lunedì 29 marzo 2010

l’Unità 29.3.10
Astensioni incubo francese Record nel Lazio il 12% in meno
I sondaggisti: Dissaffezione colpa di una politica lontana dalla gente
Il calo dei votanti potrebbe portare ad un aumento dell'astensionismo anche di 10 punti. Lo dicono alcuni sondaggisti per cui il fenomeno è da addebitare alla «disaffezione dalla politica». Nicola Piepoli prevede: che «la partita elettorale si chiuderà con 10 punti in meno rispetto a cinque anni fa». Renato Mannheimer, patron di Ispo, aggiunge che «il trend è confermato in misura rilevante, e alla fine delle operazioni registreremo un calo di almeno 6-7 punti». La causa? «La disaffezione dalla politica» spiega Nando Pagnoncelli, presidente dell'Ipsos. L’astensione, insomma, sarebbe la diretta conseguenza del «peggioramento del clima sociale, con una forte preoccupazione da parte dei cittadiniper i temi del lavoro e della crisi. Ma l’agenda politica si occupa d’altro», conclude Pagnoncelli.

Repubblica Roma 29.3.10
Bonino e Polverini, scambio di accuse
Sfidanti ai seggi. Renata: "Lei alla radio? Poco stile". Emma: "Meglio il Tg1?"
di Giovanna Vitale

UN voto lontano dalle polemiche. La candidata-outsider Marzia Marzoli (sostenuta dalla lista della Rete dei Cittadini) ha votato ieri mattina nel seggio di Tarquinia, scegliendo di non lasciarsi coinvolgere nello scambio di accuse tra gli schieramenti. «C´è grande entusiasmo - ha detto la Marzoli - e adesso mi aspetto grande attenzione da parte dei media e degli elettori».
Le ultime polemiche rimbalzano da un seggio all´altro. Neanche davanti alle urne la candidata del centrodestra Renata Polverini è riuscita a trattenersi dal lanciare l´ennesima accusa ai radicali e, quindi, alla rivale Emma Bonino. «Ospitando la candidata del centrosinistra Radio Radicale, che ha una tradizione di democraticità, ha smentito tanti anni di storia con una caduta di stile» ha commentato la Polverini uscendo poco dopo le 11 dal seggio della scuola Franchetti, in piazza Gian Lorenzo Bernini a San Saba. Un´accusa che si riferisce alla partecipazione della Bonino, sabato pomeriggio, all´emittente del partito radicale.
«Ho l´impressione - ha replicato la Bonino - che Renata abbia idee confuse sulla legalità e sulla legge, perché Radio Radicale, essendo un organo di partito, può trasmettere anche durante il silenzio elettorale». Accolta da applausi e strette di mano, dopo il voto nel seggio della scuola "Virgilio" in via Giulia, la candidata del centrosinistra ha poi precisato che «se la Polverini vuole accomodarsi a Radio Radicale, io faccio il cambio molto volentieri e vado al Tg1, al Tg2, al Meteo, al Tg4, a Studio Aperto e a Unomattina...».
Inevitabile, poi, il riferimento ai "gladiatori del voto" del Pdl, cinquemila rappresentanti di lista messi in campo dal Popolo della Libertà per difendere l´intenzione di voto degli elettori della Polverini e salvare le schede nulla. «Nel vademecum consegnato dalla Lega Nord la legge è spiegata molto bene - ha detto la Bonino uscendo dal seggio - e si dice infatti che se un signore non è candidato in nessuna lista, la scheda è nulla perché potrebbe essere un tentativo per far riconoscere il proprio voto». Ma Andrea Augello, coordinatore del comitato Polverini risponde: «È indecente sperare in una vittoria basata sulla cancellazione di voti espressi in buona fede dai cittadini».


Untà on line 29.3.10
Pedofilia, due corti Usa contro il Vaticano
qui

l’Unità 29.3.10
Scandalo pedofilia, la parola ora passa ai tribunali
Texas e Kentucky chiamano a giudizio Ratzinger. Il Vaticano s’appella alla Corte suprema
Svizzera il governo vuole una «lista nera» di preti pedofili. Austria, la chiesa s’affida a una donna
di Marina Mastroluca

La Svizzera chiede una lista nera dei preti pedofili, la Chiesa austriaca si affida a una donna per l’inchiesta sugli abusi. E due tribunali d’America chiamano in causa Ratzinger per il silenzio sulle violenze.

Una lista nera, con nomi e cognomi. Gente da cui stare alla larga: preti pedofili. La chiede la presidente svizzera Doris Leuthard, sulla falsa riga di quanto già previsto
per gli insegnanti, perché non si mettono i lupi in mezzo agli agnelli. La polizia indaga su presunti abusi. «Se gli esecutori del reato vengono dal mondo civile o clericale non fa differenza. Sono sottoposti entrambi alla legge svizzera, senza se e senza ma», dice Leuthard.
Preti, uomini come gli altri, ugualmente perseguibili. La Chiesa che li ha coperti, che ha nascosto la colpa del singolo per salvare la sua santità, colpevole con loro. Nella domenica delle palme, sembra essere questo il tema del giorno, più di quanto non sia il fastidio papale per i rumori di fondo, il «chiacchiericcio» che invade i media e che qualcuno, in seno alla Chiesa, legge come la mano di Satana. Negli Stati Uniti per la seconda volta due tribunali chiamano in causa lo stesso Ratzinger, per aver messo sotto silenzio gli abusi come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. In Kentucky e in Oregon due corti federali hanno accolto la perseguibilità della Santa Sede, se poi davvero i vertici ecclesiastici saranno chiamati alla sbarra è tutto da vedere: il Vaticano si è appellato alla Corte Suprema, il pontefice come capo di Stato gode di immunità. E c’è già un precedente che risale al 2005, quando lo stesso Ratzinger venne citato per intralcio alla giustizia in un analogo processo in Texas, ma appena eletto si appellò all’immunità diplomatica. Il teocon George W. Bush non fece obiezioni, il procedimento contro il Papa venne giudicato «incompatibile con gli interessi di politica estera degli Usa».
Casi fotocopia, quello del Texas di allora e quelli di oggi. In Kentucky la denuncia è partita da tre ex chierichetti nella diocesi di Louisville, dove secondo l’accusa vennero consumati decenni di abusi coperti dal silenzio. In Oregon a denunciare è stato un uomo che sostiene di essere stato abusato da bambino, da un prete morto nel 2002 trasferito più volte dalle gerarchie ecclesiastiche che sapevano delle sue ripetute molestie. I suoi avvocati chiamano in causa il Vaticano sostenendo che i preti sono suoi «dipendenti».
Ma l’argomento di fondo resta il silenzio assunto a sistema. Si cita il «Crimen sollicitationis» con cui nel 1962 il Sant’Uffizio vincolava vittime e colpevoli a tacere, pena la scomunica. Come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, nel 2001 Ratzinger avrebbe mantenuto la consegna del silenzio, pur introducendo l’obbligo di segnalare a Roma gli abusi e introducendo «azioni amministrative dirette» contro i responsabili. Una procedura che ieri il vaticanista John Allen jr difendeva dalle pagine del New York Times, perché più rapida ed efficace di un processo interno.
UNA DONNA INDAGHERÀ SUI PRETI
Allen non è il solo a difendere Ratzinger, diverse analisi ed editoriali sulla stampa internazionale sottolineano il paradosso che a finire sotto accusa sia proprio un Papa che più di altri si è battuto contro i peccati della Chiesa. È di ieri la notizia di un sacerdote tedesco «immediatamente» ridotto allo stato laicale per un reato sessuale. Ma ci si chiede quanti abbiano affrontato lo stesso rigore del prete di Osnabrueck e soprattutto se questa severità non sia figlia anche di quel «chiacchiericcio» della stampa.
Sarà per questo che la Svizzera chiede liste nere secondo la Sonntags Zeitung la conferenza episcopale elvetica ne parlerà alla prima seduta il prossimo 31 maggio, mentre ha ordinato 5000 manifesti per migliorare un’immagine logorata dagli scandali. Sarà anche per questo che in Austria il cardinale Schoenborn ha annunciato una commissione d’inchiesta laica, che non comprenderà membri del clero. A presiederla una donna, l’ex governatrice della Stiria Waltraus Klasnic.❖

l’Unità 29.3.10
Il Papa: non ci fermano «opinioni dominanti» e «chiacchiericcio»
Benedetto XVI così allude allo scandalo dei preti pedofili Nonostante giornali e giornalisti di tutto il mondo chiamino pesantemente in causa il Vaticano e i suoi vertici
di Roberto Monteforte

Domenica delle Palme. Cerimonia solenne in piazza san Pietro. Oltre cinquantamila i fedeli presenti. Tanti i giovani. Si ricorda la Giornata Mondiale della Gioventù voluta 25 anni fa da Giovanni Paolo II. Papa Benedetto XVI percorre la piazza sulla «papamobile». Non stringe mani. Saluta la folla dalla vettura bianca. «Per farsi vedere da tutti» fanno sapere dal Vaticano. Forse anche per motivi di sicurezza. Il momento è difficile. La polemica sul suo coinvolgimento nei casi di pedofilia continua, esplicita, circostanziata. Forse si temono contestazioni. C’è chi anche nella Chiesa ha chiesto le sue dimissioni.
Ma tira dritto Papa Ratzinger. Decide di andare avanti. Senza curarsi, almeno apparentemente, della tempesta mediatica abbattutasi sulla Chiesa e sulla sua persona con l’inchiesta del New Work Times, le domande che pongono il Washington
Post e Der Spiegel. Il Papa, nella sua omelia, invita al «coraggio che non si lascia intimidire dal chiacchiericcio delle opinioni dominanti». Chiede di prestare attenzione ai sofferenti e agli abbandonati, a non lasciarsi «disarmare dall’ingratitudine». Ricorda al credente che deve mettere in conto anche l’incomprensione e il dileggio pur di vivere la sua fedeltà al Vangelo e a Cristo. Le omelie, in genere, «La lettera agli irlandesi è un insulto alla nostra fede e intelligenza»
Sul Washington Post la cantante irlandese Sinead O’Connor definisce la recente lettera del papa agli irlandesi «un insulto non solo alla nostra intelligenza ma alla nostra fede e al nostro paese». La lettera di Benedetto XVI dice non contiene «l’unica cosa che potrebbe portare conforto: una piena confessione del Vaticano che ha tenuto nascosti gli abusi. Il papa deve assumersi piena responsabilità per le azioni dei suoi subordinati; se i preti hanno commesso abusi su minorenni deve essere Roma, non Dublino, a rispondere con una indagine criminale». nalistiche su Chiesa e pedofilia. Sui casi che hanno visto non solo preti e religiosi abusare di minori, ma anche le gerarchie ecclesiastiche coprire e insabbiare, privilegiando come ha riconosciuto lo stesso pontefice nella sua lettera ai cattolici d’Irlanda il buon nome della Chiesa alla denuncia pubblica di questi casi. Come se la categoria dei religiosi, macchiatisi di questi reati, potesse godere di corsie privilegiate, di una qualche immunità.
«Chiacchiericcio» sta ad indicare voci indistinte,inconcludenti, futili, distanti da ciò che conta. È così che per papa Ratzinger va considerata la domanda di verità mossagli dalla stampa? È tutto pretestuoso? È un complotto? Benedetto XVI non può non essere consapevole della crisi di credibilità che vive oggi la Chiesa. Come interpretare le sue parole? Il Papa si rivolge direttamente ai fedeli. Quello che è chiaro è l’invito ad avere coraggio e a mettersi nella «sequela di Cristo» percorrendo «i percorsi in salita» della vita umana. «L’uomo ha spiegato può scegliere di seguire Cristo, nella sua ascesa verso Gerusalemme, simbolo della Città celeste, o anche «scendere verso il basso, il volgare; può sprofondare nella palude della menzogna e della disonestà». Una messa in guardia che coinvolge tutti. Compresi gli uomini e le donne di Chiesa.
Inizia la Settimana Santa. Un tempo intenso per la Chiesa, ricco di momenti di grande valore anche simbolico. È tradizione che il Papa il giovedì santo invii il suo messaggio ai preti di tutto il mondo. Il Venerdì della Passione vi sarà la Via Crucis. Domenica di Pasqua vi sarà il ringraziamento e la sua benedizione solenne Urbi et orbi. Si attendono le sue parole.

Repubblica 29.3.10
Scelta dal cardinale Schoenborn Il Papa: non ci faremo intimidire
Preti pedofili Vienna affida il "processo" a una donna
Il Papa: "Non ci faremo intimidire". E il cardinale Martini scrive: "Ripensare il celibato"
La democristiana Klasnic a capo dell´inchiesta Svizzera: "Serve una lista nera"
di Marco Ansaldo e Andrea Tarquini

Ogni ora che passa la situazione si fa più grave, più vicina a una Stalingrado della Chiesa cattolica, per l´Europa centrale di lingua tedesca da cui viene papa Benedetto XVI. Nella cattolica Austria l´arcivescovo di Vienna, Christoph Schoenborn, ha annunciato che affiderà le indagini sui casi presunti o reali di abusi pedofili compiuti da sacerdoti a un team laico guidato da una donna, un´illustre star cristiana ma laica della politica. Nella vicina Svizzera, la presidente di turno della Confederazione, signora Doris Leuthard, ha chiesto di stilare una lista nera pubblica dei preti pedofili, perché «il reato è gravissimo e chiunque lo compia va punito, non fa nessuna differenza se prete o laico, tutti sono sottoposti alla legge elvetica».
Austria e Svizzera, due paesi centroeuropei tradizionalmente conservatori e abituati alla prudenza, scelgono insomma la tolleranza zero. Intanto in Germania, "Wir sind Kirche" (La Chiesa siamo noi, cioè il più forte movimento dei cattolici critici) lancia una battaglia per l´abolizione dell´obbligo del celibato per i sacerdoti proprio nell´approssimarsi della Pasqua. E sul settimanale tedesco Presse am Sonntag, interviene il cardinal Carlo Maria Martini: «Deve essere sottoposto a ripensamento l´obbligo di celibato dei sacerdoti come forma di vita».
La svolta austriaca appare particolarmente destabilizzante, per la strategia di difesa a riccio decisa da Roma. Il cardinale Schoenborn ha deciso di chiamare Waltraud Klasnic, ex governatrice del Land della Stiria, come capo della commissione indipendente d´inchiesta sugli abusi sessuali contro minori nelle istituzioni cattoliche. «Vogliamo fare chiarezza sulle colpe della Chiesa, e affidarla a una persona al di sopra delle parti», ha spiegato l´arcivescovo di Vienna. Frau Klasnic dovrà formare un suo team di inquirenti, le sue indagini saranno finanziate dalla Chiesa ma le sarà garantita totale indipendenza. Una sola condizione le viene posta: per la sua commissione d´inchiesta potrà scegliere chi vorrà, ma nessun ecclesiastico. «Tra i suoi compiti ci sarà anche il tema dei risarcimenti alle vittime», ha sottolineato Schoenborn.
In Vaticano ieri, con la Messa delle Palme, il Papa ha aperto le celebrazioni pasquali. Sarà una Settimana santa particolarmente intensa per il pontefice, che si avvia a compiere 83 anni, e difatti Benedetto XVI per la prima volta non ha guidato la processione sacra a piedi, optando invece per un percorso fatto a bordo della papamobile. Una scelta, ha spiegato il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, senza negare le probabili fatiche dei prossimi sette giorni, che ha reso il Papa più visibile ai 50 mila fedeli che affollavano piazza San Pietro.
Ci sono poi gli strascichi del caso pedofilia, e le parole pronunciate da Joseph Ratzinger durante la funzione li hanno in parte echeggiati. Da Dio - ha detto il pontefice - viene il «coraggio che non si lascia intimidire dal chiacchiericcio delle opinioni dominanti». Cristo - ha detto ancora - conduce «verso la bontà che non si lascia disarmare neppure dall´ingratitudine». E l´uomo può scegliere di seguire Cristo, o anche «scendere verso il basso, il volgare; può sprofondare nella palude della menzogna e della disonestà».
I numerosi impegni della Settimana santa vedranno Benedetto XVI celebrare il 2 aprile il quinto anniversario della morte di Giovanni Paolo II. Giovedì messa al mattino con il clero di Roma e la sera in San Giovanni in Laterano dove avrà luogo il rito della Lavanda dei Piedi. Venerdì il pontefice presiederà la Passione, e in serata la Via Crucis al Colosseo. Sabato notte la Veglia di Pasqua, la liturgia più importante e lunga dell´anno. E il giorno dopo, festa di Pasqua, con la grande messa a San Pietro, la lettura del tradizionale Messaggio e infine la Benedizione "Urbi et Orbi".

Repubblica 29.3.10
Ossessionato dal sesso
"Quelle violenze nello sgabuzzino il mio calvario con padre Murphy"
Una delle vittime nell´istituto dei sordi: insabbiate le denunce
di David Callender e Laurie Goodstein

Il prete pedofilo pensava sempre a far sesso con i bambini e riuscì a farla franca, ma sarebbe dovuto finire in prigione

Erano sordi, ma non rimasero in silenzio. Per decenni, un gruppo di uomini che da bambini avevano subito abusi sessuali da parte di padre Lawrence Murphy in una scuola per sordi del Wisconsin denunciò che quell´uomo era un pericolo per i bambini. Lo dissero a preti, a tre arcivescovi di Milwaukee, a due dipartimenti della polizia distrettuale e al procuratore. Lo fecero col linguaggio dei segni, dichiarazioni giurate e gesti, ma chi ci sentiva benissimo rimase sordo alle loro denunce. Questa settimana hanno appreso che l´allora cardinale Joseph Ratzinger nel ´96 aveva ricevuto lettere su Murphy in cui l´arcivescovo Rembert Weakland di Milwaukee chiedeva «una risposta riparatrice da parte della Chiesa». Il Vaticano insabbiò il caso e quando morì, nel ´98, Murphy era ancora sacerdote.
«Quell´uomo sarebbe dovuto finire in prigione per molti anni, ma fu fortunato», dice Steven Geier, una delle vittime di Murphy. «Mi dicevano che non potevo toccare le bambine. E a lui chi dava il diritto di fare quello che faceva? Padre Murphy pensava sempre a far sesso con i bambini e riuscì a farla franca». Geier, entrò nella scuola per sordi St. John´s di St. Francis, in Wisconsin, quando aveva 9 anni. Oggi che ne ha 59, racconta che, tra i 14 e i 15, padre Murphy lo molestò quattro volte in uno sgabuzzino della scuola dicendogli che Dio voleva che gli insegnasse il sesso, ma che non doveva parlarne perché era sotto il sacramento della confessione. Geier si sentì male. «Al mattino, mentre distribuiva l´ostia, pensavo a quanti ragazzi aveva toccato con quelle mani e a tutti i germi, alla sporcizia delle sue mani». Murphy potrebbe aver molestato fino a 200 ragazzi in quella scuola tra il ´50 e il ´74. Geier tentò di raccontarlo per la prima volta nel ´66, quando aveva 16 anni, a un sacerdote della sua parrocchia. Ancora adolescente lo raccontò a un altro prete e a un terzo quando si sposò. Quest´ultimo, padre Tom Schroeder, lo disse a una suora che ne parlò a sua volta alla suora responsabile del dormitorio della St. John´s, ma quest´ultima non ci credette.
Nel corso di un procedimento legale contro l´arcidiocesi di Milwaukee, è venuta alla luce una corrispondenza interna della Chiesa. In una lettera, padre David Walsh, che fu cappellano dei sordi a Chicago, scrive che alcuni studenti della St. John´s gli hanno parlato degli abusi subiti da padre Murphy tra il ´55 e il ´63 e di averlo detto all´arcivescovo di Milwaukee Albert Gregory Meyer, il quale mandò padre Murphy in ritiro e poi lo riammise per sanare «il male che aveva fatto». Negli Anni ´70, un gruppo di ex-studenti che seguiva un corso d´orientamento professionale a Milwaukee raccontò di Murphy ai responsabili. Tra loro c´era John Conway che raccolse le dichiarazioni giurate di una ventina di ex-allievi. Venne concesso loro un incontro con l´arcivescovo William Cousins. Trovarono una stanza piena di gente, tra cui lo stesso Murphy. Arthur Budzinski e Gary Smith, due vittime di Murphy, ricordano di aver visto l´arcivescovo Cousins urlare, mentre Murphy fissava il pavimento. Gli venne detto che Murphy, principale procacciatore di fondi, era troppo importante per essere mandato via. Erano scandalizzati. Andarono al dipartimento di polizia di Milwaukee dove dissero che il caso non rientrava nella loro giurisdizione, poi a quello di St. Francis dove si trova la scuola. Poi all´ufficio del procuratore distrettuale della contea. «Un prete criminale era un ossimoro per loro», dice Conway. Fu solo quando intrapresero le vie legali che l´arcidiocesi sospese padre Murphy dalla St. John´s. La denuncia venne ritirata. Smith ricevette un risarcimento di 2mila dollari. Murphy continuò a lavorare nelle parrocchie e nelle scuole e a portare i giovani in ritiro nella diocesi di Superior ancora per 24 anni.
(© New York Times-la Repubblica
Traduzione di Luis E. Moriones)

Repubblica 29.3.10
Nell´inno russo vietato togliere Dio
Gli ultimi eredi del vecchio Pcus volevano togliere il riferimento religioso nelle strofe scritte da Mikhalkov Ma in Parlamento sono stati sconfitti. Soprattutto grazie a Putin, sempre più vicino alla Chiesa ortodossa
"Il Signore ci ha sempre protetto" e nell´inno Dio batte i comunisti
di Nicola Lombardozzi

Il premier appare spesso alle funzioni religiose. E ha già restituito diversi beni ecclesiastici requisiti negli anni dell´Urss
Le ragioni del governo: "Qualsiasi modifica che non tenga conto del contesto storico può stravolgere il contenuto generale"

È Dio che protegge la Russia. Su questo il governo Putin non vuole sentire ragioni e ha deciso di dare un dispiacere ai comunisti bocciando senza appello la loro richiesta di togliere la parola Dio dall´inno nazionale. In compenso ha fatto felice il patriarca ortodosso Kiryl che da novembre, da quando la richiesta era stata avviata, premeva per scongiurare la riforma usando toni apocalittici: «Tutte le volte che Dio non ci ha protetto sono stati versati fiumi di sangue». E´ un altro passo di una evidente strategia di avvicinamento alla Chiesa che di questi mesi ha suscitato molte speranze nei cristiani di Russia e sollevato invece le preoccupate lagnanze dei sostenitori del laicismo assoluto. A cominciare dalle ormai frequenti apparizioni alle funzioni religiose del premier che si mostra alle telecamere raccolto in preghiera, per non parlare degli annunci di clamorose restituzioni milionarie di beni ecclesiastici requisiti negli anni dell´Urss, ultima quella del monastero di Novodevici perla dell´arte russa e meta turistica obbligata della capitale.
Interessi economici dunque, e aree di influenza politica, dietro all´ennesima battaglia per l´inno combattuta tra parlamento e commissioni governative in questi ultimi mesi. La richiesta comunista, presentata alla fine dell´anno scorso, riguardava una strofa del nuovo testo scritto dal poeta Sergej Mikhalkov, padre del famoso regista Nikita. Laddove l´inno recita: «La terra natìa protetta da Dio» i comunisti proponevano di inserire: «Protetta da noi». «Il nostro è un paese laico – aveva spiegato il deputato Boris Kascin alludendo ai comportamenti recenti di Putin – Abbiamo grande rispetto e comprensione per i fedeli ma non dimentichiamoci che in Russia la Chiesa è separata dallo Stato». La Duma, divisa tra credenti veri e dell´ultima ora e anticlericali di ferro, ha rinviato la palla al governo: la modifica comporterebbe comunque delle spese molto elevate, andrebbero cambiate registrazioni, spartiti, libri di testo, ci vuole un parere del premier. E il parere è arrivato per bocca del vice premier Sergej Sobjanin: «Il testo dell´inno è opera poetica. Qualsiasi modifica che non tenga conto del contesto storico e culturale può stravolgere il contenuto generale».
Non è la prima volta che l´inno nazionale russo è al centro di mutamenti storici e politici. L´inno storico dell´Unione Sovietica, musicato da Aleksandr Aleksandrov per Stalin nel ´43, subì la prima mutilazione nei primi anni della destalinizzazione quando Krusciov ordinò di tagliare senza dare troppe spiegazioni una strofa che cominciava a diventare un tantino imbarazzante soprattutto all´estero: «Noi che siamo stati allevati da Stalin…».
Alla fine dell´Urss nell´ansia di cancellare ogni traccia di antico, Boris Eltsin decise di far adottare alla Russia un inno nazionale totalmente diverso , un brano senza parole dell´opera lirica di Mikhail Glinka "Una vita per lo zar". Esperimento di breve durata perché nel 2000 proprio Putin volle reinserire il glorioso inno sovietico, prima senza parole e poi con un testo rielaborato dallo stesso Mikhalkov autore delle parole originali. Un sapiente rimescolamento con l´epurazione di alcuni termini giudicati "sovietici" e anche alcuni riferimenti troppo enfatici a Lenin. E con l´inserimento della parola Dio che adesso torna a fare discutere.

