo noi", i cattolici del dissenso. Le giovani, eleganti mamme di Schwabing, che portano la prole a messa con i giganteschi Suv Bmw, e le timide contadine nei villaggi della Baviera profonda, sono unite come mai prima. Unite dalla paura per i figli: la tradizione, la dolce certezza della parrocchia o della scuola religiosa, fino a ieri certezza d´un secondo calore umano familiare per i bimbi, diventa paura, angoscia, incubo. L´incubo di consegnare i bambini al maligno, «di vederli finire come Cappuccetto rosso in bocca al lupo», mi confida una passante.
Qui i nervi sono al calor bianco, e le parole di padre Lombardi non bastano a calmare gli animi dei fedeli. «Stiamo vivendo un incubo», dice Alois Glueck, e sa di cosa parla. Lui, cavallo di razza della Csu, il partito-Stato cattolico che governa la Baviera da mezzo secolo, è su tutte le furie. «Continuano a pensare a difendere prima di tutto la reputazione della Chiesa anziché preoccuparsi di difendere le vittime. Se si continua così la crisi della Chiesa come istituzione diverrà davvero grave». E aggiunge: «È ora di preoccuparsi di come il personale ecclesiastico viene selezionato e scelto».
Clima pesante, tra sussurri e grida dei fedeli e silenzi della Chiesa ufficiale, qui nella cattolica Baviera. Per il bastione bianco del Mitteleuropa è un´atmosfera di crisi interiore senza precedenti, la prima nella Storia: vacilla un sistema di valori e di potere. «Noi fedeli ci aspettiamo una parola chiara del Papa, non bastano le scuse della Conferenza episcopale», protesta Wesiner, il leader dei cattolici del dissenso. Mathias Drobinski, il prudente, preciso commentatore della Sueddeutsche Zeitung, rinuncia alle mezze parole: «Restano domande aperte, le risposte sono urgenti, e può fornirle solo Papa Benedetto, dovrebbe rispondere, in nome della chiarezza e della verità, non per farsi mettere alla berlina». Ma girando tra le parrocchie, chiacchierando coi fedeli, ascolti testimonianze agghiaccianti. «Io ho conosciuto, per caso, quel prete pedofilo, che fu riaccolto nella Chiesa in Baviera, e ricominciò ad abusare di minori», mi dice un laico impegnatissimo in una comunità di base, che vuole restare anonimo. «Le sembrerà strano, ma era un sacerdote amatissimo, popolare, simpatico, adorato da bambini, ragazzi e famiglie. Spesso, spessissimo, i sacerdoti con tendenze pedofile sanno come farsi amare».
"L´abate H", come viene chiamato il prete pedofilo a lungo protetto dai silenzi, esercita ancora il sacerdozio. Soprattutto per i turisti, «ma gli capita ancora di organizzare messe per i giovani». La gente qui si chiede atterrita se sia un caso isolato o una punta dell´Iceberg. Certo è che fu difeso. Anche contro la sua prima vittima, Wilfried F., di Essen, che a 11 anni fu costretto da lui a praticargli sesso orale. Wilfried, adulto, saputo che il suo torturatore era ancora prete, gli scrisse due anni fa una e-mail anonima. Ricordò la violenza subita e chiese scuse e un risarcimento, magari morale. Gli rispose l´arcivescovado di Monaco. Poi lo denunciò per ricatti. Non dal prete violentatore, bensì a casa di Wilfried la vittima bussò la polizia. «Volevano costringermi a tacere, poi l´inchiesta su di me passò agli atti per mancanza di prove, ma quel prete dice ancora messa».

Repubblica 14.3.10
Sono gli stessi sacerdoti a raccontare vecchie storie di abusi, chiedendo che riaffiori la verità
Denunce e richieste di risarcimento ora la Santa Sede teme il fronte italiano
di Marco Ansaldo

Un libro scritto da un sacerdote anonimo raccoglie gli ultimi esposti alle procure
Papa Ratzinger ha esortato la Chiesa alla trasparenza, ma il Vaticano è preoccupato

CITTÀ DEL VATICANO Forse era inevitabile. Di certo se l´aspettavano tutti, anche in Vaticano. Ma che lo scandalo dei preti pedofili arrivasse prima o poi anche in Italia sembrava più che un´ipotesi. Era una preoccupazione latente. Ora, una certezza, visto che le prime denunce sono già partite. Dopo i casi scoppiati negli Stati Uniti nel 2002, quelli in Brasile del 2005, le condanne in Australia nel 2008, il rapporto Murphy sugli abusi in Irlanda nel 2009, e le recentissime inchieste avviate nel 2010 in Germania, Austria e Olanda, la Santa Sede dovrà prepararsi per un nuovo fronte.
Non è stato infatti un caso se, solo pochi giorni fa, la diocesi di Bolzano e Bressanone, colpita dall´eco dello sconcerto provocato nella vicina area di lingua tedesca, ha indicato sul proprio sito un indirizzo e-mail al quale le vittime possono fare segnalazioni. Un´azione preventiva, avviata dal vescovo Karl Golser, nel segno della trasparenza totale raccomandata da Papa Ratzinger. Già l´altro ieri un altoatesino si è fatto avanti, raccontando al giornale Tageszeitung gli abusi subiti da ragazzo, negli Anni sessanta, da cinque frati durante un soggiorno estivo in un convento di Bolzano. Violenze avvenute «nei vigneti, in cantina e in stanza». Subito dopo è stata la volta di un ex studente di un collegio di Novacella, nei pressi di Bressanone, che ha denunciato anche frustate.
A Firenze è poi tornata alla ribalta ieri la vicenda di don Lelio Cantini, il prete colpevole di abusi sessuali contro minori compiuti fra il 1973 e l´87, da parroco della Chiesa "Regina della pace". Dopo lunghe vicende processuali, nel 2008 Cantini fu ridotto da Benedetto XVI allo stato laicale. Ora le sue vittime imputano alle autorità ecclesiastiche la «mancata consapevolezza delle loro responsabilità». Dice Francesco Aspettati, a nome di tutti: «Troppo facile offrire la testa del pedofilo di turno senza affrontare il vero problema: perché, quando abbiamo chiesto di essere ascoltati, la Chiesa ci ha prima intimato il silenzio, accusato di accanimento, e poi minacciato e invitato a dimenticare?».
Altre storie riemergono, descritte in dettaglio nel libro "Il peccato nascosto" (editore Nutrimenti, curato da Luigi Irdi) in uscita mercoledì. L´autore, che si firma come Anonimo sigla che comprende il contributo di più mani fra cui quella di un sacerdote che ha preferito non comparire in prima persona raccoglie le tante denunce arrivate di recente in varie Procure d´Italia. C´è la vicenda di un gruppo di bambine di un paese vicino a Cento, diocesi di Ferrara, abusate da don Andrea Agostini, condannato nel 2008 a 6 anni e 10 mesi di reclusione, e al risarcimento di 28mila euro. Il loro avvocato, Claudia Colombo, aveva anche scritto al cardinale di Bologna, Carlo Caffarra, chiedendo una presa di responsabilità della curia locale. Nel dispositivo della sentenza i giudici di primo grado hanno denunciato «il silenzio dei vertici ecclesiastici e la loro ritrosia a mettere sul tappeto le notizie sulle accuse che già da tempo circolavano».
Un altro caso descritto è quello di una parrocchia alla periferia nord di Roma, dove don Ruggero Conti, parroco della Natività di Maria Santissima, è stato processato nel febbraio 2008 al palazzo di giustizia di Roma per abusi sessuali nei confronti di sette ragazzi che hanno testimoniato le violenze al pubblico ministero Francesco Scavo.
Ma, fra i tanti, il caso forse più atroce è quello di Alice, una bambina di 8 anni di Bolzano, per un lungo periodo violentata, filmata, abusata con il messale in mano dall´educatore al quale i genitori l´avevano affidata per insegnarle il catechismo. L´accusato, don Giorgio Carli, affrontati tutti i gradi di giudizio per accuse che risalgono agli anni Ottanta e sempre condannato il 19 marzo 2009 viene «assolto» dalla terza sessione penale della Cassazione che dichiara quei reati prescritti per effetto della legge ex Cirielli. La sentenza, pur confermando l´autenticità dei fatti, può contemplare solo la condanna al risarcimento. Peraltro mai giunto.
Il Vaticano, che conosce molti dei casi, appare preoccupato. Non solo per una questione di immagine. Ma anche perché l´apertura del fronte italiano significherebbe l´avvio di cause di risarcimento di cui difficilmente le sole diocesi potrebbero farsi carico. La Curia teme questo rischio. In alcuni casi sono addirittura i sacerdoti a denunciare storie ormai sepolte, con documentazioni e dossier. Chiedono loro stessi trasparenza, perché la verità, dopo tanti anni, finalmente riaffiori.

Repubblica 14.3.10
La chiesa e l´educazione
di Chiara Saraceno

L´entità della diffusione dell´abuso sessuale su bambini da parte di sacerdoti mina la stessa legittimazione della Chiesa cattolica come garante della educazione dei più piccoli. Proprio la diffusione del fenomeno, unita al fatto che ne sono stati protagonisti religiosi ad ogni livello gerarchico e che, quando non vi è stata copertura colpevole, vi è stata mancanza di vigilanza, cecità rispetto a tutti gli indizi, mancato ascolto dei segnali mandati dalle vittime, non consente di nascondersi dietro l´abusata affermazione che poche mele marce non possono inficiare la missione educativa della Chiesa. Ne sa qualche cosa la Chiesa cattolica irlandese, che ha subito un crollo verticale di fiducia dopo che è stato rivelato il mondo di violenza, abusi, sopraffazioni che si nascondevano dietro molte delle sue istituzioni per bambini e ragazzi/e. Piuttosto vale il contrario: non bastano molti bravissimi e generosi educatori a legittimare la superiorità educativa sul piano morale attribuita alla Chiesa.
Non può valere per gli uomini (e le donne) di chiesa, il principio della doppia morale, in base al quale è il ruolo, non il comportamento individuale, che conta. Lo ha dichiarato con nettezza la (ex) vescova luterana Kauffman, che, con un gesto di grande responsabilità e rispetto per l´istituzione che rappresentava, si è dimessa dalla propria carica dopo aver commesso una infrazione infinitamente meno grave (guida in stato di ubriachezza) e dannosa di quella imputata a centinaia di sacerdoti (e qualche vescovo) cattolici. A chi, dentro e fuori la sua Chiesa, le chiedeva di restare ha risposto che, per la sua coscienza, rimanere avrebbe significato indebolire non solo la carica che deteneva e la chiesa che guidava, ma lo stesso messaggio etico-religioso.
L´impossibilità della doppia morale è tanto più evidente quando coinvolge – e stravolge – il rapporto educativo. Nei casi di violenza, e ancor più di abuso sessuale, è tradito proprio il rapporto fiduciario che è alla base di ogni rapporto educativo. Il soggetto principe di questo rapporto, il bambino, è violato nel corpo, nei sentimenti, nella sua percezione di sé e del proprio posto nel mondo. A questi bambini e ragazzi è stata sottratta la possibilità di sviluppare rapporti di fiducia negli adulti – negli educatori, ma anche nei genitori, che a quegli educatori li avevano affidati. Ne portano l´incancellabile, gravissima responsabilità non solo coloro che hanno compiuto gli abusi, ma anche coloro che li hanno nascosti o sottovalutati, o non sono stati capaci di vederli e di difenderne le vittime. Giustamente, ancorché troppo tardivamente e in alcuni casi obtorto collo, la Chiesa ha chiesto pubblicamente scusa.
Ma chiedere scusa non basta. Non solo perché non c´è riparazione possibile per il danno gravissimo subito dalle vittime. Ma perché non sembra che si sia ancora neppure iniziato a mettere a fuoco le ragioni delle troppe «mele marce» o «persone disturbate» (per usare le parole del vescovo di Ratisbona) tra i religiosi nelle istituzioni educative cattoliche. Non credo che la causa vada cercata solo nell´obbligo del celibato, o nella posizione esclusivamente ancillare delle donne nella Chiesa cattolica. Pedofili e maltrattatori di bambini si trovano anche tra le persone sposate. E, come ha testimoniato la vicenda irlandese, anche gli istituti retti da religiose possono diventare luoghi di abuso. Piuttosto la causa va cercata nelle concezioni della sessualità, del ruolo della donna, della famiglia, che motivano sia il celibato sia l´esclusione delle donne dal sacerdozio. Il matrimonio è sempre visto come remedium concupiscientiae, un male minore rispetto ad una sessualità cui non si riconosce senso e valore umano, salvo che a scopi procreativi. Il corpo della donna è sempre potenzialmente impuro, rischioso e da sottoporre a controllo, sia come luogo del desiderio (maschile) che come strumento della procreazione. La famiglia è insieme necessaria (sempre a scopi riproduttivi). Ma avere una famiglia e generare figli è visto come un vincolo alla disponibilità all´altruismo. Non a caso, papa Wojtyla nel suo documento sull´amore umano, con una torsione concettuale tanto suggestiva quanto rivelatrice della tensione tutta irrisolta della Chiesa nei confronti della sessualità, scrisse che la verginità è il culmine della sessualità, perché consente una generatività che va oltre quella biologica.
Fino a che la Chiesa cattolica non avrà affrontato la questione del posto della sessualità nel suo concetto di persona umana, difficilmente riuscirà a contenere il ripresentarsi non occasionale dei fenomeni di abusi sessuali. Nel frattempo, sarebbe opportuna maggiore cautela e autocritica nel presentarsi come magistra vitae e nel dare lezioni sulla «buona sessualità», la «buona famiglia» e la «giusta identità di genere».

