venerdì 19 marzo 2010

l'Unità 19.3.10
Bonino: «La legalità ha preso giustamente il sopravvento»


«La situazione è ingarbugliata. La Corte Costituzionale ha respinto la sospensiva per cui il decreto legge è in vigore, poi ci sarà il Consiglio di Stato che deciderà sulla lista del Popolo della Libertà. L’ammissione della lista Sgarbi ha causato il rischio di un rinvio del voto, ancora non formalizzato, per questioni tecniche. Lascio alle corti di discuterne: in un paese normale esistono le corti giudiziarie. Non sono una teorica del disarmo giudiziario, tutt’altro, quindi seguiremo la situazione con attenzione». Queste le parole pronunciate ieri sera da Emma Bonino, candidata del centrosinistra alla presidenza della Regione Lazio, nel corso di un incontro con la federazione della sinistra in un locale del quartiere Ostiense di Roma.

Repubblica Roma 19.3.10
La candidata alla presentazione del libro sulla parabola della sua vita politica
Bonino: "Una giunta competente ma terrò conto delle alleanze"
"La mia squadra sarà costruita in base a criteri di onestà e meritocrazia"
di Laura Mari

Una lista di nomi già pronta per una «squadra competente, che tenga conto delle alleanze» e un impegno: «vincere». A pochi giorni dal voto, la candidata del centrosinistra Emma Bonino ha le idee ben chiare e le ha illustrate, ieri pomeriggio alla Galleria Alberto Sordi, nel corso della presentazione del libro "Alfabeto Bonino" (scritto da Cristina Sivieri Tagliabue per raccontare la vita, non solo politica, della radicale). Un incontro che si è inevitabilmente trasformato in un appuntamento-comizio elettorale. «Non lo so se si voterà tra dieci giorni o tra tre settimane - ha detto la Bonino riferendosi alla richiesta di Sgarbi di rinvio delle elezioni dopo la riammissione della sua lista - ma di sicuro io sto sempre qua, non mi muovo».
La volontà di andare avanti e di conquistare la Pisana, dunque, è sempre più forte. Al punto che la candidata del centrosinistra ha già in mente anche i nomi della sua possibile squadra di governo. «Ci ho già pensato certo - ammette la Bonino - e l´identikit dei futuri assessori è semplice, perché si basa su alcuni requisiti fondamentali: trasparenza, onestà e meritocrazia». Ma questo, da solo non basta. Perché nel Risiko delle alleanze e delle coalizioni poi, al momento di formare la squadra di governo, spesso entrano in gioco anche altri meccanismi. «Non sono Alice che viene dalla Nuova Zelanda - ha precisato la Bonino - e quindi so che, se vincerò, ci saranno altri elementi da tenere in considerazione prima di formare la giunta. E non sono nemmeno Attila - ha proseguito la candidata - sono cosciente che sia all´interno che all´esterno della coalizione ci sono persone brave, meritevoli e capaci». Un´evidente apertura, dunque, ai partiti della coalizione e una promessa di rispetto del sistema delle alleanze.
«Non so se è chiaro, ma io voglio vincere» ha ripetuto più volte la candidata del centrosinistra suscitando lunghi e ripetuti applausi da parte del pubblico, prevalentemente femminile. «La politica non è un mestiere, è un onore e un onere nei confronti del paese e degli elettori - ha proseguito la Bonino - cittadini che meritano il rispetto delle regole e della legalità perché, come diceva mia madre, la buona educazione è sempre rivoluzionaria».
Inevitabili, quindi, i riferimenti alla vicenda dell´esclusione della lista del Pdl e ai conseguenti ricorsi e controricorsi. «Come sono andate le cose è ormai chiaro - ha precisato Emma Bonino - il delegato del Pdl Alfredo Milioni stava correggendo le liste, stava commettendo un reato». Quindi, rispetto alla manifestazione «per la libertà» indetta dal Pdl per la giornata di domani, la candidata del centrosinistra ci ha tenuto a ribadire che «non esiste libertà senza regole, senza leggi o che non preveda la libertà altrui. E date queste premesse - ha concluso la Bonino - a naso non mi pare proprio che ci sia questo senso o questo intento di libertà tra i promotori della manifestazione del Pdl».

il Fatto 19.3.10
Chiesa e abusi, 80 anni di silenzi0
di Marco Politi

Il Cardinale Bertone: “Qualcuno cerca di minare la fiducia dei fedeli” Ma la situazione frana. Oggi la lettera ai vescovi irlandesi
L’omertà della Chiesa interpella Benedetto XVI. Alla fine si è arrivati al nodo: il silenzio sistematico, decennale, secolare sugli abusi sessuali commessi dal clero. Un silenzio che ha straziato le vittime due volte.
In Italia ci si comporta come se il fenomeno fosse lontano, ma 80 casi verificati imporrebbero maggiore allarme

Il caso di Monaco di Baviera, la diocesi dell’allora arcivescovo Joseph Ratzinger, è esemplare. Si guardino le date. 1980: un prete pedofilo viene mandato dal vescovo di Essen alla diocesi di Monaco. Ha costretto un ragazzo a fargli sesso orale. Il prete non viene allontanato dalla Chiesa, viene trasferito. L’arcivescovo Ratzinger lo accoglie perché segua una terapia. Poi il vicario generale della diocesi – all’insaputa di Ratzinger – decide il trasferimento del prete pedofilo in un’altra parrocchia. Nuovi abusi, persino una condanna in tribunale. E ciò nonostante il colpevole ha continuato ad esercitare il suo ministero fino a pochi giorni fa. 1980-2010: trent’anni affinché la Chiesa prenda una decisione. Le vittime in questa storia rimangono totalmente sullo sfondo, sembrano non contare.
Così è successo migliaia di altre volte. A volte il vescovo non sapeva oppure era disattento mentre la burocrazia ecclesiastica spostava i criminali da una parrocchia all’altra oppure approvava direttamente i trasferimenti come il cardinale Law di Boston. Spessissimo, negli accordi di risarcimento, le vittime erano costrette a firmare un impegno alla segretezza. Per non parlare dei casi innumerevoli, in cui la voce degli abusati non è stata ascoltata. Perché – alla fine – contava di più l’“immagine” dell’Istituzione che la giustizia da rendere alle vittime.
La storica Lucetta Scaraffia ha pronunciato sull’Osservatore Romano la parola dell’infamia: omertà. “Un velo di omertà maschile che spesso in passato ha coperto con il silenzio la denuncia dei misfatti”. Ha senso allora che in Vaticano si rispolveri la teoria della cospirazione? Lamenta il cardinale Bertone, segretario di Stato, che “qualcuno cerca di minare la fiducia dei fedeli nella Chiesa”. Era anche la posizione difensiva del cardinale Ratzinger nel 2002, quando accusava un’informazione manipolata, guidata dal “desiderio di discreditare la Chiesa”. Altri in Curia si avventurano in improbabili distinzioni tra abusi per fasce di età: meno di dodici anni, over 12, sedicenni. Come se lo squallore fosse attenuabile.
In Germania il delegato nazionale dell’episcopato tedesco per i casi di pedofilia, vescovo Ackermann di Treviri, riconosce onestamente: “Laddove non c’è stata reale volontà di fare luce sugli abusi e i colpevoli sono stati semplicemente trasferiti, dobbiamo riconoscere che in tutta una serie di casi si è praticato l’occultamento (dei fatti)”.
Eletto pontefice, Ratzinger ha imboccato fin dall’inizio una strategia chiara e intransigente: non sottovalutare le denunce, rimuovere i preti colpevoli, assistere le vittime, collaborare con i tribunali. Ora, tuttavia, molti fedeli chiedono che la Chiesa riconosca il suo peccato di omertà. Hans Küng, il teologo ribelle, esige dal pontefice un mea culpa per le responsabilità della Chiesa. Perché la situazione sta franando. Il primate d’Irlanda, cardinale Brady, domanda perdono per avere partecipato da sacerdote a una riunione, in cui si impose il silenzio a due piccole vittime di molestie. Forse si dimetterà. In Germania il vescovo di Osnabrück ha chiesto scusa ai fedeli per gli abusi degli anni passati.
C’è ancora nei Sacri Palazzi chi si fa scudo dell’argomento che il crimine è trasversale e avviene in tutti gli ambienti sociali. E’ vero, anzi più del 70 per cento degli abusi si scoprono nelle famiglie. Ma c’è una responsabilità specifica del mondo ecclesiastico. E’ la Chiesa che si presenta come la più alta autorità morale ed educativa, è nelle chiese che si predica dai pulpiti la purezza come principio supremo del sacerdozio. Il crollo di fiducia provocato dagli abusi è perciò ancora più devastante. Soprattutto perché il delitto si compie, mentre i genitori i fiducia affidano i figli alle parrocchie. In “Atti impuri”, un saggio documentatissimo sulle violenze sessuali nelle diocesi americane (ed. Raffaello Cortina), si ritrova tutta la straziante normalità degli abusi. Una via crucis di incubi. “Un giorno, dopo la messa, il prete si mise davanti al chierichetto con il pene eretto e guidò le sue mani fino a raggiungere l’orgasmo... Il dodicenne Julian fu abusato per tre anni da padre Scott, il quale gli aveva detto che per ricevere la cresima avrebbe dovuto partecipare a speciali sessioni di consulenza... All’età di cinque anni X cominciò ad essere prelevato dal letto e portato sul divano del sacerdote (ospite dei genitori), che lo stendeva sopra di sé... La chiesa nella quale fui violentata era la stessa in cui i preti ascoltavano le confessioni, in cui tutti i figli della mia famiglia si sono sposati, alcuni nipoti battezzati, e in cui sono sepolti i miei genitori”.
Ecco di cosa si sta parlando. Ecco perché il vicepresidente del Parlamento di Berlino, Wolfgang Thierse, membro del Comitato centrale dei cattolici tedeschi (l’organizzazione delle associazioni laicali), ha dichiarato che “la credibi-
lità della Chiesta sta traballando in modo assai grave” e che perciò la “Chiesa deve essere più onesta e più severa con se stessa e questo vale anche per il Papa”.
Nel frattempo la Chiesa in Italia sembra comportarsi come se il fenomeno avvenisse in terre lontane. Ancora nel 2002, nel pieno dello scalpore per gli scandali americani, il segretario della Conferenza episcopale mons. Betori dichiarava in conferenza stampa che “non sta alla Cei monitorare il problema... (che) il Consiglio permanente non ha mai parlato di casi di pedofilia e alla Cei non c’è nessun elenco in proposito e non abbiano né casi in evidenza né una procedura di monitoraggio”. Unici referenti: le singole diocesi e il Vaticano.
Da allora non si è saputo più nulla, a parte l’accenno a un servizio di assistenza tecnico-giuridica fornito dalla Cei ai vescovi interessati. Ottanta casi, già acclarati per un decennio, imporrebbero maggiore allarme. Betori stesso, diventato arcivescovo di Firenze, ha prontamente allontanato da una parrocchia un prete pedofilo. A Bolzano è bastato che il vescovo Golser indicasse un indirizzo mail per gli abusi e subito sono venuti a galla alcuni casi. Certo è singolare che mons. Charles Scicluna, “pubblico ministero” all’ex Sant’Uffizio, debba dichiarare su Avvenire: “Preoccupa una certa cultura del silenzio che vedo ancora troppo diffusa nella Penisola”. Forse per questo il presidente della Cei cardinale Bagnasco ha deciso di affrontare il tema al prossimo Consiglio permanente. Papa Ratzinger firma stamane la Lettera ai vescovi d’Irlanda. Indicherà certamente le misure per combattere gli abusi. Ma lo attende una prova anche più ardua: confessare i silenzi della Chiesa.

Repubblica 19.3.10
Pedofilia, altri abusi di religiosi nuovi casi in Germania e Svizzera
Il vescovo di Monaco: "Denunceremo tutti gli episodi"
A Meschede un benedettino confessa violenze su 19 minori. La confederazione elvetica sotto shock: un sacerdote abusò di 10 bimbi
di Andrea Tarquini

BERLINO - Ancora nuove denunce, ancora vittime che si decidono a rompere il silenzio, ancora confessioni e scoperte di abusi atroci. Mentre la Germania attende col resto del mondo la lettera del Papa, dal Gulag pedofilo emergono ogni giorno altri racconti e ricordi. Un monaco dell´abbazia benedettina di Koenigsmuenter a Meschede, in Germania, ha confessato secondo la magistratura di aver abusato di almeno 19 studenti minorenni. E la Svizzera è sotto shock per il caso di padre Gregor Mueller, che ha lasciato l´incarico nelle mani del vescovo di Coira, nel cantone dei Grigioni, ammettendo di aver usato violenza per anni su almeno una decina di bambini in scuole religiose in Germania e Austria.
«Non può esserci misericordia a buon mercato, d´ora in poi la Chiesa denuncerà tutti i casi, anche solo sospetti, alla giustizia», ha detto il vescovo di Monaco e Freising, Reinhard Marx, parlando ieri a una riunione religiosa. «Dobbiamo tutti trarre conseguenze dal male attuale, la preghiera deve andare alle vittime ma anche ai colpevoli».
Dei reati del monaco benedettino (non citato per nome, ma solo con l´iniziale B.,) riferisce la Frankfurter Allgemeine, in un reportage a piena pagina con vistoso richiamo in prima. Il monaco, secondo la magistratura, ha commesso diversi abusi fin dagli anni Settanta, «anche atti che il diritto definisce come atti sessuali». Una delle vittime, dietro l´anonimato, racconta. I genitori l´avevano inviato in quel convitto perché certi che avrebbe avuto un´istruzione di alto livello. Si erano fidati.
Allievo al convitto benedettino, l´ex vittima (indicata con l´iniziale K. per proteggerla con l´anonimato) aveva appena undici anni quando il monaco cominciò a corteggiarlo, a parlargli di sesso e vita intima, a regalargli dolci o calendari con banconote da 50 euro infilate dentro come regalo. A lui e ad altri giovani, il monaco amava offrire vino per disinibirli. Il ragazzo era alto, magro, grandi occhi azzurri, il monaco s´infatuò di lui. Il giovane aveva 13 anni quando il monaco decise di passare ai fatti.
«All´inizio cercai di difendermi, poi non ci riuscii più. A lungo mi dissi che non ne avrei mai parlato con nessuno». Dopo anni di silenzio del figlio, i genitori capirono e chiesero chiarimenti ai superiori dell´abbazia. Il monaco fu allora trasferito all´estero e sottoposto a terapie. Ma ora è di nuovo nel convento benedettino.
Agghiaccianti le testimonianze sul sacerdote svizzero, padre Gregor Mueller. «S´infilava di notte sotto i nostri lenzuoli e ci violentava», narrano ai media elvetici le sue vittime, ex allievi dei convitti di Mehrerau in Austria e Birnau in Germania. Abusava di scolari e chierichetti, e spesso li picchiava brutalmente.
Nelle scuole religiose dove lui insegnò, abusi e violenze erano pratica, narrano le vittime al quotidiano popolare svizzero Blick. «Ci infilavano la mano nei pantaloni, alcuni erano svegliati di notte e costretti a subire ogni tipo di sevizie e abusi». Padre Mueller chiamava le sue vittime «i miei capretti». Molti religiosi mostravano film porno agli allievi. E picchiavano anche, con rami e bastoni, fino a coprire di lividi i ragazzi.

