martedì 11 maggio 2010

Agi.it 10.5.10
CINEMA: BELLOCCHIO MERCOLEDI' AL VIEUSSEUX, CINEMA POTERE PSICOSI
Roma, 10 mag. - E' il suo momento d'oro: vinto il David di Donatello 2010 come migliore regia con il film 'Vincere', Marco Bellocchio mercoledi' prossimo incontra, nel prestigioso Gabinetto Vieusseux di Palazzo Strozzi a Firenze, il pubblico sul tema 'Cinema, Potere e Psicosi'. L'incontro, promosso dal Gabinetto Vieusseux con la Scuola dottorale in Storia dello Spettacolo dell'Universita' e' ispirato, si legge in una nota, alla vicenda raccontata nel film della relazione fra Benito Mussolini e Ida Dalser e prevede la partecipazione dello storico del cinema Sandro Bernardi e dello psichiatra Stefano Pallanti. "Vincere non e' solo un film sulla Storia d'Italia, ma e' anche e soprattutto un film sull'essenza del fascismo, sia storico che metastorico, ovvero sui micropoteri che reggono la societa' moderna - recita la nota - fra cui e' incluso il potere erotico: la seduzione sessuale come strumento di dominio". Infatti, 'Vincere', e' un film sulla donna: la storia di una donna "plagiata e distrutta da un uomo che aspira solo al potere".
Melodramma e storia convergono cosi' in una sintesi enigmatica: "la seduzione di una persona e la follia di un popolo", prosegue la nota. Nella prima parte, "la seduzione e il plagio della protagonista Ida Dalser sono collegati a un rapporto erotico con un Mussolini giovane, che pero' potrebbe essere un qualunque uomo aspirante al potere (questo l'aspetto melodrammatico, universale). Nella seconda parte, l'unica lotta che la Dalser riesce a sostenere, e' la rivendicazione di essere riconosciuta come moglie del Duce e madre di suo figlio. Interamente plagiata, privata di ragioni e di argomenti, non sa fare altro che rivendicare questo plagio. La sua chiusura in manicomio rievoca il tema bellocchiano della strega (Il diavolo in corpo, 1986; La visione del sabba, 1987), anticamente donna scandalosa e dannata, poi trasformata in isterica nell'800, e successivamente in donna moderna dalla sessualita' mitica e dirompente. Le scene del coito, immerse nell'oscurita', fanno pensare a una donna presa da un demone, e anche la fotografia di Daniele Cipri' fa brillare gli occhi di Mussolini di una luce diabolica. Nella seconda parte Mussolini scompare dietro una cortina di immagini di repertorio (questo e' il lato storico del film, con i cinegiornali Luce). Ma il demoniaco rimane. Come il diavolo spariva dietro una cortina di fumo, anche Mussolini, dopo avere sedotto la Dalser, scompare dietro una cortina di immagini". Il film Vincere! ha ricevuto numerosi riconoscimenti alle premiazioni del David di Donatello 2010, tra cui quello per la miglior regia a Bellocchio. (AGI) Pat

Corriere della Sera 3.4.95
Psicoanalisi e fascismo: un episodio inedito
"All' eroe della cultura Mussolini Con rispetto, Sigmund Freud"
di Massimo Ammaniti

Nel libro Freud e la ricerca psicologica (a cura di R. Canestrari e P. Ricci Bitti, ed. il Mulino), c' e' da segnalare un episodio poco noto raccontato nel capitolo scritto dallo psicoanalista Glauco Carloni, che ripropone, in una luce probabilmente diversa, il rapporto fra psicoanalisi e fascismo. Lo scenario del racconto e' Vienna, anche se l' antefatto e la conclusione sono ambientati in Italia. E' il 1933, a Vienna serpeggia un clima di allarme, perche' si avverte anche in Austria il pericolo di una svolta autoritaria e antisemita, come da poco e' successo in Germania con l' avvento di Hitler. La comunita' ebraica e' in allarme, anche se non tutti condividono queste preoccupazioni confidando nell' intervento della Societa' delle Nazioni. Ma torniamo allo scenario viennese. Tre persone provenienti dall' Italia giungono a un indirizzo divenuto storico, Berggasse 19. E' un grigio e austero edificio asburgico dove abita con la sua famiglia Sigmund Freud, l' eminente psicoanalista ebreo. Freud, molto avanti negli anni e consumato da un tumore con cui sta combattendo da tempo, e' ancora molto attivo, svolge la sua attivita' clinica e di ricerca e scrive saggi scientifici con cui allarga la conoscenza del mondo psichico. Dei tre uno e' un quarantenne allievo di Freud di origine triestina, Edoardo Weiss, con cui il maestro intrattiene da tempo un fitto scambio epistolare. Insieme a lui c' e' un personaggio che non ha nulla a che fare con la psicoanalisi, e' Giovacchino Forzano, uomo di teatro molto legato al regime fascista, che ha scritto addirittura delle opere teatrali in collaborazione con Mussolini. Con loro c' e' una giovane donna che e' la figlia di Forzano. Che cosa fanno tutti e tre davanti al portone dello studio di Freud? La soluzione la possiamo trovare in una lettera che Freud aveva inviato a Weiss il 12 aprile, in risposta a una lettera del suo allievo che faceva riferimento a "una malata isterica grave, figlia di un importante personaggio politico". Weiss aggiungeva che la paziente, nonostante avesse gia' raggiunto importanti miglioramenti, aveva manifestato reazioni cosi' negative verso di lui da allarmare il padre, che aveva sollecitato un consulto con Freud. A questa richiesta Freud rispondeva nella lettera del 12 aprile: "Per quanto riguarda la sua paziente sono pronto a fare qualsiasi cosa per giovare alla cura della signorina. Ma lei sa che questo giovamento ci si puo' aspettare sempre solo se la paziente stessa desidera ardentemente l' incontro. Se si lascia solo accompagnare e poi mi tratta come fa con lei, non possiamo che fare del danno". Non sappiamo che cosa si dissero durante il consulto e se soprattutto fu proprio la figlia di Forzano a volere l' incontro, o se intervenne con insistenza l' autorevole padre. Quello che sicuramente sappiamo e' che al termine dell' incontro Forzano, probabilmente affascinato dall' autorevolezza del vecchio maestro, gli chiese un suo libro per portarlo a Mussolini con una dedica indirizzata al Capo del Governo Italiano. Freud prese dalla sua grande libreria un libro che aveva pubblicato l' anno precedente "Warum Krieg?" (Perche' la guerra?) e di suo pugno scrisse la dedica, naturalmente in tedesco: "A Benito Mussolini coi rispettosi saluti di un vecchio che nel Governante riconosce l' eroe della cultura". E' difficile dare un' adeguata interpretazione della dedica di Freud cosi' apertamente encomiastica nei confronti di Mussolini. Weiss ritornando su questo argomento molti anni dopo riferi' che lui si era sentito "imbarazzatissimo", perche' sapeva che Freud non l' avrebbe rifiutata "per amor mio e della Societa' Psicoanalitica Italiana". Ma la versione di Weiss era di parte, la sua preoccupazione era quella di dimostrare che "Freud non aveva simpatia per Mussolini" e che lui era sempre stato un antifascista. Quello che rimane e' la dedica sicuramente calorosa su un libro molto particolare come e' "Perche' la guerra?". Il libro, pubblicato proprio nel 1933, e' un carteggio fra Einstein e Freud sul pericolo della guerra, stampato per conto della Societa' delle Nazioni, in un momento storico in cui si cominciano ad addensare i pericoli di una nuova guerra mondiale. Probabilmente Freud confermo' con il suo comportamento le sue teorie sulla contraddittorieta' della psiche umana. Infatti con la mano destra scriveva una dedica particolarmente positiva, mentre con la sinistra porgeva al dittatore un libro che richiamava i pericoli della violenza e dell' ostilita' nei rapporti fra i popoli. Purtroppo dopo qualche anno anche Freud fu vittima della violenza nazista, quando la Germania invase l' Austria. Nel 1938, ormai ottantaduenne e allo stremo delle sue forze, dovette assistere alla perquisizione della sua casa da parte della Gestapo e due suoi figli furono arrestati. Il clima di Vienna era diventato irrespirabile e Freud prese la decisione di abbandonare l' Austria. Ma il suo espatrio fu ostacolato dal nuovo governo nazista e fu necessaria una mobilitazione internazionale di uomini di stato, fra cui Roosevelt, ambasciatori e uomini di cultura per ottenere l' autorizzazione a partire. E' qui che in modo inatteso ricompare Forzano. Forse memore dell' incontro e forse ancora riconoscente per l' interessamento di Freud, o forse anche per l' intervento della figlia, Forzano si decide a scrivere a Mussolini una lettera in cui ne sollecitava l' intervento: "Raccomando a Vostra Eccellenza un vecchio glorioso di 82 anni che tanta ammirazione ha per l' Eccellenza Vostra: e' Freud, ebreo". Ancora una volta ci manca il riscontro se la lettera di Forzano ebbe un esito positivo. Molti anni dopo Weiss escluse un intervento diretto di Mussolini, mentre Ernst Jones, il biografo ufficiale di Freud, sembrava convinto che Mussolini in persona si fosse dato da fare per salvare il grande maestro viennese. Secondo quest' ultima versione i rapporti fra psicoanalisi e fascismo verrebbero ad assumere sfaccettature piu' complesse di quelle che siamo abituati a riconoscere, ulteriore riprova dell' assunto di Freud che la natura umana e' profondamente contraddittoria e forse per questo imprevedibile.

l’Unità 11.5.10
Forza Nuova. Pillola Ru486
Donne contro donne: «Stupratele, che abortiscono»
di A.C.

D onne che inneggiano allo stupro di altre donne. È successo anche questo domenica a Massa, a margine di un rovente dibattito con il leader di Forza Nuova Roberto Fiore sulla pillola Ru486. Una decina di donne di associazioni pro 194, di tutte le età, ha deciso di partecipare al dibattito, in una sala concessa dal Comune tra mille polemiche all’associazione Ordine futuro, legata a Fn. All’ingresso i primi insulti. Alle donne che chiedevano un programma, due giovanotti hanno risposto: «Il programma è che oggi le compagne fanno i pompini ai fascisti». E ancora: «Siete venute nella casa dei
fascisti, oggi comandiamo noi». Due ragazze, a quel punto, hanno deciso di andarsene, una in lacrime. Altre hanno scelto di restare, hanno ascoltato la discussione e hanno anche avuto uno scambio di opinioni, corretto, con Fiore. «L’aborto è come l’eutanasia», ha tuonato il leader di Fn, «è un diritto», hanno risposto. Quando il gruppo ha deciso di andarsene, altre due donne,simpatizzanti dell’estrema destra (Forza Nuova sostiene che non sono iscritte) le hanno aggredite verbalmente: «Stupratele che tanto poi abortiscono». I toni si sono arroventati, altri simpatizzanti dell’estrema destra sono corsi a dare manforte, con nuovi insulti: «Assassine», «Compagne bagasce». A una ragazza incinta sono stati rivolti commenti pesanti sulla sua gravidanza. Nessun contatto fisico, anche grazie alla massiccia presenza di forze dell’ordine che presidiava la sala, il Teatrino dei Servi, mentre fuori a distanza manifestavano varie sigle di sinistra, dai Carc al Prc, contro la decisione del sindaco Pucci (che guida una maggioranza di sinistra senza Pd) di concedere la sala all’estrema destra. Un cameraman della tv locale Antenna Tre, che stava riprendendo il parapiglia, è stato aggredito: un giovane ha tentato di strappargli la telecamera, ma lui ha difeso il suo strumento di lavoro. Una delle donne aggredite racconta: «Ho chiamato io la Digos per difenderci, ma gli agenti hanno deciso di accompagnarmi fuori». Nella maggioranza si levano voci per portare in Consiglio una “carta dei valori” che in futuro dovrebbe essere firmata per poter avere in uso le sale del Comune. Il Pd rivendica la primogenitura della proposta e critica il sindaco: «Non si doveva dare la sala a un’associazione che inneggia al razzismo». E il segretario Brizzi ricorda: «Nella lista Udc a sostegno del sindaco era candidato anche Francesco Mangiaracina, referente locale di Forza Nuova...».

