martedì 23 marzo 2010

l’Unità 23.3.10
Emma Bonino: «Fare il militante porta una ventata di giovinezza»
Mancano solo pochi giorni, non sono poi così tanti. Fate i militanti come da piccoli, perchè può essere veramente una ventata di giovinezza». È questo l'appello rivolto dalla candidata del centrosinistra alla presidenza della Regione Lazio, Emma Bonino, a qualche centinaio di operatori della cultura, raccolti ieri al Teatro Palladium di Roma. All'incontro hanno preso parte tra gli altri l'assessore alla Cultura della Regione Lazio, Giulia Rodano, e quello della Provincia di Roma, Cecilia D'Elia, l'ex assessore alla Cultura del Comune di Roma, Silvio Di Francia e il regista Citto Maselli.

Il Tempo 23.3.10
Emma: «Sono l’occasione del Pd»
intervista di Alberto Di Majo

Il primo confronto con la Polverini non l`ha lasciata soddisfatta: «É stato noioso, poi mandarlo in onda alle 9 di mattina...». Emma Bonino, candidata del centrosinistra alle Regionali nel Lazio, avrebbe voluto un vero dibattito: «Invece ognuno ha fatto il suo discorsetto. Il governo vuole il nucleare, la privatizzazione dell`Acea, ha messo un commissario alla sanità e ha bocciato il quoziente familiare ma la Polverini se la cava semplicemente dicendo che lei farà tutto il contrario. Mi sembrano contraddizioni da segnalare in un confronto».
D`accordo onorevole Bonino, ma perché i cittadini dovrebbero votare lei?
«Ho fatto una campagna di verità senza promesse illusorie e senza demagogia. Perché sono convinta che i cittadini vogliano un nuovo rapporto con l`amministrazione basato sulla piena fiducia e la trasparenza. Il mio programma parte proprio da questo presupposto. E io ci metterò tutta la mia cocciutaggine e la mia determinazione per aprire una pagina nuova fatta di imparzialità e rigore morale nelle grandi e nelle piccole cose».
A proposito di trasparenza, nel suo programma c`è scritto che farà un assessorato specifico sul modello della Puglia. Alcuni pensano che sia un autogol, almeno in questo momento...
«Intanto la trasparenza come l`intendo io non c`è da nessuna parte. La Regione Lazio ha cominciato bene con l`anagrafe degli eletti, io la estenderò a tutti».
Quali sono le prime tre cose che farebbe da presidente della Regione Lazio?
«Inizierò appunto a dare attuazione al nostro programma sulla trasparenza totale in ogni settore dell`attività regionale: i cittadini potranno sapere tutto su chi li governa e su quanto e come si spende. Chiederò poi lo sblocco delle grandi infrastrutture tenute ferme dal governo, a partire dalla Roma-Latina, e avvierò le prime iniziative nel settore della green economy, puntando sull`efficienza e il risparmio energetico, che sono un importante volano di sviluppo assieme alla bioedilizia. Infine, nei primi cento giorni, convocherò gli Stati generali della sanità e della salute per un`operazione verità in cui siano coinvolti tutti gli attori in campo: dai cittadini ai medici, dai farmacisti agli infermieri».
Cosa manterrà e cosa cambierà della Regione targata Marrazzo?
«Voglio mantenere certamente un metodo di inclusione delle rappresentanze che è spesso andato oltre la semplice concertazione: nell`affrontare la crisi, la Giunta Marrazzo ha preso importanti decisioni assieme ai rappresentanti delle imprese e dei lavoratori, come il reddito minimo o i fondi per il credito. La grande novità sarà quella di fare di tutto per assicurare alcuni servizi primari alla persona: in particolare, dobbiamo accelerare sui nuovi servizi di cura sul territorio e sulla costruzione di una rete di trasporti pubblici all`altezza delle grandi regioni europee».
Gli ospedali. Riaprirà il San Giacomo e il Forlanini?
«Bisogna intendersi sul significato di chiudere e riaprire: secondo me qualcuno sta cercando di fare confusione. Il San Giacomo, secondo le indicazioni dello stesso ministro Fazio, è stato chiuso come ospedale con posti letto per acuti, ma mantenendo una struttura polifunzionale dedicata all`assistenza per anziani e ad altri servizi sociosanitari. La stessa strada va intrapresa anche per il Forlanini. Quello che il centrodestra regionale finge di non capire e che il centrodestra nazionale non vuole spiegare è che, nella situazione della sanità laziale, una residenza assistita e un poliambulatorio attrezzato con tecnologie moderne, primo soccorso e con un efficiente servizio di day hospital svolge una funzione più efficace, più economica e più utile di un inadeguato ospedale per acuti».
All`inizio lei ha annunciato la sua candidatura soltanto con la lista Bonino. Sospettava che il Pd avrebbe finito per sostenerla?
«Ho deciso di candidarmi nel Lazio perché secondo me questa è la regione che più di tutte ha la possibilitàdi lanciare al Paese un segnale: di fronte ai tentennamenti e a un diffuso senso di smarrimento, tanto della destra quanto della sinistra, noi abbiamo rotto gli indugi con una proposta politica altamente innovativa. La mia candidatura è in sé una proposta precisa, basata su valori e politiche che difendo da sempre con i Radicali: innanzitutto diritti, legalità e trasparenza. Su questa piattaforma ho incontrato il favore dei partiti che mi sostengono, compreso il Pd».
A proposito, si sente il salvagente del Pd?
«Sono convinta di rappresentare un`opportunità per tutti, anche per il Pd. Dopo la mia candidatura, c`è stata una risposta chiara e immediata da parte di Pier Luigi Bersani e di alcuni rappresentanti di rilievo del Pd del Lazio, a partire da Nicola Zingaretti. Abbiamo capito insieme molto presto che il nostro progetto politico ha una sua forza, un alto tasso d`innovazione. Sono convinta che la risposta da parte della società e degli elettori sarà forte».
I maligni dicono che può farle perdere voti solo Pannella...
«Pannella è un patrimonio di rinnovamento politico inesauribile: porta idee, onestà intellettuale e un amore raro per la democrazia e per la Repubblica. Tutta merce pregiata, altro che far perdere voti».
Dunque se vince lo nominerà assessore...
«Non so nemmeno se lui lo vuole fare. Non ne abbiamo parlato».
Mi dice una cosa che farà da presidente che darà soddisfazione ai cattolici?
«Farò quello che tanti cattolici mi riconoscono da sempre: sarò vicina agli ultimi e spenderò il
potere di una grande amministrazione per portare più uguaglianza e più rispetto dei diritti tra i cittadini del Lazio».
Un pregio e un difetto di Renata Polverini?
«Evidentemente parlo solo della candidata Polverini: il suo pregio iniziale è stato un certo coraggio nel proporre temi laici, come le coppie di fatto. Il suo difetto è di aver rinunciato
subito alle sue idee sotto la pressione dei partiti che la sostengono».

l’Unità 23.3.10
Bagnasco schiera la Chiesa «Alle urne contro l’aborto»
Non votate chi è a favore dell’aborto e all’uso della pillola RU486. È il richiamo del cardinale Bagnasco che ha aperto ieri il Consiglio permanente. Chiede anche moralità e onestà. Sulla pedofilia «vigilanza».
di Roberto Monteforte

Al Consiglio permanente il cardinale punta il dito contro la pillola Ru486 e contraccezione
«Valori non negoziabili». E Berlusconi elogia il Papa: efficace la lettera sulla pedofilia

Per un cattolico la difesa della vita dal suo concepimento alla morte naturale è un impegno irrinunciabile. Mentre è iniziato il conto alla rovescia per le prossime elezioni amministrative la Chiesa dà la linea all’elettorato cattolico. Lo fa il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco richiamando il rispetto dei «valori non negoziabili» nella prolusione con cui ha aperto ieri i lavori del consiglio permanente dei vescovi. «Quale solidarietà sociale è possibile se si rifiuta o si sopprime la vita, specialmente la più debole?» si è chiesto puntanto il dito contro l’impiego della pillola abortiva RU486 e la diffusione di altre «metodiche contraccettive cosiddette di emergenza». In tal modo, denuncia, «l'aborto sarà prolungato e banalizzato», con il risultato di una «invisibilità etica». È in questo contesto, «inevitabilmente denso di significati», che per i vescovi «sarà bene che la cittadinanza inquadri con molta attenzione ogni singola verifica elettorale, sia nazionale sia locale e quindi regionale». Non fa nomi Bagnasco, ma paiono evidenti i suoi riferimenti alle candidature PD alla presidenza della regione Lazio e a quella del Piemonte.
POLITICA VERA E MORALITÀ
Il richiamo al rispetto dei valori etici è a tutto tondo. Fermissime sono, infatti, le parole di condanna di Bagnasco della corruzione e sulla crisi della moralità pubblica, l’attenzione al bene comune e in particolare ai più deboli. La Chiesa attende l’esito delle inchieste giudiziarie in atto, ma richiama con decisione l’«imperativo all’onestà», invitando tutti «con umiltà, ad
uscire dagli incatenamenti prodotti dall'egoismo e dalla ricerca esasperata del tornaconto e a innalzarsi sul piano della politica vera». Invita alla cautela nella rappresantazione mediatica del fenomeno. «Non è vero che tutti rubano, ma se per assurdo ciò accadesse, cosa che non è, non si attenuerebbe in nulla l'imperativo dell'onestà», sottolinea il cardinale. «Non cerchiamo alibi preventivi nè coperture impossibili: sottrarre qualcosa a ciò che fa parte della cosa pubblica non è rubare di meno; semmai, sarebbe un rubare di più». I vescovi chiedono di liberarsi «dai comportamenti iniqui, dalle contiguità affaristiche per riconoscere al prossimo tutto ciò di cui egli ha diritto, e innanzitutto la sua dignità di cittadino».
Forte è la preoccupazione della Chiesa per «i frutti più amari» che la crisi economica sprigiona ora sul territorio». Fabbriche che chiudono, disoccupazione e cassa integrazione che aumentano: un’emergenza da affrontare prestando attenzione alla «responsabilità sociale», evitando la fuga dai problemi, e «soluzioni unilaterali e drastiche». Si invoca «una seria concertazione sociale». Sul tema caldo dell’immigrazione la Cei chiede una strategia di reale integrazione, bocciando le «isole etniche».
TRASPARENTI SULLA PEDOFILIA
Bagnasco affronta anche il tema doloroso della pedofilia. Piena è la sintonia dei vescovi italiani con Benedetto XVI e con la sua lettera pastorale inviata ai cattolici irlandesi. «La Chiesa impara a non avere paura della verità, anche quando è dolorosa e odiosa, a non tacerla o coprirla» scandisce il cardinale. Questo però «non significa subire qualora ci fossero strategie di discredito generalizzato». Bagnasco si fa vanto della «trasparenza» nel-
l’azione dei vescovi e del fatto che in Italia c'è stata «vigilanza per prevenire situazioni e fatti non compatibili con la scelta di Dio». Anche se casi di questo «comportamento aberrante» stanno venendo alla luce anche nel nostro paese. La linea è quella indicata dalla lettera di Benedetto XVI ai cattolici d’Irlanda. Una «risposta straordinariamente efficace», davanti a «situazioni difficili» che diventano anche «motivo di attacco» verso la Chiesa la definisce il premier Berlusconi in un messaggio inviato al Papa esprimendogli a nome del governo italiano «tutto l’affetto, la vicinanza e la solidarietà che ha verso di Lui il nostro popolo». La nostra gente, conclude un Berlusconi a caccia di voti, «sa distinguere tra gli errori umani, e gli enormi frutti di bene che sono nati e continuano a nascere dalla radice cristiana».

Repubblica 23.3.10
La bandiera vaticana
di Adriano Prosperi

Le elezioni sono alle porte e la Chiesa italiana ha parlato: o meglio, ha parlato la Cei per bocca del cardinal Bagnasco. La precisazione è d´obbligo: è possibile che una sola voce riesca ad esprimere la quantità e la qualità delle posizioni che si muovono nella realtà del mondo cattolico?
Ci si chiede anche se le elezioni amministrative siano un´occasione di tale importanza da imporre che si levi in modo speciale la voce di un´autorità morale e spirituale come la Chiesa nella sua espressione gerarchica, obbligata dalla sua stessa natura a essere al di sopra delle parti . E non intendiamo levare la pur sacrosanta protesta di chi chiede che le autorità ecclesiastiche si astengano dalla lotta politica: anche se si potrebbe – e forse si dovrebbe, visti i tempi – ricordare ai vescovi che ci sono tante occasioni di urgenze grosse e di scandali clamorosi davanti ai quali la loro voce dovrebbe trovare il coraggio di levarsi. Lo stato morale del Paese è disastroso. C´è una corruzione che ha invaso – partendo dall´alto – anche i più remoti angoli dove si dà esercizio del potere. È cosa recentissima la pubblicazione del rapporto annuale dell´agenzia internazionale per il monitoraggio dello stato dei diritti umani nel mondo: e lì abbiamo letto note ben poco confortanti per il nostro Paese. Che cosa può fare un vescovo in questa situazione?
I modelli di vescovi che hanno saputo affrontare senza paura i potenti per esercitare il loro compito di pastori di anime e di guide di coscienze non mancano certo nella millenaria storia della Chiesa: il gesto di ripulsa e di condanna di Sant´Ambrogio davanti all´imperatore Teodosio fondò il diritto del vescovo di Milano a guidare il suo popolo. Non sono più tempi così drammatici, penserà qualcuno. Eppure l´appello del cardinal Bagnasco ha un tono di una certa drammaticità. Anche se nel suo discorso sono stati toccati diversi problemi, nella sostanza uno domina su tutti gli altri. Gli elettori sono stati invitati a seguire nella scelta elettorale la bussola della questione dell´aborto.
Ora, la domanda che si pone è se questo è veramente il problema dei problemi, quello per cui sta o cade la società. Si dice che questa funzione è quella che prima di tutte le altre appartiene alla Chiesa: la difesa della vita. Bandiera nobile, se altre ce ne sono. La vita umana va difesa. Su questo siamo tutti d´accordo. Ma allora bisogna essere conseguenti e andare fino in fondo. Prendiamo un caso: sono passati appena pochi giorni da un episodio gravissimo: una madre ha partorito in una stazione di sport invernali dove lavorava, sulla neve dell´Abetone. Aveva un permesso di soggiorno legato al suo posto di lavoro. Ha nascosto il parto, il neonato è morto soffocato. Un´immigrata non può avere figli senza rischiare di perdere il lavoro: è l´effetto di una legge approvata da un governo di centrodestra che si vanta di avere il consenso degli italiani. E l´appoggio della Chiesa a questo governo produce ogni giorno effetti devastanti.
Noi non sappiamo quanti siano gli aborti clandestini che si praticano in Italia. Fu per affrontare la piaga dell´aborto clandestino che fu varata la legge 194. E l´effetto si è visto. Era un modo civile di affrontare una piaga antica, ben nota alle autorità ecclesiastiche. Per secoli l´arma della scomunica non ha impedito che nel segreto delle famiglie si eliminassero i figli indesiderati laddove le ferree catene del bisogno imponevano di non aumentare le bocche e di non avere figlie femmine. Allora la scomunica non colpiva i colpevoli della iniqua distribuzione delle risorse. E ancora oggi la condanna ecclesiastica non colpisce coloro che hanno varato quella legge che provoca lutti e dolori, che impedisce alle donne immigrate di avere figli. Né colpisce le forze politiche che non hanno a cuore la tutela della famiglia e che dedicano tutta la loro forza a sottrarre alla legge un presidente del Consiglio invece di varare una riforma fiscale che introduca il quoziente famiglia. Invece basta un normale appuntamento elettorale perché si ripeta ancora lo stanco spettacolo di un´autorità ecclesiastica che si schiera a favore di una parte politica contro un´altra. È un rito vecchio, logorato dall´uso, ripetitivo, facilmente decifrabile. Siamo a una scadenza elettorale resa inquieta dal silenzio della televisione di Stato, assurdamente determinata a lasciare i cittadini in una condizione di dubbio e di perplessità. Sono semplici elezioni amministrative. Non è in gioco la sorte del governo. Si tratta di scegliere i candidati più credibili per affidare loro l´amministrazione di regioni e città. Ci aspettavamo di essere messi in grado di scegliere serenamente sulla base dei profili dei candidati e del contenuto dei loro programmi. Ma di programmi è stato molto difficile parlare .
Il confronto è stato oscurato dall´episodio della clamorosa incapacità del più potente partito italiano di mettere insieme una lista di candidati e di farla pervenire alla scadenza dovuta davanti all´ufficio competente. Una manifestazione di piazza ha costruito lo spettacolo televisivo per raggiungere in un colpo solo tutti gli elettori. Ma forse anche questo spettacolo rischiava di non essere efficace. E allora, che altro si poteva fare per dare una mano al Pdl e combattere la candidatura di Emma Bonino nel Lazio?

