mercoledì 31 marzo 2010

il Fatto 31.3.10
La sconfitta della Bonino caccia alle responsabilità
In provincia non si è vista e il Pd non l’ha chiamata
di Paola Zanca

Sotto shock, ma lucidi. Il giorno dopo la sconfitta, il segretario del Pd Pierluigi Bersani ringrazia Emma Bonino. Come a dire: non è colpa sua. Ma su cosa sia successo, non tutti la pensano allo stesso modo. Ecco una rassegna dei perché Emma ha per so.
Mai vista una campagna così. Lo pensano in molti, (quasi) nessuno lo dice. Emma Bonino è stata troppo a Roma e troppo poco nelle province. Per questo è stata punita. Diciamolo, non è proprio un’insinuazione. Il suo tour elettorale comincia due mesi fa. Va subito a Frosinone, Latina e Viterbo. Rispettivamente, il 7, il 13 e il 20 febbraio. Ma non ci tornerà più. Si fa vedere a Rieti e a Magliano Sabina a fine febbraio, un mese fa. La domenica dopo fa Sora, Cassino e Ceccano, in provincia di Frosinone. Quella dopo ancora, Anzio e Nettuno. L’ultima disponibile, il 21 marzo, Monterotondo e Passo Corese. Il giorno prima era andata a Firenze (dove nessuno poteva votarla), per sostenere la lista Bonino-Pannella. “Soprattutto all’inizio – dice il segretario regionale dell’Idv, Stefano Pedica – faceva tutto tranne che il candidato di coalizione. La si è vista in Piemonte, in Toscana: ma un candidato nel Lazio non si può muovere da quella regione. Noi abbiamo fatto una campagna dura, un’opposizione forte. A volte ci è mancato un candidato presidente”. Siamo quasi agli sgoccioli: un passaggio a Velletri, Frascati, Ostia e Civitavecchia. Giovedì scorso un incontro con i cittadini di Montalto di Castro. Alle cene elettorali con i candidati non si è quasi mai fatta vedere. La Polverini, invece, non se n’è persa una. Nel mese di marzo, gli appuntamenti dell’agenda Polverini sono 176. Quelli segnati sul calendario della Bonino solo 72. Certo, servivano più soldi: per le strade della re) gione, ogni 4 manifesti della Polverini se ne vedeva uno della Bonino. Ma andare in giro non costa nulla. È anche vero che in campagna elettorale non è il candidato che prende e va. Sono i partiti locali che organizzano l’appuntamento, trovano la sede, mobilitano il territorio. E questo è un altro punto.
Il partito perso sulla consolare. Dice Massimiliano Valeriani, consigliere comunale a Roma per il Pd: “La Bonino ha perso perché la coalizione, a partire dal Pd, non ha ancora fatto i conti con la sua organizzazione territoriale. Non è possibile che un voto su scala regionale abbia differenze così rilevanti, solo percorrendo la consolare che da Roma sale a Viterbo e scende a Frosinone. Ci sono tante coalizioni e mai la stessa proposta politica. Il problema del Pd è questo: non c’è omogeneità, mentre la destra è la stessa, da Latina a Viterbo”. Ad aver fatto sbarrare gli occhi ai dirigenti democratici laziali è soprattutto il dato di una città, Frosinone, dove la Polverini ha battuto la Bonino 60 a 39. Da Frosinone vengono due esponenti di rilievo del partito: Scalia, assessore uscente della giunta Marrazzo, già presidente delle provincia ciociara, e Francesco De Angelis, anche lui ex assessore e oggi europarlamentare. Possibile, si chiedono nel Pd, che non abbiano portato un voto? È la filiera che non funziona. Perfino a Viterbo – dove si votava anche per le provinciali – il centrosinistra è riuscito a dividersi e a presentare due candidati: non andrà nemmeno al ballottaggio. Perchè l’avrebbero dovuto votare unito alle regionali?
Ci volevano le primarie. A proposito di territorio, c’è chi non riesce a non pensare che quella della Bonino è stata una candidatura piombata dal cielo. Per esempio Luigi Nieri, già assessore, ora rieletto con Sinistra Ecologia e Libertà: “Ci volevano le primarie: servivano a lanciare il candidato, a farlo conoscere, a rafforzarlo”. Ma per lui la ragione della sconfitta è anche un altra: “Nonostante gli sforzi, non siamo riusciti a trasmettere quel messaggio di legalità e trasparenza in opposizione al centrodestra”. Nieri pensa soprattutto a Fondi: quel Comune doveva essere sciolto per infiltrazioni mafiose. Invece, l’affluenza è stata record e la destra ha vinto con il 75 per cento dei voti.
Via Gradoli. Nessuno vuole dare la colpa a Marrazzo, ma in tanti ricordano che, soprattutto in provincia, le frequentazioni di Natalì e Brenda hanno colpito parecchio l’immaginario dell’elettorato moderato. Senza quel video, c’è chi è pronto a scommettere, Marrazzo ora sarebbe stato riconfermato presidente: aveva già stretto l’accordo con l’Udc. Il voto cattolico era assicurato. L’editto della Chiesa. Ci mancava solo l’appello della Cei. Con quel richiamo sull’aborto ha tirato un brutto colpo. Magari non a Roma, ma nei piccoli centri dove i parroci fanno da collante e collettore di voti, qualche effetto deve averlo sortito. Anche perchè, più che dell’aborto, sostiene più di qualcuno, le gerarchie ecclesiastiche temevano i tagli della Bonino sulle cliniche private accreditate con la regione.
L’ombra di Pannella. Quello sciopero della sete in piena campagna elettorale non è andato giù. Troppo impegnata nelle “sue” battaglie, la Bonino avrebbe tralasciato il vero obiettivo: vincere le elezioni. La candidata sconfitta dirà la sua oggi, in una conferenza stampa. Al fianco di Marco Pannella.

il Fatto 31.3.10
Si può dare battaglia al cattivismo della Lega
Vendola: “Bossi salva il Pdl ma lo divora
“Ci vorrebbe un congresso di futurologia alla Berlinguer. Vince chi ha un’idea del domani”
di Luca Telese

C erto, il momento magico si sente. E’ partito dalla Puglia per staccare dopo una campagna massacrante, ma si aggira per i vicoli del centro di Roma, chiunque lo vede lo saluta. Nichi Vendola in queste ore è diventato suo malgrado un simbolo: “Sei l’unico che ha vinto, aiutaci!!”, gli grida una professoressa a corso Vittorio Emanuele. “Sono volata da Stoccolma solo per votare te”, gli sussurra una studentessa da Feltrinelli. “Siamo andati e tornati da Lecce in 12 ore per sostenerti”, dicono degli studenti affacciati ad un bar vicino a piazza Navona (che brandiscono una copia de Il Fatto). Il neogovernatore si gode il momento magico con una punta di pudore, ma felicissimo. Quando un altro ragazzo, da un tavolino di piazza del Fico grida: “Per me esisti solo tu! E Berlusconi!” gli scappa da ridere: “Ti ringrazio, ma temo che dovrai scegliere”. Che fare dopo la sconfitta, per Vendola è un pensiero dominante.
Molti dicono: adesso Nichi si deve iscrivere al Pd. (Faccia stranita). Io non voglio iscrivermi al Pd. Io con il Pd voglio discutere.
Perché dici di no?
Perché l’identità del Pd è uno dei problemi della coalizione che deve nascere: è un partito che non ha un chiaro progetto culturale, un contenitore elettorale che spesso produce effetti bizzarri. Ovvero?
Funziona come una centrifuga che tritura gruppi dirigenti: Veltroni, Franceschini... Io non ho ancora capito quali erano le differenze politiche, su cosa si dividono. Molti dicono: per te aderire è come Parigi val bene una messa per Enrico IV. Un atto di sottomissione che ti regala un biglietto in prima squadra.
(Ride) Se io avessi un problema di collocazione personale non avrei fatto quello che ho fatto in Puglia, la battaglia delle primarie. Per mia fortuna non ce l’ho, sono un uomo felice che ha altri problemi.
Quali?
Come ricostruire una coalizione e tornare a vincere. Cosa manca? Bè, tutto. Anche solo capire chi sono gli invitati. A volte temo che la sinistra non impari mai.
A che ti riferisci?
Vedo che inizia la campagna di demonizzazione contro i grillini al grido: ‘Ci hanno fatto perdere’.
E invece tu cosa diresti?
C’è gente che ha passato una vita a inseguire Buttiglione, e che ora vuole iniziare un nuovo cammino partendo da un veto. Assurdo. Non bisogna inseguire Rocco? Per carità, io con lui farei un seminario di filosofia: ma voglio dire che deve finire la cultura altezzosa della repellenza per cui si mette all’indice un nemico interno. Tu cosa avresti fatto? Io ho fatto. Con i ragazzi delle Cinque Stelle parlo, discuto, ragiono. Si trovano punti di convergenza e
di dissenso. Ma intanto va capito che non sono l’orco, ma una delle cose più nuove e vive di queste elezioni. Assieme ai ragazzi delle fabbriche di Nichi.
Dicono: sono fondamentalisti. Se è per questo esiste anche il fondamentalismo di palazzo, il vangelo triste della realpolitik.
Ogni riferimento a D’Alema... I riferimenti sono tanti. Elenca gli errori che portano alla sconfitta.
Il primo, sempre lo stesso: il centrosinistra pretende sempre di raccogliere senza seminare. Il secondo.
A Piazza del Popolo abbiamo avuto la percezione dell’indispensabilità l’uno dell’altro. Il meraviglioso pluralismo di quella piazza era una speranza, non una minaccia. Ma se poi non ci si parla, se non si apre il cantiere... Quando va fatto?
Subito.
Passiamo a un altro errore.
L’analisi dell’avversario e della sua situazione di difficoltà. Ovvero? Il berlusconismo è un racconto in crisi, e dopo l’insorgenza tragicomica delle guerra per bande e delle liste mancate, le urne lo dimostrano. Però quella crisi non trova sponde e, sbocca a destra.
Nella Lega...
Proprio così. Noi ci siamo fatti raccontare dai giornali che tutto per loro è andato bene. E’ folle.
E non è così?
Macchè: la stampella della Lega maschera malamente la crisi: ma è anche un fattore che la accelera. Tu non consideri Bossi una costola della sinistra? Un’altra follia ricorrente. Ho citato in tutti i comizi la vergogna dei bambini lasciati a pane e acqua dal sindaco leghista in provincia di Vicenza perché non avevano pagato la retta. Su follie come questa la si-
nistra deve fare battaglia culturale ogni giorno, senza remore. Si dice: Maroni è il miglior ministro del governo.
Come no. Ed è anche il teorico della cattiveria come simbolo politico, dell’ordine pubblico come discriminazione, della galera come soluzione ai problemi sociali.
La sinistra pensa di dover competere su quel terreno. Una follia. Nella campagna elettorale in Puglia la destra non ha usato l’argomento nemmeno una volta: lo avevano disinnescato con le politiche sociali. Contro il nuovo razzismo dobbiamo dare battaglia. Hai una ricetta?
Di sicuro una: liberiamoci della subalternità alle idee della destra. Facciamo un corpo a corpo sul loro terreno, con i fatti.
Ad esempio?
Il fisco. Possiamo raccontare a questo Paese che le uniche tasse che sono saltate sono quelle dei ricchi e che la pressione fiscale è aumentata?.
E gli argomenti positivi?
Il lavoro e la libertà. Finché il lavoro resta marginale anche la sinistra lo sarà. E la libertà? La vuoi contendere al Cavaliere?
Ma certo! Il mix liberismo-populismo inventato da Berlusconi promette una libertà che non c’è, e che viene sostituita dal rancore sociale dei ricchi, che interpretano e illudono i sentimenti dei poveri. Come si rompe questo mix?
Raccontandolo. Dietro questa ideologia cultural sentimentale c’è l’immaginario guardone dei reality, il populismo manipolatorio di Beautiful.
Cos’altro serve?
Uscire da discussioni inutili tipo: va inseguita o no l’Udc? In Piemente l’Udc c’era e la Bresso ha perso lo stesso. Ci serve un’idea della crisi diversa da quella della destra... E poi?
(Sorride). Ricominciamo a pensare in grande. Magari rispolverare una geniale idea di Berlinguer, il congresso di futurologia. Oggi vince chi ha un’idea del futuro, e non del passato.

Repubblica 31.3.10
Sulla moralità
Niente nuovismo
Vendola avvisa gli alleati "Non c´è futuro per i partiti io punto sulle virtù civiche"
Il governatore: qui si fabbrica la speranza
L´ex segretario inquisito del Pd aveva detto che lasciava Ora mi aspetto che lo faccia davvero
Forse rischio di ficcarmi nel buco nero del nuovismo, una moda nefasta. Ma io osservo la realtà...
itervista di Antonello Caporale

BARI - «I morti seppelliscono i morti. Concentriamoci sui vivi».
Nichi Vendola dà già per stecchito Bersani.
«Io penso invece che siano finiti i partiti. Consumati, inadeguati, fuori dalle virtù civiche. Non voglio più essere scambiato per uno degli esorcisti che tentano di far vivere chi è defunto».
Bersani, invece...
«Non commento i destini personali. Penso a quel che dovrà succedere».
Succederà che porterà le sue poesie a Roma.
«Anche la poesia, sì. "La poesia è nei fatti" è stato il mio slogan elettorale. Porterò l´esperienza delle fabbriche».
Sembra che la Puglia sia piena di operai. Invece lei fabbrica parole.
«Sono luoghi in cui le esperienze si coagulano, la gente si ritrova insieme e resta insieme. Sono posti in cui si coopera per un´idea di governo. Cooperazione: l´uno a fianco all´altro. Invece mi dica lei cosa sono i partiti».
Dica lei.
«Aree delimitate da una specie di filo spinato in cui la competizione è sfacciata, ossi di seppia, luoghi pieni di detriti, posti senza anima. I partiti sono fuori dal popolo, oltre la gente. A volte contro di essa. Una catena, una rete oligarchica e distante».
Nelle sue fabbriche invece c´è piena occupazione
«Ha visto quanta gente? Centoquaranta sono le fabbriche. E fabbricano speranze, sono connesse alle piazze, alle vite degli ultimi. Altrimenti io come avrei fatto, come avrei potuto vincere?».
In effetti D´Alema aveva garantito che avrebbe perso.
«Quando le differenze sono politiche è inutile commentare con parole senza riguardo».
La sua è sempre una costruzione innocentista, anche se parecchio sanguinante della realtà. Però se annusa le liste che l´hanno sostenuta troverà qualche brigante.
«È il frutto di questo sistema, siamo figli di questi partiti. La ragione per cui le ho detto che la loro vita naturale si deve considerare conclusa».
Per esempio: l´ex segretario del Pd pugliese, inquisito, annuncia il ritiro dalla politica. Però giacché è già candidato aspetta di vedere i risultati. Eletto. Finita la festa, gabbato il santo.
«Aveva detto che lasciava ed è assai opportuno che tenga fede all´impegno».
La moralità.
«La moralità dobbiamo ritrovare, sì. La vita sobria, anche umile. Io non ho partecipato a una sola festa, e sa che Bari è piuttosto generosa nell´offerta, perché mi sembrava utile non apparire. Io devo difendere la mia persona dal rischio di divenire solo un personaggio e mi produco in periodi di astinenza: dalla tv e dal potere. Voglio riuscire a non farmi mangiare dal potere».
A lei si rivolgono con devozione di stampo berlusconiano.
«Quale Berlusconi! Qui in Puglia c´è stata semina. Ed ora c´è raccolto. Nell´innovazione abbiamo investito un miliardo e 700 milioni di euro. Il budget della giunta precedente era di 80 milioni di euro. Innovazione. Cioè ricerca, nuove competenze, apertura di carriere per chi inizia il lavoro. Cultura. Abbiamo la più possente e tecnologica macchina di Protezione civile, un sistema unico di telecontrollo del territorio. E quando ripartirà l´economia vedrà la Puglia come correrà. Altrove forse il raccolto non c´è stato perché nessuno ha pensato di seminare».
Berlusconi ha seminato?
«Lui è riuscito nel miracolo di separare il concetto della libertà dal lavoro. Il lavoro è scomparso. La sinistra nemmeno se ne è accorta. Lui ha cancellato l´articolo 18 e l´opposizione quasi non s´è destata dal torpore. Questo è il centrosinistra delle allusioni, perciò diviene il centrosinistra delle illusioni. Ed ecco qui il risultato».
Il partito che non c´è più.
«Partito: participio passato. Cioè e anche: fuggito, sparito. Scomparso».
Il partito democratico.
«Il fuggito democratico».
Poesia pura.
«Berlusconi lascia solo solitudini. E noi che stiamo dall´altra parte non abbiamo strumenti, non capiamo, non agiamo. Competiamo. Sappiamo unicamente competere tra noi».
Sapete solo scannarvi.
«È il frutto della formula sbagliata. Non sono gli uomini. La leadership è una funzione non una finalità. Non ho la forza di connettere quello con l´altro, l´operaio e il borghese, il giovane e l´anziano, il diversamente abile, colui che è fragile. E provo a vincere da solo, corro per dominare».
Dunque: bisogna buttare giù il partito democratico e tutto l´edificato urbano delle periferie di sinistra e costruire la nuova fabbrica del consenso.
«Rischio di ficcarmi nel buco nero del nuovismo, una moda nefasta. Ma osservo la realtà: ossi di seppia sono divenuti i partiti. Io porto le fabbriche, un segno nella costellazione. Contribuisco così. A fine aprile avremo gli stati generali delle fabbriche. Tutta Italia».
Tutta l´Italia di centrosinistra in Puglia, per uno stage formativo.
«Da quel punto di vista sì. Siamo imbattibili a utilizzare al meglio gli strumenti e le parole: connettere, coinvolgere, gratificare. Vede la meraviglia del volontariato, vede la forza oscura dell´anima, il piacere di costruire qualcosa di nuovo. Quanti soldi sarebbero serviti? E con quei soldi cosa mai avremmo ottenuto?».

