venerdì 2 aprile 2010

Agenzia Radicale 2.4.10
Se a Roma si fosse votato per le elezioni comunali…
di Carlo Patrignani

Se si fosse votato per le comunali, Emma Bonino oggi sarebbe, indiscutibilmente, il Sindaco di Roma: con i suoi 1.012.542 voti pari al 51,79% ha nettamente sopravanzato Renata Polverini ferma a 931.218 voti, pari 47,63%. Non solo, ma rispetto alla somma dei voti dei partiti facenti parte della coalizione di centro-sinistra (897.264), la Bonino ha avuto ben 115.278 consensi in più: infine si aggiungano i 10 mila voti di preferenza presi con la lista ‘Bonino-Pannella' arrivata, caso unico in Italia, a 64.678 voti per al 3,76%, che ne fanno il terzo partito a Roma. E questo risultato è avvenuto in un contesto che ha visto scendere direttamente in campo, non accadeva dal 1974 (ricordate i comitati civici di Gedda e Fanfani?) cioè dal referendum sul divorzio e dal 1981, cioè dal referendum sull'aborto, il Vaticano, la Cei di Bagnasco e del suo organo ufficiale l'Avvenire, più le parrocchie, da un parte, e dall'altra il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, attraverso i grandi mezzi d'informazione Rai, Mediaset, Sky in testa. Evidentemente la posta in gioco a Roma, a differenza di altre parti, ad esempio la Puglia, era troppo alta: ma nonostante la ‘potente' e capillare organizzazione di media, associazioni e congreghe cattoliche e lo schieramento politico altrettanto ‘potente' e attrezzato, la Bonino ha vinto, anzi ha stravinto. Un dato questo che non puo' esser cancellato o sminuito dal voto complessivo nella Regione. A livello regionale la Bonino è arrivata a 1.331.375 voti, ben 146.143 in più rispetto alla somma dei partiti della coalizione, 1.185.232. Si tenga, poi, conto che il Lazio con l'11,9% è tra le regioni dove, rispetto al 2005, è più alto l'astensionismo, dovuto pure ad una parte consistente dell'elettorato cattolico del centro-sinistra che non ha condiviso la scelta della Bonino. Infine, da non sottovalutare, è che nel Lazio il Partito Democratico ha contenuto al 14% l'emorragia di voti -26% (due milioni in cifra assoluta) rispetto alle precedenti regionali del 2005: come dire la candidatura della Bonino ha fatto guadagnare, nel Lazio, un 12% al Pd. Si tratta ora di non disperdere questo patrimonio di voti e di consensi attorno alla Bonino: non e' uno ‘scherzo' reggere e vincere perché di questo si tratta il confronto con uno schieramento che ricorda molto quello che perse il referendum sul divorzio del 1974 e nel 1981 quello sull'aborto. Emma non è un prodotto mediatico come la Polverini e lo stesso Vendola che godono del favore dei grandi media (Ballarò o Annozero, Porta a Porta o Matrix, etc). Dopo aver ‘regalato', per insipienza, Roma al centro-destra in quelle sciagurate elezioni comunali dell'aprile 2008, il cui esito era in buona parte noto ed annunciato mesi prima, il successo innegabile di Emma Bonino rimette tutto in gioco e riaccende la speranza di poter riconquistare il Campidoglio. Non è dunque affatto vera l'immagine di una Roma papalina, genuflessa al Vaticano e suddita al Potere: c'e', esiste, e stando ai brillanti voti conseguiti da Emma Bonino, una Roma ‘laica', democratica, liberale, e sognando un po' anche ‘azionista' e ‘giellista', e perche' no, ‘garibaldina', che non dimentica uomini e donne di ‘cultura' prestati di volta in volta alla politica, al sindacato, alle grandi organizzazioni di massa. Ad un intellettuale sopraffino come Guido Ceronetti che su ‘La Stampa', il giornale della Fiat, l'azienda torinese con il vizietto di privatizzare i profitti e socializzare le perdite, scrive "Emma non voleva vincere [..... ] Lazio e Roma sono lebbrosie incurabili. Un salutare distacco nella maratona votante, domenica 28 marzo, ha liberato Emma Bonino, molto più adatta a ruoli internazionali di rovente bisogno, dall'obbligo di governarle. E nei confronti della Chiesa, come dello stesso carrozzone malfermo che a malincuore la sosteneva, sarebbe rimasta drammaticamente sola. Le resterà di meglio, da fare", rispondiamo: "si goda a Torino l'ignorante fascista Roberto Cota, noi continueremo a star vicino, a sostenere con tutte le nostre forze, Emma". Vogliamo costruire attorno ad Emma che ‘dice quel pensa e fa quel che dice', una nuova aperta libera plurale aggregazione di forze che riprendendo quella ‘nobile', onesta, trasparente, tradizione ‘azionista' e ‘giellista', di uomini solitari e testardi come Piero Calamandrei, Riccardo Lombardi, Piero Gobetti, Ernesto Rossi, Altiero Spinelli, Ferruccio Parri, Leo Valiani, Vittorio Foa, Giuseppe Di Vittorio, Bruno Trentin, ebbero il coraggio, di opporsi alla nefasta, illiberale, disonesta prassi del ‘catto-comunismo', del compromesso storico, dell'unione delle due Chiese, per fare dei cittadini non persone umane con i loro bisogni e le loro esigenze da realizzare, i loro diritti civili e sociali da tutelare e garantire, ma degli ‘stupidi sudditi', da controllare e tener buoni con qualche regalia e qualche carezza buonista.

l’Unità 2.4.10
Pillola Ru486 Il Vaticano applaude Cota e Zaia la vieta
L’aborto è un atto di ingiustizia contro cui opporsi. È l’invito esplicito di Benedetto XVI nella omelia del giovedì santo in san Pietro. I neogovernatori leghisti lanciano la crociata contro la pillola Ru486. Il Vaticano plaude.
di Roberto Monteforte

Monsignor Fisichella (in corsa per sostituire Tettamanzi) trova «concreta» l’iniziativa leghista
Dal Papa nuovo attacco contro le «ingiuste leggi» sull’ aborto. Anche a Sud divieti Pdl

Nuovo deciso affondo di Benedetto XVI contro l’aborto. «I cattolici non possono accettare le ingiustizie elevate a “diritto” e a leggi, prima fra tutte «l’uccisione di bambini innocenti non ancora nati»: ha scandito nella sua omelia durante la Messa del Crisma celebrata a San Pietro. Se i cristiani ha spiegato «come buoni cittadini,rispettano il diritto e fanno ciò che è giusto e buono. Rifiutano di fare ciò che negli ordinamenti giuridici in vigore non è diritto, ma ingiustizia». Un invito chiaro ad opporsi con determinazione a quella che è indicata come la più grande delle ingiustizie. «Così serviamo la pace» ha aggiunto il pontefice. Invitando a vincere con «l’amore e non con la spada», a seguire Cristo che «insultato non rispondeva gli insulti; maltrattato non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia». La via è indicata. Dopo le parole del presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Angelo Bagnasco, dopo le conclusioni del Consiglio Permanente dei vescovi è sempre più chiaro che sui «valori non negoziabili» a partire dalla difesa della vita dal concepimento sino alla morte naturale e della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, la Chiesa chiede ai cattolici un impegno coerente. Quindi anche un no esplicito all’utilizzo della pillola abortiva Ru486. Sono «raccomandazioni» che indubbiamente hanno pesato sul voto, soprattutto in Piemonte e nel Lazio.
Le hanno raccolte immediatamente i neogovernatori targati Carroccio. Come primo atto pubblico, infatti, il presidente del Piemonte, Roberto Cota ha detto no alla diffusione della pillola abortiva Ru486: «Resterà nei magazzini» ha dichiarato, dando una netta sterzata alla linea della sua predecessore Mercedes Bresso.
PLAUDE IL VATICANO
«Non daremo mai l’autorizzazione ad acquistarla e utilizzarla nei nostri ospedali» gli ha fatto eco il nuovo presidente del Veneto, il leghista Luca Zaia che ha già annunciato che «studierà il modo per far valere la sua contrarietà a uno strumento farmacologico che banalizza una procedura così delicata come l’aborto, lascia sole le donne e deresponsabilizza i più giovani». Immediato il rilancio di Cota. Chiederà ai direttori generali delle Asl di bloccare l’impiego della Ru486 in attesa della sua entrata in carica e alle strutture sanitarie piemontesi di ospitare le associazioni Pro Vita. Non solo annunci,quindi, ma decisioni.
Era quello che la gerarchia ecclesiastica sperava di sentire. Immediato è giunto il plauso di monsignor Rino Fisichella, presidente della pontificia accademia per la Vita e accorto tessitore, anche nei momenti difficili, dei rapporti tra il partito di Bossi e Oltretevere. Un atto «concreto», improntato alla «difesa della vita e delle donne» ha commentato che manifesta «un’azione politica che ha certamente il supporto dell’elettorato». La Chiesa, o meglio una sua parte, ha trovato nuovi interlocutori, ritenuti finalmente affidabili? Per monsignor Fisichella c’è forse una ragione di soddisfazione in più. Questa sintonia può giovargli nella corsa alla successione de cardinale Tettamanzi alla guida dell’arcidiocesi di Milano.
Intanto, contro la Ru486 Coda e Zaia hanno fatto da apripista agli altri governatori del centrodestra: dal campano, Stefano Caldoro al calabrese, Giuseppe Scopelliti. Nella sottosegretaria al Welfare, Eugenia Roccella hanno una sponda sicura. Meno determinata parrebbe la neo presidente del Lazio, Renata Polverini: «Io ha spiegato sono a favore della vita e farò tutto quello che è necessario per difenderla nel rispetto della legge».❖

l’Unità 2.4.10
Intervista a Ignazio Marino
Un abuso di potere sulla testa delle donne
Il senatore Pd si tratta di un farmaco autorizzato da un’agenzia europea e dall’Aifa in tutta Italia Cota non decide percorsi clinici. La 194 va difesa
di Susanna Turco

Per Ignazio Marino, chirurgo e senatore del Pd, quello che minaccia di fare il governatore del Piemonte Roberto Cota, applaudito da monsignor Fisichella e imitato dal veneto Zaia, è semplicemente «abuso di potere». «Forse si sente un ginecologo», aggiunge senza ridere.
Senatore Marino, può il presidente di una regione decidere sulla distribuzione di un farmaco che ha concluso tutto l’iter per la commercializzazione? «No. Una volta che un farmaco è autorizzato, prima dall’agenzia europea, poi dall’Aifa, lo è per tutto il territorio nazionale: quindi non è più una questione che competa al governatore di una Regione».
Bene.
«Ma c’è di più».
Vale a dire?
«Non si capisce se Cota e gli altri vogliano fingere, oppure non comprendano davvero, che l’utilizzo dell’Ru486 non è una decisione di natura etica, bensì di clinica».
Già, perché parliamo di un farmaco.
«Quindi dal punto di vista etico sarebbe deontologicamente e clinicamente scorretto, per un ginecologo che si trovi di fronte a una donna giunta alla decisione sempre difficile e drammatica di interrompere una gravidanza, nascondere i diversi percorsi clinici che esistono. Quel ginecologo, al contrario, deve spiegare rischi e possibilità di ogni metodologia, e poi giungere a una conclusione che non può che scaturire dal colloquio tra medico e paziente. Non può essere Cota a decidere i percorsi clinici seguiti da una donna nel territorio nel quale governa». In effetti suona strano.
«E invece purtroppo questa destra tutta italiana immagina davvero che il fatto di aver vinto elezioni la metta nelle condizioni di entrare nella vita personale dei cittadini e addirittura di condizionarne le decisioni mediche. È un atteggiamento che lascia sgomenti».
A volte si ha l’impressione che la discussione sulla Ru486 debba ancora cominciare... «È il frutto dell’intolleranza di questa destra verso regole e leggi. La 194 si rispetta, anche se si è presidenti di regione, perché la legge è al di sopra degli eletti. Purtroppo questo concetto è innaturale per costoro, che pensano di poter sentenziare anche al di fuori di quel che la legge prevede».
La Roccella, però, dice che i governatori leghisti vogliono rispettarla, la 194. «Io so che Cota ha detto che non vuole distribuire la Ru486. Poi, se il sottosegretario è a conoscenza del fatto che il neogovernatore si rende conto di aver detto cose al di fuori della legge, e prevede che dirà “scusate mi sono sbagliato”, meglio».
Sempre Cota dice che a suo avviso la Ru486 non può che essere distribuita in ospedale. «Beh ma è chiaro: è ciò che è stabilito dalla legge, e anche dall’Aifa. A volte non si capisce se parlano per fare annunci o perché sanno di cosa stiano parlando».
Secondo lei lo sanno?
«Ho la sensazione che questa destra, non essendo nelle condizioni per affrontare problemi veri, preferisca lanciare diversivi: perché è chiaro che oggi sui giornali non ci sarà la disoccupazione o la povertà, ma la discussione tra Cota, Zaia, Roccella eccetera».
A forza di annunci riusciranno a bloccare davvero la Ru486? «Sono due anni che la pillola abortiva viene rilanciata come una pallina da ping pong, tra agenzie,commissioni e polemiche: di fatto, se non si è riusciti a impedire che un farmaco possa essere utilizzato, di certo si è riuscito a ritardarne l’ingresso per molto tempo».
Cosa pensa, da cattolico, del plauso a Cota di monsignor Fisichella? «Evidentemente i vescovi hanno il compito difficilissimo di educare le coscienze con il loro esempio, ma uno Stato laico deve avere una sua legge sull’aborto. La 194 è una legge equilibrata, che ha fatto dimezzare gli aborti nel nostro Paese. E dimezzare una tragedia così è un percorso di cui essere fieri».
Lo dice perché crede che l’obiettivo ultimo di queste polemiche sia rimetterla in discussione? «Credo che questa pulsione ci sia, in alcune aree della destra, anche se nessuno lo dice apertamente».

il Fatto 2.4.10
Patto di ferro col Vaticano
Polverini: “Sono a favore della vita e farò di tutto per difenderla”


il Fatto 2.4.10
Il papa presenta il conto
La Santa Sede trova nella Lega un interlocutore più affidabile di B.
Ottenuta la sconfitta di Bonino e Bresso Benedetto XVI chiede di boicottare la legge sull’aborto. I leghisti s’inginocchiano
di Marco Politi