Repubblica 23.3.10
La candidata del centrosinistra nel Lazio teme che il centrodestra voglia utilizzare contro di lei le parole del presidente della Cei
La Bonino evita lo scontro frontale "Vogliono farmi cadere in una trappola"
di Giovanna Vitale

È un evergreen, non mi sembra ci siano novità. Noi continuiamo la campagna sui problemi che interessano la gente
Spetta allo Stato legiferare su temi etici, non alla Regione. Noi andiamo avanti su temi come salute e legalità

ROMA - Le dichiarazioni del cardinal Bagnasco raggiungono Emma Bonino al Caffè Letterario, dove la candidata del centrosinistra sta incontrando una piccola folla di ragazzi, almeno duecento, per parlare di loro: cioè di futuro. Il telefonino le segnala l´arrivo di una mail spedita da Sabrina Gasperini, la donna-ombra che vigila sul suo Comitato elettorale: "Tema aborto non può influenzare voto", titola il primo lancio d´agenzia; "Politici ricordino che rubare è sempre male", recita il secondo. È il succo del discorso pronunciato da presidente della Cei: la leader radicale scorre velocemente il testo, nessuna smorfia a tradire disappunto, come se un po´ se lo aspettasse.
«È un evergreen. Non mi sembra ci sia nessuna novità, sono le solite cose», dirà più tardi correndo al teatro Palladium per un confronto con il mondo della cultura, il cinema, lo spettacolo. Giusto qualche telefonata, prima, per concordare la linea con i collaboratori: tutti zitti, nessuna reazione, la consegna del silenzio deve essere ferrea. «Qualsiasi cosa dica rischierei il massacro», ragionerà con i più fidati, «siamo alla stretta finale, un errore adesso e ci giochiamo l´intera campagna elettorale». Conosce i suoi polli, la vicepresidente del Senato. È bastata una sola parola, «evergreen», perché il pidiellino Maurizio Lupi la tacciasse di essere «sprezzante». Un´analisi condivisa anche con lo storico portavoce: «Emma, questa è una trappola, una chiamata alle armi di un centrodestra in difficoltà», le suggerisce Filippo di Robilant. «Non devi dire niente perché è esattamente quello che vogliono e che aspettano per farti a pezzi».
La trincea da difendere, per Bonino, è chiara. Lo ha ripetuto più e più volte in queste ultime settimane: «Spetta allo Stato legiferare sui temi etici, non alla Regione. Noi continuiamo la nostra campagna sui problemi che interessano i cittadini: la salute; la legalità; lo sviluppo; il sostegno alle famiglie, che significa tutelare i diritti delle persone che spesso organizzano i loro affetti come possono non come vogliono, non sta alle istituzioni dare una valutazione di merito». Un concetto ribadito anche in mattinata, durante il primo faccia a faccia televisivo con Renata Polverini. Condito da un acceso botta e risposta sul «buco di 10 miliardi nella sanità lasciato da Storace», subito contestato dalla sfidante del centrodestra («Il debito era stato accumulato da Badaloni» e comunque «io rinegozierò il piano del governo e in tre anni abbasserò Irap e Irpef»), chiuso da una stoccata della leader radicale: «Però, Renata, un po´ decenza: il governo è per il nucleare e tu dici che non lo vuoi. Vogliono privatizzare l´Acea e tu dici che non vuoi. Il tuo è un libro dei sogni».
Tuttavia un po´ di amarezza resta. Unita alla sensazione che i colpi di coda di una campagna elettorale già avvelenata dai contenziosi giudiziari potrebbero non essere finiti. Occorre evitare le trappole. Non cadere nella rete. Una scelta di low profile, soprattutto nei confronti delle gerarchie. «D´altra parte, quando la settimana scorsa lo stesso Bagnasco disse che serviva rigore nell´amministrare la cosa pubblica, che senza trasparenza la democrazia muore, nessuno di noi si è sognato di esultare», sottolineano al Comitato Bonino. «Eppure sembravano parole tese a valorizzare le battaglie di legalità di Emma. Come pure, a ben guardare, la seconda parte dell´intervento di oggi, allorché sempre il cardinale evoca l´imperativo all´onestà e ammonisce: "Nessun alibi per chi ruba"».
Passaggi che anzi, in qualche caso, coincidono con quelli pronunciati dalla vicepresidente del Senato nel suo incontro con i ragazzi: «Non vi sentite una categoria, siete il futuro di questo Paese», li aveva incitati la leader radicale. «Badate: il futuro è davvero nelle vostre mani, vorrei vedervi determinati a mordere il mondo». Il corollario di quanto appena detto dal n.1 dei vescovi a proposito degli effetti della crisi sui giovani «che già costituivano la fascia di popolazione più in sofferenza perché meno garantiti e poco sussidiati nel loro tuffo verso la vita» e che «oggi rischiano di demoralizzarsi definitivamente».

Repubblica 23.3.10
Pedofilia, Bagnasco avverte "Dobbiamo affrontare la verità ma basta accuse indiscriminate"
Lo scandalo, annuncia un avvocato delle vittime, scoppierà anche in Italia
di Marco Ansaldo

CITTÀ DEL VATICANO - «Fare giustizia nella verità». «Determinazione di fare verità fino ai necessari provvedimenti». «La Chiesa, nel momento stesso in cui sente su di sé l´umiliazione, impara dal Papa a non avere paura della verità, anche quando è dolorosa e odiosa, a non tacerla o coprirla».
Verità. Il cardinale Angelo Bagnasco ripete la parola tre volte, sempre nei passaggi centrali del suo discorso di apertura ai lavori della Conferenza episcopale permanente, il "parlamentino" dei vescovi. Faremo giustizia e verità. Lo spinoso tema della pedofilia nella Chiesa viene trattato ampiamente nella sua prolusione. E´ un «crimine odioso», ripete il presidente della Cei. Anzi, «aberrante». Ma è anche un «peccato scandalosamente grave, che tradisce il patto di fiducia iscritto nel rapporto educativo».
E´ per questo che la Chiesa italiana, dice l´arcivescovo di Genova leggendo ai suoi colleghi confratelli le 19 pagine dell´intervento, non intende minimizzare il problema. «La trasparenza - assicura Bagnasco - è un punto d´onore della nostra azione pastorale». Ma attenti al pericolo, avverte, di «accuse indiscriminate» che rischiano di gettare discredito su tutto il clero. I preti lavorano con dedizione per i bambini. «In quest´ora delicata - dice il capo dei vescovi proprio ai suoi ministri - una parola ci sentiamo in dovere di rivolgere a voi, amati sacerdoti che fate il vostro dovere con fede, amore e dignità. Siate sereni sapendo che le nostre comunità hanno fiducia in voi».
Alla Lettera pastorale indirizzata sabato scorso dal pontefice ai cattolici irlandesi si è riferito ieri anche il Presidente del Consiglio. «Benedetto XVI - ha detto Silvio Berlusconi - non diversamente dai suoi recenti predecessori, è spesso chiamato a confrontarsi con situazioni difficili, che diventano motivo di attacco alla Chiesa e perfino alla sostanza stessa della religione cristiana. Il modo in cui risponde è straordinariamente efficace. La Lettera pastorale ai cattolici irlandesi è solo l´ultimo esempio di questo suo grande carisma».
In varie zone d´Italia cominciano intanto a prendere forma diverse iniziative antipedofilia. «Lo scandalo sta per scoppiare anche in Italia - dice Roberto Mirabile, presidente dell´associazione La Caramella buona, di Reggio Emilia - è solo questione di settimane. E il Papa non dovrebbe aspettare una causa miliardaria, ma fare una bella lavata di testa ai vescovi. Sono loro il vero problema perché, piuttosto che intervenire, spostano i responsabili degli abusi da una parrocchia all´altra».
Anche a Verona qualcosa si muove. E i fascicoli sulle presunte violenze sessuali da parte di religiosi all´Istituto per sordomuti Antonio Provolo, avvenute circa 30 anni fa su 67 alunni, verranno affrontati dalla Congregazione vaticana per la Dottrina della fede. Lo ha annunciato il portavoce della Curia veronese, monsignor Bruno Fasani, precisando che la decisione risponde alle recenti disposizioni papali contro i preti pedofili, per accelerare i processi.
A Bologna infine, Claudia Colombo, avvocato ferrarese che rappresenta una decina di genitori di bambine dai 5 ai 7 anni che subirono molestie sessuali all´asilo da un sacerdote di Cento, poi condannato a 6 anni e 10 mesi, lancia un appello: «Nonostante la lettera del Papa ai cattolici irlandesi, nessun messaggio di scuse ci è arrivato dalla Curia di Bologna. E neppure si è parlato di risarcimenti. Le parole di conforto sono importanti, ma non sempre sono sufficienti».

Repubblica 23.3.10
Berlino, imbarazzo sui silenzi del Pontefice
Tensione nel governo Merkel. Nuovi casi denunciati a Ratisbona
di Andrea Tarquini

Berlino - Il Papa prenderà presto posizione sul dramma degli abusi di minori da parte di religiosi in Germania, dice la ministro liberale (Fdp) della Giustizia, Sabine Leutheusser- Schnarrenberger. È opportuno, dopo il silenzio sul caso tedesco nella lettera ai vescovi irlandesi, aggiunge. E urge che la Chiesa collabori pienamente con la giustizia. Ma la lettera del Pontefice, replica la Cancelliera Angela Merkel va accolta con soddisfazione. Il tragico tema della pedofilia nelle istituzioni religiose arriva a creare tensioni nel governo, nella patria di Benedetto XVI. Proprio mentre emergono nuove denunce: sei sacerdoti o religiosi in vita sono sotto inchiesta a Ratisbona (la città dove il fratello del Papa ha diretto per decenni il coro delle voci bianche del Duomo) per sospetti abusi su minori, e altre denunce riguardano prelati deceduti. Su questo sfondo, esplode uno scontro tra Chiesa ed ebrei tedeschi: la presidente delle Comunità ebraiche, Charlotte Knobloch, esige indignata che il vescovo di Ratisbona, Gerhard Ludwig Muller, si scusi per aver paragonato le critiche di oggi contro la Chiesa alla campagna anticristiana ordita da Hitler e Goebbels sotto il nazismo.
In vista della tavola rotonda del 23 aprile sulla lotta alla pedofilia, che riunirà esecutivo, responsabili dell´istruzione, chiese, il governo è diviso da tensioni. «Penso che il Vaticano prenderà presto posizione sui casi tedeschi», ha detto alla Frankfurter Rundschau la combattiva ministro della Giustizia (il cui cane, quando lei era nel governo Kohl, si chiamava Martin Lutero). Mi aspetto anche, ha aggiunto, piena collaborazione della Chiesa con le indagini della magistratura. E auspico tempi di prescrizione più lunghi per i delitti pedofili. Un linguaggio ben più duro della soddisfazione espressa dalla Cancelliera. Secondo la quale è di grande importanza che il Papa abbia affrontato il tema trovando le parole giuste per le vittime.
Ogni giorno però la posizione della gerarchia ecclesiastica si fa più difficile, nella patria di Benedetto. «Alla Chiesa tedesca avrebbe fatto bene una parola del Papa sui casi in Germania, lui non ha avuto il coraggio di trovarla», accusa la Sueddeutsche Zeitung di Monaco, liberal. Anche la più conservatrice Frankfurter Allgemeine lamenta i silenzi sui problemi strutturali che possono favorire la pedofilia. E su questo sfondo, la sfuriata del vescovo di Ratisbona col paragone tra oggi e l´era nazista causa shock. Il presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi, l´arciconservatore e autorevole politico cristianosociale bavarese Alois Glueck, nota che «quelle parole creano l´impressione che parte della Chiesa non voglia fare luce».

Repubblica 23.3.10
L´intellettuale cattolico: "Nel nostro Paese quegli abusi nelle scuole erano sistematici e diffusi"
La provocazione di O´Connnor "Il Papa dovrebbe dimettersi"
Lo scrittore irlandese: venga qui e chieda scusa in ginocchio
di Enrico Franceschini

Penso sia stata una risposta inadeguata e profondamente evasiva. La Chiesa non vuole affrontare quanto c´è di sordido nel suo interno

LONDRA - «Una risposta vergognosamente inadeguata ed evasiva». Così Joseph O´Connor, uno dei più importanti scrittori irlandesi dell´ultima generazione, giudica la lettera con cui Benedetto XVI ha chiesto scusa all´Irlanda per gli abusi dei preti pedofili e per la copertura che hanno a lungo ricevuto dalle istituzioni cattoliche. Il 47enne autore di La fine della strada, Stella del mare e La moglie del generale, tutti best-seller internazionali pubblicati con successo anche in Italia da Guanda (per la quale in agosto uscirà la traduzione del suo ultimo romanzo, Ghost light), vorrebbe molto di più dal pontefice: chiede le dimissioni del Papa e auspica un suo pellegrinaggio in Irlanda e negli altri paesi colpiti dagli abusi dei religiosi, «per chiedere di persona perdono, in ginocchio, davanti alle vittime degli stupri».
Come valuta la lettera pastorale inviata dal papa lo scorso fine settimana all´Irlanda, alla chiesa cattolica d´Irlanda, ai fedeli irlandesi?
«Penso che sia una risposta vergognosamente inadeguata e profondamente evasiva. Mi sembra la prova che le istituzioni della Chiesa cattolica continuano a non volere affrontare tutto quanto c´è di sordido, di segretezza e di corruzione al loro interno».
Quale fu la sua prima reazione quando lo scandalo fu portato alla luce per la prima volta in Irlanda?
«Sentii semplicemente che veniva confermato ciò che ogni scolaretto o ex-scolaretto irlandese sapeva già».
Lei pensa che i rapporti pubblicati dalle due commissioni d´inchiesta irlandesi sugli abusi sessuali di preti e suore, il primo reso noto nel maggio scorso e il secondo in novembre dello stesso anno, abbiano evidenziato fino in fondo i soprusi e il tentativo di insabbiamento?
«Be´, in effetti i termini di riferimento di quelle inchieste erano limitati in partenza. Tuttavia a mio parere entrambi i rapporti sono buoni e utili. Però dovrebbero essere il primo atto, non l´atto conclusivo, di questa vicenda. Io credo che sarebbe il momento di aprire un´inchiesta minuziosa su ogni diocesi e ogni istituzione religiosa dell´Irlanda, senza eccezioni».
Ha mai incontrato o conosciuto personalmente qualche vittima di questi abusi?
«Naturalmente sì. Guardi, in Irlanda, non c´è individuo che non conosca vittime degli abusi della Chiesa cattolica sui minori, tanto erano sistematici e diffusi».
Lei è cattolico?
«No, non lo sono».
In ogni modo crede che lo scandalo abbia creato una crisi di fiducia dei cattolici irlandesi nei confronti della Chiesa?
«Come ho detto, non essendo cattolico non mi sento nella posizione più adatta per rispondere a questa domanda. Pur tuttavia mi sembra, guardando la situazione dall´esterno, che i fedeli che vanno a messa sappiano distinguere tra la fede in Dio e la fiducia nella Chiesa. Ma come riescano a fare questa distinzione, non saprei proprio dirlo».
Ritiene che gli scandali venuti alla luce dovrebbero diventare un´opportunità per la Chiesa cattolica per cambiare le norme sul celibato e permettere ai preti di sposarsi?
«Ripeto, non sono cattolico e dunque non è il tipo di domanda che ha una reale importanza per me. Quello che mi sento di dire comunque è che ogni organizzazione che sia totalmente maschile e riceva un universale rispetto è ovviamente un potenziale paradiso ideale dei pedofili. Entrando a far parte della Chiesa cattolica, queste persone avevano la possibilità di nascondersi pur conducendo un´attività pubblica e venivano sistematicamente protette».
Che cosa dovrebbe fare Benedetto XVI, secondo lei, per dimostrare il suo pentimento e cambiare radicalmente le cose rispetto a questo problema?
«Primo, dovrebbe immediatamente dimettersi. Secondo, dovrebbe trasferire al governo irlandese tutte le proprietà che la Chiesa cattolica ha in Irlanda. Terzo, dovrebbe venire in Irlanda, mettersi in ginocchio, e implorare il perdono di coloro che sono stati stuprati dai preti che le sue istituzioni hanno protetto. E poi dovrebbe andare a fare la stessa cosa in ogni altro paese dove è accaduta la stessa cosa».
Questa storia ha già generato almeno un film, The Magdalene Sisters: potrebbe diventare ora anche un romanzo? Ha mai pensato di scriverne uno su questo argomento?
«A dire la verità ci sto pensando proprio adesso».

il Fatto 23.3.10
C’è un’alternativa al governo: è la Chiesa di Ratzinger
di Carlo Tecce

Lezioni di scienza politica. Come fare campagna elettorale, anzi come confezionare un comizio di parte davanti a sette milioni di italiani. Una propaganda a più voci. Fase 1, l’indicazione. Il ‘monito’ dei vescovi per un voto contro l’aborto e per la difesa della famiglia. Al Tg1 sanno bene che, domenica prossima, ci saranno le elezioni in tredici regioni. Non il referendum sull’aborto, cronaca del 1981. Il messaggio non è proprio subliminale: “Non votate per la radicale Bonino”. Fase 2, chiamata alle armi. Solita telefonata di Berlusconi intercettata in chissà quale convegno (n.b. stavolta Minzolini arriva prima di Emilio Fede e di “Studio Aperto”): “No all’astensione, attenzione al regalo a quelli di sinistra”. Fase 3, la pluralità. Elucubrazione di Gianfranco Fini sul presidenzialismo, e altri sofismi fuori dal tema per dimostrare la ‘coralità’ nel Pdl. Fase 4, le disgrazie altrui. Insolito agguerrito pezzo dell’inviata Graziadei sull’inchiesta di Bari, la sanità, il carcere di Frisullo, le tangenti, le escort. In una parola: il Pd. Totale: sette minuti al governo e alla maggioranza, alla Chiesa e all’inconsistenza (morale, se non religiosa) dell’opposizione. Un atto di fede del “direttorissimo”.

l’Unità 23.3.10
Bagnasco e Polverini, un abbraccio mortale?

