giovedì 22 aprile 2010

Repubblica 16.4.10
Il congresso si svolge a bordo di una nave, da Savona a Palma di Maiorca
E ora la psicanalisi se ne va in crociera
di Luciana Sica

Umberto Galimberti: "Sembra un viaggio in quella terra confusa che oggi è la psicoterapia, in balìa dell´instabilità di cui il mare è una bella metafora"

Il nostro mare affettivo: la psicoterapia come viaggio»: titolo brillante per un congresso. Tanto più se si tiene in crociera. E parlare degli itinerari dell´anima e nel frattempo andare per mare sarà anche vista come un´idea mediatica, ma non sembra neppure così malvagia. Perché l´impressione è un´altra, se diversi terapeuti escono da cenacoli ristretti, e si mostrano per quello che sono: "veri" e variamente attrezzati ad affrontare il dolore, senza disdegnare la dimensione del piacere. È su una nave - da oggi a martedì prossimo - che la Federazione italiana delle associazioni di psicoterapia ha scelto di tenere il quarto appuntamento congressuale. Salpa da Savona, per attraccare a Barcellona, Palma di Maiorca, Ajaccio: alla fine le adesioni sono state circa 400 (familiari compresi).
L´idea è venuta alla presidente della Federazione, Patrizia Moselli, che difende la metafora legata al mare, assai più del possibile effetto di risonanza che neppure la fa inorridire: «Il viaggio rappresenta il "percorso" della psicoterapia, un´avventura interiore dalle rotte imprevedibili, l´apertura di nuovi orizzonti mentali». Nessun sopracciglio sollevato, nessun timore di facili battute? No, dice la Moselli: «La nostra è un´associazione di associazioni, con una visione non unica ma unitaria della psicoterapia. Tutti hanno trovato interessante creare uno spazio vitale per un confronto aperto tra modelli teorici e clinici diversi. E poi, perché dovremmo infastidirci, se si parla di noi?».
È vero che qui non si tratta di psicoanalisti più o meno "classici", anzi per la maggior parte dei loro diretti concorrenti: post-cognitivisti, o anche terapeuti della famiglia e della bioenergetica, comunque rappresentanti di approcci ben riconoscibili (cognitivo, corporeo, integrato, analitico-dinamico, sistemico, umanistico). In più si è sempre coltivato il sospetto che anche tra queste scuole ci sia una certa competizione - visto che il mercato della psiche non è poi un´astrazione. Ora invece si ritrovano a navigare nelle acque del Mediterraneo.
Umberto Galimberti, outsider del congresso anche se ospite di gran fama, ha un suo punto di vista di segno comunque problematico: «La crociera a me sembra un viaggio in quella terra confusa che è oggi la psicoterapia, in balia dell´instabilità di cui il mare è una bella metafora. Approderà su qualche terra sicura? Penso di no perché, come già ci avvertiva Eraclito: "Per quanto tu cammini e percorra ogni strada, non raggiungerai mai i confini dell´anima, tanto è profondo il suo logos"».
Domattina Galimberti terrà una relazione su «Il viaggio della psicoanalisi-psicoterapia: dalle origini romantiche all´età della tecnica», estranea all´intonazione delle solite litanie: «Nello scenario contemporaneo, dominato dall´efficienza e dalla funzionalità, l´anima - che si alimenta anche di ciò che razionale non è - soffre. E allora: o il ricorso agli psicofarmaci, o il cammino più arduo della conoscenza di sé che avviene anche attraverso una rivisitazione delle proprie idee. Senza un loro vaglio critico, non è consentito comprendere il mondo in cui viviamo e i suoi rapidi cambiamenti... Ad esempio, non è il caso di pensare che oltre all´"inconscio pulsionale" di cui ci ha parlato Freud si sia formato un "inconscio tecnologico", che a nostra insaputa ci governa e di cui le varie scuole di psicoterapia ancora non si occupano?».
Cinque giorni di interventi, workshop, lectures, sessioni parallele. Con un finale a sorpresa: una video intervista con Zygmunt Bauman (a cura di Rodolfo De Bernart), legata al dibattito conclusivo sul tema del narcisismo nell´era post-moderna della liquidità dov´è proprio la dimensione dell´intimità - il "reciproco coinvolgimento" - a rischiare il naufragio.

VENDOLA: «Non è facile affrontare un tema come quello della pedofilia ad esempio, cioè del diritto dei bambini ad avere una loro sessualità, ad avere rapporti tra loro, o con gli adulti - tema ancora più scabroso - e trattarne con chi la sessualità l' ha vista sempre in funzione della famiglia e dalla procreazione».
Repubblica — 19 marzo 1985 pagina 4

IL GAY DELLA FGCI

di STEFANO MALATESTA



ROMA - Nichi Vendola ha 26 anni, è pugliese. Qualche giorno fa è stato eletto membro della segreteria nazionale della Fgci, la Federazione giovanile comunista. Ha un viso gradevole. In testa calza un berretto blu con visiera, da studente svedese. Intorno al collo è annodata una sciarpa di lana bianca. Porta al lobo sinistro un orecchino d' oro. Nichi Vendola è un gay, il primo attivista omosessuale entrato a far parte della dirigenza comunista. Dice senza asprezza polemica: "Sono sicuro che parlerai dell' orecchino d' oro. Ho già dato un' intervista in cui raccontavo un po' di cose, fatti personali e politici. Dopo ho avuto dei timori, credevo che ci fossero reazioni a Roma, nel partito. Invece i compagni sono stati benevoli. Mi hanno però avvertito: stai attento a non farti ingabbiare nel clichè, il gay alle Botteghe Oscure, eccetera. Prima c' erano i funzionari infagottati nei doppipetti grigi tagliati male, con le cravatte stonate in raso. Adesso l' omosessuale con l' orecchino. Al congresso giovanile avevo un magnifico, luminescente papillon sopra una camicia a righe. Dì, vuoi che ti stringa la mano sotto il tavolo?". Rispondo che il passaggio sotto le forche del commento becero è obbligato: cosa si vuole aspettare, finezze anglosassoni? L' umorismo in Italia, e anche altrove, è spesso di genere caserma, dovrebbe esserci abituato. Però mica posso far finta di essere venuto per le sue preclare virtù politiche di cui tutta l' Italia parla. Sono venuto perchè Vendola è il primo dirigente comunista gay dichiarato. Nel 1948 il Pci non ha espulso Pier Paolo Pasolini per indegnità morale? "Sono passati esattamente 37 anni. Sai cosa ho detto al congresso giovanile? Per noi comunisti non si tratta di difendere la grande dignità e i valori dell' omosessualità, ma di acquisire la diversità come elemento di ricchezza per chi vuole ancora trasformare il mondo. E' stato il passo più applaudito nel mio intervento". Mi ricordo di un altro intervento, più volte citato, fatto da Enrico Berlinguer quando era segretario della Fgci, su Maria Goretti: la additava ad esempio per le future generazioni dei comunisti. "Era il dopoguerra. I comunisti venivano descritti come bestie. L' accusa di essere intellettual-frocio-comunista, senza molta distinzione tra i termini, ugualmente vituperati, è stata merce corrente fino a non troppo tempo fa. Da parte del Pci si tentava di difendersi, di proporre dei modelli di moralità sotto quell' alluvione di vituperi. Il difetto stava nel prendere in prestito i modelli dalla cultura cattolico borghese". Ma c' era anche molta grettezza moralistica e bacchettona all' interno del partito. Chi conviveva con una ragazza veniva convocato e avvertito con l' usuale frase: "Compagno, è ora che regoli la tua posizione". E Togliatti ebbe dei problemi quando iniziò la sua relazione con Nilde Jotti. Secchia non scherzava. "Lo stesso Secchia, una volta caduto in disgrazia, fu accusato, non tanto larvatamente, di essere un finocchio, accusa infamante e degradante. Ma erano tempi diversi, il partito continuava a vivere in stato di allarme, non ci si potevano concedere lassismi personali con il nemico o con la sindrome del nemico alle porte. Però Pasolini, tra il ' 60 e il ' 70, già poteva scrivere liberamente anche di omosessualità su "Vie Nuove"". Pasolini era uno scrittore celebre, un poeta, "un' artista". Anche Visconti non venne mai attaccato: Togliatti ne ha fatto sempre grandi elogi. Ma era un' eccezione. L' aristocratico decadente se lo poteva permettere, proprio perchè aristocratico e decadente. L' operaio in fabbrica no. Diciamo la verità: i compagni lo avrebbero preso a calci nel sedere. "Su Visconti posso essere d' accordo. Ma lui non faceva professione di omosessualità, come non la fa Zeffirelli. In questo senso non sono "scandalosi". Invece Pasolini era provocatorio, almeno per quegli anni e il fatto che scrivesse su "Vie Nuove" è significativo. Però è vero che l' omosessuale in fabbrica, tra i compagni, non aveva vita allegra. Mio padre, comunista da sempre, un uomo magnifico, dolce, andava a fare le spedizioni per picchiare "i froci". Una volta mi ha detto: se ti ammazzassi, noi tutti potremmo riacquistare una dignità. Mi ha molto amato, ma per lui, come per tanti altri, gli omosessuali erano solo i turpi individui che adescavano i bambini nei giardinetti. Ma di queste cose non ne voglio più parlare". Non ho l' intenzione di continuare ad insistere su certi ritardi e manchevolezze del Pci. Ma qui, come in altre occasione, l' azione dei radicali mi sembra sia stata decisiva. Gli altri hanno seguito, anche con riluttanza: tutto questo non gli interessava, soprattutto non faceva parte della loro cultura. "I radicali hanno avuto dei meriti, creando movimenti, flussi, attraverso un' ottica garantista. Ma con qualche casella o piccolo spazio in più di libertà non cambi le regole del gioco, che sono rimaste quasi le stesse. Il "Fuori" voleva creare la cittadella gay, dove gli omosessuali si potessero sentir protetti. I comunisti sono sempre stati contro l' ideologia del ghetto: in ritardo, magari, però decisi a risolvere le questioni, non solo a presentarle, che è molto più facile. D' altronde basta andarsi a rileggere le centinaia di lettere che arrivavamo all' "Unità" e a "Rinascita"" durante gli anni 70: un dibattito libero". Mi dicono però che alti dirigenti del partito non siano stati particolarmente soddisfatti dell' elezione di un omosessuale nella segreteria della Fgci: Chiaromonte ad esempio. "Francamente nel Pci non ho mai avuto problemi, come li ho avuti in famiglia. Credo che oggi comunista significhi anche rispetto dell' altro, essere condannati ad una contaminazione attraverso il rapporto umano: un rischio che bisogna accettare. Lo sguardo inquietante di un altro uomo può farti crollare il tuo castello di certezze, ma è inutile e stupido fuggire. Sono i liberali che hanno sguardi paralleli, che non s' incrociano mai: l' idea del rapporto come due monologhi. Questa è mummificazione dell' esistente. Libertà comunista è dinamismo, è contaminazione, con le nostre coscienze e i nostri corpi, è buttarsi nella mischia. Io l' ho fatto, sono diventato coscientemente omosessuale, per poi recuperare l' eterosessualità, per poi trovar la sessualità, senza aggettivi. Vorrei che ci capissimo, non sto parlando di membri e di apparati genitali, altrimenti torniamo alla caserma". Io credo di capire, ma non so quanti siano in grado di farlo nel Pci, non parlo della Fgci... "Giovanni Berlinguer è uno che capisce: aperto, vivace. Anche Natta ci aiuta. Abbiamo avuto un dibattito con lui molto libero. Ripete sempre che bisogna andare fino in fondo, che bisogna parlare, confessarci di più - non dal prete con la cotta - togliersi di dosso tutti i residui di intolleranza. Gli altri non so, sono arrivato da pochi giorni a Roma. Certo l' età conta, ognuno forma la propria cultura in un momento storico preciso. Non è facile affrontare un tema come quello della pedofilia ad esempio, cioè del diritto dei bambini ad avere una loro sessualità, ad avere rapporti tra loro, o con gli adulti - tema ancora più scabroso - e trattarne con chi la sessualità l' ha vista sempre in funzione della famiglia e dalla procreazione. Le donne, da questo punto di vista, sono notevolmente più sensibili. Ma il Pci non è un organismo matriarcale".

l’Unità 17.4.10
Vendola star tra i delegati «Parlare alla società civile per preparare l’alternativa»
Nichi Vendola, al congresso dell’Arci «gioca in casa», torna tra gente che conosce. La sinistra dice «si deve aprire alla società civile» e trovare un’alternativa che «parli alla pancia del paese» Fischi per la ministra Meloni
di M. GE.