L’Osservatore Romano 14.3.10
Lo scandalo degli abusi sessuali sui minori
Il rigore di Benedetto XVI contro la sporcizia nella Chiesa
di Giuseppe Versaldi
Vescovo di Alessandria, Ordinario emerito di diritto canonico e psicologia alla Pontificia Università Gregoriana

Qualche precisazione è opportuna a proposito degli abusi sessuali sui minori che in passato sono stati compiuti da appartenenti al clero cattolico e che ora, specialmente in alcuni Paesi, stanno venendo alla luce con grande evidenza su molti media. Innanzitutto, va ribadita la condanna senza riserve di questi gravissimi delitti che ripugnano alla coscienza di chiunque. Se poi questi crimini vengono compiuti da persone che rivestono un ruolo nella Chiesa - persone nelle quali viene riposta una speciale fiducia da parte dei fedeli e particolarmente dei bambini - allora lo scandalo diventa ancora più grave ed esecrabile. Giustamente la Chiesa non intende tollerare alcuna incertezza circa la condanna del delitto e l'allontanamento dal ministero di chi risulta essersi macchiato di tanta infamia, insieme alla giusta riparazione verso le vittime. 
Ribadita questa posizione, va però sottolineato un accanimento nei confronti della Chiesa cattolica, quasi fosse l'istituzione dove con più frequenza si compiono tali abusi. Per amore della verità bisogna dire che il numero dei preti colpevoli di questi abusi è in America del nord, dove si è registrato il maggior numero di casi, molto ridotto ed è ancora minore in Europa. Se questo ridimensiona quantitativamente il fenomeno, non attenua in alcun modo la sua condanna né la lotta per estirparlo, in quanto il sacerdozio esige che vi accedano soltanto persone umanamente e spiritualmente mature. Anche un solo caso di abuso da parte di un prete sarebbe inaccettabile. 
Tuttavia, non si può non rilevare che l'immagine negativa attribuita alla Chiesa cattolica a causa di questi delitti appare esagerata. C'è poi chi imputa al celibato dei sacerdoti cattolici la causa dei comportamenti devianti, mentre è accertato che non esiste alcun nesso di causalità: innanzitutto, perché è noto che gli abusi sessuali su minori sono più diffusi tra i laici e gli sposati che non tra il clero celibatario; in secondo luogo, i dati delle ricerche evidenziano che i preti colpevoli di abusi già non osservavano il celibato. 
Ma è ancora più rilevante sottolineare che la Chiesa cattolica - a dispetto dell'immagine deformata con cui la si vuole rappresentare - è l'istituzione che ha deciso di condurre la battaglia più chiara contro gli abusi sessuali a danno dei minori partendo dal suo interno. E qui bisogna dare atto a Benedetto XVI di avere impresso un impulso decisivo a questa lotta, grazie anche alla sua ultraventennale esperienza come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Non va infatti dimenticato che proprio da quell'osservatorio il cardinale Ratzinger ha avuto la possibilità di seguire i casi di abusi sessuali che venivano denunciati e ha favorito una riforma anche legislativa più rigorosa in materia. 
Ora, come supremo pastore della Chiesa, il Papa mantiene anche in questo campo - ma non solo - uno stile di governo che mira alla purificazione della Chiesa, eliminando la "sporcizia" che vi si annida. Benedetto XVI si dimostra, dunque, un pastore vigilante sul suo gregge, a dispetto dell'immagine falsata di uno studioso dedito soltanto a scrivere libri il quale delegherebbe ad altri il governo della Chiesa, secondo uno stereotipo che qualcuno, purtroppo anche all'interno della gerarchia cattolica, vorrebbe accreditare. È grazie al maggiore rigore del Papa che diverse conferenze episcopali stanno facendo luce sui casi di abusi sessuali, collaborando anche con le autorità civili per rendere giustizia alle vittime. 
Appare dunque paradossale rappresentare la Chiesa quasi fosse la responsabile degli abusi sui minori ed è ingeneroso non riconoscere a essa, e specialmente a Benedetto XVI, il merito di una battaglia aperta e decisa ai delitti commessi da suoi preti. Con l'aggiunta di un altro paradosso: quando la Chiesa saggiamente stabilisce norme più severe per prevenire l'accesso al sacerdozio di persone immature in campo sessuale, in genere viene attaccata e criticata da quella stessa parte che la vorrebbe principale responsabile degli abusi sui minori. La linea rigorosa e chiara assunta dalla Santa Sede deve invece essere recepita nella Chiesa - e non solo - per garantire la verità, la giustizia e la carità verso tutti.

Repubblica 15.3.10
"Io, vittima di un prete a 12 anni ora il Papa esca dall’ambiguità”
Germania, parla Benedikt: segnato dalla pedofilia
di Andrea Tarquini

"L´uomo mi toccò e mi strinse a sé Fu un incubo ma la Chiesa mi disse di tacere"

MONACO - «Avevo 12 anni, quando padre Peter Kramer mi fece tirar giù i pantaloni. Dalla Chiesa, dal Papa soprattutto, aspetto solo parole chiare, non ambiguità e silenzi». Benedikt T. oggi ha 23 anni. A Monaco, la capitale bavarese che è epicentro della crisi scatenata nella Chiesa cattolica tedesca dagli scandali degli abusi su minorenni nelle istituzioni cattoliche, ascoltiamo il suo racconto. Mentre l´autodifesa della Santa Sede con le dichiarazioni di Padre Lombardi non sono servite ad attenuare il trauma della società tedesca per le rivelazioni sempre più numerose, né a restituire credibilità al cattolicesimo.
Signor Benedikt, cosa le accadde?
«La mia famiglia era molto credente, io ero chierichetto, per me la Chiesa era fiducia e calore umano. Accadde in una festa di Pasqua in parrocchia a Viechtach, vicino Ratisbona, in Baviera, dove vivevamo. Festa gioiosa, noi bambini andammo poi a giocare al piano di sopra. Poi restammo io, mio fratello, mia sorella, i miei genitori. Chiedemmo che un adulto giocasse con noi. Venne padre Peter Kramer. Ci disse "giochiamo ad acchiapparella". Aggiunse: "Chi acchiappo sarà mio". Lui acchiappò mia sorella ma si vedeva che le bambine non lo attiravano. Poi prese mio fratello. Lo strinse a sé, lo toccò. Ci inquietammo, ma mio fratello aveva solo 9 anni, non lo eccitava tanto. Poi Padre Kramer disse "giochiamo a nascondino". Chiese ai miei fratelli di nascondersi, mi disse "noi dovremo trovarli, ora vieni con me nella stanza accanto". Andai, fidandomi».
Cosa successe nell´altra stanza?
«Il prete – lo ricordo ancora, 39 anni che sembravano di più, massiccio, uno strano odore addosso - mi disse: "Sei nella pubertà, devi imparare. Non dire mai nulla a papà e mamma". Ero sotto shock, incapace di difendermi. Feci tutto quello che diceva. Mi disse di togliermi i pantaloni, mi toccò nelle parti intime. Mi chiese se avevo già avuto eiaculazioni. "Voglio solo educarti", insisteva. Mi strinse da dietro. Non mi violentò, ma fu una sensazione tremenda. E dall´altra stanza mia sorella e mio fratello gridavano».
E poi?
«Uscimmo dalla stanza, i miei fratelli e io quasi singhiozzando corremmo giù da mamma e papà. "Andiamo subito a casa", dicemmo loro. Mamma e papà erano preoccupati. Io volevo tacere, mi vergognavo. Volevo fare una doccia, sentivo ancora sul mio corpo l´abbraccio e l´odore del prete. Esplosi in una crisi nervosa e di pianto, narrai tutto. I miei genitori chiesero un incontro col padre superiore. Fu loro proposto, e loro accettarono, di firmare un´intesa confidenziale. In cambio del silenzio avrebbero avuto assistenza psicologica per me e per tutti, un risarcimento di 5000 marchi, e l´impegno a trasferire padre Kramer. L´incubo non mi lasciò mai. Mio padre finì in terapia, i miei divorziarono. Io poi cominciai a fumare marijuana tentando di dimenticare. Quel prete fu trasferito a Riekhofen con l´accordo del vescovo di Ratisbona, Mueller. I dossier sul mio caso all´episcopato sparirono, i fedeli di Riekhofen non furono informati. Là egli fu recidivo, e la giustizia lo condannò a tre anni con la condizionale per abusi gravi in 22 casi, in almeno un caso con stupro pedofilo. Ma la chiesa non lo espulse».
Cioè?
«A Riekhofen lo avevano accolto con entusiasmo, "è così gentile", dicevano. Formò gruppi con giovani, organizzò un viaggio a Roma. Sempre solo con ragazzi, mai ragazze nel gruppo. Da noi si fece vivo intanto il vicario generale Gegenfurtner, ci assicurò che Kramer non avrebbe avuto più contatti con bambini. Poi circolarono voci anche sul vicario. Intanto la storia era divenuta pubblica. Per me fu come rivivere l´abuso. Ci fecero capire che preferivano che non parlassimo in pubblico».
Come reagiste?
«Io dal 2007 cominciai a raccontare la mia storia. Fu una liberazione, mi affrancai dai sensi di colpa. Oggi sono ancora in terapia. Studio, ho una fidanzata, con lei va tutto bene. Ma quando vado a una toilette pubblica non ce la faccio mai ad andare agli orinatoi dove sono altri uomini accanto a me. E vorrei sentire dal Papa in persona parole chiare, per noi vittime. Altrimenti dove finiscono i valori della Chiesa in cui credevo, prima che quel sacerdote distruggesse la mia infanzia e la mia gioventù?»

l’Unità 14.3.10
Accuse americane a Israele Netanyahu sotto shock
La risposta del gabinetto di sicurezza alle critiche di Clinton: una commissione d’inchiesta
Per il Wall Street Journal Obama «livido» per l’annuncio di nuove case a Gerusalemme Est
di Umberto De Giovannangeli

Per il Wall Street Journal il presidente Usa sarebbe «livido» per il trattamento riservato al suo vice Biden accolto in Israele con l’annuncio di nuove case a Gerusalemme Est. Netanyahu colpito dalle critiche Usa.

Hillary non molla la presa. E in una intervista alla Cnn torna sulla decisione del governo israeliano di costruire nuovi insediamenti per coloni nel quartiere di Ramat Shlomo, a Gerusalemme Est: secondo la segretaria di Stato Usa «l’annuncio, proprio nel giorno della visita del vice-presidente Joe Biden, è stato un insulto». Alla Cnn, Hillary Clinton ribadisce che
la relazione con lo Stato ebraico è «durevole, forte, radicata in valori comuni», ma aggiunge anche che «è necessario mettere in chiaro con i nostri amici e alleati israeliani che la soluzione dei due Stati che appoggiamo e che il primo ministro Benjamin Netanyahu afferma di appoggiare richiede azioni che creino uno spirito di fiducia da entrambe le parti».
Secondo fonti dell’amministrazione Usa citate dal Wall Street Journal il presidente Barack Obama sarebbe «livido» per il trattamento riservato al suo vice Joe Biden a Gerusalemme. Secondo queste fonti la rabbia di Obama sarebbe tra le ragioni per cui Hillary Clinton ha telefonato al premier israeliano Benyamin Netanyahu l’altro ieri per avvertirlo, in 45 minuti di teso colloquio che gli
Stati Uniti si aspettano di più da Israele in materia di processo di pace. L’Autorità nazionale palestinese (Anp) si è rallegrata oggi per le severe critiche che la segretaria di Stato Usa il Quartetto e gran parte della comunità internazionale hanno rivolto a Israele dopo l’annuncio del suo molto controverso piano di espansione di edilizia ebraica a Gerusalemme Est. «L’Autorità palestinese – afferma il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat si rallegra delle dichiarazioni di Hillary Clinton e del comunicato del Quartetto in cui si denuncia la decisione del governo di costruire colonie (ebraiche) nella parte orientale di Gerusalemme», che per i palestinesi dovrà divenire capitale del loro futuro Stato. I palestinesi, aggiunge Erekat, insistono tuttavia a chiedere che Israe-
le annulli tutte le decisioni prese concernenti l’espansione dei suoi insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est e che inoltre cessi una politica che «è inutile e dannosa» per il processo di pace.
BIBI TRAMORTITO
Ma è in serata che arriva la reazione più attesa. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu riunisce i ministri che formano il gabinetto politico militare per decidere la risposta da dare alle severe critiche della segretaria di Stato Usa. «Sono rimasto sorpreso, scioccato dalle accuse (americane)... Ero convinto che le scuse rivolte al vice presidente (Biden) fossero più che sufficienti» si lascia andare Netanyahu. Il clima è pesante. C’è chi vorrebbe una risposta durissima agli «insulti (della Clinton...)».
Chi pretende che sia chiarito «una volta per tutte» che Israele non accetta alcuna imposizione su Gerusalemme. Netanyahu veste i panni del «pompiere». Ma fa fatica a spegnere l’incendio. La riunione si protrae nella notte, la bozza di comunicato presentata dal premier è giudicata troppo «arrendevole» dai falchi del governo. Il rischio di una rottura con la componente più oltranzista dell’esecutivo prende corpo. Tra i più convinti sostenitori della linea dura si distingue il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman. Forse in cerca di sostegno Netanayhu aveva telefonato
La decisione in nottata
Il premier «chiede» che certi episodi non si verifichino più in giornata a due leader che ritiene amici fidati per uno scambio di idee: al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e alla cancelliera tedesca Angela Merkel. In nottata, Netanyahu ordina un'inchiesta per capire le motivazioni dell'annuncio dei nuovi insediamenti proprio durante la visita del vice-presidente Usa, chiedendo la creazione di una Commissione che unirà i direttori dei ministeri ed esaminerà ciò che è successo. Il Comitato dovrà assicurare che incidenti di questo tipo non si ripetano più.

l’Unità 14.3.10
«Non si può fidare del premier israeliano. Obama lo ha capito»
A colloquio con i politologi americani Mearsheimer e Walt: «Lo scontro Usa-Israele non è un incidente di percorso A rischio è il nuovo inizio di Barack con arabi e musulmani»
di U. D. G.