Repubblica 31.3.10
Jeff Anderson, l´avvocato anti-abusi: "Il trasferimento dei preti-pedofili dipende dal Vaticano"
"Porteremo il Papa in tribunale" Usa, la guerra dei legali delle vittime
"Un giudice mi ha già dato ragione, ma la Santa Sede si è appellata alla Corte Suprema"
di Angelo Aquaro

NEW YORK - Avvocato, ma davvero lei crede di poter portare il Papa a processo per pedofilia? Jeff Anderson, 62 anni, l´uomo che da un quarto di secolo combatte gli abusi dei preti negli Usa, il detective che ha scoperto i documenti che mostrerebbero come Joseph Ratzinger difese il molestatore di duecento bambini sordi, ha pochi dubbi: «Il mio caso porta direttamente al Vaticano. E io spero, anzi sono convinto di riuscire a fare deporre il Papa. Un tribunale mi ha già dato ragione. La Santa Sede si è appellata alla Corte Suprema. E adesso... ».
E adesso Jeff non ha più un attimo di pace. I telefoni dell´ufficio legale di St. Paul, Minnesota, suonano che neppure le campane di Pasqua. «Ogni due settimane una nuova causa» dice Patrick Noaker, l´altro avvocato che da dieci anni segue Jeff. «Ma sapete che negli Usa un bimbo su sei è molestato?». Anderson lo ha scoperto sulla sua pelle: anzi, sulla pelle di sua figlia. «Trovò la forza di confessarglielo solo dieci anni dopo», ricorda Patrick. Il mostro era lo psicoterapeuta, per la cronaca un ex prete, che avrebbe dovuto assistere la ragazza, entrata in crisi per il divorzio - e, ha scritto l´Ap, ai tempi anche i problemi di alcolismo - del papà. «Ecco perché dobbiamo fare tutto quello che possiamo per fermare l´orrore. Arrivando fino a Roma: perché il meccanismo che abbiamo scoperto porta fin là».
Il meccanismo è una bomba a orologeria che spetta alla Corte Suprema disinnescare o meno. Il Washington Post ha scritto che ci sono già stati contatti con i legali del Vaticano. «Non nostri: probabilmente fanno parte dell´istruttoria della Corte, che deve decidere se accogliere il ricorso o no». Ma uno stato straniero come il Vaticano non è protetto dall´immunità? «Questo è il punto» dice Jeff. «Il punto sono le eccezioni».
La legge prevede il perseguimento di uno stato straniero se i suoi dipendenti sono responsabili di "tortious activity", cattiva condotta. «E i preti sono dipendenti del Vaticano: lo dimostra il fatto che è Roma a ordinare i trasferimenti».
Il procedimento non è l´unico intentato contro il Vaticano. Già cinque anni fa il segretario di Stato Angelo Sodano cercò di "sensibilizzare" sul tema la collega Condoleezza Rice: perché continuano a farci causa? Ma «John V. Doe contro la Santa Sede» (John Doe è il nome fittizio che si usa per coprire l´identità del molestato) è il primo arrivato in tribunale.
Dice Pat Noacker: «Il caso dell´Oregon nasce così: un prete confesso di abusi che dall´Irlanda viene spostato negli Usa, prima a Chicago e poi appunto a Portland. Passo dopo passo, inchiesta dopo inchiesta, ci siamo resi conto che il meccanismo degli spostamenti era sempre identico. La scoperta di abusi, il trasferimento, altri abusi».
La ragnatela, dicono, tocca anche l´Italia. «Tanti sacerdoti in partenza, molti americani che hanno studiato nei seminari di lì. Il disegno è evidente: questa è la politica della Chiesa. E la politica della Chiesa non la fa il Papa?».
Dal Vaticano continuano a dire che no, i sacerdoti dipendono dai vescovi: e infatti finora sono state le diocesi a rispondere degli indennizzi miliardari. Ma il carteggio scoperto qui in Minnesota e pubblicato dal New York Times, con il futuro del prete pedofilo deciso a Roma, dice il contrario.
Vi accusano di complotto, vi accusano di complicità nell´attacco dei grandi giornali a Benedetto XVI. «Ma sapete quanto aiuto abbiamo ricevuto da tanti sacerdoti, perfino da tanti vescovi? Una minoranza, purtroppo: troppe consegne del silenzio. Ma è dalla stessa chiesa che si alza l´indignazione: e sempre di preti, vescovi, che hanno potuto parlare con le vittime, conoscere le loro storie».
E se quel giorno arrivasse davvero? Il Papa sul banco degli imputati. E, da fare, una sola, decisiva domanda... «Perché ha permesso tutto questo. Perché lo ha permesso quando era vescovo in Germania. Perché lo ha permesso quando era cardinale a Roma. Perché continua a permetterlo ancora adesso».

Repubblica 31.3.10
La formula del piacere
La biografia del professore americano che raccontò i misteri delle donne
Masters e i suoi studi sul sesso
di Natalia Aspesi

Ciclicamente si fanno epocali sondaggi sul sesso, chiedendo a centinaia o migliaia di malcapitati quante volte, di qua o di là, in che modo, con chi, come nel ricco e recente saggio La sessualità degli italiani di Barbagli, Dalla Zuanna e Garelli: l´hanno chiamato il primo "Rapporto Kinsey" italiano, speriamo toccandosi (essendo maschi tutti e tre gli autori), vista la deriva autolesionista-masochista del povero Alfred, evidentemente frastornato dalla miseria sessuale degli americani anni ´40/´50. Negli anni ´70 una affascinante signora fulva, Shire Hite, sondaggiando tra belle addormentate incavolate, compose un famoso rapporto da cui si deduceva che gli uomini ancora si perdevano nei misteri del piacere femminile, venendone casualmente e raramente a capo. Ma intanto, tra Kinsey e Hite, si era imposta una coppia avventurosa e sfacciata che non riteneva sufficienti le parole spesso bugiarde, ma voleva sapere quel che nessuno, neppure il più spericolato degli scienziati, sino a quel momento aveva osato affrontare: cosa succede nel corpo umano quando si fa l´amore. Soprattutto nel corpo femminile, di cui ancora si preferiva non sapere quale trambusto avvenisse nei loro ignoti e temuti recessi.
Nel pieno del suo spettacolare successo mondiale, la coppia fu immortalata sulla copertina di Time del 25 maggio 1970, ma solo ora esce la prima ricca biografia a tratti crudele. Thomas Mayer in Masters of sex (Basic Book, pagg.411, euro 33) racconta la vita di William Masters, docente all´università Washington di St. Louis, ginecologo ed ostetrico insigne, guru dell´infertilità (tra le sue pazienti, oltre alla sua signora, ci fu, inutilmente, l´infelice e sterile Soraya, moglie per questo ripudiata dello Scia di Persia), e di Virginia Johnson, che priva di qualsiasi titolo accademico, era diventata una collaboratrice indispensabile per l´intuito e la sensibilità femminili. Quando i due si incontrarono, alla fine del 1956, lui aveva 41 anni, sposato, due figli, l´eroica fissazione di voler sfidare il moralismo d´epoca che considerava reato la prostituzione e comunisti gli studi sul corpo della donna. Lei era una trentenne di aspetto placido, più volte divorziata, sola con due figli da mantenere: Masters la ingaggiò subito come assistente per i suoi segreti e pericolosi esperimenti, a causa della voce suadente ed erotica (che, secondo il biografo Mayer, la signora, oggi 85enne, ha conservato) e per aver capito che, al contrario di lui, molta teoria e poca pratica, lei era forse scarsa nella prima ma ottimamente provvista nella seconda.
Ottenuta anche la benedizione dell´arcivescovo cattolico che per scongiurare i divorzi avrebbe consentito qualsiasi peccaminosità, la coppia subito molto affiatata (qualche anno dopo anche a letto, "fa parte dei suoi doveri professionali, cara", segue dopo 15 anni matrimonio freddo e dopo altri 11 divorzio astioso), iniziò il suo prezioso studio: dapprima solo con prostitute, poi con studentesse e mogli di insegnanti. Nude ma con una federa in testa per garantirne l´anonimato, la generose cavie che si immolavano alla scienza, talvolta a pagamento, erano ben contente di spassarsela un po´, sia pure con la collaborazione di un fallo di plexiglass a motore con in cima una microcamera chiamato Ulisse, (però anche con partner umani sconosciuti), una foresta di elettrodi e sensori sul corpo, generando scene da Frankenstein Junior (di Mel Brooks, con Gene Wilder, 1974).
Le servizievoli ragazze così monitorate, manovravano con tale appassionata destrezza il simpatico Ulisse da farlo talvolta schizzar via, in faccia a qualche raro scienziato ammesso alla segreta sperimentazione, indubbiamente epocale, altro che sondaggi: per la prima volta infatti quella grotta straniera, quel labirinto alieno tra le gambe delle signore, erano stati esplorati, fotografati, visti! Cadeva il più lunatico dei misteri, quello dell´innominabile orgasmo: con i suoi umori e le sue tensioni e i suoi fremiti e sudori e sperdimenti e battiti e arrossamenti di ogni muscolo e ogni nervo e ogni centimetro di pelle. La tecnologia applicata al sesso registrò 10mila orgasmi di 700 persone, con rivelazioni sconvolgenti: a) Freud aveva torto, esisteva un solo orgasmo femminile, non due; b) responsabile era una parte del sesso femminile ignorata dai testi scientifici e spesso dagli uomini e talvolta persino dalle donne; c) le donne erano più erotiche degli uomini, potendo ottenere orgasmi multipli.
L´atto sessuale nell´uomo e nella donna nel 1966 divenne un bestseller mondiale (in Italia uscì da Feltrinelli): e gli autori si aspettavano un tripudio di gloria; fu invece uno scandalo, un disastro, e Masters fu costretto a rinunciare al suo ruolo accademico. Un paio d´anni dopo, con Patologia e Terapia del rapporto coniugale riconquistarono i moralisti inventando un trattamento che in due settimane (l´approccio psicanalitico poteva durare anni) di esercizi diurni e notturni ovviamente sessuali, ricuciva matrimoni sfasciati. Il mondo intanto cambiava e pareva che tutti ormai facessero l´amore senza problemi, e i loro studi diventarono sempre più demoniaci: arrivando a Homosexuality in Perspective, accolto malissimo perché propagandava una ‘cura´ dell´omosessualità che in un baleno rendeva arrapante il sesso opposto. Sessuologo evidentemente romantico, l´ormai anziano studioso improvvisamente chiese il divorzio: non aveva mai perso i contatti col biondo primo amore e 55 anni dopo, lei vedova e sempre bionda, lui, già malato di Parkinson, i due decisero che avevano aspettato abbastanza. E nell´agosto del ‘93 a 77 anni, William e la sua coeatanea Dodi si sposarono. Virginia, ultrasessantenne ancora piacente e non doma, si comportò come talvolta fanno donne in là con gli anni: si prese per un po´ un compagno omosessuale, belloccio e servizievole.
Masters è morto nel 2002, Johnson vive in uno di quei briosi quartieri per ricchi pensionati; tempo fa ha distrutto un tesoro: gli appunti, le registrazioni, le storie cliniche del lungo straordinario lavoro che l´aveva legata a Masters per 40 anni, stanca di pagare l´affitto del magazzino. O forse come ultima vendetta verso l´uomo mai amato e mai perdonato.

l'Unità 31.3.10
Cardinal Ruini, ex Cei: «C’è chi vuole scardinare la fiducia e la fede in Dio»

Preoccupata la Cei sgomento per gli abusi, solidarietà al Papa p Il cardinale Schoenborn «Fu Wojtyla a insabbiare, non Ratzinger»
Scandalo pedofilia i vescovi italiani ora collaboreranno con la giustizia
L’arcivescovo di Vienna punta il dito con il predecessore di Benedetto XVI. L’attuale Papa avrebbe voluto indagare su un cardinale accusato di pedofilia, ma venne fermato. Scende in Germania il consenso al Pontefice.
di Virginia Lori

L’accusa viene dalla Germania, ed è esplicita: fu papa Giovanni Paolo II a bloccare le indagini su un caso di pedofilia nel 1995 e non l’allora cardinale Ratzinger, oggi papa Benedetto XVI. Così il cardinale Christoph Schoenborn difende l’attuale Papa e accusa il predecessore: aveva paura, dice, che una commissione d’inchiesta avrebbe danneggiato l’immagine del Vaticano. Accusato di molestie sessuali, allora, era l’arcivescovo di Vienna, cardinale Hans Hermann Groer.
Di fronte alla pedofilia i vescovi italiani «non si oppongono, ma anzi convergono, con una leale collaborazione con le autorità dello Stato, a cui compete accertare la consistenza dei fatti». «Sgomento, senso di tradimento e rimorso per ciò che è stato
compiuto da alcuni ministri della Chiesa» dice la Cei, che si schiera a difesa del Papa e ribadisce «la vicinanza alle vittime di abusi e alle loro famiglie, parte vulnerata e offesa della Chiesa». Ma i vescovi intravedono dietro le notizie e i documenti pubblicati dal New York Times la mano di un ex vescovo progressista che dovette dimettersi per una relazione omosessuale iniziata quando il partner aveva 10 anni. Sarebbe il portabandiera di una quinta colonna «interna» il cui interesse a offuscare l'immagine del Papa coincide con quello di chi vede la Chiesa Cattolica come origine di tutto il male. Anche Camillo Ruini, ex cardinal vicario, accusa «uno spirito non solo polemico» che «vorrebbe sradicare la fiducia» nella Chiesa e alla fine «la fede in Dio dal cuore degli uomini». Un complotto: «Ci sono due motivi di sofferenza che stanno insieme: sofferenza per le colpe dei figli della Chiesa, e sofferenza per questa volontà ostile alla Chiesa». Manca però la sofferenza per le vittime degli abusi.
PIOGGIA DI DENUNCIE
Continuano le denunce. Oggi su Italia 1 la confessione del primo prete sbattezzato, Salvatore Domolo, che racconta gli abusi subiti a 8 anni. Ieri la diocesi di Bozano e Bressanone colpita dall’arresto del responsabile dei chierichetti di Varna ha istituito un referente indipendente per le vittime e per i colpevoli di abusi. È Werner Palla, ex difensore civico della Provincia autonoma, a cui ci si può rivolgere anche via mail (werner.palla rolmail. net).
Anche in Germania la Chiesa ha istituito un telefono presso la diocesi di Treviri. Centinaia di persone hanno denunciato di aver subito violenze a sfondo sessuale da bambini, tra gli anni 50 e 80. Lo scandalo ha toccato due terzi della diocesi; l'arcivescovo di Treviri, Stephan Ackermann, ha riconosciuto che 20 sacerdoti sono sospettati di aver abusato di bambini. Non basta, forse: il 46% per cento dei tedeschi il sondaggio sarà pubblicato dal settimanale Stern non apprezza il comportamento del papa. Nel 2007 il 70% l’approvava, i critici erano l’8%.