«Compagno Bersani, così non ce la facciamo, i partiti hanno esaurito la loro funzione, dobbiamo aprirci alla società civile, siamo come quel contadino che vuole un gran raccolto anche se non lo merita e finge di non vedere che il terreno è deserto». Promemoria per un «lavoro possibile da fare insieme», lo chiama Nichi Vendola, che al congresso Arci gioca in casa («l'Arci è stato uno dei luoghi della mia formazione») e approfitta per dire qui, applauditissimo, la «sua» nel momento di burrasca. Titolo: «Rifondazione della politica, necessaria vista l'inadeguatezza di quello che c'è». Sinistra e Libertà, come il Pd. Dice «noi», Nichi, intende «sinistra».
PARTITA DI POKER
Ma va giù duro con il «compagno Bersani», che della platea Arci è stato ospite giovedì. «Berlusconi parla alla pancia del paese, la tua alternativa no», gli dice a brutto muso.
Che alle porte ci possano essere nuove elezioni, lo convince poco. Quella è una «partita di poker» tutta nel centrodestra. E indica solo che «è ripresa convorticosità l'infinita transizione della politica italiana».
La sinistra per ora resta “un rebus”. Perciò «dalla crisi del centrodestra, per ora, esce solo un paese spostato verso la parte più reazionaria e xenofoba», la sua lettura. Mentre «con Bersani una parte del centrosinistra si ostina a non capire la portata di una sconfitta non solo elettorale ma culturale».
E d’altra parte: «Non sconfiggeremo il berlusconismo cercando un antiberlusconi che non c'è e se ci fosse gli assomiglierebbe terribilmente».
I sondaggi sul suo nome? «Di solito in quelli perdo, mi devo preoccupare?». La soluzione, per ora, è di di lungo periodo. «Seminare» la sinistra, dice Nichi. Che è “grande passione e non la critica alla destra perché non mantiene quello che promette”. E “nessuna genuflessione”, davanti alla Chiesa o ai poteri fori.
APPLAUSI
La platea apprezza e si spella le mani. Qualcuno storce la bocca: «Per ora è retorica». Ma spera che non lo resti a lungo. «Tirare fuori le unghie», suggerisce don Luigi Ciotti. Quale sia il nemico da combattere l’ha ricordato il messaggio ai partecipanti della ministra Giorgia Meloni. Fischiato sonoramente dalla platea.
Dice che la situazione in Italia è più «rosea» di come la vede l'Arci. Che il «disastro» potrebbe persino essere «provvidenziale». E spiega la sua ricetta è tutta a base di sarte, falegnami, calzolai, tradizione. Quanto alla «formazione». Privilegiare l'uguaglianza formativa, spiega, è stato un errore.

Agenzia Radicale 20.4.10
Donne, aborto e «misoginia di Stato»
Intervista a Carlo Flamigni
di Paolo Izzo

Le edizioni L'Asino d'Oro portano in libreria due volumi curati da Carlo Flamigni e Corrado Melega:RU486. Non tutte le streghe sono state bruciate e La pillola del giorno dopo. Dal silfio a oggi. Due libri distinti per due farmaci assai diversi, per impiego e per composizione, ma sui quali si fa ancora molta confusione. Due manuali che dicono veramente tutto quello che occorre sapere sulla interruzione di gravidanza farmacologica e chirurgica, nonché in genere su prevenzione e salute in materia di ostetricia e ginecologia. Libri pensati e scritti per le donne, dunque, che però dovrebbero leggere anche e soprattutto gli uomini.
In occasione, in questi giorni, dell'uscita del primo volume (il secondo è previsto per la fine di aprile), abbiamo intervistato il professor Carlo Flamigni, già ordinario di Ostetricia e Ginecologia all'Università di Bologna, membro del Comitato Nazionale di Bioetica e Presidente Onorario dell'AIED (Associazione Italiana per l'Educazione Demografica), cui andranno i suoi ricavi per la vendita di questi libri.

Professor Flamigni, lei e il suo collega Corrado Melega iniziate questo primo volume con una dedica sarcastica agli "orchi" del Consiglio Superiore della Sanità, che hanno recentemente stabilito che "l'unica modalità di erogazione" della RU486 debba essere il "ricovero ordinario". Su questo farmaco, che già arriva con notevole ritardo rispetto ad altri Paesi, ci sono ancora forte ostilità e molta confusione?

Fare confusione è un modo per governare. Basti pensare al libro di Eugenia Roccella e Assuntina Morresi, "La favola dell'aborto facile", per rendersene conto. In esso, sono tante le affermazioni ingiuste e quelle non vere, a partire dal senso di "solitudine e abbandono" che sconvolgerebbe la donna che abbia deciso di ricorrere alla RU486, fino al tasso di mortalità che le due signore forniscono e che cresce incongruentemente man mano che si va avanti nella lettura del loro testo. Due brave ragazze come Roccella e Morresi farebbero bene a occuparsi di cose di cui invece nessuno si rende conto.

E cioè?

Per esempio, l'uso assolutamente improprio che fanno le nuove cittadine, soprattutto dell'Europa dell'Est, che vanno a comprare le prostaglandine in farmacia dicendo di avere mal di stomaco... e ci sarà certamente qualche medico che fa loro le ricette (e questa secondo me è già notizia di reato). Poi ne prendono quantità eccessive e spesso finiscono in ospedale, perché gli effetti collaterali di enormi quantità di prostaglandine sono dannosi, anche mortali. Questo è un dramma che c'è sempre stato: se si va indietro nel tempo, le donne morivano di appiolo, un derivato del prezzemolo nonché antico metodo per abortire prima degli antiprogesteronici.

Ritiene ci sia il rischio che si torni all'aborto "fai-da-te"?

Un altro problema vero è questo: c'è un numero smisurato di medici che si rifiutano di intervenire, facendo obiezione di coscienza; in alcune regioni si arriva quasi al 90% di obiettori. Quindi diventa sempre più difficile rispettare i tempi: ci sono ragazze impaurite perché vengono rinviate e c'è un problema di sicurezza, perché più avanti interrompi la gravidanza, maggiori rischi fai correre alle donne. Poi c'è la fuga dagli ospedali, dove le donne sono trattate male e magari, di fianco allo sportello in cui vanno a prenotare l'IVG, trovano la segreteria del Movimento per la Vita che fa loro un secondo processo! Queste donne, allora, ricorrono alle amiche per ottenere un"indirizzo" alternativo, che può portarle all'estero, nell'ambulatorio privato di uno dei medici dell'ospedale che ha fatto obiezione oppure da una "mammana", che interrompe la gravidanza con metodi antichi. I rischi sono alti. Si sta riorganizzando un mercato dell'orrore.

L'obiezione di coscienza dei medici è ovviamente molto legata alla religione cattolica. Ve la prendete spesso, nel libro, con l'ingerenza del Vaticano nella medicina e nei rapporti tra medico e paziente.

Le esprimo un concetto che vale per tanti problemi: questo è un Paese che ha molto più bisogno di compassione che di religione. Invece gli viene somministrata una grande quantità di religione e una scarsissima quota di compassione. Una sera guardavo la tv per cercare di addormentarmi e ovunque andassi si parlava del papa, di santi, di miracoli, della sacra sindone... Era tutta una propaganda fidei. Capisco che la Chiesa cattolica ne abbia bisogno in questo brutto momento... ma un po' di compassione, non dico di laicità, anche per me?

Ritiene che viviamo in uno Stato teocratico?

E' uno strano Stato teocratico, dove in fondo le persone che credono in Dio sono pochissime, ma le persone che hanno rispetto per il potere della religione sono molte, cominciando dai partiti politici che si contendono la capacità del Vaticano di distribuire i voti dei fedeli. Tutti sono sicuri che, se fanno qualcosa contro la religione, quei voti li perderanno. Così si mettono in quella posizione, che di solito si usa per definire gli animali, che si chiama "lordosi di accettazione".

Che poi si traduce in un attacco alle donne. In una vera misoginia. A molti uomini farebbe bene la lettura del vostro libro...

Una volta invece sono stato accusato da una compagna femminista, su Liberazione, di essere paternalista. Si ricorda quando Giuliano Ferrara propose una moratoria contro l'aborto? Risposi: perché no? Ma prima vogliamo il rispetto per le donne! Che invece ci si aspetta di portare in televisione con l'obbligo di andarci in mutande e più le mutande sono piccole e più faranno carriera; di portare nelle ville dei magnati per vedere se hanno capacità tecniche di fare politica. Bisogna prima insegnare ai fratellini a rispettare le sorelline, bisogna prima insegnare la libertà sessuale... Ci vuole una società giusta che non tolga il lavoro alle donne, che conceda loro la possibilità di badare ai figli oltre che a lavorare in fabbrica. Non so se sono paternalista, ma penso di dire cose in cui molti di noi credono... La misoginia è nel potere che prevarica e che ha un'interpretazione del sesso femminile molto utilitaristica. Penso che siamo di fronte a una misoginia di Stato.

Voi scrivete che la legge 194 funziona bene ed è ben applicata, ma che l'unica modifica che fareste è proprio sul tema dell'obiezione di coscienza.

Quando la 194 fu approvata, l'obiezione di coscienza era necessaria perché c'erano vecchi ostetrici che, quando avevano deciso di fare quel mestiere, al pensiero di dover interrompere una gravidanza sarebbero morti d'infarto. Invece, da quel momento in poi ci siamo trovati di fronte al "problema" che la IVG fa parte della tutela della salute delle donne: se fossi un medico cattolico che non vuole interrompere le gravidanze, non andrei in un ospedale pubblico di ostetricia dove la prevenzione e la salute della donna sono al centro del mio lavoro. Vado a fare un'altra cosa! Cioè: non metto un musulmano a vendere carne di maiale! Questo andrebbe rivisto della legge, anche perché io stesso ho avuto molti collaboratori che sono venuti a dirmi che volevano fare obiezione, ma non perché fossero religiosi, ma perché: "mi rompo le scatole", "è una cosa ripetitiva", "mi danneggia nella carriera, perché se il direttore sanitario cattolico sa che non ho fatto obiezione, la prossima volta che ci sarà da assegnare un posto di aiuto non lo dà a me". La libertà è un conto, ma quando c'è di mezzo la salute delle donne non ci può essere un criterio acritico per cui uno decide quello che vuole sulla base di principi e interessi privati e nessuno va a vedergli nelle tasche...

A un certo punto del libro, fate un'osservazione a proposito del fatto che un vero passo in avanti per la salute delle donne fu la sentenza della Corte costituzionale del febbraio 1975, quando fu introdotto "l'equilibrio psicologico" della donna tra i motivi che potevano far ricorrere alla IVG.

E' la sentenza nella quale si dice per la prima volta che può esistere un problema di salute per la donna che non sia fisico e si mettono le basi per quella che poi è la materia fondante della legge 194: ha più diritti chi è già persona di chi persona deve ancora diventare. Il problema della salute è stato poi gestito con enorme saggezza dal legislatore e la legge 194 è molto solida. Recentemente è stata attaccata con la scusa che, con l'aborto, venga espulso dal grembo materno un feto che potrebbe sopravvivere: non è così, perché se il medico si rende conto di una tale possibilità (da ecografia, peso, settimane di gravidanza), allora non si può più parlare di salute psicologica. Ma in quel caso vale ancora la condizione di necessità: se il feto è diventato "l'assassino di sua madre", lo tolgo dal grembo, poi semmai lo consegno a qualcuno che cercherà di farlo sopravvivere... E' una legge molto saggia, la 194. La si confronti con la legge 40, che è una legge fragile, costruita e scritta controvoglia da gente che non l'amava e che l'ha riempita di passerelle che oggi servono al magistrato che va a cancellare quello e a togliere quell'altro...

Quando c'è una possibilità che il feto sopravviva?

