domenica 23 maggio 2010

il Fatto 23.5.10
Reporters sans Frontières : pubblicheremo tutto sul nostro sito
“Ospiteremo ciò che sarà vietato”
Rsf: sul nostro sito gli atti illegali in Italia. Un segnale al governo
di Stefano Citati

S iamo pronti: non appena il disegno di legge sulle intercettazioni sarà approvato lì da voi, il nostro sito sarà disponibile ad accogliere tutti quei documenti che non saranno più legali da voi. Così saranno disponibili e si potranno consultare anche dall’Italia i contenuti proibiti. È un aiuto e un servizio che troviamo giusto e ci fa piacere fare, anche per i nostri confreres italiani, i nostri colleghi che si trovano sempre più in difficoltà. Ed è inoltre un’iniziativa che potrebbe anche portare il vostro governo a riflettere e – magari – ad apportare delle modifiche per rendere meno scandalosa questa legge”. Jean Francois Julliard, segretario generale di Reporters sans frontières conferma da Parigi al Fatto Quotidiano la volontà dell’organizzazione internazionale per la difesa della libertà di stampa di aprire il sito www.rsf.org alla pubblicazione degli atti giudiziari che saranno messi fuorilegge dalle nuove norme stabilite dal governo. Non temete di aprire un contenzioso legale con la giustizia italiana?
Nessun timore. Siamo curiosi di vedere come può andare. Intanto noi apriamo il sito, come avevamo preannunciato il 3 maggio, in occasione della Giornata mondiale per la libertà di stampa, e poi staremo a vedere le conseguenze. Prima di tutto la pubblicazione su un sito straniero comporterà risposte da parte della vostra giustizia con modi e tempi che non sono scontati. E poi Rsf è pronta ad affrontare le conseguenze anche legali di questo gesto, la cui importanza e valore valgono certo la pena. È una risposta di civiltà nei confronti di una legge che è evidentemente retrograda, stupida, miope e che si dimostrerà controproducente. Non ci possono essere altri giudizi per quello che è un evidente attentato alla libertà di stampa.
Cosa possono fare i giornalisti italiani contro questa minaccia? I colleghi italiani hanno già fatto molto in questi anni e in questi tempi tutt’altro che facili per i media e per l’indipendenza della loro professione. Molti hanno continuato a lavorare nonostante le difficoltà, e non penso solo a Berlusconi, ma anche e soprattutto alla mafia, alla criminalita organizzata. Certo, l’Italia non può essere paragonata ai paesi per cui Rsf si impegna da tempo e costantemente, come le dittature del Terzo Mondo, ma è vero che nelle nostre classifiche sulla misura delle libertà di stampa e le condizioni di sicurezza e lavoro dei giornalisti il vostro paese occupa ormai stabilmente le posizioni di coda delle nazioni occidentali. Allo stesso tempo l’Italia è rappresentante di un fenomeno negativo europeo: ci sono paesi – mi vengono in mente la Bulgaria, la Slovacchia, ma anche la “mia” Francia in questi anni di presidenza Sarkozy – dove gli indicatori sulle condizioni che riguardano i media sono in peggioramento e si assiste a un’erosione delle libertà con aggressioni più o meno costanti e gravi.
Quali suggerimenti ha per continuare il contrasto a questa legge e mantenere alta l’attenzione sulla vicenda? I confreres italiani devono poter contare sull’appoggio dei colleghi europei. Si deve poter creare una fratellanza tra i giornalisti dei diversi paesi europei e sviluppare una sensibilità e solidarietà comune, grazie alla quale il mutuo sostegno in situazioni di difficoltà e critiche per la libertà di stampa sia garantito e automatico. Una rete che permetta di far “illuminare” i casi critici di un paese dai mezzi d’informazione degli altri Stati, in modo da non far mai cadere l’attenzione e “abbandonare” i colleghi in prima linea. In fin dei conti con i nuovi mezzi d’informazione ciò può avvenire rapidamente e in modo capillare, senza che nulla,
o quasi, sfugga e venga sottovalutato e si possono usare i media degli altri paesi come uno specchio che rifletta e rimandi la situazione nel paese d’origine. Dandoci una mano l’un l’altro renderemo ben più dura la vita di chi vuole il nostro silenzio.

il Fatto 23.5.10
Emergenza immigrazione? Quando serve
Maurizio Ambrosini. L’esperto di processi migratori: “Ora all’improvviso per le tv governative c’è sicurezza”
di Corrado Giustiniani