Non si tratta di un incidente di percorso né di una crisi contingente. Gli oltranzisti che governano Israele stanno mettendo in discussione gli interessi dell’America nell’intera area mediorientale. Obama ha compreso di non potersi fidare di Netanyahu». La considerazione è del professor John J.Mearsheimer, docente di Scienza della politica all’Università di Chicago, dove dirige il programma di politica della sicurezza internazionale. Assieme a Stephen M.Walt, l’altro nostro interlocutore, Mearsheimer è autore di un saggio che ha scatenato dibattito e polemiche negli Usa e nel mondo: «La Israel Lobby e la politica estera americana» (Mondadori). «L’amministrazione Obama – riflette Mearsheimer – ha dovuto prendere atto che il “Nuovo inizio” vagheggiato nel rapporto tra l’Occidente e il mondo arabo e musulmano rischia di infrangersi contro il fondamentalismo nazionalista e religioso che ispira le forze che oggi detengono il potere in Israele».
Le parole di Mearsheimer trovano riscontro in quanto rivelato nei giorni scorsi dal giornale israeliano Maariv secondo cui il presidente Obama ha reagito «con collera» nell’apprendere che durante la visita di Biden il ministero israeliano dell’Edilizia ha annunciato la estensione di un rione ebraico a Gerusalemme Est. Un episodio che ha messo in forse la ripresa di negoziati indiretti fra Israele e Anp, a cui la diplomazia statunitense ha lavorato per mesi. Secondo il giornale, funzionari statunitensi hanno affermato che «Israele ha così pugnalato Obama alla schiena». Il giornale afferma inoltre che «se finora Obama prendeva con un grano di sale le dichiarazioni del premier Benyamin Netanyahu, adesso semplicemente non crede più ad alcuna sua parola» Anche alla luce di questa crisi annunciata, alcuni analisti americani chiedono a Obama di adottare una strategia di «offshore balancing» (bilanciamento dall’esterno) nell’area mediorienatele.
A sostenerlo è M.Walt, ordinario di Relazioni internazionali alla John F.Kennedy School of Government presso l’Università di Harvard, coautore del discusso saggio sulla lobby israeliana in America: «Trattare Israele come un Paese normale», osserva Walt, «significa innanzitutto smettere di fingere che gli interessi americani e quelli israeliani siano coincidenti e non agire più come se Israele meritasse, indipendentemente da quello che fa, un appoggio comunque incondizionato, che altri non meritano. Se Israele agirà in modi che per gli Stati Uniti sono positivi e desiderabili, godrà del sostegno americano; se non lo farà, si dovrà aspettare le critiche e l’opposizione degli Stati Uniti, Proprio come qualsiasi altra nazione». E se Israele rimanesse ostile alla costituzione di un vero e proprio Stato palestinese – o se cercasse di imporre un’ingiusta soluzione unilaterale – Obama, riflette ancora il professor Walt, dovrebbe «eliminare ogni forma di sostegno economico e militare allo Stato ebraico». E dovrebbe farlo «non allo scopo di arrecare un danno a Israele, ma nella consapevolezza che per gli Stati Uniti l’occupazione rappresenta un problema ed è contraria ai valori politici americani. Coerentemente con il proprio ruolo di equilibratore esterno, gli Stati Uniti agirebbero soltanto sulla base del proprio interesse, anziché aderire ciecamente a un’alleanza con un partner che non perde occasione per dimostrarsi un partner poco collaborativo». D’altro canto, «i sostenitori americani di Israele»prosegue il professor Walt, che dal 2002 al 2006 ha diretto la Kennedy School, «devono riconoscere che negare ai palestinesi legittimi diritti politici non ha reso Israele più sicuro; e chi ha condotto con maggiore determinazione attività di lobby per ottenere l’appoggio incondizionato degli Stati Uniti, alla fine non ha fatto altro che alimentare l’estremismo israeliano e palestinese, infliggendo senza volere un danno proprio al Paese che intendeva difendere». Ed è sulla base di queste considerazioni che Obama, afferma a sua volta il professor Mearsheimer, «dovrebbe mettere Israele di fronte a una scelta: porre termine all’autolesionistica occupazione della Cisgiordania e all’assedio della Striscia di Gaza e rimanere uno stretto alleato dell’America oppure restare una potenza coloniale che gli Stati Uniti dovrebbero trattare nello stesso modo in cui hanno trattato le altre democrazie coloniali». «La soluzione del conflitto (israelo-palestinese) e l’adozione di una modalità più normale di relazione con Israele – aggiunge Mearsheimer – aiuterebbe gli Stati Uniti a ricostruirsi una immagine positiva presso il mondo islamico e a mettersi in una posizione dalla quale possano più credibilmente incoraggiare le riforme così necessarie nella regione». «La sopravvivenza di Israele conclude Walt – è uno degli interessi degli Usa in questa regione nevralgica del mondo – ma la sua presenza nei Territori occupati non lo è. Prenderne atto fino in fondo, anche a livello di opinione pubblica, incoraggerebbe l’amministrazione Obama a perseguire politiche più in sintonia con il proprio interesse nazionale, con gli interessi degli altri Stati della regione e, ne sono fermamente convinto, anche con l’interesse di Israele».

Repubblica Roma 14.3.10
Rossini: "A Roma sono felice"
E compose il Barbiere di Siviglia


Due impresari del teatro Valle lo ingaggiano per un´opera nuova
In via dei Leutari in un paio di settimane creò uno dei capolavori dello spirito umano

Pur così breve di lunghezza, via dei Leutari, tra via del Governo Vecchio e corso Rinascimento, trasuda letteralmente di memorie storiche, leggende, ricordi sospesi fra la realtà e il mito. Basta sfogliare la fondamentale enciclopedia sulle «Strade di Roma» di Claudio Rendina per farsene un´idea. Al civico n.23 c´è l´antico palazzo Peretti, dove abitò Sisto V prima di essere eletto papa, e dove visse col primo marito (un nipote del futuro papa Sisto) Vittoria Accoramboni, bella ed infelice protagonista, in pieno Cinquecento, di una fosca vicenda di passioni e di sangue, che ispirò il genio del grande Stendhal. Ma si dice che anche un´altra donna famosa e sfortunata sia vissuta in questa strada: Maria Bibbiena, la fidanzata di Raffaello, che l´avrebbe fatta morire di dolore. Nel 1553, proprio qui a via dei Leutari riemerse dal sottosuolo la colossale statua di Pompeo che oggi si ammira a Palazzo Spada.
Sobria ed elegante nell´espressione, la targa che commemora la residenza del giovane Gioacchino Rossini in questa strada così affollata di memorie risale al 1872. Non celebra solo il grande artista, ma assieme a lui un suo capolavoro in particolare. Questo è il testo: «Abitando questa casa/Gioacchino Rossini/trovò le armonie sempre nuove/del Barbiere di Siviglia». L´estensore di questo testo era, senza dubbio, una persona intelligente. Quando i fatti e le persone ricordati sono di per sé eccezionali, diventano inutili le formule retoriche e gli aggettivi roboanti. Che in una stanza di Palazzo Paglierini siano state inventate le arie, i duetti, e gli altri brani tutti più o meno celebri di un´opera come «Il barbiere di Siviglia» basta e avanza a infondere a questo luogo l´atmosfera degli eventi memorabili. Rossini era arrivato a Roma nel novembre del 1815. Aveva ventitré anni ed era già famosissimo. Dalla Francia alla Russia, i teatri replicavano continuamente opere come «L´Italiana in Algeri» e «Il Turco in Italia».
Rossini arrivava a Roma da Napoli. Il suo impresario, il celebre Barbaja, gli concedeva delle periodiche licenze, durante le quali il musicista poteva accettare lavori da altri teatri, attingendo al pozzo, in apparenza inesauribile, del suo talento. «Sono felice in Roma», scrive Rossini alla madre pochi giorni dopo l´arrivo. Ma non è una piazza facile. Due impresari del teatro Valle lo ingaggiano per un´opera nuova, mentre ancora va in scena «Il Turco in Italia», con enorme successo. Ogni sera, Rossini viene chiamato sul palco del Valle almeno tre volte a ricevere gli applausi dei romani entusiasti, che non avevano mai ascoltato nulla di simile in precedenza. Ma anche se i romani sono «fanatici» della sua musica (o della sua «Porca Musica», come scrive con orgoglio ai genitori), la nuova opera per il Valle, «Torvaldo e Dorliska», va in scena il 26 dicembre senza troppo successo.
Poco male: il teatro è una macchina insaziabile, e non tutte le opere possono avere la stessa fortuna. A volte, ciò che non va bene in una città trionfa in un´altra. Come Rossini imparerà ben presto, le sorti di un´opera possono addirittura cambiare da una sera all´altra. Il carattere del pubblico romano è più imprevedibile di un felino in gabbia. Mentre al Valle la nuova opera stenta a conquistarsi gli applausi, a poche decine di metri, sul palco dell´Argentina, trionfa «L´Italiana in Algeri», anche grazie alla voce di soprano di Gertrude Righetti Giorgi. Ed è per l´Argentina che Rossini sta preparando il «Barbiere di Siviglia». Tratto dalla vecchia commedia di Beaumarchais, l´autore tanto amato anche da Mozart, il libretto dello Sterbini, sottoposto alla sospettosa censura pontificia, non destò sospetti. Rossini, in un paio di settimane, ci imbastì sopra uno dei capolavori assoluti dello spirito umano. Si può non amare l´opera, stentare a capirla, rimanerne annoiati: ma il «Barbiere» conquista tutti, dai melomani più fanatici agli ascoltatori più distratti e restii. E´ una musica che stupisce, trascina, commuove.
E´ un inno all´amore più puro e assoluto, ma anche un elogio della furbizia umana, incarnata da Figaro. E´ uno di quei rarissimi capolavori capaci di rivelare nuovi segreti ogni volta che lo si ascolta. Chi non vorrebbe amare una donna come Rosina, mite ed obbediente, eppure pronta a trasformarsi in «vipera» se qualcuno prova a separarla dal suo amato conte d´Almaviva? E chi non vorrebbe avere un amico fidato e capace di tutto come Figaro? Il baritono Luigi Zamboni, che divideva con Rossini l´appartamento di via de´ Lautari, sarebbe stato il primo a interpretare la parte. Ma la sera della prima, il 20 febbraio del 1816, all´Argentina i fischi prevalevano decisamente sulla musica. Alla fine, si dovette abbassare il sipario in tutta fretta. Cosa era successo? Cosa aveva allentato così bruscamente i legami che univano Rossini al pubblico romano? Fiumi d´inchiostro sono stati versati per spiegare i motivi di questo clamoroso fiasco. Forse un eccesso di novità urta le aspettative anche più rosee; forse cantanti e orchestra si rivelarono inadeguati; forse Rossini fu vittima di una delle innumerevoli congiure teatrali del suo tempo. Ma ancora più interessante, in questa vicenda, è la brusca inversione di tendenza, che si realizza a partire dalla seconda replica. Dopo i fischi, il trionfo. Sono lezioni che un artista non può dimenticare. E se Rossini tornerà altre volte a Roma (circa un anno dopo, al Valle debutterà la Cenerentola), è questo primo soggiorno che di sicuro si stampò in maniera indelebile nella sua memoria. In una pagina del suoi «Ricordi», Massimo d´Azeglio ci descrive il grande musicista una sera di Carnevale, che suona la chitarra travestito da donna, chiedendo l´elemosina per una compagnia di finti ciechi. Ad accompagnarlo nella bravata, anche lui vestito da donna, c´è un certo Paganini. Davvero, non c´è immagine più autentica e ricca di senso di questa, per fare da emblema alle avventure romane del grande Rossini.