Repubblica 11.5.10
Quei funerali contro l’aborto
Risponde Corrado Augias

Gentile Augias, il 7 maggio a Cremona è stato celebrato il funerale di un feto abortito. Quelli di cui non viene richiesta sepoltura o cremazione sono presi in carico, per un accordo con l'Azienda ospedaliera e l'amministrazione comunale, da un'associazione religiosa che si occupa a proprie spese dell'inumazione. L'interramento è accompagnato da un rito con preghiera e benedizione. Al funerale di cui parlo un violinista ha eseguito un brano toccante, c'erano rose bianche e soprattutto, per dare valore politico alla cerimonia, il vicesindaco Pdl e esponente di Cl, nonché l'assessore ai servizi cimiteriali, leghista. L'associazione "Difendere la vita con Maria" è un'organizzazione di volontari che operano, negli ospedali dove si fanno aborti, con la finalità di promuovere il seppellimento dei feti non venuti alla luce per aborto spontaneo o procurato. L'associazione combatte la legge 194 con pressioni 'trasversali', esibendo spirito caritatevole, certo non verso le donne e la loro vita, ma per equiparare, nel sentire comune e poi nella giurisprudenza, il feto ad una persona dotata di diritti. Il passo successivo è breve: se il feto è soggetto giuridico, l'aborto è un omicidio. È evidente il carico di colpa che si vuol gettare sulle spalle delle donne che hanno affrontato l'immenso dolore dell'interruzione di gravidanza.
Annamaria Abbate annamariabbate@yahoo.it

Leggo su un giornale locale questo 'sommario' posto in testa al servizio: "Il rito celebrato al civico cimitero è stato seguito da una piccola folla Preghiere, raccoglimento e nessuna sbavatura . C'era anche una mamma: Per me oggi è una giornata di luce. Ora so finalmente dov'è mio figlio Una volontaria depone una rosa". Dare sepoltura ad un feto abortito sarebbe in sé un atto pietoso se non si trasformasse invece, per le modalità con cui viene eseguito, in un gesto intimidatorio. In questo paese c'è, al momento, una legge confermata da referendum popolare che consente, in determinati e limitati casi, di abortire. Le autorità comunali che partecipano al rito portando rose bianche accompagnate dal canto mesto di un violino trasformano la cerimonia d'inumazione in un manifesto politico. Nessuno si chiede per quale seria, forse drammatica, ragione quella madre ha voluto, dovuto, interrompere la gravidanza. Nessuno precisa di quante settimane fosse quel feto. In queste circostanze l'intenzione di deprecare la legge, di far sentire colpevole la donna che ha manifestato quella volontà, supera di gran lunga la pietà verso le povere membra chiuse nella minuscola bara, diventa una truce affermazione di principio. Vorrebbe sembrare pietà e invece è un gesto avvelenato dall'ideologia.

Repubblica 11.5.10
Legge 40, dopo le modifiche 700 bimbi in più ogni anno
di Letizia Magnani

Al congresso di Riccione riunite le otto sigle che si occupano di salute riproduttiva A dodici mesi dalla sentenza della Corte Costituzionale una ricerca segnala molti progressi: più embrioni impiantati, meno aborti, una nascita ogni 52 transfert
Sembra diminuito il numero di parti plurigemellari Costi e problemi per le over 45

Una delle battute più frequenti ai congressi medici sulla riproduzione è quella che i bambini è meglio farli alla vecchia maniera, sotto le coperte e non sul lettino di un ambulatorio, ma la procreazione medicalmente assistita (Pma) in realtà è molto più che una alternativa per numerose coppie che incontrano problemi a diventare una famiglia con prole in maniera naturale.
È questo uno degli argomenti che hanno tenuto banco anche a Riccione, dove si è concluso il secondo congresso unificato delle società italiane di medicina della riproduzione. Sono otto e mettono assieme 400 esperti di biologia, andrologia e ginecologia.
Al centro del congresso, che si è concluso con l´annuncio della nascita della Federazione delle società che si occupano di salute riproduttiva (la notizia verrà ufficializzata a Roma, nel corso del congresso europeo di medicina riproduttiva, dal 27 al 30 giugno), ci sono stati alcuni temi fondamentali per la salute riproduttiva. Primo fra tutti quello dei passi in avanti fatti ad un anno dalla sentenza della Corte Costituzionale sulla legge 40, che attribuisce agli operatori della procreazione assistita maggiore autonomia nella scelta delle tecnica migliore per offrire più possibilità alla coppia infertile. Al centro c´è la madre, la sua salute. Poi vengono le esigenze dell´embrione e, anche, la possibilità di optare sul congelamento, solo nel caso in cui, però, tutte le altre possibilità siano state infruttuose.
Da qui i risultati della prima analisi italiana su coppie trattate prima e dopo la sentenza 151 della Suprema Corte. Sono 6.976 in tutto i cicli presi in esame. Con un numero superiore di embrioni trasferiti dopo la sentenza, una diminuzione percentuale degli aborti e un bambino nato ogni 52 transfert. «Il che ha spiegato Filippo Maria Ubaldi, curatore assieme ad Andrea Borini e Paolo Emanuele Levi Setti della ricerca significa circa 700 bambini in più all´anno. Dopo la sentenza c´è stata la possibilità di preferire morfologicamente gli embrioni nel 48% dei cicli, con l´aumento di gravidanza evolutiva». La ricerca, condotta dall´Istituto Clinico Humanitas, da Tecnobios Procreazione e da G.en.e.ra., per conto di Sifes, una delle società italiane che si occupa del tema, mette in evidenza come sulle donne dai 30 ai 35 anni bastino meno di due embrioni trasferiti per il buon esito della terapia. Mentre maggiori problemi incontrano le donne dai 35 ai 39 anni, dove pure, dopo la sentenza, c´è stato «un aumento significativo delle gravidanze, con un bambino nato ogni 28 transfert».
È inoltre parere di tutti gli esperti che «i medici fertilizzano il numero di ovociti necessari per avere bambini, cioè non hanno creato embrioni in più dopo la sentenza». Questa la sintesi di Guido Ragni, portavoce delle società organizzatrici del Congresso. La sentenza serviva anche a tutelare le madri dai parti multigemellari indesiderati, ma al momento i dati italiani non danno indicazioni utili, anche se pare che sui casi considerati ci sia una netta diminuzione di questa possibilità.
Uno dei grandi limiti alla procreazione rimane il fattore età. Per Marco Costa, del Galliera di Genova «le donne dovrebbero essere ben informate e non seguire i miti mediatici, come Madonna o altre super donne che cercano la maternità anche oltre i 45 anni. Da uno studio australiano emerge infatti che nelle donne di 40 anni nasce un bambino dopo 8 tentativi, con un costo, nel caso di procreazione medicalmente assistita, che varia dai 40 ai 60mila euro. Costo che arriva a 700mila euro nel caso di madri di 45 anni, che riescono ad avere un bambino solo dopo 167 tentativi». Se non si hanno portafoglio e tenacia, insomma, meglio desistere.

il Fatto 11.5.10
Il cardinale attacca Sodano, ma l’obiettivo è il futuro conclave
Le parole di Schönborn si rivolgono al “dopo Ratzinger”
Da Vienna inizia la guerra ai “reazionari” e la difesa dell’azione del Papa contro gli abusi nel clero
di Marco Politi

L’attacco al cardinale Sodano apre il tavolo del futuro Conclave. Con la sua mossa Schönborn pone il problema dell’organizzazione del potere ai vertici della Chiesa e sottolinea l’urgenza di una riforma.
La sortita straordinaria dell’arcivescovo di Vienna non è una rissa tra porporati. Triplice è la sua traiettoria: sostenere l’operazione pulizia di Benedetto XVI, salvaguardare la memoria di Wojtyla, porre le basi per il dopo-Ratzinger. Il cardinale di Vienna Schönborn, sollevando il caso del suo predecessore Groër costretto alle dimissioni per pedofilia, mira in realtà allo scandalo del fondatore dei Legionari di Cristo, Maciel, la cui condotta ignominiosa è stata certificata da un recente documento della Santa Sede. Mai nella storia della Chiesa si è assistito a un tale cinico, lurido, paranoico sdoppiamento tra la pretesa di porsi come Grande Padre di un movimento per il Regno di Cristo e una pratica di vita immorale con un potere spirituale totalitario usato a fini predatori. Chi tocca i fili di una vicenda del genere, muore. E le accuse di Schönborn al cardinale Sodano sono implacabili. Se l’ex segretario di Stato viene catalogato fra coloro che hanno impedito l’indagine sui crimini di Maciel, la sua credibilità crolla. In gioco viene messa automaticamente la posizione di Sodano quale decano del Sacro Collegio, cui tocca in caso di Conclave la presidenza delle riunioni preparatorie dei cardinali-elettori. Papa Wojtyla, benché malato di Parkinson, rimase lucido sino alla fine nel tracciare la sua strategia geopolitica. Ma per il resto ha sempre lasciato ai suoi più stretti collaboratori la gestione della macchina cur iale, la nomina dei vescovi, gli affari correnti. Sodano – con il segretario papale Dziwisz e lo stesso Ratzinger – rappresentava la cerchia interna degli intimi collaboratori di Wojtyla. Indicandolo tra gli oppositori delle inchieste volute da Ratzinger, Schönborn solleva una questione cruciale: come è stato informato o disinformato Giovanni Paolo II su Groër, Maciel e altri casi similari? Che tipo di disinformazione gli è stata fornita su altre vicende ecclesiali? Domanda esplosiva. Che rimanda all’uso del potere nelle stanze segrete della Curia. C’è anche un aspetto di allarme attuale. Sotto la pressione degli eventi, che hanno toccato le sue convinzioni morali, Benedetto XVI è stato costretto negli ultimi mesi ad una perestrojka accelerata all’interno della Chiesa: decapitazioni di vescovi, pubbliche autocritiche, ammissione della necessità di affidare ai tribunali statali i preti colpevoli (in controtendenza alla pratica secolare di mantenere all’interno della propria giurisdizione i casi sporchi), sconfessione delle pratiche secolari di omertà, accettazione di responsabilità dinanzi alle vittime e all’opinione pubblica. Non tutti nei ranghi ecclesiali sono d’accordo con questa eclatante tolleranza zero. La rivolta clamorosa del cardinale Castrillon Hoyos che a Murcia, in Spagna, poche settimane fa ha esibito tra tonanti applausi una sua lettera del 2001 al vescovo francese Pican, lodato perché non aveva “consegnato” alle autorità statali un prete pedofilo, ha rivelato in modo allarmante questa opposizione sotterranea. Specie perché tra gli entusiasti sostenitor i di Castr illon Hoyos, fattosi forte di un’autorizzazione di papa Wojtyla, c’era anche il cardinale di Curia Antonio Canizares, da poco chiamato a Roma dallo stesso Benedetto XVI per guidare la Congregazione per il Culto. L’intervento pasquale del cardinal Sodano, che ha derubricato a “chiacchiericcio” la documentazione dei mass media sugli abusi del clero, ha aggravato la situazione. L’intervento del cardinale Schönbor n mira a bloccare il sabotaggio anti-Ratzinger. Però con la sua mossa audace il cardinale di Vienna guarda – oltre lo scandalo pedofilia – al futuro della Chiesa. Il porporato, grande elettore di Ratzinger al conclave del 2005, sa che l’elezione di Benedetto XVI è avvenuta in uno “stato di emergenza”. Dinanzi alla necessità di riempire rapidamente il vuoto enorme lasciato dalla scomparsa del carismatico Wojtyla (e in assenza del candidato r ifor matore Martini, fuori gioco per malattia) venne scelto Joseph Ratzinger come unica personalità di alto livello intellettuale e spirituale, dotata di prestigio internazionale. Fu portato da una maggioranza moderata e conservatrice, desiderosa di un pontificato “di pausa” e di garanzia dottrinale.
Ma all’interno di questo schieramento esiste un blocco reazionario, supercentralista, ottusamente anti-moderno, che Schönborn con la sua sortita senza precedenti vuole portare alla luce e isolare per impedirgli di pesare sul futuro Conclave. Perché quello che nel pensiero ratzingeriano è pessimistica meditazione di un monaco, che vede l’Europa cristiana desertificata dall’arrivo di nuovi barbari, nella visione del blocco reazionario è soltanto desiderio ossessivo di una rivincita sul moder no.
Schönborn , e con lui molti vescovi nei vari continenti, sono invece convinti che la Chiesa abbia bisogno di riforme e che dopo l’intervallo del pontificato ratzingeriano sia inevitabile sciogliere molti nodi. Nel 2005, per responsabilità di Ratzinger allora decano del Sacro Collegio, fu impedito ai cardinali elettori – nelle settimane antecedenti al Conclave – di discutere apertamente in interviste e riunioni pubbliche l’agenda dei problemi della Chiesa. Come invece era avvenuto nel 1978. Questa volta Schönborn , e non è il solo, ritiene che vadano affrontate le sfide sul tappeto. A partire dall’organizzazione del potere nella Curia e dalla collaborazione tra papa ed episcopato mondiale. Non a caso, conversando con i giornalisti austriaci, ha definito “urgente” la riforma della Curia, ha evocato “considerazione” per le coppie omosessuali stabili, ha riparlato dei divorziati risposati. Di recente aveva anche proposto un riesame del celibato del clero. Come il cardinale Martini, del resto.
La partita è appena iniziata. Sarà di lungo respiro e riserverà colpi di scena.