I mprovvisamente, cala il sipario sugli immigrati. Non se ne parla quasi più, non sono più un problema. La lotta contro i clandestini è stata vinta, ripete trionfante da tutte le tribune il ministro dell’Interno Roberto Maroni. “Soprattutto si parla meno di criminalità e devianza legata agli immigrati. Un silenzio punteggiato da improvvisi scoppi di visibilità, come Rosarno o via Padova a Milano, con lo scontro tra sudamericani e nordafricani e l’egiziano rimasto sul campo”, spiega Maurizio Ambrosini, uno dei più acuti esperti di immigrazione, docente di Sociologia dei processi migratori all’Università di Milano e autore di saggi come Richiesti e respinti, appena uscito per Il Saggiatore.
Come si spiega l’altalena di eccessi e silenzi?
Le analisi dell’Osservatorio di Pavia ci dicono che l’Italia è il paese in cui si parla più di cronaca nera in tv, e molto spesso questa viene legata all’immigrazione. Soltanto da noi un tg delle 20 annuncia: “Violentata da uno straniero”. Ma questa pressione mediatica è calata dopo il 2008, risalita prima delle elezioni regionali del 2010 e discesa nuovamente adesso. Oggi il governo e le tv ad esso legate conducono l’operazione opposta: convincere tutti che il paese è diventato sicuro.
Ed è vero, che è più sicuro?
Il ministero dell’Interno ha fatto sapere che negli ultimi due anni i reati si sono ridotti dell’11%. Ma non dice che la diminuzione è in corso da diversi anni. La devianza degli immigrati, poi, è proporzionalmente diminuita per due semplici ragioni: sono diminuiti gli irregolari perché la Romania è entrata nell’Unione europea e per la sanatoria di 300 mila persone (formalmente colf e badanti) del settembre 2009. Chi ha il permesso di soggiorno entra in una condizione meno marginale ed è meno esposto al rischio di devianza.
Ma davvero i cosiddetti clandestini sono spariti? Assolutamente no. Si sono semplicemente ridotti, rispetto al decreto flussi del 2008, quando potevano essere stimati in 750
mila. Oggi, secondo i calcoli del professor Giancarlo Blangiardo dell’Ismu sono poco sopra i 500 mila.
Merito della politica dei respingimenti in mare? Macché! Prendiamo l’anno di picco degli sbarchi, il 2008, con 36 mila. Bene, questi non costituivano che il 10-12 per cento degli arrivi irregolari nel nostro paese. Averli ridotti del 90 per cento nel 2009, significa dunque poco.
E da dove e come giungono, allora, i migranti? In autobus dall’Europa, in aereo dal Sudamerica e dalla stessa Africa. Ma non sono irregolari in partenza, perché la grande maggioranza entra con visto turistico e diventa irregolare dopo. Oltre il 60% degli attuali regolari ha seguito questo percorso, ma non lo si vuole rivelare.
Merito di un giro di vite sulle espulsioni? Anche in questo caso il governo vende fumo. Di espulsioni se ne fanno assai poche. Nel 2008 sono state appena 18 mila, ovvero il 3% dei clandestini stimati allora. Quanto ai Centri di espulsione, hanno 1.160 posti, quindi la decisione di allungare da due a sei mesi la custodia si rivela propagandistica. Vengono trattenuti nei Cie solo in pochi e nel 2008 solo il 41% di loro è stato espulso. Frattini favoleggiava di voli congiunti con altri Stati per riportare i “clandestini” in patria: ne è stato organizzato solo uno, verso la Nigeria. Possiamo convivere con oltre 500 mila irregolari?
Di fatto lo stiamo facendo, ma non è una politica lungimirante. L’aumento della legalità richiede altre politiche. L’Italia in 22 anni ha fatto sei sanatorie. Berlusconi è il più grande regolarizzatore d’Europa: ha battuto Zapatero, sanando 1 milione di clandestini. Ventidue Stati dell’Ue su 27 hanno varato sanatorie negli ultimi dieci anni, regolarizzando da 5 a 6 milioni di immigrati.
Non basta insomma sanare colf e badanti... Capita che, nella stessa famiglia, lei colf può restare in Italia, e il marito operaio edile rischia di essere sbattuto fuori. Quali altre misure raccomanda?
Agevolare i ricongiungimenti familiari, come si fa in tutta Europa: sono arrivi regolari che creano stabilità psicologica. Il governo, invece, alza l’asticella del reddito e dei requisiti di alloggio. Crea stabilità anche la possibilità di professare la propria religione. Ecco perché negli Usa costruiscono tanti luoghi di culto.
Ma con la crisi, gli immigrati non lasceranno il paese? La Spagna ha tentato di incoraggiare i rientri, ma senza successo. Nessuno dopo aver investito tutta la sua esistenza, torna in patria con un fallimento.

Repubblica 23.5.10
Un muro sotterraneo attraverso la solitudine di Gaza
di Alberto Stabile

Al confine tra l´Egitto e la Striscia, protette da blindati e torrette di guardia, potenti trivelle scavano in profondità. Stanno costruendo una barriera per tagliare il traffico di armi attraverso i tunnel Ma là sotto passano anche elettrodomestici, animali, viveri, automobili: tutto quello che rende meno dura la vita dei palestinesi