martedì 30 marzo 2010

Repubblica 30.3.10
La candidata radicale evita dichiarazioni. "Con il Pd comunque esperienza utile"
"Brutte notizie dalle province" l´amarezza nel fortino di Emma
Con lei molti democratici e il compagno di partito Spadaccia. Ma non Pannella
di Alessandra Longo

ROMA Quartiere per quartiere, sezione per sezione, voto per voto, Roma e provincia, Latina, Frosinone, Rieti. Emma Bonino, occhiali sul naso, e sigaretta tra le dita, è appesa ai risultati.
Che cambiano, ora sale lei, ora tocca a Renata Polverini e sono gli ultimi dati, quelli che fanno male. Va come previsto: «Sarà una battaglia al fotofinish». E così è. Scende la sera e il Lazio non ha ancora il suo governatore. In via Ripense, al comitato elettorale di Emma, c´è un clima che volge all´amaro, le facce si fanno buie con il passar delle ore. Tutto è sospeso, una sorta di apnea forzata, anche un po´ crudele da reggere. Altalena di notizie che la candidata apprende dallo schermo tv: «Emma, a Roma città vai fortissimo!». E subito dopo: «Emma, brutte notizie da Frosinone, Latina, Rieti. Lì la Polverini stravince». Via vai di amici, amiche, un po´ al capezzale. Lei non si fa vedere. Stretta in un giacchino grigio con la sciarpa gialla avvolta intorno al collo, si sottrae alle pressioni, azzanna un panino per fame arretrata: «Figurati se esco a fare commenti in una situazione così». Perché il problema, mentre la luna sale, è uno solo: i dati positivi della capitale riusciranno a compensare la defaillance schiacciante nelle altre province? Alle 22 le proiezioni danno la Polverini al 50,6. Emma è ferma al 48,8.
A centellinare qualche dichiarazione, giusto per buona educazione, è Riccardo Milana, coordinatore della sua campagna elettorale, senatore del Pd, cattolico vicino a Marini, perfettamente integrato con il team dei radicali. Uno che è entrato prudente al fianco di Emma per poi «invaghirsi» della sua energia, della sua determinazione, della sua voglia di vincere.
Adesso dice, allargando le braccia: «Sapevamo che finiva così, con un testa a testa». Dunque, prudenza, anche qualche rito scaramantico consumato fuori dai riflettori. Si oscilla, sale il nervosismo. Alle sette della sera, Emma fugge. Il tempo di vederla salire in macchina e una muta di cronisti la segue. Scusi dove sta andando? «A casa per un po´, la notte sarà lunga».
Sfida difficile, con un´avversaria, Renata Polverini, sponsorizzata dal premier in persona che si è speso per lei, ha occupato manu militari tutti gli spazi televisivi alla vigilia del voto e ha detto chiaro agli elettori: «O noi o loro». Filippo di Robilant, braccio destro di Emma da una vita, fa la spola tra il suo ufficio e la stanza avvolta dal fumo dove lo schermo distribuisce coltellate. Passa Zingaretti (Pd), transita il radicale Gianfranco Spadaccia, il reggente alla Regione Esterino Montino. Marco Pannella non c´è, aspetta la sentenza nella sede storica di Largo Argentina. In mezzo a tanta fibrillazione forse è lei ad essere la più tranquilla se non altro per quel che le ha insegnato sua madre: «Fai quel che devi. Succederà quel che può».
Più di così dice ai suoi non si poteva fare. Lo ripete a Radioradicale dove è andata in diretta anche ad urne aperte, con gran indignazione di Cicchitto che l´ha subito accusata di aver violato il silenzio dovuto. Lei colpevole, il premier che straripa dalla mattina alla sera, no, lui invece può.
Non c´è tempo per le riflessioni sugli elettori che si sono sottratti al rito. Emma azzarda una prima risposta nel pomeriggio, del tutto provvisoria, già invecchiata la sera: «Forse chi voleva votare Pdl non se l´è sentita di votare altro, Storace e Lista Civica. Ma questa spiegazione avrebbe senso solo per il Lazio».
Le amiche si preoccupano: «E´ stanca, si è spesa come non mai». Domenica l´hanno portata a cena fuori, a mangiare una tagliata e poi al cinema. Lei, che ha conosciuto Mandela di persona, ha scelto "Invictus". Si è commossa, si è riconosciuta nella frase del vecchio leader: «Non si governa un Paese senza una visione».
Anche Emma Bonino la pensa così e ha giocato per vincere. Forse non ci è riuscita. Ancora non lo sa in questa notte lunga. Ma già trae, da quest´esperienza, comunque vada, un buon bilancio nei rapporti con il Pd: «C´è stata una gran comunanza di intenti in un´atmosfera utile, gradevole. Io ho imparato delle cose da loro, spero anche loro da noi».

Repubblica Roma 30.3.10
Staderini: "La forza del marchio radicale"
di Anna Rita Cillis

Un «dato è già emerso» per Mario Staderini, segretario dei Radicali Italiani, a fianco di Emma Bonino in questa battaglia elettorale per la presidenza della Regione. Ed è «che quanto sostenevano oltre Tevere, cioè che temi come l´aborto e il divorzio potessero pesare negativamente sulla decisione degli elettori, soprattutto a Roma, non è accaduto. Anzi: sono convinto che le nostre lotte per i diritti sociali dei cittadini siano state determinanti a suo tempo, come oggi lo sono state quelle sulla trasparenza e sul rispetto delle leggi. Non a caso ci siamo battuti affinché la campagna elettorale fosse la più trasparente possibile, per tutti.
Se i dati reggono, Roma premia la lista Bonino-Pannella e la coalizione.
«Sicuramente. Ovviamente parliamo di un dato parziale. Ma la risposta degli elettori è stata comunque la riprova che la nostra direzione era quella giusta: solo tre mesi fa la corsa alla Regione sembrava persa in partenza. E sembrava impossibile arrivare a un testa a testa con Renata Polverini, candidata sorretta dalla forza mediatica di Silvio Berlusconi».
Una scommessa vinta al di là dei risultati, dunque?
«Certo, per il centrosinistra, come per noi Radicali. E grazie a una coalizione forte».
Ma si corre per vincere, o no?
«Eccome! Però se non dovesse accadere abbiamo comunque dimostrato che l´alternativa a Berlusconi sono le opposizioni con chiaro connotato politico. Come Emma Bonino nel Lazio, Nichi Vendola in Puglia e Mercedes Bresso in Piemonte.
«La forza delle coalizioni?»
«Certo, però oltre a stringere le coalizioni bisogna anche crederci. Come ha dimostrato nei nostri confronti Pierluigi Bersani. L´appoggio del segretario nazionale del Pd, la sua determinazione nel portare avanti il nome Bonino sono stati importanti. Da parte nostra abbiamo però dato forza a questo progetto con un "marchio" solido come quello dei Radicali».
E ora?
«La priorità dei prossimi mesi è conquistare spazi di agibilità democratica per tutti i cittadini. E nel Lazio si tratterà di controllare tutto e ridare la parola ai cittadini».

Repubblica Roma 30.3.10
Il voto disgiunto premia Emma anche dall'Udc consensi per lei
E nei seggi il flop dei "gladiatori" del Pdl
di Laura Mari

Non è andata meglio nella provincia di Roma, dove l´affluenza alle urne è stata del 59,20 per cento e ha registrato un calo del 12,72 per cento rispetto al 2005. E forse proprio per la scarsa partecipazione degli elettori, al di là dei timori e delle polemiche, nei seggi elettorali della Capitale non ci sono stati particolari problemi. Insomma, l´ascia di guerra, alla fine, è stata sotterrata. Il buonsenso e, soprattutto, la capacità degli elettori di non sbagliare, ha evitato che si arrivasse allo scontro tra i rappresentanti di lista.
Pronti a battersi per far valere (a favore della candidata del centrodestra Renata Polverini) ogni voto che indicasse come preferenza il nome di un candidato escluso del Pdl, i "gladiatori del voto" messi in campo dal Popolo della Libertà hanno riposto le armi. «Soprattutto quando si sono accorti che la corretta interpretazione delle norme favoriva il centrodestra ironizza Guido Lai, rappresentante di lista del Pd nel seggio di via Lovania nel II municipio sono infatti capitate delle schede in cui, accanto al simbolo del Pd, gli elettori avevano segnato erroneamente i nomi di alcuni candidati, scrivendo ad esempio Alicante invece di Alicata. E allora prosegue Lai i gladiatori del voto non hanno esitato a pretendere che la schede venisse, giustamente, annullata». Tra le curiosità, quelle legate al voto disgiunto. «In molti hanno barrato il simbolo della Bonino presidente e quello dell´Udc» fa sapere Guido Lai.
Analogo discorso nel seggio di via Acquaroni, nell´VII municipio. «I cittadini hanno votato nella maniera corretta, precisa Walter Mastrangeli, rappresentante di lista del Pd nel seggio di via Acquaroni nell´VIII municipio il numero delle schede annullate è stato nella media. In molti hanno scelto il voto disgiunto, premiando ad esempio accoppiate come Pd-Polverini, Idv-Polverini». «A Monteverde dice il consigliere comunale Pd Paolo Masini-alcune schede sono state annullate perché accanto al simbolo della lista Polverini c´erano nomi di candidati esclusi come Celori e Di Paolo».

Repubblica 30.3.10
Bonino, l’ora della sconfitta. “Una lunga battaglia ma era una sfida disperata”
di Giovanna Vitale

Emma Bonino rientra al comitato elettorale di via Ripense quando mancano venti minuti a mezzanotte: un lungo applauso di militanti e sostenitori, facce scure e qualche lacrima di sincera delusione, accoglie la pasionaria radicale ormai battuta. In quello stesso istante il Viminale annuncia il sorpasso di Renata Polverini: a un soffio dalla fine, con 4.440 sezioni scrutinate su un totale di 5.266, la candidata del centrodestra è passata in testa con il 49,83 per cento dei voti rispetto al 49,62 della sfidante, il vantaggio iniziale consumato ora dopo ora sino al ribaltone finale. Il trend positivo improvvisamente travolto dalla valanga di consensi che, a tarda sera, sono cominciati ad affluire dalle province di Latina e Frosinone, tradizionali roccaforti del Pdl e della Destra.
Fino all’ultimo nel fortino di Trastevere si è sperato nel miracolo, in un colpo di reni proveniente dagli ultimi seggi mancanti a Roma, che ha comunque premiato la vicepresidente del Senato con 113mila preferenze di scarto, come già accadde nel 2005, quando Marrazzo strappò la Pisana a Storace grazie alla risposta della capitale. Stavolta però non è bastato. La Bonino lo sa, ma vuole aspettare. Restano ancora 500 sezioni, troppo poche per invertire un risultato che fa volare al 50,7% l’avversaria già in festa a piazza del Popolo, inchiodando lei al 49,27.11 dato è ormai consolidato.
E’ ora di ammettere la sconfitta. La candidata Emma e con lei i collaboratori più fidati, il responsabile della campagna elettorale Riccardo Milana, il segretario regionale del Pd Alessandro Mazzoli, provato dalla debacle nella sua Viterbo, salgono sul palco del comitato. «Ho appena telefonato alla Polverini per farle i complimenti », esordisce. «E’ stata una lunga cavalcata durante la quale ho imparato molto, ma eravamo partiti da urta situazione disperata. Adesso mi auguro che il tema della legalità e delle regole diventi una priorità per il Paese. Tenendo presente che non è possibile avere un presidente del consiglio che occupa tutti gli spazi possibili e immaginabili». E’ finita, gli applausi sono caldi e sinceri. «Grazie a tuttì», ripete.
Mentre, dauna finestra del piano di sopra, parte lo sberleffo: una bandiera del Pdl sventola nel buio sulle note di "Meno male che Silvio c’è" cantato a squarciagola.

Repubblica 30.3.10
Emma, Amarezza ma niente rimorsi
“Ho fatto quello che potevo”
di Alessandra Longo

Sconfitta. Emma Bonino ha perso e la sua faccia non nasconde l’amarezza: «Ringrazio gli elettori che hanno creduto in me». Nel cuore della notte, a scrutinio terminato, quando già Renata Polverini festeggia a Piazza del Popolo, la candidata del centrosinistra affronta la botta. Scrive su un foglio due cose da dire al microfono. Intorno, nella sede del comitato, l’atmosfera è di grande delusione. Due ragazze piangono. Emma le guarda con tenerezza. Mentre è con rabbia che pensa a quanto siano mancati i canali ufficiali, i media tradizionali, «occupati» dalla maggioranza e dal suo leader.
Alla fine, un po’ più di diecimila voti mancano all’appello. Roma e provincia l’hanno scelta in massa, ma non ha sfondato nelle altre province dove la debacle è bruciante. Frosinone, Rieti, Latina. Non a caso Polverini ringrazia. Emma non scende subito nel loft affollato di giornalisti. Vuoi sentire forte e chiaro la sentenza definitiva. Per la verità, i suoi attendono anche che si facciano vedere gli esponenti di vertice del Pd per condividere la batosta, magari proprio Bersani in persona.
Con lei invece c’è solo Nicola Zingaretti, presidente della Provincia, senza cravatta, pallido. Ma in molti, anche amici, se ne sono andati: «Basta, andiamo a dormire, è finita». «Fai quel che devi, succederà quel che può». Così le diceva sua madre. E adesso, rivedendo alla moviola questa lunga campagna elettorale, i rimorsi sono davvero pochi: «Ho fatto quel che potevo». Niente errori di comunicazione, passi falsi, niente battute infelici, nonostante le tante provocazioni, anche molto illustri e d’Oltretevere, sull’aborto, sulla famiglia, sull’eredità Marrazzo. La squadra che l’ha accompagnata nell’avventura che ora assiste delusa, alla fine del sogno, si è mossa compatta. I radicali si sono saldati con la comunità del Pd. Riccardo Milana, senatore, vicino a Marini, e coordinatore dell’impresa, era partito prudente, «Ma poi, di Emma, del suo modo di fare, dell’energia, della competenza acquisita sul campo, si è innamorato», dicono al quartier generale in questa notte mesta. E che dire di Pannella? Anche Marco, irruente, naturalmente protagonista, ha avuto mesi di fair play e, diciamolo pure, di affettuosa discrezione. Non è questo che non ha funzionato. Semmai è una parte del Paese - perché questa sconfinava oltre il territorio dove si è consumata- che non ha risposto alla«visione» di Emma, a quel suo insistere con le parole chiave della sua sfida: legalità, trasparenza, onestà. Equilibri che si sentivano insidiati, assetti di potere che hanno scelto di interloquire con Renata Polverini, protetta dal rush finale del premier.
Emma un po’ l’aveva capito che le cose stavano prendendo una piega rischiosa: «Sarà una battaglia al photofinish», aveva detto.
Troppo il peso del capo del governo, i suoi interventi televisivi a pioggia, troppo poche le forze per contrastarlo. Certo non poteva bastare a raggiungere gli indecisi la diretta di Radioradicale alla vigilia del voto. Emma la «dulce», come la chiamavano gli spagnoli all’epoca del suo lavoro di commissaria a Bruxelles, ce l’ha messa tutta. Ha girato in lungo e in largo il territorio, ha studiato da par suo, cioè «da secchiona», come si autodefinisce, il dossier sulla sanità regionale, inghiottita da una voragine di debiti lasciati dalla gestione Storace. Ha picchiato duro sul centrodestra senza sferrare colpi bassi nei confronti dell’avversaria e dei suo programma «da libro dei sogni».
Mesi di fatica, bocciati dagli elettori che hanno preferito non osare, non affidarsi ad una signora colta, poliglotta, fuori dai giri che si porta in borsetta il discorso di Pericle agli Ateniesi del 461 a, c. («Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia. Qui ad Atene noi facciamo così»). E adesso? «Farò l’opposizione in consiglio come prevede la legge», dice.
Certo sul viso c’ è la delusione ma Emma, come sempre, ripartirà: «Le battaglie civili che vorrei combattere sono così tante che non mi basterebbero dieci vite».