il Fatto 11.5.10
É definitivo: don Cerullo è un pedofilo
Sei anni e otto mesi in Cassazione per il prete arrestato in flagranza di reato
L’avvocato: “Il vescovo di Aversa non ha mai pronunciato una parola di pietà per la vittima”
di Vania Lucia Gaito

Sei anni e otto mesi. È questa la pena, confermata dalla Corte di Cassazione, per don Marco Cerullo, vice parroco di Casal di Principe e insegnante di religione a Villa Literno, arrestato in flagranza di reato dalle forze dell’ordine il 19 dicembre 2007, mentre in macchina abusava di un suo alunno di 11 anni. La vittima raccontò che don Marco lo aveva allontanato dalla scuola con la scusa di comprare i colori del presepe e aggiunse che già altre volte aveva abusato di lui, anche a casa del bambino.
La Cassazione ha sostanzialmente confermato la sentenza di Corte d’Appello, compresa la provvisionale già disposta di 50.000 euro. Ma finora il sacerdote non ha pagato neppure un centesimo. E qualsiasi azione legale per la richiesta di risarcimento rischia di cadere nel vuoto: il sacerdote, infatti, risulta nullatenente. Al momento dell’arresto di don Marco, il vescovo di Aversa monsignor Milano dichiarò che preferiva aspettare i tempi della giustizia. “La giustizia ha fatto il suo corso ma monsignor Milano non ha ancora pronunciato una parola” afferma Sergio Cavaliere, l’avvocato della vittima. “Non una parola di pietà per la sorte della vittima in questi due anni e cinque mesi. Eppure si è preoccupato della sorte di don Marco, promettente teologo”.
In questi due anni e cinque mesi, don Marco Cerullo è stato agli arresti domiciliari presso una comunità religiosa, nel frusinate, che accoglie anche giovani e giovanissimi. “Non sappiamo se nella comunità protetta si sia astenuto da ogni ufficio o servizio in strutture frequentate da minori come prescritto dal gup Chiaromonte il 19 novembre 2008” sostiene l’avv. Cavaliere. “E non sappiamo se don Cerullo continuerà a dir messa, scontata la reclusione”.
Sul conto di don Marco e della diocesi di Aversa rimangono aperti molti interrogativi. Don Marco ha frequentato il seminario minore di Aversa, dove accedono bambini delle scuole medie e ragazzi delle scuole superiori. Ed è proprio in quel seminario che è celebre il “gioco dello scarpone”, una metafora, neppure troppo velata, per l’atto dell’abuso sessuale. In quel seminario don Marco è tornato, in seguito, come assistente spirituale dei giovanissimi allievi. È stato poi trasferito come parroco a Villa Literno e da lì, appena un mese prima dell’arresto, trasferito come viceparroco a Casal di Principe.
Possibile che la diocesi non abbia mai ricevuto segnalazioni sul conto di don Marco, sospetti, chiacchiere, insomma, qualcosa che inducesse a una maggiore attenzione sull’operato del sacerdote? In fondo, certe “inclinazioni” non si manifestano improvvisamente.
“Non ho ricevuto mai alcuna segnalazione, sul conto del sacerdote” afferma il vescovo di Aversa, monsignor Milano. “È un grande dolore che sopporto ormai da quando ho saputo dell’arresto. Tuttavia la cattiva condotta di un sacerdote non deve inficiare l’opera dei sacerdoti che invece compiono quotidianamente il proprio dovere nei confronti della Chiesa e dei fedeli.”
Le disposizioni del Papa, in merito alle accuse di abusi sessuali nei confronti di sacerdoti sembrano essere piuttosto chiare e prevedono un procedimento canonico. “Il procedimento è già stato aperto – sostiene monsignor Milano – Si tratta di una indagine della Congregazione per la Dottrina della Fede, cui spetta la competenza per questi casi particolari. La Chiesa segue le direttive del Santo Padre, che è un faro lungo il nostro percorso spirituale.” Le persone abusate hanno necessità di rivolgersi a specialisti per tentare di superare il trauma e le cure sono piuttosto costose. Don Marco non ha mai risarcito la vittima e risulta nullatenente. Forse la diocesi, per dovere se non altro morale, potrebbe in qualche modo provvedere al risarcimento, o comunque all’assistenza della vittima. “Queste sono decisioni che un vescovo non può prendere da solo – prosegue il vescovo Milano – sarà vagliato il problema dalla collegialità e sarà presa una decisione”. Non una parola sulla possibilità di incontrare la vittima, almeno per offrire le scuse e il conforto spirituale alla famiglia.
Don Marco Cerullo, che non era presente alla sentenza, sarà probabilmente tradotto in carcere a breve. Ha scontato 2 anni e 5 mesi agli arresti domiciliari. Gli restano 4 anni e 3 mesi da trascorrere in carcere, ma con lo sconto della pena per buona condotta (3 mesi l’anno) il sacerdote probabilmente finirà col restare in carcere poco più di due anni e mezzo. La sua vittima, invece, resterà segnata dagli abusi subiti per tutta la vita.

il Fatto 11.5.10
Chiesti 5 anni per il parroco di Arese
di V. L. G.

Il pm di Milano, Giancarla Serafini, ha chiesto una condanna a 5 anni di reclusione per don Marco Redaelli, salesiano, parroco 75enne di Arese, accusato di violenza sessuale aggravata nei confronti di una bambina di 7 anni. La bambina raccontò prima alla nonna e poi al padre quanto aveva subito, e ha poi confermato il racconto, con descrizioni precise, durante l’incidente probatorio. Il sacerdote, ex missionario in Africa e in America Latina, si è sempre professato innocente. Secondo la difesa, le accuse sarebbero state montate dal padre della vittima per speculare sulla vicenda. Anche gli aresini si sono schierati dalla parte del sacerdote, ritenuto un prete caritatevole. La famiglia della bambina è stata costretta a trasferirsi a seguito della manifesta ostilità dei propri concittadini. E, davanti ai giudici, il padre della vittima ha raccontato: “Non hanno nemmeno permesso a mio figlio maggiore di iscriversi all’oratorio”. Lo stesso oratorio dove il 24 settembre 2007 sarebbero avvenuti gli abusi sulla piccola.

L’Express 10.5.10
Marco Bellocchio fait sa leçon de cinéma
qui
http://www.lexpress.fr/culture/cinema/marco-bellocchio-fait-sa-lecon-de-cinema_890976.html

Repubblica 11.5.10
La democrazia come stile di vita
di Carlo Alberto Dalla Chiesa

"La libertà non può prescindere dal rispetto che dobbiamo avere l´uno per l´altro"
"È il cittadino che deve sollecitare i suoi rappresentanti sollevare battaglie, porre problemi"
Alla rassegna che apre giovedì verrà presentato il libro-intervista a Scalfaro e Caselli È dedicato all´importanza e alle prospettive della Costituzione e della Repubblica
L´ex capo dello Stato invita i giovani a impegnarsi in politica e nelle istituzioni

Anticipiamo alcuni brani del libro "Di sana e robusta Costituzione" (Add editore). Nel volume Oscar Luigi e Scalfaro e Gian Carlo Caselli rispondono a , figlio di Nando, sui problemi e l´attualità della nostra Carta costituzionale. Pubblichiamo alcune delle risposte del presidente emerito della Repubblica Scalfaro

Quali sono i costumi, i comportamenti negativi che stanno prendendo piede nella nostra società? E quali sono gli anticorpi necessari per contrastarli?
«Mettiamoci intorno a un tavolo e chiediamoci: che cosa pensiamo della persona? Che abbia dei diritti, o che non li abbia? Che cosa pensiamo della libertà? Arriva fino al punto di permettere che ognuno faccia ciò che vuole o è una libertà limitata da quella degli altri? Discutiamone.
Possiamo essere tutti liberi, ma bisogna che ognuno di noi abbia rispetto dello spazio dell´altro. Se uno pensa solo a se stesso e basta, questa è prepotenza. Su queste cose si sconfina con facilità e la grave tragedia di oggi è il qualunquismo(...)».
Lei accennava al qualunquismo che sta sempre più prendendo piede nel nostro Paese; come ribatte a quanti sostengono che estraniarsi dalla vita politica è una scelta legittima?
«La politica è un´attività obbligata, necessitata, dell´uomo. L´uomo nasce politico, nella polis, nella civitas, nasce nella comunità. Nasce come animale sociale: la tribù, la famiglia, la comunità, il paesello, la provincia. Così nasce l´uomo, e ha bisogno di tutti e di tutto. Così è il bambino, dopo la nascita. Quando qualcuno dice: "Basta! Non ne voglio sapere! Non voto più! Non vado! Sono contrario!", questo qualunquismo, che è pericoloso, questo disinteressamento, che è molto pericoloso, sono in realtà posizioni politiche: chi dice simili cose, mentre le dice sta prendendo una posizione politica che ha conseguenze politiche negative su tutta la comunità. Questo dimostra che la politica è necessitata, non c´è niente da fare. Perciò non consente contestazioni, questa è la realtà».
Lei, che ha ancora negli occhi quell´Italia da cui è sorta la nostra Repubblica, conserva la saggezza e la capacità di analisi di chi ha lottato per far uscire il Paese dalla guerra e dalla dittatura in cui era sprofondato. Chi oggi di fatto fa professione di qualunquismo sembra invece non rendersi conto delle conseguenze portate da tale posizione. Presidente, quali sono i rischi di questo allontanamento dalla politica?
«In una storia non lontana abbiamo assistito a situazioni in cui non ha vinto la parte che aveva la maggioranza, e la maggioranza è rimasta a guardare, speculando su certi interessi: "la dittatura mi serve perché tiene a bada quel settore o quest´altro; e io ho a che fare con questi settori…"; infatti la dittatura ebbe poi aiuti da settori ben chiari che avevano soprattutto un concreto interesse materiale finanziario. Oggi votare non è facile; ma perché non votare? è meglio chiamarsi fuori o è doveroso cercare una soluzione magari poco soddisfacente, ma comunque una soluzione? Quali sono le alternative alla partecipazione? Disinteresse? Lavarsene le mani? Da magistrato posso ricordare un collega famoso che fece questo gesto: si chiamava Ponzio Pilato, magistrato romano. Per quel gesto, Gesù Cristo andò sulla croce. Dico sempre: per chi ha il potere, il primo male è non esercitarlo. È di gran lunga questo il male peggiore. Chi esercita male il potere fa un danno grave, ma intanto lo esercita. E mi dà anche la possibilità di fare battaglia. Invece il non esercitarlo e chiamarsi fuori è la cosa peggiore al mondo. Allora, che dirvi? Questo tempo è vostro. Non ve lo dico come un´accusa, ve lo dico con tanto amore. Questo tempo è vostro. Gli anni dal 1940 al 1945 erano tempo nostro, mio. E non sapevamo, a volte, dove mettere le mani. Ogni volta che parlo, specie ai giovani, dico: ho vissuto l´inverno del 1944. Non ho ceduto e ringrazio Dio, che mi ha impedito di farlo. (...) Quel tempo era nostro. Non che questo non lo sia, perché fin quando uno è al mondo deve sentire la responsabilità della propria presenza. Ma questo tempo è vostro. Non state immobili a guardare. La Costituzione è da scrivere con la vostra vita. Ve lo dico, perché ci credo fino in fondo: la Costituzione è da amare. E per amarla bisogna conoscerla e viverla, attuarla e sentirla propria. È una pagina che non abbiamo affrontato, ma che voi scriverete. Sono certo che la scriverete bene. E vi ringrazio».(...)
La Carta costituzionale ha tanto da insegnarci per vivere il presente che ci è stato dato in sorte e per continuare a mettere le basi per il futuro della nostra società; quali insegnamenti possiamo quindi trarre per il futuro?
«La democrazia deve rimanere vitale nei punti focali. Se il parlamentare ha un vincolo diretto con il cittadino, è il cittadino che pone le questioni, gliele trasmette e lui porta avanti questa battaglia, solleva i problemi.
La democrazia è uno stile di vita, universale e completo. È scomodo. Molte volte ho letto che la democrazia è scomoda, ed è vero. Siamo entrati da tempo in una forma di diseducazione. Non si deve avere una visione disastrosa, perché è sbagliato…
Non arrendetevi mai! Quando fate una battaglia sui princìpi, non arrendetevi mai! (...)».
Si sente spesso parlare delle nuove generazioni come di giovani senza sogni, senza valori, apatici, indifferenti… Come definirebbe i giovani di oggi, visto che spesso è a loro che si rivolge? Sono una risorsa o un problema?
«I giovani sono sia una risorsa sia un problema. Rappresentano una risorsa, se siamo in grado di valorizzarli e di dare spazio alle loro capacità e ai loro talenti. Il tema del lavoro è un esempio significativo delle difficoltà che i giovani devono affrontare nella società odierna: ai miei tempi, finiti gli studi si avevano di fronte diverse possibilità di impiego tra cui scegliere; oggi invece la situazione è molto pesante, anche se devo dire che ho conosciuto molti giovani che, dotati di una volontà straordinaria, non si sono arresi mai».

lunedì 10 maggio 2010

l'Unità 10.5.10
La politica secondo Freud
di Fabio Della Pergola, risponde Luigi Cancrini

Il filosofo francese Onfray ha suscitato scalpore in Francia per il suo attacco all’icona Freud. Elisabeth Roudinesco continua invece ad accreditarlo al campo progressista, separando il suo pensiero dalle sue simpatie politiche verso la destra che in quegli anni preparava l’avvento di fascismo e nazismo.