Repubblica 29.3.10
Contro Darwin e i suoi apostoli
“Io laico critico la selezione naturale”
L´intervista/Lo scienziato Piattelli-Palmarini e il libro che attacca Dawkins, Dennett e Pinker

"Tanti hanno applicato quel concetto in modo totalizzante"
"Persino il padre dell´evoluzione sapeva di non aver chiarito tutto"

NEW YORK. Professore, ma come si fa a intitolare un libro Gli errori di Darwin, oggi, qui in America, in piena polemica creazionista? E si figuri che cosa succederà in Italia. Lei dice che è una lettura laica e scientifica: ma non teme di finire strumentalizzato?
«Guardi, basta con questa storia che a dire la verità si fa il gioco dell´opposizione...».
Ce ne freghiamo del politicamente corretto: questo si può dire?
«Magari in un modo un pochino più garbato».
In modo garbato, Massimo Piattelli-Palmarini, fisico e biologo, uno dei più grandi cognitivisti del mondo, professore all´Università dell´Arizona, e Jerry Fodor, il filosofo e studioso del linguaggio, hanno fatto a pezzi la selezione naturale nelle 264 pagine di What Darwin Got Wrong, il libro che a metà aprile Feltrinelli tradurrà appunto con Gli errori di Darwin e che dalla Boston Review al Guardian è già un caso mondiale. Perché se crolla la selezione naturale crollano anche le traduzioni culturali del darwinismo. «Proprio quello che ci ha spinto a scrivere questo libro. Il fastidio enorme provato per anni verso i neodarwiniani in psicologia, in sociologia, nella filosofia del linguaggio, della mente: in tutti i settori delle scienze umane».
Facciamo dei nomi.
«La sacra triade. Daniel Dennett, filosofo americano. Richard Dawkins, biologo inglese. Steven Pinker, canadese, psicologo ad Harward. I tre corifei del neodarwinismo».
Che cos´è che non va nell´evoluzione?
«Per carità: l´evoluzione è un fatto. Non è più un ipotesi ma è un dato acquisito. Il problema sono i neodarwiniani che con la selezione naturale pensano di poter spiegare tutto».
Riproviamoci: cosa c´è che non va nella selezione naturale...
«Primo. I cosiddetti vincoli interni. Come avviene l´evoluzione biologica? L´evo-devo ha scoperto che i geni sono sostanzialmente quasi sempre gli stessi da centinaia di milioni di anni. Altro che babbuini: dividiamo tutto con i moscerini e i topi. Naturalmente maggiori sono i vincoli interni e maggiore è la struttura genetica che condiziona lo sviluppo. Minore è quindi l´importanza della selezione naturale».
Punto due.
«Fisica e chimica ci dicono che i principi di autorganizzazione comuni a tante specie non hanno niente a che fare con la selezione naturale. La legge di gravitazione, per esempio: è una legge della fisica. C´è una storiella che spiega bene l´atteggiamento dei neodarwiniani che non si arrendono. Il bambino chiede al babbo: come mai, quando li si lascia andare, gli oggetti cadono a terra? E il babbo neodarwiniano: perché quelli che tendevano a volare in alto sono stati persi dalla selezione naturale».
Punto tre.
«Due grandi evoluzionisti come Jay Gould e Richard Lewontin l´hanno chiarito da tempo: tratti tra loro molto diversi spesso si sviluppano insieme. Impossibile dire quale è stato selezionato e quale si è solo accompagnato».
Allora questa selezione naturale non spiega un bel niente?
«Attenzione: ogni anno ci dobbiamo rivaccinare perché i virus mutano, e mutano a loro vantaggio e non a nostro. La selezione naturale è una realtà: ma non è il motore delle specie nuove».
Riassunto: l´evoluzione è un dato di fatto, la selezione naturale esiste, ma non è il motore dell´evoluzione.
«Non è il motore della speciazione: della creazione di specie nuove. L´affinamento delle specie sì. La creazione di sottospecie sì. Gli unici esperimenti di evoluzione per selezione naturale hanno portato alla creazione di sottospecie. Da un tipo di moscerino della frutta viene creata la sottospecie di moscerini della frutta. Da un tipo di ranocchio un sottotipo. Ma sempre di ranocchie e moscerini si tratta».
Quindi la selezione naturale non spiega il principio ultimo?
«Non spiega l´evoluzione biologica. Non spiega la creazione delle specie. Noi usiamo una metafora: la selezione naturale è l´accordatore di pianoforti ma non il compositore di sinfonie».
Scusi, e il compositore chi sarebbe?
«Tanti. Via la selezione naturale non è che c´è un solo altro principio che lo sostituisce: i meccanismi sono molteplici».
E invece i neodarwiniani continuano ad applicare quel concetto onnicomprensivo al resto della scienza.
«Prenda la semantica. Daniel Dennett spiega il linguaggio con l´adattamento, i bisogni essenziali, la riproduzione, il cibo. Una balla enorme».
Richard Dawkins?
«The God Delusion è un libro infausto. Io sono ateo, integralmente ateo. Ma sbeffeggiare la religione nel nome di Darwin è una cosa infame».
E Steven Pinker?
«Il campione della psicologia neodarwiniana. Spiega tutto con i geni: dall´omicidio alla gelosia».
Professore, lei vive in America e sa bene che i giornali sono pieni di questo tipo di interpretazioni scientifiche. Così ci smonta tutto.
«Ma se io le offro una teoria neordarwiniana, che posso dire?, della omosessualità, è chiaro che il giorno dopo ho la prima pagina del New York Times. Se invece le dico, vattelapesca, fattori molteplici, eccetera, io non vado né in prima, né in seconda, né in trentesima pagina».
Che peccato.
«Altro caso famoso. Le violenze all´interno della coppia, delle famiglie. La violenze dei padri sulle figlie adottive. La storia darwiniana spiega tutto. Gene contro gene...».
E che cosa cambia quando spostiamo la selezione naturale dal piedistallo?
«Si reintroducono le scienze sociali: la filosofia, la filosofia del diritto, dell´estetica. Si reintroducono quei grandi temi che per fortuna non sono mai morti».
Non la perdoneranno mai.
«Le faccio già un nome. Giorgio Bertorelle è il presidente della Società italiana di Biologia evoluzionista. Qualche anno fa tentò di far firmare un manifesto agli scienziati di mezzo mondo. Contro di me. Arrivò al mio amico Richard Lewontin. E lui: ma siete completamente matti?».
Figuriamoci adesso che se la prende direttamente con Darwin.
«Un genio, per carità, e forse è un pochettino disonesto criticarlo così, dopo 150 anni. Ma in fondo lo diceva lui stesso che ci sono tante cose che la sua teoria non arrivava a spiegare».
Sta dicendo che a Darwin il suo libro sarebbe piaciuto?
«Beh, sicuramente lui avrebbe capito».

l’Unità 29.3.10
5 risposte da Margherita Hack
di Camilla Furia

1 Ricerca scientifica
I governanti ignorano il ruolo e l’importanza della ricerca scientifica per la formazione e la cultura di base. Occorrono buone scuole e università pubbliche che permettano a tutti di esprimere al massimo le proprie capacità.
2 Cooperazione
In tempi meno bui degli attuali, l’Italia è diventata membro dell’Agenzia Spaziale Europea, dell’Osservatorio Europeo per l’Emisfero australe e del Sem di Ginevra. Se il Governo tagliasse i contributi che l’Italia deve a questi enti, l’astrofisica morirebbe insieme ai suoi ricercatori.
3 Oscurantismo
Oltre al Governo ci si mette contro anche la Chiesa. Penso alla legge 40 che proibisce la ricerca sulle cellule staminali. al testamento biologico, alla vergogna del caso Englaro; far passare per assassino un padre amorevole.
4 Libertà
Da che si parla del Partito delle libertà non ci sono mai state tante violazioni della libertà dei singoli cittadini.
5 Futuro
Avremmo bisogno di una rivoluzione copernicana. Da qui l’importanza della cultura scientifica di base a partire dalle elementari per stimolare alla ricerca che non deve diventare un lusso di pochi.

l’Unità 29.3.10
Intervista a Yariv Oppenheimer
«Coloni e governo vogliono il fallimento del processo di pace»

Chi è
Il pacifista minacciato dagli integralisti
Leader del gruppo storico del movimento per la pace israeliano, è stato parlamentare laburista. Per le sue posizioni contro la colonizzazione dei Territori è stato minacciato di morte dai gruppi più radicali dell’ultradestra israeliana.

L’obiettivo dei coloni oltranzisti e dei loro sponsor nel governo, è chiaro: far fallire ogni possibilità di giungere ad un accordo che ponga fine al dominio israeliano sui territori palestinesi occupati». A sostenerlo è Yariv Oppenheimer, segretario generale di Shalom Achsav (Peace Now). «È ormai tempo – rileva Oppenheimer – che il popolo israeliano alzi la propria voce e dica chiaramente al primo ministro e al suo governo che lo scontro in cui essi si sono impegnati con la comunità internazionale e il deterioramento dei rapporti con gli Stati Uniti, non sono il risultato della volontà di migliorare la reputazione di Israele ma, al contrario, di una miope volontà politica di migliorare la situazione dei coloni e di salvaguardare la stabilità del governo». Il premier Netanyahu dice di non essere contrario ad un accordo fondato sul principio «due popoli, due Stati». Perché «Peace Now» non gli crede? «Perché ogni atto concreto del governo Netanyahu mira a impedire che questa soluzione si realizzi in futuro. La cosa è tanto evidente da aver portato Netanyahu in rotta di collisione con gli Usa, l’Unione Europea, il Quartetto.(Usa, Ue, Onu, Russia, ndr)».
C’è il rischio che attorno alla realizzazione di nuovi quartieri ebraici a Gerusalemme Est possa scatenarsi una guerra di religione?
«Più che di rischio, parlerei di una certezza. Perché tutti sanno che la questione di Gerusalemme, del suo status non riguarda solo i rapporti tra israeliani e palestinesi, ma investe e coinvolge l’intero mondo arabo e musulmano. La valenza religiosa e simbolica della Città Santa è pari a quella nazionale. Dietro le scelte operate dal governo Netanyahu-Lieberman c’è una ideologia integralista, aggressiva che si rifà al mito di “Eretz Israel”, la Sacra Terra d’Israele. L’esatto contrario di quanto professato dai padri fondatori dello Stato d’Israele, dai pionieri del sionismo. La colonizzazione non ha nulla a che vedere con il tema della sicurezza. In questa volontà di sfidare la comunità internazionale c’è tutto l’avventurismo di una destra fortemente venata di oltranzismo nazionalista e di una visione del popolo ebraico come il popolo eletto che ha una missione divina da compiere. Chi è animato da questo furore ideologico non potrà mai concepire o accettare un compromesso con coloro – i palestinesi, i vicini arabi – che considera come il Male assoluto. E in questo lungo elenco di Nemici di Eretz Israel hanno inserito anche il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama».
Netanyahu assicura che le relazioni con gli Usa non hanno subito contraccolpi. «Infatti: hanno subito un terremoto. E non poteva essere altrimenti visto che tutti sanno che i più stretti consiglieri di Netanyahu parlano di Obama come una minaccia per Israele. E ancor peggio pensano di lui i coloni oltranzisti e la destra integralista che indirizza fortemente l’azione del governo. Una cosa dovrebbe ormai risultare chiara: l’attuale governo israeliano non sarà mai disponibile ad un incontro a metà strada tra le ragioni d’Israele e quelle dei palestinesi». I falchi del governo hanno avvertito: liquideremo Hamas...
«L’ho già sentito altre volte. Ma il pugno di ferro ha finito sempre per rafforzare Hamas. La verità è che i falchi delle due parti si alimentano a vicenda. Il loro obiettivo è sempre lo stesso: affossare il dialogo, liquidare ogni chance negoziale. Così seppelliscono la speranza di un futuro normale per due popoli. Un futuro di pace». U.D.G.

domenica 28 marzo 2010

l’Unità 28.3.10
Conversando con Pietro Ingrao
«Regionali? Prova decisiva per assestare un colpo all’egemonia di Berlusconi»
intervista di Bruno Gravagnuolo

Nel resto del mondo
«Obama, la vittoria della gauche in Francia. Solo in Italia siamo ancora in forte ritardo»

Sul Partito democratico
«Bersani è meglio di Veltroni, ma questo partito è più di centro che di sinistra»

«La prova delle regionali è importantissima. E il Lazio e la capitale sono decisivi per assestare a Berlusconi un colpo di portata nazionale. E poi, oltre a Roma, questi sono i luoghi dove sono cresciuto, spesso in mano a reazionari come a Fondi. Perciò tutti al voto e facciamo vincere la Bonino, che stimo molto. Come del resto Vendola, al cui partito penso di dare il mio voto di lista». Novantacinque anni martedì prossimo e appello al voto. Così ci si presenta Pietro Ingrao, materializzandosi nel suo soggiorno di Via Balzani in Roma, dopo una mezzoretta di ritardo «accademico» e mentre osserviamo un ritratto di Vespignani e una marionetta di Charlot appesa al muro. Intervista per uno straordinario compleanno: le 95 primavere di un leader che ha incarnato una delle anime chiave del Pci (l’ingraismo) e che ha inventato l’Unità del dopoguerra, come grande giornale di informazione. Figura del dissenso, e della fedeltà a un ideale: il comunismo. Al quale non smette di credere. Come quando gli chiediamo ad esempio: ma tu Pietro la vuoi l’alleanza con Casini? E lui risponde tranquillo: «Per battere Hitler mi sono alleato anche con i monarchici. Tenendo ben chiara la guida e l’asse fondamentale. Dal punto di vista nazionale e della lotta di classe...». Perciò comunista non pentito e togliattiano, a suo modo ovviamente... Sentiamo il «giovane» Ingrao
Caro Pietro: vittoria della sinistra in Francia e riforma sanitaria di Obama. Due regali che possono allietare i tuoi primi 95 anni, malgrado le tante delusioni?
«Certo, qualcosa si muove nel mondo. Ma in Italia siamo in forte ritardo, rispetto alle novità e alle speranze che ci vengono da un globo ormai da un secolo e più in tempesta. In particolare il ritardo italiano concerne l’assenza di un soggetto collettivo in grado di guidare grandi masse disorientate e in cerca di riscatto. Berlusconi è ancora lì in cima. Anche se l’Italia non se lo meritava proprio uno così».
Molti parlano di un declino di Berlusconi e del suo blocco sociale. Tu che ne pensi? «Vedo gli inciampi in cui si è cacciato questo reazionario. E però tarda a crescere un soggetto collettivo antagonista. Lui ce la mette tutta a farsi danno, ma non c’è l’avversario a contrastarlo. Troppo debole, malgrado le tante forze generose in campo. E la mancata ripresa sta nella divisione politica e nell’insufficiente radicamento politico nei luoghi nevralgici: i luoghi del lavoro. I miei maestri mi hanno indicato che lì andava cercata la risposta, per cambiare l’Italia che aveva tanto patito sotto la borghesia capitalistica e terriera. E da quel contatto sono venute le fortune della sinistra italiana del dopoguerra: dalle lotte degli anni ’60, all’irruzione dei metalmeccanici nel ’69, alle conquiste civili e sociali degli anni ’70».
Tutto ciò è rifluito per la sparizione dei soggetti sociali del lavoro, o per l’incapacità di continuare a vederli quei soggetti? «Prima di tutto c’è stata la controffensiva reazionaria, scattata negli anni ’70 e ’80: Agnelli in Italia, e Reagan e la Tatcher sul piano mondiale. Dopo la vittoria sui fascismi, le lotte del secondo dopoguerra e le conquiste degli anni 70, quella controffensiva ha vinto, sul piano internazionale. Da noi, con gli aspetti meschini del craxismo. Chi dice poi che il lavoro è scomparso dice balle. Quel che è cambiata è la geografia delle forze di classe, a partire dagli scenari globali. È mutata in Asia e in Oriente. Pensa alla Cina, o all’India... di lì vengono cambiamenti grandiosi negli equilibri economici del mondo. Quanto all’Italia, ripeto, pesano le sconfitte degli ultimi decenni. Che hanno portato al prevalere del blocco berlusconiano, sulle divisioni sociali e politiche del soggetto antagonista. Gli operai e i lavoratori subalterni ci sono eccome! Sono invisibili e divisi sul terreno della rappresentanza. Vanno reindividuati con un’analisi nuova. E riunificati politicamente».
Il Pd di Bersani, libero dai teodem, più orientato verso il lavoro e le alleanze, al centro e a sinistra, ti lascia sperare in meglio? «Senza dubbio Bersani è meglio di Veltroni. Tuttavia anche il Pd di oggi resta un partito di centro e non di sinistra. Ci vuole molto di più per rispondere alle questioni sul tappeto. Prima di tutto occorre la costruzione tenace e collettiva di un dialogo tra le forze antagoniste a Berlusconi. Uno schieramento di resistenza. Unito e collegato dall’uno all’altro versante, e ben guidato». Immagini anche tu una sorta di Cln anti-Berlusconi, tra sinistra e forze centriste e moderate?
«Può sembrare un po’ inattuale. Ma quel che suggerisci nella tua domanda mi pare molto giusto: costruiamolo questo schieramento! Non vedo però la volontà sufficiente, per sedersi attorno a un tavolo a ragionare sulle cose da fare e quelle da non fare. Si tratta di adottare una piattaforma concordata per mettere in movimento una dinamica sociale di massa. E questo non c’è ancora.
Ricordo la nostra ossessione unitaria nel ’900, e come quella ossessione si traducesse nel costruire assieme azioni e decisioni. È questo che si è indebolito. Se guardo a sinistra poi, vedo solo frammenti irrilevanti e cose esili... ».
Al tavolo che sogni, la sinistra radicale non potrebbe sedersi. Non c’è più, a parte Vendola. Come mai? «Non possiamo rifare di nuovo tutta la storia di una sconfitta. Però non è che il mondo della sinistra radicale non esista proprio più. Vendola ha storia e futuro dalla sua parte. È un attore nuovo in campo. Benché senza alleati e consistenza attorno. Non credo che neanche Bersani e Vendola messi insieme ce la possano fare a dare la risposta che occorre a Berlusconi». Temi contraccolpi pericolosi per la democrazia, tra crisi di Berlusconi e mancata replica antagonista?
«Berlusconi ne sta già combinando tante e non c’è bisogno di paventare altro. Muoviamoci per allestire uno schieramento unitario. E in fretta!».
E ora parliamo tanto di te, in questo compleanno. Nell’altro secolo volevi la luna. La vuoi ancora o ti sei calmato? «Mi piace ancora molto la luna. E non smetto di guardarla, sognandola per i miei nipoti e pensando a tutta la strada percorsa fin qui, alle battaglie politiche per la liberazione umana. La voglio ancora quella luna, anche nelle sue facce diverse. Quando sono al mio paese, nelle sere d’estate mi affaccio al
balcone e vedo uno spettacolo straordinario. Da una cima di montagna spunta quel volto rotondo, col suo alone. Quando lo guardo mi tornano in mente altri tempi e altre parole. Oppure cose indimenticabili, come i versi di Giacomo Leopardi alla luna. Allora la speranza e la fantasia si riaprono. E ricomincia l’esplorazione dell’inedito, il bisogno di ricominciare. A volte chiamo i miei bis-nipoti e da lontano indico loro la luna con la mano. È il mio contributo “educativo”. Poi toccherà a loro volere la luna».