Repubblica 30.3.10
E la capitale boccia la candidata del sindaco
di Simona Casalini

Impaurita da situazioni tipo "gladiatori" nei seggi, frastornata dal "pasticciaccio" della lista Pdl espulsa dalla scheda, investita e talvolta infastidita dal pressing del premier sulla candidata Polverini, Roma, nel voto regionale al fotofinish, ha comunque scelto dall’altra parte. Bonino, con una progressione da fondista. Il primo flash le vede perfettamente pari poi, formichina, altre proporzioni.
Il sito elettorale del Comune parte con Polverini vincente a tutta scena. Poi, però... E’ dopo le 19, a metà delle sezioni romane, che Emma si irrobustisce con 9 punti avanti. E così andrà. Alemanno non è felice, la città di cui è sindaco ha bocciato la sua pupilla.
E’ intorno alle venti e trenta che Alemanno prende la parola, che dice la sua su queste elezioni del Lazio su cui si è speso tantissimo. E lancia un messaggio che non è quello del vincitore placato e soddisfatto. «I primi dati sulle elezioni regionali del Lazio, ancora parziali, evidenziano» dice il sindaco, che ha la moglie, Isabella Rauti, al fianco della Polverini, destinata anche lei a un seggio di consigliere regionale, «il risultato di una campagna elettorale inquinata, brutta, segnata dall’esclusione della lista del Pdl dalla competizione elettorale». E aggiunge ai microfoni del Tg3: «Chi vince, dovrà tener conto delle problematiche e dei contrasti che ci sono stati in campagna elettorale e aprire un confronto costruttivo con l’altra parte politica». Ma intanto è netto il risultato romano: la sua pupilla, la Polverini, non ha convinto gli elettori romani. E c’è chi del Pd prova a pizzicare il sindaco: «Il voto a Roma sta prefigurando un vero e proprio avviso di sfratto per Alemanno e l’inizio del suo declino politico» dice una voce, per la verità isolata.
E mentre procede il conto complessivo della Regione e via via sembrerebbe che i circa 120 mila voti in più presi dalla Bonino a Roma forse non riusciranno a colmare il robusto risultato del centro destra che via via si sta delineando nelle altre province del Lazio (due fra tutte, Latina, a quasi metà scrutinio, dà alla Polverini quasi il 64% contro il 37% per la Bonino, o Frosinone, 60% a 39%) si delinea ancor di più quanto Emma sia stata comunque sospinta dal voto capitolino.
A tarda sera, a scrutinio ancora incompleto, a Roma la Bonino risultava al 52,6 %, la Polverini al 46,8 %. Con un conteggio di schede nulle pari a circa 27 mila. E chi delle due alla fine risulterà sconfitta, è più che probabile che chiederà di rivederle.
Ma è comunque il partito del non voto, il dato più netto del voto dei romani. Oltre un milione di aventi diritto hanno comunque deciso di non recarsi alle urne. Un meno 17% rispetto alle comunali di due anni fa e un meno 13% dalle regionali del 2005. Il dato definitivo parla di un’affluenza del 56,50% contro il 73,32% delle comunali del 2008. Un robusto pezzo di elettorato che si é letteralmente perso per strada.
E i partiti premiati o bocciati dai romani? Le percentuali, anche se a risultati ancora parziali, sembrano delineate. Il voto cittadino ha fatto volare Di Pietro, con la sua Idv balzata a quasi 11%, decuplicato rispetto alle regionali 2005. Ha invece decisamente punito la lista civica della Bonino, tributandole appena l’1,98 %. Risultato record ma prevedibile, quello delle lista civica della Polverini, col 33,68 %, che però, come da indicazioni dei vertici del centrodestra, si è inglobata anche tutti i voti destinati alla lista Pdl esclusa dalla scheda dopo il noto pasticciaccio del tribunale.
Un 33,68%, dunque, che però è ben sotto a138,1% chela stessa Capitale aveva destinato al Pdl alle ultime Europee. E l’Udc di Casini non è certo decollata: era al 4,3 alle Europee, più o meno lo stesso dato ora: col centrodestra non è stata premiata. E il Pd? Scende rispetto alle Europee: dal 31,64 %, si delinea un 27,5%. E non sfonda neanche la lista Bonino-Pannella: aveva il 4,05% nel 2008, ha ottenuto il quasi omologo 4,07%. Storace parla diretto al sindaco: «A Roma siamo sopra l’Udc, Alemanno dovrà riflettere».

Il Messaggero 30.3.10
Bonino: “Io battuta da Berlusconi e dalle tv”
di Mauro Evangelisti e Fabio Rossi

Nella notte, all’una, Emma Bonino è chiusa nel suo ufficio, prende il telefono e chiama. Chiama Renata Polverini. «Complimenti e auguri. hai, vinto». Il testa a testa e finito, la candidata del centrosinistra riconosce la sconfitta e poi, emozionata dopo una giornata sulle montagne russe, usa le parole di chi guarda oltre alla sconfitta e ha un progetto in mente. «Ho posto con forza il tema del rispetto delle regole. della trasparenza, della legalità, spero che non cada nel vuoto. Ricordiamoci degli episodi che hanno contraddistinto anche gli ultimi giorni di questa campagna elettorale. Bisogna riscoprire il senso delle regole e delle istituzioni. Non sfugge l’occupazione da parte del premier di tutti gli spazi possibili e immaginabili a questo un paese normale dovrebbe saper porre rimedio». Ma Emma Bonino non vuole solo recriminare: «La stessa astensione ci interpella e interpella tutti. Ora voglio credere che questo sia solo un inizio, la costruzione di un modo diverso di fare politica in questo Paese». E’ orgogliosa: «Eravamo partiti da una situazione disperata, ricordiamocelo. Questa esperienza ci ha arricchito, andiamo avanti. E’ stata una battaglia appassionante, che mi ha appassionato».
Emozioni, nel cuore della notte, ma anche un messaggio politico prima di lasciare il comitato e andare a dormire: il progetto di dialogo con il centrosinistra, ma anche di una politica differente, non va archiviato.
Eppure, al pomeriggio ci avevano sperato, al comitato della Bonino, a Trastevere. «Faremo tardi, vedrete», dice Emma Bonino alle 16, avvolta da un nube di fumo. Chiusa in un ufficio, gli occhi fissi su un computer. Circondata dalle suo collaboratrici, tenta di interpretare l’andamento indecifrabile dei dati, quelli che fino alla sesta proiezione danno un pareggio. I numeri veri, quelli del dato assoluto, sono un’illusione che si trascina fino a tardi. Così, alle 18.30 Emma Bonino torna a casa, a Trastevere, a riposarsi. Alle 23 si capisce come andrà a finire: Renata Polverini è in piazza del Popolo a festeggiare, alle 23.50 Emma Bonino torna al comitato dove l’accoglie la grande delusione di tutti, perfino la beffa di una bandiera del Pdl dell’inquilino del piano di sopra. «Ma non parlo - ripete Fino a quando non avremo tutti i dati».
E’ una sconfitta, di misura, che arriva al termine di un sali e scendi che avrebbe scosso chiunque. «No, lei è rimasta calma, non ha mai perso il suo sangue freddo», dicono che le è stato vicino. In effetti, al suo primo passaggio al comitato, vero le 15.30, Emma Bonino ripete «Tutto bene, tutto bene». Veste un tailleur nero e una sciarpa gialla, il colore che ha caratterizzato la sua campagna elettorale. Non è sola: c’è il suo staff, arrivano i leader del Partito democratico ad affiancarla. Fra tutti proprio Nicola Zingaretti, il presidente della Provincia di Roma, uno dei nomi a lungo circolati quando il Partito democratico doveva ancora scegliere il candidato. Con Patrizia Prestipino, assessore provinciale, Emma Bonino trova anche la “forza d’animo" di concedersi qualche battuta. «Sembrava possibile, sembrava possibile vincere», ricorda la Prestipino. Alle 18.30 la Bonino esce dalla nuvola di fumo e se ne va. A piedi. Va a casa a ricaricare le pile.
Alle 21.20 la brutta notizia: la proiezione negativa. Dilagare a Roma non è bastato. Eccola, alle 23.50, tornare al comitato, nell’ufficio riordina le idee prima di parlare. Intanto, Marco Pannella da Radio Radicale predica: «Abbiamo perso queste elezioni, ma non abbiamo perso ciò che le ha precedute». In fondo, il testa a testa nel centrosinistra nessuno avrebbe osato prevederlo quasi cinque mesi fa, quando il governatore Marrazzo firmò la sua lettera di dimissioni. Sembra un secolo fa.

Repubblica 30.3.10
Nichi e Emma Ticket di outsider
di Curzio Malese

Che cosa accadrebbe se alle prossime primarie del Pd fosse candidato il «Papa straniero», Nichi Vendola? È la domanda da un milione di dollari che circola da ieri notte nei quartier generali dell´opposizione.
In poche settimane il ciclone Nichi ha travolto ogni pronostico sfavorevole. Fino a vincere sul margine della maggioranza assoluta, senza quasi bisogno dell´aiuto esterno del terzo incomodo, la candidata dell´Udc Adriana Poli Bortone. Nessuno, fino a poco tempo fa, avrebbe scommesso un centesimo sul trionfo di Vendola. Massimo D´Alema era calato per tempo, in una Bari sconvolta dagli scandali, con un foglietto fitto di cifre di sondaggi, per dire che «con Nichi non abbiamo una speranza di vincere». Non era un suggerimento, era un ordine. Ma in due mesi di battaglie contro tutti, prima gli alleati e poi gli avversari, Vendola ha rovesciato la profezia, inflitto agli strateghi eternamente perdenti del centrosinistra la più sonora batosta degli ultimi vent´anni, riconquistato al centrosinistra una regione che in teoria è fra le più destrorse d´Italia. Nelle politiche del 2008 la coalizione di centrodestra, già senza i voti dei centristi di Casini, aveva trionfato con 12 punti di vantaggio. «In Puglia, la prossima volta, possiamo candidare chiunque» aveva commentato Raffaele Fitto, vicerè berlusconiano, pregustando la rivincita per interposta persona. Non è stato così. Il candidato «chiunque», Rocco Palese, è uscito sonoramente battuto.
È difficile immaginare un outsider più outsider di Nichi, almeno per gli arretrati parametri della politica nazionale. Comunista cresciuto in federazione, omosessuale dichiarato, ma cattolico fervente e praticante. Una serie di anomalie, esaltate dalla più straordinaria di tutte: il coraggio. Il coraggio di mantenere la barra dritta quando tutti erano contro. Il coraggio di presentarsi sempre per quello che si è, senza giravolte opportunistiche. Il coraggio soprattutto di sfidare da solo il partito trasversale degli affari che in Puglia voleva privatizzare l´acquedotto. Contro l´opinione del novanta per cento dei pugliesi, ma con l´accordo del novantacinque per cento del quadro politico. Nell´affare dell´acquedotto ci stavano tutti, dai leghisti del Sud all´Italia dei Valori, passando per Pdl e Pd. Ma più di tutto, aggiungevano i dietrologi, passando per l´Udc di Casini e del suocero Caltagirone.
Quella di Vendola in Puglia è la vittoria di una sinistra sincera, popolare, anticonformista, davvero moderna. Dove la modernità non consiste nell´inseguire il vento di destra, mascherandosi da moderati nei talk show. Ma al contrario nel difendere con orgoglio i valori alternativi della sinistra e nella capacità di immergersi in un mondo post televisivo, nel mescolare l´antica arte del comizio in piazza con il nuovissimo talento di saper cogliere la natura politica di Internet. Almeno nell´uso della rete, se non nel resto, Vendola si è rivelato il tanto atteso «Obama italiano». Mezza campagna elettorale, per le primarie e poi per le regionali, le Fabbriche di Vendola l´hanno fatta sulle sigle della rete, da Facebook a Youtube, con trovate di enorme successo, come le videolettere. Qui probabilmente si è creata la distanza e la differenza finale di risultato fra Vendola e la Bonino, altra «straniera» ingaggiata dal Pd, ma ancora prigioniera di stilemi da radicali anni Settanta e Ottanta, compreso il rito stanco dello sciopero della fame. È in ogni caso evidente che dove il Pd ha voluto a tutti i costi cercare il «candidato giusto», quello «in grado di spostare il voto moderato», si trattasse di sceriffi di sinistra come Penati o De Luca, o di democristiani progressisti come Bortolussi e Loiero, sono arrivate catastrofiche sconfitte. Il Pd sconta la presuntuosa pochezza dei propri strateghi, l´incapacità di capire davvero il sentimento popolare, l´incredibile errore di scambiare la Binetti per il mondo cattolico. «Dove la sinistra imita la destra, alla fine perde e perde male» ha sempre sostenuto Vendola. Oggi ha avuto ragione, almeno in Puglia. Nel resto d´Italia, si vedrà presto.

il Fatto 30.3.10
E ora qualcuno sogna la leadership nazionale
Un altro miracolo firmato Vendola
di Luca Telese

Nichi Vendola 3.0. Nella notte di Bari, con la strada chiusa dai vigili perché una folla incredibile – moltissimi ragazzi – si concentra, con Piazza Prefettura che si riempie come una clessidra, il trionfatore delle elezioni in Puglia guarda lontano, passa alla terza fase dell’incredibile rincorsa avviata con le primarie, e già immagina come trasformare la sua regione in un laboratorio. Gli chiedono: “Adesso lei è un leader nazionale?”. Lui, sorridendo e schermendosi: “Mamma mia... lo sarò nella misura in cui governo bene la Puglia...”. Ovvero sì, ma con prudenza, con passi di piombo, tenendosi ancorato all’incredibile radicamento sul territorio, alla “connessione sentimentale” con il suo popolo che è stato la prima chiave del suo successo contro tutto e tutti. La sua è stata una campagna diversa, unica, modernissima. Molto più simile a quella di Obama che a quella di Romano Prodi. Una campagna elettorale combattuta con strumenti antichi e postmoderni, le piazze alla Di Vittorio, piene a qualsiasi ora, in qualsiasi angolo della Puglia, sommate alle piazze della Rete: Twitter e Facebook, più un reticolo impressionante di siti e di video Web. Gli spot esilaranti girati a tavola con la mamma nella cucina di Terlizzi (“Nichi, come si risolve questa storia della malasanità?”) ma anche i video ironici con la visita della signorina Puglia dal dottor Fitto (“Adesso le prescrivo una bella cura nucleare...”, dice il medico. E quella: “Ma lei è matto!”).
Il distacco con l’avversario Rocco Palese, rispetto ai tre punti degli Exit poll, cresce nella notte dello scrutinio, si avvicina al 9%, portando il presidente fra il 47% e il 49%. Il motivo è semplice. Gli exit poll non erano riusciti a monitorare il voto disgiunto, che ha portato un 3% di elettori, a destra e al centro, a votare per lui. Così si ridimensiona anche il dato della candidata Udc, Adriana Poli Bortone: le prime proiezioni la davano intorno al 12,5%, ma alla fine si attesta intorno all’8%. Vendola nelle ultime settimane aveva quasi oscurato il suo sfidante, rivolgendo direttamente il guanto di sfida a Silvio Berlusconi. Una scelta pericolosa, che però ha pagato. Adesso molti osservatori lo indicano come un possibile candidato premier del centrosinistra nel 2013. Mica male per uno che solo l’estate scorsa era stato giudicato perdente da Massimo D’Alema e da buona parte degli oligarchi di centrosinistra. Ieri, invece, poco dopo le nove di sera arrivava una telefonata affettuosa: “Sono Massimo, volevo complimentarmi per questo successo...”.E giù un intenso scambio di opinioni. Ora D’Alema, maestro di machiavellismo, potrebbe diventare addirittura uno sponsor (perché Vendola, al contrario della Bonino, viene pur sempre dalla antica famiglia del Pci). Altro segnale. Il sindaco Michele Emiliano, per un breve periodo suo possibile sfidante, appariva la suo fianco – con una scelta simbolica – nel primo collegamento televisivo con il Tg1. Poi ci sono gli altri elementi di analisi: la sua Sinistra e libertà vola in Puglia al 10% (in Campania, Calabria e Basilicata sta intorno al 4%. nel Lazio al 3.6%). La lista per Vendola, affidata ai “moderati” capitanati dall’industriale Divella (un’operazione di marketing calibrata con micidiale efficacia) arriva al 5%. Così il governatore quasi grida: “Abbiamo dimostrato che esiste un altro sud, un meridione che non è Gomorra, che può rappresentare la legalità, la speranza, il buongoverno”. E poi, quando gli chiedono chi deve ringraziare Vendola fa esplodere l’entusiasmo dei suoi: “I primi sono ragazzi delle fabbriche di Nichi”.
Ecco, le fabbriche. Un altro fenomeno. Tutta la campagna è stata coordinata da un gruppo di ragazzi con un’età media di trent’anni. Il coordinatore dello staff, Ed Testa, è un giovane crea geni dell’internautica, un sito curato da un’altra trentenne – Sonia Pellizzari – che nelle ultime ore ha superato i 50 mila contatti (da tutto il mondo). Le fabbriche non sono sezioni, ma qualcosa a metà fra gli atelier e gli Internet point, aggregano le persone più diverse, e sono tutte costruite con panche, cartoni, materiali di recupero, trovate grafiche, ed equipaggiate con connessioni Internet. Ieri il comitato era uno spaccato emblematico: il fratello di Nichi e sua moglie – Gianni ed Emanuela – e che portano torta con ricotta e focacce ai ragazzi che su Internet continuavano a coordinare la partecipazione anche durante il voto. “Le 150 fabbriche – spiegava Vendola nella notte – sono il luogo dove cresce una nuova cultura politica quello dove io mi trovo meglio. Il modello nuovo: oltre Sinistra e libertà e oltre il centrosinistra”. E così, il nodo della terza fase è il futuro di queste strutture che sono state il cardine della vittoria: “Convocherò al più presto gli stati generali di tutte le fabbriche di Nichi per decidere che farne”. Piccola bugia. Già lo sa: ne sta aprendo alcune anche in queste ore, fuori della Puglia (Roma) e addirittura fuori dall’Italia. Poi Vendola guarda alla scena nazionale: “Il Pdl perde, ma attenua la sconfitta grazie alla stampella della Lega. Prima ancora del leader bisogna pensare alla prima priorità, la costruzione di un nuovo centrosinistra. Una coalizione che possa attrarre speranze, e non promettere la sostituzione di un vecchio ceto politico di destra con un altro ceto politico di sinistra”. Mentre dice questo intorno a lui cala il silenzio: l’Opa di Nichi sul centrosinistra è già stata lanciata. Veni, vidi, Nichi.

