lunedì 22 marzo 2010

Repubblica Roma 22.3.10
Bonino, affondo anti-Alemanno
"Ma quale Polverini, guida lui la campagna elettorale. Perché non pensa alla città?"
"Il Pdl? Sembrava il giuramento delle giovani marmotte" I radicali: via quei manifesti su Emma
di Chiara Righetti

«Evidentemente Alemanno governa una città senza problemi: lo vedo sempre in giro a fare manifestazioni elettorali». Non risparmia il sarcasmo, Emma Bonino, sul sindaco di Roma, ma anche sull´avversaria: «A volte ho la sensazione di non correre contro la Polverini, ma contro Alemanno o Berlusconi. È lui che guida la campagna elettorale. Questa scarsa autonomia dagli altri poteri non è un buon viatico per governare una Regione». Proprio ieri la candidata del centrosinistra ha scritto a tutti i sindaci del Lazio. «L´ho fatto per dire - spiega - che, se sarò eletta, sarò imparziale con tutti». Nella lettera, inviata a conclusione di una campagna «che ci ha offerto poche occasioni per dialogare», la vicepresidente del Senato assicura: «Per me e per la Regione non ci saranno Comuni di destra e di sinistra, amici e nemici, vicini e distanti. Ci saranno solo le istituzioni, con la loro dignità e le loro prerogative». E chiude citando Luigi Pianciani, uno dei primi sindaci di Roma e presidente della Provincia dopo la breccia di Porta Pia: «Dobbiamo governare in guisa che i bisogni dell´ultimo villaggio delle montagne abbiano tanto peso quanto quelli della Capitale».
Non rinuncia a una battuta sul giuramento a San Giovanni dei candidati presidenti di centrodestra: «Imbarazzante, tra Pontida e una prima comunione. Sembrava di vedere il giuramento delle giovani marmotte». E anche sulla conferma della data del voto si lascia scappare un sorriso: «Credo sia stata applicata non solo la legge elettorale, ma anche il decreto interpretativo». Scaldando i motori per l´ultima settimana prima del voto, a chi le chiede se ci sia un rischio astensionismo risponde: «Spero di no. È importante che i cittadini si sentano protagonisti»; anche perché «non è ininfluente chi governerà, si fronteggiano due modelli molto diversi». Poi ribadisce la sua convinzione che «la gente non è scema: ha capito che le ronde non servono».
Pure Irene Testa, della Giunta nazionale dei Radicali italiani, non risparmia gli strali ad Alemanno: «Sarà che deve smaltire i postumi della sbornia della manifestazione di San Giovanni. Ma oltre a dimenticare di essere sindaco della Capitale, dimentica anche che dopo ogni festa occorre pulire. Così non è stato per le centinaia di cartelli sfottò contro Emma Bonino (quelli che la ritraggono con i lineamenti di Marrazzo, accanto alla scritta "Ti puoi fidare?", ndr), che ancora riempiono le strade: uno spettacolo indecoroso, magnifica prova da parte di Alemanno d´inefficienza, si spera involontaria, e scorrettezza istituzionale».
Da parte sua Renata Polverini, in una giornata molto cattolica (una prima messa a Montecassino, l´inaugurazione di una chiesa a Pastena, l´incontro con la comunità religiosa Nuovi Orizzonti e per finire una seconda messa a Subiaco) ripete, come ormai da giorni: «Siamo in campagna elettorale. Andiamo avanti, l´ha detto anche Berlusconi: senza la lista Pdl vinciamo lo stesso». Anche lei non perde la sua verve e alla notizia che Sgarbi, in caso di vittoria, si aspetta di essere ricompensato con tre assessorati risponde con una risata: «Addirittura!».
Poi passa ai bilanci: «È stata una campagna elettorale complessa, ma ci sono tutte le condizioni per vincere. Ci sono tante persone che vogliono andare a votare». E la piazza di sabato? «Mi ha dato la forza per andare avanti», è stata la prova che «la gente vuole cambiare. E non credo che una persona che ha fatto le battaglie che sappiamo possa fare il presidente». Quanto ai tre mesi alle spalle spiega che l´esperienza «è stata tutta bella», seppur funestata da tali problemi che «segnerà la storia delle campagne di tutti i tempi». Il motivo? «Ho visto gente volenterosa, professionalità vere: una Regione che può dare di più e molto migliore di com´è stata rappresentata».

Repubblica Roma 22.3.10
Oggi su RaiTre sfida tra le candidate E domani il faccia a faccia su Sky
di Rory Cappelli

Si terrà alle 9.20 di oggi, sul regionale di RaiTre, l´incontro televisivo tra le tre candidate alla presidenza della Regione Lazio, Emma Bonino (centrosinistra), Marzia Marzoli (Rete dei cittadini) e Renata Polverini (centrodestra). Le tre sfidanti presenteranno il loro programma: Emma Bonino parlerà di sanità, infrastrutture, trasparenza degli atti dell´amministrazione, ruolo di programmazione della regione e della volontà di assegnare maggiore responsabilità ai comuni del Lazio. Marzia Marzoli della priorità ambiente, di energia, della chiusura degli inceneritori del Lazio, della trasparenza degli organi istituzionali, di sanità e tagli agli sprechi, di medici e medicine, di meccanismi di partecipazione attiva della cittadinanza nelle istituzioni. Renata Polverini ripercorrerà i sei punti cardine del suo programma: famiglia, salute, la rete della fragilità (anziani, disabili, fasce deboli), lavoro, tutela dell´ambiente, qualità della vita intesa come città sicure e mobilità efficiente, cioè rete dei trasporti. Domani poi ci sarà il primo faccia a faccia tra Emma Bonino e Renata Polverini: sarà trasmesso in diretta alle 15 su SkyTg 24. Condurrà il direttore del Tg, Emilio Carelli.

Repubblica 22.3.10
Martine Aubry, Cécile Duflot e Marie George Buffet sono riuscite a unire la ‘gauche´ in poco più di 24 ore
La socialista, la verde e la comunista ecco le donne che fanno tremare l´Eliseo
Hanno capito, più degli uomini, che per vincere serviva ogni componente dell’opposizione
di G. Mar.

PARIGI - La sinistra che vince ha il volto di tre donne: Martine Aubry, Cécile Duflot, Marie-George Buffet. Una socialista, una verde, una comunista. Forse è un caso, forse no, ma la realtà è questa: la "gauche" vittoriosa alle regionali s´incarna al femminile. Niente veline, niente corpi esposti più o meno maliziosamente e niente femminismo. Le tre fanno come se fosse normale che alla guida delle tre formazioni ci sia una donna. Ma è normale solo sulla carta: a parte l´eccezione notevole di Angela Merkel, la politica occidentale resta dominata dagli uomini, perlomeno nei grandi Paesi e in particolare in quelli latini. La Francia, finora, non aveva fatto eccezione, tanto che in parlamento le donne rappresentano solo il 18,9 per cento di deputati e senatori, ancor meno che da noi (21,3 per cento).
Aubry, Duflot e Buffet, tre nomi che dicono molto e poco. La Aubry, figlia di Jacques Delors, è certamente la più conosciuta: giovane ministro con François Mitterrand, è stata uno dei pilastri del governo Jospin (1997-2002), l´architetto delle 35 ore, provvedimento le cui conseguenze sono ancora oggetto di feroci contese. La comunista Buffet, anche lei ministro con Jospin, tenta da anni di tenere a galla un Partito comunista ridotto al lumicino e rinvigorito alle regionali grazie all´alleanza con un gruppo di ex socialisti. La più giovane è la meno nota e la più sorprendente: segretaria dei verdi, Cécile Duflot è riuscita a fare della formazione ecologista un gruppo capace di stabilizzarsi sopra il 10 per cento dei voti e di attirare quell´elettorato che da anni cerca un punto d´approdo fra il Ps e la destra.
Questa settimana, le tre leader hanno dato una lezione a tutti: in poco più di ventiquattr´ore hanno raggiunto un accordo per unire la sinistra ai ballottaggi (con qualche eccezione non determinante). Perché erano donne? Forse no. Ma perlomeno perché hanno capito, forse più dei loro colleghi maschi, che la "gauche" non può vincere lasciando per strada anche una sola delle sue componenti, che i socialisti, sia pur predominanti, devono tener conto degli altri. Nell´unica conferenza stampa congiunta delle tre donne, la Duflot ne ha dato atto alla segretaria socialista: «Parlo francamente: finora Martine non ha mai fatto con me un atto di autorità. È per questo che le cose funzionano. Speriamo che non ricada nelle vecchie usanze».
Tre donne e una candidata unica alle presidenziali? Anche se non lo dice, Martine Aubry lo spera, malgrado sia forte nei verdi la tentazione di avere un proprio rappresentante al primo turno. E in ogni caso tutte e tre dovranno fare i conti con un´altra donna, Ségolène Royal, che non ha rinunciato alle sue ambizioni.

l’Unità 22-3.10
L’Onu: è inaccettabile il blocco di Gaza 4 morti im Cisgiordania
Israele versus Quartetto. Lo scontro continua. E si acuisce. Prima di volare negli Usa, dove domani incontrerà alla Casa Bianca Obama, Netanyahu dice che per Israele «la costruzione a Gerusalemme è come quella a Tel Aviv».
di Umberto De Giovannangeli

Aprendo la seduta settimanale del Consiglio dei ministri il premier israeliano ribadisce che per i progetti di sviluppo nell'intero territorio municipale di Gerusalemme la politica del suo governo non differisce dal passato. Così Netanyahu respinge le critiche degli Stati Uniti per progetti di estensione del rione ebraico ortodosso di Ramat Shlomo (1.600 nuovi alloggi), annunciati mentre a Gerusalemme si trovava in visita il vicepresidente Usa Joe Biden. Episodio che ha innescato un'aspra crisi fra Gerusalemme e Washington.
BAN KI-MOON ACCUSA
Da Gerusalemme a Gaza. Il blocco israeliano contro la Striscia «causa delle sofferenze umane inaccettabili», dichiara il segretario dell'Onu, Ban Ki-moon, durante la sua visita nel territorio palestinese devastato durante la guerra tra Israele e Hamas dello scorso anno. «Ho detto chiaramente e in modo ripetuto ai dirigenti israeliani che la loro politica di blocco non è sostenibile ed è dannosa», ribadisce Ban Ki-moon a Khan Yunes, nel sud della Striscia. Il blocco israeliano «infligge sofferenze umane inaccettabili alla popolazione di Gaza. È una politica controproducente. Indebolisce i moderati e al contrario dà potere agli estremisti», sottolinea il segretario generale dell'Onu. Il numero uno del Palazzo di Vetro aveva iniziato la sua visita a Gaza con un sopralluogo nella zona di Abed Rabbo, nel Nord della Striscia, dove più gravi sono stati i danni materiali causati un anno fa dalla Operazione Piombo Fuso. “L' Unrwa (l'agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi) continuerà anche in futuro a fare il possibile per assistere la popolazione locale», ha assicurato.
SANGUE IN CISGIORDANIA
Quattro giovani palestinesi sono stati uccisi nelle ultime 24 ore dai militari israeliani in Cisgiordania. L'episodio più drammatico e controverso è avvenuto ieri nella zona di Nablus. La versione israeliana afferma che due giovani palestinesi hanno cercato di assalire un soldato e che i suoi compagni li hanno bloccati sparando. Le vittime sono due cugini, Saleh e Muhammad Qauaric, di 19 anni. Subito dopo, il luogo dell'incidente è stato proclamato «zona militare chiusa». Citando fonti locali la agenzia di stampa palestinese Wafa ha poi sostenuto che la loro uccisione non era giustificata e che sarebbe avvenuta «a sangue freddo». L'altro ieri nel vicino villaggio di Burin altri due adolescenti (Mohammed e Usayed Qados, uno sedicenne e l'altro ventenne) erano stati uccisi durante duri scontri fra dimostranti ed esercito. La collera popolare, nei Territori, è subito montata. Incidenti a Hebron e nel rione di Issawya, a Gerusalemme Est.
«Questa escalation militare avverte il premier palestinese Salam Fayyad è altamente rischiosa e potrebbe cancellare i successi dell' Anp per quanto concerne sicurezza e stabilità. Occorre prestare ascolto al Quartetto per il Medio Oriente (Usa, Ue, Russia, Onu) e di conseguenza congelare ogni ulteriore attività di insediamento», . Ma Netanyahu non è di questo avviso.

Repubblica 22.3.10
L´Onu: "A Gaza sofferenze inaccettabili"
Il segretario generale Ban in visita nella Striscia: "Israele revochi il blocco"
Le Nazioni Unite si aggiungono all´Ue nel chiedere di allentare l´assedio. Uccisi quattro palestinesi. Netanyahu domani alla Casa Bianca
di Alberto Stabile

GERUSALEMME - «Il blocco di Gaza impone sofferenze inaccettabili alla popolazione civile palestinese», denuncia il segretario della Nazioni Unite, Ban Ki-Moon in vista nella Striscia soggetta da quasi tre anni ad un embargo soffocante. L´appello al governo israeliano ad aprire i valichi è ovvio e conseguente. Ma per il momento la gente di Gaza dovrà accontentarsi di uno spiraglio. Fra le misure offerte da Netanyahu all´Autorità palestinese per far ripartire il processo di pace, c´è il permesso di far entrare nella Striscia materiale da costruzione sufficiente ad edificare 150 appartamenti.
Non è molto, se si considera che gli edifici danneggiati dai bombardamenti scatenati durante l´operazione Piombo fuso si contano a migliaia, molti dei quali completamente rasi al suolo.
Ma il veto, motivato finora con l´argomento che il cemento e il ferro sarebbero serviti ai miliziani di Hamas per costruire bunker e infrastrutture militari, è parzialmente caduto.
Arrivato a Gaza qualche giorno dopo l´Alto rappresentante per la Politica Estera dell´Unione europea, Katherine Ashton, Ban è rimasto impressionato dal livello di degrado in cui sono costretti a vivere un milione e mezzo di palestinesi. Una popolazione senza un futuro, ha detto il segretario dell´Onu, riferendosi a quel 50 per cento di abitanti di Gaza che hanno meno di 18 anni e la cui disperazione è facilmente preda dei gruppi più radicali.
Attento a non irritare i governanti israeliani con giudizi definitivi, Ban Ki-Moon ha definito un «errore» il blocco di Gaza. Le Nazioni Unite si aggiungono, dunque, all´Unione europea, e a gran parte dei Paesi occidentali nel chiedere di alleviare le condizioni della popolazione. La risposta è agli israeliani.
Oggi, tuttavia, s´avvertono i segnali di un clima diverso. Dopo giorni di crisi diplomatica e di violenze sul terreno (nelle ultime 24 ore quattro giovani palestinesi sono stati uccisi in scontri con i soldati israeliani), la diplomazia sembra ripartire.
A riprova che la crisi tra Stati Uniti e Israele è stata in qualche modo risolta, l´inviato di Obama, George Mitchell, tornato in Israele, ha portato personalmente al premier israeliano l´invito del presidente americano ad incontrarsi domani alla Casa Bianca.
Netanyahu avrebbe infine ceduto su alcune delle condizioni poste dall´Amministrazione americana per risolvere i contrasti, mantenendo fermi atri punti. Nel pacchetto di misure offerte per invogliare i palestinesi a riprendere il negoziato, oltre allo spiraglio per Gaza, vi sarebbe la liberazione di un certo numero di detenuti e l´accettazione che i colloqui indiretti vertano anche sui principali nodi irrisolti del conflitto (confini, rifugiati, Gerusalemme).
A proposito della città santa, Netanyahu ha detto al Consiglio dei ministri di aver chiarito, per iscritto, agli americani che resta fedele al principio secondo cui, «a Gerusalemme si costruisce come a Tel Aviv», vale a dire, a Ovest e a Est, nella zona ebraica e in quella araba. Ma, secondo indiscrezioni, è possibile che il premier che abbia raggiunto un accordo riservato con gli americani per rallentare l´espansione nelle aree che i palestinesi rivendicano come parte del loro Stato di la da venire.


l’Unità 22-3.10
Svizzera. Il consiglio del priore: registro consultabile dei religiosi pedofili
Un registro dei sacerdoti sospettati di pedofilia che possa essere consultato dai vescovi in tutto il mondo per prevenire nomine di sospettati di abusi sessuali. Lo suggerisce al Vaticano Martin Werlen, membro della conferenza episcopale svizzera e priore dell'abbazia benedettina di Einsiedeln. Il priore teme «che la gerarchia cattolica a Roma non abbia preso abbastanza sul serio la situazione... È in gioco la nostra credibilità». Nel monastero di Einsiedeln, in Svizzera, cinque monaci sono stati coinvolti in casi di abusi o molestie sessuali dal 1970. La Chiesa svizzera sta esaminando «con serietà» almeno nove casi di presunti abusi sessuali negli ultimi anni.