Dopo la 22esima settimana. Prima di questo tempo il feto non ha alveoli polmonari e non ha capacità di vita esterna al corpo della madre. Infatti è lì che scatta il meccanismo della condizione di necessità: dopo la 22esima settimana l'interruzione si fa quando è a rischio la vita della donna. E' una norma che già esisteva prima della 194 e che fa tacere tutte le altre norme: la condizione di necessità.

Ma quando inizia, effettivamente, la vita umana?

Quando il feto si iscrive al sindacato! La vita personale, lei dice? La vita personale comincia quando lo dice la madre. E' un personalismo che deriva dal vecchio mondo femminista: bisogna che l'embrione si sia annidato nel grembo materno, ma anche che la donna l'abbia riconosciuto come proprio figlio. Quindi questo esclude le nascite per violenza e per caso... E' necessario che ci sia il contatto con il grembo della madre, che è quello che lo mette in connessione con il mondo, con la società, ma è anche necessario che la madre voglia fare questo gesto, cioè che lo riconosca come figlio.

La nascita è la vera cesura, comunque...

Lo è sicuramente sul piano del codice civile.

Un'ultima domanda, sul ruolo degli uomini. Nella sessualità una mezza importanza ancora ce l'abbiamo, ma nella procreazione contiamo sempre meno...

Non ne farei una questione tecnica. Fare un figlio è un piano di sviluppo del modello familiare particolare al quale quasi tutti noi teniamo. Il problema forse non è neanche capire qual è il nostro ruolo, ma come uomo e donna, insieme, dovrebbero guardare alla vita sessuale. Una definizione della vita sessuale potrebbe essere quella di una bellissima insalata russa, dentro la quale c'è fare figli, ma c'è anche divertirsi, farsi le coccole, rispettarsi, dialogare. E quando c'è una insalata russa da mangiare, nessuno pensa di mangiare solo la maionese. Nel momento in cui si dialoga, ci si fa le coccole, si può anche immaginare di allargare la propria famiglia, di avere qualcuno da crescere. Gli uomini e le donne hanno un modo diverso di guardare alla procreazione: gli uomini immaginano di continuare a vivere e amano il pensiero della vita familiare che continua. Le donne tengono molto ad avere qualcuno da amare. Insieme, tutto questo, vuole dire fare un figlio.

MATERIALI RESISTENTI
Il concerto del 25 aprile all’ex campo di concentramento di Fossoli con il meglio del rock indipendente italiano sarà trasmesso in tempo reale sul nostro sito web Unita.it

Repubblica 22.4.10
25 aprile, nell´Anpi boom di partigiani junior
Iscritti a quota 110 mila, uno su dieci sotto i 30 anni
di Maria Cristina Carratù

ROMA - Più che mai rinvigorita. L´Anpi, l´associazione dei partigiani, fa un bilancio alla vigilia del 25 aprile, dal quale risulta che ha raggiunto 110 mila iscritti, nel 2009. Un boom mai visto. Ma soprattutto, dovuto alle nuove leve di «ragazzi partigiani», giovani e perfino giovanissimi che di guerra e Resistenza hanno solo sentito parlare, ma convinti di poter contribuire lo stesso alla causa per cui i partigiani doc lottarono e morirono: la democrazia e la Costituzione.
Un 25 aprile in cui non mancano le polemiche. A Mogliano, in provincia di Treviso non si suonerà "Bella ciao". Anche se il sindaco leghista, Giovanni Azzolini nega: «Nessun problema a far suonare ´Bella ciao´ alla banda comunale, se i partigiani lo chiedono», meglio, però, la ‘Canzone del Piave´, «che celebra il fiume sacro alla patria». Azzolini ricorda di «essere iscritto all´Anpi», non vuole sentire parlare di veti e davanti alle tv locali e sul web canta "Bella ciao" e parla di «fraintendimento». Tuttavia, ritiene che l´inno al Piave è più adatto, «tanto più che proprio da Mogliano la Terza Armata partì per riconquistare l´Italia». Protesta l´Anpi, ricordando che ‘Bella Ciao´ è «canzone di tutti».
I partigiani snocciolano i numeri: a controbilanciare il 10% di iscritti, ovviamente in calo, di partigiani storici e di ‘patrioti´ delle Sap e delle Gap (le Squadre e i Gruppi di Azione Patriottica), uomini e donne che hanno doppiato da un pezzo gli 80 anni, c´è ormai un altro 10% di ‘juniores´ fra i 18 e i 30 anni, mentre il grosso degli iscritti (60-65%) appartiene alla fascia, ampiamente «postbellica», di 35-65enni. Una vera rivoluzione, anagrafica e culturale, resa possibile dal nuovo statuto che dal 2006 ha aperto le porte dell´Anpi a chiunque dichiari e sottoscriva di essere «antifascista». Nel giro di tre anni si è passati così da 83 a 110 mila iscritti, con un più 27 mila che, confrontato con il calo costante degli anni pre-riforma (dai 75 mila iscritti del 2000 se ne stavano perdendo centinaia l´anno), ha riportato l´entusiasmo nei comitati di tutta Italia.
Ma guai a pensare che la modifica dello statuto sia stata un escamotage anti-età: «Noi abbiamo combattuto per valori che tutti gli uomini hanno dentro, e che spetta a tutti difendere, in qualunque epoca» sostiene Silvano Sarti, 84enne protagonista della Resistenza fiorentina e presidente dell´Anpi di Firenze. Dove, nelle due sezioni più grandi della provincia, i giovani di 18-35 anni sono passati in tre anni da zero a 342, i 35-60enni sono più di due terzi degli iscritti, e a capo di un´altra è stato da poco eletto il segretario più giovane d´Italia: «Chi si associa all´Anpi» spiega Sarti «semplicemente ama la Costituzione e vuole difenderla. E chi deve scendere per primo in piazza se non dei giovani con le gambe buone?». E che non si tratti solo di numeri, lo dimostra, spiega il vicepresidente dell´Anpi nazionale Armando Cossutta, quel che avviene nelle sezioni e nei comitati provinciali: «Pieni di gente di ogni classe sociale, di ogni professione, di ogni età, felici di avere uno spazio che i partiti non offrono più: limpido, pulito, senza arrivismi». La «nuova giovinezza» dell´Anpi «sembra figlia anche della crisi della politica». E il sindaco di Firenze Matteo Renzi ha invitato l´intera giunta a iscriversi all´Anpi, con lui in prima fila.

Repubblica 22.4.10
La sinistra e la sfida del futuro
di Guido Crainz

L´ultimo esito elettorale del centrosinistra rende impossibile eludere ancora il problema: la fase iniziata quasi vent´anni fa con la crisi verticale della "repubblica dei partiti" non ha visto consolidarsi una ipotesi riformatrice adeguata alle esigenze del Paese. Le difficoltà e le divisioni del centrodestra non offuscano questo nodo ma rendono ancor più urgente affrontarlo.
Mai, forse, le forze progressiste o di sinistra erano state così isolate - culturalmente, prima ancora che elettoralmente - rispetto al cuore produttivo della nazione, e incapaci al tempo stesso di offrire riferimenti e prospettive alle inquietudini di vecchie e nuove povertà e precarietà. Non è un giudizio troppo drastico: a quale idea-forza ci si può oggi richiamare per convincere un elettore indeciso, un astensionista amareggiato, un giovane deluso? Sembra quasi impossibile, inoltre, che la sinistra sia stata simbolo, in passato, di buon governo a livello locale. Abbia saputo mettere in campo - non solo nelle regioni rosse - capacità organizzative e pragmatiche, abbia contribuito a colmare forti deficit di democrazia del paese. Sia apparsa a una larga parte degli italiani, negli ormai lontanissimi anni settanta, come l´unica forza in grado di garantire il cambiamento. Sembra impossibile, infine, che tutto questo sia progressivamente scomparso dalla scena già nella fase immediatamente successiva, e che negli anni novanta gli eredi di quell´esperienza abbiano buttato al vento la possibilità di offrire al paese devastato da Tangentopoli esempi e prospettive di buona politica.
Le questioni da affrontare erano certo enormi: la costruzione di una nuova idea di sinistra era compito difficilissimo, ma al tempo stesso indifferibile, sin dagli anni settanta e ottanta. Crollati, ben prima del 1989, i riferimenti internazionali, entravano allora in crisi anche altri capisaldi della tradizionale cultura della sinistra. La "centralità della classe operaia", ad esempio, veniva simbolicamente travolta dalla "marcia dei quarantamila" del 1980, mentre già la crisi petrolifera del 1973 aveva affossato, assieme all´idea di uno "sviluppo senza limiti", anche le culture progressiste e industrialiste che su di essa si erano fondate. Nell´incapacità di misurarsi appieno con questi nodi la sinistra di formazione comunista iniziò a perdere identità e profilo, e a far emergere quella carenza di progettazione riformatrice che gli anni dei governi di "unità nazionale", dal 1976 al 1979, portarono pienamente alla luce. A ciò si aggiunga, infine, la difficoltà di comprendere le colossali trasformazioni sociali e culturali degli anni ottanta.
È una sinistra già in difficoltà, insomma, quella che giunge alla crisi dei primi anni novanta: elettoralmente indebolita e culturalmente gracile. Contagiata almeno in parte – alla periferia, ma non troppo marginalmente – dalle derive che le indagini dei giudici portavano allora alla luce.
Di fronte al crollo degli altri partiti era ormai il momento di un rinnovamento profondo, capace di coinvolgere energie pur presenti nella società civile: e invece quel crollo, che sostanzialmente risparmiò i differenti eredi del Pci, sembrò favorire a sinistra il permanere delle vecchie prassi partitiche. L´unica società civile che entrò in campo fu quella chiamata a raccolta dall´antipolitica di Umberto Bossi e - per altri versi - dal "partito azienda" costruito in pochi mesi da Silvio Berlusconi. A fronte di questo discutibile "nuovo" la sinistra si presentò sempre più come il "vecchio", il residuo della "partitocrazia". Neppure lo shock del 1994 fu salutare: l´immediato fallimento della prima alleanza fra Berlusconi, Fini e Bossi alimentò l´illusione di poter ancora godere di rendite di posizione, di non aver bisogno di un forte profilo culturale e programmatico. Questa incapacità di rinnovamento, e di ricambio dei gruppi dirigenti, è stata il vero scoglio su cui si sono infrante le esperienze pur avviate, le energie pur messe in campo.
Il primo governo Prodi, ad esempio, è certamente stato il governo migliore degli ultimi quindici anni: perché, però, anche quel governo seppe solo in parte parlare al paese? E perché la sua ispirazione più feconda non trovò continuazione?
Non era inarrestabile la marcia del centrodestra. Subito interrotta nel 1994, essa sembrò di nuovo giunta al capolinea nel suo primo quinquennio pieno di governo: e già nell´estate del 2004 gli stessi giornali del centrodestra parlarono apertamente di "crisi del berlusconismo". In quello stesso torno di tempo un centrosinistra frastornato dalla sconfitta elettorale del 2001 trovava nuova forza - quasi suo malgrado - grazie alle spinte che venivano dal basso: si pensi al movimento dei Girotondi, che ebbe culmine nella manifestazione nazionale a Roma dell´autunno del 2002. Una festa della democrazia, per usare le parole di allora di Eugenio Scalfari: «Un vigorosissimo ritorno in campo di moltissimi che per molte ragioni si erano tirati indietro». Si pensi anche alle energie coinvolte dalla Cgil nella difesa dello Statuto dei lavoratori, o all´amplissima mobilitazione per la pace dell´anno successivo, che vide mescolarsi culture molto diverse. Si pensi anche ad altre risorse che il centrosinistra ha pur avuto: dall´esperienza dei sindaci alla grande speranza delle "primarie". Queste stesse spinte vitali appaiono oggi largamente inaridite: di nuovo, perché? Senza dare risposte convincenti a questi interrogativi sarà difficile riaprire realmente la discussione sul futuro. E senza dar vita a nuovi cantieri di riflessione, in cui convergano molteplici energie intellettuali e differenti centri propulsivi, sarà difficile frenare l´involuzione di un centrosinistra che ha bruciato leader e ipotesi di ricambio, e perso progressivamente una reale capacità di rapporto con la sua stessa gente.
L´inversione di tendenza di cui si avverte il bisogno implica un impegno di lungo periodo ma il tempo a disposizione non è moltissimo: le divisioni del centrodestra e i progetti sempre più espliciti del premier rendono questo compito ancora più urgente.