l’Unità 30.3.10
Il Vaticano e la pedofilia
Risponde Luigi Cancrini

Ho trovato ingiusto da parte del «New York Time», giornale notoriamente anticattolico, accusare questo Papa di non aver fatto abbastanza per contrastare il problema degli abusi su minori da parte di alcuni preti. Già dall’inizio del suo pontificato ha mostrato subito rigore e determinazione nel fronteggiare questi casi.
RISPOSTA Secondo la Crimen Sollicitationis il processo che si istaura nei confronti dei preti sospetti o colpevoli di pedofilia deve svolgersi in un tribunale ecclesiastico. Con la De Delictis Gravioribus firmata nel 2001 da Ratzinger viene confermato l’obbligo del silenzio perpetuo (tra le pene previste c’è la scomunica) per quelli che partecipano al processo, compresi i testimoni e le vittime. È così che la Chiesa ha impedito spesso la condanna penale del pedofilo e la richiesta di risarcimenti da parte delle vittime il cui danno è stato spesso aggravato dalle pressioni ricevute per non denunciare il reato: come ben provato, oggi, dai risarcimenti che la Chiesa ha patteggiato in Irlanda e negli Stati Uniti. Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI, non è stato indagato dal giudice americano solo perché negli Stati Uniti non è possibile processare dei Capi di Stato. Che abbia ora cambiato tono e atteggiamenti su un problema a lungo sottovalutato è sicuramente positivo per lui e per la Chiesa. La pedofilia è un reato tuttavia e la Chiesa deve riconoscere ai tribunali, collaborando, che tocca a loro fare giustizia contro chi lo commette.

Repubblica 30.3.10
La Chiesa tra scandali e privilegi medievali
risponde Corrado Augias

Caro Augias, il termine clericale, di cui si parla, ha origine medievale. Indicava persone con alcuni privilegi tra cui il 'Privilegium fori', cioè la possibilità di essere giudicato solo dai tribunali ecclesiastici in base al diritto canonico. (V. Antonio Banfi, Habent Illi Iudices Suos. Giuffrè, 2005). Oggi non può essere così, ma l'organizzazione della Chiesa (il Vaticano è Stato indipendente e teocratico con logiche stataliste) cerca di conservare la giurisdizione sui propri membri. Vale per i casi di pedofilia «vecchi», ma si ripete con il cadavere di una giovane trovato nella chiesa di Potenza, con la mancata comunicazione del ritrovamento alla polizia (un cittadino che si comportasse così sarebbe indagato per occultamento di cadavere, credo). Le reazioni della Chiesa non sono diverse da quella di altre organizzazioni di fronte a gravi crisi. Il sociologo Giuseppe Bonazzi ha studiato il fenomeno («Pour une sociologie du bouc émissaire dans les organisation complexes») spiegando che quando avviene una crisi al loro interno si verificano dei riallineamenti e qualcuno paga (il capro espiatorio) e in genere chi paga non sono i vecchi uomini di potere e neppure le opposizioni tradizionali, ma persone o gruppi che stanno cercando di cambiare qualcosa. Chi sarà il capro espiatorio?
Guido Martinotti guido.martinotti@unimib. it

N on sappiamo chi (e se) alla fine pagherà per la dimensione, addirittura planetaria dello scandalo; i tempi della Chiesa (a volte) sono lunghi. Sappiamo solo che il 'privilegio giurisdizionale' è tuttora vigente in un'organizzazione che possiede la particolarità unica di potersi presentare, secondo casi e convenienze, come religione e culto oppure come potenza statale. Nelle circostanze gravi comunque l'organizzazione si è sempre dimostrata custode gelosissima delle sue prerogative. Così per esempio in occasione del triplice omicidio avvenuto in Vaticano (maggio 1998) quando Alois Estermann, Comandante della Guardia Svizzera; sua moglie Gladys Meza Romero e l'alabardiere Cedric Tornay, vennero uccisi da un'arma da fuoco. Nessuna collaborazione con gli inquirenti italiani e udienza negata perfino alla madre del povero Tornay nonostante suppliche personali e ingiunzioni legali. Uguale comportamento per la scomparsa di Emanuela Orlandi. I magistrati italiani lamentarono nei loro atti la mancata collaborazione della Santa Sede. Idem in occasione dello spaventoso scandalo Ior (banca vaticana); anche in quel caso omissioni e distorsioni. Non stupisce quindi che a Potenza l'attuale viceparroco (e il vecchio parroco dell'epoca) nulla abbiano detto sul ritrovamento della povera Elisa nella soffitta della chiesa. E che sui preti pedofili il silenzio sia stato mantenuto fino a quando lo scandalo è diventato incontenibile. Nel 2002 negli Usa, ora in Europa.

Repubblica 30.3.10
La Bbc: lo rivela Schoenborn bloccata denuncia di Ratzinger "Wojtyla tacque sul cardinale pedofilo"
Ratzinger voleva punire il vescovo pedofilo In Austria nel '95 le accuse furono "insabbiate" dal Vaticano. Nuovo scandalo a Treviri Per Schoenborg l´attuale Papa voleva un´indagine sulle violenze dell´ex arcivescovo
di Andrea Tarquini

BERLINO Papa Benedetto XVI sta affrontando bene lo scandalo degli abusi pedofili nella Chiesa, e ha sempre preso estremamente sul serio il problema: nel 1995, quand´era cardinale e prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, fece ogni sforzo per aprire un´inchiesta sul cardinale austriaco Hans Hermann Groer, ma fu bloccato dall´ala della Curia romana favorevole all´insabbiamento e contraria all´inchiesta, ala che avrebbe avuto il sopravvento durante il pontificato di Giovanni Paolo II. Questo, secondo il sito della Bbc, è quanto l´arcivescovo di Vienna, cardinale Schoenborn, ha detto in dichiarazioni alla Orf, la tv austriaca. Il Vaticano, ha aggiunto Schoenborn secondo la Bbc, allora ritenne che un´inchiesta gli avrebbe fatto cattiva pubblicità.
Nella sua intervista, Schoenborn ha ricordato gli eventi del 1995, quando l´allora arcivescovo di Vienna, appunto il cardinale Hans Hermann Groer, fu accusato dai media e dalle sue vittime di aver ripetutamente compiuto abusi sessuali su giovani in un monastero negli anni Settanta. Ma fu solo tre anni dopo le accuse, cioè nel 1998, che Groer, per ordine della Santa Sede, si dimise da ogni incarico. Annunciò il suo ritiro in pubblico chiedendo perdono, non ammise nessuna colpa, e si ritirò in Germania, dove morì nel 2003.
All´epoca, il Vaticano si attirò aspre critiche in Austria per aver atteso tre anni prima di agire contro il cardinale Groer. Secondo la ricostruzione attribuita dalla Bbc al cardinale Schoenborn, il caso divise la Curia. Alcuni suoi esponenti, è dato di capire, avrebbero persuaso Giovanni Paolo II (che comunque non viene nominato da Schoenborn) che le accuse contro Groer erano esagerate e che l´inchiesta voluta da Ratzinger avrebbe esposto la Chiesa a una pericolosa pubblicità negativa. Ratzinger la pensava diversamente, ma non riuscì a spuntarla. «Ricordo ancora molto chiaramente – ha detto Schoenborn – il momento in cui il cardinale Ratzinger mi disse con tristezza che l´altro campo (ndr: gli insabbiatori) aveva avuto il sopravvento… accusarlo di essere una persona che copre gli scandali vuol dire sostenere cose assolutamente non vere, e io lo affermo perché lo conosco da molti anni».
Il cardinale Schoenborn ha appena deciso di nominare una donna, l´ex governatrice democristiana-popolare (Oevp) della Stiria Waltraud Klasnic, a capo della commissione d´inchiesta sui casi in Austria. Ma questa scelta è stata duramente criticata ieri da organizzazioni cattoliche di base. La signora Klasnic, ha affermato Rudolf Schermann di "Kirche in", è troppo vicina alla Chiesa, «preferirei al suo posto un ateo obiettivo e dare la priorità alla voce delle vittime». In Germania intanto 20 sacerdoti sono sospettati di abusi nella diocesi di Treviri, quella guidata dal vescovo Ackermann che conduce l´inchiesta sugli abusi per conto della Conferenza episcopale tedesca.

Repubblica 30.3.10
Il quotidiano nel mirino della Chiesa: "Punta a coinvolgere il Santo Padre in persona"
Il vescovo di New York contro il Times Il giornale: "Niente complotti solo notizie"
I vaticanisti del giornale puntano il dito contro l´omertà delle autorità vaticane
di Federico Rampini

new york Perfino l´arcivescovo "progressista" di New York, Timothy Dolan, è indignato contro il New York Times. Perché sbatte lo scandalo dei pedofili ogni giorno in prima pagina? Cosa c´è dietro? Forse, come sostengono senza troppe parafrasi alcuni ambienti cattolici, è all´opera la "lobby ebraica" newyorchese? «Ciò che accresce la nostra tristezza dice Dolan sono le insistenti insinuazioni contro il Santo Padre in persona. C´è una voglia frenetica di coinvolgerlo in persona». La teoria del complotto allude alla proprietà del New York Times: la famiglia Sulzberger figura tra le dinastie ebraiche della città, anche se il giornale non esita ad attaccare Israele.
Nel grattacielo di Renzo Piano sull´Ottava Avenue, dove ha sede la redazione, le bordate del Vaticano sono considerate come un tentativo di distogliere l´attenzione dalle vere responsabilità dello scandalo. Certo, la serie di reportage è uscita con un ritmo martellante: lo scoop sui 200 bambini sordi molestati per anni da un sacerdote americano mai punito dal Vaticano; poi le inchieste sul passato di papa Ratzinger in Germania; infine altre rivelazioni dall´Irlanda e dagli Stati Uniti. «Le nostre inchieste ci dice Diane McNulty, direttrice esecutiva del quotidiano per le relazioni esterne sono basate sulla meticolosa raccolta di notizie e documenti. La Chiesa non smentisce neppure un dettaglio di quello che abbiamo pubblicato. Le accuse di abusi sessuali sono un tema serio e lo stesso Vaticano lo riconosce. Anche il ruolo svolto dal Papa nel reagire a quelle accuse è un aspetto centrale della vicenda».
La deontologia del giornalismo americano, il rispetto delle notizie, l´interesse del lettore, è la linea di difesa della "Signora in Grigio", come viene chiamato l´austero e rigoroso quotidiano. Ma dietro lo scontro tra il New York Times e la Santa Sede c´è anche una profonda incompatibilità di valori. Lo rivela l´editorialista Maureen Dowd, una delle grandi firme del quotidiano: Dowd ricorda che negli anni in cui il cardinal Ratzinger dirigeva la Congregazione della dottrina della fede, era «così ossessionato dai costumi sessuali della nostra società interveniva costantemente contro la pillola e l´aborto che non aveva tempo di reprimere gli abusi sessuali dei preti sui bambini». La Dowd sottolinea come l´ossessione del clero continua tuttora, fino a schierare la conferenza episcopale americana contro la riforma sanitaria di Barack Obama. È evidente la distanza che separa le gerarchie cattoliche dai valori della società americana più "liberal", impregnata della rivoluzione sessuale degli anni Sessanta, di cui il New York Times è un´espressione.
Un´altra grande firma del quotidiano, l´ex vaticanista Frank Bruni (autore di un libro sui preti pedofili), punta l´indice contro l´omertà della Chiesa e la sua estraneità allo Stato di diritto. Bruni ricorda che sia il cardinale irlandese Sean Brady, sia l´arcivescovo americano Rembert Weakland, di fronte alle denunce dei bambini molestati sessualmente, ebbero una preoccupazione dominante: «Evitare lo scandalo, proteggere la Chiesa dalla pubblicità negativa». Trattata come un peccato, la pedofilia può essere oggetto di confessione, pentimento e penitenza, aggirando la giustizia umana. «Lo stesso Ratzinger sottolinea Bruni non esortò i suoi sottoposti a denunciare i colpevoli dei crimini alla polizia». Questo è intollerabile per un giornale ancorato nei valori della Costituzione americana, nella tradizione della liberaldemocrazia. Per l´editorialista Ross Douthat la Chiesa è prigioniera di una «gerarchia conservatrice con una mentalità da bunker», una psicosi di stato d´assedio che le impedisce di «capire la dimensione dello scandalo». Bruni conclude: quando un´istituzione è tutta impegnata a difendersi da una presunta minaccia esterna, rischia di non rispondere alla vera minaccia che è al suo interno.

il Fatto 30.3.10
Salute e dignità nella Carta
L’articolo 32 della Costituzione tutela l’integrità della persona nelle sue molteplici dimensioni: fisica, psichica e sociale Al centro, i concetti di dignità e liberta
di Lorenza Carlassare