L’invito del cardinal Bagnasco a votare alle prossime regionali come se si trattasse della rivincita del referendum con cui (quasi trent’anni fa) l’Italia disse no all’abrogazione della legge 194 è stato accolto da una parte del Pdl, almeno inizialmente, con sollievo. Soprattutto perché di motivi di ottimismo Renata Polverini ne ha avuti fin’ora davvero pochi. Ma rapidamente a destra si è fatta strada un po’ di preoccupazione: è sorto il dubbio che, alla fine, il messaggio della Cei possa diventare una sorta di messa in mora della candidata laziale del centrodestra. Non è infatti un mistero che Emma Bonino abbia combattuto negli anni Settanta contro il flagello dell’aborto clandestino (lei stessa l’ha rivendicato con orgoglio all’inizio della campagna elettorale), mentre non è ben chiaro il pensiero di Polverini sul problema, a parte qualche generica dichiarazione a sostegno della vita. Ed ecco il timore della messa in mora: forse le gerarchie ecclesiastiche vogliono sentir dire da lei che, se vincerà il centrodestra, per le donne nel Lazio sarà più difficile, se non impossibile, abortire? E comunque mai con la pillola Ru486, cioè con la tecnica più moderna e meno dolorosa? Se è questo che Bagnasco vuole da Polverini, si comprendono le preoccupazioni nel suo entourage e in particolare nella parte più vicina a Gianfranco Fini. Il voto che, alle politiche del 2008, cifrò la lista antiabortista di Giuliano Ferrara allo 0,3% fa ancora paura. Preoccupazione comune anche ai laici (per esempio Cicchitto) che all’inizio della campagna elettorale invitarono a non sottovalutare proprio la candidatura, allora ancora ipotetica, di Emma Bonino.
A questo timore se ne aggiunge un altro: che gli effetti benefici dell’intervento episcopale, vista l’assenza della lista del Pdl,, si riversino a Roma sulla sola Udc. Certo, in maggioranza non si aspettavano in un sostegno elettorale così netto. Ma la lettera con la quale in mattinata il cattolico Berlusconi aveva espresso vicinanza alla Chiesa per le accuse sulla pedofilia, secondo quanto confidano fonti di governo, ha avuto un ruolo non secondario nella scelta dei toni di Bagnasco. E pensare che nel Pdl c’era chi temeva una bacchettata per il rito pagano, con tanto di promessa sconfitta del cancro, consumatosi sabato sul palco di Piazza San Giovanni. Uomini di poca fede...

l’Unità 23.3.10
Bersani: «Nel Lazio la partita decisiva E poi torneremo in Campidoglio»
di Maria Zegarelli

La partita più importante si gioca nel Lazio: è da qui che può essere servito «il primo piatto al Pdl, in attesa del secondo», cioè il ritorno del governo di centrosinistra a Roma, «perché una città come questa non può avere Alemanno come sindaco». Pierluigi Bersani parla ai simpatizzanti del XV ̊ Municipio, uno dei più popolosi della capitale e diffonde ottimismo tra i militanti. «Qui si può realizzare il fatto politico più importante», perché oggi l’aria è diversa, «è un’aria buona, credo che siamo in condizione di aspettarci che gli elettori mandino una letterina un po’ brusca al governo, a questa maggioranza e al presidente del Consiglio dicendogli che l’Italia non può stare sempre attorno ai suoi problemi». A chi gli chiede pronostici risponde: «Non dico abbiamo vinto, dico vinciamo», quello che è certo è che le cose stanno in maniera molto diversa da come il Pdl le raccontava due mesi fa, ripete in vista dell’appuntamento con le urne. E in serata, ospite di «Otto e mezzo» dice che non sarà certo l’appello della Chiesa a dare un voto per la vita a danneggiare Emma Bonino, «non mi è sembrato un appello elettorale quello del cardinale Bagnasco». E se il ministro Sacconi cerca di spostare il tema sull’aborto, Bersani replica «che non è un tema della campagna elettorale».
I NERVI TESI DEL PDL
«Non siamo nella riserva indiana, oggi possiamo vincere nella maggioranza delle Regioni» se si parla dei temi che più riguardano i cittadini: lavoro, legalità, regole, futuro». Il segretario cerca di riportare la campagna elettorale sui contenuti, ma la polemica con la maggioranza e dentro la stessa maggioranza sposta l’asse. L’ultimo tema che divide, soprattutto nel governo, sono i numeri della manifestazione di sabato scorso: Bersani si dice «sbigottito» davanti a esponenti «di primissimo piano della maggioranza che hanno insultato il Questore di Roma, addirittura il capogruppo al Senato gli ha dato dell’ubriacone. Non mi aspettavo che arrivassero fin lì, non so cosa ci sia ancora da aspettarci». E si chiede quale impressione deve aver fatto agli elettori di centrodestra vedere i 13 candidati, «campioni delle autonomie», giurare nelle mani di Berlusconi. «Lo trovo umiliante e agghiacciante, quella cosa non avrei voluto vederla», spiega aggiungendo che se il clima è teso non è certo una responsabilità dell’opposizione, quanto piuttosto di un premier che pensa alla politica «come ad un eterno comizio». Un comizio senza contradditorio, come dimostra il rifiuto del confronto televisivo con Bersani. «Prendo atto che questo è il suo modo, credo che abbia qualche difficoltà ad affrontare i problemi reali», risponde Bersani elencando i risultati di due anni di governo: 20 miliardi in meno di incasso dall’Iva; un megacondono per capitali esportati con un obolo del 5%; 12 miliardi di euro in più rispetto allo scorso anno spesi per beni della pubblica amministrazione; un taglio di otto miliardi nelle scuole e 9 miliardi in meno in investimenti. «Berlusconi non può confrontarsi con la realtà perché deve sempre mettere la faccia vicino a un miracolo, non vicino a un problema». Per questo non ci saranno confronti e per questo, dice, nei sette milioni di lettere che stanno per arrivare agli italiani, «dirà sempre le stesse cose: il bene contro il male, la sinistra, i giudici... È un disco rotto».
C’è chi chiede un commento alle dichiarazioni di Bagnasco e ils egretario anticipa quello che dirà in serata ospite di Lilli Gruber: «È un discorso serio quello di tenere conto dei comportamenti, perché tra comportamento personale e pubblico non c’è il mare, deve esserci qualche comunicazione». Perché la Chiesa ha parlato anche della questione morale, della lotta alla corruzione e della questione antropologica. «Noi siamo attenti non solo alla questione sociale ma anche a quella che la Chiesa da tempo definisce la questione antropologica», conclude Bersani.

il Fatto 23.3.10
Al coro “Unité” la Sinistra punta all’Eliseo
La vittoria alle Regionali su Sarkozy frutto della coesione tra le varie anime
di G. M.

“Adesso comincia la parte più difficile”: Daniel Cohn Bendit dixit, Martine Aubry assentì. Vittoria eclatante, ma ingombrante e costrittiva, quella della sinistra francese. Non è solo che il Ps ha conquistato ventuno regioni su ventidue, è che ha fatto nascere la speranza di vincere anche le presidenziali: non accade dal 1988, l’anno della stanca seconda volta di François Mitterrand. Quindi tutti d’accordo, ieri, i vincitori: per mantenere l’abbrivio adesso urgono strategia, leadership, programma. Una montagna da scalare, con il piede che scivola ad ogni metro. Il più rapido è stato l’ex leader del ’68. Ha firmato su Libération il suo secondo “appello del 22 marzo”. Il primo fu quello di quarantadue anni fa, e diede fuoco alle polveri del Maggio. Quello odierno non sa più di barricate. Ruota attorno ad una parola-chiave, inedita nel linguaggio politico transalpino: “Cooperativa”. Vuole mettere la prima pietra all’edificio, e comincia guardando in casa sua, nella variegata famiglia ecologista. Intende strutturarla, consapevole che ruota ormai tra il 13 e il 16 per cento, e forse anche di più. Ma non vuol sentir parlare di “partito”: “I partiti sono roba vecchia, superata”. Ecco quindi la “cooperativa politica” strutturata su due piani. Al primo piano, detto “camera alta”, si raccoglieranno i gruppi dirigenti già esistenti: Verdi, Europe écologie, altre anime della galassia ambientalista. Al pianterreno tanti “collettivi” territoriali, detti “camera bassa”, ai quali spetterà sempre l’ultima parola per le decisioni di carattere nazionale. Fondamentali i tempi: “Cooperativa” entro il 2010, in modo da posizionarsi alle primarie del Partito socialista nel 2011, che saranno aperte agli elettori e non più riservate agli iscritti.
Sullo sfondo, il nocciolo del problema, costituito dal primo turno delle presidenziali del 2012: esserci o non esserci con un candidato tutto di verde vestito? Le opinioni per ora divergono. Il Ps ieri si stava ancora allisciando il pelo, troppo beato della sua vittoria per reagire puntualmente alle proposte del frenetico Cohn Bendit. I suoi dirigenti, Martine Aubry in primis, avevano ancora nelle orecchie il coro che risuonava domenica sera nella sede di rue Solferino, presa d’assalto dai militanti: “Unité, unité!”. Dunque la strada, in teoria, è tracciata: Ps-Europe écologie-Front de gauche sono un trio a somma vincente. In verità il lavoro di cucitura sarà improbo. Innanzitutto in casa socialista: bastava vedere domenica il sorriso radioso di Ségolène Royal, trionfalmente rieletta nel suo Poitou-Charente con il 63 per cento dei voti. Un sorriso, una promessa: alle primarie per le presidenziali ci sarò, e non farò sconti a nessuno. Oppure i commenti di François Hollande, tutti improntati a saggezza presidenziale. E la disponibilità nuova di Martine Aubry verso i suoi alleati, come se si portasse garante di un Ps rispettoso delle diversità. Insomma le ambizioni dei leader socialisti sono lì, intatte e anzi più gagliarde che mai. Sarà un lavoraccio tenerli calmi per i prossimi due anni. L’incubo, per tutti, è quello delle regionali del 2004: trionfali anche allora, venti regioni su ventidue ai socialisti. Ma nel 2007 seguì
la tranvata presidenziale, così che da allora si parla della maledizione del Ps, anzi dei due Ps: uno regionale e comunale, al quale i francesi danno volentieri fiducia, l’altro nazionale, al quale invece preferiscono la destra. È l’incantesimo che Martine Aubry vuole infrangere, ma senza passi precipitosi, quindi falsi: “La sinistra solidale deve ancora
consolidarsi ed espandersi”. Sull’altro fronte, quello governativo, ieri all’Eliseo era tutto un rimpasto. Tra ministri e sottosegretari domenica erano in corsa una ventina, tutti sonoramente battuti. Sarkozy conferma il premier Fillon, ma qua e là vuole qualche iniezione di novità. Intende metter mano alla riforma delle pensioni, e vorrebbe evitare di ritrovarsi il paese paralizzato da scioperi e manifestazioni. Tanto più che un sondaggio Ipsos di ieri gli ha ulteriormente avvelenato la giornata: il 58 per cento dei francesi gli rifiuterebbe un secondo mandato. g.m.

il Fatto 23.3.10
Sconfitto Sarkozy
Cosa ci insegna il successo della sinistra
Quando si rinuncia agli egoismi personali e politici
di Gianni Marsili

Sì, vale la pena guardare Oltralpe per trarne qualche utile idea. Una considerazione preliminare: ha vinto il Partito socialista, ma soprattutto ha vinto la sinistra. Non è stata, inoltre, una semplice vittoria in elezioni locali, per quanto importante possa essere il governo di quasi tutte le regioni di Francia. E’ nientedimeno che l’embrione di una maggioranza presidenziale e parlamentare, se nei prossimi due anni non si disperderà il patrimonio raccolto in queste due tornate di marzo. Prima constatazione: per una volta il Ps, sotto la guida di Martine Aubry, è riuscito a mettere il silenziatore alle rivalità tra i suoi tristemente celebri “elefanti”. Tanta esibita e nuova unità deve molto, è vero, alla posta in gioco: i vari Fabius, Royal, Strauss-Kahn usano scannarsi per il trono dell’Eliseo, non certo per la presidenza piccarda o provenzale. Però il successo è stato tale che il primo al quale verrà l’ùzzolo di giocare in proprio ci penserà non due ma tre volte, prima di passare alla storia come l’affossatore di una squadra che vince. L’elettorato ha visibilmente apprezzato l’inedita armonia dei vertici socialisti, e chi la straccerà dovrà aspettarsi perlomeno un calcio nel sedere. Secondo: analogo esempio, dietro l’impulso di Daniel Cohn Bendit, hanno fornito le diverse anime ambientaliste. Hanno smesso di dividersi tra verdi di governo e verdi barricadieri, tra verdi nostalgici preindustriali e verdi hi-tech. Ne è scaturita la terza formazione politica del Paese, decisiva per qualsiasi futura operazione presidenziale o legislativa. Terzo: niente più comunisti più o meno rifondati, socialisti dissidenti, cani sciolti in sigle e siglette (e sotto la sigla niente), tutti evaporati. Al loro posto un “Front de gauche” per raccogliere i radicalismi e guarirli dalla loro congenita sterilità. E’ stata questa la terza componente della vittoria della sinistra, disciplinata nel far convergere i suoi voti sul candidato socialista al secondo turno, l’unico in misura di farcela. Per farla breve, questo marzo francese racconta una storia di rinuncia agli egoismi personali e politici. E’ la storia di un compromesso nuovo e virtuoso, per quanto ancora fragile. I francesi hanno preferito questa onesta diversità, animata da spirito unitario, al blocco compatto e monopartitico che solo tre anni fa aveva portato Sarkozy alla presidenza. Naturalmente ha giocato un ruolo la delusione per quanto fatto finora: niente o quasi, malgrado la prorompente energia del capo dello Stato. Che è però apparsa, mese dopo mese, un esercizio a metà tra onanismo (almeno sul piano politico) e narcisismo, o poco più. E’ dunque bastato un lampo unitario da parte delle opposizioni perché gli elettori vi intravvedano la possibilità di un’alternanza, subito premiata alla grande. Solo tre anni, e non sedici, per minare la saldezza del padre padrone del centrodestra, che pareva già tranquillamente avviato verso un secondo quinquennio: invidiabile rapidità di reazione. Di Sarkozy (che ha 53 anni, non 73) e delle sue chance per il 2012 oramai si dubita apertamente nel suo stesso campo, che fino a ieri pareva un blocco di ghisa. Certo, se negli ultimi anni i socialisti avessero sgovernato le regioni, o se la loro gestione avesse ispirato malandrini e borseggiatori da assessorato, una vittoria così potevano sognarsela. Hanno governato bene, e in più hanno messo un freno alla loro storica tentazione di egemonia. Insomma non c’è mistero nella vittoria di domenica: meditiamo, italica gente, meditiamo.