Repubblica 22.3.10
Il capo dei vescovi tedeschi ammette "La Chiesa ha nascosto gli abusi"
La stampa: Benedetto XVI sapeva e taceva. Indagati 14 sacerdoti
Mea culpa del cardinale Zollitsch Centinaia i casi denunciati ma sarebbero migliaia
di Andrea Tarquini

BERLINO - «Sì, è vero, la Chiesa ha nascosto casi di abusi sessuali per anni. È un problema di tutta la società, ma ognuno di questi casi oscura il volto della Chiesa». La clamorosa ammissione viene, per la prima volta, dal presidente della Conferenza episcopale tedesca, monsignor Robert Zollitsch. Nella patria del pontefice, il cattolicesimo, la Chiesa e le sue istituzioni sono ormai sprofondate in una crisi ogni giorno più grave. Almeno 14 religiosi sono indagati dalla magistratura per sospetto di abusi o violenze su minori, e 250 sono i casi accertati tra gli anni Cinquanta e Ottanta, quindi in maggioranza prescritti. E l´edizione cartacea di Der Spiegel rincara il tono delle accuse al Papa in persona già lanciate sabato, e riportate da Repubblica: quando era vescovo di Monaco e Frisinga, Joseph Ratzinger sapeva che padre Peter Hullermann, trasferito da Essen a Monaco, aveva precedenti pedofili. Esaminò i dossier, accettò il suo trasferimento, per dargli ospitalità e seguire una terapia. Ma appena due settimane dopo il suo arrivo in Baviera, il sacerdote - con ogni probabilità all´insaputa di Ratzinger - era di nuovo attivo: diceva la messa, era a contatto con minori.
Quattordici religiosi indagati, è quanto dicono le procure che hanno accettato di fornire dati su inchieste su sacerdoti. Altre tacciono. E soprattutto tacciono ancora, oppresse dalla vergogna, molte vittime. Per cui il numero degli abusi, ufficialmente di qualche centinaio, secondo fonti vicine allo stesso mondo cattolico potrebbe essere anche di venti volte superiore.
La confessione di monsignor Zollitsch - in un´intervista al settimanale conservatore Focus che esce oggi - è una svolta. «Da anni ormai seguiamo una pratica del tutto diversa, ma sebbene l´intera società abbia taciuto e rimosso per decenni e la maggior parte degli abusi sia avvenuta fuori dalla Chiesa, provo vergogna e spavento davanti a un numero così elevato di casi commessi nelle nostre istituzioni», dice il presidente della Conferenza episcopale. «Spesso le vittime non sono disposte a denunciare gli atti di violenza subìti, e questo per noi è un problema morale, perché noi siamo interessati a portare i responsabili davanti al giudice, affinché con un processo si arrivi a una sentenza».
Un altro caso grave è emerso al Windsbacher Knabenchor, un´istituzione protestante. Dove, almeno fino al 2004, ai ragazzi venivano somministrate botte da orbi, secondo i media tedeschi.
La posizione del Papa, anche dopo la sua lettera, è difficile in patria. «Ratzinger, figlio di un poliziotto, sapeva che nessuno (nella Chiesa) aveva mai chiamato la polizia», accusa Der Spiegel.
E continua: non solo a Monaco, ma anche più tardi a Roma, come prefetto della Congregazione della dottrina della fede, si lasciò sfuggire la possibilità di affrontare il problema. Una vittima - una donna oggi sulla quarantina, abusata da un sacerdote e poi da un altro da quando aveva dieci anni - ha detto ieri: «Per la lettera del Papa provo solo disgusto e rabbia, questi freddi vecchi uomini non vogliono modificare le strutture della Chiesa, soprattutto riguardo alla sessualità». Un clima pesante, e alcuni prelati reagiscono oltre misura. Il vescovo di Ratisbona, Gerhard Ludwig Mueller, ha accusato ieri i media di «attaccare la Chiesa come facevano i nazisti con le loro campagne contro il cristianesimo».

Repubblica 22.3.10
Parla Christian Weisner, leader del movimento dei cattolici critici "Wir sind Kirche"
"Crisi da affrontare con urgenza il Pontificato mai così oscurato"
Dobbiamo accettare che gli stupri sono un problema globale cui serve una risposta globale
di A. T.

BERLINO - Christian Weisner, leader di Wir sind Kirche la Chiesa siamo noi (il forte movimento dei cattolici critici), è deluso dalla lettera del Papa ma esorta a incoraggiarlo a fare chiarezza fino in fondo. È la grande chance, altrimenti la crisi acquisterà qualche parallelo con quella del socialismo reale sovietico.
Signor Weisner, come giudica la lettera del Papa?
«Il dramma della violenza sessuale viene affrontato con grande apertura. È inusuale per un pontefice. Ma sulle cause e i consigli per la prevenzione futura purtroppo è molto deludente. Egli è all´inizio della presa di coscienza. Lui vede più le tendenze secolari mondiali nella morale come cause, e mi sembra mostruoso anche che veda una falsa lettura del Concilio Vaticano II come concausa. Allora lavorò per il Concilio ma oggi cerca di tornare a più tradizione che innovazione».
E non una parola sulla Germania. Che ne dice?
«Un silenzio accettabile, ma i tedeschi si aspettavano almeno una parola di compassione per le vittime tedesche quando il Papa il 12 marzo ricevette il rapporto dei vescovi tedeschi. Purtroppo il Papa tacque allora e tace in questa lettera. Posso in parte accettarlo, riguarda la ben più grave situazione irlandese. Ma tutti noi cristiani, da ogni fedele al Papa, dobbiamo accettare che la violenza sessuale contro bimbi, minori o donne nella Chiesa è un problema globale e necessita d´una risposta globale».
Il pontificato di Benedetto è in pericolo?
«La crisi deve essere affrontata con urgenza. Mai, nemmeno nei secoli più bui, la luce del Vangelo è stata tanto oscurata come oggi, lo scrive anche il Papa. È cosciente della gravità del problema. Ma la crisi non finisce così. Nessuno chiede le sue dimissioni. Tutti nella Chiesa, vescovi e cardinali, devono aiutarlo in questa tempesta. Egli non ha ancora individuato i problemi strutturali».
Ritiene il Papa responsabile di silenzi e insabbiamenti?
«Vedo una corresponsabilità. Dirlo non è chiederne le dimissioni, ma un vescovo deve avere un´alta autorità morale ma anche amministrativa. Manager e politici pagano gli errori dimettendosi, nella Chiesa c´è la riconciliazione. Ma se lui riconoscesse sue responsabilità, ciò gioverebbe alla sua autorità e a quella della Chiesa».
La difesa del sistema non ricorda l´autunno del socialismo reale sovietico?
«Anche all´Est mancava, ai vertici, la consapevolezza della gravità della crisi. Paralleli ci sono, tra sistemi centralisti e gerarchici, con dogmi. La differenza che mi fa sperare è che cristianesimo non è solo strutture centraliste, ma messaggio di Gesù. Se il sistema entra in una crisi di quel tipo, il messaggio cristiano resta, ben più vitale del socialismo. Ma la mancata riforma della Curia è stata un grave errore».
(a.t.)

Repubblica 22.3.10
Il segretario di Stato, Tarcisio Bertone: "Si diffonde un atteggiamento di anti-cristianesimo"
Il Papa: "Fermezza sul peccato ma indulgenza con i peccatori"
Attesa per quello che dirà oggi il cardinale Bagnasco sulla situazione in Italia
di M. Ans.

CITTA´ DEL VATICANO - «Impariamo a essere intransigenti con il peccato, a partire dal nostro, e indulgenti con le persone». All´Angelus di ieri in piazza San Pietro, il Papa preferisce non tornare sulla Lettera pastorale ai cattolici d´Irlanda, presente già sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Ma gli echi di un messaggio unico nella sua forma sono ancora nelle orecchie di tutti, fedeli e non.
Prendendo spunto dal celebre brano evangelico dell´adultera, e dalla famosa frase di Cristo «chi è senza peccato lanci la prima pietra», Ratzinger ha esortato a imparare «da Gesù a non giudicare e a non condannare il prossimo». La folla, oltre 50 mila persone, ha lanciato un fragoroso applauso quando Benedetto XVI ha ricordato Papa Wojtyla attraverso l´evento di domenica prossima: «Il 25esimo anniversario dell´inizio delle Giornate mondiali della Gioventù, volute dal Venerabile Giovanni Paolo II».
A tornare sulla Lettera è stato il segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone: «Molto bella speriamo che venga capita a cominciare dai giornalisti e da tutti i destinatari», facendo così intendere che la missiva pontificia ha una valenza capace di oltrepassare i confini irlandesi.
Parlando poi della necessità di armonia fra vita attiva e contemplativa espressa da San Benedetto, Bertone ha affermato che «oggi sembrano diffondersi in forma strisciante atteggiamenti di anti-cristianesimo radicale e micidiale in tutta Europa», dove c´è «un diffuso deficit di etica».
Un commento interessante alla Lettera è stato poi quello dell´arcivescovo di Chieti Vasto, monsignor Bruno Forte, considerato dagli osservatori come un teologo progressista. «C´è una forza, una chiarezza nel dire le cose - ha detto alla Radio Vaticana - che mi sembra assolutamente salutare, liberante; nello stesso tempo, però, c´è un velo di misericordia che guarda anche al colpevole, al carnefice, proprio perché ne vuole la redenzione». Forte ha considerato come condivisibili le cause indicate dal Papa per spiegare i troppi casi di abusi sessuali avvenuti negli anni ‘70 e ‘80 del post Concilio Vaticano II, come un indebolimento della fede che ha fatto venir meno la necessaria vigilanza.
C´è attesa dunque per oggi per quello che dirà sul testo pontificio e sulla situazione in Italia anche il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, che aprirà i lavori del Consiglio episcopale permanente.

Repubblica 22.3.10
Appello a tutti coloro che hanno subito violenze da parte dei religiosi, appuntamento il prossimo settembre
"Basta col silenzio anche in Italia" nasce l’associazione delle vittime
All´incontro già molte le iscrizioni da Brescia, Mantova e Verona
Caso agghiacciante a Chievo: piccoli sordomuti violentati dai sacerdoti
di Marco Ansaldo

CITTA´ DEL VATICANO - Il senso del programma è già nel titolo: "Anch´io ho subito violenza dal prete". E il manifesto scelto, solo in apparenza un paradosso: un bambino che porta la sua croce, trascinandola sulla tonaca nera di un sacerdote impassibile. La rabbia delle vittime è tanta, covata a volte per decenni, e le parole forti usate dal Papa nella sua Lettera pastorale contro i preti pedofili sono appena un balsamo sulle ferite ancora aperte.
Adesso però basta con il silenzio. Anche in Italia, i genitori di bambini abusati dai sacerdoti hanno deciso di reagire. Gruppi di famiglie si sono mobilitati organizzando, per il 25 settembre, a Verona, il loro primo incontro. E hanno chiamato a raccolta tutti coloro che sono stati abusati, molestati, violentati dai sacerdoti in seminari e parrocchie. Un raduno che avrà come titolo "Noi vittime dei preti pedofili".
Nel Nord Italia, fra Brescia, Mantova e Verona, sono tante le persone che stanno iscrivendosi all´incontro, attraverso l´indirizzo mail lacolpalibero. it. Un´iniziativa sorta anche con il contributo dell´Associazione "Antonio Provolo" di Verona, da decenni impegnata nel sostegno a bambini sordi, che lo scorso anno ha denunciato decine di casi di bambini abusati dai sacerdoti. Spiega il loro portavoce udente, Marco Lodi Rizzini: «Molta gente si vergogna di avere subito violenza, anche se la colpa non è loro. Scopo di questa iniziativa è di dare il coraggio di uscire allo scoperto. Noi indichiamo una strada. Poi la giustizia farà il suo corso».
Agghiacciante è il caso di quest´istituto di Chievo, dove per trent´anni, fino al 1984, molti piccoli sordi e muti furono abusati dai sacerdoti. «Bambini - ricorda Lodi Rizzini - messi in istituto dalle famiglie, e che ovviamente non potevano esprimersi e spiegare quel che accadeva». Sevizie patite nei luoghi più sacri, dentro i confessionali o dietro gli altari. Lo scorso anno 15 di loro, ormai fra i 40 e i 70 anni, hanno infine pubblicato le violenze subite, con tanto di firme e testimonianze video. Per tre anni l´istituto aveva chiesto inutilmente l´intervento della Curia di Verona. Ora il vescovo Giuseppe Zenti, denunciato dall´Associazione, dovrà presentarsi in tribunale per un´udienza fissata dai magistrati il 9 giugno prossimo.
«La triste storia in cui ci troviamo - dice a Repubblica una delle famiglie del Nord Italia coinvolte negli abusi - ci ha insegnato che per le vittime e per i parenti delle vittime è di aiuto il confronto con altre persone che hanno attraversato il medesimo dramma. Nel caso poi di violenze perpetrate da religiosi si aggiunge la sofferenza del rapporto con l´istituzione ecclesiastica. Così abbiamo pensato di tentare un collegamento fra noi».
All´incontro di Verona saranno presenti dei professionisti per un confronto sulle questioni psicologiche, sociali e legali. Una mobilitazione concreta anche sul piano operativo. Le famiglie hanno compilato un data-base, con i casi già noti in Italia e pubblicati sui giornali negli ultimi anni, e una bibliografia ragionata su libri e testi che hanno approfondito la pedofilia ecclesiale.
Ma il fenomeno è trasversale in Italia. E molto spesso è lo stesso fronte cattolico a tenere utilmente conto di numeri, dati e statistiche. La rivista Il Regno, quindicinale di attualità e documenti edita a Bologna dai sacerdoti dehoniani, enumera decine di casi nel periodo 2005-08. L´Associazione "Meter" di don Fortunato Di Noto, da anni attiva a Palermo contro la pedofilia, ha seguito solo lo scorso anno 824 casi di abusi con il supporto psicologico dei propri volontari. E adesso un´altra organizzazione, "La caramella buona", di Reggio Emilia, attraverso il suo presidente Roberto Mirabile vuole di più: «Che il Papa vada oltre la giusta presa di posizione sui preti pedofili nel mondo, e chieda ora ai vescovi italiani di fare chiarezza su troppi episodi oscuri a casa nostra».