RISPOSTA Freud, come molti scienziati del suo tempo, non si è mai interessato alle lotte di partito. Sul piano politico, tuttavia, ha espresso idee importanti sulla follia della guerra (efficacemente riassunte in uno scambio di lettere con Einstein) e sui rischi collegati alla mobilitazione emozionale del grande gruppo. Chi visita la casa in cui lavorò a Vienna si incontra ancora oggi con i pensieri suscitati, in un uomo saggio e tranquillo, dalla cerimonia dell’Anschluss, l’annessione dell’Austria al Reich, i cui echi arrivavano fino alla sua finestra: dolorose riflessioni suscitando sulla regressione della folla che acclamava il discorso delirante di Hitler. Malato e distrutto dalla consapevolezza amara del disastro cui il mondo stava andando incontro, Freud fu aiutato a fuggire verso Parigi e Londra pochi giorni dopo. La testimonianza più semplice e più chiara del valore progressista del suo pensiero, del resto, al di là di quello che ne pensa un dissacratore professionale come Onfray, è quella del rogo in cui i nazisti cercarono inutilmente di distruggere quello che lui aveva capito e scritto sull’uomo e sul funzionamento della mente umana.

La versione integrale della lettera inviata all'Unità

"Caro Cancrini,
il filosofo francese Onfray ha suscitato scalpore in Francia per il suo attacco all’icona Freud, sollevando forti reazioni soprattutto su Libération dove Elisabeth Roudinesco lo accusa di rilanciare “un discorso di estrema destra”.
Ma “Freud non si considerava affatto un uomo di sinistra. So che ha sempre votato per un partito liberale austriaco di centro-destra”, sono parole proprio della studiosa, una profonda conoscitrice del pensiero freudiano, in un’intervista del 1994, in cui si arrampica sugli specchi per distinguere e separare il ‘pensiero’ del padre della psicanalisi, accreditandolo comunque al campo progressista, dalle sue simpatie politiche verso la destra che in quegli anni, vale la pena di ricordarlo, preparava l’avvento di fascismo e nazismo.
Separare il pensiero dalla prassi personale sembra essere un antico vizio, in particolare di sinistra, per cui la coerenza tra ‘essere’ e ‘pensare’ non solo non è ritenuta necessaria, ma sembra addirittura essere superflua. Lei che ne pensa ?"
Fabio Della Pergola

Repubblica 10.5.10
La Nato e l´Armata rossa sfilano insieme

MOSCA Il presidente russo Medvedev apre per la prima volta la Piazza Rossa ai soldati della Nato. Ai festeggiamenti per il 65esimo anniversario della vittoria sovietica contro i nazisti nella Seconda guerra mondiale, la tradizionale parata è stata accompagnata da drappelli militari in rappresentanza delle forze a quell´epoca alleate: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Polonia. La sfilata non ha avuto eguali per sfarzo e quantità d´armi dalla fine dell´Urss.

Repubblica 10.5.10
Pedofilia, scontro in Vaticano "Schoenborn è stato inopportuno"
Saraiva Martins: l’attacco a Sodano danneggia la Chiesa
Benedetto XVI invita a pregare "per i sacerdoti". In Germania sospesi due preti per abusi
Il cardinale attacca l'arcivescovo di Vienna: "Accredita l'idea di una Santa Sede divisa"
di Orazio La Rocca

CITTÀ DEL VATICANO «In Portogallo pregherò per la Chiesa, in particolare per i sacerdoti e per la pace nel mondo». Papa Ratzinger il giorno dopo lo scossone-choc che si è abbattuto sul collegio cardinalizio per le critiche piovute addosso al cardinal decano ed ex segretario di Stato Angelo Sodano, accusato a sorpresa dal confratello Christoph Schoenborn arcivescovo di Vienna di aver coperto in passato preti e alti prelati accusati di pedofilia o di violenze sessuali. Parole severe dette per di più da un cardinale come Schoenborn molto vicino a Benedetto XVI che hanno messo a nudo l´esistenza di una grande spaccatura che c´è tra i porporati nei confronti dello scandalo della pedofilia nella Chiesa. Il Pontefice ieri non ne ha fatto cenno durante la domenicale preghiera del Regina Coeli, ma significativamente si è limitato a preannunziare che durante il pellegrinaggio in Portogallo che inizierà domani e si concluderà venerdì pregherà «particolarmente anche per i sacerdoti».
Un invito-appello del Papa non casuale a poche ore del duro scontro Schoenborn-Sodano che dopo alcuni giorni di relativa calma ha fatto riaccendere i riflettori sulla piaga della pedofilia, sulla scia di due nuovi casi esplosi nella diocesi tedesca di Wuerzburg, a sud della Baviera, dove ieri sono stati sospesi altri due sacerdoti accusati di abusi sessuali su minori. La decisione ha fatto molto rumore perchè presa all´indomani delle dimissioni del vescovo di Augusta, Walter Mixa, travolto da analoghe accuse e per questo costretto a farsi da parte in ottemperanza a «quella tolleranza zero voluta dal Papa», commenta il cardinale Josè Saraiva Martins, prefetto emerito per la Congregazione per le Cause dei Santi, tra i possibili candidati alla nomina a delegato pontificio per la delicata carica di commissario dei Legionari di Cristo. Tuttavia, Saraiva Martins non ha apprezzato il «modo» con cui il collega Schoenborn ha criticato il cardinale decano Sodano. «Ho sempre auspicato la tolleranza zero verso i preti pedofili e ho sempre chiesto la massima trasparenza senza sconti per nessuno e senza mai rinunziare alla verità», però Schoenborn specifica Saraiva Martins al sito cattolico Pontifex pur essendo mosso da «un intento onesto non ha reso un buon servizio alla Chiesa», perchè con le sue «accuse a mezzo stampa» ha accreditato «l´idea di una Chiesa dilaniata da polemiche, cosa che non esiste minimamente». «Schoenborn aggiunge il cardinale avrebbe dovuto e potuto usare invece altre modalità, compresa la correzione fraterna; ora si rischia che l´incendio divampi ancora di più e con insistenza, visto che si denuncia un ex segretario di Stato e decano del collegio dei cardinali». Per Saraiva, «sconfessare pubblicamente chi rappresenta la unità dei cardinali non è opportuno». Come non è «opportuno» fanno notare altri autorevoli membri del collegio cardinalizio attaccare pubblicamente chi ha rappresentato per 15 anni «la Segreteria di Stato, dando l´impressione di voler dare un avvertimento anche a chi oggi lo ha sostituito nella stesso incarico, cioè il cardinale Tarcisio Bertone».

l’Unità 10.5.10
Lo studio Clamorosa scoperta del Max Planck Institut di Lipsia
Incroci Nei geni dei sapiens eurasiatici c’è una parte del loro Dna
I Neanderthaliani siamo noi (e non gli africani)
Si sono incontrati ben 80 mila anni fa e, contrariamente a quello che si riteneva finora, hanno avuto prole fertile. Sono i Neanderthaliani e gli Homo sapiens: uno studio pubblicato da «Science».
di Pietro Greco

L’uomo di Neandertal non si è estinto. Non completamente, almeno. Una parte vive in noi. È nei nostri geni. Le popolazioni di Neanderthal e gli Homo sapiens provenienti dall’Africa si sono incontrati 80.000 anni fa e, sia pure raramente, si sono incrociati e hanno avuto una prole fertile. Cosicché oggi nei nostri
geni di sapiens eurasiatici c’è una piccola ma non banale componente (compresa tra l’1 e il 4%) di Dna ereditato da Neanderthal.
È questa la prima – e forse neppure la più importante – conclusione che propone il gruppo di Svante Pääbo, dell’Istituto Max-Planck di antropologia evolutiva di Lipsia, in un articolo pubblicato venerdì su Science dopo aver analizzato oltre 3 miliardi di basi nucleotidiche del Dna nucleare di tre femmine di Neanderthal vissute circa 38.000 anni fa in una grotta della Croazia e aver paragonato la sequenza del loro Dna con quella di tre eurasiatici e di due africani. Dopo un’analisi attenta e molto sofisticata, Svante Pääbo e i suoi collaboratori hanno verificato che nel Dna dei tre eurasiatici vi sono tracce inconfutabili del Dna dei neandertaliano. Tracce assenti nei due africani.
Ciò consente di ricostruire, più o meno, quanto è accaduto. In una o due successive ondate, membri della specie Homo sapiens sono usciti dall’Africa 80.000 e poi 60.000 anni fa, incontrando in Medio Oriente gruppi di neandertaliani. I membri delle due specie umane hanno convissuto a lungo e, talvolta, si sono incrociate. Contrariamente a quanto ritenuto prima, gli accoppiamenti hanno generato una prole fertile. Ed è per questo che nel Dna dei sapiens che si sono successivamente diffusi in Asia e in europa sono presenti tracce del Dna dei neanderthaliani. Mentre i sapiens che sono rimasti in Africa non hanno di queste tracce.
L’analisi consente anche di escludere che successivamente i sapiens giunti in Europa si siano incrociati e abbiano avuto prole fertile con gli uomini e le donne di Neanderthal con cui hanno vissuto per migliaia di anni occupando i medesimi territori. Alcuni sostengono che, invece, in Asia si siano potuti produrre nuovi incroci.
IL SEGRETO DEL CRANIO
Benché clamorosi, tuttavia, non sono questi i risultati più importanti delle analisi effettuate da Svante Pääbo e collaboratori. Il gruppo, infatti, ha individuato una componente genetica che appartiene a Homo sapiens e non a Neanderthal, benché le due specie umane (ma possiamo ancora considerarle due specie distinte, visto che sono state interfeconde?) condividano il 99,84% delle sequenze di Dna. Questa componente è ancora da studiare. Ma pare proprio che abbia a che fare con la morfologia del cranio. E in particolare quella morfologia tonda della testa dei sapiens – difersa da quella ovale dei neanderthal – che consente di ospitare un cervello con le parti dedicate alle funzioni cognitive superiori più sviluppate.
Che Svante Pääbo e il suo gruppo abbiano scoperto non solo i segreti della promiscuità di neanderthal e sapiens, ma anche i segreti del successo dei sapiens che in alcune decine di migliaia di anni ha portato ovunque, in Europa come in Asia, alla scomparsa dei Neandertal?