Repubblica 23.3.10
Il Pd e la lezione della gauche
di Marc Lazar

Il caso ha voluto che per ragioni di calendario, le elezioni regionali di francesi fossero seguite con particolare interesse in Italia: i francesi infatti hanno votato il 14 e il 21 marzo, mentre gli italiani si preparano a farlo domenica e lunedì prossimi.
Grande è dunque la tentazione di un esame comparativo. Un esercizio peraltro non facile, dato che le differenze sono notevoli. La Francia ha appena rinnovato i suoi 22 consigli regionali nella metropoli, più i 4 d´oltremare, mentre in Italia si voterà in tredici regioni su venti. I sistemi elettorali di entrambi i Paesi combinano tra loro elementi del maggioritario e del proporzionale, articolati però in maniera diversa. In Italia - contrariamente alla Francia - le regioni hanno alle spalle una lunga storia, dispongono di ampi poteri e rappresentano realtà chiaramente identificabili; i loro governatori sono ben più visibili dei presidenti delle regioni d´oltralpe. Anche le rispettive campagne elettorali sono state impostate in maniera assai diversa. In Francia il presidente della Repubblica Nicolas Sarkozy, che in un primo tempo avrebbe voluto personalizzare la consultazione elettorale, ha rapidamente cambiato idea, scegliendo di limitare il significato del voto alla sua dimensione regionale (quella stessa che la maggioranza degli elettori intendeva dare al proprio voto). Per converso, l´opposizione socialista ha interpretato queste elezioni come un confronto nazionale, con l´obiettivo di punire l´inquilino dell´Eliseo. In Italia Silvio Berlusconi, fedele alla propria concezione e al proprio modo di far politica, ha trasformato queste regionali in un plebiscito sulla sua persona, mentre il Pd oscilla tra una prudente limitazione del significato del voto alla sua dimensione regionale, e la tentazione di interpretarlo come un indicatore del rapporto di forze globale tra maggioranza e opposizione. Ma al di là di queste differenze, nulla vieta di prendere spunto dal voto francese per proporre quattro temi di riflessione per l´Italia.
In Francia la partecipazione elettorale è stata molto bassa al primo turno (46,4%), e un po´ migliore al secondo, con il 51% (contro il 65,7% nel 2004). Il basso livello di interesse per le regionali ha contribuito ad accrescere ulteriormente i battaglioni degli astensionisti abituali; mentre a ingrossare le file gli «intermittenti», che decidono di votare a seconda della posta in gioco, hanno contribuito anche molti elettori di destra: delusi da Sarkozy e preoccupati per la gravità delle condizioni economiche e sociali del Paese, sono rimasti sordi agli appelli lanciati dal governo e dall´Ump nell´intervallo tra il primo e il secondo turno. Come andranno le cose in Italia? Per varie ragioni, qui gli elettori hanno tuttora una maggior tendenza a recarsi alle urne, anche se l´astensionismo continua ad avanzare. E un po´ come in Francia, anche qui peserà sull´esito del voto il grado di mobilitazione degli elettori del Pdl, il principale partito di governo.
In Francia il Fronte Nazionale (Fn) è stato un elemento caratterizzante in queste elezioni, ottenendo al primo turno un risultato inferiore rispetto alle precedenti regionali, ma superiore alle aspettative; e dal primo al secondo turno ha progredito laddove i suoi candidati sono rimasti in lizza. C´è da aspettarsi qualcosa di analogo per la Lega – ma sempre ricordando che questo partito non si può collocare senz´altro all´estrema destra. Anche in questo caso si è tentati a un accostamento non privo di rischi: se infatti la Lega e il Fronte Nazionale hanno vari punti in comune (l´ostilità all´immigrazione, l´insistenza sui problemi di sicurezza, la condanna dell´Europa, il populismo ecc.), presentano tuttavia notevoli differenze: il Fronte Nazionale esalta la nazione centralizzata e punta ad affermarsi su tutto il territorio, mentre la Lega cavalca il federalismo e ha i suoi capisaldi al Nord. Altre differenze riguardano sia i bacini elettorali, sia le strategie di questi due partiti. D´altra parte, così come il Fronte Nazionale ha approfittato del malcontento degli elettori dell´Ump, la Lega potrebbe trarre vantaggio dal disagio dei simpatizzanti del Pdl, ma anche dall´incapacità della sinistra di parlare agli strati popolari.
In Francia la destra è stata severamente punita. Il presidente Sarkozy esce indebolito da queste regionali, i cui risultati confermano la sua impopolarità, rilevata da tutti i sondaggi, che rimbalza sul suo partito, l´Ump, in quanto partito presidenziale. Anche la popolarità di Silvio Berlusconi, per quanto maggiore di quella del presidente francese, appare oggi in calo. Al pari dell´Ump, il Pdl rischia di essere penalizzato dai dubbi degli elettori di centro-destra: in un momento in cui la situazione economica e sociale del Paese si sta deteriorando, l´Uomo del fare – a differenza di Sarkozy – non ha fatto granché dal 2008, tranne le leggi in favore dei suoi interessi privati e i numerosi annunci di importanti riforme, l´ultima delle quali – quella di una riforma del sistema politico – divide l´opinione pubblica. Al di là delle loro specificità, l´Ump e il Pdl si erano rivelati strumenti formidabili per far vincere, nel 2007 e nel 2008, i rispettivi campioni, imponendo i loro valori e i temi delle campagne elettorali. Ora però rivelano le proprie debolezze in quanto partiti di governo, mettendo a nudo difficoltà organizzative e divergenze interne (più marcate in Italia che in Francia).
Infine, il successo eclatante della sinistra francese fa sognare il Pd. Questa vittoria si fonda su una strategia di alleanze con gli ecologisti, divenuti il terzo partito in Francia ( a differenza dell´Italia) e con il Fronte della sinistra, formato da socialisti dissidenti, dal piccolo partito comunista francese e da un gruppetto di trotzkisti in contrasto col settarismo delle loro organizzazioni. In altri termini, come già in passato, il Ps ha ricostruito una forma di unione della sinistra, ma con tre grandi differenze: i socialisti badano a non schiacciare i loro alleati; gli ecologisti sono oggi al primo posto tra questi ultimi; e infine i loro partner della «gauche de la gauche» sottraggono voti all´estrema sinistra, senza però raggiungere percentuali tali da poter imporre le loro esigenze. Inoltre, per il Ps il tracollo del partito del centrista François Bayrou ha l´immenso vantaggio di evitare, almeno per il momento, il dibattito su un´eventuale alleanza con l´espressione di questa sensibilità politica, fonte di divisioni.
Quanto al Pd, è ben lontano dall´interpretare lo stesso spartito. I suoi risultati in queste regionali alimenteranno peraltro un dibattito che andrà molto al di là dei confini italiani, e riguarderà le scelte della sinistra europea nel suo insieme: tornare alle sue posizioni fondamentali, anche se rinnovate da capo a fondo, o spingersi oltre i suoi limiti abituali? In altri termini, definirsi come sinistra o come centro-sinistra?
Traduzione di Elisabetta Horvat

il Fatto 23.3.10
L’insopportabile vittoria di Obama
di Furio Colombo

Non c’è stata voce, per quanto sobria, nel nostro Paese che non abbia denunciato per tempo gli errori di Barack Obama, pronosticandone la sconfitta. “Le faccio un esempio. Obama ha perso il seggio che gli permetteva di arrivare a 60 voti. E per fare passare la sua riforma sanitaria al Senato, che cosa fa? Non va al Congresso tentando di convincere i senatori. No, va in televisione. In questo senso la situazione è simile all’Italia. Perché quello che vuol far pesare Obama è la persona, la comunicazione, più che le idee. In Italia è lo stesso. Non si discute delle idee e dei programmi. Ci si polarizza”. (“Il Corriere della Sera”, 20 marzo). L’inaspettato autore di questa stroncatura preventiva del presidente degli Stati Uniti – due giorni e una notte prima della sua storica vittoria – ci dice quanto danno può fare una cattiva informazione anche a carico di personaggi autorevoli e credibili. In questo caso Guido Rossi che, intento a riflettere sui mali di un Paese (l’Italia) travolto da un quasi ventennale e sempre dominante conflitto di interessi, finisce suo malgrado per diffondere immagini distorte della realtà. A partire da tante descrizioni adulterate della vita politica americana – e prendendole come fonte attendibile – non si può che sbagliare. Vorrei prendere il pretesto della straordinaria vittoria del presidente Obama sulla riforma sanitaria che cambierà vita e valori americani (dopo 30 anni di destra spietata in cui un ammalato di diabete – anche se in buone condizioni di salute – non avrebbe mai ottenuto una polizza di assicurazione) per chiarire che in Italia esiste un caso Obama, e che esiste a destra e a sinistra, perché la sua passione, la sua tenacia, la sua ininterrotta azione insieme morale, culturale e politica, senza interruzioni e senza rinvii, non è sopportabile. S’intende che la destra non gli perdona il gesto deciso con cui ha rovesciato la visione di tutto: prima le persone, poi gli interessi – per quanto rispettabili – sia di Stato che privati. S’intende che la sinistra europea e quella italiana hanno mal sopportato quel maestrino saccente che non ha taciuto mai e che ha cercato (e non ottenuto) i voti di destra partendo, come deve essere, dal potere (è lui il Presidente) e non mendicando impossibili dialoghi fuori dalla porta chiusa. Una irritazione particolare a sinistra si è certo registrata per la scarsa inclinazione di Obama a trovare del buono nella destra di Bush e in quella di Reagan, che hanno tentato di tagliare i tendini al mondo del lavoro, come i “fencers” (proprietari stanziali di terra) facevano al bestiame dei “catlers” (cow-boys) per fermare l’attività rivale. E ancora deve essere risultata antipatica l’ostinazione: dovunque, in tutte le ore e in tutto il Paese e in contatto continuo non con il partito, ma con i cittadini. Però ammettiamolo: ciò che ha fatto traboccare il vaso è stato il Premio Nobel per la pace. Si sono uniti uno tsunami di sarcasmo da destra e una serie di trattenuti, limitati, avari apprezzamenti da sinistra. “Un Nobel alle intenzioni”, si diceva con stizzita benevolenza. Eppure il comitato di Oslo è stato chiaro nella sua quasi unica motivazione che inizia con queste parole: “Era quasi un secolo che aspettavamo un uomo così”. Significa avere capito il “metodo Obama”. Per quanto ingrato sia il cammino, il punto di arrivo è la pace. La pace non può esistere senza migliorare la vita. Chi può di più deve contribuire di più (invece della regola opposta, che aveva guidato la destra). E chi ha responsabilità, di quella deve rispondere, non del suo indice di gradimento. Obama si è esposto a ventate feroci di impopolarità, ha perso una parte dei suoi elettori e dei suoi deputati e senatori, ha vinto per pochi voti, superando di un soffio l’opposizione fondamentalista dei cattolici. Ma ha vinto. E con lui l’America ricomincia da capo. Ora dobbiamo domandarci che cosa c'entra, in questa storia americana, la televisione dunque l'accusa a Obama di cercare rifugio in Tv invece che nella politica, contro le difficoltà del suo progetto. Potenza della cattiva informazione. Obama ha avuto e continua ad avere come nemici implacabili un certo numero di commentatori televisivi e radiofonici, che combattono il "comunista alla Casa Bianca" a tempo pieno. Due dei più celebri, Limbaugh (radio) e Beck (televisione) raccontano senza sosta episodi di totale invenzione su Obama islamico e legato alle più pericolose lobby islamiche (e dunque alla distruzione dell'America). Una rete televisiva tra le più popolari Fox Television dedica la sua intera programmazione alla lotta a Obama. Per le "normali" e libere televisioni commerciali è stato stanziato un fondo, pari al costo di un'intera campagna presidenziale, che consente la frequentissima messa in onda di spot televisivi contro il presidente degli Stati Uniti e il suo programma “comunista” di riforma sanitaria. Il presidente non è mai corso in uno studio televisivo per difendersi . La sua difesa sono stati continui eventi veri con i cittadini, dai supermercati ai campus universitari, dagli ospedali alle strade; e una serie senza precedenti di discorsi a deputati e senatori in modo da guadagnare ogni giorno dei voti in più, rispondendo con mezzi politici alla enorme potenza economica di compagnie di assicurazione, imprese farmaceutiche e "National Rifle Association", la lobby delle armi, che vuole comunque la sconfitta del presidente, perché premio Nobel per la pace. Ecco il senso di ciò che è accaduto. Ha vinto Obama, con la sua tenacia. Ha vinto il metodo di non abbandonare mai la promessa fatta ai cittadini. Ha vinto la politica, nel suo senso più nobile, contro il denaro. Quando di tutto ciò si farà il film, sembrerà una fiaba.

il Fatto 23.3.10
Le lacrime di Harlem per una giornata storica

Domenica per Obama era il giorno della verità. Portare a casa la riforma sanitaria significava ricominciare ad alimentare la speranza negli americani, che ultimamente non si fidavano più come prima di lui. Ma non ad Harlem. La comunità di New York che per gli stranieri canta solo canzoni gospel, ha pregato per il presidente e per la sua legge. Già, perché i lavori del Parlamento coincidono col giorno della Messa, la domenica. In America, la politica non si ferma per il weekend. E allora a nord di Central Park, dove la città cambia aspetto e i cittadini colore, sono tutti concentrati su ciò che succederà nel pomeriggio. Nelle chiese a nord della 125esima Strada è un risuonare di sermoni in favore della riforma che l’America sta per approvare. Entrando e uscendo dai santuari si ascoltano solo parole per il presidente. Secondo loro, se Obama ce la farà non è per suoi meriti, ma per volere divino. E la legge, in effetti, ha del miracoloso, perché fino a due mesi fa, dopo la perdita del seggio appartenuto a Ted Kennedy, e quindi della maggioranza assoluta al Senato, sembrava destinata a morire. All’ora del brunch il pienone è da Amy Ruth’s, sulla 116esima, dove si mangia il pollo fritto, e per la comunità i prezzi sono più bassi. I bambini corrono tra i tavoli e la televisione è accesa sulle dichiarazioni democratiche. Ci sono molti ispanici, altra faccia del quartiere, e tutti puntano gli occhi sulla tv. Al pollo fritto la domenica non si rinuncia, ma all’assicurazione quasi sempre. Costa troppo, e se ti ammali la compagnia la rescinde. Non approfittarsi più della debolezza delle persone e non rifiutare la copertura è uno dei punti focali della riforma, che nessuno per le vie di Harlem giudica epocale, ma sicuramente un passo avanti. La discussione va per le lunghe, i repubblicani cominciano a parlare alle 18 e il voto è atteso in serata. Cambiano i locali nei quali ci s’incontra e anche l’età dei frequentatori, ma tutti aspettano. Arriva il responso positivo, e nei pub i ragazzi applaudono. C’è chi si abbraccia all’incrocio tra la 125esima e la Lennox, rinominate Malcom x e Martin Luther King boulevard. Magari, la prossima strada ad Harlem la dedicheranno a lui, Barack Obama.

il Fatto 23.3.10
Corradino Mineo: “È una notizia: RaiNews lo trasmetterà”
di Beatrice Borromeo

Corradino Mineo, direttore di RaiNews24, ha deciso di mandare in onda lo speciale di Annozero “Rai per una notte”. Direttore, perché ha scelto di trasmettere una serata polemica nei confronti della Rai, che è la sua azienda? Sarebbe stato grave lasciare alla concorrenza un grande evento informativo organizzato da un gruppo di professionisti Rai. La Rai però ha deciso lo stop del talk-show fino a elezioni concluse.
Il servizio pubblico deve pensare ai telespettatori. Non possiamo tradire la loro fiducia. E poi il punto è un altro.
Quale?
Questo sarà un fatto importante che merita di essere raccontato.
Una notizia. Sarebbe giornalisticamente inaccettabile non darla. Lei ha trasmesso anche la manifestazione di Berlusconi e quella del popolo viola. Infatti. RaiNews24 manda in onda tutto ciò che interessa al pubblico.
Ha chiesto autorizzazioni?
Scherza? Siamo un canale all news, valutiamo autonomamente cosa ha la dignità per diventare notizia. Informiamo l’azienda, questo sì, e poi trasmettiamo. Si aspetta ritorsioni?
E perché? Alla fine la Rai sarà felice di aver rispettato il pubblico. Però Loris Mazzetti, dirigente di RaiTre, è stato sospeso per aver criticato la Rai sul Fatto. Secondo lui è un avvertimento a chi parteciperà allo speciale di Annozero.
Guardi, sono in Rai dal primo febbraio 1978. Condizionamenti ambientali? Ce ne sono a bizzeffe. Scelte ingiuste? Certamente sì. Ma censure preventive io non ne ho mai avute.
E se dovessero sanzionarla a posteriori?
Come si dice, siamo tutti provvisori. Il fatto di avere un’informazione politicizzata mette tutti a rischio, ma se per evitare i rischi non fai il tuo lavoro, che giornalista sei?
Non tutti sembrano pensarla come lei, dentro l’azienda. Prendiamo la vicenda di Minzolini che al Tg1 dice che l’avvocato Mills è stato “assolto” e non prescritto. Io sono dell’idea che anche l’ultimo dei giornalisti avrebbe dovuto controllare la notizia della prescrizione, chiamarla col suo nome, e darla nella maniera più corretta.
Ma è davvero così tranquillo? Un giornalista non può scegliere con la pancia, la paura o il machiavellismo. Ne va della sua credibilità.

l’Unità 23.3.10
Chi aveva paura di Kurosawa l’imperatore del cinema?
di Alberto Crespi

Anniversari Cade oggi il centenario dalla nascita dell’immenso regista dei «Sette samurai»
Strano destino Per circa vent’anni fu estromesso dal «sistema»: non fosse stato per Lucas & co...
Come Fellini e Orson Welles, e nonostante una sfilza di capolavori clamorosi, anche Kurosawa ad un certo punto fu considerato un «ferrovecchio»... e invece confezionò meravigle come «Ran» e «Sogni».