Repubblica 22.3.10
Immigrati
Dall’inferno alla Sicilia le voci di un popolo in fuga
Sono scappati da guerre, miseria, violenze. Ma sono finiti in pasto ai mercanti di schiavi Nel viaggio verso le coste italiane hanno subito ogni genere di sopruso. Poi, l´approdo. Ecco le loro storie
di Francesco Viviano

I racconti dei clandestini, e le osservazioni dei medici che li hanno in cura
O.S. è nigeriana Durante la traversata è stata stuprata. Poi ha perso sua figlia

Sono morti che camminano. È gente alla quale hanno strappato anche l´anima e che sopravvive sperando in un miracolo. Soffrono d´insonnia, hanno frequenti incubi, la loro mente è affollata di pensieri di morte e sensi di colpa. Sono "extracomunitari" sopravvissuti alle torture, alle traversate del deserto e del mare, che in questi anni hanno raggiunto Lampedusa o altri approdi siciliani. I loro drammi, le loro storie, le foto con le ferite provocate dai loro carnefici in Nigeria, in Libia, in Somalia, nello Sri Lanka, sono raccolti nei dossier degli ambulatori siciliani che, tra mille difficoltà, sono riusciti a farli parlare. Queste persone sono state incarcerate, incatenate, fustigate. Le donne, violentate davanti ai loro bambini che spesso sono morti senza che loro potessero aiutarli. Un inferno, un calvario che ancora continua. Ecco le loro storie.
O. S. è nata in Nigeria, a Uga, nel 1985, ed è giunta a Lampedusa l´8 settembre del 2008. Quando è arrivata sembrava un fantasma. Non era soltanto stremata dal lungo viaggio in mare su un gommone con altri 40 disperati. Non ragionava per quel che aveva vissuto. «Sono fuggita dalla Nigeria perché ero minacciata dalla famiglia di un uomo che era stato ucciso da mio marito, che era fuggito e di cui non ho avuto mai più alcuna notizia. Così nell´agosto del 2008 ho lasciato la Nigeria insieme a mia figlia di 4 anni. Durante il tragitto nel deserto tra il Niger e la Libia sono stata fermata da un gruppo di uomini che mi hanno aggredita e stuprata ripetutamente, davanti a mia figlia. Durante la violenza mi hanno anche ferita con un coltello».
«La paziente - scrive il medico nella sua cartella - non riesce a descrivere gli eventi legati alla morte della figlia nel deserto: ricorda che si era ammalata durante il cammino e che è stata picchiata dagli stupratori poiché piangeva e dava "fastidio"». «Ho paura di avere contratto malattie veneree e di non potere avere più figli», dice ancora la donna. «La Sig.ra O. S. - di nuovo la cartella clinica - presenta importanti conseguenze dei traumi psicologici e fisici subiti. La morte traumatica della piccola figlia durante la fuga aggrava la condizione di smarrimento e di terrore in cui versa tuttora la paziente. O. S. soffre di insonnia, mutismo, inappetenza, disfagia; tale sintomatologia clinica è accompagnata da ricorrenti pensieri di morte, di inutilità della propria esistenza, di colpa nei confronti dei propri familiari rimasti nel loro paese».
D. T. B. è nato in Eritrea il 14/7/1974. Nel giugno del 2000, alla fine della guerra contro l´Etiopia (iniziata nell´aprile del 1998, e durante la quale aveva combattuto) è stato arrestato. «Sono stato spogliato dei miei vestiti e rinchiuso in una stanza piccola e molto calda, non c´era luce né servizi igienici. L´isolamento è durato 5 giorni, poi mi hanno condotto in un´altra stanza dove si trovavano 4 militari che mi hanno messo la testa dentro un recipiente colmo di escrementi umani minacciandomi di morte. Questo trattamento si è ripetuto ogni 3 giorni, io ero sempre in isolamento e all´oscuro di quale fosse l´accusa. Non ricordo per quanto tempo sia durata questa prigionia, in quei giorni non riuscivo a capire nulla, avevo delle infezioni provocate dagli escrementi nella gola e sono diventato quasi cieco. Sono stato poi condotto in una stanza sotto terra dove dei militari mi hanno fatto firmare un foglio su cui mi hanno fatto confessare di essere una spia etiope. Mi hanno colpito ripetutamente con un bastone al volto, al naso, sulla testa, anche con un sacchetto di sabbia pieno di pietre».
«I mesi di reclusione successivi vengono definiti dal paziente come infernali - scrive il medico nella cartella di D. T. B. -. Il detenuto è riuscito a fuggire dalla prigione il giorno in cui per la prima volta i detenuti erano stati condotti fuori cella; egli stesso considera miracoloso il fatto di non essere stato catturato e ucciso. A piedi ha poi raggiunto il confine con il Sudan, e da lì è giunto fino a Karthoum (15/10/2000), dove si è fermato per circa 1 anno prima di partire per la Libia con la moglie. Qui la moglie, al 3° mese di gravidanza, è stata catturata dalle autorità libiche (verosimilmente a causa della croce tatuata sulla fronte) e da allora non se ne hanno più notizie. D. T. B è giunto in Italia il 28/10/2003».
S. J. è nata ad Harare, nello Zimbawe il primo luglio del 1986. «Mia madre era nigeriana e all´età di 6 anni ci siamo trasferiti con parte della famiglia in Nigeria, nel suo villaggio natale. Da allora non ho avuto più notizie di mio padre, che era un militare dello Zimbawe. Ho avuto una bambina dalla relazione con un uomo politico dell´etnia Shakiri, appartenente al People Democratic Partry. Il nostro matrimonio è stato violentemente ostacolato dalla famiglia del mio ragazzo, in quanto io appartenevo ad un´altra etnia, quella degli Urobo. Fui costretta a fuggire in un altro villaggio, durante la gravidanza, perché minacciata dai familiari del mio ragazzo, ma fui ritrovata e sequestrata. Sono stata tenuta prigioniera per circa un mese: durante i giorni di prigionia sono stata picchiata e maltrattata quotidianamente, perché volevano sapere dove s´era nascosto loro figlio, ma io non lo sapevo. Sono poi riuscita a fuggire e ho lasciato il mio Paese. Sono rimasta ad Agadez, in Niger, per circa un anno, lavorando in un mercato, ma sono dovuta scappare di nuovo perché mi volevano costringere a prostituirmi. Ho raggiunto Dukru, dove sono stata sequestrata da militari e stuprata più volte, poi mi hanno portato in Libia a bordo di un camion. Mi hanno abbandonata per strada, dove sono stata intercettata dalla polizia libica. E qui nuovamente violentata e arrestata perché non avevo documenti. Dopo una settimana di carcere a Tripoli mi hanno mandata a lavorare come cuoca per il proprietario di una delle navi che trasportano clandestini. Dopo due mesi di lavoro mi sono imbarcata su un gommone e ho raggiunto Lampedusa». Nel 2008 S. J. ha avuto accolta la sua richiesta di asilo politico. Le sue condizioni stanno migliorando.
A. H. è nato in Liberia il 6/2/1958. Ha il volto sfigurato, deturpato dalla soda caustica che i suoi carcerieri gli hanno tirato in faccia. «Sono stato catturato nel giugno del 1998 nella capitale liberiana dalla Atu (Anti Terrorist Unit) per aver distribuito e affisso poster riguardanti gli abusi dei diritti umanitari nel mio paese. Fui accusato di danneggiare la sicurezza dello stato e dopo 5 giorni di interrogatori e di sevizie sono stato colpito al volto con una sostanza liquida caustica. Ho ripreso conoscenza dopo qualche giorno nell´ospedale S. Joseph di Monrovia, dove sono rimasto ricoverato per circa 7 mesi, sottoponendomi a diversi interventi chirurgici ricostruttivi. Nel luglio 2002, dopo aver militato nel Lurd (Liberia United for Restoration of Democracy), sono arrestato nuovamente dai militari e tenuto prigioniero fino al 2 giugno del 2003, data in cui sono riuscito a scappare durante un controllo sanitario in ospedale. I miei familiari ed alcuni amici hanno poi raccolto del denaro e sono riuscito a raggiungere l´Italia, attraverso la Libia, il 15 giugno del 2007».

Repubblica 22.3.10
Elogio della scienza
Un nuovo libro di Massimiano Bucchi sulle incomprensioni tra società e conoscenza
Quel che i media non riescono a dire della scienza
Spesso le notizie scientifiche sui giornali sono esche per attrarre finanziamenti
Ma non si può cancellare la differenza tra scientisti e antiscientisti
di Piergiorgio Odifreddi

Si racconta che negli anni ´60 una multinazionale andò in giro per l´Africa, con uno schermo portatile e un generatore di elettricità, per mostrare nei villaggi sperduti un filmato sui grandi macchinari agricoli che produceva. Dopo varie proiezioni, si accorse però che il filmato non sembrava avere alcun effetto, e alla fine si decise a domandare agli spettatori che cosa avessero recepito. La sorprendente e unanime risposta che ricevette fu: la presenza di un pollo che passava a un certo momento in un angolo dello schermo, e di cui gli occidentali non si erano nemmeno accorti. La sorpresa svanì quando si rifletté sul fatto che, in fondo, ciascuno può percepire della realtà soltanto ciò che è in grado di riconoscere e comprendere.
Questo episodio è una perfetta metafora del rapporto tra la scienza e i media. Uno scienziato, e più in generale una persona acculturata di scienza, che legga i giornali, ascolti la radio o guardi la televisione, anzitutto ci troverà solo molto raramente notizie scientifiche, e praticamente mai in posizione di rilievo come la prima pagina. Ma quelle rare volte che ce le troverà, si accorgerà che in genere sono solo insignificanti polli notati da ignari selvaggi. I quali, nella migliore delle ipotesi, avranno anche sfogliato le pagine di Nature o Science, ma senza percepire altro che ciò che potevano riconoscere e comprendere.
A complicare le cose c´è poi il fatto che spesso, più che di polli, si tratta in realtà di pavoni. Cioè di notizie con la coda variopinta messe lì, apposta per attirare l´attenzione, da scienziati furboni e a volte senza scrupoli, che sanno benissimo a quali esche si abboccherà. E il motivo per cui ce le mettono, è ovviamente per ottenere visibilità e finanziamenti, che verranno spesi per perpetuare quel genere di ricerche che poi attrarranno altra attenzione mediatica, in una perversa e futile spirale che costituisce uno degli argomenti di Scientisti e antiscientisti di Massimiano Bucchi (Il Mulino, pagg. 128, euro 11,50).
Il sottotitolo Perché scienza e società non si capiscono, senza punto interrogativo, promette una risposta che viene data nella conclusione: «scienza e società non si capiscono perché si intendono fin troppo bene», nel senso che ciascuna si appoggia all´altra in maniera analoga alla spirale descritta sopra, in cui i giornalisti diffondono colposamente notizie trash, spesso fornite dolosamente dagli scienziati. Ora, è sicuramente innegabile che ci siano questi aspetti deleteri del rapporto fra scienza e società, ma Bucchi tende ad enfatizzarli al punto da cancellare la differenza stessa tra scientismo e antiscientismo, considerandoli due facce di una stessa medaglia e ribattezzandoli addirittura, rispettivamente, «scientismo positivo e negativo».
L´operazione è sospetta, e in un certo senso analoga a quella di coloro che considerano anche la fede e l´ateismo come due facce di una stessa medaglia, come suggeriva il titolo del libro di Umberto Eco e Carlo Maria Martini Cosa crede chi non crede? Una domanda singolare, dello stesso tipo di "Cosa mangia chi non mangia?", alla quale non si può certo rispondere che mangia qualcosa di diverso dal cibo, come invece tendono a fare coloro che ritengono che l´ateismo sia un tipo diverso di religione, invece che la sua mancanza.
Questi giochi di parole tendono più a confondere i termini del dibattito, che non a chiarirli. Per chiarire cosa sia lo «scientismo», bisogna anzitutto notare che il termine ha già di per sé un connotato negativo, al contrario di «umanesimo». E che non c´è nessuna parola che descriva positivamente, o anche solo neutralmente, la constatazione che «i metodi caratteristici delle scienze naturali rappresentano l´unica fonte genuina di conoscenza fattuale, e solo essi possono produrre un´effettiva conoscenza dell´uomo e della società»: che è, appunto, il modo in cui Bucchi definisce lo scientismo.
L´antiscientismo è ovviamente l´opinione contraria, professata più o meno apertamente dalla quasi totalità della società umanista, che spesso si trincera dietro ad aperti fraintendimenti dell´impresa scientifica. Uno degli esempi più influenti, citato rispettosamente anche da Bucchi, è La struttura delle rivoluzioni scientifiche del filosofo Thomas Kuhn, al quale si appigliano tutti coloro che vorrebbero assegnare alla verità scientifica un carattere puramente storico. Chi non conoscesse i fatti e leggesse quel libro, così come La rivoluzione copernicana dello stesso autore, potrebbe infatti dedurne che il passaggio dal sistema tolemaico a quello copernicano abbia costituito un radicale cambiamento di prospettiva fisica, mentre invece i due sistemi sono perfettamente equivalenti dal punto di vista della descrizione dei moti planetari. E´ l´immagine metafisica del mondo che è cambiata, nel passaggio dal geocentrismo all´eliocentrismo, ma questo è un problema della filosofia, e non certo della scienza!
Analoghe considerazioni si potrebbero fare a proposito del falsificazionismo del filosofo Karl Popper, ampiamente citato da coloro che vorrebbero invece assegnare alla verità scientifica un carattere puramente negativo. Senza tener conto, ovviamente, del fatto che ciò di cui parlano sia Popper che Kuhn non è per niente la scienza reale che praticano gli scienziati, bensì quella fittizia che si immaginano i filosofi. I quali, avendo maggior accesso ai media, finiscono per imporre i propri fraintendimenti come se fossero, questi sì, verità assolute e positive.
Per forza di cose, i letterati sono ancora peggio dei filosofi, perché della scienza capiscono ancora meno, ma hanno un accesso ancora maggiore ai media. Un caso emblematico è la considerazione di cui godono le opere «scientifiche» di Wolfgang Goethe, che avrà anche scritto dei bei versi in tedesco, ma quando si è avventurato a pontificare nei campi dell´ottica o della chimica si è reso semplicemente ridicolo. Il suo romanzo Le affinità elettive faceva pateticamente partorire a due genitori una figlia con i tratti somatici dei rispettivi amanti, ai quali essi pensavano al momento del concepimento.
Dire che ciò che importa in quei libri è la forma, e non il contenuto, equivale ad ammettere che la letteratura non è impresa di verità, ma di bellezza. Il che potrà anche essere vero, ma conferma appunto la visione «scientista», che la conoscenza fattuale sta di casa altrove. Ma non certo nella mitologia o nella religione, che costituiscono i baluardi più avanzati dell´antiscientismo. Come si può infatti combinare con la scienza la credenza nelle anime e negli spiriti immateriali, quali angeli e demoni? O la fede nei miracoli, che sospendono le leggi di natura per permettere interventi soprannaturali?
Si ha un bel dire che l´antiscientismo non esiste, se non come altra faccia della medaglia dello scientismo! Non solo esso esiste, ma impera! E ogni passo avanti compiuto dall´immagine della scienza viene contrastato da cento passi indietro compiuti da filosofi, letterati e religiosi. L´ultimo in ordine di tempo è la decisione del ministro Gelmini di offrire sì, agli studenti del Liceo Scientifico, un baratto dell´anacronistico latino con la moderna informatica e un po´ più di scienze. Ma solo in un indirizzo facoltativo, attivato solo in alcune scuole, e avversato dall´esercito delle cariatidi che ancora pensano che il cervello maturi di più recitando rosa, rosae, rosae che non imparando a scrivere algoritmi!
Il fatto è che quello viene bollato come «scientismo» non è altro che una miscela di tre semplici ingredienti: buon senso, razionalità e rigore. Ciascuno di questi ingredienti è raro, ma se anche fosse casualmente distribuito al 50 per cento, la combinazione di tutti e tre sarebbe comunque posseduta solo dal 12,5 per cento della popolazione: il che spiega la percentuale bulgara degli antiscientisti, e la difficoltà degli «scientisti» di far sentire la propria voce.