RAFAH. Qui la guerra è parte del paesaggio. E non solo perché gli aerei israeliani ogni uno e due fanno il tiro al bersaglio con i tunnel che attraversano in profondità il confine tra la Striscia di Gaza e l´Egitto. Quel che succede sulla parte egiziana di Rafah non è più rassicurante. Protette da mezzi blindati, torrette con i tiratori scelti, nidi di mitragliatrici, potenti trivelle bucano il terreno fra le palme. Lunghe travi d´acciaio ondeggiano sospese dalle gru prima di finire inghiottite dalla sabbia. Così, la barriera sotterranea che il governo egiziano ha deciso di costruire per bloccare il contrabbando va mettendo le sue radici. E i capi di Hamas, padroni della vita e della morte di un milione e mezzo di palestinesi, gridano al tradimento contro i governanti del Cairo.
La sensazione, girando per le strade di Rafah, è di trovarsi in una retrovia. E come in ogni retrovia, fioriscono i traffici, concentrati, soprattutto, sulla piazza principale, «la nostra Porto Said», dice la guida, una sorta di duty free a cielo aperto dove sono esposte le merci che arrivano dai tunnel: elettrodomestici e computer, generatori e macchine agricole, dispensatori di acqua minerale e pezzi di ricambio d´ogni genere, animali di tutti i tipi, pecore, asini, pappagalli rari, stoffe, vestiti, tute sportive e naturalmente benzina, gasolio, combustibili vari.
Mancano le armi che, attraverso i tunnel, vanno ad irrobustire l´arsenale di Hamas. Ma quello è un mercato che non si mostra al grande pubblico. Tuttavia, è proprio per bloccare il traffico di armi che, dopo l´operazione "Piombo fuso", Stati Uniti e Israele hanno deciso di mettere in mora il governo egiziano. I militari americani hanno elaborato l´idea di costruire una barriera sotterranea, munita di sensori, che i tunnel non potranno superare, almeno sulla carta. La Germania ha offerto la propria tecnologia. Il Congresso degli Stati Uniti ha finanziato il progetto. A quel punto, il rais Hosny Mubarak ha deciso di dare il via ai lavori, anche perché, nel frattempo, i rapporti tra Il Cairo e Hamas si erano fortemente deteriorati (con accuse egiziane agli islamisti di aver ordito, assieme agli Hezbollah libanesi, un complotto per gettare il paese nel caos).
Questo, il contesto in cui è stato concepito il muro egizio. Ma alla gente di Gaza, cioè alle decine di migliaia che dai tunnel traggono di che vivere e alle centinaia di migliaia che grazie ai tunnel possono mantenere un livello di vita e di consumi appena al di sopra dei «bisogni umanitari», pur sempre garantiti dalle organizzazioni internazionali, degli aspetti politici e militari di questo mercato sotterraneo importa poco e niente.
Per la stragrande maggioranza del milione e mezzo di palestinesi di Gaza i tunnel sono la vita. Dai cunicoli che si aprono tra le macerie di Rafah e sfociano in Egitto non dipendono soltanto le ambizioni dei politici ma passano anche i sogni della povera gente: un abito da sposa, generalmente made in Turchia, una motocicletta, generalmente made in China, un condizionatore d´aria, generalmente made in Corea. Tutte cose che, esorbitando dal «livello umanitario», non supererebbero mai l´embargo israeliano, come non l´hanno superato i quaderni e le matite dell´Unicef bloccati per mesi al di là della frontiera.
Ma il vero business dei prossimi mesi saranno le automobili: «Upon request», ci assicura Mahmud Abu Raya, il quale traffica con i tunnel sin dal 2001, quando, ricorda, «cominciammo con le armi perché era scoppiata la seconda Intifada e per ogni carico di diverse tonnellate, si arrivava a guadagnare anche duecentomila dollari, mentre oggi il guadagno basta appena a far campare la famiglia».
«Upon request», spiega Mahmud, «vuol dire che chiunque abbia bisogno di una macchina nuova andrà dall´agente del tunnel il quale gli mostrerà il catalogo delle auto disponibili dall´altra parte del confine e la riceverà nuova, così come esce dalla concessionaria». C´è un solo problema, par di capire, ma non è insormontabile: l´auto costerà il doppio del suo valore di mercato, perché questo è il sovrapprezzo che si paga ai signori dei tunnel: il cento per cento del valore d´ogni cosa importata. L´economia sotterranea di Gaza, dunque, fiorisce e si espande. Si dice che un tunnel di un metro e venti d´altezza per un metro e venti di larghezza, lungo 700-800 metri costi fra i 180mila e i 250mila dollari, ma l´esercito delle formiche sembra in grado d´investire molto danaro per migliorare la rete delle gallerie sommerse.
Andando sulla Philadelphy Road, la terra di nessuno che separa la Striscia dall´Egitto, ci si può rendere conto facilmente delle dimensioni raggiunte dal business. Coperti da tendoni di plastica bianca stesi tra mucchi di sabbia e terra di riporto per nasconderli agli aerei israeliani, una miriade di piccoli cortili, alcuni dei quali chiusi da grate di ferro, permettono l´accesso ai tunnel. Gli statistici del luogo ne contano 1.050 che, assicura il sindaco di Rafah, Issah Nashas danno lavoro a quindicimila persone. Un´industria.
Mahmud, un gigante dall´aria sorniona, di tunnel ne gestisce due e un terzo ne ha in costruzione. Al più grande si accede attraverso una piattaforma circolare di un metro e cinquanta di diametro che viene calata da un montacarichi elettrico fino a diciannove metri di profondità. Scendiamo, appoggiandoci a una ringhiera di metallo che serve di solito per legarvi gli animali. Giunti alla base, si apre un lungo cunicolo quasi ad altezza d´uomo, illuminato da lampade al neon poste sui due lati della galleria. Date le condizioni generali, si direbbe una soluzione confortevole ed efficiente.
Nell´altro tunnel, quello in costruzione, seduti su un seggiolino di plastica che sembra un trapezio da circo, le mani aggrappate ai cavi, salgono e scendono sospinti dal montacarichi giovani scavatori che indossano pantaloni alle ginocchia. Una macchina pompa ossigeno a ventiquattro metri di profondità. Un uomo sta di guardia sulla bocca del pozzo, pronto a dare l´allarme in caso di crolli. In quattro anni, di giovani come quelli che risalgono dal buio per rilassarsi davanti a una tazza di tè ne sono morti centotrentaquattro. E questo per ottanta shekels al giorno, quaranta euro, niente, rispetto alla paga di cento dollari al giorno di qualche anno fa, ma pur sempre una fortuna nella miseria di Gaza.
Dall´altro lato del confine assicurano, però, che i tunnel hanno i giorni contati. Secondo le indiscrezioni trapelate sul progetto, la barriera di metallo che neanche l´esplosivo potrà perforare, un brevetto del corpo dei genieri americani, dovrebbe bloccare il passo degli scavatori. I sensori collegati al muro dovrebbero attivare le pompe che immetteranno imponenti masse d´acqua di mare rendendo la terra friabile.
Le proteste di Hamas, riprese e amplificate dai Fratelli musulmani, l´unica vera opposizione contro il regime egiziano, che ha accusato Mubarak di aver «voltato le spalle ai palestinesi», non hanno intimidito i governanti del Cairo. «Noi non abbiamo voltato le spalle a nessuno - ha replicato il ministro degli Esteri, Abul Gheit - al confine di Rafah è in gioco la sovranità dell´Egitto sul proprio territorio».
Nel frattempo i lavori proseguono. Pare che sia stato ultimato il primo chilometro dei dodici o tredici lungo i quali correrà la barriera sotterranea a una profondità dai diciotto ai trenta metri. Ma per i commercianti e gli imprenditori di Gaza sopravvissuti all´occupazione, alla guerra civile, al blocco dei valichi e all´operazione "Piombo fuso" non è ancora venuto il momento di fasciarsi la testa. «Alla fine gli egiziani non faranno niente, cercheranno soltanto di prendere tempo - dice, sicuro di sé, Mamun Huzundar, che con le sue piccole aziende dà lavoro a centoventi dipendenti - E se anche dovessero fare la barriera, qua è il problema? I tunnel le passeranno sotto. È solo questione di soldi, ma quello che tutti devono mettersi in testa è che noi dobbiamo sopravvivere».