Lega e berluscones pagano sull’unghia l’appoggio elettorale della Chiesa. Il Vaticano presenta il conto e, al segnale di Cota, parte la manovra nazionale per strozzare con ogni cavillo l’utilizzo della Ru486. La gerarchia Lega e berluscones pagano sull’unghia l’appoggio elettorale della Chiesa. Il Vaticano presenta il conto e, al segnale di Cota, parte la manovra nazionale per strozzare con ogni cavillo l’utilizzo della Ru486.
La gerarchia ecclesiastica plaude e incassa. La manovra è talmente sfacciata che assume il valore di un patto plateale. I leghisti, ex adoratori del dio Po e un tempo ribelli all’8 per mille e al Concordato, sono pronti a garantire al Vaticano la tutela politica dei “principi cristiani”. In cambio si aspettano che le gerarchie ecclesiastiche (seppure con qualche protesta sulle rozzezze anti-immigrati) non intralcino la presa del potere di Bossi nelle regioni del Nord e gli stravolgimenti costituzionali in arrivo. I leader pidiellini si muovono a rimorchio. Mentre il Papa, celebrando la messa del Giovedì Santo – dedicata ai sacerdoti – ignora del tutto gli scandali di pedofilia nella Chiesa e incita invece all’obiezione di coscienza sulla legge dell’aborto.
La tempistica è stata come dal notaio. Martedì mons. Rino Fisichella, presidente dell’Accademia vaticana per la Vita, un ruiniano di ferro ricevuto pochi giorni fa da Benedetto XVI, sottolinea sul Corriere della Sera la “presenza determinante” dei cattolici nella tornata elettorale, indica come modelli il ciellino Formigoni e il leghista Cota ed esalta la nuova linea della Lega: “Manifesta una piena condivisione con il pensiero della Chiesa”.
Mercoledì Cota lancia l’attacco alla pillola abortiva, promettendo di “contrastare nel Piemonte l’impiego della Ru486”. Eugenia Roccella, sottosegretario al Welfare, allude alla possibilità che “tecnicamente” i presidenti delle Regioni possano impedire l’arrivo del farmaco negli ospedali. Giovedì seguono a cascata le dichiarazioni dei governatori leghisti e pidiellini, con l’intento di “costringere” le donne alla degenza in ospedale per usare la Ru486.
Si distingue per violenza di propositi il neo-governatore del Veneto Zaia. Si impegna perché la Ru486 “non arrivi mai” negli ospedali veneti. Sottolinea il suo essere “cattolico”. E come presidente di Regione – ed è questo il segnale che manda al Vaticano in nome della Lega – rivendica autonomia sulle questioni eticamente sensibili.
Zaia gioca in esplicita sintonia con le richieste vaticane. In mattinata Papa Ratzinger incita i cristiani a “rifiutarsi di fare” ciò che non è diritto, “ma ingiustizia” e indica il dovere di opporsi all’“uccisione di bambini innocenti non ancora nati”. Poche ore dopo Zaia esibisce pubblica attenzione all’“invito del Papa che stimola tutti noi a procedere secondo coscienza”. Chiude il quadro l’immediata benedizione del vescovo Fisichella: “Al neo-governatore Cota il mio plauso. Sono atti concreti che parlano da sé”. Cota viene incoraggiato a una “rigorosa applicazione delle leggi a tutela della vita”. Di fatto il neo-governatore del Piemonte promette già un altro regalo: installare i Centri per la Vita in ogni ospedale. Niente di improvvisato in questa operazione. Bossi ha gettato lucidamente le basi di questo patto Lega-Vaticano. A settembre dell’anno scorso, quando la debolezza di Berlusconi era al massimo per il caso Boffo (scatenato dal Giornale di famiglia) e per i postumi dello scandalo escort, il leader leghista cerca il filo diretto con le gerarchie ecclesiastiche. Il 3 settembre incontra per un’ora il presidente della Cei cardinale Bagnasco. Il 23 settembre fa il suo ingresso in Vaticano e resta a colloquio con il Segretario di Stato cardinale Bertone per un’altra ora. E’ presente nella delegazione il capogruppo leghista alla Camera Roberto Cota. Non è un caso se dopo il volgare attacco, lanciato dalla Lega ai primi di dicembre contro il cardinale Tettamanzi di Milano – tacciato di “imam” dalla Padania – il cardinale Bertone, trovandosi a fianco Cota in una tavola rotonda, non gli rivolga nemmeno il più blando appunto, elogiando anzi la Lega per il suo “radicamento sul territorio”. Il patto è preciso. La Chiesa, che da quindici anni dice di no a tutte le leggi destinate a regolare i nuovi fenomeni sociali (dalle coppie di fatto alla fecondazione artificiale), esige e ottiene dalla Lega la garanzia di un’opposizione militante al testamento biologico, alle unioni civili, alla distribuzione della pillola del giorno dopo e di quella abortiva. Alla fin fine le gerarchie ecclesiastiche hanno scoperto in Bossi un interlocutore “più forte” dell’impresentabile Berlusconi. Colpisce in questa manovra a largo raggio l’affiancarsi della Chiesa a quel lavoro di scardinamento degli ordinamenti giuridici in Italia, inaugurato dall’era berlusconiana. Se Berlusconi lo fa rozzamente a difesa dei propri diretti interessi, i vertici ecclesiastici sostengono la disapplicazione attiva della legalità dello Stato per imporre i principi che Ratzinger, già da cardinale, ha dichiarato non negoziabili. Di qui l’incitazione ai farmacisti a non vendere la pillola abortiva, l’incitazione al personale paramedico a un’obiezione di coscienza non prevista dalla 194 nelle operazioni di interruzione di gravidanza, il sabotaggio dell’uso della Ru486 nonostante l’approvazione da parte dell’Aifa.
Grave è il sostegno della gerarchia ecclesiastica ad una distorsione partitico-ideologica delle istituzioni. Ha iniziato Formigoni, benedetto dall’Avvenire, a vietare – contro ogni legalità – che Eluana Englaro fosse accolta in un ospedale della Lombardia per spegnersi secondo natura, come autorizzato dalla magistratura. E’ un gioco in cui non c’è più rispetto di leggi e di tribunali. Tutto per difendere la “trincea italiana”, l’unica in cui il Vaticano riesca ancora a imporre i suoi diktat legislativi. Sotto il vessillo di Bossi, Cota e Zaia ora le Regioni vengono usate per decidere o meno l’applicazione di un trattamento medico, previsto dalla legge e di cui hanno bisogno donne di ogni partito. Non è una strada luminosa quella imboccata su indicazione di Ratzinger.

il Fatto 2.4.10
Via alla crociata
I neoeletti governatori di centrodestra si ‘sdebitano’
“Niente pillola abortiva nei nostri ospedali”

di Stefano Caselli

Pronti, via. Sono passati appena dieci giorni dalle parole del cardinale Angelo Bagnasco che subito i neo governatori Pdl, con particolare zelo da parte dei leghisti, si affrettano a passare all’incasso attaccando a testa bassa la Ru486, la “pillola abortiva” che gli ospedali – a partire dal primo di aprile – sono autorizzati ad ordinare. Il presidente della Cei, in piena campagna elettorale, aveva invitato i cattolici a indirizzare il loro voto verso “la difesa della vita umana, innanzitutto dal delitto incommensurabile dell’aborto, anche nella forma della pillola abortiva”. Il primo a cogliere la balla al balzo – raccogliendo il “plauso” di monsignor Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita – è stato il neo presidente della Regione Piemonte Roberto Cota, successore di Mercedes Bresso, sotto la cui amministrazione era stata autorizzata la sperimentazione della Ru486. Dopo aver annunciato l’intenzione di “far marcire nei magazzini” le confezioni del farmaco, Cota rincara la dose, invitando esplicitamente i direttori delle Asl a bloccare l’uso della pillola abortiva fino al suo insediamento. Peccato che l’utilizzo del farmaco sia stato regolarmente autorizzato, dopo lunga sperimentazione, nell’ambito della legge 194 (che regola l’interruzione volontaria di gravidanza) e che dunque il margine d’intervento delle Regioni sia pressoché nullo: “Una donna che sa che il farmaco è regolarmente registrato – dichiara Walter Arossa, direttore generale del Sant’Anna di Torino – e viene in ospedale per abortire con la Ru486 non può ricevere un rifiuto. Potrebbe rivolgersi al magistrato e chiedere che i suoi diritti siano rispettati”. Se Cota dichiara comunque che “rispetterà la legge”, il collega Veneto Luca Zaia non sembra più di tanto preoccupato: “Per quel che ci riguarda – sostiene Zaia – non daremmo mai l’autorizzazione ad acquistare e utilizzare questa pillola nei nostri ospedali. È una scelta di natura assolutamente etica e morale; ognuno ha la sua coscienza e io rispondo alla mia”. Quanto al come, Zaia rende noto che la Regione Veneto “studierà le modalità per far valere un punto di vista nettamente contrario a uno strumento farmacologico che banalizza una procedura così delicata come l’aborto, che lascia sole le donne e deresponsabilizza i più giovani”. Sulle stesse posizioni si allinea Stefano Caldoro, appena eletto in Campania: “La pillola abortiva deveessereprevistainregime di ricovero. Sono per la difesa della vita. Il ricovero ospedaliero è a tutela della salute della donna”. Parole ineccepibili, anche perché il ricovero ospedaliero non è mai stato messo in discussione, lo ha stabilito lo scorso 19 marzo il Consiglio superiore di Sanità: solo in ospedale si può procedere all’aborto farmacologico. L’unica variabile è l’alternativa day hospital o ricovero ordinario: “Si fa un po’ di confusione – dichiara il ginecologo torinese Silvio Viale, che da anni sperimenta la Ru486 – perché si tratta di due interventi distinti. C’è una prima somministrazione e due giorni dopo una seconda, nel frattempo la donna non corre alcun rischio particolare. Se c’è un’esigenza clinica, la si trattiene in ospedale, ma non c’è alcun obbligo di legge che impedisca al paziente di tornare a casa sotto la sua responsabilità”.
Ed è qui che potrebbero puntare gli oppositori della Ru486. Lo staff di Roberto Formigoni – che in un primo momento aveva scelto di non commentare, confermando che la Regione Lombardia avrebbe continuato, come sempre, ad applicare la legge – ha diffuso una nota: “La 194 – si legge – ha tra le sue finalità quello di non abbandonare la donna a vivere in solitudine il dramma dell’aborto. La Ru486 va nella direzione opposta ed è giuridicamente incompatibile con la legge, scritta per prevenire ed eventualmente regolare l’aborto chirurgico che necessariamente avviene in regime di ricovero. Nel caso di aborto farmacologico, essendo impossibile costringere una donna a un ricovero di più giorni, rischia di venir meno quanto previsto dalla legge per la sicurezza della donna”.
Della sicurezza delle donne, tuttavia, sembra curarsi un po’ di più Amedeo Bianco, presidente della Federazione degli ordini dei medici: “Intorno alla Ru486 – dichiara – ci sono troppe polemiche e non risulta che incentivi l’aborto. È necessario abbassare i toni e combattere l’unico vero rischio: la clandestinità delle procedure di assunzione della pillola”.

Repubblica 2.4.10
Il dio del carroccio
di Adriano Prosperi

Molti si chiedono in questi giorni quale sia il segreto del successo della Lega. La risposta è sempre la stessa. Ce la ripetono con sufficienza i tanti profeti del giorno dopo: il rapporto col territorio. Territorio: parola misteriosa. Non è chiaro che cosa voglia dire. Non è la stessa cosa di quello che una volta si chiamava il "buongoverno" e che voleva dire una somma di virtù civiche e amministrative dominata dalla tutela delle persone e dei loro diritti e dal progresso dei valori civili nella comunità.
Qui sembrerebbe trattarsi invece di una speciale concentrazione sul piccolo mondo vicino e sui suoi abitanti, alzando barriere su chi viene da fuori, sui confini lontani della nazione e del mondo. Chi perde voti e seggi ci si arrovella e cerca di imitare parole d´ordine e politiche locali della Lega per strapparle consensi o almeno per ridurre l´emorragia elettorale. Ma in realtà il territorio di cui oggi si occupa la Lega non è la Padania, quale che sia il significato geografico che si vuole dare alla parola. E´ il Vaticano, un´isola eminente di quella Roma ladrona contro la quale la Lega si era dichiarata in guerra. A urne appena chiuse il vincitore del Piemonte dichiara che per quanto lo riguarda farà il possibile per ostacolare la pillola abortiva: "marcirà nei magazzini". Poche ore dopo lo segue sulla stessa strada il neogovernatore leghista del Veneto, Zaia ed entrambi ottengono la benedizione di Monsignor Fisichella, a confermare che l´alleanza politica stretta tra la Lega e il Vaticano gode ottima salute e che la gerarchia ecclesiastica ha le idee chiare sugli alleati da scegliere per la propria battaglia culturale.
Il Papa sostiene che è legittimo disobbedire a leggi ingiuste (e cioè l´aborto), e i governatori eseguono: il primo, fondamentale prezzo pagato dai vincitori è la dichiarata volontà di ostacolare in tutti i modi il ricorso all´aborto nelle regioni di loro spettanza: che ci si presentano oggi come un territorio che si vorrebbe libero dalle leggi della Repubblica, un territorio vaticanizzato in un´Italia mai così lontana dall´unità nazionale. E sono ancora una volta le donne a pagare il prezzo di un´alleanza stretta sopra la loro testa, pagata col dominio sui loro corpi, in spregio alle leggi esistenti e alle norme attentamente e accuratamente varate dalle agenzie competenti. Quella pillola - si dice - banalizza l´aborto. Non si capisce che cosa si voglia dire con questa espressione. Nessuna donna potrà mai banalizzare una scelta del genere, checché pensino gli uomini di un´esperienza da cui sono esclusi per natura e dai cui dintorni sono tenuti lontani da istintiva e incancellabile viltà.
Lo sforzo di civiltà del paese Italia fu compiuto con una legge e con un referendum che sancirono la volontà collettiva di attrarre l´aborto nella luce di un luogo di tutela della salute, ponendo termine al buio e ai pericoli della clandestinità. Era un primo fondamentale passo sulla via giusta. Bisognava andare avanti eliminando le cause che portavano all´aborto. Ma quelle cause non sono state rimosse, anzi sono state aggravate dai due contraenti di una nuova Santa Alleanza. Alla necessità di una diffusa e moderna educazione sessuale per evitare gravidanze indesiderate l´autorità papale ha opposto la condanna senza appello perfino dell´uso del profilattico. Dall´altra parte le norme di legge sui clandestini volute in prima persona dai leghisti sono state pagate con una quantità di aborti clandestini per definizione incontrollabile ma sicuramente molto vasta. Oggi il conto della vittoria della Lega viene presentato alle donne in termini di una aumentata pressione perché tornino al segreto e alle pratiche selvagge dell´aborto fai-da-te.
Forse alla Lega non importa se moriranno le immigrate, per definizione senza diritti e senza voto. Ma ci aspettiamo che gli uomini delle istituzioni, i garanti dei diritti costituzionali, le forze di un´opposizione finora incredibilmente timida su questo terreno facciano sentire la loro voce. E questo prima che si riproduca nello scenario italiano lo spettacolo della fanatizzazione deliberata delle masse. Quello che abbiamo visto all´epoca della pur recentissima vicenda di Eluana Englaro è stato un esempio di quali costi debba affrontare chi segue la propria coscienza e vuole semplicemente ottenere la tutela di diritti naturali dell´individuo affidandosi con fiducia alle sentenze dei magistrati. Abbiamo visto di quali risorse di determinazione e di pazienza abbia dovuto dar prova un uomo in quel caso. Per questo le dichiarazioni dei nuovi governatori leghisti debbono ricevere una risposta ferma e all´altezza della sfida. Lasciamo alle coscienze degli italiani decidere se quello della pillola abortiva sia il problema dei problemi per chi desidera davvero tutelare la vita nascente, la vita indifesa.