l’Unità 22-3.10
A Terni L’omaggio a «Tinissima». Bella e comunista, e ai suoi scatti crudi e sensuali
Il percorso La storia di un’artista che abbandonò la macchina fotografica per la rivoluzione
Il pane e le rose: tutte le vite e le foto di Tina Modotti
di Sandra Petrignani

Tinissima la chiamava sua mamma, e «Tinissima» è il titolo della mostra a Terni che celebra Tina Modotti, attrice, rivoluzionaria, fotografa, spia, crocerossina, attraverso le sue fotografie.

Le fotografie di Tina Modotti che ritraggono dettagli di fiori, primissimi piani di calle, rose, lilium, rimandano ai quadri dell’americana Giorgia O’Keefe, successivi di qualche decennio: ne hanno la stessa indecente sensualità, un carnale amore per la natura e la vita. È la sorpresa più grossa che mi riserva la mostra Tinissima (fino al 4 aprile a Terni, Palazzo di Primavera). Non avevo mai visto queste fotografie. I primi piani di mani sì, li conoscevo, li vedi una volta e non li dimentichi più, mani stanche e impolverate di operai, di contadini, di vecchi, mani umili, delicate e forti insieme.
LE MANI, I BAMBINI
Poi ci sono i bambini, quanti bambini seri negli scatti della Modotti, pensierosi dentro i loro stracci. Non basta qualche lieve sorriso sulle labbra di donne fiere, quella che porta una bandiera rossa tanto più grande di lei, quelle che avanzano con cesti e vasi sul capo, una concentrazione sofferta sui loro volti come su quello dell’autrice: gli occhi fondi e neri di Tina, il disegno amaro della bocca, quasi presaga di un destino difficile, luttuoso, calunniato.
Quante vite ha avuto Tina Modotti? Attrice, fotografa, rivoluzionaria, spia, crocerossina. «Mi considero una fotografa, e niente altro» aveva detto di sé. Ma per affermare che non c’era niente di artistico nel suo lavoro, perché la parola arte la metteva a disagio, le dava «una sensazione sgradevole». Non le piaceva l’aura di eccezionalità intorno agli artisti, lei era dalla parte della vita, con le sue tragiche ingiustizie. E quella scelse a un certo punto, buttando la macchina fotografica alle ortiche e votandosi totalmente alla rivoluzione comunista, che l’avrebbe tradita.
Friulana di Udine, nata nel 1896 da famiglia modesta, a diciassette anni s’imbarca per San Francisco per raggiungere il padre emigrante. Fa la modella, l’attrice, diventando una diva del cinema muto. Poco più che ventenne sposa un artista e poeta bohèmien, che morirà in Messico cinque anni dopo. Intanto Tinissima, nome che le dava la madre da piccola giocando a rendere superlativo il diminutivo di Assuntina, ha già conosciuto il grande fotografo statunitense Edward Weston. Lui, famoso seduttore, capitola per Tina, ne è gelosissimo, ma la asseconda nel sogno anticonformista del libero amore.
E intanto la fotografa mentre prende il sole, completamente nuda, sensualissima, sulla terrazza della loro casa di Città del Messico, dove si sono trasferiti, dove frequentano Diego Rivera, Frida Khalo e gli altri comunisti rivoluzionari. È proprio Tina durante una festa in quella sua casa ospitale, luminosa, detta «la nave» per l’atipica forma angolare, a presentare Frida a Diego.
Per la seconda volta nella vita Tina diventa famosa, una fama che non vuole e anzi cerca di sfuggire, una fama di scandalo oltre tutto: le foto che Weston le ha scattato le creano intorno un’aura pericolosa, da femme fatale che non è. È anzi, a detta di chi l’ha conosciuta, una donna modesta e tranquilla. Una che parla poco e guarda molto, direttamente e attraverso l’obiettivo che Weston le ha insegnato a usare. Era un fotografo lo zio friulano Pietro Modotti e il padre, Giuseppe, aveva aperto uno studio fotografico a San Francisco. Tina era dunque in qualche modo predestinata alla fotografia.
Ma poi conosce il grande amore, il giornalista rivoluzionario cubano Julio Antonio Mella con cui passione e politica si mescolano in un incontro incandescente. È il 1928, la favola dura pochissimo. Il 10 gennaio dell’anno successivo Mella viene ucciso, mentre cammina di sera abbracciato a Tina. Vittima del governo cubano a cui si opponeva? Stroncato da un sicario di Stalin, che non ammetteva deviazioni anarchiche?
Qui il destino di Tina s’incrina per sempre, da ora in poi sarà una marionetta della storia che la gioca in diversi scenari di cui lei non sembra più avere il controllo. Viene accusata del delitto di Mella per motivi passionali. Diego Rivera si batterà come un leone per dimostrare la sua innocenza.
Ma la vita di Tina è spezzata. L’anno successivo abbandona il Messico. Sulla nave verso l’Europa c’è anche l’ambiguo Vittorio Vidali, un attivista staliniano dai molti scheletri nell’armadio. Forse ha perfino ucciso lui Mella, forse, per aver via libera con Tina. Ma Tina non sospetta niente, è sola. Tenta di resistere alle insistenze di Vidali di trasferirsi in Russia. Va da sola a Berlino, dove già aleggia un clima prenazista.
Qui potrebbe diventare una fotoreporter. Ma lei scrive a Weston: «Non sono adatta, non sono così aggressiva. La mia fotografia ha bisogno di tempi lenti, di calma». Accetta invece di entrare nel Comintern, diventa una spia per il Soccorso Rosso Internazionale di Vidali. Nel ’36 volontaria nella guerra di Spagna, fa la cucina, cura i feriti. Vede con i suoi occhi gli orrori di cui si macchiano «i suoi». Forse finalmente le crolla il velo su Vidali, al quale la storia attribuirà fino a 400 omicidi di anti-staliniani.
Nel 1939, irriconoscibile, invecchiata, stanchissima Tina torna in Messico, il paese dove aveva conosciuto una breve felicità. Esce dal silenzio soltanto per dichiarare il suo dissenso sul patto di non aggressione fra Stalin e Hitler. Forse firma così la sua condanna a morte. Tre anni dopo muore misteriosamente in un taxi. Per un infarto, hanno detto. Ma c’è chi sostiene che Vidali si trovava anche lui di nuovo a Città del Messico. Sarebbe morto dopo molto tempo, nel 1983, senatore della Repubblica italiana, portando nella tomba i suoi segreti.
Un bel film-documento realizzato da Silvano Castano per Cinemazero e la Cineteca del Friuli, utilizzando i materiali degli Archivi Modotti di Pordenone, è in vendita nella sede della mostra di Terni.

domenica 21 marzo 2010

il Fatto 21.3.10
Una variabile radicale
risponde Furio Colombo

Caro Colombo, capisco che il Pd giri alla larga dalla questione Radicale. Hanno abolito i talk show, hanno occupato la scena con la questione delle liste nel Lazio ( un gran servizio a chi?) e adesso Emma Bonino, che del resto ha il suo marchio di fabbrica, fa campagna elettorale per conto suo, e il Pd sembra assente come il Pdl. Insomma, gli azzeratori di liste. Ma questa alleanza ci conviene?
Maurizio

FORSE il lettore sa che non mi troverà dalla sua parte e ha voluto fare, come si dice, “una provocazione”. Ma non bisogna scartare mai, nel nostro Paese, l’ipotesi delle cattiva informazione, dei giornali distratti e della televisione muta. Perciò provo a rispondere punto per punto. In un caso e nell’altro vale la pena. 1-La abolizione dei talk show non è una trovata dei Radicali ma della molto onorevole maggioranza del nostro Parlamento, della sua illustre delegazione alla Commissione di Vigilanza, e del Dottor Masi, già presidenza del Consiglio, prestato alla Rai come direttore generale. Non invocherò la controprova del processo di Trani ( chi voleva la testa di Santoro ad ogni costo?) ma la desolata dichiarazione di Sergio Zavoli, presidente della Vigilanza e gran galantuomo che ha detto, dice e ripete che i talk show possono ricominciare subito. E’ vero, i Radicali avevano una pretesa; allargare il cerchio ( in senso politico, non mondano) di chi partecipa. Sarebbe civiltà politica, giuridica, giornalistica. Viene presa come un oltraggio. 2-L’incidente delle liste Pdl, scomparse per ritardato arrivo (o addirittura non pervenute) a causa del continuo cancellare e riscrivere i nomi tra una scenata e l’altra dei vari capi branco Pdl, fa onore a chi ha reso impossibile almeno una (questa) illegalità e al Radicale che ( è proprio il caso di dirlo) si è messo per traverso. Un illegalità in meno è poca cosa in questo paese, ma è come una multa in più per parcheggio arrogante in doppia fia. Almeno è un segnale che non tutto si può fare. 3-Emma Bonino è l’unico equivalente che possediamo di animale politico modello anglosassone, che segue con tenacia la pista, non si lascia distrarre, non finge di correre per il governo del paese ma cocciutamente si occupa della Regione. E soprattutto di ciò che le Regioni possono e devono fare, non di problemi inventati. I cittadini vedono che conosce i problemi, sa i numeri, arringa poco e lavora molto, con precisione. E’ come il trailer di un film. Capisci da certe scene che devi andare a vederlo. Per il Pd, in questo girone regionale ( di sola andata) è come quelle squadre che si accorgono di avere acquistato il giocatore giusto.

l’Unità 21.3.10
Il Papa si sente «tradito». Ma non si scusa per le violenze
di Roberto Monteforte

La lettera: I colpevoli rispondano a Dio e ai tribunali. Padre Lombardi: gesto inusuale
Benedetto XVI incontrerà le vittime: «Nulla cancellerà il vostro dolore»

Presentata ieri la «lettera pastorale» di Benedetto XVI alle vittime dei preti pedofili in Irlanda, ai colpevoli e ai loro vescovi. Conferma «tolleranza zero» e piena collaborazione della Chiesa con la magistratura.