L’ art. 32 della Costituzione “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti” è l’unico in cui un diritto viene qualificato “fondamentale”. Grande è il rilievo attribuito alla salute, presupposto indispensabile per la realizzazione piena della persona e base di tutti gli altri diritti. In quanto “diritto primario fondamentale” inerente alla persona deve essere riconosciuto a tutti: ai cittadini e, nel suo nucleo irriducibile, agli stranieri qualunque sia la loro posizione rispetto alle leggi sull’immigrazione e il soggiorno nello Stato (Corte cost., sent. 252/2001; 432/2005). E deve essere assicurato in modo “eguale” in tutto il territorio nazionale, almeno nei suoi livelli essenziali. Il “perseguimento di una sempre migliore condizione sanitaria della popolazione”, uno degli obiettivi primari assegnati alla Repubblica, coinvolge tutti gli apparati pubblici: l’espressione ‘Repubblica’ designa infatti loStato,le Regioni e gli altri enti pubblici esistenti sul territorio. Diverse sono le situazioni garantite: dalla pretesa negativa di ciascun individuo a che altri non tengano comportamenti dannosi per la salute, alla pretesa positiva verso la Repubblica, tenuta a predisporre mezzi e strutture per assicurare cure adeguate a tutti e gratuite agli indigenti. Siamo infatti nel campo dei ‘diritti sociali’ che – a differenza dei diritti di libertà che esigono la ‘non interferenza’ dello Stato – per essere soddisfatti richiedono l’intervento pubblico e l’erogazione di prestazioni positive. L’art. 32 tutela l’integrità della persona nelle sue molteplici dimensioni fisica, psichica e sociale: la giurisprudenza, da questa ampia concezione di ‘salute’ è arrivata alla risarcibilità del “danno biologico”, danno alla salute come bene in sé a prescindere dalle conseguenze patrimonialmente valutabili sulla produzione del reddito. Dal diritto all’integrità psico-fisica dell’individuo la giurisprudenza ha tratto il diritto a un “ambiente salubre” come indispensabile presupposto: la Corte costituzionale ha dato “riconoscimento specifico alla salvaguardia dell’ambiente come diritto fondamentale della persona e interesse della collettività” (sent. 210/1987). L’ambiente è protetto “come elemento determinativo della qualità della vita” e “assurge a valore primario e assoluto (sent. 641/1987). Tuttavia il bilanciamento con i costi economici, la considerazione della necessaria gradualità nell’imposizione alle imprese della modifica di impianti dannosi e inquinanti, le tolleranze crescenti, rendono difficile affermare che, a tanti anni di distanza da quelle sentenze, viviamo in un ‘ambiente salubre’. Eppure già in Assemblea Costituente si precisava che la tutela della salute implica anche la prevenzione delle malattie. Con il comma 2 dell’art. 32, “Nessuno può essere sottoposto ad un trattamento sanitario se non nei casi previsti dalla legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”, rientriamo in pieno nella dimensione dei diritti di libertà. Trattamenti sanitari imposti, ai quali il malato non abbia consentito, sono rigorosamente vietati; “se non nei casi previsti dalla legge” è scritto nel testo, che non significa libertà per la legge di costringere a trattamenti sanitari (come ha sostenuto un politico scarsamente informato nel caso Englaro). La salute è tutelata come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività; due sono dunque i riferimenti costituzionali, l’individuo e la collettività: il diritto del primo può cedere, eccezionalmente, soltanto di fronte ad un interesse della seconda. La persona è al centro del sistema; non la collettività o lo Stato come nel fascismo. Il trattamento sanitario può essere imposto soltanto quando sia direttamente in gioco l’interesse collettivo: ad esempio epidemie, malattie contagiose che per la loro diffusione si risolvono in un diretto danno sociale. Ogni limitazione alla libertà individuale deve trovare un’adeguata giustificazione negli interessi collettivi. Per consentire trattamenti sanitari imposti l’interesse della collettività dev’essere anche attuale; se si tenesse conto di un possibile danno futuro, o di un interesse futuro della collettività a selezionare individui sani, belli e simili, si arriverebbe ad esiti finali spaventosi: interventi di eugenetica, conosciuti nei regimi autoritari, come la sterilizzazione obbligatoria dei portatori di malattie ereditarie, o degli individui di una certa razza. “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”, così termina l’art. 32; ed è interessante ricordare la formula originaria del Progetto: “Sono vietate le pratiche sanitarie lesive della dignità umana”. Sulla dignità della persona è costruita l’intera Costituzione (basta ricordarne i primi articoli) e ad essa, come alla libertà della persona, si richiamano i Documenti fondamentali che fissano i principi cardine della nostra civiltà. E’ scindibile la vita umana dalla dignità e dalla libertà? La domanda ha una risposta certa: ogni persona è libera di scegliere fra il rischio di una morte naturale e trattamenti sanitari che le assicurino il prolungamento di una vita senza libertà e dignità. Incertezze rimangono sulla ‘naturalità’ della morte (nel progresso tecnologico) e sull’apprezzamento necessariamente soggettivo del concetto di vita libera e dignitosa. Per questo la decisione non può che essere del malato, nessun altro può sostituirsi a lui. Ciascuno ha il diritto di rifiutare le cure anche per il futuro se non sarà in grado di esprimersi: la legge potrebbe disciplinare le modalità di esercizio delle dichiarazioni ma non limitare un diritto: “Il valore costituzionale dell’inviolabilità della persona” va costruito “come libertà nella quale è postulata la sfera di esplicazione del potere della persona di disporre del proprio corpo” e dunque come diritto d’impedire illegittime intromissioni altrui, ha detto la Corte.

il Fatto 30.3.10
Scuola, riforma anti-immigrati
Il maggior ritardo si accumula alle superiori con il 24,4% degli italiani, cui si contrappone il 71,8% degli stranieri E non a caso questa legge colpisce ferocemente l’istruzione professionale
di Marina Boscaino

La storia che sto per raccontare potrebbe rafforzare le convinzioni di Gelmini, Cota e chi in questi anni ha lavorato, attraverso una serie di proposte indecenti, ad una (dis)integrazione del tessuto sociale e del mandato inclusivo della scuola della Repubblica. Spero, viceversa, che chi la leggerà si trovi d’accordo con me. “Semplificazione”, una delle parole-chiave della “riforma”, sbandierata per giustificare i tagli di 140.000 posti di lavoro e di ore di lezione, sapere, cittadinanza, socialità, inclusione e per assecondare il bisogno di certezze di una parte della nostra società, rappresenta il criterio più inopportuno da riferire a un progetto di scuola. La scuola, semmai, se davvero si investisse culturalmente su di essa, sarebbe da “complessificare”, per renderla più adatta di quanto non sia ad accogliere il senso della diversità e della complessità, le cifre dell’oggi. Complessificare la scuola significherebbe renderla più adatta a rappresentare il punto di partenza per sperare in integrazione sociale non subalterna di tutte e di tutti. In particolare per gli alunni stranieri, che sono passati dai 13.712 (a. s. 1999/00) ai 118.977 (2007/8) e che sono l’oggetto di un’inchiesta – L’integrazione dei ragazzi stranieri alle superiori – pubblicata da “Animazione Sociale” del Gruppo Abele di Luigi Ciotti. I minori rappresentano 1/5 di tutti i migranti: nel 2009 erano 862.453, con un trend di aumento di 100.000 unità l’anno. Occorrerà fare presto e sensatamente i conti con questi dati.
Le nazionalità presenti nella scuola italiana sono ben 191: percorsi, viaggi, storie differenti, tutte caratterizzate dallo snodo cruciale che è la migrazione e la fatica esistenziale che essa comporta. L’energia indispensabile per un riadattamento in una realtà sconosciuta, con una lingua a volte incomprensibile, modelli culturali estranei, sovente indifferenza ai saperi e al saper fare già acquisito, che vengono confinati, come il senso della vita altra, quella del “prima”. L’identikit dei più “vulnerabili”: nati all’estero e giunti da noi dopo i 10 anni; arrivano ad anno scolastico già avviato; provengono dal contesto africano; maschi. L’esperienza scolastica non è facilissima: i ragazzi italiani in ritardo sono l’11,6% della popolazione scolastica, quelli migranti il 42,5%. Il maggior ritardo si accumula proprio nella scuola superiore, con il 24,4% degli italiani, cui si contrappone il 71,8% dei ragazzi stranieri. Il 40,7% dei giovani migranti sono inseriti nell’istruzione professionale, il 37,6% in quella tecnica; le rispettive percentuali degli italiani sono 19,9% e 35%: troppo evidente ancora una volta come nel nostro Paese la scuola media abbia rinunciato a qualsiasi funzione orientativa e traghetti destini socialmente determinati nei vari segmenti delle superiori – quando ci si arriva. Appare perfettamente coerente che la “riforma” colpisca nella maniera più feroce proprio l’istruzione professionale, svuotandola ulteriormente di qualsiasi funzione acculturante, a vantaggio di una dinamica meramente addestrativa: creazione di manodopera digiuna di cittadinanza, nella miope e triste visione del mondo che caratterizza il progetto. Il dossier racconta anche illuminate esperienze felici. Ma molto più spesso integrazione – tra retorica e pratica – è diventata parola svuotata di significato, con una normativa di riferimento poco conosciuta o attuata solo in parte. Le classi-ghetto non sono state solo la macabra proposta del leghista Cota, ma rappresentano una realtà organizzativa per venire incontro alla visione ottusa e xenofoba dello straniero ostacolo ai processi di apprendimento degli altri, nati dalla parte “giusta” del mondo.
I numeri sono impressionanti. Ma ancor più le storie, gli occhi, i traumi, i sogni di ragazzi che potrebbero essere i nostri figli. Rispondere ai loro legittimi bisogni è un’emergenza assoluta. Loro, invece, non sono un’emergenza, alla quale far fronte con soluzioni improvvisate o con proposte che violino Costituzione e buon senso. Sono la nostra realtà. Occorrono investimenti – e consistenti – su questa importante e nuova dimensione della nostra identità socio-culturale. Occorre individuare strategie didattiche e di relazione, tempi diversi, aperture ed interrelazione tra apporti e contributi ugualmente significativi. Occorre la scuola dell’art. 3. Lontana mille miglia dalle classi ponte, dalla quota del 30%, dalle impronte ai bimbi rom. Dalla mistificazione di una “semplificazione” che non è altro che asfittico disinvestimento che il tempo si occuperà di dimostrare incivile.

Repubblica 30.3.10
Il giorno della pillola
Arriva in Italia il camion con le prime confezioni della Ru486. Ma le polemiche sull´aborto non si spengono. Ecco cosa succederà
di Michele Bocci e Anais Ginori

Le prime confezioni sono arrivate ieri mattina all´alba. Un furgone partito dalla Francia ha già scaricato duemila scatole nel deposito Dhl di Settala, provincia di Milano. Il viaggio della Ru486 fino all´Italia sembra davvero terminato. Un percorso lungo e travagliato, cominciato oltre vent´anni fa, quando fu inventata la pillola che permetteva alle donne di scegliere l´aborto farmacologico. Raramente un medicinale è stato al centro di così tante polemiche. Appelli di movimenti per la vita e anatemi del Vaticano, indagini parlamentari, ricorsi legali. Sono serviti ben settecento giorni di istruttoria per il via libera definitivo da parte dell´Aifa, l´agenzia per il farmaco. Un record. Ma ormai è questione di poco.
il seguito nelle edicole

Repubblica 30.3.10
Cinquan’anni dopo un’altra rivoluzione
di Miriam Mafai

Se la potestà sul proprio corpo è il primo riconoscimento della libertà di ognuno di noi, nel caso della donna questa libertà va declinata anche come potestà sulla propria capacità di riproduzione. E infatti, la storia della libertà della donna, nel nostro come in altri paesi europei, conosce, nell´ultimo scorcio del secolo passato, una importante accelerazione grazie a scoperte scientifiche che affidano a lei, a ogni singola donna, la possibilità/il diritto al controllo della propria fecondità. A queste scoperte scientifiche faranno seguito, grazie all´intervento e alla crescita di importanti movimenti femminili, i provvedimenti legislativi, che nel nostro come in altri paesi occidentali, ne riconoscono questo nuovissimo diritto, esercitato in piena coscienza e autonomia morale.
Risale al 1960 la scoperta, e l´adozione in molti paesi occidentali della pillola Pincus (detta «la pillola» per antonomasia) che per la prima volta darà alla donna la possibilità di controllare la propria fecondità. Ma ci vorranno più di dieci anni perché quella pillola, grazie a una sentenza delle Corte Costituzionale, venga considerata legale e finalmente messa in vendita in Italia.
L´ultimo scorcio del secolo passato conosce una serie di conquiste del movimento delle donne e un affermarsi, sia pure contrastato, del principio della laicità dello Stato e quindi del diritto di ognuno (e di ognuna) di noi di disporre del proprio corpo.
Ma questo principio, della dignità morale della donna, della sua capacità di assumere in piena responsabilità le decisioni che la riguardano continua ad essere messo in discussione dalla Chiesa, come dimostra anche la più recente vicenda della Ru486.
Anche in questo caso, come nella lontana vicenda del 1960, si tratta di una pillola. Ci vollero allora circa dieci anni perché quella pillola anticoncezionale venisse messa in commercio. E per anni, in Italia, è stata impedita l´adozione di un´altra pillola, la Ru486, che, già adottata in tutta Europa da tempo, consente l´aborto farmacologico, senza il ricorso all´intervento chirurgico.
Ora, qualunque donna che abbia deciso di ricorrere all´aborto (per ragioni che solo a lei appartengono) se interpellata dirà, probabilmente, che preferisce l´aborto farmacologico a quello chirurgico. Ma pare che sia propria la relativa «facilità» di questo intervento a indignare molti uomini di Chiesa, evidentemente convinti che la sofferenza per la rinuncia a un figlio sia misurabile solo dal dolore provocato dai ferri che ti entrano in pancia e non dal fatto che a quel figlio hai dovuto rinunciare.
Le ragioni che dalle gerarchie vaticane e da alcuni parlamentari cattolici sono state portate per impedire l´adozione della Ru486 sono a dir poco risibili. Finalmente, dopo anni di polemiche, di dibattiti, di resistenze, la pillola entrerà da oggi in Italia. E nelle prossime settimane le donne che lo vorranno potranno abortire assumendo una pillola, anziché sdraiandosi sul tavolo operatorio. Non diremo che è una vittoria delle donne. Sarebbe una vittoria non dover mai rinunciare a una vita che portiamo in grembo. Ma finché questo non sarà possibile, è giusto che ogni donna scelga, in piena autonomia, quale procedura adottare. Il corpo è suo, dopotutto. Anche se questo non le viene ancora riconosciuto dalle autorità del Vaticano.

lunedì 29 marzo 2010

l’Unità 29.3.10
Astensioni incubo francese Record nel Lazio il 12% in meno
I sondaggisti: Dissaffezione colpa di una politica lontana dalla gente
Il calo dei votanti potrebbe portare ad un aumento dell'astensionismo anche di 10 punti. Lo dicono alcuni sondaggisti per cui il fenomeno è da addebitare alla «disaffezione dalla politica». Nicola Piepoli prevede: che «la partita elettorale si chiuderà con 10 punti in meno rispetto a cinque anni fa». Renato Mannheimer, patron di Ispo, aggiunge che «il trend è confermato in misura rilevante, e alla fine delle operazioni registreremo un calo di almeno 6-7 punti». La causa? «La disaffezione dalla politica» spiega Nando Pagnoncelli, presidente dell'Ipsos. L’astensione, insomma, sarebbe la diretta conseguenza del «peggioramento del clima sociale, con una forte preoccupazione da parte dei cittadiniper i temi del lavoro e della crisi. Ma l’agenda politica si occupa d’altro», conclude Pagnoncelli.

Repubblica Roma 29.3.10
Bonino e Polverini, scambio di accuse
Sfidanti ai seggi. Renata: "Lei alla radio? Poco stile". Emma: "Meglio il Tg1?"
di Giovanna Vitale

UN voto lontano dalle polemiche. La candidata-outsider Marzia Marzoli (sostenuta dalla lista della Rete dei Cittadini) ha votato ieri mattina nel seggio di Tarquinia, scegliendo di non lasciarsi coinvolgere nello scambio di accuse tra gli schieramenti. «C´è grande entusiasmo - ha detto la Marzoli - e adesso mi aspetto grande attenzione da parte dei media e degli elettori».
Le ultime polemiche rimbalzano da un seggio all´altro. Neanche davanti alle urne la candidata del centrodestra Renata Polverini è riuscita a trattenersi dal lanciare l´ennesima accusa ai radicali e, quindi, alla rivale Emma Bonino. «Ospitando la candidata del centrosinistra Radio Radicale, che ha una tradizione di democraticità, ha smentito tanti anni di storia con una caduta di stile» ha commentato la Polverini uscendo poco dopo le 11 dal seggio della scuola Franchetti, in piazza Gian Lorenzo Bernini a San Saba. Un´accusa che si riferisce alla partecipazione della Bonino, sabato pomeriggio, all´emittente del partito radicale.
«Ho l´impressione - ha replicato la Bonino - che Renata abbia idee confuse sulla legalità e sulla legge, perché Radio Radicale, essendo un organo di partito, può trasmettere anche durante il silenzio elettorale». Accolta da applausi e strette di mano, dopo il voto nel seggio della scuola "Virgilio" in via Giulia, la candidata del centrosinistra ha poi precisato che «se la Polverini vuole accomodarsi a Radio Radicale, io faccio il cambio molto volentieri e vado al Tg1, al Tg2, al Meteo, al Tg4, a Studio Aperto e a Unomattina...».
Inevitabile, poi, il riferimento ai "gladiatori del voto" del Pdl, cinquemila rappresentanti di lista messi in campo dal Popolo della Libertà per difendere l´intenzione di voto degli elettori della Polverini e salvare le schede nulla. «Nel vademecum consegnato dalla Lega Nord la legge è spiegata molto bene - ha detto la Bonino uscendo dal seggio - e si dice infatti che se un signore non è candidato in nessuna lista, la scheda è nulla perché potrebbe essere un tentativo per far riconoscere il proprio voto». Ma Andrea Augello, coordinatore del comitato Polverini risponde: «È indecente sperare in una vittoria basata sulla cancellazione di voti espressi in buona fede dai cittadini».


Untà on line 29.3.10
Pedofilia, due corti Usa contro il Vaticano
qui

l’Unità 29.3.10
Scandalo pedofilia, la parola ora passa ai tribunali
Texas e Kentucky chiamano a giudizio Ratzinger. Il Vaticano s’appella alla Corte suprema
Svizzera il governo vuole una «lista nera» di preti pedofili. Austria, la chiesa s’affida a una donna
di Marina Mastroluca

La Svizzera chiede una lista nera dei preti pedofili, la Chiesa austriaca si affida a una donna per l’inchiesta sugli abusi. E due tribunali d’America chiamano in causa Ratzinger per il silenzio sulle violenze.