Repubblica 19.3.10
La lettera al clero è pronta "Attacchi forti, serve reagire"
Il Papa "amareggiato" dalle parole di Küng
Anche Bagnasco stupito dalla durezza delle posizioni del teologo dissidente
di Marco Ansaldo

CITTA´ DEL VATICANO - Oggi la firma, e domani la pubblicazione. C´è «molta attesa» in Vaticano, ma anche «un forte senso di liberazione», come si coglie in un dialogo catturato dentro i Sacri Palazzi, per l´uscita della Lettera pastorale di Benedetto XVI ai cattolici irlandesi. La Santa Sede è ansiosa di difendersi sui casi di pedofilia nel clero. Ma soprattutto, diffondendo il pensiero del Papa, punta a «rimettere la barra nella giusta direzione», reimpostando la propria guida nella chiesa d´Irlanda e laddove gli scandali stanno minando la fiducia dei fedeli.
Proprio per questo il documento conterrà, oltre a concetti come «scuse», «pentimento» e «rinnovamento», non solo considerazioni religiose ma precise «indicazioni pratiche» su come sanare la piaga.
Il Papa questa mattina siglerà dunque il provvedimento con il suo sacro sigillo, convinto di un passo che tutto il mondo cattolico attende con trepidazione, per il messaggio universale che la Lettera rivestirà, ben oltre i riceventi irlandesi. Il pontefice infatti appare sconcertato dalla vicenda, e anche scosso dalle reazioni che il caso sta suscitando.
Due giorni fa Benedetto XVI ha esaminato con attenzione il commento del teologo svizzero Hans Küng, da sempre molto critico con il Vaticano, a pagina 2 della Süddeutsche Zeitung, quotidiano di Monaco di Baviera che ben conosce dai tempi in cui era arcivescovo nella città bavarese, e che sfoglia comunque dopo la Frankfurter Allgemeine, giornale di impostazione più conservatrice con cui ogni giorno preferisce aprire la sua lettura della stampa. Ieri mattina ha letto ancora il testo di Küng su Repubblica, dicendosi «deluso e amareggiato» dalla durezza delle posizioni del teologo, che lo richiamava alle sue «responsabilità» sui silenzi della Chiesa nei casi di abusi sessuali compiuti da sacerdoti, chiedendogli addirittura di pronunciare un «mea culpa».
Il testo di Küng non ha colpito solo il Papa. Anche la Conferenza episcopale italiana (Cei), guidata dall´arcivescovo di Genova, il cardinale Angelo Bagnasco, è apparsa stupita, come dice una fonte interna, «da un attacco portato direttamente al pontefice», al di là delle argomentazioni usate da Küng nel suo ragionamento. Una posizione, si cerca di spiegare, che potrebbe trovare motivo anche in «incomprensioni risalenti al passato fra i due», il Papa conservatore e il teologo progressista.
Il presidente della Cei, che ieri al Palasharp di Milano, in un intervento dal titolo "L´Avventura educativa" ha battuto su uno dei suoi concetti che stanno più a cuore del suo apostolato, aprirà lunedì prossimo i lavori del Consiglio Episcopale Permanente, il "parlamentino" dei vescovi. All´ordine del giorno l´Assemblea Generale di maggio, l´esame della bozza degli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020, e l´approvazione della lettera della Commissione per la dottrina della fede, l´annuncio e la catechesi a quarant´anni dalla pubblicazione del documento base «Il rinnovamento della catechesi». Un appuntamento importante per i vescovi. Che nel frattempo avranno letto, e metabolizzato, la Lettera del Papa.

giovedì 18 marzo 2010

Repubblica 18.3.10
L’anatema della Merkel "Vogliamo la verità"
E l´inquisitore nominato dalla Conferenza episcopale tedesca per indagare ammette: "La Chiesa cattolica ha insabbiato per decenni"
di Andrea Tarquini

BERLINO - La cancelliera Angela Merkel condanna gli abusi pedofili nel modo più forte, e intanto il vescovo di Treviri Stepahn Ackermann, cioè l´inquisitore speciale nominato dalla Conferenza episcopale tedesca per indagare sulle violenze ai minori da parte di religiosi, ha ammesso per la prima volta che la Chiesa cattolica «ha insabbiato per decenni», limitandosi a trasferire da una diocesi all´altra i colpevoli. Per Benedetto XVI e per il prestigio e la credibilità del cattolicesimo la situazione si fa sempre più difficile, proprio nel paese natale del Papa.
«Gli abusi sessuali sui bambini», ha detto Angela Merkel parlando al Parlamento federale, «sono un crimine abominevole. La nostra società ha solo un modo per superarlo, e cioè conoscere tutta la verità su quanto è accaduto». Al tempo stesso la cancelliera ha sottolineato che è un errore ridurre il problema agli abusi avvenuti nell´ambito della Chiesa. Il problema «riguarda tutta la società».
Le parole della Merkel, e la dura ammissione del vescovo Ackermann, esasperano ed evidenziano le difficoltà della Chiesa cattolica tedesca. Il presidente della Conferenza espicopale di Germania, monsignor Robert Zollitsch, incontrando i parlamentari, ha garantito che la Chiesa farà assoluta chiarezza e garantirà piena trasparenza. Il problema però, ha tenuto ad aggiungere, non riguarda e non coinvolge solo la Chiesa cattolica. Il vescovo di Osnabrueck (Bassa Sassonia), monsignor Franz Josef Bode, ha chiesto pubblicamente scusa a tutti i fedeli per gli abusi sessuali perpetrati su minori in istituzioni religiose: «Sono sconvolto, senza parole, pieno di vergogna e di dolore». Ma ogni giorno emergono nuovi casi: in un convento francescano a Lingen era abitudine giocare allo spogliarello. Abusi sono stati denunciati anche nell´internato di Salem, il più prestigioso del paese.

Repubblica 18.3.10
Ratzinger reciti il mea culpa sulla pedofilia
di Hans Küng

Si è detto che dopo aver ricevuto in udienza l´arcivescovo Robert Zollisch il Papa era «profondamente scosso» e «sconvolto» per i numerosi casi di abusi. Dal canto suo, il presidente [della Conferenza episcopale tedesca] ha chiesto perdono alle vittime, citando nuovamente le misure già adottate e quelle previste. Ma nessuno dei due ha risposto a una serie di domande di fondo che non è più possibile eludere. Stando ai risultati dell´ultimo sondaggio Emnid, solo il 10% degli interpellati trova soddisfacente l´opera di rielaborazione della Chiesa, mentre per l´86% dei tedeschi l´atteggiamento degli alti livelli della gerarchia ecclesiastica manca di chiarezza. Le loro critiche troveranno peraltro conferma nell´insistenza con cui i vescovi continuano a negare ogni rapporto tra l´obbligo del celibato e gli abusi commessi sui minori.
Prima domanda: Perché il Papa continua, contro la verità storica, a definire il «santo» celibato un «dono prezioso», ignorando il messaggio biblico che consente espressamente il matrimonio a tutti i titolari di cariche ecclesiastiche? Il celibato non è «santo», e non è neppure una grazia, bensì piuttosto una disgrazia, dal momento che esclude dal sacerdozio un gran numero di ottimi candidati, e ha indotto molti preti desiderosi di sposarsi a rinunciare alla loro missione.
L´obbligo del celibato non è una verità di fede, ma solo una norma ecclesiastica che risale all´XI secolo, e avrebbe dovuto essere sospesa ovunque in seguito alle obiezioni dei riformatori dal XVI secolo.
In nome della verità, il Papa avrebbe dovuto quanto meno promettere un riesame di questa norma, da tempo auspicato dalla grande maggioranza del clero e della popolazione. Anche personalità come Alois Glück, presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi, o Hans-Jochen Jaschke, vescovo ausiliare di Amburgo, si sono espresse in favore di un rapporto più sereno con la sessualità e della possibilità di far coesistere fianco a fianco sacerdoti celibi e sposati.
Seconda domanda: È possibile che «tutti gli esperti» abbiano escluso l´esistenza di qualsiasi rapporto tra la pedofilia e l´obbligo del celibato sacerdotale, come ha nuovamente asserito l´arcivescovo Zollitsch? Chi mai può conoscere il parere di «tutti gli esperti»!? Di fatto si potrebbero citare innumerevoli psicoanalisti e psicoterapeuti che al contrario hanno sottolineato questo rapporto: mentre l´obbligo del celibato impone ai preti di astenersi da qualunque attività sessuale, i loro impulsi sono però virulenti, col rischio che il tabù e l´inibizione sessuale li induca a ricercare una qualche compensazione.
In nome della verità, la correlazione tra l´obbligo del celibato e gli abusi non può essere semplicemente negata, ma va presa invece in seria considerazione. Lo ha ben chiarito ad esempio lo psicoterapeuta americano Richard Sipe, che a questi studi ha dedicato un quarto di secolo (cfr. «Knowledge of sexual activity and abuse within the clerical system of the Roman Catholic church», 2004): la forma di vita del celibato, e in particolare la socializzazione che la prepara (il più delle volte nei convitti e successivamente nei seminari) può favorire tendenze pedofile. Richard Sipe ha individuato un tipo di inibizione dello sviluppo psicosessuale più frequente nei celibi che nella media della popolazione; ma spesso la consapevolezza dei deficit dello sviluppo psicologico e delle tendenze sessuali si raggiunge solo dopo l´ordinazione al sacerdozio.
Terza domanda. Oltre a chiedere perdono alle vittime, i vescovi non dovrebbero finalmente riconoscere anche le proprie corresponsabilità? Per decenni, dato il tabù sulla norma del celibato, hanno occultato gli abusi, limitandosi a disporre il trasferimento dei responsabili. Tutelare i preti era più importante che proteggere bambini. C´è poi una differenza tra i casi individuali di abusi commessi nelle scuole, al di fuori della Chiesa cattolica, e gli abusi sistemici, spesso reiterati e frequenti, all´interno stesso della Chiesa cattolica romana, in cui vige tuttora una morale sessuale quanto mai rigida e repressiva, che culmina nella norma sul celibato.
In nome della verità, anziché porre un ultimatum di 24 ore al ministro federale della giustizia, sopravvalutando peraltro gravemente l´autorità ecclesiastica, il presidente della Conferenza episcopale avrebbe dovuto finalmente dichiarare con chiarezza che d´ora in poi, in caso di reati di natura penale le gerarchie della Chiesa non cercheranno più di eludere l´azione giudiziaria dello Stato. O dovremo aspettare che per ricredersi, la gerarchia sia costretta a pagare risarcimenti dell´ordine di milioni di euro? Negli Usa la Chiesa cattolica ha dovuto versare a questo titolo, nel 2006, ben 1,3 miliardi di dollari; e in Irlanda, nel 2009 il governo ha stabilito con gli ordini religiosi un accordo – rovinoso per questi ultimi – per un fondo risarcimenti di 2,1 miliardi di euro. Cifre del genere sono assai più eloquenti dei dati statistici sulle percentuali dei celibi tra gli autori di reati sessuali, citati nel tentativo di sdrammatizzare il dibattito.
Quarta domanda: Il papa Benedetto XVI non dovrebbe assumersi a sua volta le proprie responsabilità, anziché lamentarsi di una campagna che sarebbe in atto contro la sua persona? Nessuno finora, in seno alla Chiesa, si è mai trovato sulla scrivania un così gran numero di denunce di abusi. Vorrei ricordare quanto segue:
Per otto anni docente di teologia a Regensburg e in stretti rapporti col fratello Georg, maestro della cappella del Duomo (Domkapellmeister), Joseph Ratzinger era perfettamente al corrente della situazione dei Domspatzen, i piccoli cantori di Regensburg. E non si tratta qui dei ceffoni, purtroppo all´ordine del giorno a quei tempi, bensì anche di eventuali reati sessuali.
Arcivescovo di Monaco per cinque anni, in un periodo durante il quale un prete, trasferito nel suo episcopato, perpetrò una serie di ulteriori abusi che oggi sono venuti alla luce. Anche se Mons. Gerhard Gruber, suo vicario generale (oltre che mio ex collega di studi) si è assunta la piena responsabilità di questi episodi, la sua lealtà non poteva bastare a scagionare l´arcivescovo, responsabile anche sul piano amministrativo.
Per 24 anni Joseph Ratzinger è stato prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, nel cui ambito si prendeva atto dei più gravi reati sessuali commessi dal clero in tutto il mondo, per raccoglierli e trattarli nel più totale segreto («Secretum pontificium». Il 18 maggio 2001, con una lettera rivolta a tutti i vescovi sul tema delle «gravi trasgressioni», Joseph Ratzinger aveva confermato per gli abusi il «segreto pontificio», la cui violazione è punita dalla Chiesa).
Papa per cinque anni, non ha cambiato di una virgola questa prassi infausta.
In nome della verità Joseph Ratzinger, l´uomo che da decenni è il principale responsabile dell´occultamento di questi abusi a livello mondiale, avrebbe dovuto pronunciare a sua volta un «mea culpa». Così come lo ha fatto il vescovo di Limburg, Franz-Peter Tebartz-van Elst, che in un´allocuzione trasmessa per radio il 14 marzo 2010 si è rivolto a tutti i fedeli in questi termini: «Poiché un´iniquità così atroce non può essere accettata né occultata, abbiamo bisogno di cambiare strada, di invertire la rotta per dare spazio alla verità. Per convertirci ed espiare, dobbiamo incominciare col riconoscere espressamente le colpe, fare atto di pentimento e manifestarlo, assumerci le responsabilità e aprire così la strada a un nuovo inizio».

l’Unità 18.3.10
Il messaggio del Papa «Spero che aiuti un processo di pentimento e rinnovamento»
Le scuse Il cardinale Brady: «Mi vergogno di aver taciuto». Merkel: problema della società
Preti pedofili, dal Pontefice lettera ai cattolici d’Irlanda
di Marina Mastroluca

Attesa per domani la lettera del Papa ai cattolici d’Irlanda, dopo lo scandalo dei preti pedofili. «Spero che aiuti un processo di pentimento e rinnovamento». Angela Merkel: «Il problema riguarda tutta la società».

Soffia un’aria quaresimale sulla lettera annunciata da Benedetto XVI non a caso per domani, giorno di san Giuseppe, guardiano della sa-
cra famiglia. «La mia speranza è che essa aiuterà un processo di pentimento, guarigione e rinnovamento», ha spiegato il Pontefice davanti ad una folla di pellegrini. Lettera ai cattolici d’Irlanda, per affondare il coltello nella piaga della pedofilia che affligge la Chiesa. Ma allo stesso titolo potrebbe rivolgersi ai cattolici di Germania, Austria e Olanda. Il «male» non è prerogativa del clero irlandese, ma da qui si parte, anche se la cancelliera tedesca Angela Merkel ieri ha tenuto a ricordare che gli abusi non sono solo un problema della Chiesa ma «qualcosa che è accaduto nella società». Il guasto comunque c’è ed è ormai solo ora si potrebbe dire sotto agli occhi di tutti. La lettera o comunque un pronunciamento sulla crisi che sta scuotendo la chiesa cattolica per le ripetute denunce di abusi arrivate a lambire lo stesso pontefice tramite il fratello Georg e il coro dei passerotti di Regensburg era attesa da tempo, ma nei giorni scorsi in ambienti vaticani si cominciava a metterne in dubbio l’efficacia: perché fermarsi ad un solo caso e non allargare lo sguardo oltre ai 46 sacerdoti irlandesi accusati di aver abusato bambini e bambine nel corso di un trentennio?
«Sdegno e preoccupazione», sarà questo il cuore del messaggio del Papa, che in passato ha chiesto più volte di «stabilire che cosa sia avvenuto in passato», per evitare che si ripeta, indennizzando le vittime. «Il Santo Padre condivide l’oltraggio, il tradimento e la vergogna percepiti da così tanti fedeli in Irlanda», spiega la sala stampa vaticana, specificando che l’impegno della Chiesa sarà volto a «seguire la grave questione con la massima attenzione».
Non è chiaro se la lettera sarà confinata nei limiti della responsabilità morale dei preti pedofili, o se andrà oltre. In un’intervista ad Avvenire, l’attuale responsabile vaticano delle inchieste sulla pedofilia, mons. Charles J. Scicluna che ha esaminato 3000 casi nell’ultimo decennio, ma sostiene che solo un decimo di questi possono essere definiti episodi di pedofilia ha affermato che la Chiesa «incoraggia» i vescovi a rivolgersi alla giustizia civile per punire i responsabili degli abusi. La Chiesa cattolica quindi sembrerebbe orientata a rompere il muro del silenzio, che finora è stato la strategia dominante nell’affrontare il problema.
Suona quindi come un segnale di svolta il messaggio del cardinale Sean Brady, capo della Chiesa irlandese, che ieri si è pubblicamente scusato per aver coperto in passato gli abusi commessi da un giovane prete, Brendan Smyth, chiedendo ai due bambini che lo accusavano di tacere. In questo clima di omertà, Smyth ha potuto così continuare ad abusare di altri ragazzini per 18 anni. «Guardando indietro mi vergogno di non aver rispettato i valori che professo e nei quali credo», ha detto il cardinale.
«LA CHIESA HA TACIUTO»
Per una confessione di colpa all’interno della gerarchia ecclesiastica, c’è anche una denuncia. Il vescovo di Treviri, Ackerman, ha detto esplicitamente in un’intervista che la Chiesa ha «nascosto» i casi di pedofilia. Una responsabilità enorme, richiamata ieri anche dal teologo svizzero Hans Kueng, noto tra l’altro per le sue critiche al dogma dell’infallibilità papale. «Cinque anni di pontificato senza mai modificare queste pratiche funeste. La decenza esigerebbe ha sostenuto Kueng che il principale responsabile della dissimulazione da decenni, cioè Joseph Ratzinger, facesse un mea culpa». Il riferimento è ai 24 anni in cui il futuro papa ha guidato la Congregazione per la dottrina della fede: da qui, secondo Kueng, poteva essere spezzato l’incantesimo del silenzio. Ma non è avvenuto.❖