«Non posso che condividere lo sgomento e il senso di tradimento che molti di voi hanno sperimentato al venire a conoscenza di questi atti peccaminosi e criminali e del modo con cui le autorità della Chiesa in Irlanda li hanno affrontati». È con questa presa di posizione, netta e senza equivoci, che papa Benedetto XVI si rivolge alle vittime di abusi sessuali da parte del clero nella sua «lettera apostolica» indirizzata a tutti i cattolici del paese cattolico, in primo luogo alle vittime e alle loro famiglie, ma anche ai sacerdoti colpevoli, ai vescovi, ai giovani, al clero «incolpevole». L’atteso documento è stato ieri presentato dal direttore della Sala Stampa, padre Federico Lombardi. È una lettera indirizzata all’Irlanda, che tiene conto delle specificità di quella situazione, che è solo «un primo passo» di un cammino non semplice di assunzione i responsabilità e di recupero di credibilità di quella Chiesa e di quell’episcopato, ma che per alcune indicazioni può avere anche un valore più generale. Soprattutto per l’invito rivolto ai colpevoli.
COLLABORARE CON LA GIUSTIZIA
Chi ha sbagliato deve pagare. I preti e religiosi colpevoli di abusi sessuali verso giovani devono rispondere dei loro peccati e dei loro crimini, non solo davanti a Dio, ma anche davanti ai «tribunali debitamente costituiti». Per loro Ratzinger ha parole durissime. «Avete perso la stima della gente d’Irlanda e rovesciato vergogna e disonore sui vostri confratelli. Avete violato la santità del sacerdozio creando grave danno alla Chiesa» scrive, invitandoli ad assumersi la responsabilità dei peccati commessi. Chiede «pentimento sincero» e di render conto delle proprie azioni «senza nascondere nulla». «Riconoscete apertamente la vostra colpa sottomettendovi alle esigenze della giustizia, ma non disperate della misericordia di Dio» è il suo invito. Non è un «mea culpa», ma sicuramente un’esplicita assunzione di responsabilità anche per quei vescovi e quei «superiori» che non hanno vigilato abbastanza, che hanno sottovaluto e coperto i responsabili. «Alcuni di voi e dei vostri precedessori afferma rivolgendosi all’episcopato irlandese avete mancato, a volte gravemente, nell’applicare le norme del diritto canonico circa i crimini di abusi di ragazzi». «Seri errori aggiunge furono commessi nel trattare le accuse». Vi sono state «mancanze di governo» che hanno seriamente minato la credibilità ed efficacia dell’azione della Chiesa. Nella lettera non si parla di dimissioni da accogliere. Ai vescovi il Papa chiede però di «mettere pienamente in atto le norme del diritto canonico» e soprattutto «di cooperare con le autorità civili». Non vi possono più essere incertezze. Invita a seguire «un approccio chiaro e coerente» nell’applicare le norme stabilite a tutela dei ragazzi». Vi saranno «visite apostoliche» nelle diocesi per fare chiarezza sulle situazioni specifiche.
IL BUON NOME DELLA CHIESA
Come rimediare? Il Papa indica dove intervenire e non solo per la Chiesa d’Irlanda. Oltre alle «procedure inadeguate» nella selezione dei sacerdoti e alla «insufficiente formazione umana, morale, intellettuale e spirituale nei seminari» aggiunge la «tendenza a favorire il clero e altre figure in autorità» e «una preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare scandali» che hanno portato alla «mancata applicazione delle pene canoniche in vigore e alla mancata tutela della dignità della persona». L’effetto è stato che le conseguenze negative per la Chiesa sono state superiori a secoli di persecuzioni. Con la sua lettera personale, «gesto inusuale» come ha sottolineato padre Lombardi il Papa intende «contribuire a riparare, risanare, rinnovare» ha espresso la sua vicinanza personale alle vittime che è pronto ad incontrare ad incontrare e ascoltare così come è avvenuto in America, in Australia e anche a Roma.
Qualcuno resterà deluso. Anche perché restano in ombra le responsabilità antiche e recenti della Santa Sede. Tutto pare scaricarsi su preti e vescovi. Padre Lombardi ha sottolineato «la coerenza e la chiarezza nell’azione» di papa Ratzinger anche quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. nel «contrastare atteggiamenti di copertura o nascondimento». La «Lettera», ha chiarito, è un documento pastorale e dunque non si sofferma su provvedimenti amministrativi e giuridici riguardanti eventuali dimissioni di presuli irlandesi. Sono decisioni che spettano al Papa. C’è chi assicura che arriveranno a breve.

l’Unità 21.3.10
Abusi anche in Italia, li racconta «Il peccato nascosto»
Per i preti pedofili saremmo secondi solo al Belgio e all’Irlanda
Omertà e sottovalutazione hanno nascosto l’ampiezza della pedofilia in canonica anche nel nostro paese I casi eclatanti e la denuncia dell’avvocato Marazzita
di R. M.

Una pubblicazione tempestiva e utile Il peccato nascosto (casa editrice Nutrimenti. 12 euro pagg. 178). Soprattutto per il grande pubblico che vuole capire qualcosa in più sullo scandalo dei preti pedofili e soprattutto sui «silenzi della Chiesa», quelli sui quali ieri Benedetto XVI ha avuto parole di inequivocabile condanna. L’autore ha voluto restare anonimo. Il libro è stato curato dal giornalista Luigi Irdi. Si parte da ampi stralci dei documenti della commissione d’inchiesta sui casi irlandesi, per poi fornire un quadro delle storie «italiane dimenticate da giornali e tg». Storie aberranti e drammatiche di pedofilia consumate nelle canoniche.
Tutto parte dal dicembre del 2009 quando la commissione Murphy ha reso pubblico il suo rapporto d’indagine sugli abusi sessuali commessi dai preti della Chiesa irlandese nei confronti di minori: sono stati presi in esame, nella sola diocesi di Dublino, i casi di 46 sacerdoti che, dal 1975 al 2004, hanno fatto 320 vittime. Le conclusioni che gli inquirenti irlandesi traggono sono chiarissime. Per molti anni l’unica preoccupazione delle gerarchie ecclesiastiche chiamate a misurarsi con questo problema è stata quella di tutelare, ben prima delle vittime degli abusi, il buon nome della Chiesa, la sua reputazione. Il nodo sarebbe il documento De delictis gravioribus, un aggiornamento del Crimen sollicitationis (1962) con le nuove istruzioni rivolte ai preti sui casi di pedofilia nel 2001 dallo stesso Joseph Ratzinger allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Per gli autori il documento forniva un’indicazione molto chiara: «Le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio». Un’interpretazione sbagliata? Forse, ma ha giustificato una scarsa collaborazione della Chiesa con la magistratura. Anche in Italia. Secondo l’avvocato Nino Marazzita, presidente dell’associazione antipedofilia «La Caramella buona» che ha collaborato alla realizzazione del libro, in Europa per gli abusi di preti pedofili saremmo secondi solo al Belgio e all’Irlanda. L’avvocato denuncia il clima di omertà, la logica di insabbiamento, ma sarebbero decine i casi affrontati nelle aule di giustizia. Per rompere questo clima Il peccato nascosto dà conto di alcuni, emblematici. Racconta della piccola Alice (nome di fantasia) e di don Giorgio Carli, a Bolzano, ricorda il caso di don Piero Gelmini, il «prete antidroga» ed i casi di abuso denunciati all’Istituto Valsalice dei salesiani a Torino, di don Mauro Stefanoni a Como e di don Ruggero Conti a Roma. Lo fa senza compiacimento. Sottolineando, però, quanto le coperture della gerarchia abbiano nuociuto alla verità e alla credibilità della stessa Chiesa.

l’Unità 21.3.10
«Io, bimbo violentato arrivai a odiare me stesso»
In prima pagina sull’Independent il racconto di una vittima: il Papa si assuma la responsabilità di insabbiamenti e connivenze. E parli a chi ha perso la fede
di Colm O’Gorman

Non fu la violenza subitadaunpretea14anni a mandare in frantumi la mia fede; fu rendermi conto che la Chiesa Cattolica mi aveva volontariamente e consapevolmente abbandonato, fu venire a sapere che avevano ordinato sacerdote il prete che mi aveva abusato pur sapendo che era un pedofilo e che lo lasciavano fare impunemente ignorando le lamentele. Quindi è difficile non essere cinici riguardo alla lettera pastorale di Benedetto XVI.
Tanto per cominciare la lettera è diretta alla «fedele Irlanda». Il Papa non scriverà a quanti sono scappati o hanno lasciato la Chiesa traumatizzati o furibondi a causa degli atti di depravazione e delle complicità, ma a quanti, malgrado tutto, conservano la fede.
So benissimo perché ho perso la fede nella Chiesa Cattolica Romana. Ero un bravo cattolico, nato in una società dove essere irlandese voleva dire essere cattolico. Da bambino alla sera mi inginocchiavo insieme alla mia famiglia per recitare il rosario e divenni chierichetto perché da giovane per me aveva un enorme significato servire il Dio di cui parlavano i miei genitori. La mia fede per me contava molto; era giunta a me dalle generazioni passate e mi dava un forte senso di identità e mi faceva capire quale era il mio posto nel mondo.
La fede era forte abbastanza da non essere spazzata via dall’abuso. Padre Sean Fortune fece leva sulla mia fedeltà per attirarmi nella sua parrocchia di campagna e violentarmi. Ma la mia fede era talmente forte e la mia necessità di credere nella bontà della Chiesa e dei suoi preti talmente potente mini, introiettando dentro di me l’odio per quel gesto di violenza e lì, nel mio animo, l’odio per decenni mi avvelenò. Era svanita la fede in me stesso, ma non quella nella Chiesa. Nel corso degli anni andai a messa la domenica sempre meno, ma continuai a stimare la Chiesa fin quando fui colpito dalla dolorosa consapevolezza di quanto grande era stata la rete di connivenze, silenzi e complicità non solo nel mio caso, ma anche nel caso di molti altri.
Il Vaticano, in primo luogo, non deve mai tentare di dare ad altri la colpa dei fallimenti della Chiesa. Papa Benedetto XVI non deve dire che
le rivelazioni dei reati commessi dai sacerdoti e gli insabbiamenti fanno parte di un complotto mediatico come ha fatto in precedenza. Non deve cercare di attribuire la responsabilità alla decadenza della società occidentale, alla rivoluzione sessuale, ai gay, alla secolarizzazione o persino al diavolo come hanno affermato nel corso degli anni alti prelati.
Inoltre deve andare ben oltre le espressioni di angoscia e dolore per le rivelazioni degli ultimi anni. Nella sua qualità di capo della Congregazione della Dottrina della Fede, è stato responsabile per oltre venti anni della gestione dei casi di abusi sessuali sui bambini. Il Papa sa, più di chiunque altro, quali sono le dimensioni del problema in seno alla Chiesa Cattolica.
Non deve farci la paternale dicendoci quello che tutti sanno e cioè che gli abusi sessuali nei confronti dei bambini sono «crimini efferati». Non deve esprimere il suo rammarico per le azioni di alcuni o magari di molti. Né il Pontefice né l’istituzione che rappresenta sono mai stati considerati direttamente responsabili delle azioni di singoli sacerdoti.
Il Papa deve porre fine alla negazione e al rifiuto di affrontare in maniera adeguata l’accusa di insabbiamenti e connivenze. Al cospetto di casi ormai accertati in Irlanda, Stati Uniti, Australia e Canada, che hanno sollevato il tema della corruzione della stessa istituzione, comportarsi diversamente vorrebbe dire continuare a coprire gli scandali e rifiutarsi di affrontarli.
Si assuma la responsabilità degli insabbiamenti e delle connivenze e chieda scusa. In quanto capo supremo della Chiesa Cattolica, deve usare il suo potere per fare in modo che i bambini siano tutelati in seno alla Chiesa. Inoltre deve dire con chiarezza che quanti verranno meno al dovere di proteggere i bambini saranno chiamati a risponderne.
Da bambino mi insegnarono l’importanza della verità e della giustizia. Mi insegnarono che dovevo avere il coraggio di assumermi la responsabilità del male eventualmente fatto ad altri. Mi insegnarono che il primo passo su questa strada consisteva nel confessare i miei errori. Non mi aspetto nulla di meno dal capo della Chiesa che ha predicato a me questi valori.
L’autore dell’articolo è promotore di un movimento di tutela delle vittime di abusi sessuali da parte di sacerdoti e ha scritto «Beyond Belief», storia di un bambino che ha fatto causa al Papa.
© The Independent Traduzione di Carlo Antonio Biscotto

Repubblica 21.3.10
Le reazioni Le gerarchie ecclesiastiche approvano, ma le associazione delle vittime chiedono anche una condanna dell'insabbiamento
Delusione in Irlanda: "Il mea culpa non basta"
di Enrico Franceschini

LONDRA - «Profonda delusione» da parte delle associazioni che riuniscono le vittime degli abusi sessuali perpetrati da preti e suore. Speranza in una svolta che permetta «la rinascita e il rinnovamento» della Chiesa d'Irlanda, da parte delle autorità ecclesiastiche di Dublino. Reazioni contrapposte ha dunque suscitato la lettera pastorale di papa Benedetto XVI nell'Isola di Smeraldo, teatro per decenni di stupri, sevizie e violenze ad opera di sacerdoti pedofili e monache perverse. Le vittime, ma anche molti rappresentanti della popolazione, incluso il maggiore partito irlandese, si aspettavano di più dal pontefice, volevano un mea culpa più netto, che comprendesse una richiesta di scuse non solo per gli abusi nei confronti di migliaia di bambini ma anche per il cover-up, per l'insabbiamento di cui la chiesa irlandese siè resa responsabile, nascondendo i misfatti per proteggere preti e suore dalla giustizia civile.
Il cardinale Sean Brady, primate della chiesa cattolica in tutta l'Irlanda ha letto la lettera del papa durante una messa nella cattedrale di San Patrizio a Dublino, esprimendo il suo sostegno alle parole di Benedetto XVI senza fare alcun riferimento alla possibilità di dare le dimissioni per il ruolo che lui stesso ebbe nel non denunciare alla polizia gli abusi sessuali commessi da un noto prete pedofilo negli anni '70.
Ben diverse le reazioni delle vittime: «Sono profondamente delusa», dice Maeve Lewis, direttrice di One in Four, uno dei gruppi dei superstiti degli abusi e anche lei una ex-vittima. «Il papa ha sprecato una grande occasione». Una delle vittime, Christine Buckley, pure lei delusa, prende lo spunto per rilanciare la polemica sul celibato: «Il voto di castità ha avuto un peso enorme in questa vicenda», dice. E chiede che il papa si rechi in Irlanda «a incontrare le vittimee chiedere loro scusa di persona».

Repubblica 21.3.10
"I boy scout hanno un archivio segreto"

WASHINGTON - I Boy Scouts d'America, l'associazione a cui fanno capo decine di migliaia di gruppi legati negli Usa a varie chiese, hanno tenuto per anni un archivio segreto circa gli abusi sessuali accaduti all'interno dei loro gruppi. L'archivio è registrato come «perversion files». A denunciarlo è un avvocato americano, Kelly Clark, nel processo in cui difende un uomo di 37 anni che accusa un ex capo scout di averlo molestato sessualmente all'inizio degli Anni Ottanta, quando era un ragazzo.

Repubblica 21.3.10
La Germania sotto shock "Messaggio anche per noi"
Nuove accuse a Ratzinger e Zollitsch
di Andrea Tarquini

BERLINO - «Nella lettera del Pontefice non è spesa neanche una parola sui molti, gravissimi casi di abusi in Germania». Le durissime parole di Christian Weisner, leader e portavoce di " Wir sind Kirche" ("La Chiesa siamo noi", l'associazione di base dei fedeli) la dicono tutta sulla delusione e sulle ore drammatiche che vivono i cristiani del paese natale di papa Benedetto XVI. «La lettera è un monito di anche per noi in Germania», afferma il presidente della Conferenza episcopale tedesca, monsignor Robert Zollitsch.