Repubblica 2.4.10
Il peccato delle donne
di Natalia Aspesi

Le donne sono diventate l´anello più floscio della società. E la Lega le colpisce, prima di evasori e criminali

Potevano essere altri, più fiammeggianti e costruttivi, più remunerativi e sperati, insomma vere proposte di libertà, i primi solenni impegni presi dagli scalpitanti nuovissimi governatori del povero Nord che si avvia malconcio a precipitare nella Padania. Roberto Cota e Luca Zaia, due non brutti giovanotti in cravatta verde, sono stati eletti a furor di popolo anche da frotte di ammiratrici che ne adorano il celodurismo di partito.
Ebbene, i due si sono subito dimostrati soprattutto devoti, tradizionalisti, forse nostalgici della messa in latino, e soprattutto ben diversi dai faciloni loro alleati pdl, che si sono fatta la brutta fama di perdigiorno dietro escort ambosessi e sempre a gridare su pratiche di giustizia che non interessano ad anima viva tranne una.
Si sa che ormai le donne sono diventate l´anello più floscio della società, loro che pareva avessero in mano il mondo e adesso invece non basta un bel sedere per far carriera, se non sai almeno praticare l´igiene dentale. Quindi prima che agli evasori, agli inquinatori, ai criminali, ai fannulloni e persino ai clandestini, i nuovi ras della Padania hanno preso subito a randellate le donne; che se non ci fossero non ci sarebbe l´aborto, quindi l´obbligo di perder tempo con un grattacapo epocale irrisolvibile, reso stordente dal continuo martellare ecclesiastico che ogni mattina si sveglia, dà un veloce sguardo annoiato sulla montagna impolverata di pratiche pedofile che riguardano i suoi pii fratelli in tutto il mondo, e subito gli viene un diavolo per capello pensando all´infame dal nome innominabile, la diavolessa RU486, che gli fa passare anche la voglia del cappuccino.
Quella pozione luciferina ha qualcosa di veramente abominevole: procura l´aborto senza che chi la ingoia quasi se ne accorga, la paziente non subisce ferri chirurgici o aspiratori, non si sente strappare le viscere, non si dissangua, non prova che lievi dolori. Ignominia su ignominia, i nemici del farmaco sostengono che con questo metodo sbrigativo la peccatrice non ha tempo di sentirsi quello che è, un´assassina, e di continuare a soffrire e chiedere perdono per tutti i suoi giorni. Questo non è vero, perché se non in termini così apocalittici, non c´è aborto che non lasci una ferita in una donna, che sempre si chiederà a cosa ha rinunciato e chi sarebbe stato quella rinuncia una volta diventata persona. Certo, l´interruzione di gravidanza, voluta dalla legge 194 e necessariamente cruenta, piace di più ai nemici dell´aborto, in quanto punitiva: anche se poi, quel che davvero si meriterebbero le donne sarebbe un bel ritorno all´aborto clandestino, quando almeno le malvagie assassine spesso morivano come meritavano.
A questo punto risulta chiarissimo, e senza condizionali, che le parole dei vescovi alla vigilia delle elezioni erano un ordine cui non si poteva disubbidire. E i vincitori hanno subito risposto come dovevano, rassicurato le gerarchie, in cambio dell´appoggio alla vittoria: a questo punto, la morte della RU486, potrebbe anche preludere a una revisione della legge 194. Ci sono ministri mistici o governatori tutto casa e chiesa che si svegliano pensando ai feti, e giù lacrime, e già si armano per mettere definitivamente le donne al tappeto con una legge che renda una interruzione legale più difficile che un Nobel al pensoso erede Bossi. Il problema è che i feti di Cota, Zaia e tutti gli altri governatori spaventati e inetti, non hanno nessuna riconoscenza; se ne stessero lì, buoni, feti per sempre, non darebbero fastidio: ma pretendono di diventare bambini, di crescere e farsi noiosi e ingombranti e pieni di pretese: e si lamentano dei preti pedofili, e non si accontentano di pane e acqua alla refezione scolastica, e fan fare brutte figure ai giovanotti che li ammazzano di botte, e strillano se li vendono per la prostituzione o li usano per ricavarne organi sani. Cota e amici, giusto martellare la cattiva pillola, ma magari una vostra premurosa occhiata leghista su come vivono i bambini, non potreste sprecarla più per i bambini che per i feti?

Germania, a Treviri va in tilt il centralino sugli abusi:4.459 chiamate il primo giorno
Dagli Usa le accuse lambiscono anche Paolo VI. Ancora nuovi casi in Francia
l’Unità 2.4.10
Pedofilia, denunce su denunce Il Vaticano: falsi scoop dal Nyt
Centralini in tilt al numero verde antipedofilia della Chiesa in Germania che lancia l’operrazione trsaperenza. Levada accusa il New York Times: falsi scoop sul Papa. L’arcivescovo di Vienna: non ha mai insabbiato.
di Roberto Monteforte

Oltre quattromilacinquecento chiamate giunte nel primo giorno di attività al numero verde messo a disposizione dalla Conferenza episcopale tedesca per raccogliere le denuncie delle vittime dei preti pedofili.
Oltre un migliaio, tra vittime o familiari, hanno chiesto di parlare con gli operatori. Un record inquietante, molto al di sopra delle previsioni. «Un simile assalto non era previsto» ammette il direttore della sala operativa, a Treviri, Andreas Zimmer. Va avanti la scelta «operazione verità» su Chiesa e pedofilia de vescovi tedeschi. «Così spiega il vescovo Ackermann vogliamo incoraggiare le vittime a farsi avanti, indipendentemente dal fatto che si tratti di casi recenti oppure prescritti. Vogliamo sapere, e stare vicini alle vittime nell’elaborazione delle conseguenze». La risposta c’è stata. Segno che la linea di denuncia e di aperta collaborazione
con le autorità civili funziona. Ieri il cancelliere Angela Merkel l’ha pubblicamente apprezzata: «Non vi sono alternative alla verità e alla trasparenza». Nuovi casi vengono denunciati in Francia: a Rouen, in Normandia, padre Jacques Gaimard, direttore dell’agenzia locale di radio Rcf (Radio Cristiana di Francia), è stato incriminato per violenze sessuali su un ragazzo di 15 anni e padre Philippe Richir, parroco di Saint Martin de Canteleu, è stato fermato nell’ambito della stessa inchiesta, per «detenzione di immagini pedopornografiche». I due sono stati sospesi. E una lettera, scrive Ap, aveva informato anche Paolo VI: l’aveva scritta nel 1063 il reverendo Gerard M.C. Fitzgerald, capo dell'ordine dei Servi del Paraclito.
Sull’accertamento della verità e le responsabilità della Chiesa, compreso il ruolo svolto da Papa Ratzinger, la polemica resta alta. Il Vaticano critica apertamente le ricostruzioni del New York Times sul coinvolgimento dello stesso pontefice in casi di copertura di preti pedofili. «Falsi scoop» e «frutto di pregiudizi» le ricostruzioni sul «caso Murphy» afferma il cardinale William Joseph Levada. Critiche simili le muove l’arcivescovo di New York, Dolan. Sono accuse che Radio Vaticana rilancia. Riporta anche la posizione del Daily News che «pur rivolgendo critiche alla Chiesa, bolla senza mezzi termini come “false” le accuse del NYT contro Benedetto XVI».
RADIO VATICANA ATTACCA
Per l’arcivescovo di Vienna, cardinale Schoenborn «il Papa ha sempre avuto una chiara linea contraria all’insabbiamento», anche se questo «non è sempre piaciuto in Vaticano». Linea ferma anche per il patriarca di Venezia, cardinale Scola. «Contro la pedofilia occorre lottare con rinnovato impegno, senza tentennamenti e minimizzazioni, a rendere conto di ognuno di questi misfatti, decisi a non nascondere nulla». «In ottemperanza alle direttive ribadite dal Papa aggiunge sia attraverso le procedure canoniche che mediante una leale collaborazione con le autorità dello Stato»

l’Unità 2.4.10
Scuola, il governo del fare
Licenziati 25.600 professori
Ad un giorno dal voto la prima conferma sulla direzione di marcia del governo. La bozza sugli organici della scuola è netta: oltre 25mila insegnanti l’anno prossimo non avranno cattedra.
di F. L.

Conferme sui tagli dalla prima bozza sugli organici presentata dal ministero ai sindacati
Sono le conseguenze della cosiddetta riforma delle superiori. Difficoltà per i disabili

Una conferma puntuale, la prima, degli obiettivi del governo del fare. A ventiquattr’ore dal voto i sindacati della scuola hanno incontrato i funzionari del ministero dell’Istruzione e hanno avuto con geometrica potenza la determinazione di quel che sarà: 25.600 posti in meno per i professori a partire dal prossimo anno scolastico. Notizia perlopiù ignorata dalla stampa (tranne l’Unità). Che segue di qualche giorno l’annuncio che saltano i tetti degli alunni per classe, e si aggiunge al grido di dolore dei presidi rimasti senza soldi e costretti a chiedere centinaia di euro alle famiglie sotto forma di contributo volontario.
LA CIRCOLARE SUGLI ORGANICI
La bozza di circolare sugli organici contiene i tagli. La riduzione che l’amministrazione intende realizzare, anche tenendo conto dell’andamento della previsione degli alunni, comporterà una contrazione di organico di circa 8.700 unità nella scuola primaria, di circa 3.700 nella scuola secondaria di primo grado e di circa 13.750 nella secondaria di secondo grado.
Per questo intervento il ministero, oltre a tener conto dell’andamento degli alunni agirà sull’innalzamento del rapporto alunni/classi, sul dimensionamento della rete scolastica e sul riordino dei cicli di studio: anche oltre trenta ragazzi per classe se serve a ridurre organico.
Nella scuola dell’infanzia è previsto il consolidamento dell’organico di fatto dell’anno scolastico in corso che prevede un incremento nel diritto di 560 posti. Per quanto riguarda il sostegno verrà recepita la sentenza della Corte Costituzionale, dello scorso 22 febbraio che abroga i limiti del tetto massimo: le famiglie con disabili sono avvertite, si va verso il sostegno apparente se un insegnante ne seguirà più di cinque. Sempre per il sostegno verrà confermato l’incremento triennale dell’organico di diritto che verrà determinato in 63.348 unità. Rispetto alla riduzione complessiva dell’organico l’amministrazione è orientata ad agire, in parte, anche nell’organico di fatto: su un totale di 25.600 posti 22.000 verrebbero ridotti in organico di diritto e 3.600 in quello di fatto.
FUTURO NERO
Comunicazioni secche, gelide. La stessa nettezza usata per dire ai presidi che non si devono lagnare e che l’anno prossimo avranno mille euro per scuola, quanto basta per comprare la carta delle fotocopie, nemmeno i toner. Un Gelmini rimbrotto dal sapore demagogico: prendetevi questo e cancellate il contributo volontario. Ecco, con quei soldi i dirigenti scolastici mandano avanti gli istituti, vantando crediti per circa un miliardo di euro che lo Stato non gli restituirà mai.
SUPERIORI SENZA LEGGE
Infine. La riforma delle superiori non è ancora legge, benché le iscrizioni siano chiuse. Ha firmato il Capo dello Stato, ma non c’è ancora il parere della Corte dei Conti né la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale.