l’Unità 23.5.10
Chomsky: Israele è paranoico. E va in visita da Hezbollah

Per l'accademico e esponente della sinistra radicale Usa Noam Chomsky Israele è «isterico e paranoico», ma è difficile che scatenerà una guerra contro Hezbollah: «se gli israeliani useranno la testa non
lo faranno». L'intellettuale ebreo americano, respinto da Israele giorni fa, è andato nel Libano meridionale, dove il movimento Hezbollah, che gli Stati Uniti considerano come terrorista, sta celebrando il decimo anniversario della liberazione dall' occupazione militare israeliana. Chomsky ha partecipato alla cerimonia di inaugurazione di un museo dedicato a Hezbollah e alle sue azioni militari. Il responsabile di Hezbollah per il sud del Libano, sheikh Nabil Qaouq Qaouq, è in allerta per le manovre difensive israeliane di oggi e ha detto che «in caso di una nuova aggressione contro il Libano, gli israeliani non troveranno posti per nascondersi».

il Fatto 23.5.10
Il caso Chomsky e la democrazia in Israele
di Carlo Tagliacozzo

Il caso dell’ingresso negato a Chomsky in Israele e Palestina merita qualche considerazione. Non è un caso isolato, ma trattandosi di un personaggio di altissimo profilo ha avuto l’attenzione dei media. Centinaia e centinaia di giovani e non giovani attivisti che vogliono portare la loro solidarietà ai palestinesi vengono respinti all’ingresso in Israele e per 5 anni non possono più andarci. Ma il caso Chomsky ha una sua specificità: si tratta di un accademico della più alta istituzione americana, il MIT. Gli israeliani e i loro sostenitori, ma anche larghissima parte dei loro critici dinanzi alla proposta del boicottaggio accademico si inalberano inorriditi in nome della libertà di ricerca. Nel caso di Chomsky si è applicato un boicottaggio individuale, in quanto persona non gradita che si recava nella Palestina occupata e non in Israele. Un esempio che dovrebbe far riflettere quanti sostengono che Israele sia “l’unica democrazia in medio oriente”.

sabato 22 maggio 2010

Repubblica Lettere 22.5.10
La lezione di Riccardo Lombardi
di Carlo Patrignani

Roma. È impossibile far politica senza la bramosia di arricchirsi, far carriera e acquisire visibilità e potere? Le vicende degli ultimi giorni direbbero no: poco importa se il "metodo" di oggi (l'arricchimento personale) sia simile a quello di ieri che portò a Tangentopoli (rubare per il partito). Sempre di corruzione e appropriazione indebita si tratta. Ha mai pensato di avere più soldi? «Non avrei saputo che farne. Non ho neanche una casa. A me basta poter comperare libri». Cosa le ha insegnato la vita? «Ad essere onesto, anzitutto». Cos'è l'onestà? «Coerenza tra dire e fare, rigore, intransigenza con se stessi». Così la pensava uno dei protagonisti della Repubblica, nata il 2 giugno 1946, Riccardo Lombardi, l'ingegnere "acomunista" che anzitempo (il 30 giugno 1984) previde la sparizione del suo partito.