Repubblica 18.3.10
Omelia del cardinale Brady per San Patrizio: "Chiedo perdono, rifletterò sul mio ruolo"
Il primate d´Irlanda si scusa ora è a un passo dalle dimissioni
di Enrico Franceschini

LONDRA - Il primate d´Irlanda chiede «perdono» per il suo silenzio decennale nello scandalo dei preti pedofili e annuncia che rifletterà sul suo ruolo nel prossimo futuro, un´apparente allusione alle pressanti richieste di dimissioni che gli sono pervenute da parte di Amnesty International e di associazioni di vittime degli abusi sessuali commessi nella diocesi di Dublino e in altri istituti religiosi irlandesi.
Il cardinale Sean Brady, massima autorità della Chiesa cattolica in Irlanda, era un giovane sacerdote quando, a metà degli anni Settanta, partecipò alle sedute di un tribunale canonico che pretese il "voto del silenzio" da parte di due giovani vittime di violenze sessuali, un bambino di 10 anni e una bambina di 14, caduti preda di padre Brendan Smyth, un noto prete pedofilo, colpevole di centinaia di abusi, arrestato soltanto venti anni più tardi, processato e morto in carcere. Brady non riferì mai alla polizia o alla magistratura i reati commessi da padre Smyth, che continuò indisturbato a stuprare e abusare minorenni. Nei giorni scorsi una delle due vittime che testimoniarono davanti a Brady lo ha denunciato alla magistratura, accusandolo in sostanza di complicità nei confronti del prete pedofilo. Le organizzazioni di superstiti degli abusi e per la difesa dei diritti umani hanno reagito chiedendo al cardinale di dimettersi. Dapprima Brady ha sostenuto di avere solo «obbedito agli ordini» quando partecipò alle sedute del tribunale ecclesiastico, e affermato che si dimetterà solo se glielo chiederà il papa. Ma poi ha cambiato atteggiamento.
Nel giorno della festa di San Patrizio, patrono dell´Irlanda, il cardinale ha pronunciato un accorato mea culpa pubblico. «Questa settimana è emerso un doloroso episodio del mio passato», ha detto nel corso di un´omelia. «Ho ascoltato le reazioni della gente al mio ruolo in avvenimenti di 35 anni fa. Voglio dire a chiunque si sia sentito ferito da una mia manchevolezza che chiedo perdono dal più profondo del cuore. Chiedo perdono anche a quanti sentono che li ho delusi. Guardandomi indietro, mi vergogno di non avere sempre tenuto fede ai valori che professo e in cui credo. La Chiesa d´Irlanda deve continuare ad affrontare l´enorme dolore causato dall´abuso di bambini da parte di alcuni preti e religiosi e dalla risposta disperatamente inadeguata data a questi abusi in passato. Noi vescovi dobbiamo riconoscere i nostri errori e assumercene la responsabilità».
Il cardinale ha quindi reso noto che «rifletterà» sul suo ruolo. Resta da vedere se questo porterà alle sue dimissioni; e se vi siano pressioni in tal senso da parte del Vaticano. Proprio ieri papa Benedetto XVI ha annunciato che invierà presto una lettera pastorale ai fedeli irlandesi per affrontare la «dolorosa situazione» degli abusi sui minori, nella speranza che «aiuti il processo di pentimento, guarigione e rinnovamento». Il «mea culpa» del primate d´Irlanda sembra parte di questo desiderio di voltare pagina. Ma lo shock provocato da due rapporti governativi, che hanno rivelato migliaia di abusi sessuali su minori da parte di preti e suore nell´arco di decenni, non si è ancora spento nell´Isola di Smeraldo.

Repubblica 18.3.10
Pronta la lettera del Pontefice "Pedofilia, tolleranza zero"
Il messaggio alla Curia di Dublino sarà reso noto lunedì
d Orazio La Rocca

Papa Ratzinger parlerà di "dolore, pentimento e rinnovamento" Vaticano, nuovi incarichi di primo piano per Ruini

CITTA´ DEL VATICANO - «Scuse», «dolore», «sofferenza», «amarezza», «pentimento», «rinnovamento» e, soprattutto, un vibrante appello alla tolleranza zero. Questi alcuni dei probabili punti fermi che papa Ratzinger inserirà nella lettera ai cattolici d´Irlanda, uno dei paesi maggiormente sconvolti dallo scandalo dei preti pedofili. È stato lo stesso Benedetto XVI ad annunciarlo ieri durante l´udienza in piazza San Pietro. Un annuncio quasi a sorpresa, con cui il Papa ha messo definitivamente a tacere le voci che negli ultimi giorni in Vaticano avevano messo in dubbio l´uscita della stessa lettera per i tanti altri casi di violenze sessuali di preti su minori emersi anche in Germania, Olanda, Austria e Svizzera. Di fronte alla vastità del fenomeno, più che ad un testo per un solo paese, Oltretevere stava prendendo forma l´idea di una "Istruzione" contro la pedofilia destinata a tutta la Chiesa. Ma ieri Ratzinger ha spazzato via ogni esitazione, autonomamente, incurante delle riserve emerse in Curia sulla utilità di chiamare in causa solo l´Irlanda, dando l´impressione di voler "dimenticare" gli altri paesi colpiti da analoghi scandali.
La lettera sarà firmata domani e distribuita - forse - lunedì prossimo. «Come sapete - ha detto salutando un gruppo di irlandesi -, negli ultimi mesi la Chiesa in Irlanda è stata pesantemente scossa in conseguenza della crisi degli abusi sui minori. Come segno della mia profonda preoccupazione - ha aggiunto - ho scritto una Lettera pastorale che tratta di questa dolorosa situazione. La firmerò nella solennità di San Giuseppe, il Custode della Sacra Famiglia e patrono della Chiesa universale, e la invierò subito dopo». «Chiedo a tutti voi - ha poi concluso - che la leggiate con cuore aperto e in spirito di fede. La mia speranza è che essa aiuti nel processo di pentimento, guarigione e rinnovamento». I circa 11 mila fedeli presenti all´udienza hanno ascoltato le parole del Papa con grande attenzione, disturbati solo da una breve protesta ad alta voce di un antiabortista, prontamente fermato dalla vigilanza.
La lettera ai fedeli d´Irlanda era stata annunciata lo scorso dicembre dopo un incontro in Vaticano tra il Papa e il primate della Chiesa irlandese, il cardinale Sean Brady, in seguito alla pubblicazione di 2 rapporti-shock del governo che accusavano le gerarchie ecclesiastiche di aver coperto gli abusi sessuali commessi per decenni da sacerdoti nell´arcidiocesi di Dublino su centinaia di minori. «Il Santo Padre con questa lettera darà lucidamente le necessarie indicazioni ai cattolici d´Irlanda, ma anche a tutti gli episcopati, su come sradicare la piaga della pedofilia nella Chiesa, facendo leva sulla tolleranza zero per quanti si macchiano di un crimine tanto abominevole ed orrendo», commenta il cardinale Josè Saraiva Martins, prefetto emerito della Congregazione per le cause dei santi.
Intanto un altro cardinale, Camillo Ruini, presidente del Progetto Culturale ed ex presidente Cei, dopo che negli ultimi tempi era stato piuttosto in disparte, torna alla ribalta con due importanti incarichi papali, la scrittura delle meditazioni per la Via Crucis del prossimo Venerdì Santo al Colosseo e la presidenza di una commissione vaticana che indagherà sulle presunte apparizioni mariane di Medjugorje. Due incarichi con cui Benedetto XVI sembra voglia di nuovo affidarsi ad un porporato di lungo corso come Ruini in un momento tanto delicato per la Chiesa cattolica.

Repubblica 18.3.10
Celibato
Perché entra in crisi il vincolo dei sacerdoti
Quella di Paolo non è semplice sessuofobia, ma è legata alla fine del mondo e al ritorno di Cristo: a che serve sposarsi e mettere al mondo dei figli?
di Vito Mancuso

La Genesi insegna che la relazione uomo-donna è scritta dentro l´umanità: la vera immagine di Dio non è il monaco, ma la coppia che diventa una carne sola

Si riapre il dibattito sull´obbligo imposto dalla Chiesa cattolica ai suoi ministri: la norma nasce con San Paolo e si afferma con la tradizione mistica e ascetica

«Non è bene che l´uomo sia solo», dice Dio di fronte al primo uomo. Per rimediare crea gli animali, ma l´uomo non è soddisfatto. Allora gli toglie una costola, plasma la donna e gliela presenta. A questo punto l´uomo non ha più dubbi: «Questa è osso delle mie ossa e carne della mia carne. La si chiamerà išà (donna) perché da iš (uomo) è stata tolta». Una voce fuori campo commenta: «Per questo l´uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola» (Genesi 2,23-24). Questa scena mitica, mai avvenuta in un punto preciso del tempo perché avviene ogni giorno, insegna che la relazione uomo-donna è scritta dentro di noi e che, ben prima dei genitali, riguarda la carne e le ossa. La Sacra Scrittura esprime così nel modo più intenso che noi siamo relazione in cerca di relazione, che viviamo con l´obiettivo di formare "una carne sola" e di compiere l´uomo perfetto, quello pensato da subito nella mente divina come maschio+femmina, secondo quanto insegna Genesi 1,27: «Dio creò l´uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò». La vera immagine di Dio, che è comunione d´amore personale, non è né il monaco né il prete celibe e neppure il papa, ma è la coppia umana che vive di un amore reciproco così intenso da essere "una carne sola". Per questo, secondo un detto rabbinico, «il celibe diminuisce l´immagine di Dio».
Lo stesso si deve dire della paternità e della maternità. Se Dio è padre che eternamente genera il Figlio e che temporalmente genera gli uomini come figli nel Figlio, la sua immagine più completa sulla terra sono gli uomini e le donne che a loro volta generano figli e spendono una vita di lavoro per farli crescere. Per questo la Bibbia ebraica considera la scelta celibataria di non avere figli qualcosa di innaturale che trasgredisce il primo comando dato agli uomini cioè "crescete e moltiplicatevi".
Naturalmente tutti sanno che Gesù era celibe, e così anche san Paolo. Ma mentre Gesù conservava una visione positiva del matrimonio, san Paolo giunge a ribaltare quanto dichiarato da Dio al principio dei tempi («non è bene che l´uomo sia solo») scrivendo al contrario che «è cosa buona per l´uomo non toccare donna» (1Cor 7,1). Per lui il matrimonio è spiritualmente giustificabile solo «a motivo dei casi di immoralità», nulla più cioè che un remedium concupiscentiae per i deboli di spirito che non sanno controllare le passioni della carne. L´apostolo non poteva essere più esplicito: «Se non sanno dominarsi, si sposino: è meglio sposarsi che ardere» (1Cor 7,9). Da qui sorge la visione che domina la tradizione occidentale che assegna una schiacciante superiorità morale e spirituale al celibato e solo un valore secondario al matrimonio. Da qui la chiesa latina del secondo millennio sarà portata a legare obbligatoriamente il sacerdozio alla condizione celibataria.
Ma su che cosa si fondava l´idea di Paolo? Qualcuno parla di sessuofobia, ma a mio avviso il motivo è un altro e si chiama escatologia: ovvero la sua ferma convinzione che «il tempo ormai si è fatto breve» (1Cor 7,29), che «passa la scena di questo mondo» (1Cor 7,31), che quanto prima cioè giungerà la fine del mondo con il ritorno di Cristo. La Prima Corinzi, lo scritto decisivo in ordine alla fondazione del celibato ecclesiastico, è dominata dall´attesa dell´imminente parusia (vedi 15,51-53): se Cristo tornerà a momenti, «al suono dell´ultima tromba», a che serve sposarsi e mettere al mondo figli?
Il mancato ritorno di Cristo al suono dell´ultima tromba ha portato naturalmente a moderare l´impostazione già nelle lettere deuteropaoline, tra cui in particolare quella agli Efesini i cui passi si leggono spesso durante le cerimonie nuziali, ma questo avrà solo l´effetto di giustificare il matrimonio in quanto sacramento, non di ritenerlo spiritualmente degno almeno quanto il celibato. Anzi, la tradizione ascetica e mistica dei padri della chiesa e della scolastica è unanime nell´affermare la superiorità indiscussa del celibato rispetto al matrimonio. Tommaso d´Aquino la sintetizza col dire che «indubitabilmente la verginità deve essere preferita alla vita coniugale» (Summa theologiae II-II, q. 152, a. 4), e il decreto del Concilio di Trento del 1563 arriva persino a scomunicare chi osi dire che «non è cosa migliore e più felice rimanere nella verginità e nel celibato che unirsi in matrimonio» (DH 1810). Una scomunica che, a ben vedere, colpisce lo stesso Dio Padre per quella sua frase imprudente all´inizio della Bibbia!
Oggi assistiamo alla fine abbastanza ingloriosa del modello di vita sacerdotale sancito dal Concilio di Trento, e in genere portato avanti nel secondo millennio cristiano, con il legare obbligatoriamente alla vita sacerdotale la scelta celibataria. I crimini legati al clero pedofilo (che la gerarchia conosceva e copriva per anni) stanno scavando la fossa, anzi hanno già scavato la fossa, alla falsa idea della superiorità morale e spirituale del celibato. Naturalmente non intendo per nulla cadere nell´eccesso opposto di chi ritiene la vita celibataria alienante e disumana a priori. Conosco preti celibi straordinari, modelli integerrimi di vita serena, pura, felicemente realizzata. Voglio piuttosto esprimere la mia ferma convinzione che ciò che conta per un uomo di Dio (perché nulla di meno il prete è chiamato a essere) sia avere l´anima piena della luce e della gioia del vangelo, e che a questo scopo la condizione migliore sarà per uno vivere nel celibato e per un altro metter su famiglia, a seconda del temperamento e dell´attitudine personali. Il che è esattamente quello che avveniva tra gli apostoli, come ci fa sapere san Paolo quando scrive che, a differenza di lui, «gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa» vivevano con una donna (1Cor 9,5). I capi della Chiesa non avevano ancora dimenticato che «non è bene che l´uomo sia solo».