Repubblica Roma 14.3.10
Marta Agerich
"Al piano, i suoni della mia terra"
di Leonetta Bentivoglio

I tanghi di Piazzolla e Luis Bacalov Melodie ipernote come La Cumparsita ma anche il raro e prezioso Scaramouche di Milhaud
L´artista argentina è ospite dell´Accademia di Santa Cecilia stasera e mercoledì 17. Un programma che mescola brani popolari e colti ma con radici folk

«Amo suonare il pianoforte ma non essere pianista», confessa Martha Argerich. È un paradosso che può dirci molto sul suo anticonformismo. Interprete tra le più celebrate del nostro tempo, Martha affronta la tastiera con una naturalezza tale da cullarci nell´illusione di una musica che sgorga sotto le sue dita. Ma col suo spirito ribelle e la sua originalità spiccata, è un´artista che sfugge a delimitazioni dentro un ruolo, persino quello di pianista. Intensamente fisica nel rapporto con lo strumento, è sempre stata estranea alle apparenze più diffuse in una pratica notoriamente disciplinata e rigida.
Con la sua vasta chioma da zingara e i suoi gonnoni fuori dalle mode, spicca per diversità rispetto agli altri grandi concertisti: mai che si proponga come l´officiante di un culto misterioso, oppure come l´eroina di una missione che esige strenui sacrifici. In lei niente è lontano o sofferto, tutto è vivido e passionale. Suonando emana un contagioso senso di libertà; e accanto ai suoi complici musicali (da anni si sottrae all´isolamento del recital solistico), comunica l´entusiasmo travolgente della condivisione. Quest´affrancarsi dalle regole non vuol dire che la Argerich non conti su una tecnica eccelsa. Però la trascende: nella sua esattezza non c´è il minimo sospetto di meccanicismo, e l´eleganza dello stile rifiuta vezzi ornamentali. La sua presenza calda e affascinante sembra pulsare all´unisono con gli universi musicali con cui entra in relazione.
Martha è a Roma per due concerti, su invito di Santa Cecilia al Parco della Musica, uno stasera e l´altro mercoledì. Non offrirà il classico repertorio che l´ha resa illustre nel mondo (personalissimo il suo Beethoven, insuperabile il suo Ravel, avvincente il suo Prokofiev), bensì un´esplorazione dell´Argentina e dintorni (è nata a Buenos Aires nel ‘41) assieme ad un ensemble di ottimi amici musicisti. Figurano in scaletta gloriosi brani popolari e pezzi "colti" (ma con radici nel folclore), composizioni di Ginastera e Gustavino e tanghi di Piazzolla e di Luis Bacalov (che suonerà con lei mercoledì), melodie leggendarie come La Cumparsita ma anche il raro Scaramouche di Milhaud, siglato dal piglio di una rovente Brazileira. Partecipano tra gli altri i pianisti Alberto Portugheis ed Eduard Hubert. Il grande Nestor Marconi fa piangere e cantare il suo bandoneon.

sabato 13 marzo 2010

l’Unità 13.3.10
L’intervista
Bersani: «Sento aria di riscossa civile Fermeremo Berlusconi»
A Piazza del Popolo sarà una manifestazione festosa: per la prima volta politica e società civile scendono insieme. Avvilente la vicenda premier-tg
di Pietro Spataro

La nostra sarà una manifestazione gioiosa, il popolo ci chiede unità...». Oggi il centrosinistra sarà a Piazza del Popolo a Roma e Pierluigi Bersani si mostra tranquillo e determinato. Sente che si stanno aprendo spiragli che possono far girare il vento. «Berlusconi non è onnipotente», dice. Le telefonate del premier al direttore del Tg1 e al presidente dell’Agcom? «Sconcertanti e avvilenti». Come fermare questa destra arrogante e pericolosa? «Dobbiamo essere combattivi, non si può stare in pantofole davanti a chi indossa gli anfibi». Allora, Bersani partiamo dall’ultimo caso: da alcune intercettazioni pubblicate su «Il fatto» emerge l’asservimento del direttore del Tg1 e del commissario dell’Agcom ai voleri di Berlusconi. Il premier sarebbe indagato. Un altro fatto grave, no? «Vedremo se ci saranno sviluppi sul piano giudiziario. Sicuramente se le indiscrezioni saranno confermate si tratta di fatti sconcertanti e avvilenti. Ma diciamo la verità, lo si poteva capire anche senza intercettazioni che eravamo in una situazione grave. C’è un problema nei rapporti tra politica e informazione che tocca la dignità professionale e mina una delle libertà fondamentali. O i politici e giornalisti fanno ognuno il loro mestiere o altrimenti non ne usciremo».
C’è chi nel centrosinistra chiede le dimissioni di Minzolini. Lei che ne pensa? «Davanti a documenti certi il giudizio sul comportamento del direttore del Tg1 spetta alla commissione di vigilanza. Senza dimenticare tuttavia lo spettacolo indecoroso di un presidente del consiglio che con tutti i problemi che ci sono si occupa dei servizi dei tg».
Ormai il clima è infuocato. Berlusconi parla di complotti , Bondi paventa attentati, Cicchitto la accusa di far parte del network dell’odio. Siamo allo scontro di civiltà?
«Siamo al solito schema. Ho parlato di disco rotto, diciamo meglio, un cd rotto così ci capiscono anche i giovani. Berlusconi individua il nemico, che siamo sempre noi della sinistra, e poi chiede un giudizio di dio su se stesso: sì o no. Ecco, per esser chiari: noi combatteremo Berlusconi e questo schema colpo su colpo. La nostra agenda non è Berlusconi-sì Berlusconi no, ma sono i problemi veri del Paese. Smettiamola con il governo del fare che fa solo gli affari propri. Insomma quelle dei complotti e degli attentati sono teorie balorde, scarti di propaganda che lasciamo a lui. Noi invece dobbiamo lavorare sodo perché ci sono spazi per incontrare il disagio dell’elettorato berlusconiano che non vive di propaganda».
Il problema è: come fermare un premier che logora il sistema istituzionale e quello della legalità? «Si stanno aprendo varchi su cui lavorare. Basti ricordare come si è bloccata la legge sulla Protezione civile Spa o come si stanno inguaiando sulla vicenda delle liste. Non dobbiamo credere che Berlusconi sia onnipotente. Anzi, ormai lui non riesce più a tirare la palla avanti, è solo capace di usare il consenso per aggiustarsi le regole. Per questo bisogna essere combattivi e mostrare il legame stretto tra questione democratica e questione sociale. Guardate che l’aria sta cambiando». Eppure la destra riesce ancora a ridurre tutto a leggi ad personam o ad listam mentre i problemi dell’Italia restano. Ieri c’è stato lo sciopero della Cgil...
«Sì, c’è un evidente tentativo di ridurre tutto alle questioni personali del premier. Però i temi che stanno a cuore agli italiani sono altri: il lavoro, la sanità, la scuola, i redditi. Assistiamo a una continua compressione che prima o poi arriverà a un punto di rottura che non credo si esprimerà in una rivolta sociale. Ma non pensino che non ci sarà una riscossa civile, un forte movimento di opinione che entrerà anche nel loro elettorato respingendo l’idea di una separazione tra governo e società». Insomma, anche lei crede che Berlusconi sia al declino e che questi siano colpi di coda?
«Nessuno riesce a dire se il tramonto sarà lungo o breve. Però è evidente che Berlusconi non parla più al futuro del paese. In questo tramonto ci sono elementi di pericolo: non solo delegittimazione delle istituzioni e della politica ma un duro colpo allo spirito civico. E anche il rischio di ipotesi regressive...». E quali sarebbero?
«Beh, se passiamo dal berlusconismo al leghismo non è che facciamo un passo avanti, si può arrivare a toccare la stessa unità nazionale. Per questo insisto che bisogna lavorare per un’alternativa che abbia un saldo fondamento costituzionale. Faccio appello a tutte le forze di opposizione: contrastiamo con forza questo disegno e cominciamo a costruire un’altra idea dell’Italia».
Che manifestazione sarà quella di Roma oggi a Piazza del Popolo? Solo protesta contro il decreto salva-liste? «Per la prima volta facciamo un’operazione insieme, la politica e la società civile. Dobbiamo saper trasformare la protesta in proposta, occuparci dei problemi sociali degli italiani. La nostra manifestazione sarà tutto questo. Guardo a Piazza del Popolo con spirito molto positivo. Vedrete che sarà una manifestazione festosa».
Di Pietro sembra aver ammorbidito i toni e non attacca più Napolitano. Lei si sente tranquillo? Non c’è sempre il rischio che si spacchi la piazza?
«Mi sento tranquillo. Ogni forza di opposizione deve capire che questo è il momento di accorciare le distanze con la destra. Chi dovesse venire meno a questo dovere pagherebbe un prezzo enorme, non glielo perdonerebbero. Non possiamo separarci da un popolo democratico che ci chiede unità».
Senta, ma come vi siete incontrati voi, il popolo viola e la società civile? Non c’era qualche diffidenza? «C’è stata una maturazione reciproca. I movimenti oggi ci chiedono di portarli da qualche parte, di riuscire a superare insieme questa difficile situazione. È un fatto positivo perché è chiaro che noi non faremo mai un riformismo senza popolo. Anzi, dico di più: se perdiamo su questo punto ci teniamo Berlusconi chissà per quanti anni ancora. Invece credo ci siano le condizioni per voltare pagina e tornare a vincere». Eppure nel Pd qualche mugugno c’è. Gli ex popolari fanno sapere che non saranno alla manifestazione... «Rispetto tutte le sensibilità. Le nostre scelte non le abbiamo fatte in solitudine ma nella discussione. Credo che quelle preoccupazioni non siano fondate. Le cose cambiano e noi dobbiamo muoverci come fa un partito serio. Non possiamo mica stare in pantofole mentre davanti a noi c’è qualcuno che ha messo su gli anfibi».
Previsioni: come finiranno le elezioni regionali? Qualche ottimista dice che potrebbe anche finire 9 a 4 per il centrosinistra. Lei che ne dice?
«Dico che per noi sarà un successo avere la maggioranza delle Regioni. Dal voto può venire un segnale forte di inversione di tendenza, dobbiamo riuscire a far capire che è ripreso il cammino.
Poi però dal giorno dopo bisogna costruire l’alternativa. E dobbiamo lavorarci con serietà perché l’edificio sta bene in piedi con fondamenta solide. Su questo non possiamo scherzare».

Repubblica 13.3.10
Il popolo viola col centrosinistra "Va in piazza la riscossa civile"
"Sarà la piazza della riscossa civile" La Bonino apre la kermesse di Roma
di Giovanna Casadio

ROMA - Il centrosinistra è certo che oggi in Piazza del Popolo andrà tutto bene. «Le previsioni meteo dicono che sarà bel tempo... e quelle politiche che sarà una piazza civile, matura, la piazza del popolo della sinistra, non c´è neppure bisogno di servizio d´ordine», commentano al Pd, smussando fino all´ultimo le tensioni con Di Pietro e le possibili contestazioni a Napolitano. Il leader di Idv ed ex pm non smentisce se stesso (le parole dette nei giorni passati «sul capo dello Stato sono agli atti e restano come pietra»), ma garantisce: «Dal palco non parlerò di lui perché mi sembra doveroso non cadere nel trabocchetto di spostare l´attenzione dal responsabile principale, che resta Silvio Berlusconi». Lo chiama «Adolf-Silvio». E Bersani, il segretario dei Democratici lancerà le parole d´ordine: «Serve una riscossa civile. Siamo a un punto di svolta nel paese, non dobbiamo credere che Berlusconi sia onnipotente. Accorciamo le distanze tra politica e società, creiamo un movimento forte che entri anche nel loro elettorato».
Apre Emma Bonino, la candidata governatore del Lazio, che parlerà per prima. L´appuntamento è per le 14 ed è stato organizzato come una kermesse "contro il decreto salva-liste, in difesa della democrazia, delle regole e contro i trucchi. Per vincere": un mix di leader dei partiti, musica, operai, intellettuali e giornalisti evitando "l´effetto-Unione", la coalizione litigiosa del centrosinistra. Il Popolo Viola (che ha aderito come molte associazioni) avrebbe voluto Michele Santoro sul palco. Sulla manifestazione di oggi piomba infatti la vicenda delle pressioni di Berlusconi sulla Agcom per fermare "Annozero", la trasmissione di Santoro. Di Pietro insiste: «Santoro è il benvenuto, vorremmo ascoltare tutte le voci libere e non asservite». Ma ci sarà il giornalista Riccardo Iacona. Si parlerà di difesa della Costituzione. Frankie Hi Nrg pensa di tradurre in rap un articolo della Carta.
Il caos liste per le regionali oggi dovrebbe incassare la decisione del Consiglio di Stato, dopo l´esclusione della lista Pdl nel Lazio. Canzoni, testimonianze e i segretari dei partiti, da Nencini (Psi), Bonelli (Verdi), Nichi Vendola (Sel ma anche candidato "governatore" della Puglia), Ferrero (Prc e Pdci), Di Pietro e Bersani conclude. Rosy Bindi, la presidente dei Democratici sarà collegata dalla piazza di Mestre: «Dobbiamo concentrarci su democrazia e lavoro. Ha ragione Veltroni quando dice che Berlusconi sta rimettendo l´abito del Caimano. A Di Pietro conviene fare l´alleato responsabile perché il nostro avversario è il premier e tanto più bisogna difendere le istituzioni e quindi il capo dello Stato».
La macchina organizzativa va da giorni a pieno regime: 500 pullman in arrivo; tam-tam on line; a condurre la vj Paola Maugeri; attese 200 mila persone; altre manifestazioni a Milano, Potenza. Beppe Grillo ironizza sulle piazze: «C´è di tutto ormai: carabinieri travestiti da popolo viola, popolo viola travestito da Pd. Io nelle piazze ci vivo; con la roulotte sono nel week end a Venezia per il "Movimento Cinque Stelle"». Insomma in queste piazze di partiti e società non ci sarà. Non ci sarà l´Udc di Casini («Esibizioni muscolari in piazza»), né l´Api di Rutelli («Se Di Pietro continua così sarà la polizza d´assicurazione di Berlusconi») e neppure alcuni democratici ex Ppi come Beppe Fioroni e Franco Marini. Attacca Marco Follini: «La compagnia di Di Pietro non aiuta affatto il Pd». Contrattacca il dipietrista Donadi: «Era in vice premier di Berlusconi, ora è nel Pd, ha cambiato partito ma non idee».