l’Unità 28.3.10
L’appuntamento
95 anni, tanti auguri Pietro! Mercoledì festa all’Auditorium
«Auguri Pietro!». È il titolo del Concerto

per Pietro Ingrao in programma mercoledì 31 Marzo alle ore 18, all’Auditorium Parco della Musica di Roma (Sala Petrassi). Ci sarà l’Orchestra Popolare Italiana diretta da Ambrogio Sparagna. Con le letture di Anna Bonaiuto e Giovanni Lombardo Radice. Presenta Franca Reggiani. Il giorno prima invece, Martedì 30 marzo, data del compleanno di Ingrao alla Sala della Lupa di Palazzo Montecitorio, è prevista la «Lectio magistralis» di Mario Tronti in onore del festeggiato: «Persona e politica». La lectio, alle ore 11,30, sarà preceduta dal saluto del Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini, alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Ed ecco le tappe biografiche di Ingrao. Nasce a Lenola nel 1915, diventa antifascista nel 1939 e si iscrive l’anno dopo al Pci. Deputato nel 1948 diviene direttore de «l’Unità» e la guida fino al 1957, facendone un giornale completo che mescola attualità, costume, politica, idee e letteratura. Primo comunista a presiedere la Camera tra 1976 e 1979, la lascia nel 1994 dopo aver dato l’addio al Pds. Nel 2004 entra in Rifondazione, ma oggi vota per Nichi Vendola. Il suo ultimo libro autobiografico è «Volevo la Luna»(Einaudi 2006), rendiconto complessivo denso di ricordi e autocritiche.

il Fatto 28.3.10
La porta della libertà
di Furio Colombo

Nessuno di noi finora ha tenuto conto di una domanda che pure dovrebbe apparire urgente e drammatica. La domanda è questa: riuscirà la Repubblica Italiana a rientrare nella normalità democratica senza avere prima capito e detto e denunciato il grave stato di fuori gioco in cui si trovano ormai da tempo in questo Pae-
se tutte le istituzioni? Fino ad ora ha prevalso, se non altro per l’ autorevolezza di chi l’ ha espressa, la persuasione che alcuni episodi separati, non sempre denunciati, non sempre redarguiti, non formino di per sé un comportamento grave e costante e non debbano, quindi, essere affrontati in difesa della Repubblica e della sua Costituzione, come un grave pericolo in atto. Il più delle volte, a parte il silenzio, l’invito ha queste caratteristiche: ci sono due parti che debbono riconciliarsi. Offra ciascuna il suo “passo indietro” e “ i toni bassi” e “il rispetto delle istituzioni”, senza “delegittimare l'avversario”. Questi ammonimenti sono saggi da un punto di vista molto importante: evitare il peggio. Chi li propone, a volte in modo ripetuto e con una preoccupazione che si percepisce molto intensa, questo “peggio” deve averlo intravisto o addirittura vissuto in alcune occasioni rimaste non pubbliche. Va dunque considerato e apprezzato lo sforzo di “evitare il peggio”, tenendo conto, però, che nelle vicende politiche sia nazionali che internazionali, tale intento di scartare un pericolo ha sempre portato a un pericolo più grave. Infatti lo spazio lasciato vuoto da fatti veri non riconosciuti e non descritti ai cittadini, viene invaso, ogni volta, da fatti più gravi e letali. Il lettore può pensare che mi sto tenendo un po’ alla larga. Perciò preciso. Vi prego di notare che dirò le stesse cose che molti di coloro che si oppongono vanno dicendo tutti i giorni, durante i quindici anni di Berlusconi. Ma questa volta lo dico nel modo formulato dalla domanda: se si possa uscire da un pericolo ormai molto grave e imminente fingendo di non vedere, ed evitando di descrivere quel pericolo. Non è ciò che è accaduto a Monaco quando normali e prudenti statisti democratici hanno accettato e avvalorato la finzione di avere raggiunto un accordo con normali e democratici statisti di parte opposta che però erano Hitler e Mussolini? Purtroppo abbiamo imparato che prudenza e saggia cautela non diminuiscono il rischio contro la democrazia. Il modo in cui avvengono le cose oggi in Italia lo conosciamo: un esecutivo, per sua natura pronto nell’ agire e nel reagire (per questo la Costituzione circonda ogni esecutivo di verifiche, contrappesi, controlli, garanzie per i cittadini) e per giunta reso fortissimo dal doppio potere, pubblico e privato, lancia attacchi violenti, con intenzione di piena rottura contro i centri costituzionali di verifica, controllo e garanzia. Alla fine di ogni attacco, complice quasi tutta la stampa (d’ altra parte comprata o succube o spaventata) manca la descrizione di quell’attacco, la portata distruttiva. Persino le intenzioni esplicite, proclamate dal capo di quell’esecutivo che attacca le altre istituzioni, vengono omesse. Qui il problema non è l’ arbitro (mi riferisco con tutto il rispetto al Capo dello Stato) perché il problema non è il rapporto fra maggioranza e opposizione e non è l'eventuale lamentela dell'opposizione.
Qui stiamo parlando di iniziative ripetute di tipo rivoluzionario contro la Costituzione, i suoi organi di controllo, i suoi giudici e le fondamentali leggi della Repubblica tuttora in vigore. In quel punto e in quel momento dell’ aggressione, che è ogni volta un colpo duro e forse finale al muro democratico, c’è l’ ultima, estrema possibilità di difesa della Repubblica.
Vi sono consiglieri, in luoghi autorevoli, che insistono nel suggerire, come unica cura, come unico intervento risolutivo di questo momento grave, una ragionevole e ben visibile equidistanza.
Ma equidistanza da che cosa? La parte offesa di questo tremendo gioco non è l’ opposizione. Il suo mestiere comprende il dare e avere, argomenti duri e aggressivi (vedi la brutalità senza riguardi che i repubblicani americani riservano al loro Presidente, vedi l’impegno senza tregua con cui Barack Obama tiene testa a quell’ offensiva) .
La parte offesa, adesso, in Italia, sono le istituzioni dello Stato, sono i magistrati (tutti), sono le Corti, fino alla Cassazione e alla Corte Costituzionale, sono le authority di garanzia, come quella delle comunicazioni. Quando i giudici si comprano (nei pochi casi in cui si può) o si insultano con modalità di separazione definitiva dallo Stato di diritto, quando cade ogni finzione sull’ appartenenza comune alle leggi fondamentali, violandole e annunciandone la soppressione ogni volta che sono un ostacolo, la controparte è la Costituzione, sono le sue radici di libertà, la sua originaria e incancellabile natura antifascista. Questa è la descrizione di una grave e pericolosa situazione politica. Se continueremo a non riconoscerla fingendo di credere che due parti in contrapposizione debbano smettere di delegittimarsi e giungere a più miti consigli, si nega la realtà, si cancellano i fatti, si murano le porte di uscita.

il Fatto 28.3.10
Vendola e Bonino, prove di leadership
Nel Lazio e in Puglia i candidati governatori si sono imposti ai partiti
di Luca Telese

P ensateci solo un momento: quelle di oggi sono elezioni regionali, ma anche, in qualche modo, delle grandi primarie in vista delle prossime elezioni politiche. A destra e a sinistra, infatti, le vittorie dei governatori disegneranno le nomination di nuove possibili candidature. Nel Lazio, che ha regalato al centrosinistra due candidati premier su tre, la vittoria di Emma Bonino disegnerebbe una leadership fortissima, e proietterebbe la leader radicale sulla scena nazionale. In Puglia, la battaglia di Nichi Vendola si è già trasformata in un duello asimmetrico con Berlusconi. Da due giorni i giornalisti chiedono a Masismo D'Alema se il governatore con l'orecchino potrebbe essere un eventuale candidato a Palazzo Chigi: "E perché mai?", risponde lui.
Fughe in avanti? Forse. Ma anche premonizioni che ipotizzano scenari futuri. Lo stesso Pierluigi Bersani, rassicurato dai sondaggi, dopo aver escluso al momento della corsa per la segreteria ogni ambizione di leadership ha confessato a Goffredo De Marchis di La Repubblica di non escludere più una sua possibile discesa in campo. E a cosa lega questa eventualità? Ovviamente al risultato del suo partito alle regionali: se venisse superata la soglia del 30% l’ex ministro tornerebbe ad accarezzare il sogno di una vocazione maggioritaria che fino a ieri sembrava accantonata. Ma anche Pierferdinando Casini ha giocato la sua schedina: se l'Udc risultasse decisiva in tutte le regioni in cui ha scelto un fronte (destra in Campania e nel Lazio, sinistra in Piemonte e Marche, corsa solitaria antiberlusconiana in Puglia) il leader centrista si siederà al tavolo delle opposizioni da vincitore. Se il Pdl crolla Giafranco Fini è tentato dalla scissione. Così come non c'è dubbio che una eventuale vittoria di Roberto Cota, in Piemonte, costituirebbe una spallata anche per Berlusconi soprattutto se accompagnata dal sorpasso (anzi, dal doppiaggio) della Lega sul Pdl nel nord Italia. Insomma, la grande novità è questa: per la prima volta a sinistra esistono delle leadership che prendono forma fuori dal bacino storico del Pci-Pds-Ds. Di più: per la prima volta, delle leadership diversissime, come quella della Bonino e quella di Vendola, si sono affermate contro la volontà e i progetti dei dirigenti del Pd, saltando i meccanismi di partito, la prima con una autocandidatura, il secondo addirittura imponendosi nelle primarie. Così, in Puglia e nel Lazio, gli elettori hanno in mano un voto che corrisponde idealmente a una nomination. E ne sono così consapevoli, i due candidati, che in queste ore drammatizzano il livello dello scontro, come se stessero contendendo il governo del paese, e non solo quello di una regione. Prendete la Bonino. Ieri, sul suo sito, campeggiava un appello al voto firmato nientemeno che da Vasco Rossi. Un fatto raro, visto che, malgrado la storica vicinanza ai radicali, Vasco si è sempre mosso con grande cautela sul terreno della politica. E invece, nel suo messaggio pro-Emma, il rocker di Zocca parlava come Oscar Luigi Scalfaro: "In questo momento così dedicato per le sorti del nostro Paese, nel quale ogni valore ideale e culturale sta disastrosamente illanguidendo scrive Vasco con tono drammatizzante sento il dovere di invitare tutti i cittadini che troveranno sulla scheda elettorale la Lista Bonino-Pannella a votarla". Attenzione: a votare lista Bonino, e non la coalizione. Un altro indizio, sull’anomalia di queste due campagne elettorali. La prima è che la Bonino ha puntato tutto sulla propria lista e sulla tradizione radicale: ha fatto una campagna politica e non amministrativa. Il messaggio non si indirizzava, attraverso la coalizione, all’elettorato storico del centrosinistra, ma puntava, attraverso la sua lista, a raggiungere consensi trasversali (riuscirà?). Il tentativo di Vendola è esattamente l’opposto: "Io sono l’unico vero candidato del Pd", ripete, fin dai tempi delle primarie. Ma intanto le sue due liste (Sinistra e libertà e Moderati per Vendola, capitanata dal'industriale Divella) sono accreditate intorno al 16%, mentre il Pd dovrebbe arrivare al 20%. A Bari, nelle ultime ore, la campagna dei comizi è finita, ma quella via internet prosegue in modo febbrile. Anche questo accomuna la Bonino e Vendola, che hanno messo in secondo piano (anche per motivi di budget) lo strumento dell’affissione, concentrando tutto sulla rete. Il sito di Vendola ha puntato moltissimo sullo streaming, trasformando gli appuntamenti della campagna elettorale in eventi web: per la diretta del comizio conclusivo, a Bari, c’erano connesse 30mila persone . E, allo stesso tempo, il web è stato usato come veicolo per un uso pianificato del merchandising elettorale. L’esempio di scuola, di cui alla fabbrica di Nichi vanno molto orgogliosi, sono le borse da mare e da passeggio firmate con il logo della Fabbrica. La cosa curiosa è la storia di questi oggetti: infatti sono stati prodotti ritagliando gli immensi gonfaloni in tessuto di fibra plastica coloratissima che sventolavano nelle città con le poesie della campagna fino a che la legge elettorale lo ha reso possibile. Poi gli striscioni sono stati deposti, e invece di essere smaltiti come rifiuti riconsegnati, dalla società affissioni, a una cooperativa di carcerate che ha cucito i modelli. Nel web e oltre i partiti: Emma come una nuova Hillary, Nichi come un piccolo Obama.

Repubblica 28.3.10
Attenti alle illusioni. Potere, brutta bestia
Bertinotti, 70 anni tra lotta e lusso "Quelle sofferenze dentro al Palazzo"
L’ex presidente della Camera: Vendola speranza della sinistra
intervista di Antonello Caporale

Se pure domani il centro-sinistra va bene nelle urne, l´orizzonte resta chiuso
Sì, il 2 Giugno l´ho patito. Il potere è una brutta bestia, bisogna saperla cavalcare

ROMA - Conta la fantasia. La torta per i 70 anni di Fausto Bertinotti era bipiano, color cioccolato, con un grande cavalluccio al posto delle candeline. E contano gli spazi. L´ex presidente della Camera ha festeggiato qualche giorno fa nel meraviglioso giardino di casa D´Urso, punto di confluenza del potere capitolino affluente, danaroso, mangione, sempre in ghingheri.
Perorare le cause dei proletari ma santificare le feste con i possidenti. Solo a lei è riuscita questa magia.
«La domanda ha un senso. Ma ha bisogno di una premessa. Quando vivevo a Torino, nei quindici anni di sindacato, mai una volta mi sono trovato a tavola con i padroni. Gli Agnelli erano lì, noi qui. Cambiata città, e cambiato ruolo, ho ceduto alla curiosità, all´intrigo. A capire, conoscere, promuovere un diverso punto di vista».
Ah, ricordo: la voglia di contaminazione.
«Con questa parola nel passato ho sbrigato facilmente la questione, lo ammetto».
Ma tutte quelle foto, quelle dame abbronzate a colpi di lampade, quei gioielli performanti.
«Essere ritratto in quei momenti la considero una violenza, non mi piace affatto».
I militanti hanno sempre retto bene il peso delle cronache di gossip: «Ecco Bertinotti con Valeria Marini! Elegante, fa il baciamano alla contessa...».
«Mai nulla mi hanno rimproverato. Magari pensavano: questo è fatto strano. Tenga presente che nei miei discorsi coniugavo Marx con San Paolo. Consideravo centrali le lettere ai cristiani. Alle stranezze erano abituati».
Adesso è un ex. Tutti gli ex in genere si annoiano.
«Libero di non crederci ma momenti di irrefrenabile inquietudine, quando non di vera e propria noia, mi prendevano prima, in alcune interminabili riunioni di partito, o di recente alla Camera. Mi rifugiavo nella lettura di un libro, sfogliato sottobanco».
Il potere è patimento?
«Quando penso che sono stato obbligato a festeggiare il 2 Giugno con la sfilata delle forze armate, il patimento si fa intenso, sì. Quel giorno misi alla giacca l´arcobaleno della pace: segnalava la mia difficoltà ad essere lì, a presenziare in nome della Repubblica. Non la felicità di esserci».
Sulla densità del patimento bisognerebbe approfondire.
«Intendiamoci, il potere è una brutta bestia che bisogna saper cavalcare. Adesso mica vorrà pensare che insomma quel ruolo pubblico mi angustiasse?».
Ecco, non l´angustiava.
«Ma vedermene privato non mi ha reso affatto disperato. Anzi ha liberato energie, piegato tutto me stesso alle passioni di una vita. Adesso mi dedico alla cura di un bimestrale: "Alternativa per il socialismo". Curo delle lezioni di diritto costituzionale all´università di Perugia».
Fa cose e vede sempre gente.
«Faccio le cose che mi piacciono».
Con le idee di sempre.
«Con quelle».
Tanto la sinistra non esiste più. O quasi.
«Il dominio berlusconiano ha provocato quel che si vede. E adesso che si coglie la fine della sua egemonia, che è nei fatti, ecco si scorgono maestose le macerie, i detriti di una lunga stagione in cui la passione è svanita, le parole si sono perse, una comunità disintegrata in tante singole e disperate solitudini».
Ottimista.
«Guardi: è possibile che domani il centrosinistra non arretri, anzi colga persino un qualche successo. Questo fatto non sposta di un millimetro la valutazione. La prospettiva resta buia, chiuso l´orizzonte».
Servono parole nuove. E uomini nuovi.
«Servono idee e nuove parole e un nuovo sentimento. Serve Nichi Vendola».
Magari Vendola diffida dei suoi consigli.
«E fa bene. Io comunque mi auguro che il suo lavoro, la sua fabbrica faccia da calamita, raccolga il consenso attraverso un moto contrario a quello immaginabile: succhiandolo dal centro verso la periferia. Una calamita che destrutturi le oligarchie, e ricomponga attraverso la democrazia integrale, il nuovo altrove».
La democrazia integrale?
«Una testa un voto. Per davvero».
Chissà.
«L´augurio è che ci riesca. Sono un uomo del Novecento e sono vecchio anch´io. Però sento che è urgente».
È urgente che Nichi si muova. Solo lui?
«Penso a lui, perché rappresenta l´area più vicina a me. Altri, o altre, facciano lo stesso dalle loro parti».
Altre. Un´opa congiunta di Vendola e Bonino sulla sinistra?
«L´opa no, è una figura che non rende la mia idea. Ed Emma Bonino è più lontana da me. Però qualcuno ha la calamita in mano. Ed è tempo che la metta alla prova».

Repubblica 28.3.10
L’America processa il Vaticano "Deve rispondere degli abusi"
Pedofilia, due tribunali chiamano a deporre i vertici della Santa Sede
Oregon e Kentucky estendono le responsabilità oltre le diocesi locali: è la prima volta
Così le richieste di indennizzo potrebbero colpire le finanze dello Stato Pontificio
di Angelo Aquaro

ROMA - I responsabili vaticani potrebbero essere processati in America. Due corti federali stanno infatti pensando di aprire procedimenti a carico dei vertici della Santa Sede per accertare eventuali responsabilità negli scandali dei preti pedofili. Il portavoce del Papa padre Lombardi: «I recenti attacchi hanno provocato indubbiamente danni ma l´autorità di Benedetto XVI non ne esce indebolita bensì confermata. Riconoscere e fare ammenda di episodi avvenuti anche decenni fa è il prezzo del ristabilimento della giustizia».

NEW YORK - L´America vuole processare il Papa. Due corti federali Usa hanno già ammesso la possibilità di portare il Vaticano sul banco degli imputati. I responsabili della Chiesa potrebbero rispondere di due scandali di pedofilia scoppiati in Oregon e Kentucky. Ma il Vaticano si è già appellato alla Corte Suprema per fermare uno dei procedimenti. E tra lo Stato più piccolo del mondo e l´impero americano è cominciata una trattativa che due settimane fa ha riunito a Washington gli avvocati delle due parti davanti a un pugno di funzionari del governo. La questione sta diventando un affare di stato tra l´America di Barack Obama e il papato di Benedetto XVI. Il Vaticano è considerato dalla legge Usa uno Stato straniero e gode quindi di immunità: com´è possibile renderlo responsabile di fronte alla legge? I due tribunali federali hanno già dato il via libera. E se la Corte Suprema non si pronuncerà entro l´estate davvero potrebbe aprirsi lo scenario inedito di un Papa a processo.
«Vogliamo sapere che cosa e quando il Vaticano ha saputo. Vogliamo conoscere le lettere e le conversazioni tra i vescovi. Vogliamo sapere come il Vaticano ha istruito i prelati. Vogliamo conoscere quello che finora è sempre rimasto segreto: documenti che solo la Chiesa possiede. La chiave della loro responsabilità». William McCurry, l´avvocato delle vittime del Kentucky, vuole andare fino in fondo. La vicenda su cui indaga è una lunga storia di abusi di cui si sono resi responsabili diversi preti dagli anni Venti agli anni Settanta. Il caso dell´Oregon riguarda invece un vittima che sostiene di essere stata abusata nel 1965 da un prete trasferito dall´Irlanda a Chicago e poi appunto a Portland: sempre accompagnato dalle accuse di violenze.
Lo scandalo dei preti pedofili che dagli Usa all´Europa soffia sulla Chiesa entra adesso - con queste rivelazioni del Washington Post - in una nuova fase. Proprio l´America scoperchiò per prima negli anni Novanta quegli scandali sulla pedofilia che portarono scompiglio nelle gerarchie - con la dimissione del cardinale di Boston Bernard Law - e panico nelle casse delle diocesi. E se le richieste di indennizzi milionari toccassero ora il tesoro di San Pietro? Nel caso dell´Oregon, per esempio, i difensori delle vittime hanno argomentato la responsabilità del Papa sostenendo che i preti non sono altro che suoi "dipendenti" sparsi per il mondo. Nella maggior parte dei procedimenti civili il Vaticano veniva finora indicato come una delle parti del processo. Ma i tentativi di perseguire direttamente i vertici della Chiesa erano naufragati tra i costi per il recupero dei documenti e le lungaggini dei procedimenti da seguire.
Per la verità ancora non è chiaro neppure come le migliaia di casi di abusi siano stati gestiti duranti i 24 anni di permanenza dell´allora cardinale Ratzinger al vertice della Congregazione per la Dottrina della fede. Alcuni esperti di diritto ecclesiale sostengono che sia stato proprio Ratzinger a stabilire, nel 2001, che tutti i casi di cui si aveva notizia fossero riportati direttamente a Roma. E molti osservatori, anche qui in America, hanno notato il paradosso che a finire sotto accusa sia ora un Papa che molto più degli altri ha denunciato la "sporcizia" nella Chiesa e proclamato la tolleranza zero verso i preti pedofili.
Dice Jeff Anderson, un altro avvocato: «Per anni la Chiesa è rimasta legalmente impenetrabile: questa è la prima volta che riusciamo a infilare un piede nella porta». Spetterà agli americani oltrepassare la soglia pontificia dell´inviolabilità?