l’Unità 2.4.10
Quel dramma che il centrosinistra non riesce a vedere
I prof fanno meno notizia degli operai Ma poi votano...
I docenti che perderanno il lavoro in settembre si sentono soli Un ceto sociale descritto sempre con i peggiori luoghi comuni Chi oggi valuta le astensioni parta anche da qui
di Fabio Luppino

fLe corde morali e politiche vibrano ancora quando si vedono operai sui tetti, al freddo, esposti al pericolo, soli e mal rappresentati, costretti all’estremo gesto per la difesa di un diritto costituzionale, il lavoro. Non sale alcuna voce, al contrario, non si nota alcuna convinta, duratura battaglia politica quando si tratta di insegnanti. Sono anche saliti sui tetti, si sono anche messi in mutande, ma non hanno suscitato altro che sorrisi e temporanea simpatia. Venticinquemila persone in carne e ossa sanno già che tra pochi mesi non avranno più un lavoro. Un dramma epocale frutto di una riforma della scuola devastante per loro e per il futuro dei ragazzi. Un dramma relegato alla solitudine di chi lo vive e alle chiacchiere con gli amici. Un dramma che riguarda famiglie, mogli, mariti, figli. Molti, moltissimi saranno cinquantenni che finiranno di insegnare e non sanno fare altro. Lo scrivono all’Unità quasi ogni giorno.
In settembre avverrà nella storia repubblicana del nostro Paese una prima assoluta: un licenziamento di massa da parte dello Stato. Immaginate se Marchionne, l’amministratore delegato della Fiat, annunciasse la cassaintegrazione senza ritorno per 25mila operai. Il centrosinistra, almeno a parole e con qualche fatto, lì ancora c’è (ma non basta un’alba davanti ai cancelli Fiat).
Gli insegnanti sono soli, sentono di esserlo. Per decenni la politica tutta ha destrutturato l’immagine dei docenti, sparando nel mucchio con luoghi comuni che, sempre, hanno suonato a sfregio per chi quel lavoro svolge con coscienza, sacrificio, attenzione pedagogica oltre che didattica, con scarsissimi riconoscimenti sociali ed economici. Messaggi negativi che oggi sono convinzioni diffuse nell’opinione pubblica: i professori sono inetti, inutili, parassiti sociali. Conclusione: licenziare un insegnante non è un danno sociale, nemmeno 25mila (più 15mila bidelli e addetti di segreteria che pure la scuola la fanno). Il silenzio della politica nei mesi in cui il governo preparava la riforma delle superiori è stato totale. L’impegno a difesa della scuola pubblica, efficiente, come reale ascensore sociale non c’è stato. E gli appelli di queste ultime settimane, anche del Pd, in cui questo impegno è sembrato riemergere, sono apparsi tardivi, inutili, quasi una beffa a quegli insegnanti che nessuno ha salvato da un destino scritto nei testi Gelmini.
La scuola pubblica andava migliorata, non progressivamente sconvolta. Nell’analisi del voto tutti, a partire dal Pd, vadano a leggere le astensioni anche degli insegnanti (e degli operai, con anche tra loro caso una percentuale di voti che se n’è andata a destra, soprattutto al Nord), che in altri tempi hanno riposto grande fiducia, tradita, nel centrosinistra.
Lasciamo alla riflessione di tutti stralci di un appello apparso il 26 marzo sul sito del Cidi (Centro iniziativa democratica degli insegnanti): «Ci sono dei momenti in cui bisogna avere il coraggio e la forza di dire No. No alla scuola pubblica che va al massacro. No alla scuola delle quote per gli alunni non italiani. No ad assolvere l’obbligo nella formazione professionale. No a lavorare a 15 anni nell’apprendistato. No a risparmiare sulle supplenze. No a dividere gli alunni nelle varie classi quando manca l’insegnante. No a classi troppo numerose. No alla dissipazione della scuola primaria. No alle iscrizioni al buio. No a Indicazioni nazionali per i licei che impoveriscono la mente e il cuore. No a intimidire i dirigenti. No a impaurire i docenti. No alla scuola dei ricchi e a quella dei poveri. No al mercato dei master di fantomatiche università on line. No alla valutazione che sanziona e punisce. No e ancora No.
Gli insegnanti del Cidi sono sempre stati in prima fila in tutti i momenti più significativi della vita della scuola con l’ostinata convinzione che l’istruzione sia strumento di libertà e di emancipazione e la scuola un bene pubblico di cui aver rispetto e cura». Rispetto e cura, è già un programma politico.

l’Unità 2.4.10
Due Israele
60mila coloni prenderebbero le armi contro gli sgomberi
Il 54% non riconosce l’autorità del governo e strappa terra e acqua nei Territori Su Gaza volantini annunciano una rappresaglia
di Umberto De Giovannangeli

uNon riconoscono l'autorità del Governo. Sono pronti a tutto, anche ad usare le armi, per difendere il loro «diritto» a insediarsi dovunque a Eretz Israel, la Sacra Terra d'Israele. Sono i coloni oltranzisti dello Stato (ombra) di Giudea e Samaria, nomi biblici della Cisgiordania. Spaccato inquietante quello che emerge da un sondaggio condotto dall'Università Ebraica di Gerusalemme, che dà conto di una radicalizzazione che mette a rischio non solo la tenue speranza di una ripresa del processo di pace israelo-palestinese, ma insidia lo stesso tessuto democratico d'Israele. Il 21% dei coloni che vivono negli insediamenti ebraici ritiene che ogni mezzo sia lecito, incluse le armi, per impedire lo sgombero delle colonie in Cisgiordania, rileva la ricerca. In uno studio simile cinque anni fa solo il 15% diede la medesima risposta. Dal sondaggio emerge che il 54% dei coloni non riconosce l'autorità del governo di ordinare lo sgombero degli insediamenti; il 63% pensa che si tratti di una decisione che richieda un referendum e non solo una decisione della Knesset. Ma anche in questo caso, il 49% non accetterebbe lo sgombero nemmeno se autorizzato da un referendum approvato dalla maggioranza ebraica di Israele. Da notare che fra la popolazione israeliana nel suo insieme il 72% riconosce invece l'autorità del governo di imporre l'abbandono delle colonie e il 60% è pure favorevole (un punto in più rispetto al 2005); tra i coloni solo il 23% sarebbe d'accordo (cinque anni fa erano il 30%).
Oltre 60mila coloni (sui più di 300mila che vivono in Cisgiordania) si dicono dunque pronti a tutto, anche a impugnare le armi, per difendere i loro insediamenti. Un rapporto di Shin Bet, il servizio di sicurezza interno israeliano, sottolinea che una minoranza radicale potrebbe ricorrere alla violenza: la «minaccia numero 1» è un blitz nella Spianata delle Moschee di Gerusalemme, terzo luogo sacro dell' Islam.
Un vero e proprio esercito. Agguerrito, motivato ideologicamente, sostenuto finanziariamente dalla parte più conservatrice della comunità ebraica americana, convinto di essere dalla parte giusta: quella della Torah. Un esercito che è anche una potente lobby elettorale, sostenendo partiti o candidati che con più convinzione supportino i “desiderata”, degli oltranzisti. Il sondaggio dell'Università Ebraica ha ancor più valenza politica se integrato con un altro studio, quello di Rubi Nathanson, del «Centro Macro di politica economica», sugli insediamenti israeliani. Nelle colonie, secondo Nathanson, sono stati costruiti 55.708 alloggi. I 300 mila coloni utilizzano 868 edifici pubblici, 717 stabilimenti industriali, 555 scuole, 321 centri sportivi, 271 sinagoghe e 187 centri commerciali. Il valore di infrastrutture e costruzioni nelle colonie israeliane in Cisgiordania, stima il rapporto, vale 17,5 miliardi di dollari.
Gli oltranzisti hanno già sperimentato varie tecniche di attacco. Tra queste, c'è «il prezzo da pagare»: se il governo invia forze di polizia o militari a smantellare un avamposto in costruzione, i coloni fanno in modo che siano i palestinesi a pagarne il prezzo. Il «prezzo da pagare». Sempre più alto per la popolazione palestinese. Il prezzo dell'oppressione.
Confisca delle terre, ma non solo. «Israele consente ai palestinesi di accedere solamente a una piccola parte delle risorse idriche, che si trovano per la maggior parte nella Cisgiordania occupata, dove invece gli insediamenti illegali dei coloni ricevono acqua in modo illimitato» denuncia Amnesty International.
Nella maggior parte degli insediamenti (circa il 75%) le opere edilizie sono realizzate senza licenze, o in contrasto con le licenze concesse. In più di 30 insediamenti sono stati costruiti edifici e infrastrutture (strade, scuole, sinagoghe, seminari rabbinici e perfino commissariati) su terreni che appartenevano a palestinesi residenti in Cisgiordania. Da uno Stato ombra a una Striscia
assediata. L'aviazione israeliana ha lanciato ieri migliaia di volantini in aree della Striscia di Gaza lungo il confine con Israele, per avvertire la popolazione palestinese che è vicina una dura rappresaglia per l'uccisione di due soldati israeliani, lo scorso venerdì. A riferirlo sono fonti palestinesi a Gaza.
Sarebbero stati lanciati due tipi di volantini. In uno, in cui c’è la foto di un bambino con in mano una rosa, è scritto: «aspettate la risposta domani», oggi per chi legge; in un altro si avverte che ci sarà una dura risposta, si invita la popolazione a tenersi lontana da “terroristi” e a chiamare un numero di telefono per dare in forma anonima informazioni utili alle forze armate dello Stato ebraico.

giovedì 1 aprile 2010

l’Unità 1.4.10
Bonino: «Bersani è stato leale con me. Altri, nel Pd, no»
Conferenza post-voto della candidata dei Radicali nel Lazio Che attacca: «Rosy Bindi e i cattolici non hanno apprezzato la mia scelta. E credo non si siano impegnati più di tanto»

Mi auguro per il bene di tutti che non finisca qua, per me è stata una esperienza appassionante... Certo immagino che nel Pd quelli che apertamente hanno detto che non erano d’accordo con la mia candidatura, da Rosi Bindi a Castagnetti, non si siano impegnati più di tanto per coerenza», si sfoga Emma Bonino, appena terminata la conferenza stampa. Il bilancio della sua corsa su Renata Polverini nel Lazio ha voluto farlo nella sede del partito radicale, accanto a Pannella. Un ritorno nel fortino, dopo una campagna elettorale in mare aperto con il Pd. Certo c’è stato chi ha remato contro, risponde. Non D’Alema, assicura. «L’impegno di Bersani e della sua area è stato deciso». Ma tutto questo è un «corollario», assicura lei. E anche l’analisi del voto la lascia ad altri. «A chi pensa di conoscere il paese e uno tsunami come l’astensione che si è abbattuta su queste elezioni non l’ha nemmeno visto arrivare...», annota con amarezza. Altro che analisi: «Come se queste fossero state elezioni normali o nel rispetto delle regole». Ecco: «Almeno spero che la percezione che legalità e diritto non esistano più (e non solo sul processo elettorale) continui a diffondersi». Qualcuno dice che doveva andare di più in provincia. «Di visite ai mercati non me ne sono risparmiata una, ma non è lì che ci si gioca la partita quando poi arriva Berlusconi e occupa tutti i tg». Ecco quello è il «bubbone». Berlusconi che «come Paolini», dice Pannella, nell’ultima settimana di campagna elettorale spunta dappertutto. E poi l’uno-due tra il premier e Bagnasco sul voto cattolico. «Quando hai quella Santabarbara senza nemmeno il diritto di replica puoi anche andare ad abitare a Roccacannuccia, non riesci a cambiare nulla... Non so più in che lingua dirlo, lo avevamo visto in Sardegna, se non si capisce questo, Berlusconi nel 2013 arriverà a far eleggere pure un cavallo», ripete Emma. Rai, quello resta il terreno di confronto-scontro con il Pd. «Se l’occupazione dei tg da parte di Berlusconi era così grave come tutti andavamo dicendo, dovevamo occupare la Rai, deputati e senatori del Pd, non solo noi radicali, finché non arriveremo a questa non violenza organizzata per raddrizzare il servizio pubblico televisivo siamo votati a prossime disgrazie...». Quella è la sua futura battaglia. E il Lazio? «Voglio fare una opposizione molto dura alla Polverini e a questo governo, rimane da decidere dove e come, di solito ho una certa creatività».

Repubblica 1.4.10
La candidata sconfitta nel Lazio: il mio avversario è stato l´asse premier-Cei, non la Polverini
"Non tutti leali come Pier Luigi" la Bonino accusa anche Bagnasco
"Nel Pd alcuni non erano entusiasti di me. E queste persone non si sono spese molto"
di Alessandra Longo

ROMA - «Contro di me non avevo Renata Polverini ma tutt´altro: avevo l´alleanza Bagnasco-Berlusconi a reti unificate. Per carità, un´alleanza del tutto legittima se uno avesse potuto rispondere, se ci fosse stata la possibilità di un contradditorio». Smontata la sede del comitato elettorale, metabolizzata con un giorno di silenzio la sconfitta, Emma Bonino affronta a fianco di Marco Pannella una conferenza stampa per ragionare su che cosa non ha funzionato. E´ pallida, con ancora i segni della fatica, anche ben intenzionata a distinguere i cattivi dai buoni: «Parte del Pd non mi ha sostenuta. Bersani sì». Marco è abbronzato, tonico, quasi allegro, e la fa sobbalzare quando batte i pugni sul tavolo nella sede dei radicali: «Per far fuori Emma e tirare la volata alla candidata di Ballarò – tuona Pannella - si sono mosse le istituzioni, si sono mossi il presidente del Consiglio e il Vaticano».
Frange di Pd anemiche nella lotta e, soprattutto, un´informazione «a senso unico», senza facoltà di replica, con il premier omnipresente sul video, caso unico in Europa («Come se negli altri Paesi, per le Regionali, intervenissero Gordon Brown, Sarkozy o il Papa...»). Altro che le analisi «tradizionali» sui flussi dei voti, sul rapporto metropoli-territorio. La Bonino sventola i dati, elaborati dal partito, che certificano lo strapotere mediatico del Pdl e del suo Capo: «Con questa Santabarbara tivù puoi anche andare a Rocca Cannuccia e abitarci per tutta la campagna elettorale ma non serve a nulla». Eccoli i numeri. Dopo il primo marzo, Emma la radicale non ha avuto neanche un secondo di presenza sul Tg 1, 34 secondi sul Tg 2 e 40 secondi sul Tg3. Nel periodo 21-26 marzo, durante il rush finale di Berlusconi («o noi o loro»), integrato, «con sapiente tempistica», dall´intervento del presidente della Cei, il centrodestra ha potuto contare sul 62 per cento degli interventi in voce nelle edizioni principali del Tg1 (contro il 17 per cento al Pd). A seguire un 58 per cento al Pdl sul Tg2 (21,8 per il Pd); e un 52 per cento di Pdl sul Tg3 (contro il 24,5 per cento al Pd). Percentuali bulgare di centrodestra nei Tg Mediaset, tanto per dirne una l´86 per cento di interventi in voce filo-governativi a Studio Aperto (il 13,8 concesso al Pd ). Va da sé, la lista Bonino-Pannella era presente sul Tg1 con l´1,7 per cento.
Un intero processo elettorale e preelettorale «totalmente illegale», dall´autentica delle firme, non garantita dai Comuni, «al servizio pubblico Rai che ha violato», denuncia fredda Emma Bonino, «quel regolamento da noi proposto che prevedeva i faccia a faccia in prima serata». In più anche un pezzo di Pd che «non si è entusiasticamente adoperato» per la vittoria finale: «Che ci fossero parti del partito che non erano soddisfatte della mia candidatura era noto e non lo hanno mai nascosto. Evidentemente queste persone non si sono spese molto». Al contrario, per «Pierluigi Bersani e il suo gruppo» (lo chiama così, ndr), calde parole di riconoscenza: «Il loro è stato un impegno deciso, determinato, generoso». Anche una notazione antropologica: «Dopo aver visto le altre organizzazioni politiche ho l´impressione che i più normali siamo noi».
Un rapporto da salvare, quello con il Pd (Marco Pannella "minaccia" addirittura di prendersi la tessera «se si darà forza e ufficialità alla linea del segretario»). A patto che l´impegno prioritario, «il tema di confronto principale», sia sui tre pilastri che tengono insieme un Paese: «democrazia, legalità, stato di diritto». La Bonino è preoccupata che ci si dimentichi di questi temi, «senza i quali ogni riforma, anche la migliore, rischia di fallire»: «Erano al centro della mia campagna elettorale ma sono già spariti dall´agenda politica. Lo considero un fatto clamoroso». Pentita di qualcosa? Si accende una sigaretta e scuote la testa: «Ho fatto tutto quello che potevo, dai mercati ai quartieri, ai giri nella provincia laziale. No, non mi sono risparmiata».