l’Unità 22.4.10
Conversazione con Christine Bergmann
«Prima di tutto viene
il dolore delle vittime»
La commissaria indipendente dopo lo scandalo pedofilia in Germania: «Lavoreremo su prevenzione e risarcimenti. Soli per troppo tempo gli abusati»
di Laura Lucchini

Assistenza e prevenzione. Su questi due binari lavorerà la commissione indipendente per le vittime degli abusi, creata dal Governo tedesco dopo lo scandalo delle violenze sessuali si bambini in scuole e collegi cattolici e laici. A due giorni dall’inizio della tavola rotonda in cui si confronteranno il governo, la Chiesa, le vittime e gli insegnanti, la commissaria straordinaria per le vittime Christine Bergmann, è sicura che sarà un «momento importante e una grossa chance». Ma non mancano le polemiche.
Da tre mesi in Germania emergono in continuazione nuovi casi di abusi sessuali a danno di minori, consumati tra gli anni ’60 e ’90, in collegi e scuole cattoliche e laiche. Da quando il rettore del collegio gesuita berlinese Canisius, a metà gennaio, rese pubblici i primi casi, invitando tutte le vittime a denunciare, l’effetto domino ha fatto cadere nello scandalo una dopo l’altra le scuole più prestigiose del paese. Collegi con lunghe tradizioni, come i Chiostri di Ettal, il coro delle voci bianche di Ratisbona o la scuola laica e progressista di Odenwald, vincolata all’Unesco, sono state macchiate da denunce di abusi, violenze e pratiche sadiche da centinaia di vittime.
«Ora la chiesa collabora» «La Chiesa è una delle istituzioni che a lungo ha nascosto gli abusi. Ora però sta cercando di collaborare», ci ha detto ieri Bergmann. Ma ha ricordato che «se gli abusi dentro la Chiesa sono stati circondati da un silenzio imposto dall’istituzione chiusa, lo stesso avviene nelle famiglie». In famiglia, infatti, ancora oggi si consumano impunemente violenze sui minori: «non bisogna parlare degli abusi sessuali come se riguardassero solo il passato, avvengono purtroppo ancora».
Christine Bergmann è stata ministra di Famiglia del Governo Schröder e si è già occupata di prevenzione della violenza. La sua commissione affiancherà il lavoro della tavola rotonda fin da venerdì. In questo incontro, in cui c’è grande attesa anche per capire quale sarà la linea della Chiesa, si formeranno due gruppi di lavoro. I primo affronterà il tema della prevenzione, e sarà coordinato dalle ministre di Famiglia e Educazione, Christina Schröder e Annette Schavan (della Cdu). Il secondo, coordinato dalla ministra di giustizia Sabine Leutheusser-Schnarrenberger (FDP, liberali), si occuperà di questioni giuridiche. Dovrebbe proporre nuove leggi o norme contro gli abusi e soluzioni al nodo dei risarcimenti.
In molti casi, infatti, i reati sono prescritti: le vittime hanno bisogno di tempo per elaborare le violenze e avere la forza di denunciare: «Il discorso dei risarcimenti sarà sicuramente uno dei punti, anche se per le vittime è decisivo in primo luogo il riconoscimento della violenza subita», dice Bergmann.
L’attenzione della commissione per le vittime si concentra in particolare su un gruppo consistente di persone, per le quali, «l’abuso si colloca lontano nel tempo, tra gli anni ’60 e gli anni ’80, e che però portano dentro le ferite e le conseguenze della violenza». In Germania l’abuso sessuale prescrive 10 anni dopo che la vittima ha compiuto 18 anni, cioè quando ne ha 28. La maggior parte delle persone che hanno denunciato finora hanno però superato i 30. Per loro, in particolare, è importante «il riconoscimento della violenza e l’assistenza, perché durante lungo tempo sono state lasciate sole».
La «squadra» di Bergmann, cinque persone, riceve le segnalazioni dei casi per fax, posta o mail. Alle vittime viene offerto ascolto e assistenza per muovere i primi passi. E, se necessario, viene consigliata una terapia per superare il trauma.
Quel che manca all’azione del governo è la mancanza di dati statistici sullo scandalo, che dipende in particolare dall’estrema frammentazione dei comitati o degli enti che raccolgono le denunce e le segnalazioni, senza coordinarsi affatto. In ogni Land la Chiesa ha la sua commissione, ogni scuola coinvolta, ogni ordine monastico. Tanto che Bergmann ammette: ancora non si può dare una dimensione numerica né al numero di vittime né quello dei responsabili. Sulla stampa sono comparsi più di 300 casi.❖

l’Unità 22.4.10
Le vittime Usa al Papa «Hai nominato un vescovo che ha coperto abusi»
Contestate dalle vittime di abusi le ultime nomine del Papa negli Usa. Il neo arcivescovo di Miami avrebbe coperto preti pedofili. Quello di Springfield ha definito «Opera di Satana le denunce legali contro il clero».
di Roberto Monteforte

Una scivolata di Benedetto XVI sarebbero le sue ultime due nomine di vescovi negli Usa. Almeno per la principale associazione statunitense che organizza le vittime degli abusi «Snap» (Survivors Network of those Abused by Priests). Sotto tiro sono due nomine quella di monsignor Wenski alla guida della arcidiocesi di Miami al posto del dimissionario Favalora, dimessosi con otto mesi di anticipo formalmente per motivi di salute, ma in realtà perché sospettato di aver «coperto» alcuni casi di pedofilia. Ma anche monsignor Wenski è la denuncia del direttore esecutivo di Snap, David Clohessy quando era alla guida della diocesi di Orlando avrebbe gestito con «inganno, ritardo e spericolatezza» il problema della pedofilia che ha visto responsabili alcuni sacerdoti. «Il Papa promuove un vescovo con un passato preoccupante quanto a sicurezza dei bambini». Respinge l’addebito il neo arcivescovo. Afferma che sin dal 1990 nella sua diocesi vigeva la «tolleranza zero» contro i preti pedofili. Assicura di essere stato «molto fermo e molto forte» di fronte alle accuse che hanno coinvolto alcuni dei suoi sacerdoti. «Non ho nulla da scusarmi», taglia corto. La pedofilia è problema ancora caldo anche a Miami. Il suo predecessore, monsignor Favalora, ha dovuto affrontare lo scandalo di oltre 40 preti pedofili e vedersela con il potente fondatore dei Legionari di Cristo, monsignor Maciel Degollado, pedofilo e violentatore.
AZIONI DEL DIAVOLO
L’altra nomina contestata dal Snap riguarda monsignor Thomas Patrocki, che da vescovo ausiliario di Chicago è stato nominato alla guida della diocesi di Springfield in Illinois. Tre anni fa osserva sempre Clohessy attribuì «a Satana le azioni legali contro la Chiesa Cattolica per lo scandalo della pedofilia». «Questo dimostra commenta che il Vaticano è più interessato alla purezza dottrinale che alla sicurezza dell'infanzia». Il neo vescovo ha ammesso che la Chiesa deve affrontare la piaga delle molestie sessuali per contribuire a riportare fiducia nell' istituzione.
Un’altra testa è caduta in Irlanda. Benedetto XVI avrebbe accettato le dimissioni del vescovo irlandese James Moriarty per le sue responsabilità nell'aver coperto in passato abusi sessuali commessi da sacerdoti a Dublino. La decisione dovrebbe essere comunicata oggi. Monsignor Moriarty, vescovo di Kildare e Leighlin, aveva presentato le sue dimissioni il 23 dicembre scorso in seguito alla pubblicazione del rapporto Murphy, la commissione governativa, che lo accusava di non aver indagato abbastanza a fondo, quand'era ausiliare nell'arcidiocesi di Dublino sulle accuse mosse nel 1993 nei confronti di un prete pedofilo, padre Edmondus.❖

il Fatto 22.4.10
Ipazia, la congiura dei mediocri
In attesa di Agorà, ecco chi era la filosofa che diresse la scuola neoplatonica
Era ascoltata dal popolo e consultata dai potenti: per questo fu uccisa
di Giovanni Ghiselli

Sta per uscire Agorà, il film di Amenábar su Ipazia, una donna di grande levatura uccisa nel 415 d. C. da monaci fanatici detti parabalani, un’orda sanguinaria istigata al massacro dal vescovo Cirillo di Alessandria d’Egitto. Aspettando l’opera cinematografica, scopriamo chi era questa martire del pensiero. Utilizzerò fonti antiche: la Storia Ecclesiastica di Socrate Scolastico, le Epistole di Sinesio, un discepolo di Ipazia, neoplatonico e pure cristiano illuminato, che divenne vescovo di Tolemaide e morì poco prima di lei, rimpiangendone lo “spirito divinissimo”, poi un epigramma di Pallada, un maestro allontanato dalla scuola in quanto non cristiano, tutti contemporanei di Ipazia. Inoltre, la Vita di Isidoro di Damascio, ultimo scolarca dell’Accademia neoplatonica di Atene, fatta chiudere da Giustiniano nel 529. Gli autori sono concordi nel presentare Ipazia come intelligente, bella, generosa. All’inizio del V secolo Alessandria era un centro commerciale e culturale tra i più importanti dell’impero romano d’Oriente e pure una città turbolenta per la presenza di tre gruppi religiosi che si facevano guerra: ebrei, cristiani e pagani. Ma vediamo i testi a partire dall’epigramma di Pallada: “Quando ti osservo, mi prostro davanti a te e alle tue parole,/vedendo la casa astrale della vergine,/infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto/Ipazia sacra, bellezza delle parole,/astro incontaminato della cultura”. Ipazia nacque intorno al 370. Suo padre Teone le insegnò le scienze matematiche. La discepola divenne presto più brava del maestro. Diresse la scuola neoplatonica. Era ascoltata dal popolo e consultata dai potenti per la magnifica libertà di parola, per il fatto che era dialettica nei suoi discorsi e per le sue competenze matematiche, geometriche, astronomiche e filosofiche. Per tali motivi suscitò invidia, l’anima della congiura dei mediocri contro l’individuo eccezionale. La mente del complotto era Cirillo: la venerazione e il prestigio che pretendeva come capo della religione vincente, andavano a una pagana, a una femmina! Il rancore divenne pernicioso, per Ipazia, quando l’iniquo prelato vide una ressa di uomini davanti alla casa di lei. Motivi sessuali non c’erano: Damascio racconta che la donna era vergine, sebbene facesse innamorare molti, e, addirittura, a un uomo malato d’amore, “gettò una delle pezze usate per il mestruo e gli disse: questo tu ami, giovane, niente di bello”. Cirillo “si rodeva a tal punto che tramò la sua uccisione, fra tutte la più empia”. Si può dire di Ipazia quanto P. B. Shelley scrisse dell'eroina di Sofocle: “Che sublime ritratto di donna! Alcuni fra noi, in una precedente esistenza, si sono innamorati di un'Antigone: ecco perché non troveranno mai completa soddisfazione in un legame mortale!”.
Ma torniamo ad Alessandria. Negli anni precedenti l’imperatore Teodosio “il Grande” aveva fatto distruggere gli edifici ellenici del culto e della cultura, e aveva promosso una serie di provvedimenti giuridici avversi al paganesimo. Teofilo, vescovo della città dal 385 al 412, un uomo violento, aveva eseguito con sadica sollecitudine, e Cirillo ne fu il degno erede e prosecutore, fino alla morte (444). Quindi venne proclamato Santo e Padre della Chiesa. Costui detestava Ipazia che parlava nell’agorá, liberamente, culturalmente e politicamente. Il suo magistero rappresentava una resistenza alla volontà di cancellare il pensiero e l’arte dei Greci. Il vescovo non sopportava che Ipazia fosse la stella polare per tanti, a partire dal prefetto augustale Oreste, odiato anche lui dalla gerarchia ecclesiastica al punto che uno dei parabalani, Ammonio, lo ferì gravemente, colpendolo in testa con una pietra. Questo sicario venne processato secondo la legge e lasciato morire sotto tortura. Quindi Cirillo ne fece collocare il corpo in una chiesa, ne cambiò il nome in Thaumasios (ammirevole) e lo encomiò quale martire della religione cristiana. Sembra prefigurare il bandito della Magliana sepolto con i pii prelati. Nel 415 l’impero d’Oriente era retto da Pulcheria, figlia di Arcadio e nipote di Teodosio: ebbene costei era alleata di Cirillo. Ciò nondimeno “i capi, ogni volta che si prendevano carico delle questioni pubbliche, erano soliti recarsi prima da Ipazia”, racconta Damascio. Cirillo bruciava di odio implacabile.
Vediamo la morte di Ipazia. Tornano in azione le squadracce che avevano tentato di uccidere Oreste. “Siccome ella si incontrava spesso con Oreste, l’invidia mise in giro la calunnia che fosse lei a non permettere che il prefetto si riconciliasse con il vescovo. Allora alcuni uomini infiammati si appostarono per sorprendere la donna mentre tornava a casa. Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa denominata Cesario.
Qui, strappatale la veste, la uccisero con dei cocci (ostrákois). Dopo che l’ebbero fatta a pezzi membro a membro, cancellarono ogni traccia di lei con il fuoco”. Fu attuata una forma inaudita, violentissima, di ostracismo. “Questo-conclude Socrate Scolasticoprocurò biasimo non piccolo a Cirillo e alla Chiesa di Alessandria ”. Un biasimo santo che si rinnova con il film Agorà. Con l’assassinio di Ipazia si chiuse un’epoca. Oramai i templi degli dèi e della cultura pagana, in primis il Serapeo con le sue biblioteche, erano stati distrutti, oppure snaturati come il Cesario trasformato in cattedrale cristiana, e Alessandria era stata svuotata della sua vita culturale, privata dei suoi studiosi, ammazzati o costretti alla fuga.
g.ghiselli@tin.it