Repubblica 28.3.10
Bufera sul primate d´Irlanda "Ora Brady deve dimettersi"
Una donna denuncia: "Un prete mi ha stuprata da bambina"

LONDRA - Un terremoto sta per abbattersi sulla Chiesa cattolica d´Irlanda. Il Vaticano, preoccupato dall´aggravarsi della crisi, vuole fare cadere altre teste: dopo le dimissioni di monsignor Magee, vescovo di Cloyne ed ex segretario di tre pontefici, la Santa Sede esige ora anche quelle del cardinale Sean Brady, massima autorità cattolica irlandese. Pur avendo espresso rammarico per le sue azioni e promesso di riflettere sul suo ruolo, finora il cardinale ha cercato di conservare l´incarico. Ma secondo indiscrezioni raccolte dal Times, ha i giorni contati: «Solo le sue dimissioni riusciranno a placare la furia ai vertici del Vaticano per il suo ruolo nel proteggere i preti pedofili», scrive il quotidiano londinese. «L´Irlanda ha bisogno di una svolta», confida al medesimo giornale un´alta fonte del Vaticano, «e Brady, ostinandosi a rimanere nella sua posizione, antepone i propri interessi a quelli della Chiesa».
La posizione del cardinale è «insostenibile», deve dimettersi al più presto, afferma un editoriale del Times. Nuove accuse contro di lui sono intanto emerse in Irlanda del nord, dove una donna ha denunciato un sacerdote per averla stuprata quando era un´adolescente e per averle offerto 45 mila sterline (50 mila euro) per comprare il suo silenzio: la vittima ha incluso nella sua denuncia il cardinale Brady, perché il fatto è avvenuto nella sua diocesi. La notizia ha convinto il parlamento autonomo dell´Irlanda del nord (che fa parte della Gran Bretagna) a costituire una commissione d´inchiesta sugli abusi sessuali negli istituti religiosi della regione, simile a quella che ha rivelato l´orrore delle violenze contro migliaia di minori da parte di preti e suore nella repubblica d´Irlanda.
Un influente giornale cattolico irlandese chiede che tutti i vescovi dell´isola siano destituiti, tranne monsignor Noel Treanor, vescovo di Down e Connor, il più giovane vescovo d´Irlanda, che potrebbe diventare cardinale al posto di Brady. Ci sono accuse anche per Benedetto XVI: con un articolo sull´Irish Times, l´ex-primo ministro irlandese Garret Fitzgerald affermando che «il silenzio del papa sul suo ruolo» mina la credibilità della lettera pastorale all´Irlanda.
(e.f.)

Repubblica 28.3.10
Circondato dai suoi principali collaboratori, il pontefice ha dettato la linea: basta imbarazzi, combattiamo
Rispondere ai dossier, colpo su colpo e la Chiesa decide: muro intorno al Papa
Schierati anche i due giornali cattolici con editoriali a difesa della Santa Sede
di Marco Ansaldo

CITTÀ DEL VATICANO - Il concetto chiave viene citato più volte: «guerra». Sta in questa parola, a volte pronunciata espressamente, persino da alcuni vescovi, ma soprattutto nel contrastare quel che significa, affrontando adesso l´attacco come una «sfida» e una «battaglia», il cambio di strategia del Vaticano sul caso pedofilia. Perché, come ha scritto ieri sul sito Internet della sua diocesi il cardinale Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster e primate inglese, «il Papa non è un osservatore ozioso: le sue azioni parlano quanto le sue parole». Così Benedetto XVI, dopo un consulto con i suoi principali collaboratori, tra cui il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, all´ombra della presenza discreta ma solida del suo segretario particolare, monsignor Georg Gaenswein, ha guardato con benevolenza un approccio mediaticamente più combattivo.
In Vaticano il primo momento di shock è ormai passato. I giorni dell´imbarazzo e della difficoltà a replicare alle accuse con sufficiente credibilità sembrano alle spalle. Il portavoce papale Federico Lombardi continua la sua linea tranquilla di rispondere ai dossier pubblicati dai giornali americani, tedeschi, italiani, attraverso comunicati di chiarimento e spiegazione. Ma adesso è il contorno a cambiare. E oltre alla forza d´urto dei due quotidiani vaticani, L´Osservatore Romano espressione della Santa Sede («contro gli abusi sui minori nessuno ha fatto quanto Benedetto XVI», si leggeva sul numero di ieri), e Avvenire il giornale dei vescovi («la posta in gioco rischia di non essere più soltanto la tutela delle vittime ma lo statuto stesso della Chiesa»), sono gli stessi cardinali a fare blocco attorno al pontefice. Le ultime prese di posizione svelano il nuovo approccio con evidenza.
Già aveva cominciato venerdì scorso padre Raniero Cantalamessa, il predicatore pontificio, parlando di «accanimento mediatico» contro il Vaticano e di una «guerra» dalla quale la Chiesa «uscirà più splendente che mai». È stata poi la volta di monsignor Antonio Riboldi, vescovo emerito di Acerra, nel sostenere che gli attacchi al Papa dimostrano che «è in atto una guerra, una guerra tra la Chiesa e il mondo, tra Satana e Dio», dove gli strali contro il pontificato sarebbero rivelatori «dell´indice di odio che si respira».
Quindi è stato il fuoco di fila della classe politica amica a barricare la Santa Sede dietro una cortina spessa di difesa, con l´aiuto, giunto ieri, di focolarini e altri movimenti, come il Rinnovamento nello Spirito, che assicurano a Benedetto XVI «vicinanza e preghiera in questo momento in cui assistiamo al moltiplicarsi di attacchi alla sua persona».
Senza la necessità di aspettare reazioni da parte del cardinale Bertone o del presidente della Cei, Angelo Bagnasco, sono infine arrivati i contributi di due pezzi da novanta, il cardinale americano William Levada, attuale prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, e il cardinale Angelo Comastri, vicario per la Città del Vaticano. Il primo, sulla linea della recente Lettera pastorale inviata dal pontefice ai cattolici irlandesi, ha detto con molta nettezza che «nel trattare i casi di abusi di minori da parte del clero, cerchiamo di essere il più compassionevoli possibile, ma anche fermi e chiari quando necessario». Il secondo ha anche invitato i fedeli a «offrire tutte le preghiere personali e comunitarie, la recita del rosario e dell´ufficio divino per Benedetto XVI in questo difficile momento, affinché la grazia di Dio lo sostenga».
Una difesa a tutto campo, insomma, e una reazione alla «guerra». Con il doppio obiettivo sia di rintuzzare quelli che vengono considerati come veri e propri «attacchi al Papa e alla Chiesa», sia di smontare le accuse di copertura del fenomeno fatte a Joseph Ratzinger per gli anni in cui guidava l´Arcidiocesi di Monaco di Baviera e l´ex Sant´Uffizio, e alle alte gerarchie ecclesiastiche.

Repubblica 28.3.10
Padre Lombardi, portavoce vaticano: "La sua autorità non è scalfita"
"Gli episodi vanno colpiti ma la cura Ratzinger funziona"
Questa campagna mediatica ha creato dei danni. Però non si può non riconoscere lo sforzo di prevenzione
di M. Ans.

CITTÀ DEL VATICANO - Le accuse dei media alla Chiesa sul caso pedofilia «hanno provocato dei danni», ma non hanno «indebolito l´autorità del Papa». In una riflessione fatta al radiogiornale della Radio Vaticana, padre Lombardi, portavoce della sala stampa della Santa Sede e direttore dell´emittente, ha affermato che «l´argomento è di natura tale da attirare di per sé l´attenzione dei media», e che «il modo in cui la Chiesa lo affronta è cruciale per la sua credibilità morale».
Il Vaticano continua a ribattere colpo su colpo le continue rivelazioni di quotidiani, settimanali e tv sugli abusi di minori da parte di sacerdoti. «I casi portati all´attenzione del pubblico - ha osservato Lombardi - sono avvenuti generalmente diverso tempo fa, anche decenni addietro, ma riconoscerli e farne ammenda nei confronti delle vittime è il prezzo del ristabilimento della giustizia e di quella "purificazione della memoria" che permette di guardare con rinnovato impegno, e insieme con umiltà e fiducia al futuro».
La linea della tolleranza zero verso gli abusi, secondo il portavoce vaticano, promossa da Joseph Ratzinger da prefetto della Congregazione della Santa Sede e poi perseguita da Papa, starebbe dando buoni risultati. «Senza indulgere a compiacimenti fuori luogo - ha detto Lombardi citando il 7° rapporto annuale sull´applicazione della Carta per la protezione dei bambini e dei giovani della Chiesa negli Stati Uniti - si deve prendere atto che il numero delle accuse di abuso è sceso nell´ultimo anno di oltre il 30 per cento, la maggior parte delle quali riguarda fatti di oltre trent´anni fa».
Prosegue intanto in Italia l´azione delle vittime. Ieri Roberto Mirabile e Nino Marazzita, presidente e avvocato dell´associazione antipedofilia "La Caramella Buona", parte civile e difensiva al processo contro don Ruggero Conti, ex parroco a Roma accusato di atti di pedofilia perpetrati per trenta anni, hanno annunciato a riguardo la prossima incriminazione del vescovo Gino Reali e di monsignor Carlo Galli. Secondo quanto riportato dall´associazione, «il vescovo Gino Reali nell´interrogatorio del dicembre 2008 al pubblico ministero Francesco Scavo ha ammesso di aver avuto notizie di reato ma che non poteva "dare retta a tutte le parole"». E anche monsignor Carlo Galli, decano a Legnano nel milanese, come il vescovo è ripetutamente accusato dalle vittime «di non aver fatto nulla una volta informato dei fatti».

l’Unità 28.3.10
Lo scandalo era noto a molti, ma Murphy trovava i finanziamenti, perciò non fu rimosso
Il Vaticano vuole le dimissioni del primate d’Irlanda. E i casi si moltiplicano: Brasile, Francia...
«Erano sordi, ma non restarono in silenzio» L’affondo del Nyt
Torna a parlare del «caso Murphy» il New York Times. Fa parlare le vittime: così fu insabbiato. Altri casi di pedofilia. La replica del portavoce vaticano padre Lombardi: l’autorevolezza del Papa non è in discussione.
di Roberto Monteforte

CITTÀ DEL VATICANO Sulla pedofilia terza bordata del New York Times contro la Chiesa cattolica, accusata di aver coperto i preti colpevoli di abusi. Subisce il colpo la Santa Sede che con il suo portavoce, padre Lombardi assicura che la linea della intransigente fermezza contro la pedofilia di papa Ratzinger rafforza l’ autorevolezza e la credibilità della Chiesa.
Dalla Santa Sede
«L'autorità del Papa ne esce non indebolita ma confermata»
Il quotidiano newyorkese torna sulla vicenda di padre Lawrence Murphy, il sacerdote americano che negli anni Sessanta-Settanta abusò sessualmente di circa duecento ragazzini sordi nell’istituto cattolico St John’s di Milwaukee. «Erano sordi, ma non rimasero in silenzio» scrive aggiungendo fatti nuovi. Alcune vittime riuscirono a far sapere esattamente cosa aveva fatto loro padre Murphy a tre arcivescovi di Milwaukee, ma anche alla polizia e al procuratore distrettuale. Ma le loro denunce caddero però nel vuoto. Steven Geier, una delle vittime che oggi ha 59 anni, ha ricordato di
aver raccontato quattro volte le violenze subite dal sacerdote a tre preti e che solo il terzo, padre Tom Schroeder, gli diede ascolto, cercando di far circolare la denuncia. Temendo l’influenza di padre Murphy, Schroeder evitò una denuncia diretta, ma pensò che diffondendo la notizia qualcuno sarebbe intervenuto. Alla fine alle vittime fu detto che padre Murphy, direttore della scuola e procacciatore di fondi, era troppo importante per essere sospeso e che pertanto avrebbe ricevuto solo incarichi amministrativi. Le vittime andarono avanti. Denunciarono alla giustizia il pedofilo. Solo a quel punto l’arcidiocesi lo sospese, mandandolo nella casa della congregazione nel nord del Wisconsin. Ma dopo poco la denuncia fu ritirata e il caso insabbiato: una delle due vittime che aveva denunciato Murphy ricevette un compenso di 2mila dollari. Da allora il sacerdote continuò indisturbato per i successivi 24 anni a lavorare nelle parrocchie e nelle scuole, con i sordi e a dirigere i ritiri per giovani nella diocesi di Superior. Le gerarchie non ritennero opportuno prendere provvedimenti contro di lui. Questa è la seconda puntata sul caso Murphy del New York Times. La prima chiamava in causa l’allora cardinale Ratzinger e il suo collaboratore Tarcisio Bertone che, alla testa dell’ex Sant’Uffizio, hanno affrontato il caso.
LE ALTRE DENUNCIE
Altre denuncie e altre polemiche si aggiungono. In Irlanda tengono banco le dimissioni «volontarie» attese ma non presentate dal primate, il cardinale Sean Brady, arcivescovo di Armagh, accusato di aver coperto da giovane sacerdote alcuni casi di preti pedofili, imponendo il silenzio ad alcune vittime. Sarebbero sollecitate anche dal Vaticano. Giungono notizie di nuovi casi di pedofilia dal Brasile: tre sacerdoti sarebbero sotto inchiesta nello stato di Alagoas, nel nord-est del Paese. Un parroco sarebbe stato denunciato per pedofilia anche in Francia. È un’onda lunga che rischia di minare l’autorevolezza e la credibilità della Chiesa e di Benedetto XVI. Ne è consapevole la Santa Sede.
LA RISPOSTA DEL VATICANO
Ma rassicura padre Lombardi. I recenti attacchi mediatici hanno provocato «indubbiamente dei danni», ma l’autorità del Papa e l’impegno della Congregazione per la Fede contro gli abusi sessuali sui minori non ne escono «indeboliti», ma «confermati». Questo grazie all’ impegno nel «combattere ed estirpare la piaga degli abusi dovunque si manifesti». «Riconoscere e fare ammenda di episodi avvenuti anche decenni fa aggiunge è il prezzo del ristabilimento della giustizia e di quella purificazione della memoria che le permette di guardare al futuro». Sulla «questione pedofilia» la Chiesa si gioca la «sua credibilità morale».

l’Unità 28.3.10
Abusi sui bambini
L’altra faccia della sessuofobia
Colpisce l’insensibilità di Bertone nel caso dei bimbi sordi Per anni si è colpevolmente sottovalutata la gravità criminale dei reati di pedofilia. Reati, appunto, non peccati veniali
di Roberto Carnero

Da cattolico, sono profondamente colpito dalle notizie sui casi di pedofilia che hanno visto per protagonisti numerosi uomini di Chiesa. Casi che emergono oggi, a distanza di molti anni, quando finalmente è stato abbattuto il muro di omertà che li teneva celati. Mi colpisce negativamente soprattutto l’atteggiamento degli alti vertici ecclesiastici, chiamati a confrontarsi con questa realtà.
Se oggi Benedetto XVI sembra essere determinato a fare piena luce su quanto avvenuto, non brillano per sensibilità alcuni dei suoi più stretti collaboratori. Come l’attuale segretario di stato vaticano, Tarcisio Bertone, nel 1998 alla Congregazione per la dottrina della fede (il dicastero allora guidato dal cardinale Ratzinger). Il quale, ricevendo in Vaticano il 30 maggio di quell’anno i tre vescovi dell’arcidiocesi di Milwaukee, dove avevano avuto luogo gli abusi su 200 bambini sordomuti dal reverendo Lawrence Murphy, scartò l’idea di un processo canonico sottolineando (come riporta il New York Times) «le difficoltà che hanno i sordomuti a fornire prove e testimonianze». Se l’handicap era stato indirettamente all’origine dell’abuso (in quanto quei bambini frequentavano l’istituto per non udenti in cui operava il sacerdote abusante), ora esso diventa un presunto ostacolo all’acclaramento della verità.
Tuttavia, a parte il doveroso accertamento delle responsabilità e delle eventuali coperture ed omertà, la vicenda degli abusi sui minori da parte degli uomini di Chiesa dovrebbe spingere i cattolici a interrogarsi seriamente su ciò che sta a monte di questi crimini. Vale a dire la confusione tra i concetti di «reato» e di «peccato» applicati alla sfera sessuale.
Per molto tempo gli abusi sessuali su minori sono stati visti dalle gerarchie ecclesisastiche come peccati di cui pentirsi nel segreto della confessione e non come reati da denunciare. Una sottovalutazione della gravità criminale della pedofilia che è l’altra faccia sessuofobia del clero. Per la Chiesa cattolica per molto tempo la pedofilia è stata vissuta come un semplice peccato contro il sesto comandamento: insieme con la masturbazione, l’omosessualità, i rapporti eterosessuali fuori del matrimonio. Forse sarà il caso di capire, finalmente, che si tratta di tutt’altra cosa.

il Fatto 28.3.10
Il peccato originale
Lo scandalo degli abusi mostra l’opposizione sotterranea al Papa, presente da sempre
di Marco Politi

Papa Ratzinger non piace. Al di là dell’enormità delle violenze impunite commesse per decenni dal clero sui minori, c’è un malumore di fondo dentro e fuori la Chiesa che cerca i canali per mettere sotto accusa Benedetto XVI.
É come il brontolio di un terremoto sotterraneo, che si manifesta con scosse sempre più forti. Non è tanto in discussione la linea rigorosa del Papa contro gli abusi, espressa nella “Lettera ai vescovi irlandesi” e confermata dall’umiliante mea culpa cui ha voluto assolutamente costringere i Legionari di Cristo. Obbligati venerdì ad ammettere pubblicamente l’indegna doppia vita del loro fondatore Maciel, che ha abusato di ragazzi, intrattenuto relazioni con amanti, avuto figli e persino – secondo le testimonianze degli stessi figli Raul e Omar – abusato di loro. Tutto un dossier arenatosi in Segreteria di Stato al tempo di Giovanni Paolo II. C’è qualcosa di più. Sotto accusa è implicitamente – ma nemmeno tanto – la credibilità stessa di Joseph Ratzinger come suprema autorità della Chiesa cattolica. L’istituzione ecclesiastica, in queste settimane, ha avuto un crollo drammatico di prestigio. Tendenzialmente la Chiesa si è sempre presentata e continua a presentarsi come massima istanza morale, che non sbaglia mai. Come guida suprema che tutto sa, tutto capisce, tutto giudica. (Sì, di tanto in tanto si ricorre negli ambienti ecclesiastici alla formula di “casta meretrice”, ma spesso diventa solo un mezzo per chiudere partite imbarazzanti). Con quello che è successo le formulette non bastano più. In Germania il vescovo di Fulda ha previsto che ci vorrà un decennio perché l’immagine della Chiesa riesca a risalire la china. Ma dalle critiche alla Chiesa l’urto polemico si sta spostando verso il simbolo stesso del Papa. Nel sentire di una larga parte dell’opinione pubblica è il suo pontificato a simboleggiare la pretesa di superiorità della Chiesa, il suo carattere di comando dottrinario, la sua pretesa di giudicare cosa è la scienza, cos’è la retta politica, persino qual è la legittima laicità. E allora la ricerca degli scheletri negli armadi vaticani per quanto riguarda l’ultimo scorcio del Novecento (scheletri che ci sono come dimostra in maniera lampante il caso disgustoso di Maciel) si trasforma in un’onda d’urto destinata ad infrangersi contro il ruolo stesso di Ratzinger.
Non è una cospirazione come ritengono istericamente alcuni ambienti ecclesiastici. Stampa e tv – come sempre – sono solo il sensore di movimenti più profondi.
emmai nelle crisi viene alla luce il malumore di fondo di un mondo cattolico sommerso, che non perdona a Ratzinger lo sdoganamento della Messa tridentina, il suo blocco di ogni riforma, le sue polemiche continue contro la “svolta” conciliare. E allora ogni crisi – si tratti della revoca della scomunica al vescovo negazionista Williamson o delle dichiarazioni papali sul preservativo o dei silenzi sugli abusi ai minori – diventa occasione perché esploda il dissenso sotterraneo. L’affiorare qua e là della parola “dimissioni” ne è un sintomo.
Il caso di Monaco è il punto più delicato. É appurato finora che l’arcivescovo Ratzinger partecipò solo ad una riunione in cui si decise di accogliere il prete pedofilo Hullermann senza dargli un incarico. Non c’è un atto a firma Ratzinger, che ne autorizzi il trasferimento in parrocchia, ma esiste un memorandum degli uffici diocesani in cui lo si informa che il prete pedofilo andrà a prestare servizio in una parrocchia. Ratzinger lo ha letto? Non lo ha letto? Sull’esile interrogativo si gioca una partita pesante. Ma intanto quel che conta è che qualcuno dall’interno della diocesi di Monaco o di un’altra struttura ecclesiastica ha consegnato sottobanco alla stampa la documentazione. E questo è il sintomo di una lotta interna. C’è gente all’interno della Chiesa “pronta al balzo” per attaccare il pontefice, confessò sotto shock Benedetto XVI nella sua drammatica lettera aperta ai vescovi di tutto il mondo, allorchè scoppiò il caso Williamson. In ultima analisi Joseph Ratzinger rischia di pagare le conseguenze di un’elezione al papato in cui (per un’improvvisa e ancora non chiarita decisione di papa Wojtyla) era stata stravolta la regola secolare della maggioranza di due terzi necessaria per eleggere un pontefice. Regola che da sempre assicura scelte largamente condivise. Nell’aprile del 2005 era sufficiente invece il 51 per cento dei suffragi. E bastò al blocco conservatore pro-Ratzinger di esibire la maggioranza assoluta per piegare le resistenze dei dissenzienti e acquisire alla fine un voto larghissimo solo di facciata. Ma non si governa un organismo mondiale senza l’adesione profonda di una metà e forse più della comunità. In Vaticano sono consapevoli della gravità della situazione. Il cardinale Comastri, vicario papale per la Città del Vaticano, ha invitato i fedeli a “offrire tutte le preghiere per Benedetto XVI in questo difficile momento affinchè la grazia di Dio lo sostenga”. Personalmente la strategia del Papa è di governare la crisi con calma e sangue freddo. Un commento ufficiale del portavoce Lombardi alla Radio vaticana registra asciuttamente che le polemiche dei media hanno fatto danni, ma che l’autorità del pontefice non è “indebolita, ma confermata”. La lotta contro gli abusi sessuali, viene sottolineato, “è cruciale per la credibilità della Chiesa” e resta prioritario l’impegno a “combattere ed estirpare la piaga degli abusi ovunque si manifesti”. Nella bufera Benedetto XVI sembra reggere il timone.

sabato 27 marzo 2010

il Fatto 27.3.10
Con Emma senza esitazioni
Mi spingo a dichiarare il mio voto per la Bonino, perché in questi anni, nel generale disorientamento, dovunque sventolassela bandiera dei diritti civili, quelli come lei c’erano sempre
di Furio Colombo