Repubblica 10.5.10
Se le bestie avessero l’anima
Una lezione di Umberto Eco

Secondo Descartes avvertono gioia timore e dolore, ma senza comprendere queste passioni
Il gesuita Pardies attribuiva loro pensieri inconsci al pari degli esseri umani
Per il protestante David Boullier sono capaci di concepire idee generali
Fin dall´antichità e ancor più fra Sei e Settecento ci si è interrogati sulla natura animale

Pubblichiamo parte della lettura di Umberto Eco "Animal ex anima. L´anima degli animali", che ha inaugurato la rassegna "Animalia" promossa dall´Università di Bologna
Descartes, che seguiva Aristotele nel dichiarare che gli animali erano sforniti di linguaggio, ci dice che «le bestie non parlano come noi per il fatto che non hanno alcun pensiero, e non perché manchino loro gli organi». La posizione di Descartes conseguiva e dal suo meccanicismo e dal suo dualismo. Un corpo animale è una macchina, pura res extensa e non res cogitans. Gli animali avvertono gioia, timore o dolore, ma in modo non riflessivo, e cioè senza essere capaci di comprendere questa passione in modo razionale.
Nasce dalla posizione cartesiana una polemica che si sarebbe protratta a lungo, coinvolgendo Leibniz, Locke, Cudworth, More, Shaftesbury, Cordemoy, Fontenelle, Bayle, Buffon, Rousseau e altri, e dove spesso è difficile stabilire quale fosse veramente la posta in gioco. Si trattava di riconoscere un linguaggio agli animali, di riconoscere loro anche un´anima, o di contrastare un meccanicismo che avrebbe potuto (e per esempio potrà con La Mettrie) trasformarsi in materialismo totale, sottraendo l´anima anche agli umani?
Una posizione meccanicistica poteva evitare molti rovelli morali circa la crudeltà verso gli animali, dato che non si può parlare di crudeltà nei confronti di una macchina. In secondo luogo agiva una sorta di difesa nei confronti della cosiddetta «superstizione pitagorica», e cioè la questione della trasmigrazione delle anime. Se gli animali non hanno anima, non possono riceverne per trasmigrazione (bell´argomento, che però non esclude che trasmigrazione possa esservi tra esseri umani).
In polemica con il meccanicismo dualistico, tra Seicento e Settecento, molti obiettano a Cartesio come la differenza tra uomini e bestie sia solo di grado, aprendo una prospettiva che è stata vista come proto-evoluzionista, secondo cui la vita sarebbe un continuum che evolve, senza interruzione e senza fisso discrimine tra res extensa e res cogitans, gradualmente, attraverso una complessità crescente. (…..)
I tre autori di cui volevo particolarmente occuparmi stasera, anche se non sono citati dai grandi che ho appena menzionato, sono certamente stati i primi a tratteggiare idee proto-evoluzioniste. Il primo è padre Pardies, un gesuita che nel 1672 scriveva un Discours de la connaissance des bêtes. Pardies cita un fenomeno già osservato da Agostino: se noi tagliamo un verme in due vediamo che ciascuna delle due parti continua a vivere e a muoversi. Per alcuni questo avrebbe provato che un animo animale, se esiste, non è un principio unico, come accade per l´animo umano, o che i movimenti del verme dipendono solo dall´azione di quegli spiriti animali ammessi anche dai meccanicisti. Tuttavia Pardies (dopo avere dedicato alcune pagine gustose ai tormenti di questo animale diviso, ciascuna delle cui parti vorrebbe o dovrebbe dire «io», incapace di ritrovare l´unità della propria anima - se l´avesse) osserva che fenomeni del genere avvengono anche con gli uomini, come quando una testa appena decapitata continua per un poco a fare smorfie.
(…) Sicuramente gli esseri umani hanno la proprietà di comandare le proprie azioni ma ci sono molte azioni che essi compiono per istinto (come respirare, camminare e persino suonare uno strumento per abitudine acquisita). Gli animali non parlano ma, come gli esseri umani, hanno pensieri inconsci, e molti dei loro comportamenti non dipendono da decisioni volontarie e coscienti, lo stesso accade con gli animali. Non dimentichiamo che tra il 1694 e il 1698 apparirà La connaissance de soi-même di François Lamy, in cui si parlerà di "pensieri impercettibili", pensieri "sordi", confusi e indistinti, i quali impressionano il nostro cuore senza che esso, per mancanza di riflessione, se ne accorga. Senza voler andare a tutti costi a caccia di un pre-freudismo barocco, non sarà male tener presente che all´epoca circolavano anche alcune idee di questo genere.
Se Pardies attribuiva agli animali pensieri inconsci, un protestante, David Boullier, nel suo Essai philosophique sur l´ame des bêtes, pubblicato anonimo nel 1728, sosteneva addirittura che essi non solo erano dotati di intelligenza e volontà, ma anche capaci di concepire idee generali. Supponiamo, dice Boullier, di aver picchiato il nostro cane perché ha divorato una pernice invece di riportarcela; dopo questo incidente il cane si asterrà dal divorare la prossima preda, anche se le future pernici non saranno come la prima. Questo significa che il cane è capace di passare dalla singola percezione di una pernice all´idea generale di pernice. E inoltre è capace di prevedere eventi futuri (come la punizione del padrone) ed evitarli attraverso una scelta libera e cosciente. (…)
Se anche negli esseri umani vi sono stadi di sviluppo, e l´animo di un bambino è meno sviluppato di quello di un adulto, una gradualità di sviluppo si realizza non solo nell´arco di una vita singola ma anche dalla più bassa alla più alta delle specie viventi. Pertanto (concediamo a un uomo della sua epoca una certa dose di "scorrettezza politica") vi sono meno differenze tra una scimmia e un africano che tra un africano e "un bel esprit Européen".
In questa gradualità di sviluppo accade che, mentre le nostre percezioni sono chiare, quelle degli animali sono confuse. Ciò che ci colpisce è che solo nel 1739 Baumgarten parlerà di cognitio sensitiva come una sorta di conoscenza primaria più confusa di quella razionale ma in ogni caso importante per la vita umana, tanto da spiegare persino la nostra esperienza estetica. Boullier cita solo autori francesi, ma proprio per questo è singolare che, per definire un tipo di percezione confusa, egli faccia l´esempio di una esperienza estetica, e cioè il modo in cui in un accordo musicale noi avvertiamo la compresenza di diversi suoni senza tuttavia essere in grado di distinguerli uno per uno.
Sarà forse esagerato asserire che Boullier è stato il primo ad affermare che gli animali (incapaci di elaborare sillogismi e di concepire l´idea di Dio) pensano però "esteticamente", ma di lui certo colpisce questa bizzarra forma di "zoo-crocianesimo".
Entra ora in scena Guillaume Hyacinthe Bougeant che nel 1739 aveva pubblicato un Amusement Philosophique sur les Langages des Bêtes (….) Bougeant dà come sottinteso che le bestie manifestino un comportamento intelligente, che si parlino tra loro, e che comunichino con noi. Ma se sono come noi, saranno riservati anche a loro un paradiso e un inferno? La risposta di Bougeant è abbastanza provocatoria: le bestie sono demoni, introdotti nei corpi animali così da recar seco il loro proprio inferno. I demoni, per poter soffrire in eterno del loro inferno terrestre, migrano continuamente da animale ad animale ogni volta che muore il corpo che li ospitava.
Questo spiega anche perché gli animali siano cattivi (i gatti sono inaffidabili, i leoni crudeli, gli insetti si divorano a vicenda) e perché siano condannati a soffrire della crudeltà umana.
L´idea di Bougeant provocherà successive polemiche come quella di John Hildrop, che nel suo Free Thoughts upon the Brute-Creation (1742-3), sia pure tra il serio e il faceto criticherà l´idea che gli animali siano demoni dicendo che essi semplicemente partecipano - in quanto dominati dall´uomo - del peccato originale. Ma se hanno un´anima e sono esistiti nel paradiso terrestre, essi dovrebbero essere degni di immortalità.
(…) Quanto il libretto di Bougeant sia stato preso sul serio ce lo dice l´attenzione che gli dedica, sia pure per riconoscerne la natura di puro divertissement, l´autore della voce "L´Ame des bêtes", l´abate Yonne, sulla Encyclopedie. In verità l´abate Yonne appare piuttosto come uno sciocco, a cui probabilmente Diderot e d´Alembert avevano affidato una voce che per loro era poco importante, e grazie alla quale potevano imbonire la censura mostrando di porre molta attenzione a non mettere in questione i problemi attinenti alla religione (…).
Quanto al fatto che le bestie, pur avendo un´anima, siano soggette a infinite sofferenze, e senza che lo abbiamo meritato, perché non possiedono le nozioni di bene e di male, Yonne se la cava annotando che merito e demerito valgono solo per agenti liberi. Non essendo agenti liberi, le bestie non mirano né a premi né a castighi e il loro dolore non è punizione per i loro demeriti, ma segnale naturale di comportamenti da evitare. È giusto allora che un pollo muoia perché l´uomo sia nutrito? Evidentemente Yonne si trova di fronte al problema già risolto senza ipocrisie da Tommaso d´Aquino, ma vi ritorna appunto da sciocco, perché cerca di porsi dal punto di vista del pollo: per l´anima puramente sensitiva del pollo la morte, utile a un´anima razionale come quella umana, è la sottrazione di un bene che non era dovuto, e il pollo dovrebbe essere felice di essere al servizio di chi ha una natura superiore alla sua. Insomma, i polli non avevano alcun diritto di venire al mondo e quindi non si lamentino se gli tiriamo il collo.
Richard Dean (An Essay on the Future Life of Brutes, 1768), diceva che le sofferenze degli animali sono conseguenza del peccato umano ma che con la redenzione dell´uomo l´intera natura era stata redenta. Tuttavia, nella misura in cui la ragione umana eccede sulle facoltà dei bruti, così la beatitudine degli esseri umani eccederà su quella dei bruti nella vita dopo la morte.
Al contrario Humphry Primatt (A Dissertation on the Duty of Mercy and Sin of Cruelty to Brute Animals del 1776) sosteneva che "poiché non abbiamo alcuna autorità per dichiarare, e nessuna testimonianza dei Cieli per rendercene sicuri, che vi sia uno stato di ricompensa per le sofferenze dei bruti, e dovremo dunque supporre che non ve ne sia alcuno, da questa supposizione dovremmo pertanto razionalmente inferirne che la crudeltà vero un bruto rappresenti una offesa irreparabile». Mentre la sofferenza umana può essere compensata in uno stato futuro, quale speranza può arridere a un brutto che soffre?
Nel 1811 Giacomo Leopardi scrive una Dissertazione sopra l´anima delle bestie dove si pone il problema di quale sorte ultraterrena attenda animali dotati di anima e ardisce pensare per le bestie a una sorta di felicità extraparadisiaca, a un limbo sul quale peraltro non si pronuncia. Nove anni dopo, nello Zibaldone, ardirà dire che nelle bestie è riscontrabile anche una certa inclinazione all´infinito - e siamo negli anni in cui Leopardi stava mostrando che di infinito se ne intendeva.
A mo´ di conclusione, due citazioni moderne. Una proviene dal Journal di Jules Renard (nomen omen): «La nostra anima è immortale, perché? E perché non quella delle bestie? Quando le due fiammelle si spengono, che differenza c´è ancora la tra la fiamma di una povera candela e quella di una bella lampada dal becco complicato, alta sul proprio stelo, e con l´abat-jour che si allarga come una gonna?».
La seconda proviene da À se tordre (1891) di Alphonse Allais: «Le bestie hanno un´anima? E perché non dovrebbero averla? Ho incontrato nella mia vita una notevole quantità di uomini, tra cui qualche donna, bestie come un´oca, e molti animali non molto più stupidi di tanti elettori».

domenica 9 maggio 2010

l’Unità 9.5.10
L’arcivescovo di Vienna contro Sodano: «Sapeva, ha insabbiato casi di pedofilia»
Accusa dell’arcivescovo di Vienna, cardinale Schoenborn all’ex segretario di Stato cardinale Sodano: ha sabotato la linea di Ratzinger contro la pedofilia. Nuove accuse a monsignor Mixa. Dal Papa i vescovi del Belgio.
di Roberto Monteforte