l’Unità 22.4.10
«I rumeni? Tutti stupratori» Un libro ci aiuta a conoscerli e spezzare il pregiudizio
Li demonizziamo e perseguitiamo senza conoscerli. Per rompere il pregiudizio ci aiuta «Romeni», un libro di Alina Harja e Guido Melis che raccoglie le storie di alcuni dei tanti che vivono nel nostro paese.
di Flore Murard Yovanovitch

ROMA. «Romeni delinquenti». Mai stereotipo colpì più violentemente un’intera comunità. Fuori dalla cronaca nera, cosa si sa dei rumeni, del loro Paese d’origine, della loro cultura, di come e dove vivono e di quale lavoro fanno in Italia? Pressoché niente, prima del documentato libro di Alina Harja e Guido Melis Romeni, la minoranza decisiva per l’Italia di domani (Rubettino Editore) che restituisce loro un volto umano e una voce, attraverso una serie di interviste a imprenditori, badanti, giovani e musicisti.
In meno di vent’anni, sono diventati la comunità straniera più numerosa d’Italia: sono 780mila i residenti attuali (erano solo 8000 nel 1990). E, con l’entrata della Romania nell’Ue il 1 ̊ gennaio 2007, cittadini comunitari a tutti gli effetti (una realtà spesso negata). Ma chi sa che detengono il primato delle assunzioni nel lavoro (il 22% di tutti i lavoratori stranieri occupati) e che nella penisola operano ben 20mila imprese romene? Fanno, cioè, vivere interi settori chiave della nostra economia, dall’edilizia all’agricoltura, con un primato nell’assistenza agli anziani; dove non mancano storie di sfruttamento e ricatti dei datori di lavoro, come testimoniato in questo libro. Tanto che dopo il «pacchetto-sicurezza» del 2009, il Governo è stato costretto a inventarsi la sbrigativa regolarizzazione di colf e badanti per prevenire l’emoraggia che un’espulsione di massa sarebbe costata. In un Paese in pieno declino demografico, questi flussi sono inoltre una vera iniezione di giovinezza: per attitudine allo studio e vicinanza della lingua, saranno tra i più integrati dei «nuovi italiani» di domani.
Eppure un muro di ostilità li circonda e l’etichetta romeni=criminali abita le menti (insieme alla diffusa confusione tra romeni e rom). Dall’omicidio di Giovanna Reggiani nel 2007 e il via a un martellamento mediatico, si passa dall’intolleranza alla criminalizzazione: i romeni sono tutti «potenziali stupratori». La rassegna stampa del periodo (uno dei capitoli più interessanti del volume) fa rabbrividire, tanto ha infranto ogni «codice deontologico» giornalistico. Prime pagine accreditano la «propensione a delinquere» che discenderebbe da una «matrice etnico-nazionale»... I connotati negativi diventano dichiaramente razzisti. Come ricorda Luigi Manconi nella sua acuta prefazione, il meccanismo è ampiamente paragonabile alla precedente stigmatizzazione nei confronti di un «soggetto altro e ostile, quello albanese, nel corso di tutti gli anni ’90». L’«ostilità è variabile», ma intanto il «danno d’immagine» inferto è profondo e difficilmente sarà risanabile in una comunità distante dalla politica, frammentata, senza vera rappresentanza (neanche un consigliere comunale a Roma) e tendente a una consolatrice chiusura identitaria.
Dal 2007-2008 quella «psicosi collettiva» ha dettato l’agenda politica, nonché la deriva del nostro ordinamento verso un «diritto d’eccezione». È stata la destra in primis ad aver alimentato a dismisura una campagna di odio, non esitando a cavalcare una presunta «questione romena», ma anche la sinistra ad avere catastroficamente «subito il terreno proposto dalla destra». Basti ricordare che, da sindaco di Roma, Walter Veltroni fu il primo a firmare un decreto volto all’espulsione dei romeni (bypassando pure il diritto di libera circolazione nei territori degli Stati membri)...
Ci vorrà tanto lavoro per risanare questa pericolosa stigmatizzazione di un intero popolo e per costruire una nuova cittadinanza romena. Leggere questo incisivo saggio è un primo passo per conoscere la comunità romena per quello che è.❖

l’Unità 22.4.10
Contro la storia
Graduatorie regionali per i prof, demagogia codarda
di Fabio Luppino

Sostenere oggi le graduatorie regionali per i docenti della scuola è solo demagogia gratuita e anche un po’ codarda. L’idea leghista ha un retroterra razzista. Ma, guarda un po’, se ne parla con convinzione solo ora. Serve a tenere alto il fuoco della pura Padania contro tutti, ma senza fondamento. Grave è l’apertura del ministro ad una soluzione che cozza contro una recente sentenza del Consiglio di Stato, la Costituzione italiana ed europea e qualche mezza dozzina di trattati internazionali.
Con i colpi di accetta inferti dal governo all’occupazione nella scuola le graduatorie regionali sono un’altra inutile provocazione. Dal prossimo anno gli elenchi degli aventi diritto ad incarico saranno quasi inservibili. Proporli su base locale significa semplicemente fare la fotografia dell’esistente. Non si muoverà più nessuno perché non ci sono più posti (a meno che non si voglia cacciare chi già c’è, ma non è residente al Nord). La presunta aspirazione di docenti del Sud a spostarsi a Nord non ha più ragione di essere. Il panorama dell’anno scolastico 2010-2011 è semplice: 25.600 professori senza lavoro e migliaia di perdenti posto (coloro che rimarranno titolari di cattedra ma che non avranno più le 18 ore nella stessa scuola e che progressivamente potrebbero diventare soprannumerari e successivamente titolari senza orario, dopo due anni anche loro licenziabili). L’esito finale dei tagli sull’orario nelle superiori, per tutte e cinque le classi a regime nel 2011-2012.
L’aspetto avvilente della proposta leghista a cui fa sponda il ministro sta nel sovvertimento storico che essa sottende. Lo spostamento dei docenti da Sud a Nord è sempre stata una necessità del Nord. I laureati e abilitati per decine di anni sopra Bologna sono sempre stati in numero insufficiente a coprire il fabbisogno della scuola. È strano come ad autorevoli commentatori, anche di estrazione meridionale, ieri questo particolare sia sfuggito. La Lega si è ben guardata quindici anni fa dal fare una proposta del genere. Non era praticabile. È vero anche che questo spiega quale sia il retroterra socio culturale leghista: una percentuale più bassa di cittadini istruiti. La demagogia attecchisce qui, così come i richiami a martello sulla sicurezza, l’aggressione dell’immigrazione (anche qui con un rovesciamento dell’ordine dei fattori: senza manodopera immigrata il favoloso boom del nordest non ci sarebbe mai stato). Con un’architrave politico culturale che è la difesa del dio denaro a tutti i costi e del proprio giardino adeguatamente staccionato: andate a Ponte di Legno e toccherete con mano la materializzazione dell’ideologia leghista.
Quindi, le graduatorie su base regionale sono fuoco demagogico che si somma ad altrettanto sconsiderato fuoco. Quel populismo che lacera il tessuto civile.❖

mercoledì 21 aprile 2010

l’Unità 21.4.10 Concita De Gregorio: è nelle sale Agorà, il film che narra la storia di Ipazia matematica, astronoma e filosofa lapidata dai cristiani nel 415 dopo Cristo. A decretarne la morte il vescovo Cirillo: una donna, secondo le scritture, non aveva diritto di parola pubblica. Le cavarono gli occhi, fu fatta a pezzi. Andate a vederlo, se potete.

l’Unità 21.4.10
La congiura del silenzio
La vicenda dei preti pedofili sta portando alla luce le coperture messe in atto da alti personaggi della Chiesa. E in Vaticano parte lo scaricabarile
di Filippo Di Giacomo

Mentre a Malta il Papa piangeva, in Spagna i cardinali ridevano. È successo a Murcia, lo scorso fine settimana. Un sito francese aveva pubblicato la lettera con la quale l’allora prefetto della congregazione per il clero, il cardinale Castrillón Hoyos, felicitava il vescovo Pican di Bayeux-Lisieux, perché oltre ad aver omesso di denunciare, aveva addirittura coperto le squallide e reiterate malefatte del prete pedofilo Renè Bissey. Prete e vescovo sono stati condannati dalla giustizia francese, il primo a diciotto anni e il secondo a tre mesi di carcere. La grata lettera dell’allora capo del dicastero vaticano per il clero è del settembre 2001. Già dal maggio dello stesso anno, era stato deciso che spettasse esclusivamente agli uffici del cardinal Ratzinger occuparsi di questo e degli altri casi di abusi sui minori.
Così, via via che le cronache
stanno precisando i termini del problema, è più facile comprendere gli ambiti e le responsabilità di certi personaggi che scaricandole sulle spalle del Pontefice, continuano a negarle per se stessi e per i loro amici. In Vaticano ci si chiede ancora se l’entusiasmo, a dispetto del suo confratello della Dottrina della Fede, allora usato dal cardinale Castrillón Hoyos a favore del delinquente Bissey sarebbe stato identico se questi non fosse provenuto dai ranghi lefevriani. E ci si chiede anche come interpretare un fatto inquietante: il lungo applauso che, contro le puntuali precisazioni vaticane dopo le esternazioni del giorno prima, ha accompagnato a Murcia l’ostinata reiterazione di queste bislacche opinioni. Il cardinale infatti ha aggiunto che fu Giovanni Paolo II ad autorizzarlo ad inviare la lettera al vescovo Pican e a tutti i vescovi del mondo. Sua Eminenza era circondato da un congruo gruppo di suoi confratelli, tra i quali primeggiavano quelli che, come lui, tra i convegni ecclesiali di Medellin e quello di Puebla si erano assunti tutto il piacere delle angherie inflitte all’episcopato e ai teologi conciliari dell’America Latina. E gli era vicino anche quel Joaquín Navarro Valls che nel backstage di Papa Wojtyla non c’è mai stato. E se c’era, nulla ha visto, nulla ha sentito, nulla ha saputo.
Benedetto XVI, durante il pranzo offertogli dai cardinali di curia per il quinto anniversario della sua elezione al Soglio di Pietro, ha detto di sentire «molto fortemente» di non essere solo. E ha ringraziato i porporati. Dal XVI secolo, da quando la Chiesa ha inventato il collegio cardinalizio che ancora conosciamo, i Papi hanno nominato 3000 porporati. Tra questi, 583 sono vissuti nel XX secolo. Giovanni Paolo II, nei suoi otto concistori, ha iscritto nel “club più esclusivo del mondo” duecentouno cardinali e ha legittimato nel “senato del Papa” la presenza di Paesi ai margini della comunità internazionale. E li ha accreditati, nel collegio cardinalizio, con lo stesso rango dei Paesi storicamente cattolici. Ma è stato più uno slancio del cuore che un progetto futuribile. Agli inizi del terzo millennio, i cattolici sono un miliardo e duecento milioni, sparsi in 180 nazioni. Al momento, l’attuale collegio rappresenta 66 Paesi e, se togliamo gli ottantenni, il numero delle nazionalità rappresentate scende a 54. Con gli attuali criteri, i canonisti pensano che un conclave di 500 cardinali potrebbe, forse, produrre una rappresentanza appena appena coerente con le estensioni geografiche e culturali della Chiesa Cattolica, calcolando i porporati impegnati nei vari incarichi della Curia e le possibili defezioni dovute a malattie e a problemi dell’età avanzata.
Certo un simile numero introdurrebbe sullo scenario della rappresentanza e del governo della Chiesa altri gravi problemi, giacché l’istituzionalizzazione in un collegio episcopale di 4.500 vescovi di una quota così elevata di “supervescovi” sarebbe un’evidente alterazione della struttura dogmaticamente egualitaria dell’episcopato cattolico. Come insegnano gli storici della Chiesa, la crescita esponenziale del collegio cardinalizio in epoca post-tridentina è stato uno stratagemma per permettere alla Chiesa di Roma di equilibrare due esigenze connaturali al suo statuto cattolico: la romanità e l’universalità. In via teorica, se il collegio fosse sostituito da altri meccanismi di governo e da altre concezioni della rappresentatività, le istituzioni cattoliche non ne risentirebbero.
A Malta, al momento di pregare per il Papa, sull’altare è salita una bambina di nove anni, sembrava una rappresentazione concreta del concetto cristiano di “angelo”. Ha pregato, a nome di tutti, perché Benedetto XVI «continui ad ascoltare la Parola di Dio con devozione, a meditarla in santità e a testimoniarla con coraggio». Un Papa, una bambina e una preghiera sincera: per immaginare un futuro diverso, basta e avanza.