Sto per fare ciò che ogni giornale americano, grande e piccolo (questo, ormai lo sapete: è grande) fa puntualmente il giorno prima delle elezioni, locali o nazionali, negli Usa: la scelta del candidato. Ecco la mia scelta: per le elezioni della Regione Lazio (domenica 28, lunedì 29 marzo) voterò per Emma Bonino. E, accanto al suo nome, indicherò la lista del Pd. Un chiarimento. So di scrivere queste righe sul giornale giusto. Ma la dichiarazione è personale. Mi pongo il problema di rispondere, anche da queste pagine, alle persone che mi riconoscono dai tempi dell'Unità e poi delle tante piazze e dei tanti popoli liberi che si battono per la Costituzione (dai girotondini al Popolo viola al movimento di liberazione della Rai) e dai tempi in cui, qualche volta, ti invitavano ancora in televisione, mi accostano in strada e mi chiedono, un po' per provocazione e un po' con ansia: “Ma noi chi votiamo?”.
Posso capire che ventate di disorientamento attraversino la steppa desolata degli elettori italiani da destra a sinistra. Ciascuno ha ragione di sentirsi solo, spaesato, privo di riferimenti che un tempo orientavano.
Io credo che molti a destra sanno benissimo che Berlusconi tiene illegalmente le mani su tutti i punti di controllo dell'informazione di massa. Attacca con violenza anticostituzionale tutte le istituzioni di garanzia. E sono meravigliati che glielo lascino fare, salvo miti e indiretti ammonimenti, mentre lui continua a devastare la democrazia del Paese.
Dal Partito democratico viene, assieme al tentativo giusto e sacrosanto di parlare di lavoro, di disoccupazione, di povertà, di crisi – temi urgenti del tutto esclusi da questa strana campagna elettorale – una sorta di rassegnazione gentile, come dire: lui è fatto così, se lo provochi è peggio.
Solo Marco Pannella, la notte del 25 marzo, da Radio radicale ha trasmesso un messaggio diverso, un grido d'aiuto e di allarme. Diceva: “Attenzione cittadini. Berlusconi ha superato tutti i livelli, tutte le violazioni tentate nel passato. Siamo fuori dalla democrazia non possiamo restare inerti”.
Dico ad alcuni lettori: fermate, vi prego, i consueti pregiudizi a carico del “rompiscatole radicale”, non dite “sempre il solito”, visto che niente è solito in ciò che sta accadendo in Italia, e visto che importanti personaggi di ciò che fu la sinistra lasciano che Bersani si aggiri da solo mentre nelle affollate seconde file i pochi noti ancora in servizio dicono ognuno il contrario dell'altro. Ma per la valanga politica in movimento che travolge sempre più la democrazia mostrano poca attenzione, nessun allarme, e una perenne eventualità di dialogo.
Qui, nel mezzo del peggior periodo politico italiano, troviamo Emma Bonino. Se dite difesa della libertà e dei diritti umani, civili, politici, lei c'è, non ha fatto altro tutta la vita. Persino lo schieramento compatto di tutte le gerarchie religiose (se anche in questi giorni avessero la presenza della Bonino come unica difficoltà da combattere) avrebbe un avversario difficile da screditare, sempre dalla parte delle
persone deboli, isolate e senza aiuto. Per esempio le donne sole. Per esempio Rom e immigrati. Se i temi sono radio, televisione, giornali, presentazione libera e ininterrotta di grandi problemi (come impedire che i mezzi di informazione siano requisiti o inclinati dal peso prepotente di un'unica forza politico-economica) e delle storie individuali da non oscurare (Cucchi, Aldrovandi, Uva). Bonino è attivista che non ha mai fatto soste, non si è mai distratta, neppure per questioni di vita personale o di partito. Se dite: lavoro politico, ci sono due constatazioni da fare: la campagna elettorale è stata tutta sulla Regione, luogo per luogo, problema per problema, e la visione è sempre stata quella di chi sa bene che niente comincia e finisce nel Lazio o in qualunque altra regione, e che il federalismo leghista sarebbe una sciocchezza se non fosse un pericolo.
C' è stata una circostanza rara e fortunata nella vicenda del Lazio. L’avversaria Polverini, mal circondata, male assistita sia dal suo cerchio politico sia da quello privato, è rispettabile e seria. Dunque, nel cuore di una Repubblica distratta, una campagna elettorale dignitosa e senza carnevalate.Maamolti–eachi scrive – è piaciuto il tenace “homework” della Bonino (fare il compito a casa da ostinati secchioni prima di andare in classe) e perciò trova naturale e anzi necessario dire che sarà, fra poco, presidente della Regione Lazio.

Repubblica 27.3.10
La candidata nel Lazio: "Berlusconi è sempre in tv, Rai o Mediaset. È entrato manu militari nella contesa elettorale"
Bonino: "Battaglia all’ultimo voto la campagna va avanti fino a lunedì"
di Laura Pertici

ROMA - «Non mi fate fare pronostici. Bersani ha detto sette a sei per il centrosinistra? Ubi maior, a me va benissimo. Basta che tra le regioni vincenti ci sia il Lazio». Emma Bonino è luminosa. Ma cauta. Passa la sua ultima mattina di campagna elettorale rispondendo nel videoforum di Repubblica Tv.
Stanca della cavalcata di questi mesi?
«No. Anche perché non posso permettermelo, io rimarrò in campagna sino alle 15 di lunedì grazie ad un presidente del Consiglio che fa il telefonista e ora passa dieci minuti con la Rai ora con Canale 5. Berlusconi sta irrompendo manu militari nella campagna elettorale. Quando suona il citofono bisogna stare accorti, potrebbe apparire il suo faccione».
Dice di esser stato costretto ad impegnarsi per i suoi candidati
«Berlusconi è un impunito. Anche io ho ricevuto la sua lettera elettorale, l´ho letta più volte: dice che la sfida è contro l´opposizione che vuole vincere senza farci partecipare. Mi sembra delirante».
Se il centrodestra dovesse perdere Berlusconi dovrebbe dimettersi?
«La logica non è nel Dna di Berlusconi. Le promesse elettorali sì. Non cosa si inventerà adesso, visto che di tasse ha già parlato pur sapendo che invece di abbassarle poi le alza».
Cosa avrebbe risposto al premier se fosse stata punta come Mercedes Bresso sull´aspetto?
«Ha parlato Adone! Questa ossessione di Berlusconi per la bellezza è la spia del suo rapporto difficile con le donne. Sa fare solo battute a sfondo sessuale. Pensa di essere simpatico. È ridicolo».
E l´intervento della Cei, che ha invitato i cattolici ad un voto contro l´aborto?
«Quell´anatema era rivolto a me ma anche a Renata Polverini, che ha sempre difeso la legge 194. Così come gli italiani, che non sono né atei né musulmani».
Pentita di aver contribuito a convertire i talk show in tribune politiche?
«Il regolamento della Vigilanza non prevedeva di abolire i talk show, diceva solo che nel mese precedente al voto la metà degli ospiti dovesse essere composta da candidati regionali. Poi la Rai ha deciso diversamente. Ho trovato sopra le righe le dichiarazioni sugli attentati alla libertà. Tant´è che di elezioni si è parlato altrove e i confronti si sono svolti comunque. Certo, il 70 per cento degli elettori forma la propria opinione in base alla tv».
Appunto.
«Noi radicali, insieme al Pd, abbiamo protestato sino a questa mattina (ieri ndr) davanti a viale Mazzini per i dati scandalosi sui Tg. Dal 20 marzo ad oggi sono ancor più sproporzionati a favore del centrodestra. Il direttore Mauro Masi ha promesso che interverrà per un riequilibrio. Vedremo. E´ anche nell´interesse degli elettori del Pdl, è una questione di regole democratiche».
Perché un elettore di sinistra dovrebbe votare una liberista?
«Io più che liberista sono einaudiana. Non affiderei mai ai privati settori come difesa o carceri. Ma non è sempre vero che il pubblico costa meno ed è efficiente. Il punto è che spesso invece di liberalizzare si privatizza, eludendo controlli e sanzioni».
In che modo si supererà il berlusconismo?
«Interessante che i vostri spettatori mi parlino di berlusconismo e non di Berlusconi. È molto di più del superamento di una persona. Penso però che, nella deriva che ci ha trasformati da cittadini a sudditi, il percorso a ritroso non sarà semplice. Sarà necessario».

Repubblica 27.3.10
L’esponente del centrosinistra scrive una mail agli indecisi. E incassa l’appoggio dei big dello spettacolo e dello sport
Il Pd: "Bonino una guida forte"
di Chiara Righetti

E la Lista Pensionati cambia candidata alla vigilia delle elezioni: appoggiamo l´esponente radicale
Bonino, una mail agli indecisi E Vasco Rossi: "Votate per lei"

Alla vigilia del voto, l´intenzione di Emma Bonino è chiara. «Voglio vincere» ha ripetuto più volte la candidata del centrosinistra nell´ultimo giorno di campagna elettorale, con l´appoggio di Vasco Rossi e Dario Fo («Votate per lei»). E il partito dei Pensionati cambia idea: aveva scelto la Polverini, ora tifa Bonino. Il Pdl, invece, mette in campo i "gladiatori del voto" che nei seggi vigileranno sulla corretta interpretazione delle schede degli elettori pro-Polverini.

Vasco Rossi e Alessia Filippi, Alessandro Baricco e il partito dei Pensionati: da vera "formichina", come ha chiesto di fare ai suoi sostenitori, Emma Bonino continua a incassare consensi. Perché «la scuola radicale mi ha insegnato a lottare fino all´ultimo». Così, mentre il cantautore esorta «i cittadini del Lazio, e in particolare i giovani a votare per Emma», a sorpresa la lista Pensionati sceglie di passare con la radicale. Il motivo? Non solo «il comitato Polverini, che non ci ha aiutato nella raccolta firme - spiega Giovanni Marzolini - : Bonino ha mostrato più spessore. Diamo ai nostri l´indicazione di votarla, possiamo portarle 20mila preferenze». Lei assicura: «Cocciuta come sono, non mollerò di un millimetro: voglio vincere, voglio governare questa Regione».
«Mi rivolgo a coloro che hanno votato a destra e oggi sono confusi da tanta arroganza», dice. Spiega che Berlusconi è stato così «impunito» da spedire pure a lei la lettera "Cara Emma" con l´invito a votare Polverini. La replica è affidata a una mail che sta girando in queste ore: «Ciao, ti chiedo un piccolo aiuto» scrive Bonino, e aggiunge che contro «il tentativo sovversivo» del premier di occupare radio e tv «il messaggio più efficace può venire da te».
Nella lunga diretta su Radio radicale la raggiunge il calore di attori, sportivi, uomini di cultura. Dalla nuotatrice Alessia Filippi («Le persone hanno bisogno di trasparenza. Emma può dare un senso nuovo alla Regione») al «richiamo della foresta» di Silvio Orlando; ma anche Dario Fo, Franco Battiato, Andrea Camilleri, Alessandro Baricco, Serena Dandini, Adriano Panatta, Franca Valeri. Il Pd le tira la volata: «La partecipazione al voto è decisiva - è l´appello del governatore reggente Montino - per proseguire l´opera iniziata. A Roma due anni fa abbiamo cambiato e la città è morta, spenta». «Potendo, Berlusconi arriverebbe a piazzare webcam nelle cabine elettorali: possiamo spegnerlo col voto», esorta il coordinatore del Comitato elettorale Milana. Mentre il presidente della Provincia Zingaretti spiega che «Emma è una garanzia per tutti: di crescita, sviluppo e autorevolezza. E mi auguro vinca anche una battaglia di verità contro i polveroni della destra». Lei ringrazia, ma soprattutto rilancia: «Non so dov´è nata quest´idea che io mi sia candidata per scherzo, passeggiata o testimonianza. Non ho paura di vincere: più conosco questa Regione, più mi rendo conto che ha potenzialità straordinarie». E anche se «della squadra non mi sono occupata per scaramanzia, sono pronta a governare da subito. Col potere il mio unico problema è quello di averne avuto sempre troppo poco». A tenerle compagnia nel giorno del silenzio la poesia in romanesco di Luigi Scardaone, Uil Roma e Lazio: «Se semo stufati de Roma ladrona», esordisce. E conclude: «Mo´ armamo n´casino/ e pe comincià votamo Bonino».

l’Unità 27.3.10
Bonino: ecco come cambierò il Lazio dalla A alla Zeta

«Alfabeto Bonino». È il titolo del libro, a cura di Cristina Sivieri Tagliabue (Grandi passaggi, Bompiani, 14 euro) nel quale la candidata del centrosinistra nel Lazio spiega il suo programma elettorale. Ieri Emma ha, in esclusiva per l’Unità, sintetizzato in un mini-vocabolario i temi del suo alfabeto politico

A come Astensionismo, che fatico sempre a capire, ma domani in particolare.
B come Banda del Buco, o meglio il buco della banda ripianato con grandi sacrifici.
C come Citofono, che se suona potrebbe esserci Berlusconi.
D come Diritti, che abbino alla D di doveri
E come Economia verde, il futuro energetico su cui punto; e come Europa, di cui il Lazio ha molto bisogno.
F come Fede, nella democrazia e nella laicità delle istituzioni.
G come Grazie, a tutti quelli che hanno messo passione in questa campagna.
H come Hi-Tech, perché il futuro del Lazio si gioca sulla sua capacità d’innovare.
I come Illegalità , che ha contraddistinto questa campagna elettorale.
L come Lista Bonino-Pannella; ma anche Lazio, Legalità, Lavoro: tre parole chiave del mio programma
M come Motivazione e Meritocrazia, che dovranno essere alla base di tutte le nostre scelte.
N come Nucleare che nessuno vuole eccetto Scajola.
O come Operazione verità, quella che voglio fare sulla sanità.
P come le Pmi, cuore pulsante dell’economia laziale.
Q come Qualità della vita, che va migliorata nella sua quotidianità.
R come Riscossa, quella che ci deve far risalire la china, a partire dal Lazio.
S come Salute, in cima alle priorità del mio programma.
T come Trasparenza, che ci dovrà essere in ogni settore dell’attività regionale.
U come Urbanistica basata sull’equazione eco quartieri-efficienza energetica-bioedilizia.
V come Valorizzare le potenzialità del Lazio a cominciare dalle sue eccellenze nel campo della ricerca.
Z come Zapping, quella che dobbiamo fare quotidianamente per sfuggire all’invadenza del Premier.

l’Unità 27.3.10
Dario Fo e Vasco Rossi in campo per sostenere la candidata

Vasco Rossi, Dario Fo, Alessia Filippi, Silvio Orlando. Sono i contributi di esponenti del mondo dello spettacolo e dello sport che hanno arricchito la «maratona» oratoria che ha visto protagonista ieri pomeriggio Emma Bonino, impegnata sulle frequenze di Radio Radicale. Un filo diretto durato quasi tre ore nel corso dei quali si sono susseguiti anche collegamenti con Radio Città Futura, Radio Popolare Roma, Ecoradio, Sky Tg24, Rainews24, Current Tv, Radio Radio e YouDem. Rossi, Fo, Filippi e Orlando hanno espresso il loro sostegno alla leader radicale nella corsa alla presidenza della Regione. È stato Massimo Bordin a leggere il messaggio inviato dal «Blasco»: «Invito i cittadini del Lazio a votare Emma Bonino e la lista Bonino-Pannella. Posso garantire onestà, rigore e l'affidabilità di tutti i radicali».

l’Unità 27.3.10
Il tempo è adesso
di Moni Ovadia

Il tempo che ci stiamo lasciando alle spalle è stato un tempo per perdere. Abbiamo ripetutamente perso, anche quando abbiamo vinto. Abbiamo perso perdendo un paese, abbiamo vinto senza vincere un futuro. Abbiamo vinto senza che con noi vincesse la democrazia. Le ragioni di queste sconfitte perdenti e delle vittorie sconfitte le conosciamo: titubanze, pavidità, sfiducia nei propri valori, politicismo senza politica, oppure velleitarismo, autoreferenzialità, delirio identitario, narcisismi e personalismi. Il tempo delle sconfitte mediocri deve volgere al termine, la posta in gioco è troppo alta. Forse era lecito, anche se sbagliato, fare ciò che abbiamo fatto a noi stessi, ma sarebbe infame consegnare il degrado a cui non abbiamo saputo opporci come era necessario alle future generazioni. E’ nostro dovere improcrastinabile entrare nel tempo del vincere, lo dobbiamo al bene prezioso che ci è stato consegnato dalla resistenza antifascista e dai padri costituenti: la democrazia. Lo dobbiamo ai nostri figli e ai nostri nipoti. L’ondata virtuosa che viene dalla Francia dimostra che la sinistra può vincere e riprendere il timone della speranza. Il coraggio di Obama e di Nancy Pelosi mostrano la forza e la superiorità della cultura progressista nei confronti della cultura reazionaria del privilegio. Si può e si deve vincere. Ma perché la prossima vittoria non sia avvelenata dal veleno della disgregazione è necessario abbandonare la logica della furbizia e del tatticismo, è necessario disarmare la vocazione al settarismo ed è vitale ritrovare il coraggio e la lealtà dei propri valori. Il nostro elettorato chiede unità, fermezza, riconoscibilità. Tocca a tutte le forze del centro sinistra sapere fare un passo indietro perché il paese faccia due passi avanti. Il tempo è arrivato, lo ha mostrato la lunga serata dell’informazione libera. Il tempo è adesso!

l’Unità 27.3.10
Secondo attacco del quotidiano Usa dopo quello sugli abusi di padre Murphy su 200 minori
Prove documentate «Ratzinger coprì il prete pedofilo quando era arcivescovo di Monaco»
Il New York Times incalza: il Papa sapeva del caso tedesco
Nuovo attacco al Papa mosso dal New York Times. Con nuovi documenti il quotidiano lo accusa di aver coperto, quando era arcivescovo di Monaco, un prete pedofilo. A Ratzinger si contesta che non sapesse.
di Roberto Monteforte

Non molla la presa il New York Times. Aggiunge un’altra denuncia contro l’attuale pontefice, Benedetto XVI. Un altro colpo alla sua credibilità. Nel 1980 l’allora arcivescovo di Monaco di Baviera e Frisinga monsignor Joseph Ratzinger, avrebbe dato il suo assenso al trasferimento nella sua diocesi da quella di Essen di un sacerdote già accusato di aver abusato di minori, padre Peter Hullermann. Avrebbe dovuto essere curato, sottoposto a terapia psichiatrica, evitando ogni contatto con bambini. Invece gli fu consentito di svolgere «azione pastorale» tra i giovani e tra i minori. Commise nuovi abusi.
LE NUOVE PROVE
Il fatto era già noto. La stampa tedesca lo già aveva sollevato lo scorso 12 marzo. Vi era già stata una puntualizzazione del direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi e una dettagliata nota della diocesi di Monaco che dando conto degli spostamenti compiuti da padre Hullermann, delle sue utilizzazioni, terminava liberando Papa Benedetto XVI da ogni possibile responsabilità. Benché titolare della diocesi Joseph Ratzinger era stato tenuto all’oscuro sulla utilizzazione del «prete pedofilo». Tutta le responsabilità se l’è addossata monsignor Gerhard Gruber, l’allora vicario generale dell’arcivescovo che ha ammesso l’errore e ha chiesto scusa per quella errata decisione.
Una tesi che avrebbe voluto essere di definitivo chiarimento e che, invece, il prestigioso quotidiano newyorchese contesta. Il New York Times con documenti inediti, la cui esistenza sarebbe confermata da due fonti ecclesiastiche, mostra che l’allora arcivescovo sapeva. Con un memorandum sarebbe stato messo al corrente del fatto che il sacerdote sarebbe tornato in parrocchia, anche se aveva appena iniziato la terapia per controllare gli istinti pedofili. Una terapia rivelatasi infruttuosa, visto che successivamente Hullermann fu condannato per aver molestato bambini in un'altra parrocchia. È preciso il New York Times. La vicenda risale al 15 gennaio del 1980. In quell’occasione chiarisce l’arcivescovo di Monaco, Joseph Ratzinger, presiedette una riunione in cui fu deciso il trasferimento del sacerdote e fu tenuto al corrente sulla sua nuova assegnazione.
Replica la Santa Sede con il direttore della Sala Stampa, padre Lombardi. Ribadisce la sua verità la diocesi di Monaco di Baviera. Ma il New York Times si sente forte della documentazione in suo possesso. «L'articolo è frutto di un meticoloso lavoro giornalistico e di documenti, molti dei quali affissi sul sito web del giornale. Alcuni particolari sono stati confermati dalla Chiesa e finora nessuno ha messo in dubbio i fatti di cui abbiamo scritto» replica a padre Lombardi il portavoce del quotidiano. Non avrebbe lanciato una seconda bordata così diretta contro Benedetto XVI senza avere elementi precisi. La prima l’ha lanciata mercoledì scorso. Dal suo sito web accusa il Papa: quando era prefetto della congregazione per la dottrina della Fede avrebbe «occultato» un altro caso di pedofilia, quella del sacerdote del Wisconsin (Usa) padre Lawrence Murphy che dal 1950 al 1974 in una scuola cattolica per sordi avrebbe molestato 200 bambini. Nel 1996 l’arcivescovo di Milwaukee, Rembert Weakland con due lettere aveva denunciato il caso al cardinale Ratzinger prefetto dell’ex sant’Uffizio. Si era ipotizzato un processo canonico segreto. Poi dopo una lettera di «pentimento» inviata al cardinale dallo stesso Murphy questo non subì più alcun processo. La decisione è stata dell’allora segretario del dicastero, Tarcisio Bertone. Era anziano, isolato e malato. Il prete pedofilo morirà dopo quattro mesi senza subire alcuna condanna.

l’Unità 27.3.10
Il Vaticano: tutto falso
Vescovi francesi e inglesi solidali con Ratzinger
La Santa Sede: il pontefice all’oscuro sul caso Hullerman Lettera dell’episcopato di Francia: «Proviamo vergogna e rammarico davanti a questi abominevoli atti»
di R.M.