l’Unità 22.5.10
Intervista a Stefano Rodota
«La privacy? Alibi del disegno eversivo»
L’ex garante «Il Parlamento è immobile, la stampa sarà imbavagliata e la magistratura è già intimidita»
di Andrea Carugati

Mi accusavano di essere troppo pessimista e invece ecco qui, e bisogna usare le parole giuste: siamo davanti a un cambiamento di regime». La pacatezza del professor Stefano Rodotà non nasconde la durezza dei concetti. «La libertà di espressione è un elemento fondativo delle democrazie e se viene toccata c’è oggettivamente un cambiamento di regime. Anche perché non è il solo pilastro che scricchiola». Rodotà è al sit in del popolo viola in piazza Montecitorio e indica con la mano il portone della Camera. «Il Parlamento è
ormai chiuso, come ha ammesso lo stesso Fini, la magistratura intimidita, l’Università come fucina di sapere critico è sotto attacco. C’è un’insofferenza verso tutti i controlli, si vuole zittire l’opinione pubblica. Neppure ai tempi di Craxi...». Perché torna a quel periodo? «Anche allora c’era questa insofferenza, ma non si arrivò mai all’ attacco frontale contro tutte le istituzioni di garanzia».
Lei che è stato Garante dovrebbe essere il più sensibile alla privacy violata dalle intercettazioni... «E infatti già molti anni fa con altri giuristi abbiamo scritto una proposta di legge per porre riparo agli eccessi nella pubblicazione, in particolare per quanto riguarda persone estranee alle indagini o aspetti non inerenti, come le abitudini sessuali. Per evitare questi rischi basta che i magistrati convochino le parti per eliminare tutto ciò che non è rilevante per le indagini. Si fa la ripulitura e le intercettazioni “dubbie” devono essere inserite in un archivio riservato, coperte dal segreto e sotto la responsabilità del magistrato. Mentre ciò che è rilevante, una volta conosciuto dalle parti è pubblicabile. Così si tutela la privacy e il diritto all’informazione».
E allora perché non viene fatto?
«Perché l’argomento della privacy è solo un pretesto per forzare la mano sull’informazione, un argomento usato in perfetta malafede. Si dovrebbe fare uno stralcio per le norme che tutelano la privacy, e passerebbero all’unanimità. E invece sono partiti dalle intercettazioni per arrivare al divieto di pubblicazione di tutti gli atti di indagine, ma ormai lo scarto tra l’obiettivo dichiarato e quello reale è sotto gli occhi di tutti...con questa legge avremmo conosciuto gli atti della strage di Ustica, avvenuta nel 1980, solo nel 2000. Per non parlare del caso Scajola e dei furbetti delle banche».
Alcuni manifestanti lo fermano: “Perché in piazza non c’è il Pd?” «Non dovete chiederlo a me, dal 1994 non ho più avuto nulla a che fare. Ma non mi sono ritirato a vita privata, sono un militante».
Come valuta il lavoro delle opposizioni su questo tema? «È stato un buon lavoro, una vera opposizione parlamentare. Però insomma, nel passato non solo il Pci ma anche la Dc e l’Msi quando c’era una battaglia parlamentare campale la sostenevano con iniziative nel Paese, anche in piazza. È anche un modo per dare una mano a chi sta in Parlamento, per farlo sentire meno solo. E invece tutto questo non è avvenuto».
Non c’è adeguata consapevolezza dei rischi per la democrazia? «Questa legge è coerente con un disegno eversivo di attacco ai poteri di garanzia. Se si vuole fermare non si può andare in vacanza. Vogliono coprire la nuova ondata di corruzione, diversa rispetto ai tempi di Tangentopoli: questa è concimata istituzionalmente, a partire dalle ordinanze di protezione civile costruite per agire fuori dai controlli». Crede che nel Paese ci siano le energie per una reazione? «Certamente sì, e lo dimostrano le 540mila firme raccolte in un mese sul referendum per l’acqua. Altrimenti non avrei promosso un appello...».
Pensa che il ddl sia incostituzionale?
«C’è una palese violazione dell’articolo 21 della Costituzione, e anche dell’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come dimostra il caso dei due cronisti francesi condannati dalla magistratura e “assolti” dalla Corte perché anche atti segreti possono essere pubblicati se coinvolgono figure pubbliche e rispondono all’interesse generale alla conoscenza. Credo che la Corte europea, se interpellata, farà vergognare i nostri parlamentari».
Come valuta la retromarcia del Pdl sul carcere per i giornalisti? «È solo una finzione, perché restano il divieto di pubblicazione e le maxi multe per gli editori, una sorta di “censura di mercato”, che spingerà gli editori a condizionare i giornalisti per evitare sanzioni». Le divisioni nel Pdl porteranno ad altre correzioni del ddl?
«Dico che non bisogna arretrare di un millimetro. Più cresce la mobilitazione, più tutti saranno obbligati a un supplemento di riflessione».