Parlando di Akira Kurosawa, noi italiani possiamo evitare di vergognarci. Non capita spesso, di questi tempi. Il sommo maestro nipponico, del quale ricorre oggi il centenario della nascita (vide la luce, o forse la luce vide lui, il 23 marzo 1910,
in quel di Tokyo), deve all’Italia la sua fama internazionale. Era il 1951 quando la Mostra di Venezia propose in concorso Rashomon. A molti italiani sembrò un film «pirandelliano» 4 personaggi raccontano ciascuno la propria verità su uno stupro dando il via forse a un equivoco che dura ancora oggi (nella sua autobiografia Kurosawa non nomina mai Pirandello mentre nomina molte volte Dostoevskij, altro scrittore che sul tema del «doppio» e sulla polifonia ha costruito tutta la sua opera). Ma fu un equivoco fruttifero. Il film vinse il Leone d’oro e tutto il mondo si accorse che in Giappone si faceva un cinema modernissimo e straordinario. Kuro-
sawa era in buona compagnia: i suoi amici-rivali si chiamavano Kenji Mizoguchi e Yasujiro Ozu, altri due giganti che sarebbe bene riscoprire. Tra parentesi, se Ozu è un artista dai ritmi forse difficili per noi occidentali, Mizoguchi è invece un cineasta di immensa piacevolezza: procuratevi I racconti della luna pallida d’agosto, pubblicati in dvd da Punto Zero, e ci
ringrazierete. Pagato il tributo agli altri due sa-
murai, rimane il fatto indiscutibile che il samurai numero 1 resta lui, Akira. E in Italia c’è tutto quello che serve per ripercorrere la sua grandezza. Ci sono quasi tutti i film in dvd (qui accanto ve ne segnaliamo tre, ma vorremmo ribadire che la recentissima edizione Studio Canal/Universal di Ran è davvero imperdibile). C’è la sua autobiografia, L’ultimo samurai, curata da Aldo Tassone per l’editore Baldini & Castoldi. E c’è la bella monografia che sempre Tassone ha scritto per il Castoro, a suo tempo edita in un cofanetto assieme ai Sette samurai – ovviamente la versione lunga, che non si era mai vista in Italia e che un giorno di tanti anni fa venne trasmessa dalla Rai in una serata che non esitiamo a definire epica... Insomma, non ci sono scuse: se un italiano non conosce Kurosawa, è una sua libera scelta autolesionista.
Che aggiungere? Ah, sì, c’è sempre quella vecchia storia, sentita mille volte ma ancora istruttiva: Sergio Leone, non sapendo bene cosa inventarsi per il suo primo western, prende La sfida del samurai (1961) e lo rifà inquadratura per inquadratura, quasi fosse una fotocopia, in Per un pugno di dollari, senza dir nulla a nessuno e soprattutto senza pagare i diritti. Tanto, pensa, ‘sto filmetto uscirà solo in Italia e figurati se in Giappone se ne accorgerà qualcuno. Per un pugno di dollari diventa un successo planetario e un bel giorno i dirigenti della Toho Film chiamano Leone e gli dicono cortesemente: scusi, abbiamo visto il suo film, è veramente UGUALE al nostro, come la mettiamo? Al che Leone pensa di fregarli offrendo loro a mo’ di risarcimento i diritti per il mercato giapponese, dove Per un pugno di dollari fa, se possibile, ancora più soldi che in Italia...
Ci siamo capiti. Kurosawa è un gigante indiscutibile. Del resto, non lo ha copiato solo Leone: i remake hollywoodiani dei suoi film – regolarmente pagati, almeno si spera – sono numerosi, e uno è celeberrimo: I magnifici sette, ispirato ai Sette samurai. Ma ci sono anche remake «nascosti»: George Lucas non ha mai negato, ad esempio, che una delle fonti della saga di Guerre stellari è La fortezza nascosta, meraviglioso film picaresco del 1958 (in particolare, si ispirebbero ai due contadini di quel film le figure dei due droidi servitori di Luke Skywalker, C3-PO e R2-D2). Vi aspettereste, quindi, che in Giappone ci sia come minimo una statua equestre di Kurosawa nella piazza principale di ogni città. Ebbene, non è così. O forse è così oggi – non conosciamo abbastanza bene il Giappone. Ma non è così all’inizio degli anni ’70, quando il regista ha solo 60 anni ed è però considerato, nel suo paese, un ferrovecchio. Accade dopo l’insuccesso commerciale di Dodes’ka-den, il suo primo film a colori. Il cinema giapponese attraversa una crisi profonda e Kurosawa, non sentendo più
il «polso» del pubblico, viene colpito da quella bruttissima bestia chiamata depressione. Tenta addirittura il suicidio: si taglia le vene nella vasca da bagno, come Seneca e Petronio! Un gesto da antico romano, più che samurai, che verrebbe da definire in linea con il personaggio se non si trattasse di una cosa tragica e se non ci fosse un precedente terribile (un fratello di Kurosawa, Heigo, si suicidò nel 1933).
Per fortuna lo salvano e sempre per fortuna, in quegli anni, esiste ancora l’Unione Sovietica. Perché è lì, contro ogni pronostico, che Kurosawa trova aiuto.
DALLA SIBERIA A SPIELBERG
Il vecchio regista Sergej Gerasimov, un artista-burocrate potentissimo ai tempi di Breznev, lo invita a girare un film in Urss. Kurosawa ha già firmato, nel ’51, una versione cinematografica dell’Idiota di Dostoevskij, ma per il suo film «russo» non sceglie un classico, bensì una storia vera: si ispira ai diari di Vladimir Arsenev, un esploratore della Siberia, per Dersu Uzala, un gioiello di epica e di poesia che lo rimette sulla mappa del cinema mondiale. Credete che in Giappone facciano ammenda? Figurarsi! Dal ’75 al ’90 gira solo altri 3 film, uno ogni cinque anni: Kagemusha (1980), Ran (1985) e Sogni (1990). Stavolta, anziché i rubli, sono i dollari a finanziarlo: George Lucas e Steven Spielberg, divenuti onnipotenti dopo i successi di Guerre stellari e dello Squalo, si ricordano del maestro e decidono di aiutarlo. È una bella storia, con un bel finale: Kurosawa riesce a girare altri due film prima di morire (nel 1998), Rapsodia d’agosto e Madadayo. Ma certo è triste, ripensando alla sua filmografia, che una simile voce abbia dovuto tacere – o parlare poco – per vent’anni, dai 60 agli 80. Qualcosa del genere è successo a Fellini in Italia, o ad Orson Welles in America. I giganti possono diventare fastidiosi. E pensare che tanti pigmei vivono sulle loro spalle.

Repubblica 19 marzo 1985
IL GAY DELLA FGCI
intervista di stefano Malatesta

ROMA - Nichi Vendola ha 26 anni, è pugliese. Qualche giorno fa è stato eletto membro della segreteria nazionale della Fgci, la Federazione giovanile comunista. Ha un viso gradevole. In testa calza un berretto blu con visiera, da studente svedese. Intorno al collo è annodata una sciarpa di lana bianca. Porta al lobo sinistro un orecchino d' oro. Nichi Vendola è un gay, il primo attivista omosessuale entrato a far parte della dirigenza comunista. Dice senza asprezza polemica: "Sono sicuro che parlerai dell' orecchino d' oro. Ho già dato un' intervista in cui raccontavo un po' di cose, fatti personali e politici. Dopo ho avuto dei timori, credevo che ci fossero reazioni a Roma, nel partito. Invece i compagni sono stati benevoli. Mi hanno però avvertito: stai attento a non farti ingabbiare nel clichè, il gay alle Botteghe Oscure, eccetera. Prima c' erano i funzionari infagottati nei doppipetti grigi tagliati male, con le cravatte stonate in raso. Adesso l' omosessuale con l' orecchino. Al congresso giovanile avevo un magnifico, luminescente papillon sopra una camicia a righe. Dì, vuoi che ti stringa la mano sotto il tavolo?". Rispondo che il passaggio sotto le forche del commento becero è obbligato: cosa si vuole aspettare, finezze anglosassoni? L' umorismo in Italia, e anche altrove, è spesso di genere caserma, dovrebbe esserci abituato. Però mica posso far finta di essere venuto per le sue preclare virtù politiche di cui tutta l' Italia parla. Sono venuto perchè Vendola è il primo dirigente comunista gay dichiarato. Nel 1948 il Pci non ha espulso Pier Paolo Pasolini per indegnità morale? "Sono passati esattamente 37 anni. Sai cosa ho detto al congresso giovanile? Per noi comunisti non si tratta di difendere la grande dignità e i valori dell' omosessualità, ma di acquisire la diversità come elemento di ricchezza per chi vuole ancora trasformare il mondo. E' stato il passo più applaudito nel mio intervento". Mi ricordo di un altro intervento, più volte citato, fatto da Enrico Berlinguer quando era segretario della Fgci, su Maria Goretti: la additava ad esempio per le future generazioni dei comunisti. "Era il dopoguerra. I comunisti venivano descritti come bestie. L' accusa di essere intellettual-frocio-comunista, senza molta distinzione tra i termini, ugualmente vituperati, è stata merce corrente fino a non troppo tempo fa. Da parte del Pci si tentava di difendersi, di proporre dei modelli di moralità sotto quell' alluvione di vituperi. Il difetto stava nel prendere in prestito i modelli dalla cultura cattolico borghese". Ma c' era anche molta grettezza moralistica e bacchettona all' interno del partito. Chi conviveva con una ragazza veniva convocato e avvertito con l' usuale frase: "Compagno, è ora che regoli la tua posizione". E Togliatti ebbe dei problemi quando iniziò la sua relazione con Nilde Jotti. Secchia non scherzava. "Lo stesso Secchia, una volta caduto in disgrazia, fu accusato, non tanto larvatamente, di essere un finocchio, accusa infamante e degradante. Ma erano tempi diversi, il partito continuava a vivere in stato di allarme, non ci si potevano concedere lassismi personali con il nemico o con la sindrome del nemico alle porte. Però Pasolini, tra il ' 60 e il ' 70, già poteva scrivere liberamente anche di omosessualità su "Vie Nuove"". Pasolini era uno scrittore celebre, un poeta, "un' artista". Anche Visconti non venne mai attaccato: Togliatti ne ha fatto sempre grandi elogi. Ma era un' eccezione. L' aristocratico decadente se lo poteva permettere, proprio perchè aristocratico e decadente. L' operaio in fabbrica no. Diciamo la verità: i compagni lo avrebbero preso a calci nel sedere. "Su Visconti posso essere d' accordo. Ma lui non faceva professione di omosessualità, come non la fa Zeffirelli. In questo senso non sono "scandalosi". Invece Pasolini era provocatorio, almeno per quegli anni e il fatto che scrivesse su "Vie Nuove" è significativo. Però è vero che l' omosessuale in fabbrica, tra i compagni, non aveva vita allegra. Mio padre, comunista da sempre, un uomo magnifico, dolce, andava a fare le spedizioni per picchiare "i froci". Una volta mi ha detto: se ti ammazzassi, noi tutti potremmo riacquistare una dignità. Mi ha molto amato, ma per lui, come per tanti altri, gli omosessuali erano solo i turpi individui che adescavano i bambini nei giardinetti. Ma di queste cose non ne voglio più parlare". Non ho l' intenzione di continuare ad insistere su certi ritardi e manchevolezze del Pci. Ma qui, come in altre occasione, l' azione dei radicali mi sembra sia stata decisiva. Gli altri hanno seguito, anche con riluttanza: tutto questo non gli interessava, soprattutto non faceva parte della loro cultura. "I radicali hanno avuto dei meriti, creando movimenti, flussi, attraverso un' ottica garantista. Ma con qualche casella o piccolo spazio in più di libertà non cambi le regole del gioco, che sono rimaste quasi le stesse. Il "Fuori" voleva creare la cittadella gay, dove gli omosessuali si potessero sentir protetti. I comunisti sono sempre stati contro l' ideologia del ghetto: in ritardo, magari, però decisi a risolvere le questioni, non solo a presentarle, che è molto più facile. D' altronde basta andarsi a rileggere le centinaia di lettere che arrivavamo all' "Unità" e a "Rinascita"" durante gli anni 70: un dibattito libero". Mi dicono però che alti dirigenti del partito non siano stati particolarmente soddisfatti dell' elezione di un omosessuale nella segreteria della Fgci: Chiaromonte ad esempio. "Francamente nel Pci non ho mai avuto problemi, come li ho avuti in famiglia. Credo che oggi comunista significhi anche rispetto dell' altro, essere condannati ad una contaminazione attraverso il rapporto umano: un rischio che bisogna accettare. Lo sguardo inquietante di un altro uomo può farti crollare il tuo castello di certezze, ma è inutile e stupido fuggire. Sono i liberali che hanno sguardi paralleli, che non s' incrociano mai: l' idea del rapporto come due monologhi. Questa è mummificazione dell' esistente. Libertà comunista è dinamismo, è contaminazione, con le nostre coscienze e i nostri corpi, è buttarsi nella mischia. Io l' ho fatto, sono diventato coscientemente omosessuale, per poi recuperare l' eterosessualità, per poi trovar la sessualità, senza aggettivi. Vorrei che ci capissimo, non sto parlando di membri e di apparati genitali, altrimenti torniamo alla caserma". Io credo di capire, ma non so quanti siano in grado di farlo nel Pci, non parlo della Fgci... "Giovanni Berlinguer è uno che capisce: aperto, vivace. Anche Natta ci aiuta. Abbiamo avuto un dibattito con lui molto libero. Ripete sempre che bisogna andare fino in fondo, che bisogna parlare, confessarci di più - non dal prete con la cotta - togliersi di dosso tutti i residui di intolleranza. Gli altri non so, sono arrivato da pochi giorni a Roma. Certo l' età conta, ognuno forma la propria cultura in un momento storico preciso. Non è facile affrontare un tema come quello della pedofilia ad esempio, cioè del diritto dei bambini ad avere una loro sessualità, ad avere rapporti tra loro, o con gli adulti - tema ancora più scabroso - e trattarne con chi la sessualità l' ha vista sempre in funzione della famiglia e dalla procreazione. Le donne, da questo punto di vista, sono notevolmente più sensibili. Ma il Pci non è un organismo matriarcale".

lunedì 22 marzo 2010

Repubblica Roma 22.3.10
Bonino, affondo anti-Alemanno
"Ma quale Polverini, guida lui la campagna elettorale. Perché non pensa alla città?"
"Il Pdl? Sembrava il giuramento delle giovani marmotte" I radicali: via quei manifesti su Emma
di Chiara Righetti

«Evidentemente Alemanno governa una città senza problemi: lo vedo sempre in giro a fare manifestazioni elettorali». Non risparmia il sarcasmo, Emma Bonino, sul sindaco di Roma, ma anche sull´avversaria: «A volte ho la sensazione di non correre contro la Polverini, ma contro Alemanno o Berlusconi. È lui che guida la campagna elettorale. Questa scarsa autonomia dagli altri poteri non è un buon viatico per governare una Regione». Proprio ieri la candidata del centrosinistra ha scritto a tutti i sindaci del Lazio. «L´ho fatto per dire - spiega - che, se sarò eletta, sarò imparziale con tutti». Nella lettera, inviata a conclusione di una campagna «che ci ha offerto poche occasioni per dialogare», la vicepresidente del Senato assicura: «Per me e per la Regione non ci saranno Comuni di destra e di sinistra, amici e nemici, vicini e distanti. Ci saranno solo le istituzioni, con la loro dignità e le loro prerogative». E chiude citando Luigi Pianciani, uno dei primi sindaci di Roma e presidente della Provincia dopo la breccia di Porta Pia: «Dobbiamo governare in guisa che i bisogni dell´ultimo villaggio delle montagne abbiano tanto peso quanto quelli della Capitale».
Non rinuncia a una battuta sul giuramento a San Giovanni dei candidati presidenti di centrodestra: «Imbarazzante, tra Pontida e una prima comunione. Sembrava di vedere il giuramento delle giovani marmotte». E anche sulla conferma della data del voto si lascia scappare un sorriso: «Credo sia stata applicata non solo la legge elettorale, ma anche il decreto interpretativo». Scaldando i motori per l´ultima settimana prima del voto, a chi le chiede se ci sia un rischio astensionismo risponde: «Spero di no. È importante che i cittadini si sentano protagonisti»; anche perché «non è ininfluente chi governerà, si fronteggiano due modelli molto diversi». Poi ribadisce la sua convinzione che «la gente non è scema: ha capito che le ronde non servono».
Pure Irene Testa, della Giunta nazionale dei Radicali italiani, non risparmia gli strali ad Alemanno: «Sarà che deve smaltire i postumi della sbornia della manifestazione di San Giovanni. Ma oltre a dimenticare di essere sindaco della Capitale, dimentica anche che dopo ogni festa occorre pulire. Così non è stato per le centinaia di cartelli sfottò contro Emma Bonino (quelli che la ritraggono con i lineamenti di Marrazzo, accanto alla scritta "Ti puoi fidare?", ndr), che ancora riempiono le strade: uno spettacolo indecoroso, magnifica prova da parte di Alemanno d´inefficienza, si spera involontaria, e scorrettezza istituzionale».
Da parte sua Renata Polverini, in una giornata molto cattolica (una prima messa a Montecassino, l´inaugurazione di una chiesa a Pastena, l´incontro con la comunità religiosa Nuovi Orizzonti e per finire una seconda messa a Subiaco) ripete, come ormai da giorni: «Siamo in campagna elettorale. Andiamo avanti, l´ha detto anche Berlusconi: senza la lista Pdl vinciamo lo stesso». Anche lei non perde la sua verve e alla notizia che Sgarbi, in caso di vittoria, si aspetta di essere ricompensato con tre assessorati risponde con una risata: «Addirittura!».
Poi passa ai bilanci: «È stata una campagna elettorale complessa, ma ci sono tutte le condizioni per vincere. Ci sono tante persone che vogliono andare a votare». E la piazza di sabato? «Mi ha dato la forza per andare avanti», è stata la prova che «la gente vuole cambiare. E non credo che una persona che ha fatto le battaglie che sappiamo possa fare il presidente». Quanto ai tre mesi alle spalle spiega che l´esperienza «è stata tutta bella», seppur funestata da tali problemi che «segnerà la storia delle campagne di tutti i tempi». Il motivo? «Ho visto gente volenterosa, professionalità vere: una Regione che può dare di più e molto migliore di com´è stata rappresentata».