Repubblica 18.3.10
Parla monsignor Girotti del Tribunale pontificio
La difesa della castità

La missione pastorale
"È un bene prezioso, a cui i cattolici non rinunceranno mai. È una scelta libera e radicale, che permette ai sacerdoti di svolgere la loro vita pastorale, la loro missione, con maggiore credibilità e competenza"

CITTA´ DEL VATICANO «Il celibato sacerdotale è un bene prezioso a cui la Chiesa cattolica non rinuncerà mai. Difficile, forse, da capire in una società come quella attuale sempre più dominata da consumismo, modelli edonistici, sfruttamento del sesso. Ma la Chiesa sa che col vincolo della castità, liberamente accettato e coltivato, i suoi sacerdoti sono più liberi di esercitare il loro ministero avendo come modello esclusivo e irrinunciabile Gesù Cristo». Non si scompone l´arcivescovo Gianfranco Girotti, Reggente della Penitenzeria Apostolica, il tribunale pontificio che ha competenza sui grandi peccati che possono essere assolti solo dalla Santa Sede, i cosiddetti delicta graviora. E vale a dire, la profanazione delle ostie consacrate; l´assoluzione del complice (quando un sacerdote rompe il celibato e assolve anche la persona con cui ha avuto un rapporto sessuale); la violazione del segreto confessionale; la consacrazione del vescovo senza autorizzazione del Papa; l´offesa alla persona del Pontefice. Moralista di fama, collaboratore del cardinale Ratzinger negli anni in cui l´attuale Pontefice era prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, monsignor Girotti considera «il celibato un bene assoluto per i sacerdoti, anche se non è un dogma di fede, ma una norma disciplinare che comunque rende più libero e più credibile l´esercizio pastorale dei consacrati».
Eppure, monsignor Girotti, sempre più frequentemente oggi si mette in dubbio la validità del celibato sacerdotale.
«È vero. Ma non è la prima volta e non sarà nemmeno l´ultima che si levano voci critiche sulla castità a cui sono chiamati i sacerdoti. Ma non significa che questa scelta non sia valida. La Chiesa sa che col celibato, liberamente scelto e abbracciato, i sacerdoti possono svolgere la loro vita pastorale con più credibilità e completezza. Anche se i modelli di vita che vengono imposti in una società secolarizzata come la nostra non sembrano in sintonia con una scelta tanto libera e radicale».
Ma, in concreto, un sacerdote quali vantaggi ha dal celibato?
«La sua missione pastorale è più illuminata perché ha come modello Cristo, il nostro Signore a cui tutti dobbiamo guardare. Sul piano più pratico, col celibato il sacerdote si dedica completamente alla guida della comunità senza dovere, ad esempio, pensare al mantenimento di una sua famiglia».
Nella Chiesa non sempre è stato così. Il celibato storicamente è stato imposto solo dopo il secondo millennio.
«Certo, perché si tratta di una legge disciplinare, non di un dogma di fede. Ma se la Chiesa ha fatto questa scelta avrà avuto i suoi motivi che sono validi ancora oggi e credo che lo saranno anche in futuro».
Nella Chiesa cattolica orientale, legata da sempre al Papa, però i sacerdoti si possono sposare. Non è un controsenso?
«No. È solo una tradizione che viene rispettata. Ma le posso assicurare che sono pochi i sacerdoti di rito orientale che decidono di sposarsi. I loro vescovi vengono, invece, scelti tra chi sceglie il celibato. Questo perché, in generale, anche la Chiesa d´Oriente guarda con rispetto alla castità sacerdotale».
Non è una scelta che può causare disturbi di natura psicologica e caratteriale?
«Il sacerdozio celibatario è un dono, una scelta libera e un servizio pastorale gratuito. L´importante è affrontarlo con discernimento e in piena consapevolezza, anche attraverso una attenta preparazione. Malgrado le difficoltà, è una scelta sempre valida e chi pensa che la Chiesa cattolica in un futuro più o meno lontano possa rinunciarvi, dice semplicemente una grande sciocchezza».

Repubblica 18.3.10
Un’anomalia sociale
di Marino Niola

Il "senza letto"
Il significato letterale di celibe è "senza letto", e molte culture ne hanno fatto un´arma per vivere meglio o per produrre performance fuori dal comune: gli sciamani siberiani erano spesso liberi da vincoli matrimoniali

Anche per altre culture la figura ha rapporti col sacro

Rimanere celibi senza volerlo è una grande infelicità. Sceglierlo è una grave colpa. Lo diceva il celebre filosofo Johann Gottlieb Fichte, riflettendo un´idea del celibato come anomalia e come pericolo per la collettività. Ma non è stato così né sempre né dovunque.
L´alternativa celibe è presente in moltissime società che ne hanno fatto addirittura un´arma decisiva per vivere meglio. Per mantenere l´equilibrio demografico ed ecologico tra uomini e natura come facevano gli Indios dell´America Latina. O per una libera scelta da edonisti primitivi, come facevano gli aristocratici abitanti dei mari del Sud. Ma anche per produrre performance al di fuori del comune, più adatte ai singoli che alle persone sposate. Gli sciamani siberiani, specialisti del rapporto con il soprannaturale, erano molto spesso liberi da vincoli matrimoniali che avrebbero impedito al loro spirito quella concentrazione e quella capacità di vedere oltre il quotidiano che erano una ricchezza a disposizione dell´intera comunità. Il volo sciamanico era l´espressione figurata di questa estrema libertà di andare oltre i limiti di un´esistenza ordinaria. Così la condizione di "senza letto" - questo è il significato della parola celibe - smetteva di essere un semplice difetto per trasformarsi in un vantaggio individuale e sociale. Ma anche in Occidente, a parte quello ecclesiastico, gli esempi di celibato felice non mancano. Il nostro immaginario è pieno di eroi scapoli. Dai cavalieri erranti ai tre moschettieri fino ai Superman e Batman dei nostri giorni. E forse non è un caso che i cacciatori di teste aziendali prediligano spesso i single. Cavalieri erranti del business in grado di saltare da un aereo all´altro, ma soprattutto di mettere a frutto la propria libertà. Naturalmente a potersi consentire molti celibi sono soprattutto le società dove il lavoro non dipende soltanto dal numero di braccia. E dove l´incremento demografico non è una necessità vitale. È così per l´opulento Occidente contemporaneo dove in molti paesi i single sono ormai maggioranza. Ma era così anche per i bellissimi polinesiani cui un clima da paradiso terrestre e una natura generosissima consentivano di non essere costretti a metter su famiglia per sopravvivere.
Il ruolo del celibato è per definizione inverso a quello della famiglia. E in certi casi non è meno necessario. Molte società riescono a sopravvivere proprio istituzionalizzandolo. Autorizzando per esempio l´amore omosessuale per quegli individui che non possono o non vogliono prendere moglie.
Claude Lévi-Strauss racconta che tra gli indios Nambikwara, che abitano le savane del Brasile centrale, la poligamia dei capi e la scarsità di donne disponibili costringevano al celibato gli uomini meno aggressivi. Che avevano a disposizione uno scivolo istituzionale nell´unione con il fratello della ragazza che avrebbero voluto sposare. Mentre in Melanesia e in Nuova Guinea ai maschi non sposati vengono affidate mansioni femminili, e i capi li considerano delle mogli supplementari, delle donne sui generis. Proprio come i Galli, i sacerdoti di Cibele e della dea Syria, divinità orientali veneratissime nella Roma imperiale, che vestivano con tonache femminili, si truccavano e parlavano in falsetto. Ma soprattutto si eviravano ritualmente offrendo così alla dea la loro virilità insieme al loro celibato. Un voto estremo che però non comprendeva la castità. Come racconta Apuleio nell´Asino d´oro, questi preti variopinti e scatenati praticavano la sodomia alla grande.
Insomma se la società è una macchina che deve fabbricare la vita, il celibe la fa girare a vuoto, producendo energia fine a se stessa. La forza di una civiltà sta nel riuscire a trasformare questa eccedenza di energia in un vantaggio per tutti.

Avvenire.8.3.10
Cosa c’è dietro gli scandali?
La recente esplosione delle accuse sessuali al clero di vari Paesi, con la riesumazione di vecchie storie e l’uso strumentale delle statistiche, lascia intuire la regia di lobby che vorrebbero generare ciò che i sociologi chiamano «panico morale»
di Massimo Introvigne

Si ritorna a parlare di preti pedofili, con voci e accuse che si riferiscono insistente­mente alla Germania e tentativi di coinvolgimento di persone vi­cine al Papa, e credo che anche la sociologia abbia molto da dire e che non debba tacere per il timo­re di scontentare qualcuno. La discussione attuale sui preti pe­dofili – considerata dal punto di vista del sociologo – rappresenta un esempio tipico di « panico morale » . Il concetto è nato negli anni 1970 per spiegare come al­cuni problemi siano oggetto di u­na « ipercostruzione sociale » . Più precisamente, i « panici morali » sono stati definiti come problemi socialmente costruiti, e caratte­rizzati da una amplificazione si­stematica dei dati reali, sia nella rappresentazione mediatica sia nella discussione politica. Altre due caratteristiche sono state ci­tate come tipiche dei «panici morali». In primo luogo, proble­mi sociali che esistono da decen­ni sono ricostruiti nelle narrative mediatiche e politiche come «nuovi», o come oggetto di una presunta e drammatica crescita recente. In secondo luogo, la loro incidenza è esagerata da statisti­che folkloriche che, benché non confermate da studi accademici, sono ripetute da un mezzo di co­municazione all’altro e possono ispirare campagne mediatiche persistenti. P hilip Jenkins ha sottolinea­to il ruolo nella creazione e gestione dei panici di « im­prenditori morali » le cui agende non sono sempre dichiarate. I « panici morali » non fanno bene a nessuno. Distorcono la percezio­ne dei problemi e comprometto­no l’efficacia delle misure che dovrebbero risolverli. A una cat­tiva analisi non può che seguire un cattivo intervento. Intendia­moci: i « panici morali » hanno ai loro inizi condizioni obiettive e pericoli reali. Non inventano l’e­sistenza di un problema, ma ne esagerano le dimensioni statisti­che. In una serie di pregevoli stu­di lo stesso Jenkins ha mostrato come la questione dei preti pe­dofili sia forse l’esempio più tipi­co di un « panico morale » . Sono presenti infatti i due elementi ca­ratteristici: un dato reale di par­tenza, e un’esagerazione di que­sto dato ad opera di ambigui « imprenditori morali » . Anzitutto, il dato reale di partenza. Esistono preti pedofili. Alcuni casi sono insieme sconvolgenti e disgusto­si, hanno portato a condanne de­finitive e gli stessi accusati non si sono mai proclamati innocenti.
 Questi casi – negli Stati Uniti, in Irlanda, in Australia – spiegano le severe parole del Papa e la sua ri­chiesta di perdono alle vittime.
 Anche se i casi fossero solo due – e purtroppo sono di più – sareb­bero sempre due casi di troppo.
 Dal momento però che chiedere perdono – per quanto sia nobile e opportuno – non basta, ma oc­corre evitare che i casi si ripeta­no, non è indifferente sapere se i casi sono due, duecento o venti­mila. E non è neppure irrilevante sapere se il numero di casi è più o meno numeroso tra i sacerdoti e i religiosi cattolici di quanto sia in altre categorie di persone. I so­ciologi sono spesso accusati di lavorare sui freddi nu­meri dimenticando che dietro ogni nume­ro c’è un caso umano.
 Ma i numeri, per quanto non siano suf­ficienti, sono necessa­ri. Sono il presupposto di ogni analisi adegua­ta. Per capire come da un dato tragicamente reale si sia passati a un « panico morale » è al­lora necessario chiedersi quanti siano i preti pedofili. I dati più completi sono stati raccolti negli Stati Uniti, dove nel 2004 la Con­ferenza episcopale ha commis­sionato uno studio indipendente al John Jay College of Criminal Ju­stice 
 della City University of New York, che non è un’università cat­tolica ed è unanimemente rico­nosciuta come la più autorevole istituzione accademica degli Sta­ti Uniti in materia di criminolo­gia. Questo studio ci dice che, dal 1950 al 2002, 4392 sacerdoti ame­ricani ( su oltre 109.000) sono sta­ti accusati di relazioni sessuali con minorenni. Di questi poco più di un centinaio sono stati condannati da tribunali civili. Il basso numero di condanne da parte dello Stato deriva da diversi fattori. In alcuni casi le vere o pre­sunte vittime han­no denunciato sa­cerdoti già defunti, o erano scattati i termini della pre­scrizione. In altri, all’accusa e anche alla condanna ca­nonica non corrisponde la viola­zione di alcuna legge civile: è il caso, per esempio, in diversi Stati americani del sacerdote che ab­bia una relazione con una – o an­che un – minorenne oltre i 16 an­ni e consenziente. M a ci sono anche stati molti casi clamorosi di sacerdoti innocenti ac- cusati. Questi casi si sono anzi moltiplicati negli anni 1990, quando alcuni studi legali hanno capito di poter strappare transa­zioni milionarie anche sulla base di semplici sospetti. Gli appelli alla « tolleranza zero » sono giusti­ficati, ma non ci dovrebbe essere nessuna tolleranza neanche per chi calunnia sacerdoti innocenti.
 Aggiungo che per gli Stati Uniti le cifre non cambierebbero in mo­do significativo se si aggiungesse il periodo 2002- 2010, perché già lo studio del John Jay College no­tava il « declino notevolissimo » dei casi negli anni 2000.
Le nuove inchieste sono state poche, e le condanne po­chissime, a causa di misure rigorose introdotte sia dai vesco­vi statunitensi sia dalla Santa Se­de. Lo studio del John Jay College 
 dice forse, come si legge spesso, che il 4% dei sacerdoti americani sono « pedofili » ? Niente affatto.
 Secondo quella ricerca il 78,2% delle accuse si riferisce a mino­renni che hanno superato la pu­bertà. Avere rapporti sessuali con una diciassettenne non è certa­mente una bella cosa, tanto me­no per un prete: ma non si tratta di pedofilia. Dunque i sacerdoti accusati di effettiva pedofilia ne­gli Stati Uniti sono 958 in 42 anni, 18 all’anno. Le condanne sono state 54, poco più di una all’an­no. Il numero di condanne pena­li di sacerdoti e religiosi in altri Paesi è simile a quello degli Stati Uniti, anche se per nessun Paese si dispone di uno studio comple­to come quello del John Jay Col­lege . 
 Si citano spesso una serie di rapporti governativi in Irlanda che definiscono « endemica » la presenza di abusi nei collegi e negli orfanotrofi (maschili) gesti­ti da alcune diocesi e ordini reli­giosi, e non vi è dubbio che casi di abusi sessuali su minori anche molto gravi in questo Paese vi siano stati. Lo spoglio sistemati­co di questi rapporti mostra pe­raltro come molte accuse riguar­dino l’uso di mezzi di correzione eccessivi o violenti. Il cosiddetto Rapporto Ryan del 2009 – che u­sa un linguaggio molto duro nei confronti della Chiesa cattolica – su 25.000 allievi di collegi, rifor­matori e orfanotrofi nel periodo che esamina riporta 253 accuse di abusi sessuali da parte di ra­gazzi e 128 da parte di ragazze, non tutte attribuite a sacerdoti, religiosi o religiose, di diversa na­tura e gravità, raramente riferite a bambini prepuberi e che ancor più raramente hanno condotto a condanne. Le polemi­che di queste ultime settimane riguardanti situazioni sorte in Germania e Austria mostrano una caratte­ristica tipica dei «pa­nici morali» : si presen­tano come «nuovi» fatti risalenti a molti anni or sono, in alcuni casi addirittura a oltre trent’anni fa, e in par­te già noti. Il fatto che – con una particolare insistenza su quanto tocca l’area geografica bavarese, da cui proviene il Papa – siano presentati sulle prime pagine dei giornali avvenimenti degli anni 1980 come se fossero avvenuti ie­ri, e ne nascano capziose polemi­che, nella forma di un attacco concentrico che ogni giorno an­nuncia in stile urlato nuove «sco­perte», mostra bene come il «pa­nico morale» sia promosso da «imprenditori morali» in modo organizzato e sistematico. Il caso che – come alcuni gior­nali hanno titolato – «coinvol­ge il Papa» è a suo modo da manuale. Si riferisce a un episo­dio in cui un sacerdote di Essen, già colpevole di abusi, fu accolto nell’arcidiocesi di Monaco e Fri­singa, di cui era arcivescovo l’at­tuale Pontefice, risale infatti al 1980. Il caso è emerso nel 1985 ed è stato giudicato da un tribu­nale tedesco nel 1986, accertan­do tra l’altro che la decisione di accogliere nell’arcidiocesi il sa­cerdote in questione non era sta­ta presa dal cardinale Ratzinger e non gli era neppure nota, il che non è strano in una grande dio­cesi con una complessa burocra­zia. Perché oggi un quotidiano tedesco decida di riesumare il ca­so, e sbatterlo in prima pagina 24 anni dopo la sentenza, dovrebbe essere messo in questione. Una domanda sgradevole – perché il semplice porla sembra difensivo, e non consola le vittime – ma im­portante è se essere un prete cat­tolico sia una condizione che comporta un rischio di diventare pedofilo o di abusare sessual­mente di minori – le due cose, come si è visto, non coincidono perché chi abusa di una sedicen­ne non è un pedofilo – più eleva­to rispetto al resto della popola­zione.
 Rispondere a questa do­manda è fondamentale per scoprire le cause del fenomeno e quindi per prevenir­lo. Secondo gli studi di Jenkins, se si paragona la Chiesa cattolica degli Stati Uniti alle principali denominazioni protestanti si scopre che la presenza di pedofili è – a seconda delle denominazio­ni – da due a 10 volte più alta tra i pastori protestanti rispetto ai preti cattolici. La questione è ri­levante perché mostra che il pro­blema non è il celibato: la mag­gior parte dei pastori protestanti è sposata. Nello stesso periodo in cui un centinaio di sacerdoti a­mericani era condannato per a­busi sessuali su minori, il nume­ro di professori di ginnastica e al­lenatori di squadre sportive gio­vanili – anche questi in grande maggioranza sposati – giudicato colpevole dello stesso reato dai tribunali statunitensi sfiorava i seimila. Gli esempi potrebbero continuare, e non solo negli Stati Uniti. Soprattutto, stando ai pe­riodici rapporti del governo ame­ricano, due terzi circa delle mole­stie sessuali su minori non ven­gono da estranei o da educatori – preti e pastori protestanti com­presi – ma da familiari: patrigni, zii, cugini, fratelli e purtroppo anche genitori. Dati simili esisto­no per numerosi altri Paesi. Per quanto sia poco politicamente corretto dirlo, c’è un dato che è assai più significativo: per oltre l’ 80% i pedofili sono omosessua­li, maschi che abusano di altri maschi. E – per citare ancora una volta Jenkins – oltre il 90% dei sa­cerdoti cattolici condannati per abusi sessuali su minori e pedofilia è omosessuale. Se nella Chiesa catto­lica può esserci stato effettivamen­te un problema, questo non riguar­da il celibato ma u­na certa tolleranza dell’omosessualità, in particolare nei seminari negli anni Settanta, quando veniva or­dinata la grande maggioranza di sacerdoti poi condannati per gli abusi. È un problema che Bene­detto XVI sta vigorosamente cor­reggendo.
 Più in generale il ritorno alla morale, alla disciplina asce­tica, alla meditazione sulla vera, grande natura del sacerdo­zio sono l’antidoto ultimo alle tragedie vere della pedofilia. An­che a questo deve servire l’Anno sacerdotale. Rispetto al 2006 - quando la Bbc mandò in onda il documentario - spazzatura del parlamentare irlandese e attivi­sta omosessuale Colm O’Gorman – e al 2007 – quando Santoro ne propose la versione italiana su Annozero – non c’è, in realtà, molto di nuovo, fatta salva l’ac­cresciuta severità e vigilanza del­la Chiesa. I casi dolorosi di cui più si parla in queste settimane non sono sempre inventati, ma risalgono appunto a venti o an­che a trent’anni fa. O, forse, qual­che cosa di nuovo c’è. Perché riesumare nel 2010 casi vecchi o molto spesso già noti, al ritmo di uno al giorno, attaccando sem­pre più direttamente il Papa – un attacco, per di più, paradossale se si considera la grandissima se­verità del cardinale Ratzinger prima e di Benedetto XVI poi su questo tema? Gli «imprenditori morali» che organizzano il pani­co hanno un’agenda che emerge sempre più chiaramente, e che non ha veramente al suo centro la protezione dei bambini. La let­tura di certi articoli ci mostra co­me lobby molto potenti cercano di squalificare preventivamente la voce della Chiesa con l’accusa più infamante e oggi purtroppo anche più facile, quella di favori­re o tollerare la pedofilia. 
 «Nel periodo in cui un centinaio di preti americani era condannato per abusi su minori, i professori di ginnastica e allenatori (quasi tutti sposati) giudicati colpevoli di identico reato sfioravano i 6000» «Dirlo non è politically correct, ma l’80% dei pedofili è omosessuale e oltre il 90% dei sacerdoti implicati è gay. Il problema dunque non è il celibato, ma una certa tolleranza in particolare nei seminari»