Repubblica 13.3.10
Inedito intervento scritto di Ricci, presidente dell´Anpi
"Italia verso un sistema autoritario" e i partigiani si mobilitano per il voto
di Donatella Alfonso

GENOVA - I partigiani chiamano a raccolta «donne, uomini e giovani» perché, «coscienti della deriva anticostituzionale in atto» verso un sistema «autoritario e personale», usino tutti l´arma del voto. Un resistente di 89 anni come Raimondo Ricci, presidente nazionale dell´Anpi, lancia un appello pubblico inedito a una vera e propria mobilitazione, attraverso il voto alle regionali «al fine di contribuire al successo delle forze di opposizione all´attuale governo». «Finora questi appelli li abbiamo sempre indirizzati all´interno dell´associazione», spiega Ricci a Repubblica, «ma adesso è giusto uscire fuori, ri-volgersi a chiunque condivida i nostri valori».
Alle elezioni bisogna andare a votare, scrive il presidente dell´Anpi, «perché si risveglino le coscienze e si abbandoni l´indifferenza verso la politica»; ma soprattutto, che quel voto sia «efficace e coerente con gli ideali e i principi che ispirano l´impegno politico della nostra associazione, al fine di contribuire al successo delle forze di opposizione all´attuale governo», un esecutivo «indifferente ai problemi reali della crisi», ma anche demagogo e populista, che «sta operando un pericoloso mutamento del nostro sistema democratico parlamentare verso un sistema autoritario e personale; un vero e proprio mutamento di regime che può avere, e in parte ha già avuto, gravissime conseguenze per l´intera comunità nazionale, tali da rievocare un pericoloso e persino drammatico passato».
Il fantasma del fascismo è reale, avverte Ricci, internato nei lager, avvocato e già senatore Pci; per questo l´appello si rivolge «a tutti i nostri concittadini, indipendentemente dalle loro idee e dalla loro collocazione politica» perché si comprenda «la natura vera della situazione in atto, e si realizzi una generale ripresa di condivisione, dignità e progresso del nostro paese» in base a forme e limiti previsti nella Costituzione. E siccome «tutela del lavoro, rispetto e promozione dei diritti inalienabili, rispetto delle istituzioni», dal Quirinale alla magistratura, sono «beni preziosi che devono essere condivisi e salvaguardati», bisogna andare a votare, senza esitazioni; «riservando il proprio voto alle liste e ai candidati che ai principi e alle regole della Costituzione ispirano i loro comportamenti e i loro programmi».

l’Unità 13.3.10
Cronache da un Paese virile
di Claudio Fava

La prima sezione civile della Cassazione ha dipinto con rara efficacia il ritratto di una nazione maschia, ariana e incazzata. Se qualche vu’ compra senza i bolli in regola sul suo certificato di soggiorno spera di farla franca iscrivendo i suoi figli in una scuola italiana, sappia che lo rimpatrieremo lo stesso, Africa, Americhe... rauss! Dice la sentenza, senza nemmeno girarci attorno, che il diritto di quei bambini a non sentirsi discriminati e a poter frequentare le scuole d’Italia come chiunque altro deve cedere il passo di fronte alla furbata dei genitori, che hanno strumentalizzato i figli per farla franca. Quale sarà il prossimo passo: una stella gialla sul bavero della giacca? Un quartiere murato, con fili spinato sui merli, dove rinchiudere gli africani e gli impuri? Ronde nelle scuole elementari per risalire dai figli ai padri nella catena umana dell’infamia?
Un Paese virile, forte con i deboli, plebeo con i potenti, umile con i forti. Si esalta il gesto maschio di un ministro che solleva di peso il cronista rompicoglioni per condurlo fuori dalla sala stampa e intanto si mette per iscritto su una sentenza della più alta corte che non c’è spazio per sentimenti o debolezze (che so: il rispetto, l’umana solidarietà, la tolleranza...), e dunque peggio per quei bambini che hanno scelto di venire al mondo in Marocco invece che a Gela, peggio per loro che si sono scelti per genitori una coppia di clandestini, sans papier e senza diritti, invece di una solida famiglia camorrista dell’agro campano, peggio per loro che volevano studiare come gli altri, nelle scuole di tutti gli altri, e adesso invece se ne torneranno a casa loro.
Il nostro Paese si sta affezionando alle proprie pulsioni oscure. Siamo gli unici d’Europa a non aver recepito la direttiva che impone sanzioni penali agli imprenditori che sfruttano in nero gli extracomunitari. In quella legge europea c’è scritto che a un irregolare che denuncia il “caporale” che lo sfrutta e che rischia la pelle per rivendicare i propri diritti va concesso un permesso di soggiorno temporaneo. Noi invece, che quella norma non abbiamo gradito, continueremo a buttarli fuori e a punirli due volte: da sfruttati, alla catena del camorrista di turno, e da reietti, imbarcati sul primo aereo per tornare nel loro mondo senza nemmeno il diritto a ottenere il salario che è stato loro rapinato. Adesso questa sentenza compie un’opera di verità: non li vogliamo, non ci piacciano nemmeno quando ci aiutano a sbarazzarci dei mafiosi, non ci interessano i loro diritti né quelli dei loro figli!
Ora, di fronte all’enormità del principio giuridico affermato in quella sentenza, ci sarebbe e ci sarà molto da scrivere. Ma prima di queste scritture alte e dotte, ci siamo noi, lo sguardo d’abitudine con cui ci lasciamo scivolare addosso con uno sbadiglio ogni infamia, ogni bestemmia, ogni miseria. Contenti di cacciare da Rosarno gli immigrati presi a fucilati dai camorristi, felici di tenerci invece gli amici di quei camorristi in Parlamento, disposti a credere che per ogni extracomunitario cacciato via ci sia un posto di lavoro in più per i nostri disoccupati. Su certe questioni ragioniamo e sorridiamo ormai come un popolo di tronisti. Bisognerebbe fare invece come fece il re di Danimarca, quando i nazisti occuparono il suo staterello, lo lasciarono graziosamente sul trono ma gli spiegarono che adesso la musica l’avrebbero suonata loro. E gli dissero, al re e ai suoi ministri, che i giudei del loro Paese avrebbero dovuto cucirsi al petto, come accadeva in tutte le altre nazioni occupate dall’esercito del Reich, una bella stella di Davide affinché fossero riconoscibili sempre, comunque, da chiunque. Il re della Danimarca, che la sua guerra l’aveva persa e regnava su un paese vinto e occupato, non potè rifiutarsi di ricevere l’ordine. Ma nessuno riuscì a impedirgli, dal giorno dopo, di cucirsela anche lui al petto quella stella. E quando i nazisti lo videro attraversare le strade di Copenaghen, segnato anche lui negli abiti come i suoi sudditi ebrei, capirono che non sarebbero riusciti a piegare quello staterello. E infatti non ci riuscirono.
Lo racconta Hannah Arendt ne La banalità del male. Ed è a questa banalità che ci stiamo lentamente abituando, come se le piccole e miserabili cose che produce questo governo (e che impregnano ormai anche la cultura giuridica e il senso comune del paese) fossero solo storie alla deriva, brevi di cronaca, affari degli altri. Sono affari nostri, memorie nostre, passioni e dolori nostri. Speriamo che oggi a Piazza del Popolo qualcuno si ricordi di parlare agli italiani, non solo a Berlusconi.

l’Unità 13.3.10
Quando una sentenza sacrifica il bene e la tutela dei minori

La sentenza della Cassazione n. 5856, ha già suscitato molti commenti. Alle tante giuste considerazioni fatte da più parti sul significato regressivo di quella pronuncia, vale la pena aggiungerne altre due. La prima è suggerita dalle parole di Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato per i rifugiati: «L’interesse del minore dovrebbe prevalere, e un irregolare non è necessariamente una minaccia alla sicurezza». Ovvero, rispetto a un pericolo certo e attuale (il danno inflitto al minore), quello incerto e potenziale (i possibili effetti negativi della irregolarità) passa indubitabilmente in secondo piano. Ma c’è un’altra considerazione da fare: i giudici della Cassazione sembrano volersi liberare di un fardello troppo oneroso. Una loro affermazione è, in tal senso, assai significativa (il principio della tutela dei minori non può prevalere su quello della sicurezza) perché dichiara anticipatamente, e irreparabilmente, la sconfitta del diritto alla prova dei fatti. In altre parole, tutta la scena pubblica contemporanea è attraversata da conflitti tra diritti ugualmente degni di tutela e di protezione giuridica: e compito dell’operatore della giustizia è quello di lavorare, con tutta l’inevitabile fatica, per trovare una mediazione tra due esigenze che appaiono inconciliabili (ad esempio tra diritto alla vita e possibilità di ricorrere all’aborto). Rifiutare di farlo, in questo caso, significa assumere come dominante quel presunto interesse collettivo alla sicurezza che il senso comune, spesso manipolato, indica come bene supremo. È una manifestazione prima di tutto di incultura. Tanto più quando a venire sacrificato è un bene pubblico come quello della tutela dei minori.

il Fatto 13.3.10
Tutti i modi per perseguitare i bambini stranieri
Dalle ordinanze dei comuni alla sentenza della Cassazione
di Elisabetta Reguitti

Il Comune di Milano ci aveva già provato nel 2008 vietando l'accesso all'asilo ai bambini di genitori irregolari. In
quella occasione il tribunale aveva però dato ragione a Rachida la mamma di origine marocchina che aveva presentato e vinto il ricorso. Oggi ci vorrebbero cento, mille Rachida per ribaltare la sentenza della Cassazione che di fatto antepone lo status di non regolare del genitore al diritto del minore all'unità familiare. La sentenza infatti non travolge gli altri diritti del minore ma mette in secondo piano un’esigenza molto importante: quella di vivere con entrambi i genitori. All'indomani della sentenza però il vicesindaco di Milano (con delega alla Sicurezza) Riccardo De Corato non ha perso tempo nel dichiarare “che non si può fare carta straccia della legalità con la scusa dell'istruzione ai minori, un principio che quando due anni fa venne applicato dal Comune di Milano fu bollato di razzismo”. Le cose però non stanno esattamente così secondo l'avvocato Alberto Guariso (dell' Onlus Avvocati per Niente) e legale di Rachida. “La Cassazione si è limitata a ribadire un principio che aveva già affermato e cioè che in assenza dei gravi motivi, come previsto dall’art. 31 del Testo Unico sull' immigrazione, il genitore irregolare non abbia diritto di ottenere quella speciale autorizzazione a restare sul territorio, che è appunto prevista da tale articolo – spiega Guariso – Recenti sentenze della Cassazione avevano però capovolto questo orientamento”. Insomma, la Corte sembra tornata all’orientamento precedente ma il discorso rimane del tutto aperto. L’impressione è che più si riesce a complicare la vita agli stranieri e più possibilità si avranno di rimandarli nei propri paesi d’origine. Chiamiamolo pure “mobbing istituzionale”, avviato inizialmente e in modo sperimentale dalle amministrazioni locali ma destinato ad essere esteso a livello nazionale e non solo agli irregolari. Un esempio sono le innumerevoli ordinanze “creative” dei sindaci: un autentico carosello dei provvedimenti che vanno dalla più recente proposta della regione Friuli Venezia Giulia di rifiutare le cure mediche non urgenti agli immigrati clandestini e ai lavoratori transfrontalieri (di cui la regione è piena) non regolarizzati ai “buoni vacanza” del ministro Brambilla. Da un minimo di 250 euro a un massimo di 500, a seconda del reddito e dei figli a carico, ma “ovviamente” solo per i nuclei familiari italiani. Tornando invece ai minori, i giudici hanno invece cassato le ordinanze emesse da due comuni nel bresciano. Il primo aveva bandito un concorso per studenti specificando che il premio di “eccellenza scolastica” sarebbe toccato solo a coloro che possedevano la cittadinanza italiana, escludendo, in tal modo, tutti i giovani stranieri. Il secondo era una gara per delle borse di studio, ma solo per alunni italiani. In provincia di Bergamo, l’amministrazione ha ritenuto opportuno deliberare un sostegno economico per spese dentistiche e oculistiche per ragazzi tra gli zero e i 19 anni anni: un contributo del 50% della spesa sostenuta, con un limite di mille euro per tutti i richiedenti purchè cittadini italiani.
Sul fronte “quote Gelmini”, secondo cui in una classe ci dovrebbero essere al massimo il 30% di alunni stranieri, sono partiti i ricorsi di due mamme, una rumena e una egiziana. Saranno i giudici (il prossimo 9 aprile) a stabilire se le circolari ministeriali ledono il principio di parità del trattamento tra italiani e stranieri al diritto all'istruzione. Il Testo Unico sull'immigrazione, infatti, vieta al legislatore l'introduzione di regimi differenziati in ragione della cittadinanza quando si tratta di diritti fondamentali. Il nocciolo della questione è che non si possono attuare delle esclusioni attraverso il criterio della cittadinanza (articolo 3 della Costituzione). Al contrario, sarebbe utile anche secondo gli stessi ricorrenti, trovare un sistema migliore per agevolare l’integrazione evitando le cosiddette classi-ghetto.


l’Unità 13.3.10

Lo scandalo ora lambisce persino il Papa
di Roberto Monteforte

Era vescovo a Monaco quando un suo prete già condannato per pedofilia ebbe una recidiva
Ratzinger sconvolto per l’affaire tedesco: nuove norme, linea dura, massima chiarezza

Pieno appoggio del Papa alla linea dura della Chiesa tedesca contro i preti pedofili. Scandalo anche a Monaco quando Ratzinger era a capo della diocesi.«Nessuna sua responsabilità» chiarisce padre Lombardi.