CITTÀ DEL VATICANO. L’attacco è frontale. «Il cardinale Sodano nel 1995 fermò l’inchiesta contro l'allora arcivescovo di Vienna, Hans Hermann Groer, accusato di molestie verso minori». Non usa perifrasi l’arcivescovo di Vienna, cardinale Christopher Schoenborn. L’accusa all’ex segretario di Stato vaticano è diretta. Sarebbe sua secondo Schoenborn e «dell’ala diplomatica» della curia romana, la responsabilità di aver impedito la costituzione immediata di una commissione d’inchiesta sugli abusi sessuali compiuti da Groer, richiesta dall’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, cardinale Ratzinger. Ecco chi avrebbe ostacolato la linea della fermezza contro la pedofilia nella Chiesa.
LE NUOVE ACCUSE
L’operazione trasparenza continua. Ieri il pontefice ha accolto le dimissioni del vescovo di Augsburg (Augusta) e ordinario militare per la Germania, monsignor Walter Mixa presentate il mese scorso. Un gesto atteso, ma reso ancora più necessario dopo l’annuncio della procura di Ingolstadt di aver aperto un fascicolo con l’accusa di aver commesso abusi su minori quando era vescovo di Eichstatt (dal 1996 al 2005). Su monsignor Mixa, quindi, peserebbero accuse ben più gravi di quelle per le quali ha presentato le sue dimissioni anche su consiglio del presidente della conferenza episcopale tedesca, monsignor Robert Zollitish: maltrattamenti su minori quando era parroco a Schrobenhausen, circostanza che in un primo tempo ha negato e poi è stato costretto a riconoscere, quindi uso personale di fondi della diocesi destinati all’istituto per l’accoglienza dei bambini. Pare per farsi costruire un solarium ed acquistare stampe antiche e bottiglie di vino pregiato. Ora l’accusa è di pedofilia. Pare sia ricoverato in una clinica per il recupero degli alcolisti monsignor Walter Mixa. Un altro brutto colpo alla credibilità della Chiesa tedesca impegnata seriamente nell’operazione verità e trasparenza. Ma anche per Benedetto XVI, che nel 2005 tra i primi suoi atti del suo pontificato impose la nomina di Mixa, espressione dell’ala più conservatrice della Chiesa tedesca.
IL DOPO BRUGES
Ieri il Papa ha ricevuto in udienza i vescovi del Belgio in Vaticano per la visita ad limina guidati dal presidente della conferenza episcopale, monsignor Leonard. La visita era prevista da tempo, ma ha avuto un segno particolare dopo le dimissioni «forzate» del vescovo di Bruges, monsignor Vangheluwe, reo confesso di aver «abusato sessualmente di un giovane» da sacerdote ed anche da vescovo. Un colpo duro per una Chiesa già in forte difficoltà nella secolarizzata società belga. Ieri il Papa ha invitato quella Chiesa «provata dal peccato» a «non scoraggiarsi» e a reagire. Ai giornalisti incontrati dopo l’udienza, monsignor Leonard ha assicurato «la totale sintonia» dell’episcopato belga con il pontefice. La linea è quella «del rigore e della trasparenza». Il Papa avrebbe dedicato solo un breve cenno al problema della pedofilia nella Chiesa, senza fare alcun riferimento specifico al caso di Bruges perché, spiega Leonard, vescovi e Papa starebbe sulla «stessa lunghezza d’onda». Pieno appoggio dell’episcopato belga, quindi, alla linea ratzingeriana della trasparenza.
Si muovono le acque anche in Italia. A Bergano si sono date appuntamento ed è la prima volta circa 150 persone vittime di abusi anche di sacerdoti per discutere e condividere «l'atroce esperienza della violenza sessuale». L'iniziativa è dell'associazione Prometeo. Al termine dell’incontro è previsto che i partecipanti firmeranno una lettera per chiedere un incontro a Papa Benedetto XVI: «Chiederemo al Santo Padre un incontro assicurano gli organizzatori che sia un momento di condivisione per ricevere da lui un aiuto spirituale e condividere questa sofferenza».

Repubblica 9.5.10
Pedofilia, Schoenborn contro Sodano "Coprì i colpevoli e offese le vittime"
L’arcivescovo di Vienna: l´ex segretario di Stato insabbiò le denunce
"Congiura del silenzio sul caso di monsignor Groer, accusato di violenze su minori"
di Andrea Tarquini

BERLINO Lo scontro nella Chiesa cattolica sullo scandalo degli abusi sessuali e delle accuse di violenze pedofile arriva a un´escalation senza precedenti. Per la prima volta un cardinale, l´arcivescovo di Vienna Christoph Schoenborn, accusa un ex segretario di Stato vaticano, cioè Angelo Sodano, di aver coperto i presunti colpevoli e di aver offeso le vittime. Il duro "j´accuse" del cardinale Scheonborn arriva proprio nel giorno in cui la Santa Sede, cogliendo un successo nella promessa di linea di tolleranza zero venuta da papa Benedetto XVI, accettava le dimissioni del vescovo di Augsburg, Walter Mixa. Il quale, capofila fino a ieri della corrente ultraconservatrice del clero tedesco, è ormai indagato dalla magistratura per la grave accusa di abusi sessuali.
Ex allievo e da tempo amico del Pontefice, e noto per le sue posizioni riformatrici e aperte, il cardinale Schoenborn, in una conversazione con un gruppo di giornalisti di cui riferisce l´agenzia di stampa cattolica Kathpress, per la prima volta accusa per nome Angelo Sodano. Prima di tutto spiega che egli ha arrecato grave danno alle vittime delle violenze e degli abusi sessuali e all´immagine della Chiesa, avendo affermato che le loro denunce erano semplicemente «pettegolezzi e chiacchericcio». In secondo luogo, egli indica in Sodano il responsabile dell´insabbiamento di ogni inchiesta vaticana su uno dei casi più gravi, cioè quello delle ripetute violenze sessuali su minorenni compiute da monsignor Hans Hermann Groer, a lungo arcivescovo della capitale austriaca.
Più volte il cardinale Schoenborn aveva detto che Groer era stato salvato e coperto da una congiura del silenzio di una maggioranza della curia vaticana. L´ultima volta, lo aveva affermato nella Domenica delle Palme, senza però fare nomi di alcun presunto responsabile. Aveva semplicemente asserito di conoscere Joseph Ratzinger da tempo, e di ricordare bene che all´epoca del caso Groer l´attuale pontefice allora prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede aveva chiesto chiarezza totale e tolleranza zero, ma gli confessò di essere stato messo in minoranza dalla Curia.
Ma questa volta, secondo il resoconto della Kathpress, Schoenborn punta il dito. Fu Sodano, egli avrebbe affermato in sostanza, a impedire la costituzione di una commissione d´inchiesta vaticana sul caso Groer, nonostante che l´allora arcivescovo di Vienna fosse stato denunciato ai media da una sua ex vittima, e nonostante il parere di Ratzinger. «A lungo il principio della Chiesa è stato il perdono, ma questo principio è stato interpretato in modo falso, a favore dei responsabili e non delle vittime», ha aggiunto il cardinale Schoenborn. Continuando: ora la Chiesa è cambiata, ma non tutti nella Curia appoggiano la svolta e la tolleranza zero voluta dal Papa.
Sulle accuse di Schoenborn, Sodano al momento tace. Mantiene il silenzio anche sulle accuse rivoltegli dal National catholic reporter circa le coperture al responsabile dei Legionari di Cristo. In una coincidenza probabilmente casuale ma importante, le accuse di Schoenborn vengono proprio in contemporanea con la caduta di Mixa. In aprile, l´arcivescovo di Augsburg allora accusato di percosse ai danni di minorenni era stato invitato dal presidente della Conferenza episcopale tedesca, Robert Zollitsch, ad autosospendersi.

Repubblica 9.5.10
La rottura nella Chiesa
di Giancarlo Zizola

La critica pubblica indirizzata dal cardinale Christoph Schoenborn all´ex segretario di Stato cardinale Angelo Sodano rompe il costume apologetico che copre di nebbie d´incenso i vertici della Chiesa e rivela i contraccolpi profondi della bufera della pedofilia nel clero sugli equilibri interni del sistema centrale della Chiesa cattolica.
Il cardinale di Vienna mette in gioco la sua vicinanza teologica e umana con Papa Ratzinger, fin da quando lavoravano fianco a fianco sul Catechismo della Chiesa cattolica. E dà voce a quella corrente di pensieri nella Chiesa che interpreta l´attuale crisi come strumento necessario di liberazione del male oscuro,a lungo rimosso, passaggio doloroso ma necessario per recuperare la prospettiva della riforma ecclesiale. Egli si schiera con quanti sono convinti che subire questa crisi aspettando che la nuvola nera passi e tornare anzi all´idea di una Chiesa «società perfetta» sia una strategia perdente.
Contrariamente al messaggio trionfalista lanciato da Sodano a Pasqua, che denigrava come «chiacchiericcio» il ruolo dei media mondiali nelle indagini sullo scandalo, Shoenborn ritiene che sia erroneo accusare i media o la cultura permissiva. Egli mostra di apprezzare la copertura mediatica degli abusi clericali come un aiuto offerto alla Chiesa nella ricerca della verità dei fatti, e dunque un implicito alleato all´azione purificatrice intrapresa da Ratzinger, che ha smantellato il sistema organizzato dell´omertà : misura decisiva per avviare il radicale risanamento istituzionale e interiore del sistema ecclesiastico. È la stessa convinzione che ha portato il cardinale Carlo Maria Martini a salutare «con favore» il fatto che la società esiga che venga fatta piena luce su questi fatti delittuosi e che le vittime abbiano avuto il coraggio «di denunciare tali crimini secondo verità».
Più che in altre congiunture drammatiche, la prova attuale mette a nudo il carattere sistemico della crisi della pedofilia e indica che la guarigione, per essere radicale, non può che essere cercata in una ripresa dell´autoriforma della Chiesa, non nella sua sepoltura. La crisi trova infatti la sua chiave di lettura pertinente se ricondotta alle resistenze istituzionali alle spinte innovatrici del Concilio Vaticano II. Non a caso si moltiplicano i segnali del coinvolgimento di esponenti di alto rango del governo centrale della Chiesa nel sistema omertoso invalso. E lo stesso, celebrato sistema di selezione centralista dei candidati all´episcopato si sta dimostrando al di sotto della sua fama. Il caso del cardinale Groer, citato dal suo successore a Vienna, è tipico del grado di opacità istituzionale, misto alla presunzione di certi esponenti ecclesiastici: egli resistette a lungo alle ingiunzioni di Giovanni Paolo II che esigeva le sue dimissioni, e rifiutò di aderire alla rinuncia alla porpora, che pure gli era stata richiesta.
E´ possibile che anche questa crisi, se recepita in modo appropriato, possa accelerare col tempo la trasformazione di un modello di Chiesa rimasto troppo attaccato alla figura regale e politica della cristianità avvitata intorno alla casa clericale e alla curia romana, in un modello più spoglio, meno privilegiato e patriarcale, più egualitario e fraterno, meno autoritario e centralista. È opinione di molti vescovi che misure repressive o di tipo poliziesco non siano sufficienti. Benvenute le innovazioni annunciate come l´avvento della psicologia nei seminari, la messa in valore della sessualità umana, la ricezione della figura della donna in quell´universo monosessuale che è la struttura del clero. Nelle analisi più lungimiranti la crisi della pedofilia è causata meno da perversioni individuali che da un modello clericale di Chiesa divenuto insostenibile. Dopotutto, le perversioni di potere, i compromessi del clero con il regno del denaro non ricevono un rilievo comparabile a quello ottenuto dagli abusi clericali sui minori. Eppure è in questione, in entrambi i casi, la struttura di potere della Chiesa. Tipico il caso di Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo recentemente inquisiti: ai crimini di pedofilia congiungeva la sua stretta alleanza con i grandi poteri finanziari del Messico, ben felici della sua lauta lotta contro la Teologia della Liberazione. Prova quasi apologetica che se la Chiesa non fosse così strettamente associata al clero, se fosse una reale comunità, con ministeri anche laicali, a uomini e donne e se tornasse alla «Chiesa dei poveri» dimenticata, probabilmente neanche queste deviazioni sarebbero state possibili né avrebbero scatenato la disaffezione che la Chiesa sta subendo. Sembra dunque plausibile la tesi di Martini, Schoenborn e altri secondo i quali la purificazione deve venire associata a misure di trasformazione del modello di Chiesa, un modello più umile, più interiore e meglio adatto alla situazione di minoranza dei cristiani nel mondo .

sabato 8 maggio 2010

Altritaliani.net 7.5.10
Freud la polemica. Intervista allo psichiatra Massimo Fagioli.
venerdì 7 maggio 2010 di Carlo Patrignani
qui
http://www.altritaliani.net/spip.php?article431

l’Unità 8.5.10
Marx, genio e illusioni
Un grande pensatore moderno da rileggere con mentalità liberale
L’anticipazione Ecco uno stralcio del nuovo libro di Eugenio Scalfari, Per l’alto mare aperto, tratto dal capitolo XX e dedicato a Karl Marx: «Il rivoluzionario ammirava Napoleone»
di Eugenio Scalfari