Repubblica 18.3.10
Il dialogo delle verità
Zagrebelsky: potere, stato e chiesa
di Carlo Galli

Nelle democrazie moderne le due entità non possono venire sovrapposte e serve un pluralismo
L´ultimo libro del giurista affronta il rapporto fra politica e fede nel governo dell´uomo
La ricostruzione storica mostra quando si spezza l´alleanza tra trono e altare
Il saggio rivela l´esigenza di una riscoperta delle caratteristiche della laicità

Merito del libro di Gustavo Zagrebelsky (Scambiarsi la veste. Stato e Chiesa al governo dell´uomo, edito da Laterza, pagg. 160, euro 16) è di afferrare il bandolo di quella complicata matassa che è il ritorno politico della religione - in cui si intrecciano la crisi dello Stato democratico, l´emergere di una diffusa indifferenza verso la religione, ma al tempo stesso anche la ricerca di un supplemento d´anima per una politica sempre più spezzettata, irrazionale, instabile - , e di ricostruire in una sintesi agile, informata, incisiva, la tormentata vicenda del dualismo occidentale fra potere e religione, misurando così le ragioni strutturali del problema.
Quel dualismo fra Stato e Chiesa nacque con l´affermazione - risalente a papa Gelasio, alla fine del V secolo - che la Chiesa, originariamente capace di politica (Cristo ha salvato l´umanità intera nel mondo, non i singoli uomini nel chiuso delle loro coscienze), è altra e superiore rispetto al potere politico mondano: nel disegno della Chiesa il dualismo serviva a creare una gerarchia, a proprio favore; il cristianesimo era la precondizione dell´esistenza politica - essere cristiano e essere cittadino erano la medesima cosa - , e quindi anche della legittimità dei poteri civili. La laicità, quindi, nasce nel mondo cristiano, ma indirettamente; non è una concessione della Chiesa né un esito immediato della religione, ma il risultato di una lotta di lungo periodo contro la pretesa di supremazia che la caratterizza da sempre.
Una pretesa che Zagrebelsky ripercorre nelle sue varie forme - la ierocrazia medievale, e la teoria moderna di Bellarmino della potestas indirecta, ossia l´offerta di sostegno ai re e la parallela affermazione che i cattolici possono essere chiamati dal papa a disobbedire ai loro governanti - . La modernità politica spezza proprio questa alleanza fra trono e altare, e la Chiesa entra in conflitto frontale con il mondo moderno e la sua politica: l´Ottocento è così segnato dal rifiuto del liberalismo e della libertà che questo offriva alla religione (libera Chiesa in libero Stato). Ma nonostante questo arroccamento politico e dottrinario la Chiesa si aprì verso la società, per mobilitare masse cattoliche tendenzialmente antistatali, e per non lasciarle al socialismo; alla fede ormai non più coincidente con la cittadinanza sostituì, con la Rerum Novarum di Leone XIII, la propria dottrina sociale quale centro di una strategia di riappropriazione della politica. La Chiesa inizia così a proporsi come indispensabile non solo per la salvezza ma anche per tenere unita la società che l´insipienza e l´ingiustizia dei laici compromette alle radici.
La conciliazione, brevissima, col Moderno è vista da Zagrebelsky nel Concilio Vaticano II, in cui la Chiesa si rivolge a tutti gli uomini di buona volontà, e chiede di potere servire l´umanità, di difenderne la dignità e i diritti alla luce dell´insegnamento evangelico; il pluralismo delle opinioni politiche e sociali è accettato, e ci si apre anche all´idea della libertà religiosa. Ma, nota Zagrebelsky, il problema sta nel mai allentato rapporto della Chiesa con la Verità: un rapporto che la rende un ospite assai ingombrante nella democrazia, che può facilmente apparire alla Chiesa come nichilismo e instabilità, e destinata alla dissoluzione, se non interviene la Chiesa stessa, come una teologia civile o politica, a sostenerla.
Nell´ormai matura crisi dello Stato moderno, ecco quindi, da Giovanni Paolo II in poi, lo scambio di veste fra Chiesa e Stato - entrambi in gara per governare razionalmente gli uomini - , a cui allude il titolo del libro. Non più ostile in linea di principio alla politica della ragione, la Chiesa con Benedetto XVI (il discorso di Ratisbona) pretende di incarnare in sé la ragione umana al suo grado più alto, di essere l´erede della filosofia greca (intellettualmente preferita alla radice ebraica) e della riflessione filosofica non corrotta (cioè non protestante, non individualistica, non razionalistica): di essere insomma veramente razionale (non razionalistica), veramente laica (non laicista), veramente politica, oltre che veramente salvifica. Verità e ragione si unificano, nella teologia politica cattolica, contro la "dittatura del relativismo", a riaffermare un protettorato cattolico sulla società, della quale la Chiesa rivendica di essere l´origine e la sintesi, sempre operante e vigilante: ancora una volta, extra Ecclesiam nulla salus, fuori dalla Chiesa non c´è salvezza. Questa struttura pedagogica agisce in nome della Verità (come anche l´ultima enciclica mostra già nel titolo), e quindi potenzialmente relega nell´errore chi non è d´accordo (costringendolo a vivere, appena tollerato, in un mondo dai cui principi è escluso, o nei quali è assimilato); il papa chiede che tutti si comportino come se Dio esistesse, e fosse il fondamento della società. Dopo la stagione conciliare di "credere senza appartenere", oggi i religiosi e anche parecchi laici (gli "atei devoti") vogliono che la politica si svolga all´insegna di un appartenere senza credere, che trasforma la cittadinanza democratica in una sorta di comunità a sfondo confessionale.
Zagrebelsky con forza non settaria pone in evidenza la difficoltà del dialogo fra laici e cattolici, su queste basi; la religione di cui la democrazia ha bisogno accetta infatti il relativismo, il pluralismo, mirando all´unica verità che la democrazia riconosce, l´umanistica affermazione della libertà, dell´uguaglianza, della responsabilità e dell´autonomia. Insomma, la democrazia chiede che gli uomini si comportino politicamente come se Dio non esistesse, e che trovino in se stessi - e non in fondamenti autoritari - la forza di essere liberi e giusti. La democrazia non ha paura di essere priva di fondazioni metafisiche; questo vuoto, infatti, è la condizione stessa della sua missione, che consiste nel far fiorire le contingenze particolari, i progetti di vita degli uomini e delle donne, in uguale dignità e libertà.
Dobbiamo quindi essere grati a Zagrebelsky per la chiarezza e la serenità con cui mostra la distanza - il non possumus laico, speculare ai diktat della Chiesa su tanti aspetti della vita sociale e politica - fra l´attuale posizione della Chiesa e la democrazia. Una distanza - il vero volto del dualismo occidentale - che, mentre indica l´esigenza di una radicale riscoperta delle caratteristiche imprescindibili della laicità, enfatizza la non sovrapponibilità fra politica e fede, fra sfera mondana e sacro, e mette in tensione libertà e obbedienza, rifiutando vecchi e nuovi fondamentalismi.

Corriere della Sera 18.3.10
Le accuse delle università e il boicottaggio di Iraele
risponde Sergio Romano

il Riformista 18.3.10
Perché il futuro è di Nichi
di Piero Sansonetti

il Riformista 18.3.10
Emma in libreria
Simil-Warhol l’alfabeto pop della Bonino
di Cinzia Leone

Avvenire 17.3.10
E i neo-atei si fanno «chiesa»
In Australia il primo raduno internazionale dei senza Dio. Il non credere oggi si organizza come un qualsiasi gruppo religioso
di Lorenzo Fazzini

Melbourne: religioni battono atei 3 a 0. Non è il risultato di un singolare match tra credenti e senza Dio. Ma il confronto tra il primo raduno mondiale degli atei, svoltosi nel weekend a Melbourne, ed un meeting interreligioso tenutosi sempre colà a dicembre. Sotto il nome di «L’ascesa dell’ateismo», la metropoli australiana ha appena ospitato la 2010 Global Atheist Convention. Se i 2500 biglietti per l’Exhibition Centre son stati esauriti, è stata la Bbc a far notare che il Parlamento delle religioni aveva radunato un numero di persone tre volte più numeroso. Per la Convention han funzionato da gran cassa mediatica i nomi di
Richard Dawkins, il biologo iper­ateo, e Peter Singer , il filosofo di Princeton «nemico» della dignità umana e teorico dei diritti degli animali. E per giugno si preannuncia il primo incontro europeo dei senza Dio: l’appuntamento è dal 18 al 20 giugno a Copenaghen, in Danimarca, per «Gods & Politics», organizzata dalla Danish Atheist Society e dalla Atheist Alliance International (AAI), sponsor dell’evento australiano. A ben guardare, il fenomeno del nuovo ateismo – che annovera la triade Cristopher Hitchens , Sam Harris e il citato Dawkins – si presenta con tutti i crismi di una chiesa. Con strutture, modalità, espressioni (perfino tic) di ogni organismo religioso organizzato. Proprio sul Sydney Morning Herald c’è chi constata che il nuovo ateismo ha tutte le caratteristiche di una chiesa. Lo scrive Tamas Pataki, docente in filosofia alla Melbourne University, che ha criticato così il movimento ateo: «Ha iniziato a fare convention come una religione, con i suoi preti, i suoi apostoli e seguaci». Gli esempi di questo ateismo «ecclesiastico»? Eccoli. Già le assemblee di Melbourne e Copenaghen possono richiamare i concili della Chiesa cattolica come grandi assemblee internazionali.
Basta scorrere l’elenco degli intervenuti alla kermesse nella terra dei canguri: PZ Myers , biologo dell’Università del Minnesota; Catherine Deveny, scrittrice, editorialista del quotidiano australiano The Age; Taslima Nasreen, nota poetessa e dissidente del Bangladesh: ha presentato l’islam come contraltare nemico del nuovo ateismo; Anthony Grayling , docente di filosofia al Birkbeck College di Londra.
Come ogni «chiesa», anche il nuovo ateismo ha i suoi testimoni. A Melbourne è stato ospite d’onore Dan Barker , per 19 anni predicatore evangelico (fu anche missionario in Messico), ora fervente ateista e presidente della Freedom From Religion Foundation. Dawkins l’ha definito «l’esempio più eloquente di delusione interiore che io conosca». Gli atei poi cercano di non incorrere nel pericolo del proselitismo: come segnala la Bbc, «i partecipanti della Convention sono stati invitati ad evitare uno zelo missionario nel promuovere il messaggio non-religioso». Epperò un po’ di lobbying ci vuole, come spiegava la convocazione dell’assemblea australiana: «Più grande sarà questo incontro, più forte sarà il segnale che manderemo alle istituzioni religiose e politiche australiane che l’ateismo è una forza con cui fare i conti». Anche il new atheism ha la sua censura. È recente la notizia – lanciata dal The Telegraph , ripresa dal Foglio – che il sito di Dawkins non dispone più di un libero accesso: i commenti ora vengono vagliati prima della pubblicazione.
Una mossa che ha causato la ribellione degli utenti, facendo scrivere al quotidiano inglese di «censura web». Mentre in Italia i senza dio (minuscolo!) hanno anche una loro rivista, «Non credo», edita dalla Fondazione Religionsfree, intitolata al suo presidente Paolo Bancale. Gli atei organizzati ecclesiasticamente, inoltre, non mancano in filantropia. Ma se in Georgia (Usa) la nuovissima Foundation Beyond Belief vuole mostrare il volto a­teologico della carità, il risultato per ora è pessimo: l’ente caritativo ha sollecitato «atei e non credenti a donare di più in modo da mostrare che la loro generosità uguaglia quella delle persone religiose». Nei primi 2 mesi di vita la Foundation ha raccolto appena 6.500 dollari tra i suoi 250 soci, segnala l’agenzia Religion news service . L’obbiettivo dei 500 mila dollari entro l’anno sembra utopistico. Ma a fianco di questi apostoli dell’ateismo brillano esempi che smentiscono la loro negazione di Dio. Anthony Flew, celebre filosofo inglese, autore (nel 1950) di Theology and Falsification, ha dato conto in There is a God di «come il più celebre ateo ha cambiato idea». Un caso che incendiò il mondo accademico anglosassone, tanto che Dawkins – in La delusione di Dio – indicò nella scelta di Flew un «voltafaccia senile». Salvo subire dall’anziano pensatore britannico una piccata replica, condita dall’epiteto di «bigotto laico». Lo stesso autore di Dio non è grande deve «difendersi» in famiglia: il fratello Peter Hitchens ha pubblicato questa settimana The Rage Against God in cui racconta il suo passaggio dall’ateismo alla fede. E che la religione cristiana conquisti le future élite d’America l’ha affermato che René Girard . Il quale – come riferisce il giornalista francese Jean-Marc Bastière – annota: «Osservo una nuova attrazione verso il cristianesimo da parte degli studenti più brillanti di Stanford», l’università californiana dove insegna l’antropologo francese. E ad Harvard è in corso la querelle – ne ha dato conto di recente Newsweek – se la religione debba diventare materia di studio obbligatoria per gli studenti. A capeggiare la richiesta è il premio Pulitzer Louis Menand , per il quale gli alunni «devono affrontare almeno un corso della categoria Ragione e Fede». Vallo a spiegare a quei senza Dio di Melbourne!