Corriere della Sera 22.5.10
Gli Usa. intercettazioni essenziali alle indagini
di Dino Martirano
qui
http://www.scribd.com/doc/31773284/Intercettazioni-Essenziali-Alle-Indagini-22-Mag-2010-Page-1

«Non c’è solo Veltroni… C’è Nichi Vendola che continua la sua marcia e che non ha nessuna intenzione di mollare la presa: “Mi candiderò alle primarie” ha detto a più d’uno… Nel frattempo Bersani non trascura di intessere rapporti anche alla sua sinistra, per esempio con … Paolo Ferrero, che avrebbe un buon motivo per schierarsi con Bersani. Quel motivo ha un nome e un cognome: Nichi Vendola con cui il numero uno del Prc ha rotto fin dai tempi dell’ultimo congresso del partito»

il Fatto 22.5.10
Vendola invoca De Magistris
di Vincenzo Iurillo

Napoli. Chiamatelo Cantiere per la Sinistra, Cantiere Futuro, Laboratorio Sud o come vi pare. E’ il tandem Nichi Vendola-Luigi De Magistris, e questo conta. Si è messo in viaggio ieri sera da un convegno alla Città della Scienza di Bagnoli e punta dritto al Comune di Napoli, che tornerà alle urne la prossima primavera. L’accoppiata tra il governatore della Puglia e l’eurodeputato Idv è la vetrina di un costituendo patto tra Sinistra e Libertà, Idv, movimenti e associazioni, pezzi di Rifondazione e ambienti del Pd campano scontenti dell’eterno scontro tra bassoliniani e deluchiani e del filotto di sconfitte racimolate in Campania dal 2009 (perse la Regione e quattro province su cinque). L’accoppiata ha un obiettivo dichiarato e uno nascosto. Il primo è quello di imporre le primarie di coalizione per il candidato sindaco di Napoli, possibilmente con ampio anticipo sul voto. Il secondo è quello di sfruttare le indecisioni del Pd e farlo trovare spiazzato su un nome esterno alle logiche spartitorie democrat, manovra in qualche modo già riuscita in Puglia con Vendola e nel Lazio con Emma Bonino. Va da sé che il nome ideale sarebbe quello di De Magistris. Solo che l’ex pm di Why Not non ha sciolto la riserva, e chi si aspettava ieri qualche parola risolutiva sulla questione è rimasto deluso. Non è arrivato un sì, ma nemmeno un no. “La questione non si pone – afferma De Magistris sono uno dei tanti candidati possibili che potrà mettersi in gioco. A Napoli si rischia di avere Mara Carfagna sindaco, per cui c’è bisogno di una candidatura forte, espressione di un’area politica molto vasta”. Vendola prima di arrivare alla Città della Scienza è stato a Bitetto, ai funerali di uno dei militari uccisi in Afghanistan. “De Magistris sindaco? Tutto ciò che spariglia i giochi tradizionali nel Palazzo del centrosinistra mi va bene”, dice il governatore. E qui sono in tanti ad augurarsi anche la discesa in campo di Michele Santoro.


l’Unità 22.5.10
La cellula e la Chiesa
La vita artificiale secondo Bagnasco
di Maurizio Mori

La notizia della “cellula artificiale” ha suscitato sgomento e confusione. Di fatto non si è creato nulla, tantomeno la vita, ma si è riprogrammato un batterio, che è diverso. Quel che interessa, tuttavia, sono le reazioni. Alcuni vescovi come Domenico Mogavero, presidente del consiglio Cei per gli affari pontifici hanno subito preso le distanze dagli «scenari della vita artificiale, dall’uomo bionico creato in laboratorio», sottolineando che «l’incubo da scongiurare è la manipolazione della vita, l’eugenetica. E chi fa scienza non dovrebbe mai dimenticare che esiste un solo creatore: Dio». Modificare in modo tanto profondo la vita porta a far sì che siano «chiamati in causa sia il futuro dell’uomo sia il senso dell'umano», chiedendo così di porre «uno stop immediato all'anarchia della scienza».
Dall’altra parte, però, sia Angelo Bagnasco, presidente della Cei, sia monsignor Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, hanno preso posizioni diverse: il primo ha rilevato che nella nuova scoperta «si vede l’intelligenza dell’uomo, che è un grande dono di Dio», precisando poi che «l’intelligenza non è mai senza responsabilità» e che tutte le forme di intelligenza come di acquisizione scientifica «pur se valide in sé devono essere sempre commisurate ad un’etica che ha al suo centro sempre la dignità umana nella prospettiva del Creato». L’altro ha sottolineto che ogni scoperta scientifica «è sempre un bene per l’umanità» e che dobbiamo «capire l’uso che verrà fatta della scoperta ... Per ora si tratta di una scoperta teorica di cui bisognerà poi verificare l’utilizzo: se sarà per il bene dell’uomo, cioè per curare le patologie» o se si ricorrerà a un suo uso «discriminatorio».
Mentre rileviamo questa forte discrepanza all’interno della stessa Chiesa cattolica, fa piacere rilevare come due autorevoli vescovi cerchino di evitare condanne sommarie che potrebbero dar luogo a casi simili a quello di Galileo. Tuttavia emergono alcune domande: se la vita artificiale è segno dell’intelligenza come grande dono di Dio, perché non lo è anche l’artificialità nella vita? Perché non dire lo stesso delle tecniche di fecondazione assistita, artificiali anch’esse. E se vanno apprezzati gli eventuali risvolti terapeutici di questa scoperta, perché rifiutare quelli legati alle staminali embrionali?
Il vero problema è che stiamo sempre più capendo i meccanismi della vita e acquisendo il suo controllo: si dissolve cioé quella sacralità della vita che valeva quando essa era avvolta nel mistero. In passato il passaggio della cometa di Halley era era segno di sventura: quando si è calcolata la sua orbita, la stessa cometa ha cessato di terrorizzare le coscienze. Ora qualcosa di analogo sta avvenendo coi processi della vita, ed è giunto il tempo che si cambi paradigma. Almeno speriamo.