Ma "La Chiesa siamo noi" accusa Zollitsch stesso di aver insabbiato un caso anni addietro, non denunciando nella sua diocesi un prete colpevole di abusi. Zollitsch smentisce di aver insabbiato coscientemente, ma chiede perdono. E Spiegel online lancia altre accuse: l'episcopato di Essen avrebbe inviato alla diocesi di Monaco, quando Joseph Ratzinger ne era vescovo, documenti e avvertimenti chiari sulle tendenze pedofile apparentemente inguaribili di padre Peter Hullermann, il sacerdote trasferito da là alla Baviera di Ratzinger. Accuse a cui risponde arriva subito la replica da Oltretevere: «Il Vaticano non ha mai negato che Ratzinger sapesse del sacerdote pedofilo proveniente da Essen, tanto che lo autorizzò a curarsi ma gli proibì qualunque attività pastorale». Divieto che però, nota l' Osservatore Romano, dopo la partenza di Ratzinger per Roma venne disatteso.

Per la Germania credente e cattolica, per le gerarchie ecclesiastiche tedesche, per la società e i media, è un giorno «che presenta luci e ombre», riassume Weisner. Il messaggio papale è importante, dice, e affronta il problema.

Ma non spende una parola sui numerosi, gravissimi casi nella Repubblica federale. «Casi che al momento, contando quelli denunciati, sono trecento, ma potrebbero essere venti volte superiori». E non è finita: il Pontefice non entra nel merito della questione della morale sessuale della Chiesa, e ciò rende ambivalente il documento. E la lettera, prosegue il leader dei cattolici del dissenso, non menziona mai le vere cause, che «secondo noi risiedono anche nei dettami cattolici sul sesso e sull'obbligo del celibato per i sacerdoti». Benedetto XVI, criticano ancora i dissidenti, «sottolinea ancora una volta l'immagine tradizionale del prete, che secondo noi non è adeguata ad affrontare il grave problema degli abusi pedofili negli ambienti cattolici».

Su questo sfondo di delusione emergono le accuse a monsignor Zollitsch. Avrebbe trasferito, ma non denunciato, un sacerdote accusato con prove di aver abusato di almeno 17 minori nella sua diocesi. Zollitsch ha negato con forza di aver insabbiato volutamente il caso, allora. Ma chiedendo perdono, ha ammesso che oggi si sarebbe comportato diversamente, «cercando e ascoltando vittime e testimoni in maniera più coerente e con maggior vigore».

Repubblica 21.3.10
L'intervista Parla il cardinale Cottier, teologo della Casa Pontificia e collaboratore del Santo Padre
"C'è stata troppa leggerezza nel passato Benedetto XVI vuol combattere il male"
di Orazio La Rocca

CITTA' DEL VATICANO - Cardinale Cottier, come giudica la lettera che Benedetto XVI ha scritto ai cattolici irlandesi? Qualcuno dice che forse poteva essere più incisiva. «No, secondo me il Santo Padre ha scritto un testo ampio, esauriente, molto profondo. Direi proprio completo. Una lettera che servirà certamente a combattere un male tanto abominevole come è quello della pedofilia e delle violenze sessuali su minori. E' una lettera scritta ai cattolici irlandesi, ma che si rivolge alla Chiesa intera e a tutti gli uomini di buona volontà, esortati dal Santo Padre a collaborare per far sì che in futuro vicende così gravi non si ripetano mai più». Domenicano nativo della Svizzera, il cardinale Georges Cottier è Teologo emerito della Casa Pontificia. Stretto collaboratore di Giovanni Paolo II, prima, ed ora di papa Ratzinger, accanto al quale ha operato anche quando l'attuale Pontefice era prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede. Secondo il porporato, Benedetto XVI «in questa lettera ha mostrato coraggio, sensibilità pastorale, ma soprattutto attenzione per le vittime e ferma condanna per i responsabili di crimini tanto orrendi».

Qual è l'aspetto della lettera che l'ha colpita di più? «Sono tanti gli aspetti di questa lettera che fanno pensare. Confesso, però, che mi ha sorpreso il livello spirituale e il tasso di misericordia che permea tutto il testo. Il Papa si rivolge come un padre a tutti i cristiani, parla alle vittime, ai genitori, alle famiglie, ma anche ai responsabili di atti così osceni invitandoli con fermezza a chiedere perdono del male fatto, a sottoporsi alla giustizia civileea fare penitenza». Il Papa tenta anche di fare una lettura delle cause di comportamenti tanto perversi.

«E' vero. Il Santo Padre fa anche una buona analisi dei grandi cambiamenti sociali che negli anni hanno causato tanto dolore. Non manca, però, di invitare tutto il corpo della Chiesa a ripensare la vita apostolica e sacerdotale. Ma chiede anche perdono per il male che alcuni sacerdoti hanno fatto ai piccoli ed evoca quanto Gesù afferma nel Vangelo in difesa dei bimbi». Un monito evangelico attualissimo, ma forse dimenticato.

Non è così? «E' un richiamo sempre attualissimo che il Papa ha fatto bene a richiamare nella sua lettera. Ma oserei dire che è un richiamo destinato non soloa quegli uomini di Chiesa che hanno sbagliato, ma a tutti quelli che commettono simili abusi sui minori nella società, nelle famiglie o durante i tour turistici sessuali. E' una triste realtà che non va mai dimenticata, senza con questo voler dimenticare le responsabilità dei sacerdoti che hanno commesso atti tanto abominevoli e gravissimi, per i quali il Santo Padre non ha nascosto il suo turbamento». Benedetto XVI ha invocato anche il giudizio civile per chi, nella Chiesa, commette violenze sessuali sui bambini.

«Sì. Su questo aspetto ha detto parole franche ed importanti. Per questo dico che la lettera è veramente un passo avanti nella lotta ad un male tanto odioso che siè infiltrato nella Chiesa e nella società». Il Papa richiama alle loro responsabilità anche chi non ha vigilato attentamente, come alcuni vescovi. «Ed ha fatto benissimo. Purtroppo negli anni passati questi crimini sono stati coperti da atteggiamenti di omertà da quei vescovi che avrebbero dovuto vigilare, ma che, forse per timore di fare scandalo, hanno preferito taciuto.

O al massimo, hanno spostato in altre parrocchiei sacerdoti che venivano accusati di molestie. Sbagliando. Purtroppo, c'è stata troppa leggerezza. E forse anche qualcuno sperava che da certe patologie, come la pedofilia, si poteva guarire. Errori gravissimi che sono stati causa di danni altrettanto gravissimi su bambini innocenti, molti dei quali rimasti segnati per tutta la vita. Ma ora tutto questo non deve succedere mai più».

Repubblica 21.3.10
Abbandonò marito e figlio per la letteratura e per costruire il proprio mito di donna libertaria e indomita Nella vita si invaghì di Cardarelli, Papini, Boccioni, e soprattutto di Dino Campana. Repubblica 21.3.10
Ma il colpo di fulmine intellettuale della Aleramo fu per il leader del Pci, come testimoniano brani inediti del suo diario conservati alla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Togliatti ti voglio bene. Sibilla e il Migliore un amore politico
di Enzo Golino
nelle edicole

sabato 20 marzo 2010

Repubblica 20.3.10
Voto nel Lazio, Pdl diviso sul rinvio
Lo chiede Sgarbi, contraria la Polverini. Bonino: va bene a chi ha più soldi
di Giovanna Vitale

Anche Berlusconi favorevole allo slittamento di 15 giorni delle elezioni regionali
Attesa per oggi anche la decisione del Consiglio di Stato sulla lista regionale del Pdl

ROMA - Effetto Sgarbi sulle regionali del Lazio. «Berlusconi, avendo visto in noi la "zattera della libertà", l´ultima chanche dopo l´esclusione della lista del Pdl, mi ha detto "vai"», ha raccontato ieri il critico d´arte. E lui è andato: a depositare negli uffici della Regione l´istanza di rinvio delle consultazioni previste per il 28 e 29 marzo. «È un mio diritto, garantito dalla Costituzione», ha tuonato l´istrionico capolista dopo che il Tar, mercoledì scorso, ha deciso di far ritornare in corsa la sua Rete Liberal. «Dobbiamo recuperare i giorni di campagna elettorale persi e se non ce li concedono chiederemo l´annullamento delle elezioni».
Un ulteriore colpo di scena in una campagna elettorale già segnata dalla spirale di decreti, ricorsi e controricorsi suscettibile di mettere in forse l´esito stesso del voto. E che ora rischia di allungarsi di altri 15 giorni, facendo slittare l´apertura delle urne all´11 e 12 aprile. Ipotesi che, inizialmente benedetta e poi contraddetta da Berlusconi («La lista Sgarbi diritto di poter approfittare di altri giorni di campagna elettorale», aveva detto in mattinata, salvo frenare in serata: «Non intervengo mai in casa d´altri, è la Regione che deve decidere»), ha gettato scompiglio nel centrodestra. Diviso fra favorevoli e contrari. Da una parte il sindaco Alemanno secondo cui «quindici giorni in più sarebbero molto utili per parlare dei problemi dei cittadini» e i ministri Calderoli e Maroni: «Se spettasse a me decidere direi di sì». Dall´altra la Polverini e il leader della Destra Storace. Con l´aspirante governatrice a ribadire: «Io sono in corsa ormai da tre mesi, penso che si debba andare a votare alla data indicata». E Storace a dire stop: «Il rinvio chiesto da Sgarbi non ha alcun fondamento». Neutrale il leader dell´Udc Pierferdinando Casini: «Certo è uno spreco di denaro, ma se le regole sono quelle, le rispettiamo». Mentre la sfidante del centrosinistra, Emma Bonino, estenuata da questo balletto sbotta: «Il rinvio delle elezioni va bene per chi ha un sacco di soldi, per noi è più complicato».
La richiesta, formalizzata dalla lista Sgarbi all´ora di pranzo, è stata formulata in base all´articolo 11 punto 4) della legge statale 108/1968 in materia elettorale, richiamato integralmente dalla legge regionale 2/2005. Dice la norma: l´affissione del manifesto «con le liste dei candidati ed i relativi contrassegni» deve avvenire «entro il quindicesimo giorno antecedente a quello della votazione». È questa la durata ufficiale della campagna elettorale. Rivendicata infatti da Sgarbi per chiedere il rinvio delle elezioni. Il problema è, però, che il famoso decreto salva-liste ha più che dimezzato quel termine: «Non oltre il sesto giorno antecedente la data della votazione», recita l´articolo 2. Una differenza non da poco: applicando il decreto del governo, l´istanza di Sgarbi andrebbe rigettata; se invece il decreto, per qualsivoglia motivo, non fosse applicabile, rivivrebbe il termine dei 15 giorni e lui avrebbe diritto allo slittamento delle urne. Un bel rompicapo, anche giuridico, che rende fondata la minaccia di Sgarbi di invalidare le elezioni.
È per questo che il vicepresidente del Lazio, cui spetta firmare il decreto di rinvio, ha deciso di prendere tempo e dato mandato agli uffici di valutare «a norma di legge» la richiesta di Rete Liberal: «È una decisione tecnica non politica» e comunque arriverà entro stasera. Vuole aspettare, Esterino Montino. Cosa è evidente: l´esito dell´altro verdetto destinato a cambiare il volto di queste regionali. Oggi il Consiglio di Stato dovrà infatti esprimersi sulla eventuale riammissione della lista del Pdl a Roma e, di conseguenza, sulla applicabilità del decreto salva-liste già esclusa due volte dal Tar. Anche se in realtà non è così semplice. I giudici di Palazzo Spada hanno diverse possibilità: far ritornare in corsa o ri-bocciare tout court il Pdl; ammetterlo imponendo all´ufficio elettorale di esaminare la documentazione che non è mai stata vista perché mancava la prova della completa documentazione; rigettare o accogliere il ricorso ma rimettendo alla Corte Costituzionale il giudizio di legittimità sul decreto legge. Variabili che potrebbero compromettere la data del voto.

Repubblica Roma 20.3.10
Visita alla sinagoga: "Si rafforza un´amicizia di vecchia data"
Bonino: "Slittare di 15 giorni va bene per chi ha i soldi"
di Chiara Righetti

E a Guidonia parla del raddoppio della Tiburtina: "Vi capisco, ci ho messo due ore ad arrivare"

«È uno di quei momenti in cui si intrecciano lunghe amicizie politiche e nuovi impegni che spero di assumere presto». Sorride, Emma Bonino, al termine dell´incontro in sinagoga con i rappresentanti della comunità ebraica. Una visita che, per il rabbino capo Riccardo Di Segni, è «un segno di riconoscimento nei nostri confronti, ma soprattutto di interesse concreto». E «non formale», sottolinea il presidente della comunità Riccardo Pacifici, «perché con Emma c´è una lunga amicizia, non solo personale ma di tutta la comunità». Pacifici ricorda che «Bonino, Pannella e Spadolini furono gli unici ammessi in sinagoga dopo l´attentato del 1982, perché avevano espresso posizioni di vicinanza e denuncia della politica filoaraba di allora». Poi precisa: «Non facciamo scelte di campo, presentiamo valori», ma ricorda il buon rapporto con la giunta Marrazzo. «In un momento in cui razzismo e xenofobia sono sempre più radicati - osserva la candidata - è ancor più importante rilanciarlo, agire per la Memoria, ma con forte attenzione al futuro». E auspica che «questo legame sia uno strumento per allargare i contatti ad altre comunità religiose».
Mentre sull´ipotesi di rinviare il voto osserva che «va bene a chi ha un sacco di soldi, nelle condizioni attuali è più complicato». Però «chi deve decidere decida, nel rispetto della legalità». In serata, a Guidonia con Marini, si impegna sul raddoppio della Tiburtina: «Ci ho messo due ore per arrivare: non è difficile capire i vostri problemi».