La vulgata sostiene che con Marx, come con tutti i profeti e i predicatori, non ci possono essere vie di mezzo: o si sta con lui o contro di lui indipendentemente dalla statura intellettuale degli interlocutori. Ma non è vero, le cose non stanno in questo modo né in generale nei confronti dei profeti e dei predicatori ma tanto meno nei confronti di Marx, nel quale allo spirito profetico che indubbiamente gli spirò dentro con soffio vigoroso, si accompagnò uno studioso attento, munito d’un intelletto eccezionale e d’una capacità intuitiva fuori dalla norma.
Predicò, certamente. Voleva diffondere il suo credo e ci riuscì in vita e soprattutto in morte. Mobilitò attorno all’opera sua e alla sua memoria centinaia di milioni di persone. Spaccò il pianeta in due anche prima dell’ottobre rosso. Adesso la sua profezia è andata in pezzi, ma gli ideali e i bisogni che l’hanno alimentata non sono stati affatto soddisfatti e restano un tema aperto e più che mai scottante. L’incendio è sopito, ma le sue braci non sono spente. Avverrà in altri modi, su altri terreni; ma il tema dell’eguaglianza, dello sfruttamento, dei bisogni, delle società inclusive, della democrazia e dello Stato: non sarà il comunismo la panacea di questi mali, i mali restano, resi ancor più urticanti nel mondo delle comunicazioni globali.
Carlo Marx comunque è una figura storica e appartiene al suo tempo. Non è un profeta religioso, anche se ha predicato il paradiso in terra. Ma non fu il solo: tutta la vasta categoria degli utopisti ha fissato gli sguardi sulla «Città futura» e sull’approdo senza più conflitti, nella pace e nella felicità.
Il suo guaio è stato l’attuazione d’un comunismo che non somigliava in nulla alle sue indicazioni teoriche né alle sue speranze e ai suoi ideali. Settant’anni di dittatura, di tirannia, di stragi di massa, di crimini, di incubo, di disumanizzazione devastante, molte delle cui vittime (e anche dei suoi responsabili) sono ancora tra di noi.
Ma ritenere Marx responsabile di quell’Inferno che prese il posto del Paradiso da lui ipotizzato è un errore. Del resto basta leggerlo (perché bisogna leggerlo) per capire che quell’accusa è insensata come lo sono tutte le accuse che attribuiscono al pensiero dell’uomo i crimini della bestia che è in lui.
Si discute e si è sempre discusso molto se l’eccellenza del pensiero di Marx sia consegnata al Capitale e agli altri suoi scritti sul plusvalore, sulla rendita, sull’interesse, sul salario, insomma al materialismo storico, cioè a quel modo di leggere la storia e lo sviluppo delle società attraverso l’evoluzione delle forze produttive e del capitale. Una storia che fu anche definita storia della struttura, al posto di quella fin lì praticata e ancor oggi prevalente nelle culture che lui avrebbe definito borghesi, di storia della sovrastruttura: gli Stati, i governi, le guerre, la diplomazia, i personaggi, le istituzioni, sia pure senza ignorare (ma dopo di lui sarebbe impossibile) l’aspetto economico, lo sviluppo e i mutamenti delle forze produttive, gli interessi dei ceti forti e di quelli deboli.
(...) Il Capitale resta un’opera essenziale del pensiero economico moderno, ma la parte imperitura del «corpus» marxiano è la scoperta del materialismo storico e del determinismo rivoluzionario che esso porta con sé.
Aggiungo come titolo di significativa originalità che l’autore con il quale Marx ebbe maggiore empatia intellettuale e congenialità di pensiero fu, pensate un po’, Alexis de Tocqueville. Un liberale, uno studioso acutissimo dell’Ancien Régime, un altrettanto attento studioso della democrazia americana, un uomo di nobile famiglia, un orleanista convinto. Chi avrebbe mai detto che il profeta del comunismo guardasse a lui e ai suoi libri piuttosto che per esempio a Rousseau e a Condorcet? O a Babeuf e a Buonarroti? Guardò a Tocqueville, ma anche a Robespierre e al Terrore. E perfino a Napoleone. Chi crede che Marx sia stato un rozzo pensatore e un invasato profeta da cui non provennero che sventure, o non l’ha letto o non ha capito ciò che è scritto in quelle migliaia di pagine sulle quali passò la sua vita. Commise certamente un errore capitale: quello d’aver dato al suo pensiero la forma di un letto di Procuste sul quale avrebbe dovuto trovar posto tutta la storia universale, dalla fase dello schiavismo all’economia della divisione del lavoro e del denaro, dominata dalla borghesia.
Si comprende la ragione di questo errore: una generazione prima di lui, Kant ed Hegel avevano costruito due grandiosi sistemi filosofici che pretendevano d’aver risposto a tutte le domande che la nostra mente si pone da quando la specie del sapiens sapiens ha preso possesso della natura.
Marx aveva una mente filosofica e sistematica. Dopo un primo approccio alla sinistra hegeliana, in particolare a Feuerbach, capovolse l’impianto della Fenomenologia dello spirito, della Filosofia del diritto e dell’Estetica create da Hegel e allo Spirito assoluto contrappose la Materia come sostanza dominante dell’Universo. Accettò in eredità soltanto il metodo dialettico trasferendolo però dallo spirito alla materia, dal pensiero all’essere. Disconobbe la libertà come elemento fondamentale della dialettica e la sostituì con un determinismo rigoroso che lasciava poco spazio all’iniziativa individuale.
Anche Hegel aveva dato forma ad una ideologia che nulla risparmiava all’inventiva dei singoli; l’identificazione del reale con il razionale vanificava di fatto quella libertà da lui tanto celebrata. Marx non fu da meno quanto a rigidità sistematica: dettava le leggi dell’evoluzione sociale e delle rivoluzioni che le trascinavano avanti. L’approdo sarebbe stato un comunismo universale, l’abolizione dello Stato e la piena libertà per ciascun individuo capace di identificarsi con la massa, agendo e parlando in suo nome.
Il Capitale cui Marx dedicò gli ultimi venticinque anni della sua vita fu l’elemento dimostrativo dell’impianto materialistico. Fece il punto sugli esiti della rivoluzione capitalistica inglese, ne indagò passo passo le crudeltà, lo spirito di classe che l’animava, le contraddizioni all’interno della classe dominante, la persistenza d’un mondo contadino e di proprietari fondiari che ritardava lo slancio della borghesia industriale e finanziaria senza però riuscire a fermarla poiché essa rappresentava in quel momento il motore che spingeva in avanti la dialettica degli opposti. All’ombra della classe dominante prendeva forma intanto la protesta del proletariato e la sua organizzazione di lotta. Sarebbe stata lunga e contrastata, quella lotta. Il determinismo rivoluzionario gli assegnava la vittoria, ma Marx non sapeva, non poteva sapere, né il come né il quando, salvo che su un punto: quando lo sviluppo delle forze produttive, del capitale, della consapevolezza storica degli attori sociali avesse raggiunto il livello della piena maturità, la rivoluzione sarebbe stata generale trascinando con sé anche società che non avevano ancora raggiunto il livello di pieno sviluppo.

l’Unità 8.5.10
Diritti e Bellocchio, la storia nei David
Sono i vincitori degli Oscar italiani nell’anno della crisi. Protesta corale contro i tagli
di Gabriella Gallozzi

La storia, quella più nera del nostro passato recente, le stragi nazi-fasciste e colui che alla tragedia della guerra ci ha condotto, Mussolini, sono al centro di questa edizione 2010 dei David. Miglior film dell’anno L’uomo che verrà di Giorgio Diritti, più il David per la migliore produzione a Raicinema e Aranciafilm e quello per il miglior fonico di presa diretta a Carlo Missidenti. Miglior regista Marco Bellocchio per Vincere, con altre 7 statuette nelle categorie tecniche. Mentre il favoritissimo (18 candidature) La vita è bella di Paolo Virzì vince con le interpretazioni di Micaela Ramazzotti e Valerio Mastandrea che chiama in diretta la nonna al telefono, e con la sceneggiatura firmata dallo stesso Virzì con Francesco Bruni e Francesco Piccolo. I migliori attori non protagonisti sono Ilaria Occhini ed Ennio Fantastichini per Mine vaganti. È l’Oscar italiano delle sorprese, della crisi, delle polemiche e delle proteste questo dell’edizione 54, la cui premiazione si è svolta ieri sera a Roma all’Auditorium della conciliazione. Ne escono vincitori il bellissimo film sulla strage di Marzabotto e Bellocchio che, a parte il premio della regia, colleziona altre sette statuette «minori»: fotografia (Ciprì), scenografo (Dentici), costumi (Ballo), trucco (Corridfoni), acconciatore (Giuliani), montatore (Francesca Calvelli)e effetti speciali (Trisoglio e Marinoni). Mentre c’è poca gloria per Baaria: solo due David per il miglior musicista (Morricone) e il David Giovani. E la scelta di premiare la qualità nella categoria del documentario, La bocca del lupo di Pietro Marcello e in quella del film europeo, Il concerto di Radu Mihaileanu.
Ma è anche il David delle proteste questo 2010. A introdurre la cerimonia di premiazione è stato il grido di all’allarme lanciato dai Centoautori per bocca di Stefania Sandrelli. Un messaggio lucido e severo sulla drammatica crisi del nostro cinema, nei confronti della quale il governo si mostra completamente sordo. Denuncia rilanciata da Bellocchio durante la premiazione: «In molti hanno chiesto, domandato gentilmente, pregato il governo. La risposta è stata: non vi diamo una lira! Ora serve una nuova forma di protesta. Non basta più chiedere, pregare, gentilmente...». I primi segnali di tensione si sono avvertiti già in mattinata, al Quirinale, dove il presidente Napolitano ha incontrato i candidati. Nessun rappresentante del governo era presente. Neanche Bondi, «giustificato» dallo stesso Presidente perché impegnato in Consiglio dei ministri. Nel suo intervento, infatti, non mancano i riferimenti alle «difficoltà» del nostro cinema, nonostante definisca «un’annata da collezione» questa del 2009 in cui «una nuova leva di giovani» si è rivelata. Le difficoltà, secondo Napolitano sono da «collegare» a quelle «complessive dovute alla crisi finanziaria mondiale». Consapevole che «queste difficoltà non sono finite» il Presidente aggiunge che questa situazione «impone anche al mondo del cinema una più intelligente selezione dei destinatari delle risorse pubbliche. Dobbiamo sentire il dovere comune di contribuire a superare questa crisi. Sono convinto che anche l’anno prossimo sarà un buon anno». Anche, perché, sottolinea «il cinema ha dato un grande contributo all’unificazione della lingua e della cultura italiana, raccogliendo tutte le diversità di accenti di cui sono ricche. Questo contributo è necessario in un momento complesso per lo sviluppo unitario del nostro Paese». Accuse poi, e durissime, quelle lanciate dal produttore Domenico Procacci e da Carlo Verdone contro la giuria troppo allargata (sono 1592 i componenti) dei David, composta da alcune «persone incompetenti e disinteressate alla materia». Tra cui figurano anche il sindaco Alemanno e Montezemolo. Per Verdone si tratta addirittura di un’accozzaglia di autisti di qualcuno e figli di qualcun altro. Tanto che si chiede che cosa ci facciano anche i suoi figli. La proposta, dunque, è azzerare tutto, ridurre il numero dei giurati e fare come in Francia, spiega Procacci, dove ai Cèsar votano soltanto «in 3000 ma tutta gente di cinema». Gian Luigi Rondi, presidente dell’Accademia dei David tenta la difesa: «Se ci sono buoni suggerimenti li ascolteremo, ma va detto che il premio è nato proprio in uno spirito che coinvolgesse le persone comuni. Anzi sono stato io ad allargare la giuria coinvolgendo tutte le persone che hanno avuto una nomination».

il Fatto 8.5.10
Le novecento schiave di padre Maciel
Il fondatore dei Legionari di Cristo sottraeva beni alle sue “religiose”
di Miguel Mora