Corriere della Sera 22.5.10
La Bibbia i Greci la creazione e il mistero del nulla
La parola usata dalla Genesi in origine voleva dire separazione
di Armando Torno
qui
http://www.scribd.com/doc/31773097/Corriere-Della-Sera-La-Bibbia-i-Greci-e-La-Creazione-22-Mag-2010-Page-1

l’Unità 22.5.10
Vietato parlare con la stampa
Bavaglio a presidi e professori

di Chiara Affronte

Emilia Romagna. L’Ufficio scolastico regionale impone il divieto di parola al personale scolastico
Gelmini applaude. «Non si usa l’istruzione per fare propaganda. Chi vuol fare politica, si candidi»
Il coordinamento docenti modenese rende pubblica una circolare in cui l’Usr impone ai lavoratori della scuola di non avere contatti con la stampa. La Cgil chiede le dimissioni del dirigente. La Gelmini lo difende.

Bavaglio agli insegnanti che parlano con la stampa o dissentono dalle linee del governo. Se non si “ubbidisce” via alle sanzioni disciplinari. È quello che accade in questi giorni in Emilia-Romagna, dove il dirigente dell’Ufficio scolastico regionale Marcello Limina invia ai presidi una circolare «riservata» (si legge in alto nel documento, ndr) in cui manifesta la volontà di porre uno stop a «dichiarazioni rese da personale della scuola con le quali si esprimono posizioni critiche con toni talvolta esasperati e denigratori dell’immagine dell’amministrazione di cui lo stesso personale fa parte». Toni che prosegue la nota vengono inviati sotto forma di documenti ad autorità politiche, fatti circolare a scuola o distribuiti alle famiglie. Nella circolare Limina “invita” quindi ad «astenersi da dichiarazioni o enunciazioni che in qualche modo possano ledere l’immagine dell’Amministrazione pubblica».
Si scatena il putiferio quando il coordinamento degli insegnanti modenesi Politeia viene a conoscenza dell’esistenza di questa circolare, non ancora resa pubblica da nessun preside, ma datata 27 aprile. La Cgil insorge: «Ritiro immediato della nota e dimissioni del direttore dell’Usr», la richiesta del segretario generale Flc-Cgil Mimmo Pantaleo. Immediata la difesa del ministro Mariastella Gelmini: «Condivido e sostengo pienamente l’operato del direttore Limina che ha invitato tutto il personale della scuola a osservare un comportamento istituzionale afferma il ministro È lecito avere qualsiasi opinione ed esprimerla nei luoghi deputati al confronto e al dibattito. Quello che non è consentito è usare il mondo dell’istruzione per fini di propaganda politica: chi desidera fare politica si candidi alle elezioni e non strumentalizzi le istituzioni».
PRESIDI SCERIFFI
Tutto parte da Modena, dove alcuni insegnanti vengono a conoscenza dell’esistenza della circolare. «Qualche dirigente troppo zelante l’ha messa tra quelle visibili a tutti», riferisce un insegnante. Presa la palla al balzo di una manifestazione contro i tagli della riforma Gelmini che si è svolta a Modena giovedì, i docenti
hanno reso pubblica la notizia e firmato una mozione per denunciare il «carattere intimidatorio e lo spirito antidemocratico della circolare che cerca di reprimere le legittime proteste del mondo della scuola». Fatto altrettanto grave, per i “prof” modenesi, quello di «far passare l’idea che i dirigenti, destinatari del documento, siano soggetti superiori di grado, quando in realtà, nel collegio docente, sono figure inter pares. Poi, vuoi per l’avidità di qualcuno, vuoi per il clima autoritario generale, passa l’idea di un ruolo diverso». La scuola, insomma, non è quella che dipingono Limina e il governo anche per Bruno Moretto della cellula bolognese del comitato Scuola e Costituzione: «Gli insegnanti sono autonomi: lo spirito dell’articolo 33 della Costituzione è quello di creare nella scuola un clima di confronto di posizioni». Meglio per il comitato che «Limina si occupi di ciò che gli compete e risponda ad esempio ai 600 bambini che a Bologna e provincia non avranno posto alla scuola materna l’anno prossimo».


l’Unità 22.5.10
Santa Maria della Pietà oggi
Dieci anni dopo il manicomio

di Paola Natalicchio

Festa ieri a Roma per i dieci anni dalla chiusura dell’ex manicomio di Santa Maria della Pietà. «Quando iniziammo a cambiare le cose ci dissero che i pazzi eravamo noi». La giornata organizzata dalla Cgil-Fp.