Repubblica Roma 22.3.10
Oggi su RaiTre sfida tra le candidate E domani il faccia a faccia su Sky
di Rory Cappelli

Si terrà alle 9.20 di oggi, sul regionale di RaiTre, l´incontro televisivo tra le tre candidate alla presidenza della Regione Lazio, Emma Bonino (centrosinistra), Marzia Marzoli (Rete dei cittadini) e Renata Polverini (centrodestra). Le tre sfidanti presenteranno il loro programma: Emma Bonino parlerà di sanità, infrastrutture, trasparenza degli atti dell´amministrazione, ruolo di programmazione della regione e della volontà di assegnare maggiore responsabilità ai comuni del Lazio. Marzia Marzoli della priorità ambiente, di energia, della chiusura degli inceneritori del Lazio, della trasparenza degli organi istituzionali, di sanità e tagli agli sprechi, di medici e medicine, di meccanismi di partecipazione attiva della cittadinanza nelle istituzioni. Renata Polverini ripercorrerà i sei punti cardine del suo programma: famiglia, salute, la rete della fragilità (anziani, disabili, fasce deboli), lavoro, tutela dell´ambiente, qualità della vita intesa come città sicure e mobilità efficiente, cioè rete dei trasporti. Domani poi ci sarà il primo faccia a faccia tra Emma Bonino e Renata Polverini: sarà trasmesso in diretta alle 15 su SkyTg 24. Condurrà il direttore del Tg, Emilio Carelli.

Repubblica 22.3.10
Martine Aubry, Cécile Duflot e Marie George Buffet sono riuscite a unire la ‘gauche´ in poco più di 24 ore
La socialista, la verde e la comunista ecco le donne che fanno tremare l´Eliseo
Hanno capito, più degli uomini, che per vincere serviva ogni componente dell’opposizione
di G. Mar.

PARIGI - La sinistra che vince ha il volto di tre donne: Martine Aubry, Cécile Duflot, Marie-George Buffet. Una socialista, una verde, una comunista. Forse è un caso, forse no, ma la realtà è questa: la "gauche" vittoriosa alle regionali s´incarna al femminile. Niente veline, niente corpi esposti più o meno maliziosamente e niente femminismo. Le tre fanno come se fosse normale che alla guida delle tre formazioni ci sia una donna. Ma è normale solo sulla carta: a parte l´eccezione notevole di Angela Merkel, la politica occidentale resta dominata dagli uomini, perlomeno nei grandi Paesi e in particolare in quelli latini. La Francia, finora, non aveva fatto eccezione, tanto che in parlamento le donne rappresentano solo il 18,9 per cento di deputati e senatori, ancor meno che da noi (21,3 per cento).
Aubry, Duflot e Buffet, tre nomi che dicono molto e poco. La Aubry, figlia di Jacques Delors, è certamente la più conosciuta: giovane ministro con François Mitterrand, è stata uno dei pilastri del governo Jospin (1997-2002), l´architetto delle 35 ore, provvedimento le cui conseguenze sono ancora oggetto di feroci contese. La comunista Buffet, anche lei ministro con Jospin, tenta da anni di tenere a galla un Partito comunista ridotto al lumicino e rinvigorito alle regionali grazie all´alleanza con un gruppo di ex socialisti. La più giovane è la meno nota e la più sorprendente: segretaria dei verdi, Cécile Duflot è riuscita a fare della formazione ecologista un gruppo capace di stabilizzarsi sopra il 10 per cento dei voti e di attirare quell´elettorato che da anni cerca un punto d´approdo fra il Ps e la destra.
Questa settimana, le tre leader hanno dato una lezione a tutti: in poco più di ventiquattr´ore hanno raggiunto un accordo per unire la sinistra ai ballottaggi (con qualche eccezione non determinante). Perché erano donne? Forse no. Ma perlomeno perché hanno capito, forse più dei loro colleghi maschi, che la "gauche" non può vincere lasciando per strada anche una sola delle sue componenti, che i socialisti, sia pur predominanti, devono tener conto degli altri. Nell´unica conferenza stampa congiunta delle tre donne, la Duflot ne ha dato atto alla segretaria socialista: «Parlo francamente: finora Martine non ha mai fatto con me un atto di autorità. È per questo che le cose funzionano. Speriamo che non ricada nelle vecchie usanze».
Tre donne e una candidata unica alle presidenziali? Anche se non lo dice, Martine Aubry lo spera, malgrado sia forte nei verdi la tentazione di avere un proprio rappresentante al primo turno. E in ogni caso tutte e tre dovranno fare i conti con un´altra donna, Ségolène Royal, che non ha rinunciato alle sue ambizioni.

l’Unità 22-3.10
L’Onu: è inaccettabile il blocco di Gaza 4 morti im Cisgiordania
Israele versus Quartetto. Lo scontro continua. E si acuisce. Prima di volare negli Usa, dove domani incontrerà alla Casa Bianca Obama, Netanyahu dice che per Israele «la costruzione a Gerusalemme è come quella a Tel Aviv».
di Umberto De Giovannangeli

Aprendo la seduta settimanale del Consiglio dei ministri il premier israeliano ribadisce che per i progetti di sviluppo nell'intero territorio municipale di Gerusalemme la politica del suo governo non differisce dal passato. Così Netanyahu respinge le critiche degli Stati Uniti per progetti di estensione del rione ebraico ortodosso di Ramat Shlomo (1.600 nuovi alloggi), annunciati mentre a Gerusalemme si trovava in visita il vicepresidente Usa Joe Biden. Episodio che ha innescato un'aspra crisi fra Gerusalemme e Washington.
BAN KI-MOON ACCUSA
Da Gerusalemme a Gaza. Il blocco israeliano contro la Striscia «causa delle sofferenze umane inaccettabili», dichiara il segretario dell'Onu, Ban Ki-moon, durante la sua visita nel territorio palestinese devastato durante la guerra tra Israele e Hamas dello scorso anno. «Ho detto chiaramente e in modo ripetuto ai dirigenti israeliani che la loro politica di blocco non è sostenibile ed è dannosa», ribadisce Ban Ki-moon a Khan Yunes, nel sud della Striscia. Il blocco israeliano «infligge sofferenze umane inaccettabili alla popolazione di Gaza. È una politica controproducente. Indebolisce i moderati e al contrario dà potere agli estremisti», sottolinea il segretario generale dell'Onu. Il numero uno del Palazzo di Vetro aveva iniziato la sua visita a Gaza con un sopralluogo nella zona di Abed Rabbo, nel Nord della Striscia, dove più gravi sono stati i danni materiali causati un anno fa dalla Operazione Piombo Fuso. “L' Unrwa (l'agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi) continuerà anche in futuro a fare il possibile per assistere la popolazione locale», ha assicurato.
SANGUE IN CISGIORDANIA
Quattro giovani palestinesi sono stati uccisi nelle ultime 24 ore dai militari israeliani in Cisgiordania. L'episodio più drammatico e controverso è avvenuto ieri nella zona di Nablus. La versione israeliana afferma che due giovani palestinesi hanno cercato di assalire un soldato e che i suoi compagni li hanno bloccati sparando. Le vittime sono due cugini, Saleh e Muhammad Qauaric, di 19 anni. Subito dopo, il luogo dell'incidente è stato proclamato «zona militare chiusa». Citando fonti locali la agenzia di stampa palestinese Wafa ha poi sostenuto che la loro uccisione non era giustificata e che sarebbe avvenuta «a sangue freddo». L'altro ieri nel vicino villaggio di Burin altri due adolescenti (Mohammed e Usayed Qados, uno sedicenne e l'altro ventenne) erano stati uccisi durante duri scontri fra dimostranti ed esercito. La collera popolare, nei Territori, è subito montata. Incidenti a Hebron e nel rione di Issawya, a Gerusalemme Est.
«Questa escalation militare avverte il premier palestinese Salam Fayyad è altamente rischiosa e potrebbe cancellare i successi dell' Anp per quanto concerne sicurezza e stabilità. Occorre prestare ascolto al Quartetto per il Medio Oriente (Usa, Ue, Russia, Onu) e di conseguenza congelare ogni ulteriore attività di insediamento», . Ma Netanyahu non è di questo avviso.

Repubblica 22.3.10
L´Onu: "A Gaza sofferenze inaccettabili"
Il segretario generale Ban in visita nella Striscia: "Israele revochi il blocco"
Le Nazioni Unite si aggiungono all´Ue nel chiedere di allentare l´assedio. Uccisi quattro palestinesi. Netanyahu domani alla Casa Bianca
di Alberto Stabile

GERUSALEMME - «Il blocco di Gaza impone sofferenze inaccettabili alla popolazione civile palestinese», denuncia il segretario della Nazioni Unite, Ban Ki-Moon in vista nella Striscia soggetta da quasi tre anni ad un embargo soffocante. L´appello al governo israeliano ad aprire i valichi è ovvio e conseguente. Ma per il momento la gente di Gaza dovrà accontentarsi di uno spiraglio. Fra le misure offerte da Netanyahu all´Autorità palestinese per far ripartire il processo di pace, c´è il permesso di far entrare nella Striscia materiale da costruzione sufficiente ad edificare 150 appartamenti.
Non è molto, se si considera che gli edifici danneggiati dai bombardamenti scatenati durante l´operazione Piombo fuso si contano a migliaia, molti dei quali completamente rasi al suolo.
Ma il veto, motivato finora con l´argomento che il cemento e il ferro sarebbero serviti ai miliziani di Hamas per costruire bunker e infrastrutture militari, è parzialmente caduto.
Arrivato a Gaza qualche giorno dopo l´Alto rappresentante per la Politica Estera dell´Unione europea, Katherine Ashton, Ban è rimasto impressionato dal livello di degrado in cui sono costretti a vivere un milione e mezzo di palestinesi. Una popolazione senza un futuro, ha detto il segretario dell´Onu, riferendosi a quel 50 per cento di abitanti di Gaza che hanno meno di 18 anni e la cui disperazione è facilmente preda dei gruppi più radicali.
Attento a non irritare i governanti israeliani con giudizi definitivi, Ban Ki-Moon ha definito un «errore» il blocco di Gaza. Le Nazioni Unite si aggiungono, dunque, all´Unione europea, e a gran parte dei Paesi occidentali nel chiedere di alleviare le condizioni della popolazione. La risposta è agli israeliani.
Oggi, tuttavia, s´avvertono i segnali di un clima diverso. Dopo giorni di crisi diplomatica e di violenze sul terreno (nelle ultime 24 ore quattro giovani palestinesi sono stati uccisi in scontri con i soldati israeliani), la diplomazia sembra ripartire.
A riprova che la crisi tra Stati Uniti e Israele è stata in qualche modo risolta, l´inviato di Obama, George Mitchell, tornato in Israele, ha portato personalmente al premier israeliano l´invito del presidente americano ad incontrarsi domani alla Casa Bianca.
Netanyahu avrebbe infine ceduto su alcune delle condizioni poste dall´Amministrazione americana per risolvere i contrasti, mantenendo fermi atri punti. Nel pacchetto di misure offerte per invogliare i palestinesi a riprendere il negoziato, oltre allo spiraglio per Gaza, vi sarebbe la liberazione di un certo numero di detenuti e l´accettazione che i colloqui indiretti vertano anche sui principali nodi irrisolti del conflitto (confini, rifugiati, Gerusalemme).
A proposito della città santa, Netanyahu ha detto al Consiglio dei ministri di aver chiarito, per iscritto, agli americani che resta fedele al principio secondo cui, «a Gerusalemme si costruisce come a Tel Aviv», vale a dire, a Ovest e a Est, nella zona ebraica e in quella araba. Ma, secondo indiscrezioni, è possibile che il premier che abbia raggiunto un accordo riservato con gli americani per rallentare l´espansione nelle aree che i palestinesi rivendicano come parte del loro Stato di la da venire.


l’Unità 22-3.10
Svizzera. Il consiglio del priore: registro consultabile dei religiosi pedofili
Un registro dei sacerdoti sospettati di pedofilia che possa essere consultato dai vescovi in tutto il mondo per prevenire nomine di sospettati di abusi sessuali. Lo suggerisce al Vaticano Martin Werlen, membro della conferenza episcopale svizzera e priore dell'abbazia benedettina di Einsiedeln. Il priore teme «che la gerarchia cattolica a Roma non abbia preso abbastanza sul serio la situazione... È in gioco la nostra credibilità». Nel monastero di Einsiedeln, in Svizzera, cinque monaci sono stati coinvolti in casi di abusi o molestie sessuali dal 1970. La Chiesa svizzera sta esaminando «con serietà» almeno nove casi di presunti abusi sessuali negli ultimi anni.

Repubblica 22.3.10
Il capo dei vescovi tedeschi ammette "La Chiesa ha nascosto gli abusi"
La stampa: Benedetto XVI sapeva e taceva. Indagati 14 sacerdoti
Mea culpa del cardinale Zollitsch Centinaia i casi denunciati ma sarebbero migliaia
di Andrea Tarquini

BERLINO - «Sì, è vero, la Chiesa ha nascosto casi di abusi sessuali per anni. È un problema di tutta la società, ma ognuno di questi casi oscura il volto della Chiesa». La clamorosa ammissione viene, per la prima volta, dal presidente della Conferenza episcopale tedesca, monsignor Robert Zollitsch. Nella patria del pontefice, il cattolicesimo, la Chiesa e le sue istituzioni sono ormai sprofondate in una crisi ogni giorno più grave. Almeno 14 religiosi sono indagati dalla magistratura per sospetto di abusi o violenze su minori, e 250 sono i casi accertati tra gli anni Cinquanta e Ottanta, quindi in maggioranza prescritti. E l´edizione cartacea di Der Spiegel rincara il tono delle accuse al Papa in persona già lanciate sabato, e riportate da Repubblica: quando era vescovo di Monaco e Frisinga, Joseph Ratzinger sapeva che padre Peter Hullermann, trasferito da Essen a Monaco, aveva precedenti pedofili. Esaminò i dossier, accettò il suo trasferimento, per dargli ospitalità e seguire una terapia. Ma appena due settimane dopo il suo arrivo in Baviera, il sacerdote - con ogni probabilità all´insaputa di Ratzinger - era di nuovo attivo: diceva la messa, era a contatto con minori.
Quattordici religiosi indagati, è quanto dicono le procure che hanno accettato di fornire dati su inchieste su sacerdoti. Altre tacciono. E soprattutto tacciono ancora, oppresse dalla vergogna, molte vittime. Per cui il numero degli abusi, ufficialmente di qualche centinaio, secondo fonti vicine allo stesso mondo cattolico potrebbe essere anche di venti volte superiore.
La confessione di monsignor Zollitsch - in un´intervista al settimanale conservatore Focus che esce oggi - è una svolta. «Da anni ormai seguiamo una pratica del tutto diversa, ma sebbene l´intera società abbia taciuto e rimosso per decenni e la maggior parte degli abusi sia avvenuta fuori dalla Chiesa, provo vergogna e spavento davanti a un numero così elevato di casi commessi nelle nostre istituzioni», dice il presidente della Conferenza episcopale. «Spesso le vittime non sono disposte a denunciare gli atti di violenza subìti, e questo per noi è un problema morale, perché noi siamo interessati a portare i responsabili davanti al giudice, affinché con un processo si arrivi a una sentenza».
Un altro caso grave è emerso al Windsbacher Knabenchor, un´istituzione protestante. Dove, almeno fino al 2004, ai ragazzi venivano somministrate botte da orbi, secondo i media tedeschi.
La posizione del Papa, anche dopo la sua lettera, è difficile in patria. «Ratzinger, figlio di un poliziotto, sapeva che nessuno (nella Chiesa) aveva mai chiamato la polizia», accusa Der Spiegel.
E continua: non solo a Monaco, ma anche più tardi a Roma, come prefetto della Congregazione della dottrina della fede, si lasciò sfuggire la possibilità di affrontare il problema. Una vittima - una donna oggi sulla quarantina, abusata da un sacerdote e poi da un altro da quando aveva dieci anni - ha detto ieri: «Per la lettera del Papa provo solo disgusto e rabbia, questi freddi vecchi uomini non vogliono modificare le strutture della Chiesa, soprattutto riguardo alla sessualità». Un clima pesante, e alcuni prelati reagiscono oltre misura. Il vescovo di Ratisbona, Gerhard Ludwig Mueller, ha accusato ieri i media di «attaccare la Chiesa come facevano i nazisti con le loro campagne contro il cristianesimo».