il Fatto 21.4.10
Altri due preti pedofili trasferiti in Italia I superiori: non ci sono abbastanza prove
di Vania Lucia Gaito

Quattordici abusi accertati. Un risarcimento di 175 mila dollari pagato dal suo ordine, i padri saveriani, a Joe Callander in Massachusetts, molestato più volte e stuprato in almeno tre occasioni quando aveva 14 anni.
L’accordo con i saveriani doveva essere mantenuto segreto, ma quando Joe si è trovato tra le mani il bollettino ufficiale del centro missionari e ha visto le foto dell’uomo che aveva abusato di lui, ritratto sorridente in mezzo a bambini indios seminudi, non è riuscito a tacere, a mantenere il silenzio. Lui è padre Mario Pezzotti, 75 anni, sacerdote italiano operante negli Stati Uniti per molti anni e poi in Brasile. Gli abusi su Joe Callander risalgono al tempo in cui il prete lavorava in una scuola dell’ordine dei saveriani, in Massachusetts, nel 1959. Dal 1970 al 1993, padre Pezzotti fu inviato in una missione in Amazzonia a venti ore di pullman da Belem. A Joe scrisse una lettera di scuse: “Ho chiesto di lasciare Holliston e di andare in Brasile per cambiare e ricominciare una nuova vita. Arrivato in Brasile, confidando nella grazia di Dio, ho risolto il mio problema. Con l’aiuto divino, l’ho sconfitto”.
Quando poi Joe Callander vide le foto del sacerdote, sorridente in mezzo ai bambini, indignato scrisse all’ordine dei Saveriani, i quali prontamente rimpatriarono negli Stati Uniti il sacerdote, sebbene dal Brasile non siano mai arrivate accuse contro di lui. Dagli Stati Uniti fu poi trasferito nel 2003 in Italia, a Parma, dove vive tuttora. Lavora presso la casa madre dei Saveriani, prendendosi cura dei sacerdoti anziani o ammalati. Il vicario generale dell’ordine assicura che Pezzotti non ha nessun contatto con i bambini. Tuttavia, da più parti arriva la richiesta di una riduzione del sacerdote allo stato laicale. “Come associazione” ha dichiarato Massimiliano Frassi, presidente di Prometeo, “chiediamo che, in un momento storico particolare come questo, don Pezzotti sia rimosso da ogni incarico pastorale e ridotto allo stato laicale. È impossibile per noi pensare che un soggetto simile possa rappresentare Dio tra gli uomini”.
La stessa richiesta di riduzione allo stato laicale arriva per Vijay Vhaskr Godugunuru, sacerdote indiano trasferito in Italia. Il 23 giugno 2006, mentre il sacerdote era negli Stati Uniti, dove prestava la propria collaborazione alla parrocchia della Santissima Trinità, a Bonifay, in Florida, abusò di una ragazza di 15 anni. Rischiava fino a cinque anni di reclusione, ma preferì patteggiare. I termini del patteggiamento prevedevano il rientro immediato in India, interdizione dalla curatela dei minori per un anno, obbligo di sot-
toporsi a cure psichiatriche e l’assoluto divieto di ritornare negli Stati Uniti. Il sacerdote fu prima trasferito in India e in seguito fu spostato in Italia, in un paesino di 4mila anime in Toscana, dove confessa, celebra messa e lavora a contatto con i bambini. I suoi superiori hanno dichiarato all’Associated Press di essere a conoscenza dei trascorsi del sacerdote, che però si è sempre professato innocente e “gode della stima di tutti”. Il vescovo di Montepulciano, monsignor Rodolfo Cetoloni, sostiene che le prove a carico di Vijay Vhaskr Godugunuru non supportano l’accusa, e nei confronti del sacerdote non sono stati presi provvedimenti di carattere canonico. Il sacerdote asserì sempre che fosse stata la ragazza a prendere l’iniziativa, e come spesso accade la comunità locale si divise. La madre della ragazza scrisse perfino a Benedetto XVI: “La mia famiglia, così come anche altre, è stata costretta ad abbandonare la chiesa. Proprio mentre la nostra fede, e la nostra fiducia nella chiesa, venivano maggiormente messe alla prova, il nostro parroco ha scelto la strada del silenzio... A peggiorare le cose, mia figlia viene attaccata mentre lui resta seduto a guardare. Questo è il problema peggiore che la mia famiglia si sia mai trovata ad affrontare, Padre, ci aiuti. Ci ricordi nelle sue preghiere, preghi perché mia figlia guarisca”. Il Papa non ha mai risposto.
Il legale della famiglia contattò anche mons. Mosè Doraboina, il vescovo di Cuddapah, la parrocchia indiana da cui proveniva il sacerdote, chiedendo se in passato vi fossero state altre denunce o accuse di abusi. “Non abbiamo ricevuto mai alcuna risposta” afferma la madre della ragazza. “E non mi aspetto di riceverne”.

Repubblica 21.4-10

"Coprì alcuni preti pedofili" cacciato il vescovo di Miami
Linea dura di Ratzinger, si "dimette" Favalora
di Marco Ansaldo

Nel 2002 si trovò a gestire le accuse contro 45 sacerdoti e un prelato che molestò una donna
Il Papa ha preferito sostituirlo, ma fu il prelato a mettere al bando i Legionari di Cristo

CITTÀ DEL VATICANO - Il caso pedofilia nella Chiesa fa saltare un´altra testa nelle alte sfere del clero. Si è dimesso ieri, ufficialmente per motivi di salute, il vescovo di Miami, monsignor John C. Favalora. Dimissioni arrivate con otto mesi di anticipo rispetto alla scadenza naturale di 75 anni, età consueta di pensionamento per un porporato. Benedetto XVI ha accettato la lettera, e già nominato il suo successore, monsignor Thomas G. Wenski, proveniente da un´altra diocesi americana.
Nel 2002, negli Stati Uniti, durante la prima ondata dello scandalo pedofilia, il vescovo Favalora si trovò a gestire le accuse contro 45 preti della sua diocesi. Non mancarono le critiche per il suo operato, con l´accusa di aver coperto alcuni sacerdoti e anche un prelato che molestò una donna.
Favalora non ha mai ammesso le proprie responsabilità, e si è infine dimesso in base al secondo comma dell´art. 401 del codice di Diritto Canonico, che prevede ragioni di salute o gravi impedimenti. Il vescovo, che ha al momento 74 anni, aveva chiesto alcuni mesi fa al Papa di essere affiancato da un coadiutore con diritto di successione. Il coadiutore sarebbe poi subentrato al compimento del 75esimo anno, quando all´arcivescovo di Miami sarebbe stato possibile dare le dimissioni per ragioni di età. Ma il Vaticano, nella linea della tolleranza zero annunciata da Benedetto XVI, ha deciso di tagliare corto. Ratzinger, sull´onda delle polemiche internazionali per lo scandalo pedofilia, e nello spirito di severità esposto nelle sue dichiarazioni, ha preferito sostituirlo direttamente.
Favalora fu, comunque, uno dei primi vescovi ad adottare le nuove linee-guida invocate dalla Conferenza episcopale americana contro la pedofilia. A tal punto si spinse la sua azione che lo scorso ottobre fu criticato per aver autonomamente messo al bando, nella sua arcidiocesi, i Legionari di Cristo e il Movimento Regnum Christi, oggi sottoposti dal Papa a visita apostolica dopo che è emersa la doppia vita del loro fondatore, Marcial Maciel. Un passo che giunse prima di una eventuale decisione della Santa Sede sui Legionari, e che formalmente deve ancora arrivare anche se numerose testimonianze parlano di un probabile commissariamento del movimento. Maciel, il religioso messicano che morì nel 2008 e che aveva avuto figli da diverse donne finendo denunciato per stupro, si era rifugiato nell´ultimo periodo della sua vita proprio a Miami, dopo che il nuovo Papa aveva riaperto le inchieste contro di lui e, non potendolo processare perchè troppo malato, gli aveva proibito di continuare il ministero, compresa la possibilità di celebrare.
Monsignor Favalora, mettendo i Legionari al bando - da ottobre 2009 non possono esercitare alcun ministero nel territorio dell´arcidiocesi - si era dunque mostrato molto severo con l´organizzazione sotto accusa. Già prima di questa decisione, peraltro, il presule era finito nel mirino dei tradizionalisti per aver tollerato alcune violazioni liturgiche nella sua stessa cattedrale.
Solo la scorsa settimana, il 16 aprile, aveva affrontato estesamente il problema della pedofilia in un articolo pubblicato sul sito della sua diocesi. «Il processo di ammettere la propria peccaminosità è doloroso - aveva scritto - e i vescovi europei faranno quel che hanno fatto i vescovi negli Usa: introdurre politiche di tolleranza zero per chi abusa».

Repubblica 21.4-10

Dopo che la congregazione ha riconosciuto gli abusi del fondatore Maciel si va verso il commissariamento
Inchiesta sui Legionari di Cristo dagli Usa accuse a Sodano e Dziwisz
di m. ans.