La Chiesa fa quadrato attorno al Papa. Il portavoce vaticano, padre Lombardi torna a rispondere al New York Times e definisce «una mera speculazione» la notizia riportata dal quotidiano. Nessun coinvolgimento o copertura del pontefice quando era arcivescovo di Monaco di Baviera nei confronti del prete pedofilo Hullerman. Il direttore della Sala Stampa vaticana rimanda alla «smentita pubblicata dall'arcidiocesi di Monaco». In sostanza si conferma quanto detto lo scorso 12 marzo scorso, quando il caso fu sollevato da un quotidiano tedesco. «L'articolo del New York Times non contiene alcuna nuova informazione oltre a quelle che la arcidiocesi ha già comunicato sulle conoscenze dell'allora arcivescovo sulla situazione del sacerdote H». Quindi si «rifiuta ogni altra versione» che sarebbe «mera speculazione».
La Chiesa si stringe attorno a Benedetto XVI. Non potrebbe essere diversamente. Il problema della pedofilia nella Chiesa è un cancro vero da estirpare. È quanto ha chiesto con fermezza lo stesso Papa Ratzinger rompendo omertà, resistenze e sottovalutazioni ancora presenti nella Chiesa. Continuando una battaglia difficile, iniziata da prefetto per la dottrina della Fede con Giovanni Paolo II. Nella sua lettera ai cattolici d’Irlanda il Papa invoca umiltà, oltre a severa autocritica, trasparenza e determinazione nel contrastare il fenomeno, piena collaborazione con le autorità civili. Non sono ammissibili insabbiamenti per il buon nome della Chiesa.
Il Papa si sarebbe spinto troppo in là per alcuni. Sarebbe stato troppo debole per altri. È quello che si respira Oltretevere. La caduta di credibilità rischia di essere verticale e planetaria, man mano che lo scandalo emerge. Questo preoccupa i vertici della Chiesa che si affidano al Papa. Non ha senso parlare di dimissioni di Benedetto XVI. Ma qualcosa è atteso che accada. Intanto si fa quadrato anche attorno alla via della tolleranza zero.
Non ha dubbi l'arcivescovo di Westminster, monsignor Vincent Nichols, capo dei cattolici di Inghilterra e Galles. «La Chiesa non sta cercando di insabbiare nulla» scrive al Times. Ribadisce che il cardinale Joseph Ratzinger «non è stato osservatore passivo» nel caso del prete americano denunciato dal New York Times. Esprime la sua vergogna e la sua rabbia. Annuncia una straordinaria «operazione trasparenza» sulla pedofilia nella Chiesa.
«Vergogna e rincrescimento» esprimono anche i vescovi di Francia. Riuniti nella loro assemblea generale inviano un «messaggio cordiale di sostegno» al Papa. Sono per la fermezza contro i preti pedofili. «Coloro che hanno commesso questi atti scrivono sfigurano la nostra Chiesa, feriscono le comunità cristiane e estendono il sospetto su tutti i membri del clero». Ma denunciano anche le strumentalizzazioni: «Questi fatti inammissibili sono utilizzati in una campagna per attaccare» il pontefice. Si fanno sentire anche i vescovi italiani. «È importante non cedere alla strategia di chi vuole staccare il popolo dai pastori, perché il tentativo è chiaramente questo» dichiara l’arcivescovo di Firenze, monsignor Betori. «È il coraggio del Papa che dà fastidio» commenta l’arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte. «Se ci sarà umiltà, la Chiesa uscirà più splendente che mai da questa guerra!» afferma il predicatore della Casa pontificia, padre Raniero Cantalamessa.

l’Unità 27.3.10
Sondaggi amari Dopo lo scandalo solo il 39% si fida del pontefice. Si teme una fuga di fedeli
Sullo Spiegel duro commento: «Di quanta autorità gode ancora Benedetto XVI?»
Chiesa tedesca, crolla la fiducia
Evocate le dimissioni del Papa
Scoppiato in Germania due settimane fa, lo scandalo pedofilia ha avuto l’effetto di un terremoto sulla Chiesa tedesca. La fiducia nel pontefice è in caduta libera. Lo Spiegel: quando è, per un Papa, tempo di dimissioni?
di Gherardo Ugolini

«Quand’è per un Papa il momento di dare le dimissioni? Di quanta autorità gode ancora Benedetto XVI?». Le domande riecheggiano in un indignato commento del settimanale Der Spiegel, pubblicato nell’edizione online. Nel pezzo, intitolato «Signore, perdona la sua pazienza», si fa soprattutto riferimento alle responsabilità di Joseph Ratzinger negli anni in cui guidava la Congregazione per la dottrina della fede (1981-1996). «Nessuno nella Chiesa era informato più di lui sulla reale estensione degli abusi sessuali» scrive il settimanale di Amburgo.
IL TERREMOTO
E così dagli USA e dall’Irlanda le accuse che coinvolgono direttamente il Pontefice rimbalzano in Germania, nella nazione in cui Ratzinger è nato ha intrapreso la carriera ecclesiastica.
Nessuno poteva immaginare un paio di mesi fa, quando cominciarono a trapelare sui quotidiani di Berlino le prime notizie circa abusi su minori compiuti negli anni ’80 in una prestigiosa scuola di gesuiti, che si sarebbe arrivati a questo punto: la richiesta a mezzo stampa di dimissioni del Papa. Lo scandalo si è allargato a macchia d’olio nell’arco di po-
che settimane. La lettera aperta con cui il rettore del liceo Canisius invitava gli ex allievi a raccontare ciò che sapevano ha funzionato come un detonatore catartico. L’ondata di testimonianze ha travolto il mondo delle istituzioni educative cattoliche.
TUTTI I CASI
Dal Canisius di Berlino all’Aloisius di Bad Godesberg, passando per vari istituti di Amburgo, Monaco, Hildesheim, abbazie come quella di Ettal in Baviera. Clamoroso è stato il caso della scuola dei giovani cantori di Ratisbona per il coinvolgimento diretto di Georg Ratzinger, fratello maggiore del pontefice e per decenni direttore musicale del coro. Il bilancio, certo non definitivo, ammonta a oltre 250 vittime che finora hanno denunciato di aver subito abusi sessuali da bambini all’interno di scuole cattoliche.
FEDELI SOTTO CHOC
Le accuse di omertà e insabbiamento, quando non di complicità, fanno emergere forti malumori nel variegato mondo del cattolicesimo tedesco. Sono lontanissimi i tempi in cui l’elezione di Ratzinger a Papa veniva salutata trionfalmente sulla colonne della Bild col titolo «Noi siamo Papa», che ricalcava lo slogan «Noi siamo il popolo» gridato nelle piazze all’epoca della riunificazione e suggeriva un’identificazione tra l’intera nazione tedesca e il nuovo pontefice. Oggi il rapporto di fiducia tra i tedeschi e le istituzioni ecclesiastiche è in caduta libera. Un sondaggio dell’istituto Forsa dice che solo il 24% dei cittadini si fida di Benedetto XVI e appena il 17% della Chiesa cattolica, con un crollo drammatico consumatosi nelle ultime due settimane. Il quadro risulta ancora più allarmante se si considerano solo i cattolici: tra di loro la fiducia nel Papa è passata dal 62% di fine gennaio al 39%, mentre quella verso la Chiesa è scesa dal 56% al 34%.
Sarà poi interessante verificare la ricaduta che lo scandalo pedofilia avrà sul fenomeno della fuga dei fedeli dalla comunità religiosa, un trend che per altro è già in atto da un po’ di tempo.
Lo scorso anno 120mila cattolici tedeschi hanno deciso di abbandonare la Chiesa, e tutti gli osservatori concordano nella previsione che nel corso del 2010 i transfughi saranno molti di più. La fuga dei fedeli ha risvolti importanti anche sul piano economico, visto il sistema di finanziamento delle confessioni religiose diverso da quello italiano. In Germania non si dirotta l’otto per mille alla Chiesa indicata, ma chi si dichiara appartenente ad una confessione religiosa paga extra una «tassa per la Chiesa», pari all’otto per cento in più delle tasse. Meno fedeli significa quindi automaticamente meno soldi.

l’Unità 27.3.10
Intervista a Franco Cardini
«Da cattolico giudico sbagliato parlare di attacco anticlericale»
Lo storico delle religioni: «Negare che esista l’omertà vuol dire chiudere gli occhi. La Chiesa a disagio nel dare una lettura civica del peccato»
di Umberto De Giovannangeli

Da cattolico, oltre che da storico delle religioni, non mi sento di liquidare le rivelazioni del New York Times come un virulento attacco anticlericale. Così come penso che queste rivelazioni non siano state accolte con dispiacere da tutta la gerarchia della Chiesa di Roma. C'è, infatti, chi chiede una “purificazione” interna, i colpevoli paghino il loro fio, e chi va aldilà e evoca, più o meno esplicitamente, la questione del superamento del celibato ecclesiastico, uno degli ostacoli da rimuovere per arrivare all'unità delle Chiese cristiane». A sostenerlo è uno dei più autorevoli storici delle religioni: il professor Franco Cardini. «Dietro l'omertà di settori della Chiesa in questa vicenda – riflette Cardini c'è anche l'irrisolto problema di una lettura civica del peccato. La Chiesa riconosce il peccato ma non ha ancora definito una sua lettura civica sul rapporto tra peccato e crimine. Il che manifesta la difficoltà della Chiesa a fare i conti con la modernità».
Professor Cardini quale lettura dare della vicenda-pedofilia che sta investendo i piani altissimi della Santa Sede?
«La questione non data l'oggi, semmai c'è da chiedersi perché esploda in questo momento».
E qual è la sua risposta?
«Ha molto a che fare con la rozzezza dei nostri giorni. Non tirerei in ballo l'anticlericalismo. Il discorso è più complesso: in tempi di cultura meno volgare, le polemiche nei confronti della Chiesa avrebbero toccato altri tasti, chiamato in causa altre chiusure o omertà. Davanti a una società massificata, sempre più legata alle Tv e alla Rete ma sempre più rozza, colpisce di più, fa più audience tirar fuori argomenti, in questo caso la pedofilia o gli abusi sessuali perpetrati in seminario, che rientrano in quella curiosità morbosa che è parte di questi tristi tempi. Va anche detto, da storico, che abusi sessuali, pedofilia, stupri, un vissuto violento e deviato della sessualità, sono amplificati nelle società di uomini e donne chiuse, nella società che hanno conventi, seminari così come caserme e quant'altro. Un'amplificazione che risulta ancor più grave, e fondata, quando riguarda religiosi escatologicamente depositari di una Morale che non ammette deviazioni. Mi lasci aggiungere una cosa che mi pare sia stata poco valutata».
Quale, professor Cardini?
«Nessuno ricorda che già nel 2002 i falchi dell'amministrazione Bush, come il vice presidente Cheney tanto per fare un nome, ispirarono gli attacchi contro la Chiesa cattolica per casi di pedofilia che avevano riguardato alcuni vescovi americani. L'intento era di mettere in difficoltà Giovanni Paolo II non certo per una qualche, inesistente, acquiescenza verso i colpevoli, ma perché Giovanni Paolo II era l'unica personalità al mondo di tale spessore che si era pronunciata contro l'infamia dell'attacco americano all'Iraq. Nessun parallelismo con quanto sta avvenendo oggi, ma per dire che, in generale, è cosa buona e giusta guardare non solo la natura dello scandalo ma anche chi lo suscita».
La Chiesa fa quadrato contro le accuse del New York Times...
«Mi sarei meravigliato del contrario, ma questo non vuol dire, che fuori dall'ufficialità, non vi sia chi, dentro e fuori il Vaticano, non si strappi poi le vesti talari per l'esplodere del “bubbone”. Penso a chi invoca una “purificazione” interna e chi guarda più in là e evoca una tematica scottante: quella del celibato ecclesiastico, uno degli ostacoli più rilevanti da rimuovere sulla strada dell'unificazione delle Chiese cristiane. Non va peraltro dimenticato che il celibato ecclesiastico, altra cosa dal dogma della castità, è stato assunto dalla sola Chiesa cattolica e non dalla sua fondazione bensì nell'XImo secolo».
Questa vicenda chiama in causa anche l'omertà presente nella Chiesa su temi scottanti quali la pedofilia e gli abusi sessuali.
«Negare che esista omertà vuol dire chiudere gli occhi di fronte alla realtà. In questo atteggiamento leggo anche un disagio della Chiesa a definire una sua lettura civica dei peccati. Questione che non riguarda solo gli abusi sessuali. La Chiesa ha chiaro cosa sia peccato ma fa fatica a definire una lettura civica del crimine. In questo c'è il timore che i reprobi, se sottoposti al giudizio della giustizia della società temporale, non vengano giudicati per il reato commesso ma per la loro appartenenza alla Chiesa di Cristo. Anche qui c'è un rapporto non risolto della Chiesa con la modernità. Un rapporto che va definito al più presto».

l’Unità 27.3.10
Uno dei sette piccoli violentati dall’ex parroco della periferia di Roma arrestato il 30 giugno 2008
L’inutile pellegrinaggio dai Vescovi che al pm dissero: «Sa, di voci ne arrivano tante...»
E le vittime di don Ruggero bussarono alle porte chiuse
«Non ci sono solo gli Stati Uniti o la Germania«, denuncia il presidente dell’associazione antipedofilia che fin dall’inizio ha seguito il caso, portandolo fin davanti al pm del Sant’Uffizio. «Ora voglio incontrare il Papa».
di Maria Grazia Gerina

«Io ero un bambino piccolo, non conoscevo niente. Stavo alle medie, c’era gente che bestemmiava e io mi andavo a confessare perché solo il sentirle... Ruggero mi fece mettere sul bordo del divano e cominciò a palparmi...».
Ruggero è don Ruggero Conti, ex parroco della Natività di Maria Santissima, nella periferia di Roma, arrestato il 30 giugno 2008 e tutt’ora sotto processo con l’accusa di molestie. Chi parla (a verbale, davanti al pm Francesco Scavo) è invece una delle sette piccole vittime che hanno trovato il coraggio di salire sul banco dei testimoni. Un caso finito su tutti i giornali, anche perché don Ruggero era garante per la famiglia del neosindaco Alemanno, che è stato citato come teste dalla difesa.
«Prima di rivolgerci ai carabinieri, abbiamo bussato a tutte le porte possibili in Vaticano», racconta Roberto Mirabile, presidente dell’associazione La Caramella Buona, che fin dall’inizio ha affiancato le vittime nel percorso di denuncia. È un sacerdote, don Claudio, a contattarlo. Raccolti i primi riscontri, comincia il pellegrinaggio dalle alte gerarchie. Monsignor Rivella, Don Pompili, portavoce della Cei, monsignor Parmeggiani, all’epoca segretario particolare di Ruini, il cardinale Comastri, ora vicario del Papa, padre Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana. «Li abbiamo incontrati tutti, per ultimo monsignor Charles J. Scicluna, il pm del Sant’Uffizio».
È il 18 luglio 2007 (don Ruggero verrà arrestato solo un anno dopo, gli ultimi presunti abusi risalgano al marzo 2008) l’incontro dura circa 45 minuti. «Ci è stato ad ascoltare, poi ha preso i fogli che avevamo portato e si è alzato: “Vado a chiedere se ci sono notizie su questo sacerdote”. È tornato un quarto d’ora dopo, dicendo che non risultava nulla: “Se credete, rivolgetevi alla giustizia”». «Non era certo quello che ci aspettavamo», racconta Mirabile che ora chiede di incontrare il Papa: «Non ci sono solo gli Stati Uniti, mi chiedo come è possibile che non risultasse nulla visto su don Ruggero che all’epoca il vescovo da cui dipendeva era già a conoscenza dei fatti». Gino Reali, il vescovo di S. Rufina, sarà sentito in aula a maggio. Ma il verbale del 1 dicembre 2008 (vedi Il peccato nascosto, ed. Nutrimenti) è eloquente.
Vescovo: «Uno di questi ragazzi mi raccontò di essere stato molestato alcuni anni prima durante un campeggio...».
Pm: «L’episodio non le fece venire in mente che potesse esistere una situazione un po’ delicata?»
Vescovo: «Lei sa bene che di voci ne arrivano tante... Non posso correre dietro a tutte».
A uno a uno il pm passa in rassegna tutti gli avvertimenti.
Vescovo: «Sì, alcuni collaboratori di don Ruggero mi parlarono di un atteggiamento che poteva prestarsi a equivoci, ma non mi riferirono fatti precisi».
Pm: «Magari, forse approfondendo con i ragazzi...»
Vescovo: «Ma vede, dottore, io faccio il vescovo, non è che faccio l’istruttore».
«Noi abbiamo intenzione di sollevare di nuovo la questione del suo ruolo, almeno con la legge canonica», spiega Mirabile, convinto che il vero bubbone che anche il processo a don Ruggero sta facendo scoppiare sia proprio il «silenzio dei vescovi». A Don Ruggero certe accuse erano state mosse prima ancora di diventare sacerdote, quando insegnava catechismo a Legnano. Fu monsignor Carlo Galli a raccoglierle. Ma anche lui non le ritenne importanti. Quanto a monsignor Reali, don Ruggero non era il primo caso che gli veniva segnalato. Nel 2005 lo informarono che un altro prete della sua diocesi don Poveda aveva molestato alcuni ragazzi mandando loro sms piuttosto espliciti. Il vescovo lo fece tornare in Spagna: «Mi promise che sarebbe cambiato», spiega al pm. Quanto a don Ruggero: «Ha sempre spergiurato la sua innocenza, non sono riuscito a ottenere di più.. Noi oggi però abbiamo anche un impegno molto grande, salvare la buona reputazione, non ha idea di quante accuse vengono mosse, le più strane...».

l’Unità 27.3.10
Mons. Girotti «regge» la Penitenziera, fu indagato con la banda della Magliana

Sua Eccellenza monsignor Gianfranco Girotti, attuale reggente della Penitenzieria Apostolica Vaticana, cioè l’alto prelato che il 30 Maggio del ’98, come rivelato dal New York Times, partecipò con Bertone alla riunione che di fatto insabbiò il caso del reverendo Lawrence Murphy, gratta-gratta, è un sacerdote dall’imbarazzante passato giudiziario.
Il Vaticano ha scelto come rappresentante della massima autorità morale della Chiesa, dopo il Papa (in pratica la Penitenzieria è il tribunale che decide su grazie e indulgenze) un uomo che nel 1985 fu inquisito e poi prosciolto perché sospettato di fare arrivare in carcere cocaina, farmaci, radioline e altri oggetti proibiti ai componenti della banda della Ma-
gliana. All’epoca Girotti, che ora ha 77 anni, faceva infatti il cappellano nel penitenziario romano di Regina Coeli. E peraltro nel carcere lavorava a fianco, in qualità di suo aiutante, del noto don Piero Vergari, lo stesso sacerdote che caldeggiò la scandalosa sepoltura del bandito Enrico De Pedis nella basilica monumentale di Sant’Apollinare. Girotti fu formalmente accusato di favoreggiamento personale e interessi privati in atti d’ufficio insieme a un altro ex cappellano, don Pietro Prestinizi, che venne addirittura arrestato: dalle intercettazioni telefoniche la polizia scoprì che padre Girotti parlava al telefono, «apparentemente in amicizia», con Enrico Nicoletti, il “banchiere” della banda della Magliana attualmente sotto processo per associazione mafiosa, mentre Prestinizi conversava con uomini vicini a Pippo Calò. «Non sono in grado di dire, almeno per quanto concerne l’hashish e la cocaina, se padre Gianfranco conoscesse il contenuto dei pacchetti che consegnava. Chi teneva dall’esterno i rapporti con lui era Sestili (un affiliato alla banda, ndr) il quale lo andava a trovare nel suo ufficio presso il carcere e gli consegnava i pacchetti e gli oggetti da recapitare a me e a Lucioli... In uno di questi pacchetti c’era l’offerta per la chiesa... Per quanto ho potuto constatare... dei favori di padre Gianfranco beneficiava anche Massimo Carminati, che era detenuto in una cella contigua alla mia... » dirà Maurizio Abbatino nel suo verbale del 2 luglio 1993. Ad Abbatino, raccontarono i pentii, Girotti avrebbe consegnato di nascosto anche dei semi di ricino: servirono al bandito per simulare una malattia agli occhi, escamotage grazie al quale riuscì ad essere trasferito in una clinica da cui evase.

l’Unità 27.3.10
Verona, stile Usa «All’istituto per sordi il prete mi violentò»

«MI VIOLENTÒ» Bruno è veronese, ha oltre sessant’anni e vive solo. «Avevo 8 anni, un alto prelato mi violentò». È una delle persone sorde, vittime, da adolescenti, di violenze e abusi sessuali a cui sarebbero stati sottoposti da esponenti del clero durante la permanenza all’istituto Provolo. Penalmente, visti i decenni trascorsi, gli orrori non sono perseguibili nè per la legge italiana nè per il codice canonico, ma le denunce del 2005 da 67 ex allievi verranno ugualmente analizzate dalla Congregazione vaticana per la Dottrina della Fede. La diocesi di Verona insiste: sul caso ha ricevuto solo una lettera anonima. Sul piano giudiziario il Gip dovrà pronunciarsi il 9 giugno solo sull'opposizione all'archiviazione presentata dai familiari delle vittime nei confronti del vescovo di Verona, mons. Zenti, denunciato dopo che aveva respinto le accuse attribuendole a mire economiche sui beni della congregazione «Compagnia di Maria» che gestisce il Provolo.

il Fatto 27.3.10
Dal Vaticano solo silenzio sugli innocenti
Il New York Times accusa ancora: il Papa sapeva anche degli abusi di Monaco
La Santa Sede sotto assedio, ma negli articoli della stampa ecclesiastica le vittime non compaiono mai
di Marco Politi