Pieno appoggio di Benedetto XVI ai vescovi tedeschi. Sulla pedofilia che ha sconvolto la Chiesa in Germania sarà linea dura e trasparenza. Costi quel che costi. Senza guardare in faccia a nessuno e collaborando con le autorità giudiziarie. La linea è decisa e ha il convinto avvallo di papa Ratzinger che ieri, «con grande sgomento, attento interesse e profonda commozione» ha ascoltato la relazione sui casi di «soprusi pedagogici e abusi sessuali» avvenuti in Germania tenutagli dal presidente della conferenza episcopale tedesca, monsignor Robert Zollitsch. Uno scandalo cha nel 1980 ha colpito anche la diocesi di Monaco di Baviera, quando Joseph Ratzinger ne era arcivescovo. Lo scrive il giornale Sueddeutsche Zeitung. Un sacerdote con precedenti di pedofilia racconta sarebbe stato autorizzato a trasferirsi nella diocesi bavarese per essere curato. Avrebbe dovuto essere ospitato in una comunità religiosa. Venne, invece, autorizzato a svolgere attività pastorale, e continuò a commettere abusi. La responsabilità però, puntualizza il portavoce vaticano, padre Lombardi, è stata dell’ex «vicario generale» della diocesi, monsignor Gerhard Gruber che avrebbe trasgredito le indicazioni dell’allora arcivescovo Ratzinger.
LO SCANDALO DI MONACO
La notizia è stata diffusa dopo l’incontro in Vaticano, ma l’episodio deve essere stato ben presente al pontefice durante il faccia a faccia durato quarantacinque minuti con monsignor Zollitsch. La sua adesione al «pacchetto di misure» messe a punto dalla Conferenza episcopale tedesca, deve essere stata ancora più convinta. Che non ci siano state incertezze sulla linea della fermezza lo ha sottolineato monsignor Zollitsch che alla stampa ha spiegato la strategia messa a punto dalla Chiesa tedesca. Lo fa partendo dalle scuse alle vittime degli abusi. È una premessa significativa. L’intero «catalogo» delle misure ora rafforzate, ma individuate già nel 2002, parte dalla convinta attenzione verso le vittime. «Vogliamo portare alla luce la verità ha assicurato il vescovo senza falso rispetto per nessuno o chicchessia, anche di cose accadute molto tempo fa, perché le vittime ne hanno il diritto».
L’impegno della Chiesa nella lotta alla pedofilia è esplicito: collaborare con la giustizia e accertare la verità. Si invitano sacerdoti, laici e volontari «ad autodenunciarsi quando vi possano essere fatti significativi». Il vescovo ha pure chiarito che le procedure sono due, distinte, non sovrapponibili e indipendenti: quella della giustizia ordinaria e quella del diritto canonico. In Germania la procedura assunta è molto rigorosa. «Nessun altro Paese, ad eccezione dell’Austria ha precisato Zollitsch ha mai adottato norme simili». Che aggiunge: «Il Papa ci incoraggia ad applicare le nostre norme procedurali in maniera continuativa e a migliorarle se necessario. È favorevole alle nostre misure e sul cammino che abbiamo intrapreso». Il pacchetto è articolato. La Chiesa tedesca ha predisposto un’indagine interna e ha indicato nel vescovo di Treviri, monsignor Stephan Hackermann, l’« incaricato straordinario per tutte le questioni inerenti agli abusi sessuali». Sulle misure a sostegno delle vittime e delle loro famiglie la Chiesa tedesca ha assicurato alle vittime accertate e ai loro familiari «assistenza umana, psicologica e pastorale adeguata alle loro esigenze». Vi è piena disponibilità ad incontrare le vittime. Non si è ancora deciso sull’eventuale risarcimento economico per le vittime. L’indagine è estesa a tutte le diocesi tedesche. «Abbiamo raccomandato di investigare su ogni episodio già emerso o che dovesse emergere, anche riferito a tempi lontani». Sono previste anche misure di controllo sulla corretta applicazione delle norme procedurali. Non si ha ancora un quadro preciso dei casi di abuso. Si attendono le risposte dalle diocesi. Durante il colloquio con il pontefice non si sarebbe toccato il caso del coro di Ratisbona diretto dal fratello del Papa, George Ratzinger.
LA COLLABORAZIONE CON IL GOVERNO
Quello che i vescovi tedeschi respingono è che la pedofilia sia un problema esclusivamente della Chiesa cattolica. Quello che si sottolinea è che «non vi è in Germania un altro gruppo che abbia norme così severe». Molto si attende dalla «tavola rotonda» promossa dal governo con tutte le realtà coinvolte dal fenomeno, prevista per il prossimo 23 aprile.
Vi sarebbe «piena fiducia» dei vescovi con la cancelliera Angela Merkel e con i ministri della famiglia e dell’istruzione. Invece resterebbero gli attriti con il Guardasigilli, Sabine Leutheusser-Schnarrenberger con la quale sarebbe in programma un incontro chiarificatore.

il Fatto 13.3.10
Lo scandalo pedofilia arriva fino a Ratzinger
Spunta un caso a Monaco, quando il Papa era vescovo
di Marco Politi

“Il Papa è sconvolto!”
Dal Vaticano il presidente dei vescovi tedeschi Zollitsch riferisce in diretta l’umore di Benedetto XVI. Poche ore dopo esplode il caso di un prete pedofilo a Monaco, quando Ratzinger era arcivescovo. Riferisce la Sueddeutsche Zeitung che, mentre Ratzinger guidava la diocesi, venne trasferito in città un prete con precedenti di abusi sessuali. Interpellato, l’arcivescovado di Monaco rivela adesso: “Nel 1980 fu deciso di sistemare in una casa parrocchiale il sacerdote H. perchè seguisse una terapia. L'arcivescovo (Joseph Ratzinger) contribuì alla decisione”. Tuttavia, la Suddeutsc he Zeitung r ifer isce che nella sua nuova sistemazione il prete tornò ad abusare di minori. In affanno, gli odierni responsabili ecclesiastici di Monaco specificano che l’arcivescovo Ratzinger aveva deciso di dare ospitalità al prete ai fini della cura. Successe invece – si spiega in una nota – che, “discostandosi da questa decisione”, l’allora vicario generale della diocesi Gerhard Gruber (e diretto collaboratore di Ratzinger) “fece assegnare H. alla pastorale di una par rocchia senza limitazioni”.
Un caso tipico, già visto migliaia di volte: il prete-predatore spostato da un posto all’altro. Allarmato interviene ora il Vaticano. Il portavoce padre Lombardi dichiara che la diocesi di Monaco ha riconosciuto “errori nella gestione del personale negli anni Ottanta" e che Gruber si è assunto “piena responsabilità dell’accaduto”. Evidente-
mente, per Lombardi, Gruber non ha seguito le indicazioni di Ratzinger. Così, alla fine, si è verificato ciò che da giorni nel palazzo apostolico chiamavano “l’incubo”: il rischio che il ciclone pedofilia colpisse anche Monaco negli anni in cui Ratzinger era arcivescovo. Dunque si fa sempre più urgente la necessità di una pulizia radicale.
A colloquio a tu per tu per quarantacinque minuti, Zollitsch ha fatto al Papa il quadro della situazione tedesca, dove la stampa segnala circa 350 casi di abusi di minori e di metodi correttivi violenti. La conferenza episcopale tedesca ha delegato un vescovo a seguire a livello nazionale ogni caso di abuso sessuale. É stato istituito un numero verde. La linea ufficiale, ribadita dal portavoce dell’episcopato, consiste nell’allontanare i preti coinvolti e “nell’appoggiare incondizionatamente” l’autor ità giudiziaria statale nel perseguire gli abusi sessuali commessi da sacerdoti e religiosi. Zollitsch ha rinnovato le sue pubbliche scuse alle vittime e confermato l’apertura di un’inchiesta nazionale, in cui ogni vescovo esaminerà nella sua diocesi vicende e denunce, anche lontane nel tempo, per rendere giustizia alle vittime “senza falsi riguardi verso chicchessia”. In caso di inerzia il vescovo locale renderà conto alla conferenza episcopale. La Chiesa tedesca parteciperà inoltre ad una tavola rotonda, promossa dal governo di Berlino per studiare misure efficaci di contrasto. Benedetto XVI, riferisce Zollitsch, approva le iniziative prese e “incoraggia a procedere coerentemente”. Dai suoi incontri in Vaticano il presule riporta la notizia che la Congregazione per la Dottrina della Fede sta raccogliendo materiale da tutto il mondo al fine di rielaborare le direttive emanate nel 2001. Probabilmente verrà redatta un’apposita Istruzione dell’ex sant’Uffizio. Di fatto l’episcopato di Germania si è attrezzato ad affrontare gli scandali di pedofilia con un documento di “Orientamenti”, redatto già nel 2002. É l’unico episcopato, insieme all’Austria, ad avere elaborato linee guida specifiche. A parte i punti stabiliti a suo tempo dall’episcopato nord-americano quando – dopo l’esplodere di migliaia di casi, tra i quarantamila e i sessantamila secondo cifre realistiche – fu varata la “tolleranza zero”. Gli Orientamenti dell’episcopato tedesco prevedono un referente per i casi di pedofilia in ogni diocesi (suggerimento ripreso pochi giorni fa dal vescovo di Bolzano mons. Golser con un apposito indirizzo e-mail), immediato esame dei casi sospetti, apertura di un procedimento ecclesiastico, esortazione al colpevole di costituirsi e, in casi provati, informazione diretta da parte della diocesi alla procura federale tedesca. Contemporaneamente è prevista “assistenza umana, terapeutica e pastorale” alle vittime. Attualmente, ha spiegato Zollitsch, si sta studiando anche la possibilità di un aiuto economico.
In Italia l’episcopato sembra comportarsi come se il fenomeno non richiedesse iniziative collettive. Eppure don Fortunato Noto, responsabile dell’associazione anti-pedofilia “Meter”, ha dichiarato alla Radio Vaticana che nell’ultimo decennio si sono registrati pubblicamente ottanta casi di abusi sessuali commessi da religiosi. Cifra – alla luce dell’esperienza – probabilmente per difetto. Ad esempio nel caso di don Gelmini, ora ridotto allo stato laicale perché accusato di abusi, né il Vaticano né la Cei hanno dato l’input per un’immediata indagine ecclesiastica. Ma senza indagini a tappeto da parte dei vertici ecclesiastici non si volterà realmente pagina.


l’Unità 13.3.10
Molestie sessuali e frustate anche a Bolzano e Innsbruck

Arriva sino a Bolzano lo scandalo pedofilia. Ieri un bolzanino ha ricordato le violenze sessuali subite quand’era ragazzino negli anni 60 da cinque frati in un convento in città, giorni fa un ex allievo di un collegio di Novacella aveva denunciato vessazioni fisiche e frustate. La curia di Bolzano Bressanone ha reagito spostando in apertura del suo sito web l’indicazione di un indirizzo e-mail, molestie@bz-bx. net, dove le vittime possono fare segnalazioni, perché si legge sul sito «ogni abuso è uno di troppo». Quello della pedofilia è un tema che causa da tempo imbarazzi nella curia altoatesina, fino dall’epoca del processo a carico di don Giorgio Carli, accusato di avere abusato per anni da una minorenne. Assolto in primo grado, condannato in appello, fu prosciolto per prescrizione. Durante il processo vi erano state serie frizioni tra procura e curia, per una convocazione a testimoniare al vescovo Wilhelm Egger (oggi defunto). Alla fine Egger rispose alle domande della corte. Oggi il procuratore capo Guido Rispoli dice: bene hanno fatto le autorità religiose a rendersi disponibili raccogliendo segnalazioni su abusi, ma si segnali ogni fatto rilevante anche al potere secolare. Al di là del Brennero, nella diocesi austriaca di Innsbruck, i casi segnalati dal 1995 ad oggi sono 33, 15 venuti alla luce negli ultimi due giorni.

Repubblica 13.3.10
Caso di pedofilia a Monaco con Ratzinger vescovo
Pedofilia, lo scandalo sfiora il Papa "Nella sua diocesi un prete condannato"
di Andrea Tarquini

BERLINO - Lo scandalo degli abusi sessuali ai danni di minori sfiora Papa Ratzinger. A scriverlo è il quotidiano Sueddeutsche Zeitung che rivela la storia di un prete tedesco con tendenze pedofile già note, trasferito per questo stesso motivo da Essen a Monaco di Baviera. Benedetto XVI, prosegue il giornale, presiedeva allora come arcivescovo di Monaco di Baviera e Freising, il consiglio della diocesi. Nella sua inchiesta, il Sueddeutsche Zeitung scrive che nel 1980 fu deciso di sistemare il prete in rettorato per curarlo. Nonostante la nuova sistemazione, il prete continuò ad abusare dei ragazzi. Dura la reazione del Vaticano che con una nota ha affermato la completa estraneità di Benedetto XVI. L´ex vicario generale, monsignor Gruber, si è assunto ogni responsabilità.