Le donne provenivano da ricche famiglie di Spagna, Italia Messico,Nuova Zelanda, Francia e Germania
Dopo la condanna vaticana di Marcial Maciel, l’annuncio della rifondazione dell’ordine e il commissariamento dei Legionari di Cristo da parte di papa Benedetto XVI, continuano a trapelare particolari sull’indagine condotta negli ultimi 10 mesi ad opera di cinque inviati pontifici. Secondo quanto pubblicato dal giornale messicano Milenio, nel corso dell’inchiesta condotta in Messico il Vaticano ha scoperto che Maciel – poligamo e pedofilo, morto nel 2008 – aveva creato una congregazione femminile senza l’avallo di Roma, composta da 900 giovani che vivevano in condizioni di “virtuale schiavitù”. Il quotidiano afferma che le “religiose” al loro arrivo venivano isolate e potevano fare visita alla famiglia solamente per 15 giorni ogni sette anni e ricevere una telefonata al mese. I genitori potevano andarle a trovare una volta l’anno. Le donne, che appartenevano al ramo laico dell’ordine, Regnum Christi, venivano reclutate tra le famiglie ricche di Spagna, Messico, Stati Uniti, Francia, Italia, Germania e Nuova Zelanda.
Le novizie dovevano essere “donne sorridenti, di buone maniere, di bella presenza e di modesta formazione culturale e religiosa”, ha scritto il giornale. Tra i loro doveri c’era quello di “non criticare” mai le decisioni dei responsabili dell’ordine e di riferire ai superiori se qualcuna lo faceva.
Secondo Milenio, 15 anni dopo aver preso i voti tradizionali – che comportavano la castità, l’obbedienza e la povertà – erano obbligate a consegnare metà dei loro beni e dopo 25 anni la totalità dei loro beni. Inoltre, sempre secondo il quotidiano messicano, “in occasione del compleanno di Maciel, cioè a dire ogni 10 marzo, venivano sollecitate a fare un dono in denaro che consisteva in un assegno di 250.000 dollari”.
Le indagini hanno portato alla luce altri terribili fatti avvenuti all’interno dell’ordine. Il vescovo messicano di Tepic, Ricardo Watty, uno dei cinque prelati che hanno indagato sui Legionari di Cristo, ha rivelato di aver consegnato al Papa la documentazione relativa ad un gruppo di legionari che avevano subito abusi sessuali da parte del fondatore della Legione e ha aggiunto che probabilmente Benedetto XVI incontrerà le vittime. Il vescovo Watty ha dichiarato al canale televisivo Televisa: “Nella personalità di padre Marcial ci sono molti elementi che hanno influenzato [i sacerdoti e i membri del movimento]. Di tutto questo bisogna liberare la Legione. Sono persone buone, ma avvolte in una cappa di dannazione e malvagità”.
Lo scandalo degli abusi sessuali non cessa di arricchirsi di nuovi episodi in ogni parte del mondo.
Proprio ieri Ratzinger ha accettato le dimissioni del vescovo irlandese Joseph Duffy, che, stando a quanto reso noto dal Vaticano si è reso colpevole di aver coperto abusi sessuali su minori ad opera di sacerdoti. Le dimissioni sono state ufficialmente attribuite a ragioni di età in quanto Duffy ha compiuto 76 anni. Il Papa ha la facoltà di accettare o meno le dimissioni per ragioni di età.
Sono già quattro i vescovi irlandesi dimissionati dopo la pubblicazione dei due rapporti ufficiali – il Rapporto Ryan e il Rapporto Murphy – che hanno rivelato che in Irlanda nell’arco di 70 anni centinaia di bambini hanno subito abusi sessuali da parte di sacerdoti.
Traduzione di Carlo Antonio Biscotto (c) El Pais

Repubblica 8.5.10
"Quelle ultime notti accanto a Eluana tra pietà e polemiche"
In un libro il racconto del dottor De Monte
di Piero Colaprico

Il volume scritto a quattro mani con la moglie Cinzia. Insieme accudirono la ragazza in coma
Pagine ricche di dubbi e riflessioni per capire quei giorni nella clinica di Udine
"Su questa vicenda sono state scritte tante bugie, a volte in buona fede, ma spesso interessate"

MILANO - Una parola che ricorre spesso è «bugia». Esce in queste ore un libro che mette in primo piano la realtà scientifica della storia e della morte di Eluana. L´hanno scritto il medico e l´infermiera, marito e moglie, Amato De Monte e Cinzia Gori, che hanno vegliato a Udine la figlia di Beppino Englaro. Chi crede di trovare in questo «Gli ultimi giorni di Eluana» (Edizioni della biblioteca dell´Immagine) gente con la verità in tasca si sbaglia di grosso, anzi le pagine sono ricche di dubbi, riflessioni anche sorprendenti: per esempio quando il medico, alla fine, accompagna Eluana in autoambulanza e si sente (parole sue) ormai «incastrato», non può più dire di no.
Ma, carte alla mano e documentazione clinica finalmente alla luce del sole, si comprende meglio che cosa è accaduto dietro le quinte di questa vicenda. E la diversità di vedute con le suore Misericordine di Lecco (a parte suor Rosangela, che per quindici anni ha accudito Eluana) è fortissima. C´è una questione cruciale e inedita: «Mi sono spesso imbattuta, in seguito, in storie fantasiose di individui estranei che - si legge in un capitolo - in quei giorni di ricovero sarebbero passati a portare dei fiori a Eluana e l´avrebbero vista "bellissima, tranquilla, sdraiata nel suo letto". Si tratta di racconti totalmente inattendibili», dicono gli autori. «Dov´erano i sorrisi, lo sguardo che ti segue, la pelle bellissima?», si chiede l´infermiera quando prende in carico Eluana dopo il viaggio Lecco-Udine.
C´è chi, senza averla mai visitata, sosteneva che Eluana potesse deglutire: anche questo era diventato un tema fondamentale per le polemiche. Su questa ragazza, diventata donna dopo i lunghi diciassette anni in stato vegetativo, a Udine notano però «due brutte escrescenze alle orecchie», all´inizio inspiegabili. Poi, «proseguendo nella sistemazione delle sue cose trovai - racconta l´infermiera - anche una serie di telini bianchi piegati e ben ordinati. A quale uso erano destinati lo avrei scoperto, inaspettatamente, molto presto». Da sola perché mancano informazioni: «Niente consegne infermieristiche... Mi domandavo: era stato fatto apposta, era una superficialità, una semplicemente una svista o cos´altro?». Che cosa nascondeva la clinica di Lecco?
La scoperta dell´indicibile avviene durante la prima notte, quando si sente Eluana tossire. È una strana e improvvisa tosse, l´infermiera accorre e dopo un «momento di stupore incredulo», aiuta Eluana a respirare: è piena di saliva. Com´era possibile? «Ripensai al mattino e finalmente capii a cosa servivano tutti i telini bianchi... Posizionati al lato della bocca di Eluana, servivano ad assorbire la saliva». Hanno dunque una spiegazione anche le piaghe alle orecchie della malata: «Sono dovute al fatto che veniva tenuta sul fianco per evitare che affogasse nella propria saliva, potevano anche dircelo, no?!».
Il giorno dopo le suore lecchesi inviano, attraverso i giornali, questo messaggio: «Accarezzare Eluana, osservare il suo respiro e ascoltare il battito del suo cuore». Hanno sempre avallato le ricostruzioni più demenziali, mentre l´autopsia rivelerà che i «polmoni stavano diventando di pietra e osso» per una rara malattia e che le zone della percezione erano lesionate e quindi non aveva alcuna relazione possibile con il mondo esterno.
Quello che più conta, in queste 250 pagine, non sono tanto le precisazioni nei confronti di una politica che non vuol sentire le cose come stanno, ma è il ripercorrere «dall´interno» una vicenda umana e clinica senza precedenti. Con il ricordo un altro ragazzo sfortunato, Roby Margutti, del tutto sconosciuto ai più. Nel 1990, a ventun anni, per un incidente era diventato tetraplegico. Per diciott´anni aveva vissuto con uno «stimolatore diaframmatico»: una dozzina di scosse al minuto gli permettevano di respirare. Dopo altre complicazioni, Roby per un po´ resistette alla grande, rifiutò le cure che non curavano. Amato De Monte ne ricorda le parole della madre: «"Vola libero mio tesoro" diceva al figlio morto, mentre lo baciava e piangeva».
Torna perciò in mente l´ultima telefonata di Amato a papà Beppino: «E je lade Bepino, tu le as liberade», «se n´è andata Beppino, l´hai liberata». Mentre, «a tutti noi - si legge - rimaneva il bagaglio indimenticabile» del confronto con Eluana: un bagaglio che ancora non si chiude.

Repubblica 8.5.10
A Villa Manin, vicino a Udine, una grande mostra celebra la famiglia di artisti Partiti dal figurativo, le strade poi si dividono: ma tra le opere resta un colloquio segreto
Afro, Dino e Mirko il dialogo di tre fratelli tra pittura e scultura

Quando si dice che l´arte è un vizio di famiglia. Il pittore e decoratore friulano Leo Basaldella quando scompare, nel 1918, lascia tre figli: Dino di nove anni, Mirko di otto, Afro appena di sei. Affidati alle cure degli zii Remo e Ivo, il primo orafo, il secondo pittore, diventeranno artisti. Tutti e tre. Come se il loro fosse un destino obbligato, una vocazione trasmessa con il sangue. Nascono a Udine, dove Dino resta quasi tutta la vita. Gli altri due scelgono di andar via, raggiungendo Roma: è qui che Afro si ferma fino alla morte avvenuta nel 1976 in un ospedale di Zurigo, dov´è ricoverato per un ictus. Mentre Mirko, nel 1957, parte per Cambridge, Massachusetts e, negli Stati Uniti, scompare nel 1969. È forse a causa del suo essere stanziale e non per la minore qualità delle opere, che Dino, morto a Udine nel 1977, è ancora oggi il meno celebre dei tre. Il più conosciuto, anche a livello internazionale, il solo che sceglie la suggestione del colore, è il pittore Afro. Mirko e Dino invece si incamminano lungo la via della materia, e della scultura.
Una mostra, intanto, li ha riportati tutti a casa. Proprio in provincia di Udine, a Passariano, nelle sale di Villa Manin, è allestita fino al 29 agosto l´esposizione I Basaldella, curata da Giuseppe Appella, Fabrizio D´Amico e Marco Goldin (catalogo Linea d´ombra), che indaga l´intrecciarsi del loro lavoro, gli stimoli reciproci, gli scarti, le differenze, la definizione di un linguaggio autonomo da quello degli altri. Che, tuttavia, un po´ per forza e un po´ per desiderio, finisce col farci i conti. In questo senso in mostra ci sono piccoli dialoghi sotterranei che rivelano il loro guardarsi, spiarsi, suggerirsi idee e soluzioni anche involontarie.
Tra le prime sale c´è un gioco di figure maschili distese che Afro dipinge nel 1936 (Ragazzo disteso) e Mirko e Dino scolpiscono quasi negli stessi anni (Narciso e L´assetato per il primo; il Pescatore d´anguilla per il secondo). Opere che sembrano davvero parlarsi tra loro. Siamo ancora in piena figurazione per i tre artisti che lentamente, insieme eppure separati, giungeranno a quegli esiti astratti con cui sono noti. La loro astrazione ha comunque come punto di partenza la memoria: di un fatto, di uno stato d´animo, di un mondo lontano nel tempo o nello spazio. Colpisce e quasi commuove l´ultimo Dino che inserisce il colore nei suoi ferri dolenti, perché quei rossi di sangue sembrano arrivare direttamente dalle tele di Afro.
Quando il pittore comincia a sfaccettare le immagini sull´onda di una fascinazione per il Cubismo che lui declina attraverso Braque e non Picasso, Mirko scarnifica i suoi personaggi come succede al leggendario Ettore, a cui sembra restato soltanto lo scheletro. Il pianeta della fortuna dipinto da Afro nel 1948 finisce così per sembrare la raffigurazione di un personaggio di Mirko colorato. Rientrato in una cornice, come se, all´interno di questa, potesse pacare l´aspetto dionisiaco della sua creazione. Dei tre, infatti, lo scultore che finirà i suoi giorni in America, è quello più convulso, il più inquieto. Segue una traiettoria discontinua, posseduto com´è da un ossessivo desiderio di sperimentazione. Guarda e fa suo un mondo di etruschi e sciamani, di maschere azteche e rilievi babilonesi, di divinità primitive e di eroi della Grecia, di idoli africani e di scomposizioni cubiste, di magia barocca e di antichi guerrieri, di foreste abitate da inconsci surrealisteggianti e di racconti frementi di materiali che pulsano. Come gli altri due, ha i suoi anni eroici, quelli della svolta, della conquista del proprio modo di sentire, nei Cinquanta che pullulano di ‘totem´ e di ‘chimere´.
Più lineare è il percorso intrapreso da Dino, affascinato da una realtà fatta di ingranaggi, macchinismi complessi che qui trovano la forza espressiva di un nuovo equilibrio. Le sue sculture ‘barbariche´ hanno la fierezza delle cose remote, di forme primordiali, come fossero grandi animali preistorici sopravvissuti, orgogliosi di esserci ancora. Camminando nella sala centrale della villa dove le sculture sono allestite una accanto all´altra, come alberi di un bosco, si ha la sensazione di attraversare qualcosa di vibrante.
Il polmone di Afro invece è il colore. E per lui, che ha studiato a Venezia, questo significa luce. Che rivela e smangia, come quella di Medardo Rosso, lo scultore tanto amato da Dino. I suoi esordi sono legati alla figura: volti maschili soprattutto, ma anche fiori morandiani e una Roma trasfigurata in cui le rovine antiche e le demolizioni fasciste sembrano specchiarsi: le prime sono ciò che il tempo ha conservato, le altre ciò che l´uomo decide di distruggere, ma per Afro il risultato non cambia. Nei suoi capolavori degli anni Cinquanta e Sessanta lo sguardo naviga in abissi di blu profondi e esplora rossi carichi di energia. Su tutto poi compaiono dei segni scuri, indimenticabili. Perché Afro è uno dei pochi artisti per cui il nero non fa rima con il buio, ma con il suo contrario. Attraverso i suoi neri luminosi si entra in un mondo di trasparenze, di velature, di visioni sognanti e sfocate, come se giungessero da un ricordo non ancora completamente riemerso. E da quell´indefinitezza così sicura, viene voglia di non uscire più.