Una lista nera, con nomi e cognomi. Gente da cui stare alla larga: preti pedofili. La chiede la presidente svizzera Doris Leuthard, sulla falsa riga di quanto già previsto
per gli insegnanti, perché non si mettono i lupi in mezzo agli agnelli. La polizia indaga su presunti abusi. «Se gli esecutori del reato vengono dal mondo civile o clericale non fa differenza. Sono sottoposti entrambi alla legge svizzera, senza se e senza ma», dice Leuthard.
Preti, uomini come gli altri, ugualmente perseguibili. La Chiesa che li ha coperti, che ha nascosto la colpa del singolo per salvare la sua santità, colpevole con loro. Nella domenica delle palme, sembra essere questo il tema del giorno, più di quanto non sia il fastidio papale per i rumori di fondo, il «chiacchiericcio» che invade i media e che qualcuno, in seno alla Chiesa, legge come la mano di Satana. Negli Stati Uniti per la seconda volta due tribunali chiamano in causa lo stesso Ratzinger, per aver messo sotto silenzio gli abusi come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. In Kentucky e in Oregon due corti federali hanno accolto la perseguibilità della Santa Sede, se poi davvero i vertici ecclesiastici saranno chiamati alla sbarra è tutto da vedere: il Vaticano si è appellato alla Corte Suprema, il pontefice come capo di Stato gode di immunità. E c’è già un precedente che risale al 2005, quando lo stesso Ratzinger venne citato per intralcio alla giustizia in un analogo processo in Texas, ma appena eletto si appellò all’immunità diplomatica. Il teocon George W. Bush non fece obiezioni, il procedimento contro il Papa venne giudicato «incompatibile con gli interessi di politica estera degli Usa».
Casi fotocopia, quello del Texas di allora e quelli di oggi. In Kentucky la denuncia è partita da tre ex chierichetti nella diocesi di Louisville, dove secondo l’accusa vennero consumati decenni di abusi coperti dal silenzio. In Oregon a denunciare è stato un uomo che sostiene di essere stato abusato da bambino, da un prete morto nel 2002 trasferito più volte dalle gerarchie ecclesiastiche che sapevano delle sue ripetute molestie. I suoi avvocati chiamano in causa il Vaticano sostenendo che i preti sono suoi «dipendenti».
Ma l’argomento di fondo resta il silenzio assunto a sistema. Si cita il «Crimen sollicitationis» con cui nel 1962 il Sant’Uffizio vincolava vittime e colpevoli a tacere, pena la scomunica. Come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, nel 2001 Ratzinger avrebbe mantenuto la consegna del silenzio, pur introducendo l’obbligo di segnalare a Roma gli abusi e introducendo «azioni amministrative dirette» contro i responsabili. Una procedura che ieri il vaticanista John Allen jr difendeva dalle pagine del New York Times, perché più rapida ed efficace di un processo interno.
UNA DONNA INDAGHERÀ SUI PRETI
Allen non è il solo a difendere Ratzinger, diverse analisi ed editoriali sulla stampa internazionale sottolineano il paradosso che a finire sotto accusa sia proprio un Papa che più di altri si è battuto contro i peccati della Chiesa. È di ieri la notizia di un sacerdote tedesco «immediatamente» ridotto allo stato laicale per un reato sessuale. Ma ci si chiede quanti abbiano affrontato lo stesso rigore del prete di Osnabrueck e soprattutto se questa severità non sia figlia anche di quel «chiacchiericcio» della stampa.
Sarà per questo che la Svizzera chiede liste nere secondo la Sonntags Zeitung la conferenza episcopale elvetica ne parlerà alla prima seduta il prossimo 31 maggio, mentre ha ordinato 5000 manifesti per migliorare un’immagine logorata dagli scandali. Sarà anche per questo che in Austria il cardinale Schoenborn ha annunciato una commissione d’inchiesta laica, che non comprenderà membri del clero. A presiederla una donna, l’ex governatrice della Stiria Waltraus Klasnic.❖

l’Unità 29.3.10
Il Papa: non ci fermano «opinioni dominanti» e «chiacchiericcio»
Benedetto XVI così allude allo scandalo dei preti pedofili Nonostante giornali e giornalisti di tutto il mondo chiamino pesantemente in causa il Vaticano e i suoi vertici
di Roberto Monteforte

Domenica delle Palme. Cerimonia solenne in piazza san Pietro. Oltre cinquantamila i fedeli presenti. Tanti i giovani. Si ricorda la Giornata Mondiale della Gioventù voluta 25 anni fa da Giovanni Paolo II. Papa Benedetto XVI percorre la piazza sulla «papamobile». Non stringe mani. Saluta la folla dalla vettura bianca. «Per farsi vedere da tutti» fanno sapere dal Vaticano. Forse anche per motivi di sicurezza. Il momento è difficile. La polemica sul suo coinvolgimento nei casi di pedofilia continua, esplicita, circostanziata. Forse si temono contestazioni. C’è chi anche nella Chiesa ha chiesto le sue dimissioni.
Ma tira dritto Papa Ratzinger. Decide di andare avanti. Senza curarsi, almeno apparentemente, della tempesta mediatica abbattutasi sulla Chiesa e sulla sua persona con l’inchiesta del New Work Times, le domande che pongono il Washington
Post e Der Spiegel. Il Papa, nella sua omelia, invita al «coraggio che non si lascia intimidire dal chiacchiericcio delle opinioni dominanti». Chiede di prestare attenzione ai sofferenti e agli abbandonati, a non lasciarsi «disarmare dall’ingratitudine». Ricorda al credente che deve mettere in conto anche l’incomprensione e il dileggio pur di vivere la sua fedeltà al Vangelo e a Cristo. Le omelie, in genere, «La lettera agli irlandesi è un insulto alla nostra fede e intelligenza»
Sul Washington Post la cantante irlandese Sinead O’Connor definisce la recente lettera del papa agli irlandesi «un insulto non solo alla nostra intelligenza ma alla nostra fede e al nostro paese». La lettera di Benedetto XVI dice non contiene «l’unica cosa che potrebbe portare conforto: una piena confessione del Vaticano che ha tenuto nascosti gli abusi. Il papa deve assumersi piena responsabilità per le azioni dei suoi subordinati; se i preti hanno commesso abusi su minorenni deve essere Roma, non Dublino, a rispondere con una indagine criminale». nalistiche su Chiesa e pedofilia. Sui casi che hanno visto non solo preti e religiosi abusare di minori, ma anche le gerarchie ecclesiastiche coprire e insabbiare, privilegiando come ha riconosciuto lo stesso pontefice nella sua lettera ai cattolici d’Irlanda il buon nome della Chiesa alla denuncia pubblica di questi casi. Come se la categoria dei religiosi, macchiatisi di questi reati, potesse godere di corsie privilegiate, di una qualche immunità.
«Chiacchiericcio» sta ad indicare voci indistinte,inconcludenti, futili, distanti da ciò che conta. È così che per papa Ratzinger va considerata la domanda di verità mossagli dalla stampa? È tutto pretestuoso? È un complotto? Benedetto XVI non può non essere consapevole della crisi di credibilità che vive oggi la Chiesa. Come interpretare le sue parole? Il Papa si rivolge direttamente ai fedeli. Quello che è chiaro è l’invito ad avere coraggio e a mettersi nella «sequela di Cristo» percorrendo «i percorsi in salita» della vita umana. «L’uomo ha spiegato può scegliere di seguire Cristo, nella sua ascesa verso Gerusalemme, simbolo della Città celeste, o anche «scendere verso il basso, il volgare; può sprofondare nella palude della menzogna e della disonestà». Una messa in guardia che coinvolge tutti. Compresi gli uomini e le donne di Chiesa.
Inizia la Settimana Santa. Un tempo intenso per la Chiesa, ricco di momenti di grande valore anche simbolico. È tradizione che il Papa il giovedì santo invii il suo messaggio ai preti di tutto il mondo. Il Venerdì della Passione vi sarà la Via Crucis. Domenica di Pasqua vi sarà il ringraziamento e la sua benedizione solenne Urbi et orbi. Si attendono le sue parole.

Repubblica 29.3.10
Scelta dal cardinale Schoenborn Il Papa: non ci faremo intimidire
Preti pedofili Vienna affida il "processo" a una donna
Il Papa: "Non ci faremo intimidire". E il cardinale Martini scrive: "Ripensare il celibato"
La democristiana Klasnic a capo dell´inchiesta Svizzera: "Serve una lista nera"
di Marco Ansaldo e Andrea Tarquini

Ogni ora che passa la situazione si fa più grave, più vicina a una Stalingrado della Chiesa cattolica, per l´Europa centrale di lingua tedesca da cui viene papa Benedetto XVI. Nella cattolica Austria l´arcivescovo di Vienna, Christoph Schoenborn, ha annunciato che affiderà le indagini sui casi presunti o reali di abusi pedofili compiuti da sacerdoti a un team laico guidato da una donna, un´illustre star cristiana ma laica della politica. Nella vicina Svizzera, la presidente di turno della Confederazione, signora Doris Leuthard, ha chiesto di stilare una lista nera pubblica dei preti pedofili, perché «il reato è gravissimo e chiunque lo compia va punito, non fa nessuna differenza se prete o laico, tutti sono sottoposti alla legge elvetica».
Austria e Svizzera, due paesi centroeuropei tradizionalmente conservatori e abituati alla prudenza, scelgono insomma la tolleranza zero. Intanto in Germania, "Wir sind Kirche" (La Chiesa siamo noi, cioè il più forte movimento dei cattolici critici) lancia una battaglia per l´abolizione dell´obbligo del celibato per i sacerdoti proprio nell´approssimarsi della Pasqua. E sul settimanale tedesco Presse am Sonntag, interviene il cardinal Carlo Maria Martini: «Deve essere sottoposto a ripensamento l´obbligo di celibato dei sacerdoti come forma di vita».
La svolta austriaca appare particolarmente destabilizzante, per la strategia di difesa a riccio decisa da Roma. Il cardinale Schoenborn ha deciso di chiamare Waltraud Klasnic, ex governatrice del Land della Stiria, come capo della commissione indipendente d´inchiesta sugli abusi sessuali contro minori nelle istituzioni cattoliche. «Vogliamo fare chiarezza sulle colpe della Chiesa, e affidarla a una persona al di sopra delle parti», ha spiegato l´arcivescovo di Vienna. Frau Klasnic dovrà formare un suo team di inquirenti, le sue indagini saranno finanziate dalla Chiesa ma le sarà garantita totale indipendenza. Una sola condizione le viene posta: per la sua commissione d´inchiesta potrà scegliere chi vorrà, ma nessun ecclesiastico. «Tra i suoi compiti ci sarà anche il tema dei risarcimenti alle vittime», ha sottolineato Schoenborn.
In Vaticano ieri, con la Messa delle Palme, il Papa ha aperto le celebrazioni pasquali. Sarà una Settimana santa particolarmente intensa per il pontefice, che si avvia a compiere 83 anni, e difatti Benedetto XVI per la prima volta non ha guidato la processione sacra a piedi, optando invece per un percorso fatto a bordo della papamobile. Una scelta, ha spiegato il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, senza negare le probabili fatiche dei prossimi sette giorni, che ha reso il Papa più visibile ai 50 mila fedeli che affollavano piazza San Pietro.
Ci sono poi gli strascichi del caso pedofilia, e le parole pronunciate da Joseph Ratzinger durante la funzione li hanno in parte echeggiati. Da Dio - ha detto il pontefice - viene il «coraggio che non si lascia intimidire dal chiacchiericcio delle opinioni dominanti». Cristo - ha detto ancora - conduce «verso la bontà che non si lascia disarmare neppure dall´ingratitudine». E l´uomo può scegliere di seguire Cristo, o anche «scendere verso il basso, il volgare; può sprofondare nella palude della menzogna e della disonestà».
I numerosi impegni della Settimana santa vedranno Benedetto XVI celebrare il 2 aprile il quinto anniversario della morte di Giovanni Paolo II. Giovedì messa al mattino con il clero di Roma e la sera in San Giovanni in Laterano dove avrà luogo il rito della Lavanda dei Piedi. Venerdì il pontefice presiederà la Passione, e in serata la Via Crucis al Colosseo. Sabato notte la Veglia di Pasqua, la liturgia più importante e lunga dell´anno. E il giorno dopo, festa di Pasqua, con la grande messa a San Pietro, la lettura del tradizionale Messaggio e infine la Benedizione "Urbi et Orbi".

Repubblica 29.3.10
Ossessionato dal sesso
"Quelle violenze nello sgabuzzino il mio calvario con padre Murphy"
Una delle vittime nell´istituto dei sordi: insabbiate le denunce
di David Callender e Laurie Goodstein

Il prete pedofilo pensava sempre a far sesso con i bambini e riuscì a farla franca, ma sarebbe dovuto finire in prigione

Erano sordi, ma non rimasero in silenzio. Per decenni, un gruppo di uomini che da bambini avevano subito abusi sessuali da parte di padre Lawrence Murphy in una scuola per sordi del Wisconsin denunciò che quell´uomo era un pericolo per i bambini. Lo dissero a preti, a tre arcivescovi di Milwaukee, a due dipartimenti della polizia distrettuale e al procuratore. Lo fecero col linguaggio dei segni, dichiarazioni giurate e gesti, ma chi ci sentiva benissimo rimase sordo alle loro denunce. Questa settimana hanno appreso che l´allora cardinale Joseph Ratzinger nel ´96 aveva ricevuto lettere su Murphy in cui l´arcivescovo Rembert Weakland di Milwaukee chiedeva «una risposta riparatrice da parte della Chiesa». Il Vaticano insabbiò il caso e quando morì, nel ´98, Murphy era ancora sacerdote.
«Quell´uomo sarebbe dovuto finire in prigione per molti anni, ma fu fortunato», dice Steven Geier, una delle vittime di Murphy. «Mi dicevano che non potevo toccare le bambine. E a lui chi dava il diritto di fare quello che faceva? Padre Murphy pensava sempre a far sesso con i bambini e riuscì a farla franca». Geier, entrò nella scuola per sordi St. John´s di St. Francis, in Wisconsin, quando aveva 9 anni. Oggi che ne ha 59, racconta che, tra i 14 e i 15, padre Murphy lo molestò quattro volte in uno sgabuzzino della scuola dicendogli che Dio voleva che gli insegnasse il sesso, ma che non doveva parlarne perché era sotto il sacramento della confessione. Geier si sentì male. «Al mattino, mentre distribuiva l´ostia, pensavo a quanti ragazzi aveva toccato con quelle mani e a tutti i germi, alla sporcizia delle sue mani». Murphy potrebbe aver molestato fino a 200 ragazzi in quella scuola tra il ´50 e il ´74. Geier tentò di raccontarlo per la prima volta nel ´66, quando aveva 16 anni, a un sacerdote della sua parrocchia. Ancora adolescente lo raccontò a un altro prete e a un terzo quando si sposò. Quest´ultimo, padre Tom Schroeder, lo disse a una suora che ne parlò a sua volta alla suora responsabile del dormitorio della St. John´s, ma quest´ultima non ci credette.
Nel corso di un procedimento legale contro l´arcidiocesi di Milwaukee, è venuta alla luce una corrispondenza interna della Chiesa. In una lettera, padre David Walsh, che fu cappellano dei sordi a Chicago, scrive che alcuni studenti della St. John´s gli hanno parlato degli abusi subiti da padre Murphy tra il ´55 e il ´63 e di averlo detto all´arcivescovo di Milwaukee Albert Gregory Meyer, il quale mandò padre Murphy in ritiro e poi lo riammise per sanare «il male che aveva fatto». Negli Anni ´70, un gruppo di ex-studenti che seguiva un corso d´orientamento professionale a Milwaukee raccontò di Murphy ai responsabili. Tra loro c´era John Conway che raccolse le dichiarazioni giurate di una ventina di ex-allievi. Venne concesso loro un incontro con l´arcivescovo William Cousins. Trovarono una stanza piena di gente, tra cui lo stesso Murphy. Arthur Budzinski e Gary Smith, due vittime di Murphy, ricordano di aver visto l´arcivescovo Cousins urlare, mentre Murphy fissava il pavimento. Gli venne detto che Murphy, principale procacciatore di fondi, era troppo importante per essere mandato via. Erano scandalizzati. Andarono al dipartimento di polizia di Milwaukee dove dissero che il caso non rientrava nella loro giurisdizione, poi a quello di St. Francis dove si trova la scuola. Poi all´ufficio del procuratore distrettuale della contea. «Un prete criminale era un ossimoro per loro», dice Conway. Fu solo quando intrapresero le vie legali che l´arcidiocesi sospese padre Murphy dalla St. John´s. La denuncia venne ritirata. Smith ricevette un risarcimento di 2mila dollari. Murphy continuò a lavorare nelle parrocchie e nelle scuole e a portare i giovani in ritiro nella diocesi di Superior ancora per 24 anni.
(© New York Times-la Repubblica
Traduzione di Luis E. Moriones)