Repubblica 22.3.10
Parla Christian Weisner, leader del movimento dei cattolici critici "Wir sind Kirche"
"Crisi da affrontare con urgenza il Pontificato mai così oscurato"
Dobbiamo accettare che gli stupri sono un problema globale cui serve una risposta globale
di A. T.

BERLINO - Christian Weisner, leader di Wir sind Kirche la Chiesa siamo noi (il forte movimento dei cattolici critici), è deluso dalla lettera del Papa ma esorta a incoraggiarlo a fare chiarezza fino in fondo. È la grande chance, altrimenti la crisi acquisterà qualche parallelo con quella del socialismo reale sovietico.
Signor Weisner, come giudica la lettera del Papa?
«Il dramma della violenza sessuale viene affrontato con grande apertura. È inusuale per un pontefice. Ma sulle cause e i consigli per la prevenzione futura purtroppo è molto deludente. Egli è all´inizio della presa di coscienza. Lui vede più le tendenze secolari mondiali nella morale come cause, e mi sembra mostruoso anche che veda una falsa lettura del Concilio Vaticano II come concausa. Allora lavorò per il Concilio ma oggi cerca di tornare a più tradizione che innovazione».
E non una parola sulla Germania. Che ne dice?
«Un silenzio accettabile, ma i tedeschi si aspettavano almeno una parola di compassione per le vittime tedesche quando il Papa il 12 marzo ricevette il rapporto dei vescovi tedeschi. Purtroppo il Papa tacque allora e tace in questa lettera. Posso in parte accettarlo, riguarda la ben più grave situazione irlandese. Ma tutti noi cristiani, da ogni fedele al Papa, dobbiamo accettare che la violenza sessuale contro bimbi, minori o donne nella Chiesa è un problema globale e necessita d´una risposta globale».
Il pontificato di Benedetto è in pericolo?
«La crisi deve essere affrontata con urgenza. Mai, nemmeno nei secoli più bui, la luce del Vangelo è stata tanto oscurata come oggi, lo scrive anche il Papa. È cosciente della gravità del problema. Ma la crisi non finisce così. Nessuno chiede le sue dimissioni. Tutti nella Chiesa, vescovi e cardinali, devono aiutarlo in questa tempesta. Egli non ha ancora individuato i problemi strutturali».
Ritiene il Papa responsabile di silenzi e insabbiamenti?
«Vedo una corresponsabilità. Dirlo non è chiederne le dimissioni, ma un vescovo deve avere un´alta autorità morale ma anche amministrativa. Manager e politici pagano gli errori dimettendosi, nella Chiesa c´è la riconciliazione. Ma se lui riconoscesse sue responsabilità, ciò gioverebbe alla sua autorità e a quella della Chiesa».
La difesa del sistema non ricorda l´autunno del socialismo reale sovietico?
«Anche all´Est mancava, ai vertici, la consapevolezza della gravità della crisi. Paralleli ci sono, tra sistemi centralisti e gerarchici, con dogmi. La differenza che mi fa sperare è che cristianesimo non è solo strutture centraliste, ma messaggio di Gesù. Se il sistema entra in una crisi di quel tipo, il messaggio cristiano resta, ben più vitale del socialismo. Ma la mancata riforma della Curia è stata un grave errore».
(a.t.)

Repubblica 22.3.10
Il segretario di Stato, Tarcisio Bertone: "Si diffonde un atteggiamento di anti-cristianesimo"
Il Papa: "Fermezza sul peccato ma indulgenza con i peccatori"
Attesa per quello che dirà oggi il cardinale Bagnasco sulla situazione in Italia
di M. Ans.

CITTA´ DEL VATICANO - «Impariamo a essere intransigenti con il peccato, a partire dal nostro, e indulgenti con le persone». All´Angelus di ieri in piazza San Pietro, il Papa preferisce non tornare sulla Lettera pastorale ai cattolici d´Irlanda, presente già sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Ma gli echi di un messaggio unico nella sua forma sono ancora nelle orecchie di tutti, fedeli e non.
Prendendo spunto dal celebre brano evangelico dell´adultera, e dalla famosa frase di Cristo «chi è senza peccato lanci la prima pietra», Ratzinger ha esortato a imparare «da Gesù a non giudicare e a non condannare il prossimo». La folla, oltre 50 mila persone, ha lanciato un fragoroso applauso quando Benedetto XVI ha ricordato Papa Wojtyla attraverso l´evento di domenica prossima: «Il 25esimo anniversario dell´inizio delle Giornate mondiali della Gioventù, volute dal Venerabile Giovanni Paolo II».
A tornare sulla Lettera è stato il segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone: «Molto bella speriamo che venga capita a cominciare dai giornalisti e da tutti i destinatari», facendo così intendere che la missiva pontificia ha una valenza capace di oltrepassare i confini irlandesi.
Parlando poi della necessità di armonia fra vita attiva e contemplativa espressa da San Benedetto, Bertone ha affermato che «oggi sembrano diffondersi in forma strisciante atteggiamenti di anti-cristianesimo radicale e micidiale in tutta Europa», dove c´è «un diffuso deficit di etica».
Un commento interessante alla Lettera è stato poi quello dell´arcivescovo di Chieti Vasto, monsignor Bruno Forte, considerato dagli osservatori come un teologo progressista. «C´è una forza, una chiarezza nel dire le cose - ha detto alla Radio Vaticana - che mi sembra assolutamente salutare, liberante; nello stesso tempo, però, c´è un velo di misericordia che guarda anche al colpevole, al carnefice, proprio perché ne vuole la redenzione». Forte ha considerato come condivisibili le cause indicate dal Papa per spiegare i troppi casi di abusi sessuali avvenuti negli anni ‘70 e ‘80 del post Concilio Vaticano II, come un indebolimento della fede che ha fatto venir meno la necessaria vigilanza.
C´è attesa dunque per oggi per quello che dirà sul testo pontificio e sulla situazione in Italia anche il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, che aprirà i lavori del Consiglio episcopale permanente.

Repubblica 22.3.10
Appello a tutti coloro che hanno subito violenze da parte dei religiosi, appuntamento il prossimo settembre
"Basta col silenzio anche in Italia" nasce l’associazione delle vittime
All´incontro già molte le iscrizioni da Brescia, Mantova e Verona
Caso agghiacciante a Chievo: piccoli sordomuti violentati dai sacerdoti
di Marco Ansaldo

CITTA´ DEL VATICANO - Il senso del programma è già nel titolo: "Anch´io ho subito violenza dal prete". E il manifesto scelto, solo in apparenza un paradosso: un bambino che porta la sua croce, trascinandola sulla tonaca nera di un sacerdote impassibile. La rabbia delle vittime è tanta, covata a volte per decenni, e le parole forti usate dal Papa nella sua Lettera pastorale contro i preti pedofili sono appena un balsamo sulle ferite ancora aperte.
Adesso però basta con il silenzio. Anche in Italia, i genitori di bambini abusati dai sacerdoti hanno deciso di reagire. Gruppi di famiglie si sono mobilitati organizzando, per il 25 settembre, a Verona, il loro primo incontro. E hanno chiamato a raccolta tutti coloro che sono stati abusati, molestati, violentati dai sacerdoti in seminari e parrocchie. Un raduno che avrà come titolo "Noi vittime dei preti pedofili".
Nel Nord Italia, fra Brescia, Mantova e Verona, sono tante le persone che stanno iscrivendosi all´incontro, attraverso l´indirizzo mail lacolpalibero. it. Un´iniziativa sorta anche con il contributo dell´Associazione "Antonio Provolo" di Verona, da decenni impegnata nel sostegno a bambini sordi, che lo scorso anno ha denunciato decine di casi di bambini abusati dai sacerdoti. Spiega il loro portavoce udente, Marco Lodi Rizzini: «Molta gente si vergogna di avere subito violenza, anche se la colpa non è loro. Scopo di questa iniziativa è di dare il coraggio di uscire allo scoperto. Noi indichiamo una strada. Poi la giustizia farà il suo corso».
Agghiacciante è il caso di quest´istituto di Chievo, dove per trent´anni, fino al 1984, molti piccoli sordi e muti furono abusati dai sacerdoti. «Bambini - ricorda Lodi Rizzini - messi in istituto dalle famiglie, e che ovviamente non potevano esprimersi e spiegare quel che accadeva». Sevizie patite nei luoghi più sacri, dentro i confessionali o dietro gli altari. Lo scorso anno 15 di loro, ormai fra i 40 e i 70 anni, hanno infine pubblicato le violenze subite, con tanto di firme e testimonianze video. Per tre anni l´istituto aveva chiesto inutilmente l´intervento della Curia di Verona. Ora il vescovo Giuseppe Zenti, denunciato dall´Associazione, dovrà presentarsi in tribunale per un´udienza fissata dai magistrati il 9 giugno prossimo.
«La triste storia in cui ci troviamo - dice a Repubblica una delle famiglie del Nord Italia coinvolte negli abusi - ci ha insegnato che per le vittime e per i parenti delle vittime è di aiuto il confronto con altre persone che hanno attraversato il medesimo dramma. Nel caso poi di violenze perpetrate da religiosi si aggiunge la sofferenza del rapporto con l´istituzione ecclesiastica. Così abbiamo pensato di tentare un collegamento fra noi».
All´incontro di Verona saranno presenti dei professionisti per un confronto sulle questioni psicologiche, sociali e legali. Una mobilitazione concreta anche sul piano operativo. Le famiglie hanno compilato un data-base, con i casi già noti in Italia e pubblicati sui giornali negli ultimi anni, e una bibliografia ragionata su libri e testi che hanno approfondito la pedofilia ecclesiale.
Ma il fenomeno è trasversale in Italia. E molto spesso è lo stesso fronte cattolico a tenere utilmente conto di numeri, dati e statistiche. La rivista Il Regno, quindicinale di attualità e documenti edita a Bologna dai sacerdoti dehoniani, enumera decine di casi nel periodo 2005-08. L´Associazione "Meter" di don Fortunato Di Noto, da anni attiva a Palermo contro la pedofilia, ha seguito solo lo scorso anno 824 casi di abusi con il supporto psicologico dei propri volontari. E adesso un´altra organizzazione, "La caramella buona", di Reggio Emilia, attraverso il suo presidente Roberto Mirabile vuole di più: «Che il Papa vada oltre la giusta presa di posizione sui preti pedofili nel mondo, e chieda ora ai vescovi italiani di fare chiarezza su troppi episodi oscuri a casa nostra».

Repubblica 22.3.10
Immigrati
Dall’inferno alla Sicilia le voci di un popolo in fuga
Sono scappati da guerre, miseria, violenze. Ma sono finiti in pasto ai mercanti di schiavi Nel viaggio verso le coste italiane hanno subito ogni genere di sopruso. Poi, l´approdo. Ecco le loro storie
di Francesco Viviano

I racconti dei clandestini, e le osservazioni dei medici che li hanno in cura
O.S. è nigeriana Durante la traversata è stata stuprata. Poi ha perso sua figlia

Sono morti che camminano. È gente alla quale hanno strappato anche l´anima e che sopravvive sperando in un miracolo. Soffrono d´insonnia, hanno frequenti incubi, la loro mente è affollata di pensieri di morte e sensi di colpa. Sono "extracomunitari" sopravvissuti alle torture, alle traversate del deserto e del mare, che in questi anni hanno raggiunto Lampedusa o altri approdi siciliani. I loro drammi, le loro storie, le foto con le ferite provocate dai loro carnefici in Nigeria, in Libia, in Somalia, nello Sri Lanka, sono raccolti nei dossier degli ambulatori siciliani che, tra mille difficoltà, sono riusciti a farli parlare. Queste persone sono state incarcerate, incatenate, fustigate. Le donne, violentate davanti ai loro bambini che spesso sono morti senza che loro potessero aiutarli. Un inferno, un calvario che ancora continua. Ecco le loro storie.
O. S. è nata in Nigeria, a Uga, nel 1985, ed è giunta a Lampedusa l´8 settembre del 2008. Quando è arrivata sembrava un fantasma. Non era soltanto stremata dal lungo viaggio in mare su un gommone con altri 40 disperati. Non ragionava per quel che aveva vissuto. «Sono fuggita dalla Nigeria perché ero minacciata dalla famiglia di un uomo che era stato ucciso da mio marito, che era fuggito e di cui non ho avuto mai più alcuna notizia. Così nell´agosto del 2008 ho lasciato la Nigeria insieme a mia figlia di 4 anni. Durante il tragitto nel deserto tra il Niger e la Libia sono stata fermata da un gruppo di uomini che mi hanno aggredita e stuprata ripetutamente, davanti a mia figlia. Durante la violenza mi hanno anche ferita con un coltello».
«La paziente - scrive il medico nella sua cartella - non riesce a descrivere gli eventi legati alla morte della figlia nel deserto: ricorda che si era ammalata durante il cammino e che è stata picchiata dagli stupratori poiché piangeva e dava "fastidio"». «Ho paura di avere contratto malattie veneree e di non potere avere più figli», dice ancora la donna. «La Sig.ra O. S. - di nuovo la cartella clinica - presenta importanti conseguenze dei traumi psicologici e fisici subiti. La morte traumatica della piccola figlia durante la fuga aggrava la condizione di smarrimento e di terrore in cui versa tuttora la paziente. O. S. soffre di insonnia, mutismo, inappetenza, disfagia; tale sintomatologia clinica è accompagnata da ricorrenti pensieri di morte, di inutilità della propria esistenza, di colpa nei confronti dei propri familiari rimasti nel loro paese».
D. T. B. è nato in Eritrea il 14/7/1974. Nel giugno del 2000, alla fine della guerra contro l´Etiopia (iniziata nell´aprile del 1998, e durante la quale aveva combattuto) è stato arrestato. «Sono stato spogliato dei miei vestiti e rinchiuso in una stanza piccola e molto calda, non c´era luce né servizi igienici. L´isolamento è durato 5 giorni, poi mi hanno condotto in un´altra stanza dove si trovavano 4 militari che mi hanno messo la testa dentro un recipiente colmo di escrementi umani minacciandomi di morte. Questo trattamento si è ripetuto ogni 3 giorni, io ero sempre in isolamento e all´oscuro di quale fosse l´accusa. Non ricordo per quanto tempo sia durata questa prigionia, in quei giorni non riuscivo a capire nulla, avevo delle infezioni provocate dagli escrementi nella gola e sono diventato quasi cieco. Sono stato poi condotto in una stanza sotto terra dove dei militari mi hanno fatto firmare un foglio su cui mi hanno fatto confessare di essere una spia etiope. Mi hanno colpito ripetutamente con un bastone al volto, al naso, sulla testa, anche con un sacchetto di sabbia pieno di pietre».
«I mesi di reclusione successivi vengono definiti dal paziente come infernali - scrive il medico nella cartella di D. T. B. -. Il detenuto è riuscito a fuggire dalla prigione il giorno in cui per la prima volta i detenuti erano stati condotti fuori cella; egli stesso considera miracoloso il fatto di non essere stato catturato e ucciso. A piedi ha poi raggiunto il confine con il Sudan, e da lì è giunto fino a Karthoum (15/10/2000), dove si è fermato per circa 1 anno prima di partire per la Libia con la moglie. Qui la moglie, al 3° mese di gravidanza, è stata catturata dalle autorità libiche (verosimilmente a causa della croce tatuata sulla fronte) e da allora non se ne hanno più notizie. D. T. B è giunto in Italia il 28/10/2003».
S. J. è nata ad Harare, nello Zimbawe il primo luglio del 1986. «Mia madre era nigeriana e all´età di 6 anni ci siamo trasferiti con parte della famiglia in Nigeria, nel suo villaggio natale. Da allora non ho avuto più notizie di mio padre, che era un militare dello Zimbawe. Ho avuto una bambina dalla relazione con un uomo politico dell´etnia Shakiri, appartenente al People Democratic Partry. Il nostro matrimonio è stato violentemente ostacolato dalla famiglia del mio ragazzo, in quanto io appartenevo ad un´altra etnia, quella degli Urobo. Fui costretta a fuggire in un altro villaggio, durante la gravidanza, perché minacciata dai familiari del mio ragazzo, ma fui ritrovata e sequestrata. Sono stata tenuta prigioniera per circa un mese: durante i giorni di prigionia sono stata picchiata e maltrattata quotidianamente, perché volevano sapere dove s´era nascosto loro figlio, ma io non lo sapevo. Sono poi riuscita a fuggire e ho lasciato il mio Paese. Sono rimasta ad Agadez, in Niger, per circa un anno, lavorando in un mercato, ma sono dovuta scappare di nuovo perché mi volevano costringere a prostituirmi. Ho raggiunto Dukru, dove sono stata sequestrata da militari e stuprata più volte, poi mi hanno portato in Libia a bordo di un camion. Mi hanno abbandonata per strada, dove sono stata intercettata dalla polizia libica. E qui nuovamente violentata e arrestata perché non avevo documenti. Dopo una settimana di carcere a Tripoli mi hanno mandata a lavorare come cuoca per il proprietario di una delle navi che trasportano clandestini. Dopo due mesi di lavoro mi sono imbarcata su un gommone e ho raggiunto Lampedusa». Nel 2008 S. J. ha avuto accolta la sua richiesta di asilo politico. Le sue condizioni stanno migliorando.
A. H. è nato in Liberia il 6/2/1958. Ha il volto sfigurato, deturpato dalla soda caustica che i suoi carcerieri gli hanno tirato in faccia. «Sono stato catturato nel giugno del 1998 nella capitale liberiana dalla Atu (Anti Terrorist Unit) per aver distribuito e affisso poster riguardanti gli abusi dei diritti umanitari nel mio paese. Fui accusato di danneggiare la sicurezza dello stato e dopo 5 giorni di interrogatori e di sevizie sono stato colpito al volto con una sostanza liquida caustica. Ho ripreso conoscenza dopo qualche giorno nell´ospedale S. Joseph di Monrovia, dove sono rimasto ricoverato per circa 7 mesi, sottoponendomi a diversi interventi chirurgici ricostruttivi. Nel luglio 2002, dopo aver militato nel Lurd (Liberia United for Restoration of Democracy), sono arrestato nuovamente dai militari e tenuto prigioniero fino al 2 giugno del 2003, data in cui sono riuscito a scappare durante un controllo sanitario in ospedale. I miei familiari ed alcuni amici hanno poi raccolto del denaro e sono riuscito a raggiungere l´Italia, attraverso la Libia, il 15 giugno del 2007».