Repubblica Roma 1.4.10
"Il voto lo dimostra, Roma vuole cambiare"
La Bonino dopo la sconfitta alle Regionali: mi occuperò comunque del Lazio
Il suo seggio sarà ceduto al primo degli esclusi della lista, Rocco Berardo
di Chiara Righetti

Indossa ancora il fucsia, ma non più la sciarpa gialla che l´ha accompagnata nella battaglia elettorale. Nella prima uscita ufficiale dopo la sconfitta, Emma Bonino veste di nuovo i panni dei Radicali e al fianco non ha esponenti Pd ma Marco Pannella. Ai giornalisti offre una paginetta di numeri. E esprime il rammarico «che tutti i temi della nostra campagna, democrazia, legalità, stato di diritto, siano già spariti perfino dalle analisi elettorali». Le tabelle mostrano la presenza dei partiti nei principali telegiornali e talk show: una prevalenza schiacciante del premier e del suo partito soprattutto nell´ultimo mese di campagna al veleno.
Così davanti a chi le chiede ragione della sconfitta la Bonino si limita a sventolare quel foglio che parla chiaro. Il motivo è solo questo? «Prioritariamente questo. Basta vedere i dati: a un certo punto non avevo più di fronte la Polverini, ma tutt´altro. Un´alleanza Bagnasco-Berlusconi: chi altro doveva scendere in campo? Alleanza anche legittima se uno avesse potuto rispondere. Invece è stata a senso unico, senza contraddittorio». Poi certo «seguo il dibattito interno al Pd, conosco la situazione di Latina, Fondi, che penso stia avanzando lungo il litorale. Ma «per quanto mi riguarda, il problema non è che non ho visitato i mercati, le province - che comunque ho visitato. Quando hai di fronte una tale Santabarbara, a Rocca Cannuccia ci puoi anche andare ad abitare, ma non cambia niente».
Quanto al fatto che interi settori del Pd non fossero entusiasti di lei «non è una novità, e mi pare non l´abbiano mai nascosto. Certo chi non era d´accordo con la mia candidatura immagino non si sia speso molto. L´impegno del gruppo Bersani è stato deciso e generoso. E col mio comitato elettorale ho lavorato in modo intenso, scoprendo anche la forte militanza di quei compagni, una straordinaria famiglia politica». Insomma, il teorema dei dissapori coi democratici lo smentisce vigorosamente: «Non ho mai detto che mi avevano lasciata sola. Però all´estero, se si vota per i Laender, mica si mobilitano Sarkozy, Gordon Brown... Di che parliamo? Poi certo nel Pd possono strapparsi le vesti sui temi locali, ma è stato questo il problema. Per parte mia credo di aver fatto una campagna elettorale intensa e vigorosa, ma è solo un corollario».
E il voto di Roma, che l´aveva scelta, in 17 municipi su 19? «La mobilitazione delle gerarchie ecclesiastiche qui ha meno presa, credo ne abbia di più nei paesini di provincia, dove il controllo è più forte. Quello che io definisco l´evergreen del voto cattolico non credo conti granché, ma è vero che c´è stata una mobilitazione mirata e a tempo». Il risultato nella capitale è «comunque lusinghiero, un patrimonio da non disperdere, segno di una capitale che col suo voto mostra di cercare un´aria e una politica diverse».
Adesso una sola certezza: «Mi occuperò comunque del Lazio». Come? «Le nostre capacità inventive sono infinite». Sarà lei dunque a guidare l´opposizione dai banchi della Pisana? Il seggio conquistato con oltre 10mila preferenze nelle file della lista che porta il suo nome sarà ceduto, subito dopo la proclamazione, al primo degli esclusi, Rocco Berardo. E l´altro, quello che le spetta di diritto come candidata governatrice sconfitta? Emma non risponde, ma non intende occuparlo, trapela dal suo entourage. Perché i ruoli di rilievo nazionale che già ricopre offrono strumenti migliori anche per fare opposizione in Regione, per parlare dei temi quotidiani di un milione e 300mila cittadini che hanno votato per lei.

Repubblica Roma 1.4.10
L’astrofisica eletta con 7205 voti. "Mi auguro che da ex sindacalista si ricordi dei problemi della gente"
Hack, un boom di consensi a sinistra "Polverini ignori la destra arrogante"
di Cecilia Gentile

Emergenza abitativa, case a prezzi ragionevoli, scuola, sanità e salute, ricerca scientifica, sempre trascurata
Sta affogando, è inadeguata, ogni volta si divide quindi perde Dovrebbe essere unita, dall´Idv a Rifondazione

Un boom di consensi. L´astrofisica Margherita Hack, capolista nel Lazio della Federazione della sinistra (Rifondazione, Comunisti Italiani e Sinistra Europea) è stata eletta con 7205 voti.
Se l´aspettava, professoressa?
«Un po´ sì, perché quando tengo le conferenze sento che la gente mi vuole bene».
Il suo è stato un grande successo personale, ma la sinistra ha perso.
«La sinistra sta affogando. È uno schieramento diviso al suo interno, inadeguato. Si divide sempre, quindi perde. Invece ci dovrebbe essere unità, dall´Italia dei Valori fino a Rifondazione».
L´hanno convinta i programmi del centrosinistra alle regionali del Lazio?
«Di programmi se ne è parlato abbastanza poco. Tutti dicono le stesse cose, poi i programmi bisogna realizzarli».
Quali sono, a suo parere, le priorità da affrontare?
«L´emergenza abitativa, la casa a prezzi ragionevoli, la sanità e la salute, la scuola, la ricerca, che è totalmente dimenticata».
Cosa ne pensa di Renata Polverini, neo presidente della Regione Lazio?
«Spero che abbia voglia di fare le cose necessarie per il Lazio e che non sia succube di una destra arrogante e ignorante. Mi auguro che da ex sindacalista si ricordi dei problemi della gente».
Già altre volte è stata eletta ed ha rinunciato al seggio. Stavolta la vedremo alla Pisana?
«No, non mi vedrete. La politica è una professione, non ci si improvvisa, io faccio un altro lavoro».
Perché ha accettato di candidarsi allora?
«Per dare un segnale di fiducia nella sinistra. Perché sono una cittadina e ritengo doveroso spendere la mia popolarità per tutelare la costituzione, la libertà, la giustizia».
Ritiene che siano a rischio?
«Sì, con questo centrodestra la libertà è a rischio. Non perché siamo sotto una dittatura feroce, ma perché ci è tolta la libertà di decidere della nostra vita con una legge sul testamento biologico, ci è tolta la libertà di informazione (Margherita Hack ha aderito allo sciopero del canone tivvù per protestare contro lo stop ai talk show deciso dalla Rai un mese prima delle elezioni), la libertà sulle coppie di fatto. E la giustizia non è più uguale per tutti, per qualcuno è più uguale che per altri».
Però gli elettori hanno votato il centrodestra.
«Io rimango stupefatta nel constatare che la gente non si indigna per le leggi ad personam, per l´evasione fiscale che viene premiata, per gli attacchi ai giudici, per il razzismo crescente verso gli immigrati di cui invece abbiamo bisogno».

Repubblica Roma 1.4.10
I malumori dei Democratici "Quei dirigenti si facciano da parte"
Foschi: "Troppo potere ai capibastone, poco ai circoli e militanti" Di Stefano: "Ora da Mazzoli aspettiamo un ricambio"

La nuova parola d´ordine dei delusi del Pd la dice chiara il consigliere capitolino Gianfranco Zambelli: «In politica è come nel calcio, "squadra che perde è da cambiare"». Se non arriva a parlare di resa dei conti, Zambelli non usa mezze misure: «Dire che abbiamo contenuto la sconfitta è come prendere un´aspirina dopo esser stati travolti da un treno in corsa». Sul banco degli imputati stavolta non c´è tanto il segretario Mazzoli, mai troppo amato fin dagli esordi, accusato di immobilismo e scarsa capacità di tenere insieme le tante anime del partito. Ma un´intera nomenklatura. Dirigenti, consiglieri, assessori, alcuni sconfitti, altri riconfermati per un soffio. Perché in fondo, anche tra chi sperava in una storia diversa, nessuno se la prende con Emma Bonino. O con Marco Miccoli, che si è assunto il compito di traghettare il partito romano fino al dopo-elezioni. Ma la débacle in Regione? Il ragionamento è semplice: c´erano 5 anni di governo alle spalle, assessori con soldi da spendere e crediti da vantare: strade, ospedali, leggi sul lavoro. Perché non è bastato? Caso emblematico Frosinone: come si può perdere 58mila voti con un sindaco (Marini), un eurodeputato (De Angelis), un assessore (Scalia)? Lo stesso a Latina con parlamentari pesanti da Sesa Amici a Ranucci. Mentre a Viterbo Angelo Cappelli, il candidato di Fioroni, è arrivato terzo su tre.
Nello sconcerto generale la parola va agli eletti, forti di una credibilità conquistata sul campo. Sintetizza Enzo Foschi: «Siamo stati troppo simili alla destra: e tra la copia e l´originale, la gente sceglie l´originale. Si è dato troppo potere ai capibastone, troppo poco a circoli e militanti». Il consigliere, classe ‘66, riconfermato con oltre 14mila preferenze, spiega che l´errore è stato «delegare, specie in provincia, col risultato di boom personali e sconfitte per le liste». Grave per un partito che vuol essere «di territorio», mentre «spesso siamo parsi più quelli dei favori che dei diritti, generando sfiducia nei giovani». L´astensionismo stavolta ha colpito anche qui; lo dice chiaro il quinto degli eletti a Roma, Marco Di Stefano: «Ora da Mazzoli ci aspettiamo un ricambio: più che il centrodestra non hanno votato i militanti, nauseati da questa classe dirigente. E se non si apre un dibattito, sarà la stessa che ci governerà domani. Ognuno torni a fare il suo mestiere: chi fa il deputato, il deputato; chi il senatore, lo stesso». La sensazione è quella di un distacco forte tra base e dirigenti. Ancora Di Stefano: «Hanno scelto il candidato e l´ho appreso dai giornali, hanno scelto il coordinatore e l´ho appreso dai giornali, hanno scelto il responsabile del programma e l´ho appreso dai giornali. Io sono un militante, ho preso 16mila voti, con Panecaldo 24mila: molti di più di chi ha centinaia di nominati fra Comuni, municipi, aziende. Bisogna passare la mano, dare responsabilità a chi non ne ha avute finora».
(c.r. e gio.vi.)

Repubblica 1.4.10
La società incivile
di Guido Crainz

Sottovalutando o minimizzando, in queste prime ore, il significato del voto il Partito democratico non sembra comprendere davvero quel che è successo.
Eppure, non c´è molto da discutere. Al solidissimo blocco lombardo-veneto del centrodestra si era già unito due anni fa il Friuli-Venezia Giulia e si aggiunge ora il Piemonte: se si considera che entrambe le regioni erano state ben governate, in sostanza, dal centrosinistra, l´inquietudine aumenta.
Restano le regioni rosse, ma in Emilia il centrosinistra perde quasi l´11% rispetto al 2005 e la Lega, che aveva allora poco più del 4%, giunge a sfiorare il 14%. Per non parlare del 6% conquistato ancora in Emilia dal movimento di Beppe Grillo o, per altri versi, del generale rafforzarsi di Antonio Di Pietro.
C´è poi il Mezzogiorno. Qualcuno dovrebbe spiegare come si è passati dalla nuova stagione annunciata nel 1993 dall´elezione di Bassolino a sindaco di Napoli al disastro di ieri e di oggi, mentre appare più facilmente comprensibile il crollo calabrese: un "suicidio annunciato" cui il gruppo dirigente del Partito democratico ha assistito con una inerzia sorprendente. Inerzia compensata dal grande impegno profuso per perdere anche in Puglia, contrastando con tutte le forze la candidatura del governatore uscente.
Sarebbe un errore, però, attribuire il panorama di oggi solo alla inadeguatezza dei dirigenti del centrosinistra. Occorre invece riflettere sulle cause più lontane di questo esito, guardando sia ai processi che hanno attraversato la società sia alle responsabilità della politica e dello stesso mondo intellettuale. Lo richiede, del resto, l´ingigantirsi stesso dell´astensionismo. Dal 1948 in poi la percentuale dei votanti oscillò per più di trent´anni fra il 92% e il 94%, scendendo sotto il 90% solo nelle regionali del 1980. Fu l´annuncio di un processo che negli anni successivi mescolò l´astensione e il voto di protesta, catalizzato allora dal tumultuoso emergere delle Leghe. Domenica scorsa un italiano su tre non è andato a votare, e rispetto al 2005 il calo è dell´8%.
Il precipitare della crisi degli anni ottanta portò al crollo della "repubblica dei partiti": quasi vent´anni dopo dobbiamo fare i conti con una crisi forse più profonda nel rapporto fra cittadini e istituzioni. Dobbiamo fare i conti, anche, con la sostanziale assenza di una credibile alternativa politica e con il dichiarato progetto del premier di stravolgere il quadro costituzionale e l´equilibrio fra i poteri dello stato. Progetto che esce dal voto rafforzato, oltre che appesantito dalle ipoteche della Lega. Dobbiamo fare i conti, infine, con il consolidarsi di settori sempre più corposi di "società incivile", la cui incubazione prese corpo negli anni ottanta e che poterono confluire nella "idea di Italia" di cui Berlusconi è stato alfiere. Sembrarono però aperte molte vie, nella crisi di Tangentopoli, sino all´"abbaglio" favorito dalle elezioni amministrative del 1993: la voragine che si era aperta allora al centro permise infatti una larga vittoria della sinistra. Il quadro fu radicalmente modificato da due fattori, non da uno solo: dalla scesa in campo di Berlusconi, naturalmente, ma anche dalla incapacità della sinistra di offrire al paese prospettive ed esempi convincenti di buona politica. Prospettiva ed esempi assolutamente necessari in un Paese in cui la critica ai partiti era dilagata, alimentata sia da buone che da cattive ragioni.
Tutto questo avveniva quasi vent´anni fa, e in quest´arco di tempo sono fortemente cresciuti processi di decadimento sia della società civile che della politica, segnati dall´ulteriore deperire dell´etica pubblica e della cultura delle regole. Più ancora, dal nostro orizzonte sembra scomparso il futuro. Sembra scomparsa cioè la capacità di mettere al centro i grandi temi, le grandi sfide.
In un paese sempre più ripiegato su se stesso sono mancati in realtà alla prova quasi tutti gli attori, e il mondo intellettuale è largamente fra essi. In altri momenti della storia della repubblica riviste, gruppi e voci differenti hanno aperto o rafforzato la riflessione sui nodi di fondo. Hanno messo talora in discussione vulgate consolidate, rimescolato schieramenti, aperto frontiere. E´ impietoso il confronto fra la ricchezza del dibattito culturale e politico che precedette il primo governo di centrosinistra, all´alba degli anni sessanta, e la povertà del panorama in cui trent´anni dopo ha preso corpo – o meglio, avrebbe dovuto prender corpo – una rinnovata ipotesi riformatrice: una ipotesi capace di avviare una nuova ripresa dell´Italia e di sgomberare il campo da corpose macerie. Così non fu, e furono lasciate vaste praterie al discutibile "nuovo" variamente rappresentato da Forza Italia e dalla Lega.
Tutto questo rende oggi molto più difficile, e al tempo stesso indifferibile, una radicale inversione di tendenza del centrosinistra e di quelle forze intellettuali e sociali che a quell´area guardano. Esaurite da tempo – o in via di esaurimento – le rendite di posizione, il centrosinistra non può pensare di vincere, e neppure di sopravvivere, senza mettere in campo un "valore aggiunto" capace di parlare alla accresciuta area di cittadini segnati dalla sfiducia, e anche a quelli spesso al confine fra rassegnazione e adeguamento. Capace di scuotere coscienze e intelligenze, rimettendo realmente nell´agenda politica il profilo del nostro domani. Al tempo stesso, se non vuole solo vegliare sul proprio declino, il Partito democratico deve dare segnali robusti e chiarissimi di rinnovamento. Non sembra tempo di ricambi al vertice: un vertice insediato da pochi mesi e privo di alternative credibili, almeno nell´immediato. È però tempo di mutare radicalmente – a tutti i livelli e in tutte le sedi – il volto, la fisionomia, il modo di essere del partito. Anche da questo dipende la sua credibilità residua.
Se un "valore aggiunto" è richiesto al ceto politico del centrosinistra, altrettanto è richiesto alla società civile, o a quel che resta di essa. Negli anni di Tangentopoli Antonio Gambino osservava, su questo giornale: il quadro è fosco non perché da noi i disonesti siano più numerosi che in altre società occidentali ma perché da noi «manca una "cultura dell´onestà". Manca cioè un numero di persone attivamente oneste, capaci di fornire quel "punto di appoggio" senza il quale appare irrealizzabile ogni tentativo di sollevare il paese dal pantano in cui si è infilato». Anche da qui occorre ripartire: nelle professioni, nella società, nelle istituzioni. Sarebbe stato necessario allora ma è ancor più necessario oggi, in un momento importante della "costruzione dei nuovi italiani". Ci si interroga spesso sui mutamenti che i flussi dell´immigrazione possono indurre nel nostro modo di essere: ci si dovrebbe interrogare al tempo stesso su quanto la società italiana – con il suo calante senso delle regole e delle istituzioni – influirà sul modellarsi di questi flussi. Su quanto rafforzerà al loro interno le tendenze negative o quelle positive. La sfida che abbiamo di fronte si gioca anche su questo terreno.