Repubblica 29.3.10
Nell´inno russo vietato togliere Dio
Gli ultimi eredi del vecchio Pcus volevano togliere il riferimento religioso nelle strofe scritte da Mikhalkov Ma in Parlamento sono stati sconfitti. Soprattutto grazie a Putin, sempre più vicino alla Chiesa ortodossa
"Il Signore ci ha sempre protetto" e nell´inno Dio batte i comunisti
di Nicola Lombardozzi

Il premier appare spesso alle funzioni religiose. E ha già restituito diversi beni ecclesiastici requisiti negli anni dell´Urss
Le ragioni del governo: "Qualsiasi modifica che non tenga conto del contesto storico può stravolgere il contenuto generale"

È Dio che protegge la Russia. Su questo il governo Putin non vuole sentire ragioni e ha deciso di dare un dispiacere ai comunisti bocciando senza appello la loro richiesta di togliere la parola Dio dall´inno nazionale. In compenso ha fatto felice il patriarca ortodosso Kiryl che da novembre, da quando la richiesta era stata avviata, premeva per scongiurare la riforma usando toni apocalittici: «Tutte le volte che Dio non ci ha protetto sono stati versati fiumi di sangue». E´ un altro passo di una evidente strategia di avvicinamento alla Chiesa che di questi mesi ha suscitato molte speranze nei cristiani di Russia e sollevato invece le preoccupate lagnanze dei sostenitori del laicismo assoluto. A cominciare dalle ormai frequenti apparizioni alle funzioni religiose del premier che si mostra alle telecamere raccolto in preghiera, per non parlare degli annunci di clamorose restituzioni milionarie di beni ecclesiastici requisiti negli anni dell´Urss, ultima quella del monastero di Novodevici perla dell´arte russa e meta turistica obbligata della capitale.
Interessi economici dunque, e aree di influenza politica, dietro all´ennesima battaglia per l´inno combattuta tra parlamento e commissioni governative in questi ultimi mesi. La richiesta comunista, presentata alla fine dell´anno scorso, riguardava una strofa del nuovo testo scritto dal poeta Sergej Mikhalkov, padre del famoso regista Nikita. Laddove l´inno recita: «La terra natìa protetta da Dio» i comunisti proponevano di inserire: «Protetta da noi». «Il nostro è un paese laico – aveva spiegato il deputato Boris Kascin alludendo ai comportamenti recenti di Putin – Abbiamo grande rispetto e comprensione per i fedeli ma non dimentichiamoci che in Russia la Chiesa è separata dallo Stato». La Duma, divisa tra credenti veri e dell´ultima ora e anticlericali di ferro, ha rinviato la palla al governo: la modifica comporterebbe comunque delle spese molto elevate, andrebbero cambiate registrazioni, spartiti, libri di testo, ci vuole un parere del premier. E il parere è arrivato per bocca del vice premier Sergej Sobjanin: «Il testo dell´inno è opera poetica. Qualsiasi modifica che non tenga conto del contesto storico e culturale può stravolgere il contenuto generale».
Non è la prima volta che l´inno nazionale russo è al centro di mutamenti storici e politici. L´inno storico dell´Unione Sovietica, musicato da Aleksandr Aleksandrov per Stalin nel ´43, subì la prima mutilazione nei primi anni della destalinizzazione quando Krusciov ordinò di tagliare senza dare troppe spiegazioni una strofa che cominciava a diventare un tantino imbarazzante soprattutto all´estero: «Noi che siamo stati allevati da Stalin…».
Alla fine dell´Urss nell´ansia di cancellare ogni traccia di antico, Boris Eltsin decise di far adottare alla Russia un inno nazionale totalmente diverso , un brano senza parole dell´opera lirica di Mikhail Glinka "Una vita per lo zar". Esperimento di breve durata perché nel 2000 proprio Putin volle reinserire il glorioso inno sovietico, prima senza parole e poi con un testo rielaborato dallo stesso Mikhalkov autore delle parole originali. Un sapiente rimescolamento con l´epurazione di alcuni termini giudicati "sovietici" e anche alcuni riferimenti troppo enfatici a Lenin. E con l´inserimento della parola Dio che adesso torna a fare discutere.

Repubblica 29.3.10
Contro Darwin e i suoi apostoli
“Io laico critico la selezione naturale”
L´intervista/Lo scienziato Piattelli-Palmarini e il libro che attacca Dawkins, Dennett e Pinker

"Tanti hanno applicato quel concetto in modo totalizzante"
"Persino il padre dell´evoluzione sapeva di non aver chiarito tutto"

NEW YORK. Professore, ma come si fa a intitolare un libro Gli errori di Darwin, oggi, qui in America, in piena polemica creazionista? E si figuri che cosa succederà in Italia. Lei dice che è una lettura laica e scientifica: ma non teme di finire strumentalizzato?
«Guardi, basta con questa storia che a dire la verità si fa il gioco dell´opposizione...».
Ce ne freghiamo del politicamente corretto: questo si può dire?
«Magari in un modo un pochino più garbato».
In modo garbato, Massimo Piattelli-Palmarini, fisico e biologo, uno dei più grandi cognitivisti del mondo, professore all´Università dell´Arizona, e Jerry Fodor, il filosofo e studioso del linguaggio, hanno fatto a pezzi la selezione naturale nelle 264 pagine di What Darwin Got Wrong, il libro che a metà aprile Feltrinelli tradurrà appunto con Gli errori di Darwin e che dalla Boston Review al Guardian è già un caso mondiale. Perché se crolla la selezione naturale crollano anche le traduzioni culturali del darwinismo. «Proprio quello che ci ha spinto a scrivere questo libro. Il fastidio enorme provato per anni verso i neodarwiniani in psicologia, in sociologia, nella filosofia del linguaggio, della mente: in tutti i settori delle scienze umane».
Facciamo dei nomi.
«La sacra triade. Daniel Dennett, filosofo americano. Richard Dawkins, biologo inglese. Steven Pinker, canadese, psicologo ad Harward. I tre corifei del neodarwinismo».
Che cos´è che non va nell´evoluzione?
«Per carità: l´evoluzione è un fatto. Non è più un ipotesi ma è un dato acquisito. Il problema sono i neodarwiniani che con la selezione naturale pensano di poter spiegare tutto».
Riproviamoci: cosa c´è che non va nella selezione naturale...
«Primo. I cosiddetti vincoli interni. Come avviene l´evoluzione biologica? L´evo-devo ha scoperto che i geni sono sostanzialmente quasi sempre gli stessi da centinaia di milioni di anni. Altro che babbuini: dividiamo tutto con i moscerini e i topi. Naturalmente maggiori sono i vincoli interni e maggiore è la struttura genetica che condiziona lo sviluppo. Minore è quindi l´importanza della selezione naturale».
Punto due.
«Fisica e chimica ci dicono che i principi di autorganizzazione comuni a tante specie non hanno niente a che fare con la selezione naturale. La legge di gravitazione, per esempio: è una legge della fisica. C´è una storiella che spiega bene l´atteggiamento dei neodarwiniani che non si arrendono. Il bambino chiede al babbo: come mai, quando li si lascia andare, gli oggetti cadono a terra? E il babbo neodarwiniano: perché quelli che tendevano a volare in alto sono stati persi dalla selezione naturale».
Punto tre.
«Due grandi evoluzionisti come Jay Gould e Richard Lewontin l´hanno chiarito da tempo: tratti tra loro molto diversi spesso si sviluppano insieme. Impossibile dire quale è stato selezionato e quale si è solo accompagnato».
Allora questa selezione naturale non spiega un bel niente?
«Attenzione: ogni anno ci dobbiamo rivaccinare perché i virus mutano, e mutano a loro vantaggio e non a nostro. La selezione naturale è una realtà: ma non è il motore delle specie nuove».
Riassunto: l´evoluzione è un dato di fatto, la selezione naturale esiste, ma non è il motore dell´evoluzione.
«Non è il motore della speciazione: della creazione di specie nuove. L´affinamento delle specie sì. La creazione di sottospecie sì. Gli unici esperimenti di evoluzione per selezione naturale hanno portato alla creazione di sottospecie. Da un tipo di moscerino della frutta viene creata la sottospecie di moscerini della frutta. Da un tipo di ranocchio un sottotipo. Ma sempre di ranocchie e moscerini si tratta».
Quindi la selezione naturale non spiega il principio ultimo?
«Non spiega l´evoluzione biologica. Non spiega la creazione delle specie. Noi usiamo una metafora: la selezione naturale è l´accordatore di pianoforti ma non il compositore di sinfonie».
Scusi, e il compositore chi sarebbe?
«Tanti. Via la selezione naturale non è che c´è un solo altro principio che lo sostituisce: i meccanismi sono molteplici».
E invece i neodarwiniani continuano ad applicare quel concetto onnicomprensivo al resto della scienza.
«Prenda la semantica. Daniel Dennett spiega il linguaggio con l´adattamento, i bisogni essenziali, la riproduzione, il cibo. Una balla enorme».
Richard Dawkins?
«The God Delusion è un libro infausto. Io sono ateo, integralmente ateo. Ma sbeffeggiare la religione nel nome di Darwin è una cosa infame».
E Steven Pinker?
«Il campione della psicologia neodarwiniana. Spiega tutto con i geni: dall´omicidio alla gelosia».
Professore, lei vive in America e sa bene che i giornali sono pieni di questo tipo di interpretazioni scientifiche. Così ci smonta tutto.
«Ma se io le offro una teoria neordarwiniana, che posso dire?, della omosessualità, è chiaro che il giorno dopo ho la prima pagina del New York Times. Se invece le dico, vattelapesca, fattori molteplici, eccetera, io non vado né in prima, né in seconda, né in trentesima pagina».
Che peccato.
«Altro caso famoso. Le violenze all´interno della coppia, delle famiglie. La violenze dei padri sulle figlie adottive. La storia darwiniana spiega tutto. Gene contro gene...».
E che cosa cambia quando spostiamo la selezione naturale dal piedistallo?
«Si reintroducono le scienze sociali: la filosofia, la filosofia del diritto, dell´estetica. Si reintroducono quei grandi temi che per fortuna non sono mai morti».
Non la perdoneranno mai.
«Le faccio già un nome. Giorgio Bertorelle è il presidente della Società italiana di Biologia evoluzionista. Qualche anno fa tentò di far firmare un manifesto agli scienziati di mezzo mondo. Contro di me. Arrivò al mio amico Richard Lewontin. E lui: ma siete completamente matti?».
Figuriamoci adesso che se la prende direttamente con Darwin.
«Un genio, per carità, e forse è un pochettino disonesto criticarlo così, dopo 150 anni. Ma in fondo lo diceva lui stesso che ci sono tante cose che la sua teoria non arrivava a spiegare».
Sta dicendo che a Darwin il suo libro sarebbe piaciuto?
«Beh, sicuramente lui avrebbe capito».

l’Unità 29.3.10
5 risposte da Margherita Hack
di Camilla Furia

1 Ricerca scientifica
I governanti ignorano il ruolo e l’importanza della ricerca scientifica per la formazione e la cultura di base. Occorrono buone scuole e università pubbliche che permettano a tutti di esprimere al massimo le proprie capacità.
2 Cooperazione
In tempi meno bui degli attuali, l’Italia è diventata membro dell’Agenzia Spaziale Europea, dell’Osservatorio Europeo per l’Emisfero australe e del Sem di Ginevra. Se il Governo tagliasse i contributi che l’Italia deve a questi enti, l’astrofisica morirebbe insieme ai suoi ricercatori.
3 Oscurantismo
Oltre al Governo ci si mette contro anche la Chiesa. Penso alla legge 40 che proibisce la ricerca sulle cellule staminali. al testamento biologico, alla vergogna del caso Englaro; far passare per assassino un padre amorevole.
4 Libertà
Da che si parla del Partito delle libertà non ci sono mai state tante violazioni della libertà dei singoli cittadini.
5 Futuro
Avremmo bisogno di una rivoluzione copernicana. Da qui l’importanza della cultura scientifica di base a partire dalle elementari per stimolare alla ricerca che non deve diventare un lusso di pochi.

l’Unità 29.3.10
Intervista a Yariv Oppenheimer
«Coloni e governo vogliono il fallimento del processo di pace»

Chi è
Il pacifista minacciato dagli integralisti
Leader del gruppo storico del movimento per la pace israeliano, è stato parlamentare laburista. Per le sue posizioni contro la colonizzazione dei Territori è stato minacciato di morte dai gruppi più radicali dell’ultradestra israeliana.

L’obiettivo dei coloni oltranzisti e dei loro sponsor nel governo, è chiaro: far fallire ogni possibilità di giungere ad un accordo che ponga fine al dominio israeliano sui territori palestinesi occupati». A sostenerlo è Yariv Oppenheimer, segretario generale di Shalom Achsav (Peace Now). «È ormai tempo – rileva Oppenheimer – che il popolo israeliano alzi la propria voce e dica chiaramente al primo ministro e al suo governo che lo scontro in cui essi si sono impegnati con la comunità internazionale e il deterioramento dei rapporti con gli Stati Uniti, non sono il risultato della volontà di migliorare la reputazione di Israele ma, al contrario, di una miope volontà politica di migliorare la situazione dei coloni e di salvaguardare la stabilità del governo». Il premier Netanyahu dice di non essere contrario ad un accordo fondato sul principio «due popoli, due Stati». Perché «Peace Now» non gli crede? «Perché ogni atto concreto del governo Netanyahu mira a impedire che questa soluzione si realizzi in futuro. La cosa è tanto evidente da aver portato Netanyahu in rotta di collisione con gli Usa, l’Unione Europea, il Quartetto.(Usa, Ue, Onu, Russia, ndr)».
C’è il rischio che attorno alla realizzazione di nuovi quartieri ebraici a Gerusalemme Est possa scatenarsi una guerra di religione?
«Più che di rischio, parlerei di una certezza. Perché tutti sanno che la questione di Gerusalemme, del suo status non riguarda solo i rapporti tra israeliani e palestinesi, ma investe e coinvolge l’intero mondo arabo e musulmano. La valenza religiosa e simbolica della Città Santa è pari a quella nazionale. Dietro le scelte operate dal governo Netanyahu-Lieberman c’è una ideologia integralista, aggressiva che si rifà al mito di “Eretz Israel”, la Sacra Terra d’Israele. L’esatto contrario di quanto professato dai padri fondatori dello Stato d’Israele, dai pionieri del sionismo. La colonizzazione non ha nulla a che vedere con il tema della sicurezza. In questa volontà di sfidare la comunità internazionale c’è tutto l’avventurismo di una destra fortemente venata di oltranzismo nazionalista e di una visione del popolo ebraico come il popolo eletto che ha una missione divina da compiere. Chi è animato da questo furore ideologico non potrà mai concepire o accettare un compromesso con coloro – i palestinesi, i vicini arabi – che considera come il Male assoluto. E in questo lungo elenco di Nemici di Eretz Israel hanno inserito anche il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama».
Netanyahu assicura che le relazioni con gli Usa non hanno subito contraccolpi. «Infatti: hanno subito un terremoto. E non poteva essere altrimenti visto che tutti sanno che i più stretti consiglieri di Netanyahu parlano di Obama come una minaccia per Israele. E ancor peggio pensano di lui i coloni oltranzisti e la destra integralista che indirizza fortemente l’azione del governo. Una cosa dovrebbe ormai risultare chiara: l’attuale governo israeliano non sarà mai disponibile ad un incontro a metà strada tra le ragioni d’Israele e quelle dei palestinesi». I falchi del governo hanno avvertito: liquideremo Hamas...
«L’ho già sentito altre volte. Ma il pugno di ferro ha finito sempre per rafforzare Hamas. La verità è che i falchi delle due parti si alimentano a vicenda. Il loro obiettivo è sempre lo stesso: affossare il dialogo, liquidare ogni chance negoziale. Così seppelliscono la speranza di un futuro normale per due popoli. Un futuro di pace». U.D.G.