Repubblica 17.3.10
Hans Jonas. Sulla bontà della natura umana
di Vito Mancuso

Esce da Aragno un testo inedito del filosofo ricco di riflessioni sul rapporto tra Dio, etica e libertà Un´opera contro il pessimismo antropologico di San Paolo e di Sant´Agostino
Il libro aiuta a capire il pensiero cristiano
Nella Chiesa ci sono sempre stati i pelagiani

Esce in Italia, in prima edizione mondiale, un testo inedito di Hans Jonas. Il che, in un momento nel quale ci sono non pochi motivi per lamentarsi di essere italiani, è già una buona notizia. L´evento è stato possibile grazie al "fortunato ritrovamento" (così Emidio Spinelli, il fortunato ritrovatore) presso il "Philosophisches Archiv" dell´Università di Costanza di alcuni manoscritti del grande filosofo ebreo, nato in Germania nel 1903, morto a New York nel 1993, una vita ai più alti livelli della professione filosofica accanto a personaggi quali Husserl, Heidegger, Bultmann, Jaspers, non senza essere stato volontario della Brigata ebraica dell´esercito inglese durante la Seconda guerra mondiale e aver combattuto in Italia ("il mio amore per l´Italia, da sempre esistente, si mutò allora in un amore per gli Italiani" scrive nelle sue straordinarie memorie) e volontario dell´esercito israeliano nella guerra di indipendenza del 1948.
Insomma un filosofo impegnato, uno per il quale il valore delle più alte speculazioni teoretiche si misurava sulla capacità di incidere in positivo sul mondo, uno che dalle rarefatte altezze degli studi sullo gnosticismo o di un saggio su Heidegger e la teologia giungeva a parlare di microbi, gameti e zigoti, di morte cerebrale e di clonazione, e il cui capolavoro non a caso è Il principio responsabilità (1979), una rinnovata fondazione dell´etica di cui l´amica Hannah Arendt gli scrisse "questo è il libro che il buon Dio aveva in mente per te".
I manoscritti ritrovati presentano un ciclo di lezioni tenute da Jonas nel 1970 presso la "New School for Social Research" di New York, intitolate allora Problems of Freedom e oggi pubblicate (a cura dello stesso Spinelli con la collaborazione di Angela Michelis) col titolo Problemi di libertà (Aragno, pagg. 466, euro 35). Il volume, oltre a un´eccellente traduzione e a tutti gli strumenti editoriali del caso, offre anche il testo inglese originale, com´era doveroso visto che si tratta di una prima mondiale.
Il testo si divide in due parti, la prima dedicata all´analisi della filosofia greca, in particolare stoica, la seconda all´analisi del pensiero cristiano, in particolare del filone che parte da san Paolo e raggiunge il vertice con sant´Agostino. Tra le due prospettive Jonas istituisce una netta contrapposizione, perché mentre secondo gli stoici le minacce alla libertà vengono dall´esterno e la difesa consiste nel raccoglimento, nella cittadella interiore del sé, unico luogo dove l´uomo è veramente al sicuro, per la prospettiva cristiana le più grandi minacce alla libertà sono all´opposto quelle che scaturiscono dall´interno dell´uomo e la difesa consiste nell´uscita da sé, nella conversione. Mentre cioè per gli stoici la libertà si attua come autonomia secondo un ottimismo antropologico per il quale "l´uomo è davvero padrone in casa sua" (ribaltando il celebre detto di Freud ripreso spesso da Jonas), per i cristiani la libertà si attua come relazione, come uscita da sé verso l´altro, perché "l´uomo si trova senza sostegno nell´ambito del proprio sé, e la fiducia che l´uomo sia padrone in casa sua è svanita". L´affermarsi del cristianesimo ha fatto sì, annota Jonas, che "troviamo questa verità in tutta la moderna psicologia".
Ma, come detto, il cristianesimo analizzato da Jonas è quello di Paolo portato a consacrazione da Agostino, che contiene molto di più rispetto alla semplice e sana diffidenza verso il proprio sé insegnata da Gesù e peraltro già conosciuta anche dal mondo greco-romano, come attesta la celebre frase di Ovidio Video meliora proboque, deteriora sequor ("Vedo e lodo ciò che è meglio, faccio ciò che è peggio"), esperienza universale vissuta da ogni uomo alle prese con lo scarto tra la morale oggettiva accolta nella mente e la prassi soggettiva spesso incoerente.
Paolo, superando di molto questa semplice diffidenza verso di sé, sostiene, come riassume bene Jonas, che "lo strumento proprio del mio sforzo morale, la Legge, diventa per me uno strumento di fallimento". Non si tratta cioè di un fallimento soggettivo del singolo quanto di un fallimento oggettivo della Legge morale, dell´impossibilità da parte del più alto e sincero sforzo umano di essere all´altezza della giustizia, e quindi di un fallimento dell´umanità nella sua più sincera volontà di giustizia. Ne viene che nessuno per Paolo può essere giusto, che tutti hanno bisogno di essere fatti giusti. La giustizia, nel cristianesimo paolino, diviene giustificazione.
Che il cristianesimo però non sia monolitico è proprio la questione della libertà a mostrarlo, come appare nella dura controversia tra Agostino e il monaco Pelagio analizzata acutamente da Jonas con pagine di straordinaria efficacia (e di maggiore vicinanza a Pelagio). In realtà però il conflitto sulla consistenza della libertà emerge già a partire dal Nuovo Testamento con la polemica di Giacomo contro Paolo: "Ma vuoi capire, o insensato, che la fede senza le opere non ha valore?" (Giacomo 2,20), diretta risposta del fratello di Gesù al nucleo dell´insegnamento paolino della salvezza per sola fede. Ha quindi ragione Jonas a scrivere che "ci sono sempre stati dei pelagiani nella Chiesa cristiana", prima e dopo Pelagio aggiungo io, se per pelagiani si intende la fiducia di fondo nell´uomo e nella sua libertà come capace, pur non senza fatica e tortuosità, di decidersi per il bene e la giustizia. Anzi io penso che oggi non sia più sostenibile il radicale pessimismo antropologico di Agostino, o per meglio dire del secondo Agostino, perché uno dei meriti di Jonas è mostrare come anche Agostino non sia stato "agostiniano" nella prima fase della sua teologia.
Io penso che l´agostinismo secondo cui "l´uomo è inadeguato per principio di fronte alle richieste di Dio", sia all´origine della religione come inimicizia verso l´umano, di quella religione che per esaltare Dio ha bisogno di abbassare l´uomo e che per questo ha causato e causa molte forme di ateismo. Ora, che l´uomo spesso sia ingiusto ed egoista basta aprire gli occhi per rendersene conto, ma questo non significa che sia condannato dalla sua stessa natura a essere ingiusto, che lo sia sempre e comunque per il fatto stesso di essere uomo, come invece afferma Agostino. Rifiutare l´agostinismo significa rifiutare di dividere gli uomini a seconda della fede, e ammettere con gioia che anche i non cristiani possono essere giusti, buoni, retti, e quindi salvi. Significa, in altri termini, avere fiducia nella capacità di bene della libertà umana nella sua dimensione naturale. È quanto sostiene l´ebraismo, che non a caso non conosce il dogma del peccato originale, e da cui vengono parole come queste: "Se vuoi, osserverai i comandamenti; l´essere fedele dipenderà dal tuo buon volere. Egli ti ha posto davanti il fuoco e l´acqua; là dove vuoi stenderai la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà" (Siracide 15,15-17).
Il punto è che oggi non è più possibile essere agostiniani. Il mondo di Agostino era un mondo piccolo, sia nel tempo (meno di 5000 anni) sia nello spazio (il bacino del Mediterraneo), mentre oggi sappiamo quanto la storia dell´umanità sia molto più estesa, sia nel tempo (160.000 anni dall´origine dell´Homo sapiens) sia nello spazio (le migliaia di razze, di lingue, di culture, di religioni). Ciò porta necessariamente a ridimensionare la pretesa paolina e agostiniana, divenuta centrale in tutte le forme di cristianesimo, di legare la libertà degli uomini alla grazia scaturita dal singolo evento storico della croce di Cristo, per porre invece al centro la Gratia creationis, cioè la grazia legata alla stessa vita naturale, concepita dal Creatore in modo da offrire già da sempre alla lunghissima storia del genere umano la possibilità della vita buona e giusta, e quindi realmente libera.
Interessante è un´osservazione di Jonas sulla differenza tra Gesù e il pessimismo antropologico paolino: "Certamente ciò non è nel metodo d´insegnamento originario di Gesù di Nazaret. Il metodo di Gesù e il metodo della Chiesa riguardante Gesù il Cristo non sono la stessa cosa e non devono essere identificati". Peccato che Jonas non abbia approfondito chiedendosi da che parte collocare Gesù in ordine alla questione della libertà, se con l´ebraismo e con Giacomo e quindi col cristianesimo umanistico di Origene, Pelagio, Pico, Erasmo, Molina, Bonhoeffer, Tillich, Teilhard de Chardin, oppure con il cristianesimo antiumanistico di Paolo, Agostino, Lutero, Calvino, Bañez, Pascal, Kierkegaard, Barth. Basta comunque leggere i Vangeli per capire che Gesù, da buon ebreo, pur consapevole della capacità di male della libertà, ha sempre creduto alla sua reale possibilità di praticare la giustizia. Altrimenti non avrebbe mai potuto dire "rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori" (Matteo 6,12). Tra i meriti del testo di Hans Jonas c´è anche quello di aiutare i cristiani a discernere meglio le luci e le ombre del loro grande patrimonio spirituale.

mercoledì 17 marzo 2010

il Fatto 17.3.10
Regime, scene di un crollo
di Furio Colombo

Un giorno qualcuno potrà dividere il regime Berlusconi (finora quindici anni ininterrotti) in tre periodi: quello del finto innocente, della negazione risoluta davanti ai fatti. Chi, io? ma io mi dimetterei immediatamente se fosse vero; quello in cui comincia lui e poi si guarda intorno smarrito come nel gioco “lo schiaffo del soldato”; quello della rivendicazione del fatto (o reato) compiuto come di un naturale e legittimo diritto. E la violenta denuncia: “Ci dobbiamo difendere”.
Ho detto “quindicennio ininterrotto” del regime Berlusconi nonostante due periodi (uno molto breve) di governo del centrosinistra a causa di due trovate di Berlusconi che spero gli storici non trascureranno. Il primo è di agire, in democrazia, con la trovata di sospendere la democrazia nel suo partito. Ciò gli dà uno spazio di libertà (a parte i soldi, a parte il conflitto di interessi) che i suoi avversari, appesantiti dalla necessità del consenso, non possono fronteggiare. Il secondo è di non governare mai e di fare opposizione, anzi campagna elettorale sempre. Per farlo deve arrecare danno – e lo fa – alla Repubblica. Il danno più grave è portarsi via – forse solo a causa del suo fascino leaderistico – potenti funzionari dello Stato, guardiani delle garanzie, verificatori e tutori della legalità, notai della vita istituzionale e della vita pubblica. Clamoroso è il caso dell’Autorità delle Comunicazioni. Comincia il crollo del regime. Si vedono ovunque nel Pdl crepe, lacerazioni, perdite di rispetto. Le barzellette rimbalzano tra sms ed e-mail, tra l’Italia e il mondo. Quella che trovate oggi sul telefonino spiega: “E’ vero che non si può accusare Berlusconi di abigeato (furto di bestiame) come titola Il Giornale. Ma è perché si è già portato via tutte le pecore”.
Il fatto è che sta facendo crollare la Repubblica e con lui cadono nel vuoto i lavoratori senza fabbrica, i precari senza contratto, le aziende svendute senza padrone. Ma con lui cominciano a cadere anche pezzi importanti delle Istituzioni repubblicane. Per ogni regola è stato legiferato uno strappo. Per ogni strappo ci vuole un garante a rovescio. Un garante della illegalità. Sarà una lista lunga e un danno immenso.

l’Unità 17.3.10
Chiesa: abuso di castità
di Bruno Gravagnuolo

Dunque per Monsignor Fisichella, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, pedofilia e abusi sui minori nella Chiesa, dipendono da «una cultura che ritiene che tutto sia ammissibile», diffusasi dagli anni ’60. Ovvero: non è stata la repressione sessuale a favorire certe pratiche. Bensì la libertà sessuale degli anni 60, etc. Curioso modo di ragionare! Ipocrita e irritante. Che la dice lunga su certi orientamenti culturali di questo pontificato, di cui il teologo Fisichella voluto in quel ruolo da Ratzinger pare espressione, almeno in questo caso. Lasciamo da parte il fatto che la Chiesa di Roma ha sempre secretato gli abusi, facendo divieto di rivelare il contenuto dei processi nei tribunali canonici. E che solo quando certi fatti gravi esplodono è poi costretta a dar mostra di intervenire. Il punto è un altro. E sta nel dato incontrovertibile che la Chiesa-Istituzione è sempre stata impermeabile a qualsivoglia ideologia libertaria relativa a sesso e sessualità. Perseverando nella chiusura ermetica su anticoncezionali, celibato, sacerdozio femminile, divorzio, per non parlare di aborto e fecondazione artificiale. E perseverando nell’additare nella castità un perficere perfectum, una meta ideale pure per i laici, fatto salvo l’obbligo di generare per i coniugati. Talché prendersela con la liberazione sessuale è un discorso da carceriere, che davanti a certe evasioni se la prende con le catene troppo lasche. Fughe che purtroppo non sono preti che gettano la tonaca alle ortiche, ma spesso preti che esprimono la loro libido repressa in modo distorto, restando ligi al sacerdozio. È il destino dello zelo ipocrita: il diavolo sessuale cacciato dalla porta rientra dalla finestra. Svelando altarini desolanti: sadismi, violenze, abusi. Con esistenze ireparabilmente rovinate. E arcivescovi e vescovi che coprono i misfatti e tacciono, ad maiorem dei gloriam. Per inciso: il colmo della beffa è che a difendere il tradizionalismo c’è il pio Berlusconi, devoto di Don Verzè. Che dichiara di non aver bisogno di dirgli i suoi peccati, quando si confessa con lui!