Il New York Times rincara la dose. Anche nel caso di Monaco – scrive – Joseph Ratzinger sapeva. Il quotidiano afferma che il prete pedofilo Hullermann (accolto nella diocesi monacense per seguire una terapia) non fu trasferito ad altra parrocchia a insaputa dell’arcivescovo Ratzinger, come detto dalle autorità diocesane e vaticane. Secondo il New York Times Ratzinger fu informato da un memorandum e il 15 gennaio 1980 presiedette la riunione in cui si decise il trasferimento del prete pedofilo. Immediata la replica vaticana. Il portavoce Lombardi ribadisce che Ratzinger non fu mai a conoscenza del fatto, mentre la diocesi di Monaco sottolinea che “non dette mai il suo assenso”. Quelle del New York Times, dice Lombardi, sono “mere speculazioni”. In Vaticano si sentono sotto assedio. C’è un clima di estrema tensione e nervosismo. Impera la sensazione di vivere un’aggressione mediatica contro la Chiesa e Benedetto XVI. Il grado di allarme per il rischio di una grave perdita di prestigio del Papa si misura dalle solidarietà che cominciano ad arrivare. Solidarizza con il pontefice il primate cattolico d’Inghilterra monsignor Nichols e un messaggio di sostegno gli arriva dall’episcopato di Francia. L’Osservatore Romano denuncia il tentativo “ignobile” di colpire Benedetto XVI e i suoi stretti collaboratori. Il giornale dei vescovi Avvenire parla di “fango, feroce onda mediatica, frenesia di sporcare e colpire”. L’ex segretario della Cei monsignor Betori avverte una “strategia per staccare il popolo (cattolico) dai pastori”. Eppure gli stessi documenti riportati dall’Avvenire parlano chiaro. A Milwaukee il pedofilo padre Murphy, autore di duecento abusi sessuali ai danni di bambini sordomuti – doppiamente incapaci di difendersi e chiedere aiuto – dopo la prima denuncia del 1974 non viene allontanato dal sacerdozio, ma gli si permette di trasferirsi in altra città (dalla madre) e di continuare a servire in parrocchia.
É vero, i vescovi locali, di fronte all’aumentare delle denunce, lo interrogano, lo fanno analizzare da psicologi, ma per altri vent’anni non succede assolutamente nulla. Prete era e prete in attività rimane. Quando i vescovi locali decidono di aprire un processo ecclesiastico – e in tal senso premono sulla Congregazione per la Dottrina della fede,guidata dal cardinale Ratzinger – è il luglio del 1996. Un quarto di secolo dopo la stagione degli abusi. Nel marzo 1997 il vice di Ratzinger monsignor Bertone dà l’assenso al procedimento penale ecclesiastico. Ma nel gennaio 1998 il pedofilo Murphy scrive al cardinale Ratzinger invocando la sua malattia e tutto si blocca. Improvvisamente il 30 maggio 1998 si tiene in Vaticano una riunione fra i due vescovi americani, Bertone e il sottosegretario della Congregazione padre Girotti. E in quella riunione “sorgono dubbi – scrive testualmente l’Avvenire – circa la fattibilità e l’opportunità del processo canonico” a causa del tanto tempo passato. Il risultato di questi “dubbi”, che un anno prima non c’erano, è che Murphy evita il processo e “quell’atto di giustizia e di riparazione”, che le vittime e la comunità della St. John’s School si attendevano (nelle parole stesse dei vescovi locali Weakland e Fliss), non è mai arrivato. I fatti nudi e crudi restano questi.
Colpisce che negli articoli della stampa ecclesiastica, tesi a difendere le autorità della Chiesa, le vittime non appaiano mai nella loro concretezza.
In ottanta righe di editoriale di prima pagina sull’Avvenire i “bambini sordi” appaiono in una mezza riga. Le loro voci non si sentono mai. Le testimonianze di chi ha subito mentre – come scriveva Benedetto XVI nella sua Lettera ai vescovi irlandesi, “nessuno vi ascoltava... e dovete aver percepito che non vi era modo di fuggire dalle vostre sofferenze” – queste testimonianze non riecheggiano mai. Men che meno risuonano nel coro degli atei devoti, che si esaltano per il modo sublime con cui la Chiesa “sa vedere l’uomo nel peccato e il peccato nell’uomo”. Atei devoti eccitati nell’evocazione della notte dell’Innominato. Grandi emozioni cui gli alunni muti e violentati della St. John’s School non hanno avuto il privilegio di partecipare. Personalmente papa Ratzinger è sottoposto in questi giorni ad un forte stress psicologico. Sentirsi sul collo il fiato dell’opinione pubblica mondiale è una prova pesante per un uomo di ottantadue anni. Ma forse il suo pensiero si rispecchia nelle parole pronunciate alla funzione quaresimale dal predicatore cappuccino Cantalamessa, in presenza di Benedetto XVI: dall’umiliazione e dall’afflizione odierna può scaturire “una maggiore purezza della Chiesa”. Nel frattempo l’onda delle rivelazioni e dei mea culpa cresce. Il Germania il vescovo di Fulda monsignor Algermissen, ha ammesso “pesanti omissioni” da parte della Chiesa. “Non abbiamo rispettato abbastanza la pena delle vittime”, ha detto. “Alla luce dei reati commessi sono sopraffatto da un senso di disgusto”. Secondo il vescovo ci vorranno dieci anni perché la Chiesa possa rimettersi da questa crisi.
In dirittura finale della campagna elettorale non poteva mancare il coretto degli esponenti di centro-destra, che si affannano a chi grida più forte la sua “indignazione” per i cosiddetti attacchi al pontefice. Si impegnano il sindaco Alemanno, il ministro Frattini, Cicchitto, Gasparri. Viene il sospetto che per mostrare la sua cristiana devozione al Sacro Soglio, la brigata Berlusconi – se potesse – amerebbe chiudere dopo Annozero anche il New York Times.

il Fatto 27.3.10
Quando Ratzinger scoprì i figli segreti dei Legionari di Cristo
di Alessandro Oppes

Dicono di aver sperato fino all’ultimo che tutte le accuse mosse contro il loro fondatore fossero “false o infondate”. Ma che così non fosse era chiaro, evidentemente, ormai da tempo. I Legionari di Cristo non hanno perciò avuto altra scelta che fare il grande passo: il “mea culpa” pronunciato ieri per gli abusi sessuali commessi dal loro leader spirituale, il messicano Marcial Maciel scomparso due anni fa, è totale e incondizionato. La congregazione ultra-conservatrice cattolica, al centro di un’ispezione ordinata da papa Benedetto XVI in un comunicato firmato dal superiore generale Alvaro Corcuera, condanna gli abusi compiuti per decenni dal fondatore e tutti gli atti “contrari ai doveri di cristiano, religioso e sacerdote”, chiedendo perdono alle vittime e a quelle persone che, pur avendone denunciato i comportamenti, non erano state mai ascoltate. I Legionari ammettono anche che il sacerdote messicano ebbe una fi-
glia “da una relazione stabile e prolungata” con una donna, e altri “gravi comportamenti” . Il riferimento è con ogni probabilità all’ultimo scandalo, emerso poche settimane fa quando un’altra donna, Blanca Estela Lara Gutiérrez, dichiarò che dal suo rapporto con Maciel nacquero due figli, Raúl e Cristián. Ma il sacerdote, sotto falso nome, avrebbe ancheadottatoOmar,unaltrofiglioavuto da Blanca nel corso di una relazione precedente. Quel che è più grave, però, è che sia Omar che Raúl hanno confessato che il padre abusò di loro per anni quando erano piccoli.
Fu proprio Joseph Ratzinger, nel 1998, quando era ai vertici della Congregazione per la Dottrina della Fede, a ordinare le prime indagini su Maciel, all’epoca molto vicino a Papa Wojtyla. I sospetti si rivelano talmente fondati che, una volta diventato pontefice, nel 2006 lo rimosse dall’incarico.

Repubblica 27.3.10
L’obbligo della verità dopo troppi silenzi
di Adriano Prosperi

Nel caso dei preti pedofili bisognerà evitare almeno che tutto si riduca alla solita diatriba fra clericali e laici.
O che ci si metta addirittura a contare i numeri: quanti i pedofili tra i preti, quanti tra i non preti. Sono cose che abbiamo già visto quando si discuteva su quanti eretici e quante streghe fossero stati mandati a morte dai tribunali della Chiesa cattolica e quanti da altre chiese e da altri poteri. E intanto passava in secondo piano la sofferenza delle vittime e la tenebra dell´intolleranza e si cancellava la responsabilità storica, giuridica, culturale degli assassini.
L´apologetica e la controversia uccidono la verità. E qui la questione della verità è fondamentale: e deve stare a cuore agli uomini di governo della Chiesa più che a chiunque altro se sono capaci di prendere sul serio il loro stesso ufficio e di capire quale sia la tremenda responsabilità che si sono assunti. Per candidarsi al governo delle coscienze bisogna dimostrare di saper rispettare la verità. L´occultamento del vero, avvenga per trascuratezza burocratica o per malinteso spirito di corpo, uccide la fiducia. Tanto più quando si tratta di una verità orrenda che dovrebbe far tremare chi la viene e a conoscere e dovrebbe accendere di furore, di pena, di fame di giustizia chi ha il compito di governare e di giudicare.
Non per niente a tanti è venuto spontaneo citare la terribile parola del Gesù dei vangeli: bisogna che gli scandali avvengano ma guai a coloro che sono causa degli scandali. La macina al collo e il suicidio come la sola pena adeguata per chi scandalizza questi piccoli: questa la violenza estrema della parola evangelica. Gli echi di questa pagina hanno risuonato nei secoli: le abbiamo ritrovate in un grande capolavoro di Dostoevskij che tutti hanno letto o dovrebbero leggere. E si ricorderà che Gesù di Nazareth non scendeva nei dettagli. Chissà cosa avrebbe detto delle attenuanti che sono state evocate in questi giorni: l´età del colpevole, il suo stato di salute, il silenzio delle vittime, di quelle creature piccole. Piccole e mute: non solo perché prive dell´uso della parola. Mute, perché per uscire dal buio e dal silenzio senza parole di quella lurida aggressione, al bambino e alla bambina che l´hanno subìta può non bastare una vita intera. Una vita compromessa, avvilita, oscurata per sempre da chi gode della fiducia dei fedeli in grazia del suo abito e della parola evangelica – quella frase, «lasciate che i pargoli vengano a me», si provi a immaginarla sulle labbra del prete pedofilo.
Per questo ci è parso singolarmente infelice il grido «Basta scandali!»che è risuonato in Piazza San Pietro e che ha unito per un attimo il capo della Chiesa cattolica al responsabile della protezione civile italiana. C´è chi davanti al brontolio di tuono della tempesta che ruggiva nel mondo intero e che bussava ormai alle porte dell´ovattato mondo della comunicazione italiana, sempre timoroso e pronto a inginocchiarsi davanti ai poteri consacrati e agli abiti talari ha evocato l´idea di una congiura anticristiana. Ma simili bassi servigi hanno il torto di nascondere agli occhi degli italiani la gravità del problema. Non solo per la Chiesa: anche per il nostro paese che non può permettersi di subire tutta insieme la vergogna dell´ondata di discredito internazionale che si abbatte oggi sui due volti che lo rappresentano nel mondo: e passi pure che l´opinione pubblica rida di noi per le grottesche performaces di un leader politico che dichiara guerra al cancro. Ma se la tempesta si abbatte sul papa di Roma e sulle autorità cattoliche, allora sì che le fondamenta storiche del Paese sono scosse.
E dunque guardiamo in faccia la verità: che è quella di una turpitudine storica e non solo episodica, giuridica e non solo morale. Questa vicenda è cominciata secoli fa: la inaugurò papa Paolo IV Carafa quando nel 1559 stabilì che i preti e i frati colpevoli di reati di natura sessuale nati nel contesto della confessione sacramentale dovessero essere sottoposti al Sant´Uffizio dell´Inquisizione. Era una misura in apparenza radicale, dura, minacciosa per i colpevoli: in realtà era la via d´uscita per chiudere la conoscenza di episodi scandalosi nello spazio giuridico di un tribunale ecclesiastico segretissimo. La ragione della scelta era ovvia: Lutero aveva bruciato non solo la bolla di scomunica ma anche l´intero corpus del diritto canonico, giudicato da lui una delle muraglie con cui il clero si era alzato al di sopra del popolo cristiano.
La Chiesa cattolica ribadì la superiorità sacrale del clero, mantenne il diritto canonico e il privilegio del foro per i chierici e, nel confermare l´obbligo del celibato ecclesiastico, preparò un comodo rifugio per chi lo infrangeva e per chi infangava il sacramento del perdono dei peccati attentando ai minori e alle donne che si affacciavano al confessionale. Da allora e per secoli i processi per i casi di «sollicitatio» sono stati nascosti dal segreto impenetrabile del Sant´Uffizio mentre i colpevoli venivano semplicemente trasferiti di sede per difendere il buon nome del clero: fino a oggi. E il segreto è diventato anche più fitto e ha coperto altre e più gravi turpitudini quando, per opera del cardinal Alfredo Ottaviani prefetto del Sant´Uffizio, fu approvata una istruzione per il «crimen sollicitationis» immediatamente sepolta nel segreto dei palazzi vaticani. Quella istruzione imponeva un segreto assoluto sulle materie relative non solo al reato di «sollicitatio» ma anche a quello che veniva definito il «crimine pessimo»: cioè l´atto sessuale compiuto da un chierico con fanciulli impuberi dei due sessi o con animali. Chissà perché al cardinal Ottaviani venne in mente di includere anche questo nuovo versante del crimine sotto l´antico mantello protettivo.
Il Sant´Uffizio scomparve ufficialmente dalla nomenclatura istituzionale vaticana nel 1965 e Ottaviani uscì di scena, mentre il Concilio Vaticano II sembrava aprire scenari nuovi: scenari di fiducia verso il mondo moderno incluso il principio fondamentale fra tutti della trasparenza e della verità come obbligo dei governanti verso i governati. Ma concluso il concilio il vento cambiò. E la nuova Congregazione per la dottrina della fede fece sua l´istruzione del cardinal Ottaviani. Un documento ufficiale della Congregazione governata dal prefetto cardinal Joseph Ratzinger datata 18 maggio 2002 ne riprese la sostanza. Si intitola «De delictis gravioribus». Dunque il cardinal Ratzinger ha coperto con quel segreto specialissimo le vicende che per il suo ufficio doveva conoscere e governare. Oggi non per sua scelta ma per la pressione di un mondo in rivolta gli si pone nella sua nuova veste il problema di decidere quale percorso proporre alla Chiesa cattolica. Ed è un singolare esempio dei corsi e ricorsi storici che tocchi di nuovo a un papa tedesco, il secondo dell´età moderna dopo quell´Adriano VI che dovette fare i conti con la Riforma luterana, affrontare un problema che ha trovato specialmente nella coscienza della Germania un´eco profonda: un problema che ripropone ancora una volta e su di una materia terribile la questione della capacità della Chiesa di interpretare i segni dei tempi. Si tratta di decidere se conservare o abbandonare quello che è stato fin dall´inizio uno strumento per difendere dalla verità e dalla giustizia i membri del clero.

Repubblica 27.3.10
L’appunto segreto chiuso in cassaforte
La diocesi di Monaco, allora guidata da Joseph Ratzinger, accettò la richiesta della diocesi di Essen
di Andrea Tarquini

Nel 1980 l’allora arcivescovo di Monaco partecipò a una riunione sul caso Hullermann
Il sacerdote fu accolto nella diocesi per sottoporsi a una cura psichiatrica
Trasferito in seguito a Grafing, fu condannato nel 1986 a 18 mesi con la condizionale

La richiesta di ospitare Padre Peter Hullermann, che aveva commesso abusi pedofili gravi, come Essen stessa avvertì, per consentirgli una terapia. Poco dopo Hullermann fu riammesso al sacerdozio. Questa seconda decisione, presa dal vicario generale, fu comunicata in un appunto alla segreteria del Cardinale Ratzinger. Non si sa se lui l´abbia letto, ma l´appunto esiste, chiuso sottochiave. La diocesi rifiuta di mostrarlo ai media ma ne ha confermato l´esistenza, in colloqui con Der Spiegel - che in un editoriale, ieri, ha persino chiesto le dimissioni del Papa - e poi in un suo comunicato stampa giorni fa. Ecco, ricostruita sul posto, la storia del caso. Chiunque ne sia stato responsabile, un lupo, un pericoloso pedofilo, fu portato a contatto del gregge. Silenzi e soluzioni interne: prima difendere l´Istituzione a tutti i costi, come a Mosca sotto Breznev.
E´ un freddo mattino, 15 gennaio del 1980, nella ricca Monaco, quando al numero 5 della stretta Rochusstrasse, un´elegante viuzza non lontana dall´albergo Bayerischer Hof, dalla cripta dei Wittelsbacher, dalla cattedrale di Nostra signora, e da tutto il sontuoso centro storico della capitale bavarese, si tiene la riunione dell´ordinariato dell´arcidiocesi. Dura dalle 9 del mattino alle 13,10. Presente Ratzinger. Assente per caso, tra gli altri, il suo attuale segretario Gaensewein. Una riunione d´ordinaria amministrazione. Tanti casi da esaminare: decessi, certificati di malattia, nomine di nuovi parroci. Al punto 5d, come si può leggere dal documento che pubblichiamo in copia (fornitoci dai colleghi di Der Spiegel in nome del diritto di cronaca: la diocesi, da noi richiesta, si è rifiutata di darcelo nonostante Spiegel e altri media tedeschi lo avessero già citato), leggiamo: «Il referente per il personale ecclesiastico della diocesi di Essen, diacono Klaus Malangré, ci prega di offrire ospitalità a padre Peter Hullermann, il quale si sottoporrà a una cura psichico-terapeutica. La richiesta è stata accettata, il cappellano Hullermann sarà alloggiato presso la Parrocchia di San Giovanni Evangelista a Monaco».
"Cura psichico-terapeutica", nel linguaggio interno di allora, indicava di solito la condizione di religiosi con chiare tendenze pedofile. A scanso di ogni equivoco, fin dall´autunno il diacono Malangré, responsabile della diocesi di Essen, fu più volte in contatto telefonico con Monaco. Spiegò ai suoi pari grado qual era il pericolo: «Comportamenti immorali e contro natura con minorenni». Padre Hullermann aveva costretto almeno un bimbo, di undici anni, a un rapporto orale. Erano stati denunciati suoi abusi contro altri tre bambini, a Essen e Bottrop. Eppure, poco dopo quel 15 gennaio, padre Hullermann fu riammesso al servizio attivo: poté di nuovo dire messa, ed entrare in contatto con bambini e minorenni. «Me ne assumo ogni responsabilità», dice adesso l´allora vicario generale Gruber. Ma un "Vermerk" (appunto-informativa) sulla decisione di reinserire Hullermann nel servizio pastorale, fu inviato alla segreteria di Ratzinger. «Non si sa se l´abbia letto, tutti nella Chiesa qui giurano di no», mi spiega un collega di Der Spiegel. Ma aggiunge: «La certezza non c´è, e l´ex vicario Gruber non appare credibile, sembra voler coprire i superiori».
Avvertimenti e moniti del diacono Malangré su quanto Hullermann fosse pericoloso vennero uno dopo l´altro. Per telefono, e in lettere manoscritte. Documenti manoscritti della diocesi di Essen informarono la diocesi di Monaco: «Padre Hullermann ha reso davanti ai suoi superiori confessione tradotta in protocollo del suo comportamento immorale contro almeno tre minori». Dalla parrocchia di Sant´Andrea di Essen, dove Hullermann aveva prestato servizio sacerdotale, venivano conferme. La diocesi di Monaco e Frisinga non cambiò idea.
Moniti e avvertimenti del diacono Malangré erano precisi, e precisi furono anche quelli, inviati alla diocesi di Monaco, dal dottor Huth, lo psicoterapeuta che a Essen per primo aveva preso in cura padre Hullermann. Ma tutto fu ignorato. Adesso è emerso che il prelato prima del trasferimento in Baviera aveva commesso abusi anche altrove in Nordreno-Westfalia, a Bottrop: la madre di un´allora piccola vittima si è appena rivolta all´episcopato locale. Padre Hullermann in Baviera aveva ricominciato la sua vita. Sacerdote vivace, caloroso, umano, adorato dai suoi fedeli. Ma anche "malato incurabile", come il dottor Huth lo aveva definito. Dopo Monaco, fu trasferito a Grafing. Là si abbandonò ad abusi contro minori, fu denunciato e condannato nel 1986 a 18 mesi con la condizionale. Ma la Chiesa lo tenne nei suoi ranghi. Fu trasferito come parroco a Bad Toelz. Ora è indagato per un abuso risalente al 1988, quindi non prescritto. Padre Hullermann è stato sospeso solo pochi giorni fa, dopo che i media hanno denunciato gli abusi nelle istituzioni religiose tedesche rendendolo un evento mondiale. Il successore di Ratzinger, cardinale Wetter, si assume ora la responsabilità della "scelta sbagliata" degli ultimi trasferimenti di padre Hullermann. Come se il mea culpa del vicario Gruber non bastasse, si autoaccusa un ex arcivescovo, un cardinale. Il dramma continua, e a ogni sua pagina i cristiani tedeschi perdono fiducia in Roma.

Repubblica 27.3.10
La Santa Sede alza le difese "Sono mere speculazioni"
Monsignor Riboldi: "Una guerra tra Satana e Dio"
di M. Ans.

CITTÀ DEL VATICANO - Qualcuno indica la via crucis e nomina la settimana di passione. Il Vaticano vive ognuna di queste giornate sentendosi sotto attacco. Al nuovo articolo sulle accuse di pedofilia del più importante quotidiano americano il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, oppone un altro comunicato dove parla di «mera speculazione».
Sul caso del prete pedofilo Peter Hullermann, operativo a Monaco di Baviera ai tempi in cui arcivescovo era Joseph Ratzinger, il portavoce vaticano rinvia alla nota pubblicata l´altro ieri dall´arcidiocesi, dove si legge: «L´articolo del New York Times non contiene alcuna nuova informazione oltre a quelle che l´arcidiocesi ha già comunicato sulle conoscenze dell´allora arcivescovo. L´arcidiocesi conferma quindi la sua posizione, secondo cui l´allora arcivescovo non ha conosciuto la decisione di reinserire il sacerdote H. nell´attivita´ pastorale parrocchiale. Essa rifiuta ogni altra versione come mera speculazione. L´allora vicario generale, monsignor Gerhard Gruber, ha assunto la piena responsabilità della sua propria ed errata decisione, di reinserire H. nella pastorale parrocchiale».
Papa Ratzinger, colpito ieri dalle richieste di dimissioni del settimanale tedesco Der Spiegel, ha avuto in giornata una nutrita serie di incontri con i suoi collaboratori. In mattinata, nella cappella Redemptoris mater, ha presenziato alla terza e ultima predica di Quaresima del predicatore pontificio, padre Raniero Cantalamessa. «Se ci sarà umiltà - ha detto l´oratore - la Chiesa uscirà più splendente che mai da questa guerra».
Molti i messaggi di sostegno ricevuti, tra cui quello dei vescovi di Francia. «Proviamo tutti vergogna e rincrescimento - gli hanno scritto in un messaggio pubblicato a Lourdes al termine della loro assemblea generale - di fronte agli atti abominevoli. Ci associamo alle sue parole forti destinate alle vittime di questi crimini. Coloro che hanno commesso questi atti sfigurano la nostra chiesa, feriscono le comunità cristiane e estendono il sospetto su tutti i membri del clero».
Singole, ma forti voci di cardinali e vescovi si sono poi aggiunte. «C´è un attacco forte contro il Sommo pontefice, il vicario di Cristo, e la Chiesa - ha detto il cardinale George Cottier, teologo emerito della Casa pontificia - è un fatto che possiamo verificare». E monsignor Bruno Forte, presidente della commissione episcopale per la Dottrina della Fede, ha detto che il pontificato di Benedetto XVI è «caratterizzato dal grande coraggio, dalla sincerità e dalla trasparenza». Un atteggiamento, ha aggiunto, che «può dare fastidio a qualcuno. Come avviene per ogni testimone della verità, a partire da colui che è la verità in persona, Gesù, il Papa paga di persona per quello che annuncia».
E di guerra, oltre a padre Cantalamessa, ha parlato anche monsignor Antonio Riboldi, vescovo emerito di Acerra. «È in atto una guerra - ha spiegato - una guerra tra la Chiesa e il mondo, tra Satana e Dio. C´è una voglia matta di attaccare la Chiesa. È questa l´aria che tira».