Repubblica 22.3.10
Elogio della scienza
Un nuovo libro di Massimiano Bucchi sulle incomprensioni tra società e conoscenza
Quel che i media non riescono a dire della scienza
Spesso le notizie scientifiche sui giornali sono esche per attrarre finanziamenti
Ma non si può cancellare la differenza tra scientisti e antiscientisti
di Piergiorgio Odifreddi

Si racconta che negli anni ´60 una multinazionale andò in giro per l´Africa, con uno schermo portatile e un generatore di elettricità, per mostrare nei villaggi sperduti un filmato sui grandi macchinari agricoli che produceva. Dopo varie proiezioni, si accorse però che il filmato non sembrava avere alcun effetto, e alla fine si decise a domandare agli spettatori che cosa avessero recepito. La sorprendente e unanime risposta che ricevette fu: la presenza di un pollo che passava a un certo momento in un angolo dello schermo, e di cui gli occidentali non si erano nemmeno accorti. La sorpresa svanì quando si rifletté sul fatto che, in fondo, ciascuno può percepire della realtà soltanto ciò che è in grado di riconoscere e comprendere.
Questo episodio è una perfetta metafora del rapporto tra la scienza e i media. Uno scienziato, e più in generale una persona acculturata di scienza, che legga i giornali, ascolti la radio o guardi la televisione, anzitutto ci troverà solo molto raramente notizie scientifiche, e praticamente mai in posizione di rilievo come la prima pagina. Ma quelle rare volte che ce le troverà, si accorgerà che in genere sono solo insignificanti polli notati da ignari selvaggi. I quali, nella migliore delle ipotesi, avranno anche sfogliato le pagine di Nature o Science, ma senza percepire altro che ciò che potevano riconoscere e comprendere.
A complicare le cose c´è poi il fatto che spesso, più che di polli, si tratta in realtà di pavoni. Cioè di notizie con la coda variopinta messe lì, apposta per attirare l´attenzione, da scienziati furboni e a volte senza scrupoli, che sanno benissimo a quali esche si abboccherà. E il motivo per cui ce le mettono, è ovviamente per ottenere visibilità e finanziamenti, che verranno spesi per perpetuare quel genere di ricerche che poi attrarranno altra attenzione mediatica, in una perversa e futile spirale che costituisce uno degli argomenti di Scientisti e antiscientisti di Massimiano Bucchi (Il Mulino, pagg. 128, euro 11,50).
Il sottotitolo Perché scienza e società non si capiscono, senza punto interrogativo, promette una risposta che viene data nella conclusione: «scienza e società non si capiscono perché si intendono fin troppo bene», nel senso che ciascuna si appoggia all´altra in maniera analoga alla spirale descritta sopra, in cui i giornalisti diffondono colposamente notizie trash, spesso fornite dolosamente dagli scienziati. Ora, è sicuramente innegabile che ci siano questi aspetti deleteri del rapporto fra scienza e società, ma Bucchi tende ad enfatizzarli al punto da cancellare la differenza stessa tra scientismo e antiscientismo, considerandoli due facce di una stessa medaglia e ribattezzandoli addirittura, rispettivamente, «scientismo positivo e negativo».
L´operazione è sospetta, e in un certo senso analoga a quella di coloro che considerano anche la fede e l´ateismo come due facce di una stessa medaglia, come suggeriva il titolo del libro di Umberto Eco e Carlo Maria Martini Cosa crede chi non crede? Una domanda singolare, dello stesso tipo di "Cosa mangia chi non mangia?", alla quale non si può certo rispondere che mangia qualcosa di diverso dal cibo, come invece tendono a fare coloro che ritengono che l´ateismo sia un tipo diverso di religione, invece che la sua mancanza.
Questi giochi di parole tendono più a confondere i termini del dibattito, che non a chiarirli. Per chiarire cosa sia lo «scientismo», bisogna anzitutto notare che il termine ha già di per sé un connotato negativo, al contrario di «umanesimo». E che non c´è nessuna parola che descriva positivamente, o anche solo neutralmente, la constatazione che «i metodi caratteristici delle scienze naturali rappresentano l´unica fonte genuina di conoscenza fattuale, e solo essi possono produrre un´effettiva conoscenza dell´uomo e della società»: che è, appunto, il modo in cui Bucchi definisce lo scientismo.
L´antiscientismo è ovviamente l´opinione contraria, professata più o meno apertamente dalla quasi totalità della società umanista, che spesso si trincera dietro ad aperti fraintendimenti dell´impresa scientifica. Uno degli esempi più influenti, citato rispettosamente anche da Bucchi, è La struttura delle rivoluzioni scientifiche del filosofo Thomas Kuhn, al quale si appigliano tutti coloro che vorrebbero assegnare alla verità scientifica un carattere puramente storico. Chi non conoscesse i fatti e leggesse quel libro, così come La rivoluzione copernicana dello stesso autore, potrebbe infatti dedurne che il passaggio dal sistema tolemaico a quello copernicano abbia costituito un radicale cambiamento di prospettiva fisica, mentre invece i due sistemi sono perfettamente equivalenti dal punto di vista della descrizione dei moti planetari. E´ l´immagine metafisica del mondo che è cambiata, nel passaggio dal geocentrismo all´eliocentrismo, ma questo è un problema della filosofia, e non certo della scienza!
Analoghe considerazioni si potrebbero fare a proposito del falsificazionismo del filosofo Karl Popper, ampiamente citato da coloro che vorrebbero invece assegnare alla verità scientifica un carattere puramente negativo. Senza tener conto, ovviamente, del fatto che ciò di cui parlano sia Popper che Kuhn non è per niente la scienza reale che praticano gli scienziati, bensì quella fittizia che si immaginano i filosofi. I quali, avendo maggior accesso ai media, finiscono per imporre i propri fraintendimenti come se fossero, questi sì, verità assolute e positive.
Per forza di cose, i letterati sono ancora peggio dei filosofi, perché della scienza capiscono ancora meno, ma hanno un accesso ancora maggiore ai media. Un caso emblematico è la considerazione di cui godono le opere «scientifiche» di Wolfgang Goethe, che avrà anche scritto dei bei versi in tedesco, ma quando si è avventurato a pontificare nei campi dell´ottica o della chimica si è reso semplicemente ridicolo. Il suo romanzo Le affinità elettive faceva pateticamente partorire a due genitori una figlia con i tratti somatici dei rispettivi amanti, ai quali essi pensavano al momento del concepimento.
Dire che ciò che importa in quei libri è la forma, e non il contenuto, equivale ad ammettere che la letteratura non è impresa di verità, ma di bellezza. Il che potrà anche essere vero, ma conferma appunto la visione «scientista», che la conoscenza fattuale sta di casa altrove. Ma non certo nella mitologia o nella religione, che costituiscono i baluardi più avanzati dell´antiscientismo. Come si può infatti combinare con la scienza la credenza nelle anime e negli spiriti immateriali, quali angeli e demoni? O la fede nei miracoli, che sospendono le leggi di natura per permettere interventi soprannaturali?
Si ha un bel dire che l´antiscientismo non esiste, se non come altra faccia della medaglia dello scientismo! Non solo esso esiste, ma impera! E ogni passo avanti compiuto dall´immagine della scienza viene contrastato da cento passi indietro compiuti da filosofi, letterati e religiosi. L´ultimo in ordine di tempo è la decisione del ministro Gelmini di offrire sì, agli studenti del Liceo Scientifico, un baratto dell´anacronistico latino con la moderna informatica e un po´ più di scienze. Ma solo in un indirizzo facoltativo, attivato solo in alcune scuole, e avversato dall´esercito delle cariatidi che ancora pensano che il cervello maturi di più recitando rosa, rosae, rosae che non imparando a scrivere algoritmi!
Il fatto è che quello viene bollato come «scientismo» non è altro che una miscela di tre semplici ingredienti: buon senso, razionalità e rigore. Ciascuno di questi ingredienti è raro, ma se anche fosse casualmente distribuito al 50 per cento, la combinazione di tutti e tre sarebbe comunque posseduta solo dal 12,5 per cento della popolazione: il che spiega la percentuale bulgara degli antiscientisti, e la difficoltà degli «scientisti» di far sentire la propria voce.


l’Unità 22-3.10
A Terni L’omaggio a «Tinissima». Bella e comunista, e ai suoi scatti crudi e sensuali
Il percorso La storia di un’artista che abbandonò la macchina fotografica per la rivoluzione
Il pane e le rose: tutte le vite e le foto di Tina Modotti
di Sandra Petrignani

Tinissima la chiamava sua mamma, e «Tinissima» è il titolo della mostra a Terni che celebra Tina Modotti, attrice, rivoluzionaria, fotografa, spia, crocerossina, attraverso le sue fotografie.

Le fotografie di Tina Modotti che ritraggono dettagli di fiori, primissimi piani di calle, rose, lilium, rimandano ai quadri dell’americana Giorgia O’Keefe, successivi di qualche decennio: ne hanno la stessa indecente sensualità, un carnale amore per la natura e la vita. È la sorpresa più grossa che mi riserva la mostra Tinissima (fino al 4 aprile a Terni, Palazzo di Primavera). Non avevo mai visto queste fotografie. I primi piani di mani sì, li conoscevo, li vedi una volta e non li dimentichi più, mani stanche e impolverate di operai, di contadini, di vecchi, mani umili, delicate e forti insieme.
LE MANI, I BAMBINI
Poi ci sono i bambini, quanti bambini seri negli scatti della Modotti, pensierosi dentro i loro stracci. Non basta qualche lieve sorriso sulle labbra di donne fiere, quella che porta una bandiera rossa tanto più grande di lei, quelle che avanzano con cesti e vasi sul capo, una concentrazione sofferta sui loro volti come su quello dell’autrice: gli occhi fondi e neri di Tina, il disegno amaro della bocca, quasi presaga di un destino difficile, luttuoso, calunniato.
Quante vite ha avuto Tina Modotti? Attrice, fotografa, rivoluzionaria, spia, crocerossina. «Mi considero una fotografa, e niente altro» aveva detto di sé. Ma per affermare che non c’era niente di artistico nel suo lavoro, perché la parola arte la metteva a disagio, le dava «una sensazione sgradevole». Non le piaceva l’aura di eccezionalità intorno agli artisti, lei era dalla parte della vita, con le sue tragiche ingiustizie. E quella scelse a un certo punto, buttando la macchina fotografica alle ortiche e votandosi totalmente alla rivoluzione comunista, che l’avrebbe tradita.
Friulana di Udine, nata nel 1896 da famiglia modesta, a diciassette anni s’imbarca per San Francisco per raggiungere il padre emigrante. Fa la modella, l’attrice, diventando una diva del cinema muto. Poco più che ventenne sposa un artista e poeta bohèmien, che morirà in Messico cinque anni dopo. Intanto Tinissima, nome che le dava la madre da piccola giocando a rendere superlativo il diminutivo di Assuntina, ha già conosciuto il grande fotografo statunitense Edward Weston. Lui, famoso seduttore, capitola per Tina, ne è gelosissimo, ma la asseconda nel sogno anticonformista del libero amore.
E intanto la fotografa mentre prende il sole, completamente nuda, sensualissima, sulla terrazza della loro casa di Città del Messico, dove si sono trasferiti, dove frequentano Diego Rivera, Frida Khalo e gli altri comunisti rivoluzionari. È proprio Tina durante una festa in quella sua casa ospitale, luminosa, detta «la nave» per l’atipica forma angolare, a presentare Frida a Diego.
Per la seconda volta nella vita Tina diventa famosa, una fama che non vuole e anzi cerca di sfuggire, una fama di scandalo oltre tutto: le foto che Weston le ha scattato le creano intorno un’aura pericolosa, da femme fatale che non è. È anzi, a detta di chi l’ha conosciuta, una donna modesta e tranquilla. Una che parla poco e guarda molto, direttamente e attraverso l’obiettivo che Weston le ha insegnato a usare. Era un fotografo lo zio friulano Pietro Modotti e il padre, Giuseppe, aveva aperto uno studio fotografico a San Francisco. Tina era dunque in qualche modo predestinata alla fotografia.
Ma poi conosce il grande amore, il giornalista rivoluzionario cubano Julio Antonio Mella con cui passione e politica si mescolano in un incontro incandescente. È il 1928, la favola dura pochissimo. Il 10 gennaio dell’anno successivo Mella viene ucciso, mentre cammina di sera abbracciato a Tina. Vittima del governo cubano a cui si opponeva? Stroncato da un sicario di Stalin, che non ammetteva deviazioni anarchiche?
Qui il destino di Tina s’incrina per sempre, da ora in poi sarà una marionetta della storia che la gioca in diversi scenari di cui lei non sembra più avere il controllo. Viene accusata del delitto di Mella per motivi passionali. Diego Rivera si batterà come un leone per dimostrare la sua innocenza.
Ma la vita di Tina è spezzata. L’anno successivo abbandona il Messico. Sulla nave verso l’Europa c’è anche l’ambiguo Vittorio Vidali, un attivista staliniano dai molti scheletri nell’armadio. Forse ha perfino ucciso lui Mella, forse, per aver via libera con Tina. Ma Tina non sospetta niente, è sola. Tenta di resistere alle insistenze di Vidali di trasferirsi in Russia. Va da sola a Berlino, dove già aleggia un clima prenazista.
Qui potrebbe diventare una fotoreporter. Ma lei scrive a Weston: «Non sono adatta, non sono così aggressiva. La mia fotografia ha bisogno di tempi lenti, di calma». Accetta invece di entrare nel Comintern, diventa una spia per il Soccorso Rosso Internazionale di Vidali. Nel ’36 volontaria nella guerra di Spagna, fa la cucina, cura i feriti. Vede con i suoi occhi gli orrori di cui si macchiano «i suoi». Forse finalmente le crolla il velo su Vidali, al quale la storia attribuirà fino a 400 omicidi di anti-staliniani.
Nel 1939, irriconoscibile, invecchiata, stanchissima Tina torna in Messico, il paese dove aveva conosciuto una breve felicità. Esce dal silenzio soltanto per dichiarare il suo dissenso sul patto di non aggressione fra Stalin e Hitler. Forse firma così la sua condanna a morte. Tre anni dopo muore misteriosamente in un taxi. Per un infarto, hanno detto. Ma c’è chi sostiene che Vidali si trovava anche lui di nuovo a Città del Messico. Sarebbe morto dopo molto tempo, nel 1983, senatore della Repubblica italiana, portando nella tomba i suoi segreti.
Un bel film-documento realizzato da Silvano Castano per Cinemazero e la Cineteca del Friuli, utilizzando i materiali degli Archivi Modotti di Pordenone, è in vendita nella sede della mostra di Terni.