Repubblica 17.3.10
"Pedofilia, circolare del Papa a tutta la Chiesa"
Allargata la prevista esortazione all´Irlanda. Ratzinger: ora tolleranza zero
Il Pontefice invierà istruzioni ampie e dettagliate per combattere il male degli abusi
di Orazio La Rocca

CITTÀ DEL VATICANO - La Chiesa cattolica oggi - 17 marzo - festeggia come ogni anno S. Patrizio patrono d´Irlanda. La ricorrenza, però, cade in uno dei momenti più funesti per la Chiesa irlandese travolta dagli scandali dei preti pedofili. La giornata odierna - inoltre - era stata indicata come la possibile data della pubblicazione dell´attesissima lettera che - secondo quanto annunciato il mese scorso dalla Santa Sede - Benedetto XVI avrebbe in animo di scrivere durante la Quaresima ai cattolici irlandesi sconvolti dalle notizie sulle violenze sessuali su bambini commesse negli anni passati da preti e religiosi. Ma quasi nessuno in Vaticano sembra disposto a giurare che oggi la lettera all´Irlanda possa vedere la luce.
Stando a quanto filtra dalla Curia pontificia, Ratzinger non avrebbe ancora deciso cosa fare, preso in contropiede dagli altri analoghi casi di abusi sessuali emersi in altri paesi europei. In particolare in Germania, in Olanda, in Austria, e con qualche caso denunziato pure in Italia. «Pensare che il Santo Padre possa scrivere una lettera ai cattolici irlandesi per i casi di pedofilia tra il clero ora sembra piuttosto difficile, anche se la Sala stampa vaticana ha già annunciato che la lettera uscirà entro Pasqua», si apprende nel Palazzo apostolico. «Dopo tutto quello che sta emergendo, perché scrivere solo ai cattolici irlandesi? E i tedeschi? E gli altri paesi colpiti dagli stessi problemi?», si chiedono Oltretevere, specialmente in ambienti vicini alla Penitenzeria Apostolica, l´organismo pontificio che sovrintende al sacramento della confessione per i peccati più gravi di competenza papale come l´aborto e, appunto, la pedofilia. Da qui la convinzione che sta prendendo piede in Curia che papa Ratzinger abbia ormai maturato l´idea di scrivere - non una lettera ai cattolici irlandesi - ma una più «ampia e dettagliata» Istruzione su come combattere il «male» della pedofilia nella Chiesa, invocando la «tolleranza zero», il ricorso anche alla giustizia civile per i responsabili, ma tracciando pure nuove norme per la formazione dei preti e l´accesso nei seminari per i novizi.
«Da tempo si parla di una lettera e qualcuno ora anche di una Istruzione, ma di ufficiale non si sa ancora nulla. È un tema su cui spetta decidere solo al Santo Padre», commenta l´arcivescovo Francesco Girotti, reggente della Penitenzerie Apostolica, che proprio oggi sull´Osservatore Romano ha illustrato la conclusione dei lavori della riunione annuale della Penitenzeria alla quale hanno partecipato circa 150 confessori. Tra i temi trattati, i peccati di aborto e pedofilia. «I penitenti che ammettono di aver procurato l´interruzione di gravidanza - spiega Girotti - possono essere assolti solo dal vescovo; chi invece pecca per violenze sessuali sui minori può rivolgersi al prete. In nessun caso, però, il confessore può rompere il segreto denunciando i peccatori alle autorità civili perché il vincolo della confessione è intoccabile».

Repubblica 17.3.10
Veneto, la Madonna è un business un giro turistico tra le apparizioni
La Lega: itinerario tra santuari e cappelle votive. Cacciari: disgustoso
di Roberto Bianchin

Tour in nove tappe tra le province di Treviso e Venezia organizzato dagli enti locali
Il ministro Zaia: se vinco le elezioni inserirò le radici cristiane nello statuto regionale

VENEZIA - Se ne stava sulla spiaggia a guardare il mare, Natalino. Non aveva ancora compiuto quattordici anni, e faceva il pescatore sull´isoletta di Pellestrina, una lingua di terra tra mare e laguna. Quando gli apparve una donna bellissima, mai vista prima, che lo chiamò, «vien qua fio», e gli parlò in dialetto. Gli disse di andare dal parroco e di fargli celebrare delle messe per le anime del purgatorio, «se volemo aver vitoria». Si racconta che Natalino Scarpa De Muti obbedì alla Madonna, e la flotta della Serenissima sconfisse vicino a Corfù i Turchi che erano ormai giunti alle porte dell´Adriatico. Era il 1716.
È una delle "apparizioni mariane" approvate e celebrate dalla Chiesa. Una delle molte. Nel corso dei secoli la Madonna sarebbe apparsa almeno una decina di volte nel cattolicissimo Veneto. E non dev´essere un caso se a due amministratori della Lega, il partito che più ha raccolto l´eredità popolare della Dc, è venuta la brillante idea di mescolare sacro e profano, fede e affari, varando un percorso turistico-religioso sui «luoghi del culto mariano», incentrato su un itinerario delle apparizioni in nove tappe. «La fede e il pellegrinaggio sono stati per molti secoli le principali forme di visitazione pacifica del mondo - spiegano i promotori dell´iniziativa, il vicepresidente della giunta regionale Franco Manzato e il presidente della Provincia di Treviso Leonardo Muraro - non c´è dunque contrasto tra religione e turismo. Recuperare e valorizzare i cammini religiosi costituisce anzi un´operazione culturale e di civiltà, identitaria per il Veneto in un mondo che sembra voler diventare asettico rispetto alla propria storia». Infatti il ministro Luca Zaia promette che, se sarà eletto governatore, inserirà nello statuto della Regione le "origini cristiane" del Veneto. Ma la nuova "crociata" della Lega non è gradita a molti. Massimo Cacciari, uomo che dialoga da sempre col mondo cattolico, l´accoglie con una smorfia di fastidio. «La Lega che si appropria della fede è una strumentalizzazione così bassa e meschina che non avrà alcuna influenza su niente e nessuno, e sicuramente sortirà l´effetto opposto a quello sperato». Per il sindaco di Venezia, la Lega «è estranea a ogni sentimento cristiano». E la loro idea di organizzare addirittura i pellegrinaggi «non merita alcun commento, tanto è disgustosa».
La leggenda della fede riscritta in salsa leghista racconta che la Madonna apparve sette volte in provincia di Treviso, due in quella di Venezia. A Robegano guarì, nel 1534, una fanciulla storpia, di nome Costantina, mentre a Motta di Livenza, quando nel 1510 apparve a Giovanni Cigana, un contadino di 79 anni, beneficò di «misericordia e perdono» tutta la popolazione. «L´uomo si arrestò colpito da una visione celeste - raccontano le antiche cronache - una giovane vestita di bianco se ne stava seduta sul campo di grano ancora verde». Al santuario di Motta sono iniziate in questi giorni, con la benedizione del Papa, le celebrazioni dell´anno giubilare nel quinto centenario dell´apparizione. A Conscio, vicino a Casale sul Sile, la Madonna guarì ancora. Era il 1451 quando apparve a Graziosa Tabarel, che faceva la guardia ai porci, era storpia e soffriva di disturbi mentali. La Madonna la guarì di tutti i suoi mali e le fece il dono della profezia. Graziosa predisse altre battaglie della Serenissima. Ma stavolta, solo sconfitte. Un´altra guarigione miracolosa fu quella di una fanciulla sordomuta a Bonisiolo, vicino a Mogliano Veneto, quando la Madonna le apparve nel 1470. A Maserada si palesò invece nel 1722 a una fanciulla, Zanetta Bariviera, annunciando che avrebbe protetto la popolazione dalle malattie e dall´inondazione del Piave, mentre a Crespano nel XIII secolo si manifestò a una pastorella sordomuta guarendola, e a Villanova d´Istrana apparve sopra un pioppo a una ragazza storpia «liberandola dalla sua infermità». A Castello di Godego si fece vedere addirittura due volte: a Pietro Tagliamento nel 1420 e poco dopo «a tutto il popolo convenuto». Ora i leghisti si aspettano che migliaia di fedeli affollino festanti i magici luoghi delle apparizioni. E che scoprano, insieme ai misteri della fede, anche la bontà dei prodotti del territorio.

l’Unità 17.3.10
Scontri e feriti per l’apertura di una sinagoga a fianco della Spianata delle moschee
Irritata con Israele la Casa Bianca. Obama detta le sue tre condizioni. Mitchell rinvia la visita
Gerusalemme, il giorno dell’ira Torna la rivolta dei sassi
Barricate, scontri, pietre, proiettili di gomma... Decine i feriti. Gerusalemme s’infiamma nel «Giorno della collera». Obama preme su Israele, Ban Ki-moon si appella alla moderazione, ma la situazione è esplosiva.
di Umberto De Giovannangeli

La «Giornata della collera» infiamma Gerusalemme. Scontri, caccia all’uomo, lacrimogeni, barricate...Malgrado uno spiegamento di tremila agenti, concentrati nelle aree di maggiore attrito, centinaia di giovani palestinesi si sono scontrati con la polizia israeliana in assetto antisommossa, nel quadro della «Giornata della Collera» proclamata dal movimento islamico israeliano contro l’espansione della presenza ebraica nella parte araba di Gerusalemme, all’indomani dell’inaugurazione di una grande sinagoga appena restaurata nell’antico quartiere ebraico della Città Vecchia.
SCONTRI RIPETUTI
Per buona parte della giornata è stato un susseguirsi di disordini, tumulti e sassaiole, sebbene di portata circoscritta,che sono scoppiati in diversi quartieri arabi in prossimità della Città Vecchia (Wadi Joz, Ras El Amud, Issawiya, Abu Tor) e alla periferia della città. La polizia ha risposto col lancio di granate assordanti, candelotti lacrimogeni e sparando proiettili di gomma. All’interno delle mura della Città Vecchia, ai cui accessi vigilavano forze di polizia, la partecipazione di popolo ai disordini è tuttavia apparsa se non inesistente, almeno molto ridotta. Forte la presenza di polizia nell’area adiacente la Spianata delle Moschee, principale focolaio di passioni religiose e nazionalistiche, dove gli agenti hanno fatto uso di granate assordanti contro gruppi di manifestanti. Manifestazioni di giovani palestinesi si sono svolte anche in divere località in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Qui le manifestazioni, indette da Hamas, hanno avuto un carattere più di massa con proclami alla lotta armata contro Israele e a una terza intifada. Secondo l’Autorità nazionale palestinese (Anp) il bilancio degli scontri è di un centinaio di manifestanti feriti o contusi e di 67 persone fermate dalla polizia. Quest’ultima ha confermato il numero di fermati e lamenta il ferimento lieve di 15 agenti, uno raggiunto da colpi di arma da fuoco. Il capo della polizia David Cohen ha annunciato che il massiccio spiegamento di forze dell’ordine durerà almeno fino a venerdì prossimo.
Gli incidenti coincidono con l’ennesima fase di stallo dei tentativi di rilancio dei negoziati israelo-palestinesi, tornati in alto mare, come conferma il rinvio della prevista visita nella regione del mediatore americano George Mitchell, dopo il recente via libera del governo israeliano di Benyamin Netanyahu ad altri 1600 alloggi in un insediamento ebraico di Gerusalemme est (Ramat Shlomo). Commentando gli incidenti, il deputato arabo israeliano Ahmed Tibi ha accusato il governo Netanyahu di aver provocato le tensioni con gesti «irresponsabili». Avvertendo che, se non ci saranno colpi di freno, la «terza intifada» evocata da Hamas stavolta potrebbe diventare realtà. Il negoziatore palestinese Saeb Erekat definisce «esplosiva» la situazione e accusa Netanyahu: «Sta giocando col fuoco».
LE CONDIZIONI DI OBAMA
Per rilanciare il processo di pace in Medio Oriente, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha posto tre condizioni ad Israele. Secondo il Washington Post, che lo scrive citando fonti ufficiali Usa, le condizioni sono: una marcia indietro sui nuovi insediamenti a Gerusalemme est annunciati provocando una crisi con Washington quando il vicepresidente Joe Biden era in visita ufficiale in Israele; un gesto significativo e sostanziale nei confronti dei palestinesi e una dichiarazione pubblica che accetti l’inclusione nei negoziati di tutte le questioni centrali, tra cui lo statuto di Gerusalemme. Le tre condizioni di Obama, di cui le autorità Usa non parlano ufficialmente, erano state illustrate venerdì dalla segretaria di Stato Usa Hillary Clinton a Netanyahu in una burrascosa telefonata di circa tre quarti d’ora. Siamo impegnati in consultazioni molto attive con gli israeliani sulle misure (da prendere) per manifestare il loro impegno nei confronti del processo di pace», dichiara la responsabile della diplomazia Usa. Hillary Clinton ha aggiunto che Washington ha «un impegno assoluto a difesa della sicurezza di Israele. Abbiamo un legame stretto ed indistruttibile tra Israele e gli Stati Uniti». Un appello a «mantenere calma e moderazione» a Gerusalemme è stato lanciato da Ban Ki-moon. Per avviarsi verso una risoluzione giusta di questo conflitto, è necessario che tutte le parti mantengano calma e moderazione», ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite aprendo una conferenza stampa al Palazzo di Vetro.❖

l’Unità 17.3.10
Intervista a Hanan Ashrawi
«Colonialisti piromani Torni lo spirito non violento della Prima Intifada»
di U. D. G.

Quello israeliano è un governo di piromani. Sistematicamente hanno dato fuoco ad uno possibilità di dialogo e hanno scelto la strada dello scontro frontale. Con un’aggravante ulteriore rispetto al passato: stavolta hanno esaltato l’aspetto religioso, ideologico, nella loro logica militarista e colonizzatrice. Ciò che sta avvenendo a Gerusalemme, su Gerusalemme riporta alla memoria la “passeggiata” di Ariel Sharon alla Spianata delle Moschee: la provocazione che innescò la seconda Intifada». A ricordarlo è una delle personalità più rappresentative della dirigenza palestinese: Hanan Ashrawi, parlamentare, più volte ministra dell’Anp, la prima donna portavoce della Lega Araba, oggi paladina dei diritti umani nei Territori. «I falchi israeliani – riflette Ashrawi – si sentono al di sopra di tutto e di tutti. Hanno umiliato il vice presidente Usa (Joe Biden), hanno chiuso la porta in faccia a Obama, fatto orecchie da mercante alle critiche dell’Unione Europea... È un delirio di onnipotenza che rischia di scatenare in Medio Oriente una nuova, devastante guerra di religione».
Gerusalemme è tornata ad essere teatro di violenti scontri... «C’è chi ha puntato a questo, inanellando una serie di decisioni provocatorie che hanno chiarito, qualora ce ne fosse stato il bisogno, qual è la logica che anima coloro che oggi governano Israele...».
Quale sarebbe questa logica?
«Quella militarista, colonizzatrice, impastata di nazionalismo e fondamentalismo religioso. La logica di chi non contempla il compromesso, di chi sfida apertamente le leggi internazionali, incurante delle critiche della comunità internazionale. Costoro sono dei pericolosi piromani che stanno dando fuoco alla polveriera mediorientale».
Come fermarli?
«Isolandoli. Con i fatti, non a parole. Facendo intendere loro, con i fatti, che il tempo dell’impunità è finito. Quando parlo di fatti, penso agli accordi economici e militari che molti Paesi, l’America e non solo, hanno con Israele. Penso a pressioni diplomatiche, a manifestazioni di protesta. Il silenzio è complicità con questi piromani».
C’è il rischio che si ritorni ai tempi, tragici, della seconda Intifada? «La rabbia è tanta e rischia di esplodere. Noi palestinesi dobbiamo riflettere sugli errori commessi ed evitare di cadere nella trappola dei falchi israeliani. Ho sempre ritenuto che la militarizzazione dell’Intifada sia stato un grave errore che non dobbiamo ripetere. Tra gli “shahid” e la rassegnazione esiste una terza via...».
Quale?
«La via della rivolta popolare, non violenta, che recuperi lo spirito della prima Intifada, di quella “rivolta delle pietre” che riportò la questione palestinese al centro dell’interesse internazionale. La via della disobbedienza civile, quella del boicottaggio di tutti i prodotti israeliani che provengono dalle colonie. È la via che da tempo palestinesi e israeliani stanno praticando a Beilin (villaggio palestinese in Cisgiordania, ndr), opponendosi alla realizzazione del Muro dell’apartheid. È la protesta non violenta che palestinesi e israeliani stanno portando avanti contro la costruzione di nuovi insediamenti ebraici a Gerusalemme Est. Non è facile, lo so bene. Ma è la strada giusta». Stati Uniti, Europa, il Quartetto (Usa, Ue, Onu, Russia) ribadiscono che l’unica soluzione possibile è quella fondata sul principio “due popoli, due Stati). È anche lei di questo avviso?
«Il principio è giusto ma la sua realizzazione si fa ogni giorno più problematica. Le basi di un accordo globale sono quelle delineate dalle risoluzioni Onu, indicate dalla Road Map... Non c’è nulla da inventare. Occorre la volontà politica di puntare al compromesso. Una volontà che non è propria dei “piromani” israeliani».
Tra i nodi da sciogliere c’è quello di Gerusalemme. Netanyahu ha affermato di ritenerla materia non negoziabile.
«Non negoziare lo status di Gerusalemme significa non voler negoziare una pace globale. Perché Gerusalemme è parte inalienabile della soluzione “due popoli, due Stati”. Uno Stato di Palestina senza Gerusalemme Est sua capitale non esiste in natura...». U.D.G.