Repubblica 27.3.10
"Il primate d´Irlanda ostacola le indagini"
Le vittime contro il cardinale Brady. E i giornali attaccano il Papa: "Faccia mea culpa"
Appello accorato a Benedetto XVI "Venga a incontrarci, di che cosa ha paura?"
di Enrico Franceschini

LONDRA - Nuove accuse contro il cardinale Brady, primate della Chiesa cattolica d´Irlanda. Accuse contro il Papa, da parte delle vittime dei preti pedofili irlandesi, che lo invitano a riconoscere le proprie colpe, a dimettersi o perlomeno a «venire in Irlanda a incontrarci, di che cosa ha paura?» Ed esortazioni simili rivolte a Benedetto XVI dal Times e dal Guardian, due dei maggiori quotidiani britannici, che gli chiedono di fare «mea culpa» e di «dare una risposta e delle spiegazioni» alle rivelazioni del New York Times. La tempesta che scuote il cattolicesimo continua così anche a Dublino e a Londra, dove l´arcivescovo di Westminster, massimo rappresentante della chiesa di Roma nel Regno Unito, ha preso la parola per riconoscere gli errori compiuti ma pure per difendere il pontefice, atteso fra cinque mesi da una visita pastorale in Gran Bretagna che doveva essere una passeggiata, se non un pellegrinaggio di conquista nel territorio degli anglicani, ma che ora appare assai più preoccupante, complicata e difficile.
In Irlanda, dopo le dimissioni di monsignor John Magee, il potente ex segretario di tre papi costretto a lasciare l´incarico di vescovo di Cloyne per i suoi silenzi e le sue omissioni davanti allo scandalo dei preti pedofili nella sua diocesi, è ora il cardinale Sean Brady a ritrovarsi di nuovo sotto accusa. All´inizio del mese, il cardinale si era scusato e aveva espresso «vergogna per non avere sempre saputo difendere i valori del cattolicesimo», pur continuando a sostenere di avere avuto solo un ruolo marginale e privo di colpe in un processo del tribunale canonico, a metà degli anni ‘70, in cui due vittime di abusi sessuali furono spinte a fare un «giuramento del silenzio» sulle sofferenze subite. Una di quelle due vittime lo ha denunciato per ostruzione di giustizia. Ieri l´Irish Times è riuscito a ottenere in visione una copia dei documenti del processo e ha scoperto che il cardinale respinge la denuncia, esigendo prove che i «presunti atti di abuso» ebbero luogo. Ora il quotidiano di Dublino rivela che l´avvocato della vittima ha scritto a Brady, chiedendogli di accettare la citazione in giudizio e ammonendolo che il suo ostracismo «aumenta i torti inflitti» al suo cliente. Più voci si erano già levate per chiedere le dimissioni del cardinale, che nei giorni scorsi ha reso noto di volere «riflettere sul suo ruolo». Adesso le pressioni per una destituzione del primate della Chiesa d´Irlanda saranno ancora più forti.
Fortissima è anche la reazione delle vittime dei preti pedofili irlandesi alle rivelazioni del New York Times su papa Ratzinger. «Le accuse proveniente dagli Usa dimostrano che la logica di copertura degli abusi che esiste in Irlanda è la stessa in tutto il mondo e che proviene dal Vaticano», dice Marie Collins, violentata da un prete su un letto d´ospedale nel 1960. «Trovo ipocrita che il papa chieda trasparenza sullo scandalo ai vescovi irlandesi quando applica regole diverse a se stesso». Concorda Andrew Madden, vittima di violenze sessuali quando faceva il chierichetto: «La condotta tenuta dal Papa nella diocesi di Monaco negli anni ‘80 sarebbe già abbastanza grave da indurlo a dimettersi. Alla luce di tutto questo, le scuse pronunciate dal pontefice la scorsa settimana suonano vuote e ipocrite. Il Vaticano se la prende con i media per sviare l´attenzione, per cercare di salvare la faccia». E Christine Buckley, sopravvissuta a 18 anni di sevizie in un istituto di suore a Dublino, accusa: «Il Papa andrà in Gran Bretagna a incontrare la regina, ma il minimo che dovrebbe fare è venire anche in Irlanda a incontrare le vittime. Di cosa ha paura? Questa è una situazione sconvolgente per la chiesa cattolica e per tutte le persone di fede».

Repubblica 27.3.10
Una lettera di Wojtyla e un documento dell'ex Sant'Uffizio illustrano come punire gli abusi
I panni sporchi si lavano in Chiesa così il Vaticano processa i pedofili
Il "codice di procedura penale" della Santa Sede è stato redatto nel maggio 2001
di Marco Ansaldo

CITTÀ DEL VATICANO - Delitti e processi. Le norme ecclesiastiche li prevedono espressamente in caso di accertamento di abusi sessuali. Ma quali sono secondo le leggi vaticane i crimini più gravi? E come avvengono i processi, passaggio per passaggio, all´interno dei Sacri Palazzi?
Due documenti normativi della Chiesa cattolica risalenti a nemmeno dieci anni fa, il 2001, lo spiegano. Si tratta di una sequenza di linee guida a cui le gerarchie ecclesiastiche devono attenersi, ma che non sempre appaiono di sicura interpretazione, apparendo così come controverse. Al punto che i due testi sono stati spesso citati sia da chi accusa la Chiesa di essere rimasta in silenzio di fronte ai casi di pedofilia versi i minori, sia da quanti difendono l´operato della Santa Sede. I documenti sono in latino, e l´Osservatore Romano ora li ha pubblicati integralmente, senza commenti, nella traduzione italiana.
Il primo è il "motu proprio" di Giovanni Paolo II, intitolato «Sacramentorum sanctitatis tutela». Cioè una lettera apostolica, dell´aprile 2001, nella quale si delega la questione dei delitti più gravi alla Congregazione per la Dottrina della Fede, l´ex Sant´Uffizio, in quegli anni retta da Joseph Ratzinger e dal suo vice, il cardinale Tarcisio Bertone.
Il secondo documento, dal titolo «De delictis gravioribus», del maggio successivo, è invece il testo che entra nei dettagli sui procedimenti normativi. Si tratta di una Istruzione fatta dalla Congregazione per la Dottrina della Fede che, nel dare attuazione al "motu proprio" papale, si rivolge a tutta la gerarchia cattolica. Indicando appunto, come previsto dal titolo, i delitti più gravi.
Nell´Istruzione l´elenco è per categorie. Vengono per primi i sacrilegi contro l´eucarestia. Di seguito ci sono quelli contro la penitenza. E qui è compreso il peccato di atti impuri commessi dal sacerdote durante la confessione. Poi viene il delitto contro la morale, nel quale è citato espressamente «il delitto contro il sesto comandamento (atti impuri) commesso da un chierico con un minore al di sotto dei 18 anni di età».
Ma come è previsto che si proceda dopo l´informazione ricevuta di un possibile delitto? Il documento ne parla in un punto specifico, quando chiede ai responsabili delle diocesi e degli istituti religiosi di segnalare «qualunque notizia almeno verosimile di un delitto riservato, dopo avere svolto un´indagine preliminare, alla Congregazione per la Dottrina della Fede». La pratica è a questo punto nelle mani dell´ex Sant´Uffizio che, come si legge, «a meno che per le particolari circostanze non avocasse a sé la causa», comanda alle due figure dell´"ordinario" o del "gerarca", di procedere «a ulteriori accertamenti attraverso il proprio tribunale». Siamo ora ai gradi di giudizio. «Contro la sentenza di primo grado - spiega la Lettera - sia da parte del reo o del suo patrono, sia da parte del promotore di giustizia, resta validamente e unicamente soltanto il diritto di appello al supremo Tribunale della medesima Congregazione». E in un passaggio che in futuro verrà quasi certamente modificato la lettera recita: «L´azione criminale circa i delitti riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede si estingue per prescrizione in dieci anni», con la precisazione che «la prescrizione decorre a norma del diritto universale e comune; ma in un delitto con un minore commesso da un chierico comincia a decorrere dal giorno in cui il minore ha compiuto il 18esimo anno di età».
La lettera contiene infine un provvedimento importante, in questi giorni più volte richiamato. E cioè l´ordine: «Le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio». Un passaggio che le associazioni di vittime degli abusi hanno indicato come centrale nella loro accusa alla Chiesa di opporre il silenzio. Il documento in nessun punto vieta di rivolgersi alle autorità giudiziarie ordinarie. Ma nemmeno lo suggerisce.

l’Unità 27.3.10
Reticenze e bugie
Potenza non fa più il segno della croce
L’imbarazzo del Vescovo: assolve il parroco che ha occultato il cadavere di Elisa La rabbia della gente: cancella la parola Santissima davanti alla chiesa della Trinità
di Roberto Brunelli

Qui nessuno si fa più il segno della croce, passando davanti alla Ss Trinità. C’è un tappeto di fiori sul sagrato della chiesa “bene” di Potenza: tutti per Elisa, scomparsa un giorno di settembre di diciassette anni fa e ritrovata mummificata (la settimana scorsa, tre mesi fa, forse addirittura prima?) nel sottotetto di quella stessa chiesa. Qualcuno ha cancellato con un frego le due “s” che, sul cartello che ne narra la storia, starebbero da tempo immemorabile ad indicarne la santità. Sulla sua fiancata ogni giorno vengono attaccati nuovi striscioni, nuovi cartelli: «Anche se vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti», da De André. «Vi sono momenti in cui anche tacere diventa una colpa: parlare è un obbligo». E ancora: «Il silenzio uccide».
Il messaggio non poteva essere più chiaro. Sotto accusa ci sono gli uomini di chiesa: perché quella di Elisa Claps, uccisa il 12 settembre 1993 e considerata “evaporata” per tutti questi anni, è una lunga e torva storia di omissioni, intenzionali o se non altro sospette, di omertà, di curiose dimenticanze, di sacerdoti – questa è cronaca degli ultimi giorni che ritrovano un teschio ed altri resti di un corpo e
non lo comunicano né alle forze dell’ordine né, così pare, al proprio vescovo. Ma è anche la storia, all’origine, di indagini che oggi nessuno esita a giudicare un groviera, tra mandati di perquisizione mai effettuati, tabulati telefonici mai richiesti, interrogatori incomprensibilmente blandi e connivenze su cui nessuno ha voluto interrogarsi più di tanto. Un unico sospetto, sin
dal primo giorno: Danilo Restivo, allora il fidanzatino di Elisa, da anni vive in Inghilterra, dove è sospettato – ma non formalmente incriminato – dell’omicidio di un’altra donna, e da dove gli inquirenti fanno sapere di attendersi novità decisive proprio da Potenza. Da subito Danilo disse che lui era stato lì, alla Trinità, con la ragazza. Ne aveva addirittura le chiavi. Anche per questo gli sguardi sono rivolti verso il suo tetto della bella chiesa in pieno centro: tutti pensano che in molti sapevano che i resti della ragazza stavano lì, sotto un cumulo di detriti.
La città guarda attonita al proprio cuore marcio, e non può fare a meno di tormentarsi di domande. La prima è legata alla clamorosa svolta nella vicenda Claps legata alla tempistica del ritrovamento del cadavere di Elisa, praticamente murato in un angusto antro nel sottotetto della Ss Trinità: ufficialmente scoperto il 17 marzo, ma in realtà – questo ha detto agli investigatori il viceparroco della chiesa, il brasiliano Don Vagno – quei resti erano stati trovati già a gennaio. Il suo superiore, il parroco della Trinità Don Ambrogio, continua a negare di sapere alcunché. Il vescovo, Agostino Superbo, braccato ieri dai cronisti sin dentro le navate del Duomo, implora di credere che lui ha scoperto tutto solo dai giornali. «Ma lei non ha pensato di parlare subito con don Vagno?», gli chiede l’inviato di Chi l’ha visto?, che segue la vicenda sin dall’inizio. Il monsignore – che per inciso è anche vicepresidente della Cei – è imbarazzato, ripete formule di rito: «Bisogna dare tanto coraggio alla città...noi facciamo il nostro dovere, collaboriamo con gli inquirenti. Ho la coscienza limpida, davanti a Dio e agli uomini». Altre domande.
Dicono di averla vista già ad inizio marzo sulla terrazza della Trinità, mentre c’era un sopralluogo... «Ma no, io stavo solo in fondo alle scale...». Don Vagno sostiene di aver cercato di parlare con lei e di non esserci riuscito. «Io non so queste cose, io in quei giorni non ero a Potenza». Cosa risponde alla città, alla famiglia? «Anch’io cerco la verità, più di loro». Pensa che su don Ambrogio e don Vagno abbia influito il segreto confessionale? «Non credo, no». Parlerà con don Vagno? «Lo ascolterò presto». Perché don Vagno non avrebbe detto a nessuno che aveva visto il cadavere già a gennaio? Monsignor Superbo parla di sviste, di debolezze. Assoluzione piena.
Tecnicamente non ci sono ancora degli indagati. Il questore Romolo Panico ripete una cosa che fa drizzare le antenne: «Il nostro intento è trovare il responsabile, o i responsabili». In attesa – ma ci vorrà del tempo – dei risultati dell’autopsia, oggi la scientifica tornerà nel sottotetto della Ss Trinità per un nuovo incidente probatorio. Ci saranno anche i magistrati di Salerno, competenti del caso. Il punto è che gli investigatori stanno lavorando sull’ipotesi che in molti siano entrati nel sottotetto, a più riprese: non solo quando gli operai di una ditta incaricata di eseguire dei lavori a causa dell’infiltrazione della pioggia hanno “ufficialmente” scoperto il cadavere. No: prim’ancora qualcuno ha tagliato i fili della corrente elettrica. Qualcuno ha mosso delle tegole che coprivano il corpo. Qualcuno l’ha spostato. Qualcuno ha portato via una massa di detriti. In sostanza: c’è stata una “regia” non solo dietro l’occultamento del cadavere, ma anche dietro il suo ritrovamento?
Solo sospetti, ipotesi: è ovvio. Ma ci sono degli interessanti precedenti. Nel ’95 un’informativa del Sisde indicava il vecchio parroco della Trinità, don Mimì Sabia, morto a 84 nel 2008 dopo una vita passata in quella chiesa, come detentore di un segreto inconfessabile riguardo proprio alla sparizione di Elisa Claps. Nel 2001 un ispettore di polizia riferì quel che gli disse un confidente da lui ritenuto attendibile, e cioè che la ragazza stava lì, nel sottotetto. Negli anni vari testimoni hanno continuato a tirare in ballo la Ss Trinità. Dopo la morte di don Mimì, sui muri della chiesa appaiono delle scritte misteriose. Il senso è sempre lo stesso: Elisa è qui. E lì, alla fine, l’hanno trovata.
Un’elegante signora, davanti al sagrato della Trinità dei misteri, dice: «Si è preferito non sapere, non vedere, non parlare. Per la nostra città è una macchia che non potrà essere lavata». Anche lei ha smesso di farsi il segno della croce, quando passa di qui.

l’Unità 27.3.10
Carceri, il piano del governo destinato a fallire
Necessarie riforme e misure alternative
di Angiolo Marroni

Mario il barbone ha passato 3 mesi in carcere per aver rubato un pezzo di pane in un supermarket. Il 76enne Romeo invece, aveva occupato abusivamente d’inverno una spiaggia con gli ombrelloni. Carlo, 65 anni, ha passato Natale in cella per aver rubato corrente dall’illuminazione pubblica. Sono questi i casi che, quotidianamente, affronta chi si occupa di carcere. Situazioni ormai sempre più frequenti con una popolazione carceraria arrivata in tutta Italia ad oltre 66mila unità e che, ad esempio, nel Lazio ha sfondato da pochi giorni la fatidica quota seimila. Un’emergenza figlia di una politica che punisce col carcere ogni condotta illecita e confermata dai numeri: se i reati gravi diminuiscono ma i detenuti crescono in maniera esponenziale, qualcosa non torna. Poi se a tutto ciò si aggiunge che, come nel Lazio, il 50% dei reclusi è in attesa di sentenza definitiva, l’impressione che se ne ricava è che il giocattolo si sia irrimediabilmente rotto. La soluzione del governo contro l’emergenza è il «Piano carceri» che, nelle intenzioni del Ministro Alfano, dovrebbe risolvere il sovraffollamento con quattro mosse: 1) Stato di emergenza per il 2010; 2) Aumento della capienza degli istituti di 21mila unità; 3) Assunzione di 2.000 agenti penitenziari; 4) Detenzione domiciliare per chi ha una pena inferiore a un anno e affidamento in prova per chi è in attesa di giudizio con reati fino a 3 anni.
Il Piano è fatalmente destinato a fallire. La costruzione di nuovi istituti potrebbe essere utile se servisse a sostituire carceri ultracentenarie e fatiscenti, come Regina Coeli, che non garantiscono condizioni minime di vivibilità e violano il dettato Costituzionale in materia di pena. Il ministro ha detto che in 20 mesi i posti sono aumentati di 1.600 unità, 80 al mese, mentre i detenuti crescono di circa 700 unità mensili. Con la stessa velocità, per realizzare i posti previsti occorreranno 20 anni: nello stesso periodo i detenuti saranno arrivati ad oltre 160.000. Le assunzioni copriranno solo i pensionamenti dimenticando che, per far funzionare le carceri, occorrono migliaia di nuovi agenti, educatori, assistenti sociali e psicologi. Le pene alternative non influiranno sulla popolazione detenuta, perché già oggi i condannati non recidivi con pene fino a 3 anni possono avere dei benefici. La vera soluzione passa dall’abolizione delle leggi che producono carcere e dal rilancio delle misure alternative, oggi in crisi per carenza di mezzi e normative adeguate. Accanto a ciò, occorre la radicale riforma del codice penale, con il ricorso al carcere per i reati più gravi e un sistema di pene alternative per le categorie disagiate (tossicodipendenti, malati psichici, stranieri senza permesso di soggiorno); un meccanismo che ridurrebbe i detenuti senza danno per la sicurezza dei cittadini.

il Fatto 27.3.10
L’utimo volo di “Bibi” falco zoppo israeliano
Netanyahu sempre meno sopportato dagli Usa e dai suoi. Guerriglia, morti e tank a Gaza
di Giancesare Flesca

Ieri Benjamin Netanyahu ha avuto un pessimo risveglio. Il Jerusalem Post lo ha informato dell’ultimatum di Obama: entro oggi risposta israeliana sulle misure per favore l’inizio di colloqui di pace con i palestinesi. E uno. Seconda spina, un sondaggio pubblicato da Haaretz da cui risulta che il 51% degli israeliani non sono soddisfatti del suo governo. In una sola settimana il gradimento del premier è sceso di sette punti. La cosa grave è che questo sondaggio è stato fatto prima della visita di Netanyahu negli Usa. Dopo quel fiasco il diagramma del consenso potrebbe scendere ulteriormente. Ma “Bibi” Netanyahu, pur essendo un leader di lungo corso, non ha molte risposte da dare, né al capo della Casa Bianca, né al proprio elettorato, nonostante la tensione con i palestinesi sia sempre più forte, come dimostrano scontri e attacchi nella Striscia di Gaza constati la vita a 2 militari israeliani e 2 palestinesi e i tank israeliani che ieri sera entravano nella Striscia. Netanyahu è infatti è prigioniero di almeno due fattori. Il pri-
mo è il ministro degli Esteri Avigdor Liebermann, il capopolo di estrema destra senza il quale esattamente un anno fa non avrebbe potuto formare il governo. Il secondo è lui stesso, che vive da troppi anni come un falco equilibrista. I suoi discorsi sono di due tipi. Un tipo per il mercato interno; un altro per l’opinione pubblica mondiale, specialmente quella americana alla quale tiene moltissimo non solo per i soliti motivi, ma anche perché si sente ed è mezzo americano. Nato nel 1949 a Tel Aviv (il che fa di lui il primo presidente nato nello Stato di Israele), secondo di tre figli di un professore universitario, segue la famiglia negli Usa fra il 1956 e il 1958, e poi fra il 1963 e il 1967. Torna in patria per la guerra dei sei giorni alla quale, giovanissimo, partecipa nel Sayeret Maktal, unità speciale di Tsahal, l’esercito israeliano. Si fa onore come soldato. E si fa onore come studente quando, tornando negli Usa ancora una volta, ottiene lauree in Architettura al Mit, in economia politica dalla Sloan School of management, in Scienze politiche a Harvard. Nel 1973 eccolo in Israele per la guerra dello Yom Kippur, combatte nel Golan e poi di nuovo in America. Parla un ottimo inglese con accento bostoniano che, per la verità, non gli somiglia affatto. Dal 1988 si stabilisce definitivamente in Israele ,dove sceglie la politica. Entra nel Likud, la storica formazione “centrista” di cui oggi è presidente, sale i diversi gradini del cursus politico (dall’82 all’84 è ambasciatore a Washington) fino a diventare nel 1996 primo ministro con la nuova legge di elezione diretta del premier. Resisterà fino al 1999. Passeranno 10 anni, fino alla sua rielezione nel 2009 per capire almeno in parte cosa abbia in mente per la pace Netanyahu.
Lui non accetta la teoria “due stati e due popoli”. Ai palestinesi vorrebbe riconoscere una specie di bantustan demilitarizzato, cui vadano però ingenti aiuti economici. Egli pensa, e non è il solo, che una volta annegati nella prosperità, i palestinesi non faranno troppe difficoltà per adattarsi allo status che lui preferisce. E Gerusalemme non sarà divisa come reclama la comunità internazionale, né verranno sospesi gli insediamenti di coloni intorno alla Città Santa. Quanto all’’Iran minaccia di liquidare la faccenda con una incursione dei caccia alle centrali atomiche degli ayatollah. A questo punto il capo del Likud subisce serie rampogne da Washington, e per la prima volta nella storia d’Israele, il sostegno pieno dell’Amministrazione Usa non è scontato. E anche i principali esponenti della lobby ebraica negli Usa cominciano a dubitare della sua politica. Tornato in patria Bibi deve pensare a come evitare che gli americani favoriscano la nascita di un governo diverso dal suo; ma a dimostrare che in Israele può accadere di tutto, l’attenzione dell’opinione pubblica è da qualche giorno focalizzata sulla sua casa e sua moglie rea di aver licenziato dopo 13 mesi una cameriera che si definisce da lei “torturata”. Mentre la storia si arricchisce di particolari, Maariv chiede addirittura le dimissioni di Netanyahu, colpevole di lasciare troppo potere a una moglie che non ha, pare, tutte le rotelle a posto.