ONU: l’IHEU accusa la Santa Sede di aver violato la Convenzione sui diritti dell’infanzia

Keith Porteous Wood, rappresentante dell’IHEU presso l’ONU, ha accusato la Santa Sede di aver violato la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, da essa stessa sottoscritta. Il Vaticano, coprendo i preti pedofili e ostacolando le indagini delle magistrature di numerosi paesi contro di essi, ha, secondo l’IHEU, violato diversi articoli della Convenzione. L’IHEU è l’associazione internazionale in cui si riuniscono oltre cento associazioni secolariste di tutto il mondo, tra cui l’UAAR.
segnalazione di Francesco Troccoli

l’Unità 20.3.10
Il dottor Huth segnalò invano un caso alle gerarchie ecclesiastiche
Scandalo nel coro Si dimette parroco coinvolto. 160 violenze denunciate
Pedofilia in Germania Psichiatra denuncia: «Ai tempi di Ratzinger la Chiesa sapeva»
La Chiesa bavarese sapeva. Lo psichiatra che curò un prete pedofilo segnalò l’assoluta necessità di allontanarlo dai giovani. Ma il sacerdote fu trasferito e abusò di altri ragazzini. Nuovo scandalo nel coro dei passerotti.
di Marina Mastroluca

«Io dissi: “Per amor di Dio, deve assolutamente essere tenuto lontano dai bambini”. Sono molto triste per tutta questa storia». A parlare sulle pagine del New York Times è il dottor Werner Huth, lo psichiatra che alla fine degli anni 70 prese in un cura un prete che aveva abusato di ragazzini ad Essen, in Germania: l’«abate H.», lo ha ribattezzato la stampa tedesca nei giorni scorsi, quando si è saputo che quel sacerdote pedofilo era stato riammesso al servizio pastorale nella Baviera dell’allora arci-
vescovo Joseph Ratzinger, per venir condannato di lì a qualche anno per nuovi abusi sessuali.
Dell’abate H. oggi si conosce il nome, Peter Hullermann, e quello dello psichiatra che con la firma dell’arcidiocesi lo prese in cura, senza grandi risultati. «Non era né coinvolto né motivato», spiega il dottor Huth. Ma più che sulla storia personale di questo prete sospeso solo lunedì scorso per aver contravvenuto al divieto di lavorare a contatto con i giovani, impostogli dalla Chiesa appena nel 2008, il racconto dello psichiatra denuncia l’assoluta consapevolezza della Chiesa bavarese: le gerarchie ecclesiastiche erano state informate, se non nella persona di Ratzinger, in quella del suo vicario, Gerhard Grube, e del vescovo Heinrich Graf von Soden Fraunhofen. Sapevano che Hullermann era un pedofilo, sapevano che era un rischio tenerlo tra i bambini. Il dottor Huth aveva posto delle condizioni prima di prendere in cura il religioso: bisognava tenerlo lontano dai giovani e dall’alcol e permanentemente sotto controllo. Non è quello che è successo. Hullermann è stato trasferito, altri bambini hanno subito le sue attenzioni.
PASSEROTTI BRACCATI
Un trasferimento come un nuovo inizio, una passata di spugna sul passato. È così che è riuscito finora a farla franca anche un altro prete tedesco, Sturmius W., che denunciato in questi giorni ha ammesso di aver abusato di un ragazzino di 11 anni, membro del Coro dei passerotti di Ratisbona, a lungo diretto dal fratello del papa, Georg Ratzinger. Nel 1974 l’uomo ha lasciato la città e si è trasferito nella diocesi di Eichstaett, dove nessuno sapeva dei suoi precedenti. Solo oggi, travolto dal terremoto che sta scuotendo la Chiesa cattolica, ha lasciato l’incarico di parroco di Dietenhofen. La sua vittima, Alexander Probst, oggi 50enne, ha raccontato al settimanale Stern di essere stato abusato «per mesi».
Ora che si è aperta una breccia sul muro di omertà durato decenni, le denunce si moltiplicano, un fiume in piena. I casi di abusi commessi nei soli ambienti gesuiti in Germania sono saliti in poche settimane a 160, secondo quanto riferisce la legale dell’Ordine. Tra gli accusati non ci sono solo religiosi, ma anche insegnanti laici e due donne.
Lo scandalo coinvolge anche la vicina Austria, dove secondo radio Orf dai cento casi segnalati fino a pochi giorni fa si è saliti a circa 300 e cresce la sfiducia dei fedeli. Secondo un sondaggio dell’Istituto Integral, il 56% non affiderebbe il proprio figlio a istituzioni ecclesiastiche. Il 69% dubita anche della volontà della Chiesa di fare chiarezza. Oggi sarà pubblicata la lettera firmata ieri dal papa e indirizzata ai cattolici irlandesi, tra i più colpiti dallo scandalo. Il testo verrà letto in tutto le chiese del Paese. Ma lo sconcerto, e il dolore delle vittime, si allungano ben oltre i verdi confini d’Irlanda.

l’Unità 20.3.10
La pedofilia e il celibato
risponde Luigi Cancrini

Ritengo che la Chiesa abbia in passato sottovalutato il problema degli abusi sui minori da parte di alcuni preti, ma è anche vero che è in atto una campagna tendente a screditare l’immagine della Chiesa cattolica.
Goran Innocenti

RISPOSTA La Chiesa ha riconosciuto la gravità e l’ampiezza degli errori compiuti dai suoi sacerdoti stanziando 1,3 miliardi di dollari negli Usa e 2,1 miliardi di euro in Irlanda per il risarcimento dei minori abusati. Per evitare strumentalizzazioni il Papa dovrebbe ora abolire il Pontificium Segretum del 18 maggio 2001 che invitava i religiosi a tenere nascosta alle autorità civili la pedofilia dei preti. Quella che andrebbe avviata nello stesso tempo però è una riflessione seria sui problemi legati al celibato del prete. Emerge dall’esperienza di chi cura i preti pedofili, infatti, che fra le motivazioni della loro vocazione ci sia stata spesso una paura, più o meno consapevole, della sessualità e che il celibato come difesa dagli impulsi più o meno malati regge solo per un certo tempo. Dando luogo poi a comportamenti che costano sofferenze enormi (ed evitabili). In nome della chiarezza e della verità, il Papa non dovrebbe avere paura di affrontare questo problema. Accettando l’idea semplice per cui la sessualità non è il male ma solo un dono meraviglioso che il Signore ha fatto all’uomo (e alla donna).

Repubblica 20.3.10
Nel 1980 il dottor Huth aveva in cura don Peter Hullermann, poi condannato per molestie sessuali ai minori
"Allontanate quel sacerdote dai bambini" lo psichiatra avvisò l´arcidiocesi di Ratzinger
di Katrin Benhold, Nicholas Kulish

Il medico si rivolse ai vertici della Chiesa di Monaco, guidata allora dal futuro Papa
Il sacerdote fu trasferito, ma per anni continuò a lavorare accanto ai chierichetti

ESSEN - Uno psichiatra che aveva in cura un sacerdote accusato di abusi sessuali su bambini ha rivelato che, agli inizi degli anni ‘80, l´arcidiocesi tedesca guidata dal futuro papa Benedetto XVI aveva ignorato i suoi ripetuti avvertimenti: «Dissi loro, per l´amor di Dio, quell´uomo deve assolutamente essere tenuto lontano dai bambini», racconta lo psichiatra Werner Huth, da Monaco. «Ero molto preoccupato per quella vicenda». Tanto preoccupato, ricorda Huth, da stabilire tre condizioni per continuare a tenere in cura il sacerdote, il reverendo Peter Hullermann: che stesse alla larga dai bambini e dall´alcol, e fosse costantemente controllato da un altro sacerdote. Huth spiega di aver lanciato espliciti allarmi - sia per iscritto che a voce - prima che il futuro pontefice, allora arcivescovo di Monaco, lasciasse la Germania per il Vaticano, nel 1982.
Nel 1980, dopo che i genitori di alcuni ragazzi di Essen avevano accusato di abusi sessuali il sacerdote, che non ha negato le accuse, Ratzinger approvò la decisione di trasferire il prelato da Monaco perché venisse sottoposto a terapia psichiatrica. Tuttavia, al sacerdote fu consentito di tornare a lavorare in parrocchia, a contatto con bambini e adulti, poco dopo l´inizio della psicoterapia. Meno di cinque anni più tardi, l´uomo fu accusato di aver molestato altri bambini, e nel 1986 è stato condannato per violenza sessuale da un tribunale bavarese.
L´allora sostituto di Ratzinger, il vice-Vicario generale Gerhard Gruber, si è detto colpevole di quella decisione personale che definì «un grave errore». Lo psichiatra ha dichiarato di non aver avuto alcuna comunicazione diretta con Ratzinger e di non sapere se l´arcivescovo fosse a conoscenza dei suoi avvertimenti. Il suo principale contatto, all´epoca, fu un vescovo, Heinrich Graf von Soden-Fraunhofen, morto nel 2002.
Persino dopo la condanna del 1986, Hullermann, che oggi ha 62 anni, ha continuato a lavorare per anni accanto a dei chierichetti. Lunedì scorso è stato sospeso. E come lui, ieri, un altro parroco è stato allontanato poiché sospettato di aver commesso - all´inizio degli anni Settanta - abusi sessuali su un bambino del coro di Ratisbona, che fu diretto dal fratello maggiore del Papa, Georg Ratzinger.
Il portavoce dell´arcidiocesi di Monaco, Bernard Oostenryck, ha detto: «Trent´anni fa questo tema era trattato in modo molto diverso dalla società. Allora c´era la tendenza a credere che questo problema potesse essere curato con una terapia». Nel dicembre 1977, Hullermann fu trasferito alla chiesa di St. Andreas di Essen. Secondo una dichiarazione della diocesi di Essen rilasciata questa settimana, le tre coppie di genitori che si sono rivolte alla Chiesa hanno dichiarato che Hullermann aveva avuto «rapporti sessuali» con i loro figli nel febbraio del 1979.
Il dottor Huth ha spiegato di aver raccomandato a Hullermann di seguire delle sedute individuali e che questi rifiutò. Il sacerdote partecipò invece a delle sedute di gruppo, seduto in cerchio assieme ad altri otto pazienti affetti da vari disturbi psichiatrici, inclusa la pedofilia. Huth, che oggi ha 80 anni, spiega che Hullermann aveva problemi di alcolismo, per i quali era sotto cura, ma che nella sua terapia non era «né impegnato né motivato». «La seguiva per paura di perdere il posto e di essere punito», ricorda il medico.
Lo psichiatra dice di aver spesso condiviso con i superiori di Hullermann le proprie preoccupazioni. Spiega che le limitazioni che aveva imposto al sacerdote - quella di stare lontano dai bambini, di non bere alcool e di farsi accompagnare e controllare sempre da un altro prete - venivano osservate soltanto saltuariamente.
Non molto tempo dopo l´inizio della psicoterapia, Hullermann ritornò ad operare con i propri parrocchiani senza alcuna restrizione. Ratzinger era ancora a Monaco, ma gli alti prelati non spiegano se egli fosse stato tenuto aggiornato sulla vicenda. Dopo la partenza del futuro Papa, nel 1982, in settembre Hullermann fu trasferito in una chiesa della vicina cittadina di Grafing, dove insegnò religione in una scuola pubblica. Due anni dopo la polizia iniziò ad indagare su di lui per molestie sessuali.
(© New York Times/la Repubblica - traduzione di Antonella Cesarini)

Repubblica 20.3.10
La lettera ai vescovi irlandesi "Avete tradito la Chiesa"
Ratzinger ai preti pedofili "Vi condanno senza appello"
di Orazio La Rocca

Ecco la lettera di Benedetto XVI ai vescovi irlandesi: "Sdegno profondo"

Quei religiosi hanno tradito il mandato evangelico e messo a repentaglio la vita di tante giovani vittime Gli abusi sui minori sono un segno contrario al Vangelo della vita
Le ferite procurate da simili atti sono profonde ed è urgente ristabilire la fiducia e la verità di ciò che è accaduto in passato per evitare che simili drammi si ripetano in futuro

CITTÀ DEL VATICANO - «Lettera pastorale ai fedeli irlandesi per il tempo di Quaresima». Salvo sorprese dell´ultima ora, sarà questo il titolo della lettera scritta da Benedetto XVI alla Chiesa d´Irlanda travolta dallo scandalo dei preti pedofili. Sacerdoti che - scrive tra l´altro Ratzinger - con la loro «condotta» hanno tradito «il mandato evangelico» e messo a repentaglio la vita di tanti giovani vittime, «meritevoli» per questo di una «condanna senza appello» da parte della Chiesa e della giustizia civile dopo regolari processi.
Il Papa l´ha firmata ieri mattina, festività di S. Giuseppe, «custode della Sacra Famiglia e patrono della Chiesa universale», come lo stesso pontefice aveva specificato all´udienza generale di mercoledì scorso, preannunciando la pubblicazione della lettera col chiaro intento di sottolineare la non casualità del giorno scelto per firmare quello che viene universalmente considerato come il documento più sofferto del suo pontificato. Un testo in cui il Pontefice esprime tutto il suo «sdegno» per quanto avvenuto negli anni passati in Irlanda, dove - secondo anche 2 inchieste governative - nella diocesi di Dublino una quarantina di bambini e bambine hanno subito violenze sessuali da sacerdoti e religiosi. La lettera - 11 cartelle, tradotte in diverse lingue, tedesco compreso - sarà distribuita questa mattina, alle 11 nella Sala Stampa della Santa Sede dove il direttore e portavoce papale, padre Federico Lombardi, terrà anche un breve briefing per rispondere alle domande dei giornalisti. Stando a quanto trapelato ieri ufficiosamente in Vaticano, il Pontefice nel testo sintetizza quanto già detto sul drammatico tema delle violenze sessuali a minori nella Chiesa cattolica durante i recenti viaggi fatti negli Usa e in Australia, e nel corso delle due udienze concesse l´11 dicembre 2009 e il 16 febbraio scorso ai vescovi irlandesi. «Gli abusi sessuali sui minori - scrive tra l´altro Ratzinger - sono un segno contrario al Vangelo della vita», generano «dolore nella Chiesa» e procurano «danni indescrivibili alle vittime e alla comunità...». Ed ancora: gli abusi sessuali su minorenni «da parte di alcuni sacerdoti generano vergogna» sono atti di «grave tradimento della fiducia» loro riposta. Le vittime, per il Papa, non vanno mai «dimenticate». Chi ha subito violenza deve ricevere «compassione e cura», mentre i responsabili di atti così «abominevoli» vanno «portati davanti alla giustizia» per «essere condannati in modo inequivocabile».
Le «ferite» procurate da «simili atti» - scrive il Papa - «sono profonde ed è urgente ristabilire la fiducia e la verità di ciò che è accaduto in passato per evitare che simili drammi si ripetano in futuro». Ai cattolici irlandesi - ma il richiamo è estensibile anche in quegli altri paesi dove si sono verificati analoghe violenze come gli Usa, la Germania, l´Olanda, l´Austria - Benedetto XVI ricorda, comunque, che «il grande impegno della maggioranza di sacerdoti e religiosi di Irlanda non deve essere oscurato dalle trasgressioni e dai tradimenti di alcuni loro confratelli...». Per il futuro, Ratzinger alla Chiesa chiede un impegno maggiore per «la difesa dei bambini» e ai sacerdoti di sforzarsi ancora di più «nella preghiera e nella santificazione lungo il cammino tracciato da Gesù».