l’Unità 1.4.10
L’avvocato delle vittime in Kentucky presenta una mozione alla Corte distrettuale
I legali della Santa Sede studiano le contromosse per disinnescare la mina delle cause Usa
«Il Papa deponga sugli abusi» Sul Vaticano l’incubo processi
Portare in aula il Papa «come testimone»: è la strategia dei legali delle vittime dei preti pedofili negli Usa. La risposta vaticana. La polemica con il New York Times. Solidarietà al pontefice dei vescovi americani.
di Roberto Monteforte

Il cardinale Levada: «Il New York Times riconsideri il suo attacco contro il Pontefice»
Caso Florida. Nuove accuse su prete cubano: Ratzinger insabbiò le denunce

Puntano in alto gli avvocati che negli Usa difendono chi, minore, ha subito abusi da parte di preti pedofili. Si vuole coinvolgere il Vaticano e chiamare Papa Benedetto XVI a testimoniare sotto giuramento davanti alla corte del Kentucky. È la linea dell’avvocato William McMurry, legale di tre delle vittime che avrebbero subito molestie da parte di padre Lawrence Murphy,
il sacerdote «pedofilo» del Wisconsin. L’avvocato ha presentato una mozione in tal senso presso la Corte Distrettuale di Louisville, motivandola con il fatto che la Santa Sede avrebbe ordinato ai vescovi del Wisconsin di evitare il processo di Murphy. Il legale non avrebbe dubbi: il Vaticano «ha scoraggiato la persecuzione legale del clero e incoraggiato il segreto per proteggere la reputazione della Chiesa».
La class-action va avanti da anni. Ora l'avvocato McMurry, lancia il suo affondo e chiede formalmente alla corte di chiamare Papa Benedetto XVI a deporre proprio in virtù «della sua conoscenza unica dei casi di abuso sessuale da parte dei sacerdoti». Non in quanto Papa è, quindi, il capo della Chiesa», ma «perché un testimone di fatto». Stessa linea quella dell’avvocato Jessica Arbour, legale delle vittime di un altro sacerdote, don Ernesto Garcia Rubio, che prima a Cuba e poi a lungo parroco a Sweetwater, in Florida avrebbe molestato minori. L’accusa è la stessa: le gerarchie cattoliche erano a conoscenza dello scandalo e avrebbero deciso di «insabbiare tutto». Nel 1990 il dossier del prete pedofilo, per cui era stata chiesta la riduzione allo stato laicale, sarebbe stato inviato alla Congregazione per la dottrina della fede, di cui era a capo Ratzinger, ma «la documentazione andò perduta». «Ha protetto i pedofili è l’accusa a scapito dei fedeli e delle loro famiglie».
Chiamare direttamente in causa il Papa: questa sarebbe, quindi, la strategia. Lo conferma l'edizione online del Boston Globe, che dà anche conto delle contromosse vaticane. Tre sarebbero i punti fermi degli avvocati della Santa Sede: «Il pontefice, in quanto capo di Stato, gode dell'immunità diplomatica; i vescovi americani che supervisionarono preti colpevoli di abusi non erano impiegati della Santa Sede; il documento del 1962 il Crimen sollicitationis non è la “pistola fumante” che prova la copertura» vaticana sui casi di pedofilia. Le vittime hanno, quindi, il diritto di rivalersi direttamente con il Vaticano? Un punto, questo, dagli evidenti risvolti economici che preoccupa non poco Oltretevere. Nel 2005 l’Alta Corte ha già rigettato una domanda di coinvolgimento del Papa, dopo che la Casa Bianca è intervenuta «a tutela dei superiori interessi del Paese», visto che il Papa è «capo di Stato estero».
I VESCOVI USA CON IL PAPA
Fanno quadrato attorno al Papa i vescovi degli Stati Uniti, ne sottolineano l’impegno «diretto» a contrastare «il «peccato e il crimine» degli abusi sessuali compiuti da sacerdoti. Il New York Times, che aggiunge anche elementi nuovi, «riconsideri fatti e accuse» chiede l’attuale prefetto dell’ex sant’Uffizio, il cardinale statunitense Levada, mentre accusa il quotidiano di «inattendibilità e l'imprecisione» padre Thomas Brundage, vicario giudiziale dell'arcidiocesi di Milwauke dal 1995 al 2003 e dunque presidente del collegio giudicante che avviò il processo contro padre Murphy. Il quotidiano avrebbe fatto una ricostruzione «assolutamente imprecisa e sciatta della vicenda», fondandosi tra l'altro sulle «menzogne di monsignor Rembert Weakland fatta passare per testimone credibile, costretto a lasciare la guida dell'arcidiocesi di Milwaukee dopo il coinvolgimento in una storia omosessuale con un ex studente di teologia». Le responsabilità sarebbero tutte della diocesi e delle autorità civili, non del Vaticano. «Mai nessuno nella Chiesa ha fatto quanto Papa Ratzinger contro i casi di abusi».

l’Unità 1.4.10
Negli Stati Uniti a picco la popolarità di Ratzinger

Lo scandalo dei preti pedofili ha danneggiato la popolarità di Benedetto XVI negli Stati Uniti. Secondo un sondaggio Gallup solo il 40% degli intervistati apprezza l'operato del Papa contro il 35% che lo disapprova. Si tratta del livello più basso dopo il 50% raggiunto nel 2005 e il picco del 63 toccato nel 2008 durante la visita pastorale di Papa Ratzinger. Tra i cattolici l'indice di approvazione del Papa è più alto, 61%, ma è sempre il livello più basso dalla sua elezione al soglio di Pietro. Il rilevamento è stato svolto tra il 26 e il 28 marzo scorso. Dal sondaggio alla «provocazione» su carta stampata. «Un'inquisizione per il Papa?». La columnist del New York Times Maureen Dowd, nota per la sua penna al vetriolo, lancia un'altra provocazione dopo avere proposto alcuni giorni fa, in un altro articolo, «una suora come Papa». Segnali diversi che portano alla stessa conclusione: Papa Ratzinger perde quota negli Usa.

Repubblica 1.4.10
L´omelia di Schoenborn: "Riconosciamo le nostre colpe"
Vienna, messa per le vittime il cardinale chiede scusa
Nuovo scandalo in Germania: il vescovo di Augusta accusato di avere picchiato orfani
di Andrea Tarquini

BERLINO - «Noi riconosciamo le colpe della Chiesa. Siamo furiosi, quanto è accaduto non deve ripetersi». Con dure parole, l´arcivescovo di Vienna, cardinale Christoph Schoenborn, ha celebrato ieri sera nel duomo di Santo Stefano, nel cuore della capitale austriaca, la messa della colpa e del pentimento per i peccati, dedicata alle vittime degli abusi sessuali e delle violenze nelle istituzioni cattoliche. È stato un gesto coraggioso, un segnale nuovo. La messa, a cui hanno partecipato almeno tremila persone, è stata organizzata dall´arcidiocesi insieme a "Wir sind Kirche", il movimento dei cattolici critici di base. E alcune vittime di abusi hanno parlato dal pulpito, narrando i loro drammi.
Prima è toccato a una donna. Ha narrato che negli anni Settanta, in un convento, subì maltrattamenti, anche se non violenze sessuali. Poi ha parlato un uomo anziano, ha portato una testimonianza toccante. «Sono ancora perseguitato di notte dagli incubi su quanto ho subìto da ragazzo», ha detto. «Dio, proteggimi», ha continuato, «salvami da queste orrende paure e dagli incubi di cui io non ho colpa, salvami dai ricordi che di notte tornano come cani randagi a tormentarmi!». L´iniziativa della messa è stata presa dal cardinale Schoenborn, che nel vertice della Chiesa si sta profilando come una delle voci più decise e coraggiose nella denuncia degli abusi sessuali e delle violenze commessi in passato nelle istituzioni cattoliche.
«La Chiesa oggi è scossa», ha detto il cardinale Schoenborn. In quanto è accaduto, egli ha aggiunto, «ho visto troppa Chiesa e troppo poco Gesù Cristo». Ma «lo shock del momento può diventare una speranza, una chance per cambiamenti di fondo». Egli ha poi ripetuto l´appello alle vittime di abusi subìti in istituzioni religiose, anche lontano nel tempo, a uscire dal silenzio. E ha esortato ogni membro della Chiesa a reagire. E al tempo stesso, egli ha sottolineato, ogni religioso che si sia reso colpevole di simili crimini deve essere incoraggiato dalla Chiesa ad autodenunciarsi alla giustizia.
In Germania intanto è esploso un altro caso: il vescovo di Augusta, Walter Mixa, un capofila della corrente conservatrice nel cattolicesimo tedesco, è stato accusato da ex ospiti di un brefotrofio di averli ripetutamente e brutalmente percossi, negli anni Settanta.