Probabile la sostituzione dell´attuale gruppo dirigente: deciderà Benedetto XVI

CITTÀ DEL VATICANO - La scure vaticana sta per abbattersi nelle prossime ore sui Legionari di Cristo. Per il potente gruppo fondato dal religioso messicano Marcial Maciel Degollado, morto nel 2008, il quale abusò sessualmente di seminaristi minorenni, concepì figli illegali e mise in atto «altri gravi comportamenti» - come ha accertato una commissione della Santa Sede - l´ipotesi che viene fatta è quella del commissariamento e forse della sostituzione dell´attuale vertice dirigente.
L´influente movimento assurto in pochi decenni a potenza mondiale della Chiesa cattolica attende con timore il suo destino. Dopo una prima fase ispettiva terminata a marzo, e compiuta da cinque vescovi incaricati di compiere una visita apostolica tra la Legione - i monsignori Giuseppe Versaldi, Ricardo Blazquez, Charles J. Chaput, Ricardo Ezzatti e Ricardo Watty - vista la valutazione del segretario di Stato, Tarcisio Bertone, si attende ora la decisione finale che spetta al Papa. Fin dall´inizio del suo magistero Benedetto XVI è sempre stato molto critico con questo gruppo. I cinque visitatori hanno consegnato in Segreteria di Stato rapporti distinti e leggermente divergenti tra loro. Come diverse sono le opinioni sulla proposta finale. Il commissariamento è la soluzione più probabile. «La maggior parte dei legionari sono incolpevoli e la visitazione è stata compiuta per aiutare la congregazione a uscire dalla crisi», spiegano in Curia.
L´ipotesi ulteriore è quella della sostituzione dei vertici. Anche se di recente, in alcune dichiarazioni fatte da due sacerdoti usciti dal movimento e ora facenti parte dell´arcidiocesi di New York, i padri Richard Gill e Thomas Berg, gli stessi fuoriusciti hanno difeso gli attuali dirigenti esprimendo dissenso sull´esito prospettato per l´attuale gruppo alla testa della Legione. Gill e Berg hanno preso le difese dell´effettivo numero uno, il vicario generale dei Legionari, Luís Garza Medina. «La nostra esperienza personale - hanno affermato - è stata che padre Garza fu limpido e corretto fin dall´inizio circa i problemi generati dagli scandali di Maciel. Fu Garza che compì indagini su Maciel una volta che gli apparve chiaro che la censura vaticana del 2006 su Maciel era ben fondata, e portò i fatti allo scoperto». Una difesa che si estende al direttore generale, padre Álvaro Corcuera, di cui viene riprodotto un discorso in cui il prelato afferma che alla sua nomina nel 2005 neppure immaginava la doppia vita del fondatore, oggetto della successiva condanna vaticana.
La rivista americana National catholic reporter ha anche puntato il dito su quelle che definisce «le coperture vaticane» di padre Maciel, facendo i nomi del cardinale Eduardo Martinez Somalo, ex prefetto della Congregazione per i Religiosi, monsignor Stanislaw Dziwisz, segretario personale di Giovanni Paolo II, e dell´ex Segretario di Stato vaticano Angelo Sodano. E mentre Wojtyla è criticato per aver chiuso un occhio sul movimento, è noto invece quanto l´allora cardinale Ratzinger non fu per nulla tenero con il fondatore dei Legionari e, divenuto Papa, costrinse Macial alla vita ritirata e di pentimento. Per Sodano, il blog della rivista dei gesuiti americani America ha addirittura chiesto le «dimissioni».
Pochi giorni dopo la conclusione della prima fase ispettiva, la congregazione ha riconosciuto pienamente in una nota le accuse fatte al proprio fondatore. I Legionari di Cristo e l´associazione laicale Regnum Christi hanno adesso affermato di attendere «con obbedienza filiale» le indicazioni del Papa.
(m. ans.)

il Riformista 21.4.10
Parla il sacerdote del Massachusetts che chiede le dimissioni di Benedetto XVI
Padre James Scahill. Trentasei anni di tonaca e il rispet- to dei parrocchiani. Bisogna «ammettere che c’è stata una copertura dei casi di preti pedofili per evitare lo scandalo».
di Anne Smith Fitzgerald
qui
http://www.scribd.com/doc/30267457/il-Riformista-21-4-10-p13

Repubblica 21.4-10
Italia 2020, rivoluzione in famiglia
"Un figlio su due fuori dalle nozze"
di Maria Novella De Luca

Nasceranno fuori dal matrimonio ma saranno amatissimi lo stesso. Un bambino su due, nei prossimi dieci anni, sarà concepito da genitori non sposati. L´Italia di domani sarà così, la nuova radicale trasformazione della famiglia è già in atto ma corre più veloce del previsto, e rischia di far saltare tradizioni consolidate e ordinamenti giuridici.

Già oggi oltre il 20% dei bambini ha genitori non sposati. E in dieci anni il fenomeno raddoppierà "Più evidente al Nord, ma non sarà la fine del matrimonio", spiega il demografo Alessandro Rosina

Già oggi nel nostro paese il numero dei "figli naturali", così definiti in modo arcaico per differenziarli dai "figli legittimi" venuti al mondo all´interno del matrimonio, supera il 20% di tutte le nascite. Con una fortissima accelerazione negli ultimi anni, basti pensare che nel 2000, secondo le tabelle dell´Istat, i bimbi di coppie non sposate erano poco più di 50mila, e nel 2007 circa 117mila. Una velocità di cambiamento che porterà, secondo una proiezione statistica realizzata da Alessandro Rosina, docente di Demografia all´università Cattolica di Milano, ad uno scenario per cui nel 2020 in Italia una nascita su due avverrà fuori dal matrimonio. Un dato lontano dalle previsioni inglesi, dove l´Ons, Office for National Statistics, calcola che nel 2014 addirittura il 75% dei neonati vedrà la luce fuori dal matrimonio, ma che per il nostro paese è davvero sintomo di un cambiamento profondo.
«Sono il primo ad essere rimasto sorpreso quando ho calcolato l´attuale curva di crescita delle nascite extranuziali e l´ho proiettata nei prossimi dieci anni - spiega Alessandro Rosina - ma il dato che emerge è che nel 2020 oltre il 50% dei bimbi avrà genitori non sposati. Il cambiamento sarà all´inizio più evidente nelle regioni del Nord, ma entro il 2025 sarà totale anche al Sud, dove comunque il matrimonio resiste ancora. E questo porterà ad una radicale trasformazione della famiglia, tenendo conto che è soltanto dalla metà degli anni Novanta che in Italia la nascita di un bimbo fuori dalle nozze è diventato fatto comune e accettato...». Questo però non significa affatto la fine del matrimonio come istituzione. Perché, aggiunge Rosina, quello che sta succedendo è che le coppie scelgono di sposarsi "dopo". Ossia dopo aver convissuto, e soprattutto dopo aver messo al mondo un figlio. «Le nozze non sono più le fondamenta di una famiglia, ma sono in un certo senso il tetto. Arrivano cioè quando la coppia si sente salda, da fidanzati ci si trasforma in genitori e si sente il bisogno di dare stabilità alla propria unione e ai propri eredi. Allora, ma soltanto allora, si regolarizza l´unione».
Al di là infatti dei mutamenti culturali, la realtà è assai più complessa. A cominciare dal lessico, che ancora divide i bambini tra figli legittimi e figli naturali, come avverte Paola Di Nicola, docente di Sociologia della Famiglia all´università di Verona. «Se questi sono i numeri - dice Paola Di Nicola - ed è probabile a giudicare dalle nascite in coppie di fatto, è evidente che si dovranno trovare delle forme di tutela per famiglie di questo tipo. Dove i rischi, ci tengo a dirlo, non sono tanto dei bambini, quasi del tutto equiparati ai figli legittimi, ma del coniuge spesso più debole, ossia la donna. Che non è affatto tutelata in una convivenza, non ha alcun diritto sull´eredità del compagno, sulla pensione o altro. Non credo però che abbia senso equiparare sul fronte dei diritti una coppia di fatto ad un matrimonio: allora è come se fossero tutti sposati. Dal mio punto di vista credo che si enfatizzi il rifiuto del matrimonio: se infatti anche la famiglia di fatto cerca oggi una tutela giuridica perché rifiutare il matrimonio, che nella sua forma civile è, di fatto, un contratto?».
Un contratto denso di simboli però. E di certo qualcosa dovrà cambiare. Perché sul fronte bimbi ad esempio, non tutto è compiuto. I figli naturali quando nascono hanno vincoli di parentela soltanto con i propri genitori e i nonni. Non acquisiscono invece zii e cugini. E se la mamma e il papà si separano di loro non si occupano i tribunali ordinari, ma il tribunale per i minori. Insomma non è così "uguale" per la legge nascere legittimi o naturali.

Repubblica 21.4-10

Il patto tradito nelle università
di Adriano Prosperi

Si parla di fallimento e di chiusura di alcune università nell´indifferenza generale. Ne ha scritto Giuliano Amato in un inciso di un articolo apparso su un quotidiano. Amato è uno degli ultimi presidenti del Consiglio che è anche un professore universitario: l´ultimo, per la cronaca, è stato Romano Prodi. Nel passaggio dal Professore al Cavaliere si è compiuta una rivoluzione silenziosa nella composizione del governo e più in generale in quella della cosiddetta classe politica : se in passato la categoria dei professori universitari è stata presente in forze in Parlamento, se al rito del giuramento di fedeltà alla Costituzione il titolo che sentivamo ripetere era quello di Professore subito dopo quello di Onorevole, oggi nei palazzi romani troviamo un corpo di professionisti della politica che nel complesso viene da tutt´altra esperienza e da altri mestieri. Sarà forse anche per questo che «la gente» si sente meglio rappresentata, come si tende a pensare: c´è sempre qualche opinionista pronto a dare un segno positivo alle cose peggiori se questo può far piacere ai vincitori del momento.
Ma intanto «la gente» ha appena scoperto sulla sua pelle di avere eletto dei pubblici amministratori - o Governatori come si dice oggi - che sproloquiano su pillole e aborto senza avere la minima idea delle leggi che dovrebbero applicare. E comunque converrebbe a tutti porsi la domanda se il mondo del futuro che si prepara in Italia con l´abbandono alle ortiche degli studi universitari vada o no d´accordo con l´evoluzione del mondo che ci circonda e quale futuro si prepara così ai giovani.
Oggi il detto dell´antico senso comune «val più la pratica che la grammatica» si è adeguato ai tempi ed è stato tradotto nel disprezzo per gli studi «puri», quelli che non portano soldi. Ne sanno qualcosa i frettolosi potatori dell´albero accademico delle discipline e gli inventori di nuovi corsi di laurea. Intanto nessuno presta attenzione al disegno di riforma dell´università partorito dagli esperti di un ministero che non ha neanche più un professore alla sua guida. Non sembra che ad Arcore tra Bossi e Berlusconi la questione abbia avuto un qualche spazio. Né si trova da nessuna parte dei tanti luoghi della politica, dalle segreterie dei partiti alle vecchie e nuove fondazioni create dai leader di correnti e di movimenti una qualche attenzione più che epidermica al futuro che giorno dopo giorno prende forma nella scuola e nell´università: che è quanto dire il futuro dei giovani di oggi, il volto dell´Italia di domani. Eppure quel futuro è già scritto: è scritto nella trasformazione già in atto che va uniformando l´università alle direttive della maggioranza di governo; ed è scritto nel progetto di riforma universitaria pronto al varo. Intanto una vasta rivoluzione investe la composizione del corpo docente. Qui si svolge l´uscita di scena dei vecchi titolari mentre dietro di loro si avanzano figure indistinte e si crea soprattutto un vuoto che nessuno può o vuole colmare. Ai professori di ruolo anziani è stato chiesto di accettare un patto tra generazioni lasciando in anticipo la cattedra in cambio dell´apertura di posti per i giovani.
Chi ha accettato quel patto ha scoperto che non funziona. Lo scrivente può affermare per diretta esperienza che sulla cattedra da lui appena lasciata non si è aperta nessuna possibilità per nessun giovane esperto della materia. E gli studenti che frequentano i corsi sanno che nel vuoto che si allarga sempre più si creano situazioni grottesche: insegnamenti affollati tenuti a titolo gratuito e volontario da persone ingaggiate casualmente che vivono di speranze e di mezze promesse. La casualità del fenomeno non toglie che, nel vasto continente delle generazioni bruciate che da tempo ci lasciamo alle spalle nell´Università, si avanzino timidamente in tal modo persone che hanno tutte le carte in regola dal punto di vista della preparazione. Ma sul meccanismo in sé è lecito avere dei dubbi.
Che cosa si direbbe se a Termini Imerese abbandonata dalla Fiat le automobili venissero fabbricate gratuitamente e volontariamente da operai improvvisati? Chi comprerebbe a occhi chiusi quelle macchine? Intanto nell´Università quel poco che si muove va avanti a spizzico nel meccanismo dei concorsi. Si è dato il via ad alcuni, pochi, concorsi da tempo in attesa, modificando il meccanismo di formazione delle commissioni giudicatrici. È stato introdotto il sorteggio per correggere il sistema grazie al quale si sapeva fin dall´inizio chi era destinato a vincere deducendolo dal nome del docente e dal luogo del concorso. Ma si è dimenticato di riaprire i termini per la presentazione delle candidature, per cui le nuove o parzialmente rinnovate commissioni di tipo parzialmente «casual» si troveranno a giudicare solo i candidati autoselezionatisi in previsione dell´esito allora certo. Magari i migliori sono rimasti fuori, per non perdere tempo e soldi in un concorso fasullo. Il che dimostra che se si vuole cambiare un corpo complesso e delicato come quello della docenza universitaria bisogna pensarci bene ed evitare provvedimenti casuali e distratti accanto a laboriose costruzioni di regolamenti per «valutare» meriti di candidati ridotti dalla disoccupazione dall´emigrazione dei migliori a essere i buoi di una stalla in svuotamento. Ma dicevamo del progetto di riforma.
Quel progetto prevede l´apertura degli organi di governo dell´ateneo a persone rappresentative dell´economia e della società locale. Il che vuol dire affidare a commercianti, artigiani e industriali la decisione se si debba studiare la papirologia piuttosto che l´economia aziendale, l´etruscologia invece delle scienze del turismo.
Non ci sarebbe niente di male in questo se la storia e la cultura di questo Paese e dell´intera Europa occidentale non ci avvertissero della scarsa o nessuna propensione del mondo degli affari e della produzione a occuparsi dell´Università: che da noi, e specialmente in Italia, è cosa che si lascia da sempre allo Stato, così come la salute. L´americanizzazione che si sta preparando a tappe forzate in Italia per l´intero sistema politico e per le funzioni statali promette anche in questo caso di avvicinarci non al modello degli Stati Uniti ma ai peggiori fra quelli dell´America latina. Immettere nel governo dell´Università esponenti del mondo della produzione e degli affari è una delle tante scimmiottature di un Paese radicalmente diverso dal nostro che governi di centro sinistra e di centro destra continuano a proporci. Eppure quanto sia grande la differenza basterebbe a ricordarcelo la violenza delle polemiche e delle resistenze che si sono scatenate negli Stati Uniti davanti al progetto di riforma dell´assistenza sanitaria del presidente Obama.
Nella società americana il principio del fare da sé e del non chiedere nulla allo stato fa parte della più radicata cultura dell´individualismo protestante e dello spirito della frontiera. È da quella radice che è nato un mondo dove gli studi come via fondamentale per la promozione dei migliori e per la crescita complessiva del Paese hanno un posto centrale. Il sogno americano è quello di diventare presidente come strada aperta a chiunque: una strada sulla quale si muove il primo passo quando i genitori progettano il futuro del figlio che nasce mettendo da parte i soldi per la scelta dell´università. Oggi quel sogno si è incarnato nella storia di un uomo, l´attuale presidente Obama: ed è per questo, perché qui si incontrano esperienza personale e sentimento collettivo che nella sua campagna elettorale così come nella sua attività di governo il principio della qualità degli studi ha avuto e continua ad avere un posto centrale. Ed è per questo che negli Stati Uniti i lasciti alla propria «alma mater» insieme a quelli alle collezioni pubbliche d´arte e alle biblioteche fanno parte dell´etica civile.
Da noi l´università statale a basso costo e il titolo della laurea uguale per tutti hanno prodotto la proliferazione localistica e l´abbassamento della qualità degli studi, perché il sogno italiano è quello del titolo di «dottore», così importante che a Roma non lo si nega a nessuno. E quasi nessun industriale, nessun banchiere, nessun professionista, nessuno dei tanti nuovi ricchi che affollano i campi di calcio si sognerebbe di fare donazioni all´università. Il risultato è quello di una regressione culturale prevedibile, anzi già in atto. Ma è anche e soprattutto quello della sparizione dall´orizzonte dei giovani della stella che dovrebbe essere più luminosa: la speranza nel futuro, la fiducia nel mondo che li aspetta.