Repubblica 20.3.10
Il coraggio del mea culpa sugli abusi sessuali
risponde Corrado Augias

Caro Augias, ritengo che la Chiesa abbia in passato sottovalutato il problema degli abusi sui minori da parte di alcuni preti, ma è anche vero che c'è in atto una campagna tendente a screditare l'immagine della Chiesa cattolica. In questi giorni alcuni giornali tedeschi hanno riportato un discorso pronunciato dal ministro Goebbels nel 1937 che si inquadra nella campagna di linciaggio alla quale i preti cattolici furono sottoposti nei primi anni del regime nazista. Furono utilizzati alcuni scandali avvenuti in una congregazione religiosa per fare guerra ai preti cattolici i quali avevano assunto un atteggiamento apertamente critico nei confronti del nazismo. Non era più il singolo prete ad essere responsabile delle proprie azioni, ma l'intero clero. Non pretendo di fare un parallelo con quella situazione, ma è singolare che l'enfatizzazione sistematica sui media di tutto il mondo dei casi di preti pedofili, è iniziata dopo che la Chiesa ha espresso la propria contrarietà all'eutanasia, matrimonio gay e altri temi.
Goran Innocenti

Il paragone con il nazismo sembra a me non solo esagerato ma sbagliato. La vivace reazione mondiale nei confronti degli episodi di pedofilia credo che dipenda in primo luogo dalla vastità di un fenomeno che ha investito molti paesi in America e in Europa, per un periodo molto lungo e coinvolgendo migliaia di casi. C'è stata sicuramente anche una forte reazione di sorpresa perché nessuno (ritengo) si aspettava uno sfacelo di tali dimensioni da un'organizzazione che si definisce 'sacra' e tenta con frequenza d'imporre le sue regole morali. Credo infine che ci sia stata anche l'indignazione sollevata dalle ragioni che hanno determinato la segretezza sui casi fino a quando il fenomeno è esploso in modo non più contenibile. Ricordo che la Congregazione vaticana per la dottrina della fede dichiarò che erano e dovevano rimanere di sua esclusiva competenza tutti i casi di reati sessuali ad opera di religiosi. I casi relativi al periodo 1981-2005 furono esaminati dall'allora prefetto cardinale Ratzinger il quale inviò una circolare a tutti i vescovi del mondo ('Epistula de delictis gravioribus', 18 maggio 2001) nella quale si precisava che tutti i casi di abuso erano posti sotto il 'secretum pontificium', vincolo di tale peso che la sua violazione comporta una punizione ecclesiastica. Le deleterie conseguenze di tale segreto sono state, in numerosi casi accertati (anche in Italia), il semplice trasferimento del colpevole in altra sede dove spesso gli abusi si sono ripetuti. Giorni fa su questo giornale l'autorevole teologo (dissidente) Hans Küng chiedeva: «La Chiesa non dovrebbe quindi attendersi un "mea culpa" anche da parte del Papa, in collegialità con i vescovi?».

l’Unità 20.3.10
Biotestamento: riproviamo a discutere tra scienza e coscienza
di Carlo Alberto Defanti

Leggo con piacere la replica di Assuntina Morresi al mio breve articolo del 20 febbraio, ancora una volta sullo stato vegetativo. Il piacere mi deriva dai toni più distesi oltre che dalla serietà degli argomenti. Debbo tuttavia fare qualche puntualizzazione. La mia interlocutrice ribadisce la richiesta, contenuta nella sentenza della Cassazione sul caso Englaro, di escludere che «la persona abbia la benché minima possibilità di qualche, seppur flebile, recupero della coscienza». In proposito, non mi sono mai stancato di dire che la medicina – e la scienza più in generale – non è mai in grado di dare certezze assolute e che, calato nella realtà, il linguaggio giuridico va tradotto nel linguaggio medico, in cui certezza significa altissima probabilità. Temo inoltre che Morresi abbia mal interpretato le mie parole a proposito del sostegno vitale: io uso questo termine nel senso medico ordinario, in cui la nutrizione artificiale è sostegno vitale alla stessa stregua della ventilazione artificiale, della dialisi, di alcuni farmaci ecc. Considero perciò che essa possa essere interrotta qualora il paziente in precedenza si sia espresso in tal senso (oppure quando la sua volontà in questo senso sia stata ricostruita in modo attendibile, come è qui avvenuto). Osservo poi che Morresi si chiede chi può stabilire che una vita in stato vegetativo sia “invivibile” e chi sia autorizzato a decidere questo per altri quando siano inconsapevoli. Io dò una risposta semplice: solo il malato può prendere questa decisione, idealmente attraverso un testamento biologico (ma il disegno di legge attualmente in esame vorrebbe escludere proprio questa possibilità!). Nessuno ha sostenuto, per lo meno nel nostro Paese, che si debba sospendere la nutrizione artificiale dei soggetti in stato vegetativo, a meno che loro stessi non lo abbiano chiesto. La limpida battaglia civile sostenuta da Beppino Englaro non ha mai avuto altro scopo che quello di consentire che la volontà della figlia fosse rispettata ed eventualmente di offrire ad altri la stessa possibilità.
Infine spezzo ancora una lancia a favore di una discussione, che naturalmente non può essere condotta su queste colonne, sulla rilevanza morale dei nuovi risultati scientifici in tema di disturbi di coscienza. Mi preoccupa molto, ad esempio, l’eventualità che una parte (spero molto piccola!) dei malati che si trovano attualmente in stato vegetativo, di cui finora si pensava che non provassero dolore, possano invece soffrire e che la loro sofferenza non venga alleviata, ad esempio con l’uso regolare di analgesici. C’è qui un grave compito per le società scientifiche, che finora non hanno fatto sentire adeguatamente la loro voce.
Primario emerito Ospedale Niguarda di Milano Consulta di Bioetica onlus

l’Unità 20.3.10
Onu, Usa, Ue e Russia d’accordo sulla nascita dello Stato palestinese entro due anni
Dura reazione del ministero degli Esteri Lieberman. Netanyahu domani negli Stati Uniti
Il Quartetto contro le colonie L’ira di Israele: così addio pace
di Umberto De Giovannangeli

Stop totale agli insediamenti. È la richiesta del Quartetto (Usa, Ue, Onu, Russia). In questo modo si «allontana la pace» ribatte il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman. E domani Netanyahu vola in America...

«Il Quartetto esorta il governo israeliano a congelare tutte le attività di colonizzazione,comprese quelle destinare all'incremento demografico naturale, di smantellare tutti gli avamposti dopo il marzo 2001 e di astenersi a procedere con le demolizioni e le espulsioni da Gerusalemme Est». Scandisce le parole il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, mentre legge
il testo del documento che conclude il vertice di Mosca del Quartetto per il Medio
IMPEGNI CONCRETI
In una dichiarazione al termine del summit i capi degli Esteri di Usa, Hillary Clinton, della Russia, Serghiei Lavrov, l'Alta rappresentante della politica estera e di sicurezza dell'Ue, Catherine Ashton e il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, hanno espresso «profonda preoccupazione» per il deterioramento in atto a Gaza e hanno auspicato che «i colloqui debbano condurre a una soluzione negoziata tra le parti (Israele e l'Autorità palestinese, ndr) entro 24 mesi». Questa soluzione deve «mettere fine all'occupazione cominciata nel 1967 e avere per effetto la creazione di uno Stato palestinese indipendente, de-
mocratico e vivibile, che viva in pace e sicurezza accanto a Israele e ai suoi vicini». Il Quartetto «esorta il governo israeliano a congelare tutte le attività di colonizzazione, comprese quelle destinate all'incremento demografico naturale, a smantellare tutti gli avamposti costruiti dopo il marzo 2001 e ad astenersi dal procedere con le demolizioni e le espulsioni da Gerusalemme Est».
OFFENSIVA DIPLOMATICA
Per Israele la dichiarazione del Quartetto che chiede il congelamento delle colonie «allontana» la possibilità di un accordo di pace tra israeliani e palestinesi. A sostenerlo è il ministro degli Esteri dello Stato ebraico, Avigdor Lieberman. «La pace afferma Lieberman va edificata dal basso, con provvedimenti sul terreno e non può essere imposta in maniera artificiale, con scadenze irreali». Dichiarazioni come quella di ieri «allontanano la possibilità di raggiungere un vero accordo fra Israele e i palestinesi a prosegue il capo della diplomazia israeliana perché danno ai palestinesi la sensazione errata che “trascinando i piedi” e rifiutandosi di riprendere i negoziati adducendo pretesti arriveranno egualmente al loro obiettivo». Il governo israeliano è in questi giorni esposto a una vasta «offensiva» diplomatica. Dagli Stati Uniti, dopo la visita del vicepresidente, Joe Biden, compromessa da un improvvido annuncio sull'espansione di un progetto edilizio ebraico a Gerusalemme Est, sono giunti messaggi perentori, secondo i quali spetta adesso a Israele gettare basi adeguate per una ripresa di negoziati con l’Anp. L’altro ieri Netanyahu ne ha parlato al telefono con Hillary Clinton. Fra l’altro, secondo la stampa israeliana, avrebbe prefigurato la possibilità di liberare detenuti di al-Fatah, di accrescere le prerogative dei servizi di sicurezza dell' Anp, di ridurre i posti di blocco in Cisgiordania. Domani Netanyahu partirà per Washington, dove è atteso dalla Aipac (la lobby filo-israeliana) e dove spera di incontrare il presidente Barack Obama. In Israele non c'è per ora conferma circa un incontro fra i due che, secondo Fox News, dovrebbe aver luogo martedì. In Israele intanto è un via vai di delegazioni, tutte protese a far pressione su Netanyahu. L’altro ieri era stata la volta della Ashton; oggi arriverà Ban Ki-moon, mentre domani tornerà in zona George Mitchell, emissario personale di Obama.
PLAUDE ABU MAZEN
Come è comprensibile, il comunicato del Quartetto ha trovato il presidente dell'Anp, Mahmud Abbas (Abu Mazen) più che consenziente. Il congelamento delle colonie è assolutamente necessario per rimettere in moto un dialogo di pace, ha ribadito da Amman, dove è convalescente dopo essere scivolato nella sua abitazione riportando una lesione a una gamba.
Un sostegno bipartisan all’iniziativa del Quartetto viene dall’Italia. « Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, comunica in un nota la Farnesina, ha avuto un colloquio telefonico con la segretaria di Stato Usa Hillary Clinton , nel corso del quale «a assicurato che il Presidente del Consiglio Berlusconi sosterrà, anche in occasione del prossimo Vertice della Lega Araba cui è stato invitato, le posizioni espresse dal Quartetto...». «Il primo ministro israeliano Netanyahu accolga l'appello lanciato da Ban Ki-moon, sospenda ulteriori insediamenti non solo in Cisgiordania ma anche a Gerusalemme Est e riapra l'accesso alla Striscia di Gaza», sottolinea a sua volta il responsabile esteri del Pd, Piero Fassino.
«L'esperienza ci dice aggiunge Fassino che nessun negoziato è possibile se non c'è fiducia tra le parti in conflitto. E la politica dei “fatti compiuti” è il peggior nemico della fiducia».

l’Unità 20.3.10
Intervista a Riyad Al-Maliki
«Bene i Grandi. Noi palestinesi pronti al negoziato»
Il ministro degli Esteri dell’Anp: importante il documento del vertice di Mosca. Netanyahu deve capire che colonie e pace non sono conciliabili
di U.D.G.

La presa di posizione del Quartetto è molto importante soprattutto perché molto puntuale nelle richieste avanzate a Israele. Al governo di Tel Aviv viene chiesto il blocco totale degli insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. A ciò si aggiunge l'indicazione di un arco temporale (due anni, ndr) entro cui un accordo globale fra Israele e Autorità palestinese deve essere raggiunto, Un accordo fondato sul principio di “due Stati per due popoli”» Sulla base delle indicazioni del quartetto siamo pronti a riaprire il tavolo del negoziato. La palla è a Israele. Sta al primo ministro Netanayahu rilanciare o affossare definitivamente il processo di pace”. A sostenerlo in questa intervista a l'Unità è Riyad Al-Maliki, ministro degli Esteri dell'Autorità nazionale palestinese. “Chiunque ritenga che sia possibile perpetuare l'attuale status quo – rimarca Al Maliki – coltiva una tragica illusione. Perché l'alternativa ad una pace giusta, globale, tra pari è una nuova escalation di violenza che investirebbe l'intero Medio Oriente».
Signor ministro, come valuta la presa di posizione del Quartetto (Usa,Ue, Onu, Russia) assunta nel vertice di Mosca?
«La nostra valutazione è molto positiva. Perché il Quartetto è esplicito nelle richieste avanzate a Israele e lo è altrettanto nel definire una data entro cui il negoziato di pace deve concludersi...».
Procediamo con ordine: una prima richiesta avanzata dal Quartetto a Israele è lo stop agli insediamenti. «Per la precisione, il Quartetto chiede esplicitamente a Israele il blocco totale degli insediamenti,compresa la cosiddetta “crescita naturale”. Un blocco che riguarda anche Gerusalemme Est. Colonizzazione e pace sono tra loro inconciliabili: è questo il segnale politico lanciato dal Quartetto. Sta ora a Israele raccoglierlo o respingerlo, assumendosi nel secondo caso una responsabilità pesantissima. Per quanto riguarda l'Autorità palestinese, la nostra linea è chiara: se il primo ministro Netanyahu accoglierà le indicazioni del Quartetto, siamo pronti a riaprire il tavolo del negoziato». Netanyahu ha però riaffermato che Israele non intende negoziare su Gerusalemme.
«Una affermazione che contraddice la sua asserita disponibilità a tornare al tavolo delle trattative senza pregiudiziali. Il primo ministro israeliano non può continuare a giocare con le parole. Ciò che la Comunità internazionale gli chiede è una disponibilità reale a una trattativa che includa tutte le questioni strategiche aperte, tra le quali i confini dei due Stati e lo statuto di Gerusalemme. Se guardiamo ai fatti, non c'è da essere ottimisti, il che, però, non vuol dire rinunciare a battersi per una pace giusta, duratura, fondata su quel principio “due Stati per due popoli” ribadito dal Quartetto».
Gli accordi, la storia mediorientale, lo insegna, vanno sottoscritti e poi sottoposti a verifica. E la verifica è spesso mancata...
«È questa mancata verifica è parte dei fallimenti passati. Per questo riteniamo che sia fondamentale l'impegno del Quartetto a monitorare sul campo l'effettiva realizzazioni degli accordi. Ma il primo passo resta il sì o il no di Israele al blocco totale degli insediamenti. Siamo al momento della verità. Per tutti».
Una verità rigettata da Israele: la posizione del Quartetto «allontana la pace», ha affermato il ministro degli Esteri israeliani Avigdor Lieberman...
«Ad allontanare la pace è l’unilateralismo d’Israele, sono i falchi come Lieberman...». Lieberman non crede che la dirigenza palestinese sia un interlocutore affidabile. «La delegittimazione della controparte non aiuta certo il dialogo. Israele pretende di scegliere anche i suoi interlocutori. Interlocutori di comodo.
In questo modo non si va da nessuna parte. Il Quartetto lo ha capito. Israele no».