BERLINO - I pedofili travestiti da sacerdoti arrivavano ovunque, riuscivano a ingannare anche menti finissime come quella dell´allora cardinale Joseph Ratzinger, ad aggirare la loro attenta, rigorosa sorveglianza. La rivelazione viene dal sito della Sueddetusche Zeitung, è allarmante e clamorosa. Negli anni in cui l´attuale papa Benedetto XVI era arcivescovo di Monaco e Frisinga la sua arcidiocesi, la più importante nella cattolicissima Baviera, ammise al servizio pastorale un prete pregiudicato per violenze pedofile. E in Baviera il pregiudicato si abbandonò di nuovo, sempre secondo l´autorevole quotidiano di Monaco, ad abusi su minorenni. Svolgerebbe ancora il suo ministero, da qualche parte nell´Alta Baviera.
Immediata la reazione della Santa Sede. Come ha spiegato il portavoce, padre Federico Lombardi, i comunicati dell´arcidiocesi di Monaco chiariscono tutto. Il sacerdote pregiudicato, indicato dai media tedeschi come "Abate H" fu accolto dalla Chiesa bavarese e assegnato a una residenza in una parrocchia per permettergli di sottoporsi a terapie contro la sua tendenza pedofila. Ma all´insaputa dell´allora arcivescovo e cardinale Ratzinger, il vicario generale dell´arcidiocesi, Gerhard Gruber, decise di riammetterlo al pieno servizio pastorale e al contatto con i fedeli, anche giovani o minorenni. «Ho commesso un grave errore, me ne assumo la piena responsabilità», ha detto ieri l´ex vicario generale Gruber, oggi 81enne. «Mi rincresce profondamente che a causa della mia decisione di allora dei giovani subirono violenze, chiedo scusa a tutte le vittime».
Joseph Ratzinger dunque non sapeva, non fu informato a dovere dai suoi sottoposti. La decisione di riammettere l´ "Abate H" al servizio pastorale, e al contatto diretto quotidiano con i fedeli, anche con minorenni, fu presa per suggerimento del vicario Gruber. La stessa Sueddeutsche Zeitung scrive che Gruber decise da solo, poi dopo il fatto compiuto (afferma il portavoce dell´arcivescovato di Monaco, Bernhard Kellner) inviò al cardinale Ratzinger documenti generici su varie nomine. In cui non si faceva alcuna menzione del passato criminale dell´abate H. E non c´è assolutamente certezza che Joseph Ratzinger abbia vagliato quei dossier sull´ "Abate H".
Le colpe sono pesanti, e per questo il caso è scottante, sebbene tutto indichi una totale estraneità e innocenza del Santo Padre. Il misterioso "Abate H" era stato condannato a Essen, nel Nordreno-Westfalia, per aver costretto un undicenne a praticargli un atto sessuale orale. La Chiesa bavarese lo accolse per terapie nell´82, ma poi lo riammise al servizio pastorale. Senza l´approvazione di Ratzinger, dicono tutti. Nel 1986, il prete fu di nuovo condannato da un tribunale bavarese a 18 mesi con la condizionale e a una multa di 4000 marchi per abusi su un minorenne. Ma ciò malgrado, la Chiesa lo assegnò di nuovo a una comunità di fedeli.
La presunzione d´innocenza e ogni prova indicano una totale estraneità di Benedetto XVI alla scelta. Ma lo stesso fatto che sia stato possibile nascondere all´allora cardinale Joseph Ratzinger la decisione di perdonare un sacerdote pregiudicato e chiaramente pericoloso, getta nuove ombre pesantissime sulla credibilità e l´immagine della Chiesa cattolica nel paese del Papa. Proprio nello stesso giorno in cui Benedetto ha ricevuto il presidente della Conferenza episcopale tedesca, esprimendo sdegno e costernazione per quei crimini contro l´infanzia e promettendo indagini e provvedimenti senza tolleranza.

Repubblica 13.3.10
Preoccupazione per l´allargamento dello scandalo: la linea resta rigore e trasparenza
Il dolore del Vaticano "È la Via Crucis del Pontefice"
di Orazio La Rocca

Nelle risposte della Santa Sede si sottolinea la volontà di fare chiarezza
Attesa per la lettera ai vescovi irlandesi sugli abusi: verrà resa pubblica lunedì

CITTÀ DEL VATICANO - È la Via Crucis di papa Ratzinger. Una moderna Via Dolorosa lungo la quale Benedetto XVI sta vivendo, giorno dopo giorno, la sua personalissima Passione. E la notizia-choc preannunciata ieri sera dal quotidiano di Monaco di Baviera - secondo quanto si coglie Oltretevere tra i più stretti collaboratori del Pontefice - «non è altro che una delle più dolorose Stazioni di questa strana Quaresima che il Santo Padre sta vivendo, come sempre, nella più intensa preghiera e con comprensibile turbamento, dedicando al Signore ogni attimo e ogni peso del suo magistero, anche il più opprimente». Come può essere la notizia di un prete pedofilo "accolto" nella diocesi di Monaco nel 1980 dall´allora arcivescovo Joseph Ratzinger secondo quanto scrive il quotidiano Suddeutseche Zeitung.
«È stato tutto chiarito dalla Curia di Monaco», commenta il portavoce papale, padre Federico Lombardi, il quale puntualizza che «l´allora ex vicario generale, monsignor Gerhard Gruber, si è già assunto la totale responsabilità di non aver vigilato più attentamente sulle attività pastorali vicino ai giovani di un sacerdote che era stato accolto per essere curato e certamente non per svolgere altre attività». Una assunzione di «totale responsabilità» fatta con un tempestivo comunicato da monsignor Gruber col chiaro intento di "difendere" in qualche modo la figura di Benedetto XVI da una storia poco edificante vecchia di 30 anni. «Una vecchia vicenda rivelata, però, con la tempestività di una bomba ad orologeria - si commenta in Curia - stranamente proprio nel giorno in cui il presidente della Conferenza episcopale di Germania è stato autorizzato dallo stesso pontefice tedesco a far fronte con norme più severe e restrittive agli scandali di violenze fisiche e sessuali ai danni di minori emersi negli anni passati nella Chiesa tedesca».
«Non conosco questa storia, non posso commentarla, ma notizie del genere fanno indubbiamente male, per come vengono dette e per la tempistica scelta per diffonderle», ammette il cardinale tedesco Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per la Promozione dell´unità dei cristiani. Papa Ratzinger turbato da quanto sta emergendo nella "sua" Germania?: «In questi ultimi giorni di Quaresima ho incontrato più volte il Santo Padre - risponde il cardinale Kasper - e l´ho sempre visto in piena attività e sempre vigile ed attento alla testa della Chiesa universale che guida con grande fede, incrollabile passione e soprattutto nella preghiera». Altre voci dentro le mura vaticane parlano invece di un papa Ratzinger «turbato ed addolorato» per quanto sta emergendo «non solo in Germania, ma anche in tutte quelle altre parti del mondo - come negli Usa, in Olanda e in Irlanda - dove i casi di minori violentati da preti pedofili sono ormai sull´ordine delle centinaia». Un «vero e proprio cancro» che il Pontefice vuole seriamente estirpare, assicura un cardinale di Curia, «come ha già fatto negli Usa dove con la tolleranza zero ha preteso l´immediato allontanamento dei sacerdoti colpevoli. E come pretenderà per la Chiesa di Germania e la Chiesa d´Irlanda» alla quale lunedì prossimo, 15 marzo, invierà l´attesa lettera - preannunciata il 16 febbraio scorso - per indicare ai cattolici irlandesi «la strada maestra per liberarsi dagli scandali con la verità, l´assunzione di responsabilità, la denunzia dei colpevoli e l´aiuto fraterno alle vittime».
Quasi un nuovo corso per liberare la Chiesa dal giogo degli scandali che Benedetto XVI sta varando in sintonia anche con un altro cardinale, Carlo Maria Martini, che in un´intervista al settimanale Gente, parlando degli «scandali nella Chiesa», ricorda che «ci sono stati anni più bui» e che «in fondo, oggi la Chiesa è presente in tutti i Paesi del mondo come mai nella storia passata».

Repubblica 13.3.10
Fecondazione, nuova bocciatura Consulta "Sì alla crioconservazione degli embrioni"

ROMA - Nuova bocciatura per la legge 40 da parte della Corte costituzionale. La Consulta ha di fatto confermato l´illegittimità dell´obbligo di creazione di massimo tre embrioni, dell´impianto unico di più embrioni e la legittimità invece della crioconservazione legata a motivi di salute della donna, ossia del congelamento degli embrioni per un successivo impianto, già sanciti dalla sentenza del 2009.
La sentenza arriva sulla base del ricorso presentato da Hera onlus e Sos infertilità per conto di due coppie affette da due gravi malattie genetiche.
«La sentenza conferma che i cittadini hanno diritto alla diagnosi preimpianto e alla crionservazione, e i centri devono adeguarsi», ha commentato Maria Paola Costantini, vicesegretario di Cittadinanzattiva Toscana e avvocato.

il Fatto 13.3.10
Le ragioni della scuola
di Caterina Perniconi

Il ministero della Funzione pubblica parla di un’adesione dell’otto per cento, il sindacato tra il 30 e il 50. Fatto sta che stamattina, girando per Roma, la maggioranza dei presidi e degli insegnanti stava scioperando. La Cgil infatti ha portato in piazza anche il comparto scuola, che non ne può più dei tagli orizzontali fatti dal governo Berlusconi, che non perde tempo a guardare la faccia di coloro a cui taglia la testa in modo indiscriminato.
La riduzione di 7,6 miliardi di euro in tre anni, previsti dalla Finanziaria 2009, e di relativi 130.000 posti di lavoro, è la conseguenza diretta della diminuzione delle ore di insegnamento.
In molti licei i docenti sono costretti ad alzare la cifra del contributo volontario che le famiglie versano alle scuole (per integrare il compenso statale sempre più basso) e con quei soldi istituiscono i corsi delle materie in sofferenza, dal francese alla geografia. Questo significa gravare sulle famiglie, privatizzare le ore di studio e creare un esercito di precari delle ore precarie per coprire i buchi.
Il punto è che il dicastero di viale Trastevere effettuerà inoltre i tagli imposti dalla legge 133 del 2008 (quella che sottrae otto miliardi anche all’Università) perciò in molte scuole superiori, già da settembre, le classi seconde, terze e quarte avranno il taglio di quattro ore settimanali. Meno ore, meno materie, meno cattedre, meno professori.
Ma la soluzione per abbattere il numero dei lavoratori della scuola non è quella di rivalersi sui ragazzi e la loro istruzione. Una razionalizzazione delle risorse è possibile e ormai necessaria, ma servono regole certe e non tagli “a casaccio”. “Più investimenti e più risorse per la scuola” ha chiesto stamattina a Padova il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani a nome di tutti i lavoratori della scuola che si trovano davanti l’ennesima riforma che per il governo dovrebbe formare i ragazzi, pronti per essere immessi nel mercato del lavoro.

Repubblica 13.3.10
"Niente sbarre per i detenuti matti" l´esperimento segreto dell´Emilia
Castrocaro, da manicomio criminale a comunità aperta. L´annuncio dopo 2 anni di "prova"
"Non ne abbiamo parlato per paura. Pensavamo che chi abita qui non avrebbe capito"
"I risultati? Abbiamo avuto 27 ospiti, sedici sono qui oggi. Mai nessuna fuga"
di Jenner Meletti

SADURANO (Castrocaro) - Mario dice che verso sera, nel prato di fronte alla casa gialla, si vedono i caprioli. «All´alba arrivano anche i cinghiali». Stefano racconta che gli faceva impressione, le prime volte, aprire la porta della camera da letto, andare nella sala per la colazione, uscire in cortile. «Non c´ero più abituato». Una volta la vita era tutta dentro una cella di un carcere che era anche manicomio e di un manicomio che era pure carcere. «Manicomio criminale», c´era scritto sul portone. Poi fu corretto in «Ospedale psichiatrico giudiziario». Mario e Stefano sono due dei sedici ospiti di una casa gialla sulle colline di Castrocaro che fino ad oggi è stata tenuta segreta. «Non ne abbiamo mai parlato - dice Gianluca Borghi, che quindici anni fa era assessore ed ebbe l´idea di costruire questa casa - perché avevamo paura. Abbiamo fatto una cosa importante: per la prima volta in Italia siamo riusciti ad aprire una breccia nel manicomio giudiziario. Abbiamo liberato persone con addosso un marchio pesantissimo: matto, galeotto, assassino… Pensavamo che chi abita qui attorno si spaventasse e che la sua paura ci costringesse a riportare i malati in una cella. Per fortuna ci siamo sbagliati».
Casa Zacchera, si chiama la casa gialla, dal nome di un antico podere. La neve ha gelato le mimose già fiorite. Oggi, nella sala delle colazioni, c´è una riunione importante. Dirigenti delle Asl e della coop Sadurano (gestisce l´assistenza a questi «internati in licenza di esperimento»), assieme all´assessore regionale Giovanni Bissoni annunciano a chi vive su queste colline che quelle persone viste in paese o nei sentieri dei boschi sono uomini la cui vita era stata cancellata e che ora hanno avuto un´altra occasione. «Parliamo oggi - dice l´assessore - perché possiamo annunciare i primi risultati. La comunità è stata aperta il 16 ottobre 2007 ed ha già contato 27 ospiti. Sedici sono qui oggi. Degli altri, due sono tornati all´Opg perché, forse stroncati da troppi anni di cella, non sono riusciti ad affrontare questa nuova realtà. Gli altri sono tornati nelle loro famiglie, o in piccoli appartamenti protetti, nei loro paesi».
Si pronunciano parole che sembravano dimenticate: sogno, solidarietà, utopia… «La legge Basaglia - dice Gianluca Borghi - ha dimenticato gli ospedali psichiatrici giudiziari. Lì si continua a vivere senza diritti, come nei manicomi di un tempo. Avevamo un debito, con queste persone. Abbiamo cominciato a pagarlo». Casa Zacchera non è stata scelta a caso. Qui, in località Sadurano, sorge da più di vent´anni la comunità di un sacerdote, don Dario Ciani, che ha sempre accolto i deboli e i disperati: tossicodipendenti, alcolisti, ex ospiti dei manicomi… Dalla prima comunità sono nate le cooperative, vere e proprie imprese sociali. «Noi gestiamo casa Zacchera - raccontano il presidente Stefano Rambelli e l´organizzatore Matteo Montanari - ma non vogliamo vivere sulle disgrazie delle persone. Il nostro obiettivo è quello di fare tornare questi ospiti a casa loro. Con un costo che è la metà di quello di un ospedale giudiziario, per 16 persone mettiamo a disposizione venti operatori. Ogni settimana garantiamo 50 ore di aiuto psicologico, 84 ore di infermeria, 25 di psichiatria… Non ci sono reti, cancelli e sbarre, qui da noi, e ospitiamo anche chi ha commesso omicidi. La nostra custodia è capacità relazionale, è assistenza sanitaria. In questi due anni e mezzo non c´è stata nessuna fuga, non c´è stato nessun incidente».
Qualcuno sapeva, di questa casa gialla. «Abbiamo avvertito - dicono Gianluca Borghi e Giovanni Bissoni - il sindaco di Castrocaro, la giunta comunale e il comandante dei carabinieri. Ma nemmeno il consiglio comunale era informato. Proprio quando la casa stava per aprire, ci sono state le elezioni comunali e la maggioranza è passata dal centro sinistra al centro destra. E qui c´è stata la sorpresa: anche la nuova amministrazione si è comportata in modo splendido». Davvero strana, la terra di Romagna. Parli con l´assessore al welfare e cultura, Francesco Billi della Lega Nord, e anche a nome del sindaco Francesca Metri, vicina a Bossi, lui dichiara subito che «alla casa Zacchera hanno fatto la cosa giusta». «Sapevamo bene che lì c´erano gli ex ospiti Opg e abbiamo capito che almeno per un certo tempo c´era bisogno di riservatezza. Il nostro parere? Noi siamo orgogliosi di avere qui una comunità come quella. Sadurano la conosciamo da sempre. Don Dario Ciani, il fondatore, è una grande persona che è riuscita a circondarsi di persone brave e capaci». In altri luoghi, sulla paura e sulla voglia di sicurezza sono state montate campagne e fortune elettorali. «Noi stiamo con Sadurano - dice l´assessore - perché non è un´enclave ma un luogo aperto a tutti. I ragazzi, gli uomini e le donne che sono lì sono persone che cercano di uscire da un passato pesante. Certo, oggi tutti sapranno che ci sono anche gli ex internati in manicomio giudiziario, ma non credo che ci saranno problemi. Tutti noi, attorno a Sadurano, abbiamo steso non un assurdo cordone sanitario ma un cordone di solidarietà. Quando arrivano turisti, noi li mandiamo a Sadurano. Hanno un ristorante biologico con i prodotti del territorio, organizzano concerti e spettacoli di comici… È giusto che tanti vengano a contatto con questa comunità di gente liberata».
Dopo la colazione, tanti vanno al lavoro. Ci sono il caseificio, il ristorante, i campi da calcetto… C´è chi va a lavorare fuori, in officina e dall´elettrauto. C´è chi, appena arrivato, come un bimbo deve imparare a camminare in spazi liberi, non una cella tre per tre con letti a castello. Un chilometro e mezzo per andare al ristorante, assieme agli ospiti delle altre comunità e ai turisti. Mario e Stefano sono contenti. «Guardi là nella valle. Si vede il mare».