il Fatto 21.4.10
Scelte singolari Bonino resta in Senato: “Più utile”

Emma Bonino ha annunciato che resterà in Senato e rinuncerà a guidare l’opposizione della Regione Lazio. Scelta singolare da parte della candidata del centrosinistra che ha perso le elezioni per una manciata di voti. Ancora più singolari le motivazioni: “Gli obiettivi che mi ero data e cioè Lazio regione europea e non Lazio che fa alleanze con le regioni del Sud Italia, come dice la Polverini, ma anche il tema della legalità e delle regole credo siano più perseguibili con una triangolazione che prevede che io resti al Senato lavorando con i due consiglieri radicali che sono in Regione”. Insomma, secondo la Bonino la sua non sarebbe una scelta rinunciataria. Viceversa è convinta di essere più utile alla Regione da lontano. Possibile crederle? Lei dà appuntamento “tra un anno o due per vedere se ho rispettato gli impegni”.

l’Unità 21.4.10
Il decreto della discordia La lirica sulle barricate
di Luca Del Fra

Il decreto sulle fondazioni liriche è arrivato nel tardo pomeriggio di ieri al Quirinale. Bondi ha dovuto correggerlo perché il testo approvato dai ministri venerdì ha fatto arrabbiare tanti. Anche nella maggioranza.

Un decreto fantasma come il Vascello di Wagner, poiché non si conosce il contenuto, ma che non citerebbe più la Scala e Santa Cecilia; una selva di archetti in rivolta contro il ministro Sandro Bondi, latore del decreto stesso; un deus ex machina, che prende le sembianze del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ancora una volta tirato per la giacchetta nell’agone politico.
Il decreto sulle fondazioni lirico-sinfoniche – i nostri maggiori teatri d’opera dalla Scala al Maggio fiorentino, dal San Carlo al Regio di Torino -, approvato venerdì scorso in consiglio dei ministri, sta causando un pandemonio al punto che, viste le proteste perfino nella stessa maggioranza, il testo è stato pesantemente riscritto prima di arrivare, ieri nel tardo pomeriggio, a Napolitano. Sarebbe composto da sette articoli non cita, com’era invece venerdì, la Scala e Santa Cecilia. Al presidente fanno appello l’opposizione, sindaci e sindacati, musicisti e sovrintendenti, perché non firmi un testo dove molti ravvisano profili d’incostituzionalità. A cominciare dalla presunta urgenza, che giustificherebbe l’uso stesso del decreto per risolvere i problemi dei maggiori teatri italiani, anche se gli effetti, stante la prima stesura, si vedrebbero almeno tra un anno. S’aggiunga che il ministro delle attività culturali Bondi si arrogherebbe il diritto di modificare leggi che disciplinano lo spettacolo con dei semplici regolamenti. E ancora: almeno il testo del 15 aprile, avverte Silvano Conti della Cgil, «modifica lo statuto dei teatri “di interesse nazionale” facendo sì che conti chi mette più soldi». Anche un privato, dunque. Il provvedimento nascerebbe per far
fronte alla crisi delle fondazioni lirico-sinfoniche, afflitte da pesanti deficit, ingrossati annualmente da passivi di bilancio: una evidente conseguenza dei tagli alla cultura di questi anni, in particolare dei governi quelli di centrodestra.
Il progetto del governo è far pagare le spese ai lavoratori, senza entrare minimamente nel merito del perché i nostri teatri, o almeno la maggior parte, funzionino male. Per indorare la pillola, inizialmente ne erano stati salvati due, la Scala e Santa Cecilia, causando le reazioni nervose degli altri sovrintendenti con la singolare l’eccezione di Marco Tutino del Comunale di Bologna – oltre che dei sindaci delle rispettive città, ma con gioia del sindaco milanese Letizia Moratti e del sovrintendente scaligero Stéphane Lissner. E contro le critiche venute dal neogovernatore toscano Rossi e dal sindaco fiorentino Renzi (entrambi Pd), Bondi reagisce dicendo che oggi pubblica oggi sul sito del ministero i bilanci dei teatri: quando accadde un anno e mezzo fa, molti sovrintendenti si infuriarono definendo quei numeri inattendibili.
COLPIRE I LAVORATORI
I sindacati hanno reagito compatti contro la divisione dei teatri in serie A e serie B e, per la prima volta da quando è sovrintendente alla Scala, Lissner si è trovato in contrasto con il sindacato. Se il provvedimento sarà firmato, inizieranno due mesi di scioperi a oltranza che faranno saltare tutte le rappresentazioni, e i sindacati minacciano anche di occupare i teatri. Oltre a colpire i lavoratori, anche se non ufficialmente il decreto commissaria tutti i teatri, spogliando regioni, enti locali e i privati di ogni reale funzione, demandando la trattativa dei contratti all’Aran, l’agenzia del pubblico impiego. Un’iniziativa del genere fu tentata nel ’95 quando i teatri erano enti pubblici, ma l’Aran dichiarò la propria scarsa competenza in una materia come il contratto di un musicista d’orchestra o di un tecnico di palcoscenico: oggi il risultato è che così si ritrasformano i teatri in enti pubblici. Anche più preoccupante appare abrogare una serie di articoli della legge 800/67 che sancisce, in ossequio alla Costituzione, che lo Stato finanzia la cultura: cosa che evidentemente non interessa affatto né l’attuale governo, né tanto meno Bondi.

Repubblica 21.4-10
Ieri a Milano la serata dedicata alla filosofa e al film
Umberto Eco, ipazia e Benedetto XVI

MILANO. Umberto Eco e Vito Mancuso contro Papa Ratzinger. L´occasione è il dibattito su Agora, il film di Alejandro Amenàbar (nelle sale da venerdì) dedicato a Ipazia, la scienziata filosofa del IV secolo d.C. assassinata da una setta di fanatici cristiani. Loro cattivo maestro, se non mandante dell´omicidio fu il vescovo Cirillo, poi fatto santo e Padre della Chiesa. Ma Benedetto XVI, ricorda con triste ironia il teologo Mancuso, quando tre anni fa celebrò in udienza generale la figura di Cirillo, non trovò altre che queste laconiche, reticenti parole: «Governò per 32 anni con grande energia…». Alla faccia dell´energia, incalza Eco: «È come se uno storico rievocando Pio XII ignorasse il suo controverso atteggiamento nei confronti dell´Olocausto».
Trecento persone affollano la Sala delle Colonne della Banca Popolare di Milano. Molti sono rimasti fuori. Introduce Giancarlo Bosetti, direttore di Reset: «Da laico, dico che tutte le religioni hanno un versante violento, maligno, fanatico. Quello di cui fu vittima Ipazia». Tra i relatori, Franco Tatò, presidente di Mikado (distribuisce il film in Italia), la classicista Eva Cantarella, la medievalista Maria Teresa Fumagalli. Eco ricorda la "fortuna critica" di Ipazia: divise il mondo antico, fu dimenticata nel Medioevo, risorse nell´Ottocento illuminista come cavallo di battaglia dei laici anticlericali, martire del libero pensiero protofemminista: «Anche per questo il mondo cristiano l´ha cancellata, il che è sbagliato. Ma forse anche i laici hanno esagerato nel volerla trasformare in una specie di Giordano Bruno». Il film, avverte Eco, «è bellissimo, a dispetto di numerose licenze e anacronismi». Un esempio? «E´ estremamente improbabile che Ipazia abbia potuto pensare alla ellitticità delle orbite planetarie tanto tempo prima di Keplero e dell´invenzione del cannocchiale». Ancora Eco, sull´incontro-scontro, nel film, tra il prefetto Oreste e il vescovo Cirillo: «Oreste è cristiano, ma da laico rifiuta di inginocchiarsi di fronte a Cirillo. Vi invito a osservare questa scena ripensando alla storia politica italiana del dopoguerra, all´atteggiamento di De Gasperi nei confronti della Chiesa». Sottinteso: e alle odierne genuflessioni di tanti politici cattolici e atei devoti. Anche Mancuso loda il film, ma ne critica gli eccessi ideologici: «Sembra costruito sulla tesi che tutte le religioni sono intolleranti». Replica il regista: «È pieno di licenze storiche, questo è vero. Ma non è antireligioso. Il messaggio è un altro: come la ragione possa essere distrutta dal fondamentalismo».

il Riformista 21.4.10
Ripensare Darwin è impossibile senza conoscerlo
Fodor & Piattelli-Palmarini. Sbarca oggi in Italia il controverso saggio dei due studiosi. Tentativo fallito di una prospettiva eterodossa alla teoria dell’evoluzione: il risultato è confuso, maldestro e pieno di inesattezze.
di Giorgio Manzi
qui
http://www.scribd.com/doc/30267452/il-Riformista-21-4-10-p17

Terra 21.4.10
Energie alternative Ritorno al futuro
di Federico Tulli
qui
http://www.scribd.com/doc/30252022/Terra-21-4-10-p10

Terra 21.4.10

Il dramma dell’affetto
di Francesca Pirani
qui
http://www.scribd.com/doc/30252018/Terra-21-4-10-p12