Repubblica 17.3.10
Il muro Netanyahu
di Lucio Caracciolo

Nel giro di pochi mesi, Israele ha rotto con il suo fondamentale partner regionale, la Turchia, e ha sfidato il suo unico alleato globale, gli Stati Uniti d´America. Follia? Masochismo? Non proprio. C´è del metodo in queste crisi. E c´è una logica nel modo in cui Israele le conduce.

Il metodo e la logica sono quelle dominanti in ogni democrazia: prima il consenso di chi vota, poi tutto il resto. Nel caso turco, per un Paese che si sente minacciato di distruzione dall´Iran, lo slittamento di Ankara verso il campo islamista è intollerabile. Erdogan è considerato un traditore dell´intesa turco-israeliana, un sodale di Hamas e di Ahmadinejad. Tornare all´asse costruito negli anni Novanta su impulso dei due establishment militari, uniti dall´avversione per l´islamismo e per i velleitarismi arabi, è fuori questione.
Ma anche nella crisi con gli Stati Uniti, Netanyahu può contare sul consenso di gran parte della società israeliana. Su Gerusalemme non si discute. E un vero Stato palestinese non ci sarà mai. Solo che finora questo dissidio strategico fra Washington e Gerusalemme era coperto dalla diplomazia. Ora non più.
Obama è visto da molti israeliani come un cripto-musulmano. Più attento a guadagnarsi le simpatie del mondo islamico, a corteggiare gli ex "Stati canaglia", dall´Iran alla Siria, che a proteggere l´esistenza dello Stato ebraico. Netanyahu è convinto che alla Casa Bianca si stia complottando per provocare la caduta del suo governo, in favore di un gabinetto centrista, sperabilmente più aperto al negoziato con gli arabi e meno ossessionato dall´Iran.
Ipotesi molto teorica. Con l´opinione pubblica israeliana orientata a non cedere un palmo ai palestinesi, specie dopo che Hamas s´è installato a Gaza, è impensabile per qualsiasi leader israeliano impedire la costruzione di nuove case a Gerusalemme Est. Sarà pur vero che Benjamin Netanyahu non sapeva del piano del suo ministro dell´Interno, Eli Yishai, di edificare 1.600 abitazioni nella parte orientale di quella che Israele considera la sua capitale eterna e indivisibile. Ma anche se lo avesse saputo non lo avrebbe impedito. Al massimo, avrebbe rinviato l´annuncio di qualche giorno, per non provocare il suo ospite americano, Joe Biden.
È possibile, anzi probabile, che nel medio periodo Israele paghi caro la sua intransigenza nei confronti dei pochi amici di cui ancora dispone. Ma fra i dirigenti dello Stato ebraico prevale lo sguardo corto, il tatticismo. Forse perché sentono che immaginando scenari futuri, scoprirebbero che il tempo non lavora per Israele. Meglio restare alla stretta attualità. Per sentirsi tuttora la massima potenza regionale. L´unica nucleare – almeno finché Teheran non avrà la Bomba.
Se Obama si sbarazzerebbe volentieri di Netanyahu, nessuno dubita che l´impulso sia ricambiato. E la grave perdita di consenso del presidente americano, a pochi mesi dalle elezioni di mezzo termine, induce il leader israeliano ad affrontare il braccio di ferro con relativa serenità. Forte del consenso domestico e della debolezza interna e internazionale di Obama. Al quale si rimprovera di aver enfatizzato lo sgarbo a Biden, provocando secondo Michael Oren, ambasciatore di Gerusalemme a Washington, «la più grave crisi da 35 anni nei rapporti Israele-Usa». Il riferimento è allo scontro del marzo 1975 fra Kissinger e Rabin sul ritiro delle truppe israeliane dai passi di Jidda e Mitla, nel Sinai. Il primo, americano di origine bavarese ma ben consapevole delle sue radici ebraiche, avvertì il premier israeliano: «Tu sarai responsabile della distruzione del terzo commonwealth ebraico». «Tu non sarai giudicato dalla storia americana, ma dalla storia ebraica», replicò Rabin. Sei mesi dopo, Israele cedeva alle pressioni Usa.
È molto improbabile che nella crisi attuale Netanyahu possa innestare la marcia indietro. L´incidente verrà formalmente archiviato, prima o poi. Forse già domenica, quando Netanyahu andrà a Washington – sapendo che Obama non ci sarà perché in missione in Indonesia e Australia – per perorare la sua causa davanti all´Aipac, la principale lobby pro-israeliana negli Usa. Ma anche se scambierà sorrisi e strette di mano con Biden e Hillary Clinton, il contrasto strategico è destinato a restare.
Allo stato attuale del match, Obama è il perdente. Sembra passato un secolo – invece nemmeno un anno – da quando prometteva una nuova èra di dialogo con i musulmani e di pace in Medio Oriente, con ostentati inchini alla civiltà islamica e al contributo della cultura araba al progresso umano. Il "nuovo inizio" non è mai iniziato. Le distanze fra Israele e i palestinesi sono aumentate. La diffidenza reciproca è insormontabile. Obama ha scoperto che l´America non può fare la differenza, perché in Terrasanta la stagione dei miracoli pare scaduta. Non si può imporre la pace a chi non la vuole. O fa finta di volerla, ma non ci crede.
Obama non è il primo presidente americano a sbattere contro il muro Netanyahu. Quando Bill Clinton lo ricevette alla Casa Bianca, stanco della lezioncina inflittagli dall´amico israeliano, sbottò: «Chi è la superpotenza qui?». Se Obama osasse ripeterlo a Netanyahu oggi, probabilmente incontrerebbe un sorriso di commiserazione. Perché fra amici gli incidenti si superano, i danni si riparano. Ma ormai gli Stati Uniti non fanno più paura a nessuno. Nemmeno allo Stato che rischierebbe di essere spazzato via se non fosse per la protezione strategica americana.
Americani e israeliani sono una vecchia coppia. Continueranno a frequentare lo stesso letto, pur sognando sogni diversi. Ma senza un´intesa fra Washington e Gerusalemme i mille dossier mediorientali non potranno trovare soluzione. Anzi, si aggraveranno. Incoraggiando gli estremisti, eccitando i fanatici. In Israele come fra gli arabi e i musulmani. Dall´Egitto all´Iraq, dall´Iran all´Afghanistan, lo stallo del motore israelo-americano intaccherà le posizioni di entrambi.
L´ultimo degli scenari immaginati da Obama quando lanciò il suo "nuovo inizio" era di approfondire la crisi israelo-palestinese. La Terza Intifada, se mai scoppierà, si distinguerà per il marchio religioso. Ce lo annunciano gli incidenti di ieri nella Città Vecchia di Gerusalemme, che hanno suscitato emozione e rabbia nell´universo islamico. Il fallimento di venti anni di "processo di pace" ha trasformato la disputa fra nazioni in conflitto di religioni. Qui non c´è spazio per compromessi, perché la Verità non ne tollera.
Nella battaglia per Gerusalemme – tutta ebraica o tutta musulmana (con i quattro gatti cristiani arabi a rischio di diaspora o sterminio) – ogni vittoria sarà effimera, premessa di rancori e rivincite interminabili. Riportare indietro l´orologio della storia, e ricondurre lo scontro nei classici canoni dei nazionalismi, è esercizio futile. Anche per il presidente della "superpotenza unica", mai così impotente nella regione e nel mondo. Forse anche gli antiamericani più sfrenati vorranno interrogarsi sui danni che la crisi dell´egemonia a stelle e strisce può provocare, quando nessuno sa come riempire il vuoto scavato dalla beata incoscienza di chi, vent´anni fa, s´illudeva che la storia fosse finita. Con il suo apparente trionfo.

Repubblica 17.3.10
La guerra dell’eros
Così l’Occidente ha inventato la rivoluzione sessuale
La liberazione dei costumi negli anni Sessanta, che usò i testi di Reich e Marcuse, fu un´arma contro l´Urss, mentre la pornografia è stata usata contro i regimi islamici
di Mario Perniola

Il testo che anticipiamo è parte dell´intervento che sarà svolto per Film Forum 2010 dedicato all´immaginario pornografico. Il festival si tiene dal 19 al 24 marzo tra Udine e Gorizia
La produzione dei film di Hollywood fu retta dai primi anni ´30 fino al 1966 da un regolamento di autocensura che vietava la rappresentazione di qualsiasi comportamento o immagine ritenuta immorale; questo orientamento viene abbandonato a cominciare dagli anni ‘60. Attraverso una progressiva deregolamentazione si è arrivati alla situazione attuale in cui perfino i bambini attraverso Internet hanno un facile accesso a ogni sorta di video pornografico.
Il punto di partenza di questo sorprendente cambiamento è la cosiddetta Rivoluzione sessuale degli anni ‘60, che resta un evento storico difficile da interpretare: c´è qualcosa di incomprensibile e di enigmatico in questa deregolamentazione che ha trovato il suo avvio negli Stati Uniti, ma si è poi estesa all´Europa occidentale. I paesi comunisti sono invece rimasti fedeli al progetto politico di una società retta da principi di moralità sessuale.
Le idee della Rivoluzione sessuale non erano una novità: esse erano state elaborate negli anni ‘20 e ‘30 dal movimento "Sexpol". Il principale animatore di tale movimento fu lo psicoanalista Wilhem Reich, il quale condusse una battaglia contro due fronti: da un lato contro il nazionalsocialismo, dall´altro contro il comunismo sovietico. Reich attribuiva il successo della propaganda nazifascista all´attivazione di profonde pulsioni inconsce di carattere repressivo e di origine patriarcale; nello stesso tempo stigmatizzava con estrema energia l´involuzione reazionaria della politica e della società sovietica, che aveva ripristinato la legge contro l´omosessualità, ostacolato l´aborto e restaurato il matrimonio e la famiglia coattiva. Qualche anno dopo la morte di Reich, avvenuta nel 1957 in una prigione degli Stati Uniti, il suo libro La rivoluzione sessuale conosce un grandissimo successo e diventa uno dei testi teorici fondamentali di riferimento della deregolamentazione sessuale occidentale, insieme ai testi di Marcuse e di Norman O. Brown. Contemporaneamente opere di narrativa, la cui pubblicazione era stata per decenni bloccata dalla censura, diventano popolarissime.
A chi è stato giovane in Occidente negli anni ‘60 la Rivoluzione sessuale è apparsa come qualcosa di ovvio, strettamente connesso con le idee di democrazia e di sviluppo: guardandola secondo la prospettiva di un orizzonte storico più ampio, essa appare come una breve parentesi tra la repressione delle immagini sessuali durata in Occidente per secoli e l´attuale diluvio di immagini pornografiche accessibili a tutti che crea alla fine, proprio per la sua infinita abbondanza, la scomparsa di ogni tensione erotica. Il carattere straordinario e anomalo della Rivoluzione sessuale degli anni ‘60 trova una spiegazione nel venir meno delle due grandi paure connesse con i rapporti sessuali: la scoperta di una cura capace di sconfiggere la sifilide e la commercializzazione della pillola anticoncezionale (che era stata inventata già trent´anni prima). Tuttavia queste interpretazioni non sono sufficienti a spiegare un fenomeno di massa così rivoluzionario che smantella in pochi anni tabù e divieti secolari.
Un fattore finora non sufficientemente preso in considerazione è quello politico: la Rivoluzione sessuale è stato un aspetto della guerra fredda contro il comunismo, molto più efficace dei missili e della bomba atomica. Insieme alla disponibilità di beni materiali e di consumi, la deregolamentazione sessuale dell´Occidente ha costituito qualcosa di molto più attraente dei Piani quinquennali sovietici.
Alla prima fase della deregolamentazione sessuale, dal 1965 al 1980, che è stata focalizzata sul permissivismo dei comportamenti sessuali, segue una seconda fase in cui in brevissimo tempo viene depenalizzata la pornografia, segregata dai secoli nei bordelli, negli scaffali dei bibliofili, nei boudoir o negli enfers delle biblioteche. Anche in questo caso c´è una spiegazione tecnica, che dipende dalla diffusione delle videocamera e delle cassette video. Tuttavia questa svolta avrebbe potuto benissimo essere bloccata dalla censura e restare clandestina, come era avvenuto per la fotografia pornografica, la quale ha impiegato più di cento anni per essere legalizzata. Come si spiega dunque questa rapida e improvvisa deregolamentazione della pornografia a partire dal 1980? Certo è che si realizzava in modo veramente derisorio e beffardo un altro aspetto del programma del Sexpol! La famiglia era destabilizzata non dal comunismo, ma dal capitalismo attraverso la televisione, i video e oggi da Internet. I genitori sono così messi fuori gioco, non meno della scuola.
Che cosa è successo nel 1980 di tanto pericoloso e temibile per l´Occidente da indurlo a scegliere una strategia tanto permissiva e lassista? L´11 febbraio 1979 a Teheran viene ufficialmente dichiarata la fine della monarchia e proclamata la Repubblica islamica dell´Iran. Nasce così un regime teocratico e ultra-puritano che si presenta come la prima manifestazione di una Rivoluzione di impatto globale. Dinanzi a un evento tanto inaspettato e contrario a tutte le filosofie della storia democratiche e laiche, l´Occidente elabora due strategie culturali opposte. La prima ha il carattere della rivalità mimetica e porta alla rinascita del fondamentalismo cristiano, che presenta caratteri specifici a seconda dei differenti paesi: negli Stati Uniti porta ad una controrivoluzione conservatrice e neopuritana che si esprime nell´elezione di Ronald Reagan alla presidenza e alla sua campagna contro l´Impero del male. La seconda strategia condotta simultaneamente alla prima ha invece un segno opposto: la deregolamentazione della pornografia, che offre al mondo intero (ma soprattutto a quello islamico) una sfida di proporzioni colossali: l´immagine del paradiso in terra qui ed ora. Con Internet a partire dai primi anni Novanta è compiuto un passo ulteriore: si passa dalle videocassette pornografiche alla disponibilità diretta e immediata di qualsiasi materiale pornografico. Il punto di arrivo finale è rappresentato dal Web2 e da YouTube dove si può vedere tutto gratuitamente per un tempo illimitato.
Qualche anno fa la pornografia poteva essere definita ancora un mercato moribondo in piena espansione; oggi sembra che essa abbia raggiunto lo stadio del suo compimento. La prospettiva di una pornografia fatta da adolescenti per loro uso e consumo rappresenta la sua fase finale.