l’Unità 13.3.10
È crisi tra Israele e gli Stati Uniti «Sigillata» la Cisgiordania
di Umberto De Giovannangeli

L’appello del patriarca di Gerusalemme: l’occupazione alimenta la violenza
HillaryClinton quell’azionecontrolamissionediBiden.Tensionetraipalestinesi
Da Gaza alla Cisgiordania. Ovvero: una vita da sigillati. Israele ha chiuso per 48 ore la frontiera con la Cisgiordania «per motivi di sicurezza». L’ordine è del ministro della Difesa. Resterà fino alla mezzanotte di oggi.

Le autorità israeliane hanno anche proibito agli uomini di età inferiore ai 50 anni di assistere alla preghiera del venerdì nella moschea al Aqsa di Gerusalemme. Il deflusso dalla moschea è avvenuto pacificamente, ma ci sono stati tafferugli nella zona araba della Città santa, dove la polizia ha lanciato granate stordenti e ha fermato quattro giovani che lanciavano pietre. Incidenti anche a Ramallah e in varie località della Cisgiordania.
La tensione tra i palestinesi è molto alta dopo la decisione del governo israeliano di autorizzare la costruzione di 1.600 case per i coloni a Gerusalemme est che ha portato al congelamento da parte dell’Anp dei colloqui indiretti che avrebbe dovuto avviare in questi giorni con Israele. Il blocco è una misura eccezionale, e da molti anni non si imponeva se non in periodi festivi. Dopo le 48 ore di blocco, si terrà un’ulteriore riunione al ministero della Difesa israeliano per valutare la situazione. Per 48 ore, la gente di Cisgiordania vivrà l’incubo che da tanto più tempo attanaglia i palestinesi di Gaza: l’incubo, reale, di vivere in una immensa prigione a cielo aperto. «L’occupazione militare dei territori palestinesi è dura, arrogante, ha paura degli altri e di se stessa, priva della libertà e dei diritti. Alimenta la violenza e persegue l’umiliazione. Nessun popolo potrebbe accettare un’occupazione simile»: lo denuncia al settimanale Vita il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal. «La comunità internazionale deve intervenire chiede il patriarca di Gerusalemme soprattutto l’Europa deve fare qualcosa, deve avere il coraggio di dire la verità». Un coraggio che fatica a mostrarsi.
LA LETTERA NON RICUCE
Terminata la visita di tre giorni a Gerusalemme del vicepresidente Joe Biden, una profonda crisi di fiducia si è aperta nelle relazioni fra Stati Uniti ed Israele. Il segretario di stato americano Hillary Clinton ha ammonito il premier israeliano Benjamin Netanyahu che l’annuncio della costruzione di nuove abitazioni a Gerusalemme Est costituisce «un segnale profondamente negativo» nei rapporti bilaterali tra Washington e il governo israeliano. Quello portato dalla Segretaria di stato Usa è un affondo tanto più significativo perché Hillary Clinton è ritenuta la più «filoisraeliana» dell’amministrazione Obama. Altro che «strappo ricucito»: «Questa azione contraria allo spirito della visita di Biden tuona Clinton ha minato la fiducia nel processo di pace e nell’interesse dell’America». Per il quotidiano Maariv il presidente Obama ha reagito «con collera» nell’apprendere dell’annuncio del nuovo rione ebraico a Gerusalemme est durante la visita di Biden. Secondo il giornale, «Se finora Obama prendeva con un grano di sale le dichiarazioni del premier Benyamin Netanyahu, adesso semplicemente non crede più ad alcuna sua parola».
Per il quotidiano Yediot Ahronot Netanyahu è stato «davvero colto di sorpresa» dall’annuncio; eppure è egualmente responsabile dell’incidente diplomatico con Biden «perché sostiene associazioni di coloni estremisti» che cercano di alterare i delicati equilibri demografici a Gerusalemme est. Altri analisti rilevano che le incomprensioni fra Usa ed Israele riguardano anche l’atteggiamento da assumere di fronte alla «minaccia iraniana». Le sanzioni prefigurate da Biden per Teheran appaiono a Gerusalemme non soddisfacenti, fanno trapelare fonti governative.

Notizie Radicali 3.2.10
Riccardo Lombardi, per rendergli giustizia e verità
di Marco Pannella


“Lombardi e il fenicottero”: così si intitola il volume che Carlo Patrignani dedica alla figura di un leader storico del Partito Socialista, Riccardo Lombardi (Edizioni “L’asino d’oro”, pagg. 203, 18 euro). Il libro è arricchito da interviste a Marco Pannella, Michele Ciliberto, Giorgio Ruffolo, Tullia Carrettoni. Oggi pubblichiamo la prefazione, di Pannella. Nell’edizione di domani l’intervista.

Tornare a onorare in questo nostro tempo, in questa nostra società, la vita, le opere, le speranze e le delusioni, le idee e gli ideali di Riccardo Lombardi, molti altri, ben più di me, possono farlo, l’hanno fatto e lo faranno. Ma grazie a Carlo Patrignani e a questa sua bella iniziativa, accade, incombe anche a me, la possibilità di provare ad assolvere al dovere della riconoscenza verso (e di) un grande compagno, membro di diritto di quella “capitiniana” nostra comunione/comunità di viventi e di morti, nella quale scopro sempre più di credere e di vivere anch’io. E’ un impegno che assumo: che cercherò in ogni modo di onorare entro breve tempo; purtroppo non immediatamente, se non attraverso questa improvvisata conversazione avuta con Carlo; a suo intero carico dunque trarne il poco che ritenga contributo adeguato. Succede. Per me oggi (forse) minora premunt…

Per quanto io ricordi, con Riccardo ho avuto due soli effettivi, veri, colloqui diretti e personali. Del dialogo politico mi occorrerebbe concentrazione, che non ho, per scriverne: credo che sia stato tutt’altro che marginale, tanto quanto oggettivamente implicito; ma, attraverso due o tre decenni, denso di profonde e comuni radici e anche di obiettivi comuni (fatte le debite differenze, di valore e di statura). Uno dei due incontri avvenne a casa sua a Milano, nel1961, qualche giorno dopo il Congresso del PSI. Passammo a un giro di orizzonte, un tentativo di bilancio sulla situazione politica generale: dapprima quella europea, quella francese, la situazione sul fronte “algerino”, sul dominio gollista e la situazione di quella Sinistra sempre più spaccata fra i comunisti di Marchais, i socialisti di Mollet, il PSUG, i radicali di Servan Schreiber. Tornati all’Italia, a un certo punto interruppe e disse: “Guarda, devo dirti che spesso penso che, alla fine, se non mi dimetto dal Parlamento non trovo motivo più valido di accampare di quello di arrivare al massimo della pensione…”. Trasecolai. Compresi subito che in quel modo voleva trasmettermi ben altro e aveva trovato questo modo per farlo. Sapevamo benissimo tutti e due, ne sono certo, che quella proclamazione, fatta con il tono di una confidenza, prenderla alla lettera era di per sé improbabile, perché non era, non poteva essere vera. Continuammo, mi sembra, per un’altra mezz’ora prima di accomiatarci. Ma, in quel lasso di tempo, era come se l’atmosfera, lo stesso rapporto fra di noi si fosse d’un tratto trasformato; i ruoli si erano cancellati fra quel grande compagno, “corpo” di una storia drammatica e gloriosa da una parte, e dall’altra, solo un poco più che trentenne, singolare, forse ancora promettente, e quindi ambiguo. In quel momento, per destinazione e valore, quei ruoli s‘erano superati, trasformati. Come se in quell’occasione non si fosse più solo conoscenti, ma ci fossimo anche, l’un l’altro, “ri-conosciuti”. E divenne in quel periodo inme, sempre più viva, più drammatica, la coscienza del valore assolutamente straordinario di una forma del conoscerci, della necessaria durata detta “ri-conoscenza”.

In quel periodo della mia vita (personale-politica: non privata, quindi del pubblico) in quella sera milanese, grazie a quel monito di Riccardo, sgorgato così improvviso, cominciò forse ad illuminarsi di una maggior luce, diffusa e insistente, una verità che mi veniva trasmessa anche da altri compagni di quella generazione che la fortuna aveva voluto darmi l’opportunità di conoscere: Italo Pietra (che vidi qualche ora più tardi), Ernesto Rossi, Mario Pannunzio, Loris Fortuna, Ugo La Malfa, Mario Paggi, Mario Ferrara, Mario Boneschi, Altiero Spinelli, Indro Montanelli, Carlo Antoni, Guido Calogero. Oggi mi sembra chiaro che, per tutta quella generazione, cui debbo tanto del mio amore per la vita dei viventi, ben presto scoprivo che nella storia repubblicana, cioè fin dagli anni Settanta, per qualcuno fra loro subito dopo, dagli anni Settanta, la presenza in essi, non di rado pressante come un “pre- sentimento”, o già la constatazione, il timore inradicato che la banalità del male antidemocratico tornasse a prevalere. Che questo male, in uno stato creduto vinto e cancellato, tornasse in vita assumendo tramite una metamorfosi le sembianze, perfino i simboli e il linguaggio dei suoi vincitori.

L’altro incontro avvenne, per sua iniziativa, in una stanza della direzione del PSI, in via del Corso, nella primavera del 1976. Grazie alla serietà e lealtà di Francesco De Martino era stata infatti convocata una Direzione del PSI per discutere la possibile alleanza politico-elettorle tra socialisti e radicali, anche se De Martino stesso non la riteneva opportuna. Poche ore prima Riccardo Lombardi volle vedermi. Ne aveva infatti già parlato con Bettino Craxi, Pietro Nenni Loris Fortuna e temeva che la decisione fosse immatura e il voto comunque non opportuno, forse controproducente.

Oggi mi rendo conto che rendere giustizia e verità a Riccardo, consente e impone probabilmente l’emersione di ricordi e di interpretazioni del tutto diversi da quelli che i suoi più stretti amici e compagni socialisti certamente gli hanno già reso, gli renderanno, gli riconfermeranno e arricchiranno. In realtà la storia privata e politica di Riccardo, se compiutamente approfondita, dà effettivo conto delle sue interpretazioni, permette un migliore e più importante “ri-conoscimento” di quanto gli dobbiamo. E non solo a lui. Mi riferisco ai diversi compagni di quella generazione appartenente a quella storia azionista. Per ciascuno di loro fu una drammatica, lunga constatazione, che il venir meno del proprio passato politico azionista non si manifestò tanto con la fine di quel partito, quanto soprattutto con la presa d’atto che le sue scelte, le sue proposte politiche per la nuova Italia e la nuova Europa, finirono sempre, tragicamente, col mancare l’obiettivo di assicurare al nostro paese un minimo di certezza, di durata, di forza, di quella scelta democratica, socialista, di rivoluzione liberale e federalista. Ed è su questo che resterò debitore dell’impegno preso, spero, per non più di qualche mese: l’attualità della nostra società e di questo nostro tempo, mi aiuteranno a farlo, e farlo in modo di quanto più possibile adeguato.