Repubblica 1.4.10
Il papa e lo scandalo della pedofilia
di Joaquìn Navarro-Valls

Nelle ultime due settimane i media hanno riempito lo spazio pubblico con la struggente realtà dei casi criminali di pedofilia.
L´accusa si è alzata progressivamente a seguito di una serie di rivelazioni provenienti via via da diversi paesi europei e riguardanti casi di abusi sessuali perpetrati a danno di minori da parte di sacerdoti. A leggere le cronache sembra addirittura che si tratti di uno scoop gigantesco, e che adesso grazie a queste geniali rivelazioni stia emergendo un sottobosco marcio in seno alla Chiesa cattolica.
Certamente, in Austria, in Germania e in Irlanda, non meno però di quasi tutti i Paesi in cui vi è una consistente presenza di scuole e organizzazioni educative ecclesiastiche, vi sono stati fenomeni criminali gravi di violazione della dignità dell´infanzia. La cosa è nota. Non a caso, durante la Via crucis del 2005, l´allora cardinale Joseph Ratzinger non usava mezzi termini, quando rilevava con disappunto: «Quanta sporcizia c´è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!». Forse ce lo siamo dimenticato. Quindi, si può senza tema di smentita rilevare che il problema esiste nella Chiesa, è conosciuto dalla Chiesa, e che è stato affrontato e verrà ancor più affrontato con decisione dalla Chiesa stessa nel futuro.
Proviamo, però, a riflettere un momento sulla manifestazione della pedofilia in sé. Dalla mia esperienza di medico posso evidenziare alcuni dati importanti, utili per capire la gravità e la diffusione del problema.
Le statistiche più accreditate sono eloquenti. E´ certificato che 1 ragazza su 3 ha subito abusi sessuali, e che 1 ragazzo su 5 è stato oggetto di atti di violenza. Il fatto veramente inquietante, divulgato non soltanto nelle publicazioni scientifiche ma addiritura dalla Cnn, riporta che la percentuale di coloro che in un campione rappresentativo della popolazione hanno molestato sessualmente un bambino si muove dall´1 al 5%. Un numero, cioè, impressionante.
Gli atti di pedofilia sono effettuati dai genitori o da parenti stretti. Fratelli, sorelle, madri, babysitter o zii sono i più comuni abusatori di bambini. Secondo il dipartimento di Giustizia americano quasi tutti i pedofili accusati dalla polizia erano maschi, il 90 per cento. Secondo Diana Russell, il 90% degli abusi sessuali viene compiuto da persone che hanno una conoscenza diretta delle piccole vittime, e restano chiusi nell´omertà familiare.
Un aspetto notevole, purtroppo, è che nel 60% dei casi di violenza i colpiti hanno un´età inferiore a 12 anni, e che nella stragrande maggioranza dei casi ad abusare sono persone di sesso maschile e con un legame di sangue.
Queste statistiche mostrano, dunque, un quadro chiaro e piuttosto ampio di pratica della violenza sessuale sull´infanzia. Tenendo conto che questi dati si riferiscono unicamente a quanto è stato denunciato, è noto o comunque conosciuto, possiamo facilmente immaginare quale sia il grado drammatico della perversione che si nasconde dietro questa realtà, più diffusa ancora nei Paesi che per cultura non reputano nitidamente questa violenza un´oscenità aberrante.
Ora, puntare l´attenzione esclusivamente su coloro che evidentemente sono iscrivibili nel novero generale degli abusatori sessuali, essendo però dei sacerdoti, può essere veramente fuorviante. In questo caso, infatti, la percentuale scende fino a diventare un fenomeno statisticamente minimo.
Certamente, nulla potrà distogliere l´emozione e la vergogna che si prova davanti a queste rivelazioni recenti rilevate dalla Chiesa, anche quando si riferiscono a fatti compiuti decenni fa e magari coperti da gravissime forme di omertà. Possiamo essere certi, partendo dalla Lettera pastorale all´Irlanda della settimana scorsa, che Benedetto XVI prenderà tutti i provvedimenti che saranno necessari per espellere i colpevoli e giudicarli in base ai crimini reali commessi dalle persone coinvolte.
Perché non dovrebbe farlo? Quale utilità ne ricaverebbe?
Evitiamo, però, di cadere nel tranello dell´ipocrisia, specialmente nella forma inscenata recentemente dal New York Times nel riferire il caso del reverendo Murphy. Lì, l´autrice dell´articolo, non valuta né trae delle conclusioni né segnala con adeguato risalto, il fatto che la polizia, che aveva ricevuto denunce in merito, lo aveva rilasciato come innocente.
Quale Stato ha fatto un´indagine in profondità sul tremendo fenomeno prendendo, anche preventivamente, provvedimenti chiari ed espliciti contro gli abusi di pedofilia presenti tra i propri cittadini, nelle famiglie o in istituzioni scolastiche pubbliche? Quale altra confessione religiosa si è mossa per scovare, denunciare e assumere pubblicamente il problema, portandolo alla luce e perseguendolo esplicitamente?
Evitiamo, innanzi tutto, l´insincerità: ossia di concentrarci sul limitato numero di casi di pedofilia accertati nella Chiesa cattolica, non aprendo invece gli occhi davanti al dramma di un´infanzia violata e abusata molto spesso e dappertutto, ma senza scandalo.
Se vogliamo combattere i reati sessuali sui minori, almeno nelle nostre società democratiche, allora dobbiamo evitare di sporcarci la coscienza, guardando esclusivamente a dove il fenomeno si produce con gravità morale magari anche maggiore, ma in misura certamente minore.
Prima di poter giudicare chi fa qualcosa, si dovrebbe avere il fegato e l´onestà di riconoscere che non si sta facendo abbastanza. E cercare di fare qualcosa di analogo a quanto sta facendo il Papa. Altrimenti, è meglio smettere di parlare di pedofilia e cominciare a discutere della furibonda fobia scatenata contro la Chiesa cattolica. Quest´ultima azione, infatti, sembra essere fatta veramente ad arte e con meticoloso scrupolo d´indagine: purtroppo, però, in evidente malafede.

l’Unità 1.4.10
Scuola, governo conferma taglio di oltre 25mila insegnanti
8.700 unità nella primaria, 7.450 nella secondaria

Una riduzione complessiva di 25.600 unità di personale docente per l’anno scolastico 2010-2011. È confermato nella bozza di circolare sugli organici (che sarà oggetto di ulteriori approfondimenti) che i dirigenti del ministero dell’Istruzione hanno illustrato ieri ai sindacati. La riduzione che l’amministrazione intende realizzare, anche tenendo conto dell’andamento della previsione degli alunni, comporterà una contrazione di organico di circa 8.700 unità nella scuola primaria, di circa 3.700 nella scuola secondaria di primo grado e di circa 13.750 nella secondaria di secondo grado.
Per questo intervento l’amministrazione, oltre a tener conto dell’andamento degli alunni secondo quanto ha riferito la Uil scuola al termine dell’incontro agirà sull’innalzamento del rapporto alunni/classi, sul dimensionamento della rete scolastica e sul riordino dei cicli di studio. Nella scuola dell’infanzia è previsto il consolidamento dell’organico di fatto dell’anno scolastico in corso che prevede un incremento nel diritto di 560 posti. Per quanto riguarda il sostegno verrà recepita la sentenza della Corte Costituzionale, dello scorso 22 febbraio che abroga i limiti del tetto massimo. E sempre per il sostegno verrà confermato l’incremento triennale dell’organico di diritto che verrà determinato in 63.348 unità. Rispetto alla riduzione complessiva dell’organico l’amministrazione è orientata ad agire, in parte, anche nell’organico di fatto: su un totale di 25.600 posti 22.000 verrebbero ridotti in organico di diritto e 3.600 in quello di fatto. Critica la Uil scuola: «Si interviene con tagli lineari e anzichè operare per la riqualificazione della spesa si insiste con una gestione tutta burocratica. Occorre, invece, fotografare la situazione reale e, su quella base, determinare il bisogno effettivo di organico».

l’Unità 1.4.10
La pillola «magica»
Triplicato in Italia l’uso degli psicofarmaci. Siamo tutti depressi?
Il rapporto di Osservasalute. L’aumento dell’uso degli antidepressivi ha un collegamento con la crisi economica. L’insicurezza sul posto di lavoro produce danni alla salute fisica e psichica. È successo anche agli americani dopo il crollo della Lehman Brothers del 2008
di Cristiana Pulcinelli

Le stime dell’OMS
Nel 2020 la depressione sarà la seconda causa di disabilità dopo l’infarto del miocardio
In Italia il consumo di antidepressivi è più che triplicato in pochi anni. Per la precisione è aumentato del 310% dal 2000 al 2008. Il dato è ricavato dal numero delle prescrizioni fatte dai medici del sistema sanitario nazionale, si può leggere sul rapporto annuale Osservasalute. Il rapporto è stato presentato dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane, un organismo nato per iniziativa dell’istituto di igiene dell’università cattolica del Sacro Cuore di Roma, ma al quale partecipano numerose istituzioni nazionali e regionali.
Come interpretare questo fatto? Si può pensare che sia dovuto a un aumento dei casi di depressione? Magari causato dallo stato generale di crisi economica? Non possiamo dirlo con certezza, come spiega Roberta Siliquini, docente di igiene all’università di Torino che ha curato la parte del rapporto relativa alla salute
mentale: «Il dato può essere interpretato in modi diversi. Prima di tutto, c’è una maggiore attenzione a queste patologie da parte del medico di base e, quindi, un uso più ampio delle terapie. Poi c’è il fatto che gli antidepressivi recentemente vengono utilizzati anche per altri problemi, ad esempio per trattare i disturbi d’ansia o nelle terapie di supporto ai malati oncologici. Infine, si può pensare ad un aumento del disagio sociale».
Non è la prima volta, comunque, che si riscontra un legame tra una situazione difficile dal punto di vista socioeconomico e un aumento nel consumo degli psicofarmaci. Sembra che dopo la crisi che ha messo in ginocchio l’Argentina nel 2001, la vendita di farmaci antidepressivi sia aumentata notevolmente. Così come, secondo una ricerca pubblicata su Psychiatry, è lievitata la prescrizione di sonniferi, ansiolitici e antidepressivi negli Stati Uniti subito prima e subito dopo il mese di settembre del 2008. A quella data risale la bancarotta della banca Lehman Brothers, evento simbolo del crollo finanziario, ma la crisi mordeva gli Stati Uniti già nei mesi precedenti.
È vero che, come scrivono gli autori della ricerca sull’Argentina, non si può dire se questo aumento sia dovuto alla difficile situazione sociale che, a sua volta, ha causato un aumento del disagio psichico, o a una efficace campagna promozionale dei farmaci in questione, prescritti non solo per curare la depressione, ma anche per attutire il senso di insicurezza e di vulnerabilità dovuto alla crisi. Un po’ quello che successe al Valium negli anni Sessanta, consigliato «contro gli stress della vita quotidiana», o agli psicotici nel decennio precedente: nel 1953 l’antipsicotico torazina veniva pubblicizzato per trattare vicini molesti, vecchietti rompiscatole e «l’ossessione per i comunisti», raccontano Pietro Adamo e Stefano Benzoni nel libro Psychofarmers (Isbn Edizioni, 2005). Ed è vero che, come invece scrivono i ricercatori statunitensi nell’articolo apparso su Psychiatry, il consumo di antidepressivi è in crescita da quando sono stati scoperti come dimostra il caso del Prozac, il più famoso dei farmaci di questa categoria: messo in commercio alla fine del 1987, nel 1998 era il farmaco più venduto in America e il secondo in termini assoluti. Quindi, quello a cui si è assistito nel 2008 non sarebbe che un’accelerazione di questa crescita.
Tuttavia, vari studi nel mondo hanno trovato un legame tra crisi economica e problemi di salute mentale. In particolare, l’insicurezza del posto di lavoro produce danni alla salute, anche quella psichica, come dimostra una ricerca condotta su 16 paesi europei e pubblicata sulla rivista Social Studies of Science nel 2009. E una ricerca condotta in Inghilterra ha mostrato che l’insicurezza del posto di lavoro e il fatto di aver contratto debiti sono condizioni associate ad un aumento del rischio di ammalarsi di depressione. Che la depressione sia un problema in crescita in tutto il mondo, del resto, lo afferma la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità. «Secondo le stime dell’Oms racconta Antonella Gigantesco dell’Istituto Superiore di Sanità nel 2020 la depressione sarà la seconda causa di disabilità dopo l’infarto del miocardio. Un problema che riguarda seriamente anche l’Europa: su 900 milioni di abitanti della regione europea, circa 100 soffrono di disturbi d’ansia e di depressione, 21 milioni di disturbi correlati all’alcool, 4 milioni di schizofrenia, 4 milioni di disturbi bipolari e 4 milioni di disturbi da panico. Inoltre, dei 10 paesi con il tasso più alto di suicidio, 9 sono in Europa». E l’Italia? «In Italia mancano dati nazionali sull’incidenza e sull’andamento dei disturbi mentali gravi, quindi al momento non è possibile sapere se queste malattie sono in aumento o no. Il centro di epidemiologia dell’Iss ha avuto finanziamenti per un progetto di sorveglianza sulle malattie mentali che utilizza centri-sentinella. Abbiamo scelto di seguire 25 centri sparsi sul territorio italiano per vedere quanti nuovi casi di disturbi psicotici, depressione grave o anoressia mentale si presentano ogni anno. Il progetto è partito a marzo del 2009, speriamo di poter avere i primi risultati sull’andamento di queste patologie entro due anni».

l’Unità 1.4.10
E il rossetto diventa euforizzante
di Concita De Gregorio

Storia microscopica con coda di pensieri. Ho ricevuto tempo fa un comunicato della Deborah, azienda italiana di cosmetici: allegato un rossetto. È stato il giorno che le agenzie di stampa diffondevano gli ultimi dati sul consumo di ansiolitici e psicofarmaci in terrificante aumento: l’Oms dice che nel 2020, lo leggete accanto, la depressione sarà la seconda causa di disabilità dopo l’infarto al miocardio. Perfetto. Sul rossetto un lucidalabbra, per la precisione c’è scritto «Euphoric shine». Dice il foglietto: si tratta di «neurocosmesi», cosmetici «formulati con principi attivi che agiscono sul sistema nervoso cutaneo e favoriscono la produzione di dopamina, molecola della felicità». Favoloso. Scrisse per noi Loretta Napoleoni del «lipstick index», nei giorni del crollo Lehman. Un indicatore noto agli economisti. C’è una relazione diretta (inversa) tra crisi economica repentina e impennata dell’acquisto di rossetti. Se ne accorse per primo Lauder, quello della Estee Lauder. Quando all’improvviso non c’è più una lira l’unica cosa che si può comprare a un dollaro per tirarsi su è il rossetto. Si mette in faccia, si vede subito. Un trucco, letteralmente. Però efficace, una consolazione collettiva. L’idea del rossetto che rende euforici è un’idea tragica e geniale. Un’istantanea perfetta del tempo che viviamo. Avrà successo, vedrete. Basta crederci.

No al burqa nei luoghi pubblici In Belgio primo sì al divieto
l’Unità 1.4.10
«Legge sbagliata. Così si minano i diritti individuali»
La scrittrice egiziana: «Non è per via giudiziaria che si rendono più libere le donne musulmane. L’emancipata Europa manda un altro segnale distruttivo a chi punta allo scontro di civiltà»
di Umberto De Giovannangeli

Il velo integrale: «Non è solo frutto di imposizione di una cultura patriarcale»

Chi è
L’intellettuale femminista minacciata dagli integralisti
È la scrittrice femminista egiziana più conosciuta e premiata al mondo. Per il suo impegno a favore dei diritti delle donne, contro l’infibulazione nel mondo arabo e musulmano, ha conosciuto il carcere e l’odio degli integralisti.

Non è con i divieti o le imposizioni di legge che si modificano i costumi o si rendono più libere le donne musulmane. Non credo in una “via giudiziaria” all’emancipazione». A sostenerlo è Nawal El Saadawi l'autrice egiziana femminista più conosciuta e premiata. I suoi scritti sono tradotti in più di trenta lingue in tutto il mondo. Per le sue battaglie in difesa dei diritti delle donne e per la democrazia nel mondo arabo, la scrittrice egiziana compare su una lista di condannati a morte emanata da alcune organizzazioni integraliste.
Le donne musulmane non potranno portare nè burqa nè niqab camminando per le strade, nei parchi, in ospedali e scuole, sugli autobus e in tutti i luoghi pubblici. Così ha votato all’unanimità la Commissione affari interni del Parlamento belga. Cosa ne pensa?
«Vede, in Occidente, nella “libera” ed emancipata Europa, vige la convinzione che una donna musulmana che indossa il burqa, il niqab o lo chador, sia di per sé una donna violata, costretta da una società o comunità o famiglia maschilista, patriarcale, sessuofobica, a nascondere il proprio corpo o parte di esso.
Non nego che vi sia anche questo, ma eviterei di assolutizzare questo dato. Per tornare al Belgio, mi sembra che siamo di fronte ad un provvedimento forzato, che finisce per intaccare profondamente il principio di libertà individuale».
«È un segnale molto forte che inviamo agli islamici», ha detto il liberale francofono Denis Ducarme, «fiero» che il Belgio sia il primo Paese europeo a legiferare su una materia così sensibile.
«Francamente faccio fatico a capire di cosa il signor Ducarme sia fiero. E ancor più mi preoccupa il presunto “segnale forte” che si è inteso mandare “agli islamici”. Ma di quale Islam parla il signor Ducarme? Quello degli integralisti teocratici e sessuofobici, o l’Islam che punta decisamente a coniugare modernità e tradizione, che rivendica libertà ma non per questo ritiene che la libertà significhi, anche nel campo della liberazione femminile, assumere il modello occidentale? Il segnale è distruttivo e finirà per fornire altro materiale di propaganda a quanti, nel complesso mondo musulmano, teorizzano e praticano lo “scontro di civiltà”». Lei ha sperimentato personalmente l’odio dei fondamentalisti.
«Questi fanatici che dicono di agire per conto dell’Islam sono in realtà i primi nemici dell’Islam. Ero e resto fermamente convinta che la maggioranza dei musulmani non ritenga che sia impossibile coniugare la fede religiosa e la costruzione di una società sostanzialmente laica, plurale nelle sue espressioni politiche, culturali, di fede. La tolleranza e il rispetto delle diversità non sono affatto estranee alla millenaria cultura islamica. Non bisogna negare i diritti ma garantirli a tutti, a cominciare dalle donne, che per i fondamentalisti, in Afghanistan come in Egitto, in Bangladesh come in Arabia Saudita e in Iran, esistono solo in quanto “figlie di”, “madri di”, “mogli di”... E la cosa ancor più allarmante e che in molti dei Paesi che discriminano le donne e perseguitano chiunque si batta per i loro diritti, al potere vi sono regimi sostenuti dal civile e democratico Occidente. Quel civile e democratico Occidente che in Belgio decide di dare una lezione agli islamici...Ma il problema non riguarda solo il rapporto tra Occidente e mondo islamico. Riguarda un’Europa sempre più multietnica, multireligiosa. Un’Europa che deve integrare e non vietare. Evitando di considerare le comunità islamiche come incubatrici di fondamentalisti e potenziali jihadisti».

Il Fatto 1.4.10
Donne, paura antichissima

Breve storia letteraria della misoginia: da Esiodo che definisce Pandora (l’Eva dei Greci) “uno splendido malanno”, al Pavese teorico della “razza nemica”
di Giovanni Ghiselli

Nell’articolo di Massimo Fini sulla “razza nemica” si può riscontrare un antifemminismo antico e moderno il quale nasce dalla paura della donna, un metus feminae che è genitivo soggettivo (la donna ha paura) ma anche, e molto di più, oggettivo (noi maschi temiamo la donna). Tanto per cominciare “la razza nemica” echeggia un misogino suicida del Novecento, Cesare Pavese che nel Mestiere di vivere, scrisse: “Sono un popolo nemico, le donne, come il popolo tedesco”. All’inizio del secolo si suicidò, giovanissimo, Otto Weininger, un altro scrittore spaventato dal sesso femminile. Leggiamo alcuni pre-giudizi topici di Sesso e carattere: “l senso della donna è
dunque quello di essere non-senso. Essa rappresenta il nulla. E così si spiega anche quella profonda paura dell'uomo: la paura della donna, cioè la paura di fronte alla mancanza di senso: la paura dinanzi all'abisso allettante del nulla. La donna non è nulla, è un vaso cavo imbellettato e dipinto per un po' di tempo”. Un’eco di questo misogino austriaco si trova nel rimuginare dello Zeno di Svevo mentre osserva e ascolta il rivale Guido: “Faceva parte della sua teoria (o di quella del Weininger) che la donna non può essere geniale perché non sa ricordare”. Una così grande avversione, suggerita ai maschi dalla paura probabilmente generata da esperienze frustranti, risale alla civiltà greca, la quale fu tragica prima che classica. A partire da Esiodo. Il poeta beota nella Teogonia considera Pandora, la prima donna, l’Eva dei Greci, come uno splendido malanno, un inganno scosceso e senza rimedio inflitto agli uomini da Zeus per controbilanciare il beneficio prometeico del fuoco. Una considerazione malevola che ha fatto scuola: l’Adamo del Paradiso perduto del puritano John Milton si chiede perché il Signore ha creato “questo grazioso difetto di natura” e non ha riempito subito il mondo con uomini simili ad angeli senza il femminino, o non ha trovato un altro modo per generare l'umanità ( X, 888 e sgg.). Nella tragedia greca appaiono mogli e madri terribili, “bipedi leonesse”, come la Clitennestra dell’Agamennone di Eschilo o la Medea di Euripide, forse perché la donna ateniese costretta in casa e trascurata dal marito, incombeva sui figli, soprattutto sui maschi. I bambini ateniesi crescevano in un ambiente casalingo dominato dalle donne. Probabilmente anche quelli romani, almeno fino ai tempi rimpianti da Catone il Vecchio.
Nelle Storie di Tito Livio, il rigido tradizionalista prende la parola, da console, contro le feminae, quando queste, nel 195 a. C., scesero in piazza, chiedendo l’abrogazione di una legge che, dal 215, imponeva un limite al lusso delle matrone. Il futuro censore, l’austero fustigatore dei costumi che cominciavano a rilassarsi, dunque disse: “ I nostri antenati non vollero che le donne trattassero alcun affare, nemmeno privato, senza un tutore garante, e che stessero sotto il controllo dei padri, dei fratelli, dei mariti. Allentate il freno a una natura così intemperante, a una creatura riottosa, e sperate pure che sappiano darsi da sole un limite alla dissolutezza. Desiderano la libertà, anzi la licenza in tutti i campi. Appena cominceranno a esserci pari, saranno superiori”. Il disprezzo del maschio antico per le donne era legato anche al tacito sospetto dell'inferiorità maschile. Le usanze come quella che una moglie non doveva essere più attempata del marito, né di posizione sociale più elevata, né più colta, tradiscono la convinzione che gli uomini non sono in grado di competere con le donne a livello di parità; le carte vanno prima truccate: l'uomo deve ricevere un vantaggio. Come in una corsa a handicap dove l'handicappato è il maschio. Lo afferma apertamente Marziale nella clausula di un suo epigramma: “la moglie, Prisco, stia sotto il marito: non altrimenti l'uomo e la donna diventano pari”. Moltissime sono le riprese moderne di questo topos. Eccone una. Il protagonista di Delitto e castigo si rivolge polemicamente al fidanzato della splendidissima sorella con queste parole: “Ma non è forse vero che voi -l o interruppe di nuovo Raskolnikovnon è forse vero che alla vostra fidanzata, proprio nel momento in cui ricevevate il suo consenso, voi avete detto che più di tutto eravate lieto che fosse povera, perché è più vantaggioso togliere la moglie dalla miseria in cui vive, per poi poterla dominare?”. Talora il metus feminae (genitivo solo oggettivo) si avvicina al delirio. Sigmund Freud nella Introduzione alla psicoanalisi, immagina “l’invidia del pene”, ma non si ferma qui; sostiene che la vanità femminile “tanto più deve stimare le proprie attrattive, in quanto rappresentano un tardivo risarcimento per l’originaria inferiorità sessuale”, mentre il supposto pudore delle donne, copre in realtà “l’originaria intenzione di nascondere il difetto genitale”. Femina è parola imparentata etimologicamente con felix e con felicitas. Senza la femmina non solo non c’è alcuna felicità. Non c’è nemmeno la vita.

Repubblica 1.4.10
Il filosofo francese Jullien: "Perché bisogna imparare dall’Asia”
Lezione orientale

PARIGI. Sono trent´anni che François Jullien fa dialogare la cultura occidentale e quella orientale, lavorando sullo "scarto" esistente tra filosofia europea e pensiero cinese, usando quest´ultimo come uno strumento «per rimettere in moto la nostra filosofia, sottraendola alla pigrizia e al conformismo, nel tentativo di elaborare concetti utilizzabili anche al di fuori dell´ambito filosofico». Tale progetto è esplicitato apertamente nelle pagine del suo ultimo libro, Le trasformazioni silenziose (traduzione di Mario Porro, Raffaello Cortina, pagg.145, 13 euro), un saggio denso e affascinante nel quale il filosofo e sinologo francese mostra come la nostra cultura sia incapace di cogliere quei cambiamenti impercettibili, lenti e regolari, che trasformano radicalmente il reale quasi a nostra insaputa. «La realtà è fatta di maturazioni silenziose, di trasformazioni continue e globali che però, anche se ci stanno davanti agli occhi, noi non riusciamo a vedere», spiega lo studioso già noto in Italia per opere come Figure dell´immanenza, Parlare senza parole e Pensare l´efficacia in Cina e in Occidente. «Sono evoluzioni che non riusciamo a percepire, accorgendocene purtroppo solo alla fine, e spesso in modo brutale, quando la trasformazione è ormai avvenuta. Il risultato allora ci sorprende e spesso ci spaventa. Ma se siamo ciechi di fronte a questi cambiamenti striscianti, è perché il pensiero occidentale è incapace di pensarli. La cultura cinese invece è sempre stata molto sensibile alle trasformazioni silenziose».
Può fare qualche esempio?
«L´invecchiamento: un processo lento, impercettibile e globale, a cui però non facciamo caso. Invecchiamo senza accorgercene. Poi un giorno all´improvviso, rimaniamo sorpresi di fronte a una vecchia foto, rendendoci conto dei cambiamenti avvenuti senza che ce ne rendessimo conto. Anche il riscaldamento climatico del pianeta è un fenomeno globale e silenzioso di cui cogliamo la realtà solo quando è troppo tardi, al momento di avvenimenti drammatici che ne sono il risultato. Naturalmente, il concetto di trasformazione silenziosa funziona anche in ambito storico, dove ad esempio, le rivoluzioni sono sempre il risultato clamoroso di una lente e invisibile evoluzione che a poco a poco ha creato le condizioni dell´esplosione rivoluzionaria».
Perché la cultura occidentale è incapace di cogliere tali trasformazioni?
«Fin dai tempi della filosofia greca, tutto il pensiero occidentale è rimasto prigioniero dell´essere e dell´ontologia, considerando il reale composto da essenze immobili, come ad esempio le idee platoniche. Più un´entità è determinata, più essa è. La trasformazione silenziosa è invece sempre in movimento, rimanda a una realtà fluida e indeterminata, dove ciò che è contemporaneamente è già anche qualcos´altro. Essa rimette in discussione il principio d´identità e il principio di non contraddizione, due cardini dell´ontologia occidentale. Di conseguenza, è inconcepibile per il pensiero occidentale che è incapace di pensare la transizione».
Eppure anche il pensiero occidentale ha dovuto confrontarsi con il divenire...
«Lo ha fatto, immaginando il tempo come scena del divenire e riempiendola poi di eventi che sono diventati il dato cardinale della nostra percezione del reale. L´evento suscita pathos e aiuta a narrare. Ed è proprio perché la sua percezione si colloca sul piano della drammaticità emotiva, che gli eventi sono sempre stati al centro delle grandi narrazioni. Oggi il luogo privilegiato della liturgia dell´evento sono i media, che consumano eventi in continuazione per ottenere ascolti. Il loro scopo non è tanto l´informazione, quanto il montaggio teatrale del patetico a partire da una sequenza di avvenimenti. L´insorgere imprevisto e drammatico di un evento è quanto di meglio ci possa essere per conquistare il pubblico sul piano emotivo. È evidente che questo modo di affrontare la realtà è incapace d´interessarsi alle trasformazioni silenziose».
Che invece svolgono un ruolo importante nella cultura cinese.
«Certo. Spesso sono anche il frutto di una strategia cosciente. Per i cinesi sono la via maestra per realizzare un progetto politico. Si pensi alla demaoizzazione del paese realizzata senza strappi e rotture significative, ma solo attraverso cambiamenti quasi impercettibili e continui. Trentacinque anni dopo la morte di Mao, la Cina si ritrova lontanissima dal maoismo senza che ci siano state accelerazioni drammatiche tali da suscitare un rifiuto di tale evoluzione. Lo stratega, in Cina, non è un eroe che compie azioni sorprendenti, ma colui che trasforma silenziosamente una situazione, favorendo un´evoluzione senza che nessuno quasi se ne accorga. Alla fine, i risultati diventano evidenti a tutti, decretando la sua vittoria. La strategia cinese però non tiene conto di un elemento decisivo, vale a dire la capacità di opporsi e di confrontarsi apertamente. In questo modo dissolve le possibilità dell´opposizione frontale».
Il gioco del Go è un esempio del modo cinese d´intervenire sulla realtà?
«Gli scacchi sono un gioco frontale; il Go invece non è frontale, agisce per linee di forza che progressivamente bloccano e sfiniscono l´avversario. E il pensiero cinese evita lo scontro frontale».
È un bene, secondo lei?
«Non è detto che sia meglio, dato che nello scontro c´è sempre un dato positivo, vale a dire il lavoro del negativo. La forza del pensiero europeo è proprio quella di aver fatto emergere la figura del negativo, che sul piano politico è strettamente legata alla democrazia e al dibattito delle idee. In Cina, il pensiero dell´armonia e della trasformazione impercettibile tende a dissolvere la negatività».
Quali sono le trasformazioni silenziose che oggi le sembrano in atto?
«Si parla molto della crisi economica, che però, secondo me, è solo il risultato drammaticamente evidente della trasformazione silenziosa che negli anni scorsi ha favorito il progressivo passaggio del potenziale economico dall´Occidente all´Oriente, dagli Stati Uniti alla Cina. Un´altra trasformazione in corso, di cui spesso non si ha coscienza, è quella che riguarda il progressivo restringimento degli spazi di cultura in Europa, dove la cultura mediatica sta progressivamente sostituendo la cultura di qualità. Pur non volendo fare troppo la Cassandra, credo che sia giusto mettere in guardia contro questa vera e propria recessione intellettuale che riduce progressivamente le possibilità della cultura di qualità. È una trasformazione silenziosa, di cui dobbiamo avere coscienza per provare a organizzare forme di resistenza e strategie in grado d´interrompere tale processo».