Nel 2000 la chiusura della struttura. Ora ospita uffici e associazioni
La Basaglia Fu uno dei laboratori del movimento anti-istituzionale

«La forchetta e il coltello ai pazienti. Se devo scegliere un’immagine della nostra battaglia contro le regole del manicomio a Roma mi viene in mente questa. I malati potevano mangiare solo con il cucchiaio. Che senso aveva? Nessuno. E allora noi ci battemmo. Non solo perché cadessero le reti di recinzione e si aprissero le porte chiuse a chiave. Non solo per denunciare l’elettroshock, la disperazione, i suicidi». Adriano Pallotta è un anziano signore di 76 anni, con gli occhi chiari e la voce gentile. Dell’ex manicomio Santa Maria della Pietà di Roma è la memoria storica. Ha lavorato qui come infermiere per una vita intera: ci è entrato che aveva 24 anni, alla fine degli anni Cinquanta; ci è uscito nel 1996, per la pensione, che ancora la chiusura del manicomio non si era totalmente compiuta. «Non hai idea di cosa fosse questo posto prima che Franco Basaglia cambiasse il corso degli eventi. Poi negli anni Settanta le cose iniziarono a cambiare e fu nel 1974 che creammo, a Roma, il primo movimento anti-istituzionale del manicomio: eravamo una trentina di infermieri del padiglione 16. Iniziammo a proporre delle modiche al modo di trattare i pazienti, anche agli altri ottocento e più infermieri che lavoravano negli altri 33 padiglioni. Non fu facile, qualcuno ci disse che eravamo noi i veri folli del manicomio e forse aveva ragione». Adriano parla e con lo sguardo cerca Alfredo, un suo ex paziente ultrasettantenne: «Si è fatto 40 anni al Santa Maria della Pietà, come me. Lo avevano rinchiuso solo perché era orfano, pensa. Ora abita in una casa-famiglia qua vicino con altri due ex pazienti. Io ci vado ogni tanto per fare volontariato. Oggi siamo venuti qui insieme, solo che non so bene dove sia finito». Sorride, Adriano, senza preoccupazione, Alfredo sarà in mezzo alla gente (tanta, almeno 300 persone) che passeggia, disegna e beve birra a sorsi dai bicchieri plastica nei giardini davanti all’ex Lavanderia, invasi pacificamente, ieri pomeriggio, dalle bandiere della Cgil Funzione Pubblica, che ha organizzato una festa per celebrare i dieci anni dalla chiusura dell’istituto-lager romano.
OGGI È UN LUOGO APERTO
Al posto del manicomio, oggi, questo complesso ospita molte cose diverse: i locali del municipio, dell’Asl, del Museo della Mente, di alcune cooperative sociali e di un’associazione, e l’associazione ex Lavanderia, appunto, che da anni si batte per la riqualificazione sociale e culturale dell’ex complesso para-carcerario. «Non vogliamo solo festeggiare la chiusura del manicomio e celebrare la legge 180. Vogliamo riflettere su come attualizzarla e rilanciarla, sostenendo i servizi territoriali come le case famiglia e i centri pubblici per la salute mentale, in un momento in cui sembrano essere tornati in discussione a favore del rilancio dei servizi sanitari privati», spiega Lorenzo Mazzoli, segretario generale della Fp Cgil del Lazio, che ha organizzato l’evento. Tutt’attorno la gente continua ad arrivare: arrivano anche Furio e Giancarlo, comici del Trio Medusa che hanno svolto, dieci anni fa, il servizio civile in una casa-famiglia legata all’ex manicomio. Arriva anche Ascanio Celestini che su questo posto ha fatto uno spettacolo teatrale e sta girando un film.

venerdì 21 maggio 2010

Ansa.it
Salone Libro: “Ru486, non tutte le streghe sono state bruciate”
Spazio anche al volume “La pillola del giorno dopo”

TORINO, 10 MAG - Al Salone del Libro si parlera' anche di un tema caldo dell'agenda legislativa italiana, l'uso della RU486 per le donne che scelgono l'aborto farmacologico. Con la presentazione di due libri dedicati alle donne e agli operatori sanitari, 'RU486 Non tutte le streghe sono state bruciate' e 'La pillola del giorno dopo', scritti da due ginecologi di fama, Carlo Flamigni e Corrado Melega, e pubblicati da L'asino d'Oro. Due piccoli libri, agili, con l'intento di svelare tutti i 'segreti' della RU486 e della pillola del giorno dopo nonche' le differenze tra un aborto farmacologico (RU486) e una modalita' di contraccezione di emergenza (pillola del giorno dopo). Viene spiegato il loro funzionamento, quali sono le modalita' di somministrazione, quali gli effetti collaterali, le complicanze, ma anche le distorsioni ideologiche che in Italia ne hanno accompagnato l'impiego. Verranno presentati domani nello spazio autori A, presenti numerosi esperti tra cui il prof. Maurizio Mori, docente di Bioetica Universita' di Torino, e Anna Pompili, ginecologa dell'Universita' La Sapienza di Roma. Per quanto riguarda la RU486, il volume, corredato da dati aggiornati e confronti statistici, evidenzia i rapporti con la legge 194, l'iter che ne ha introdotto l'uso negli ospedali italiani e indica in appendice la documentazione per accedere a questa tecnica farmacologica di interruzione di gravidanza, entro le prime 7 settimane, ''utilizzata fino ad oggi da milioni di donne'', in molti paesi d'Europa e del mondo, tra i quali gli Stati Uniti e la Cina.

Repubblica 21.5.10

Giocare ad essere Dio
di Luca e Francesco Cavalli-Sforza

Così Craig Venter ce l´ha fatta. Ha mantenuto la promessa fatta poco più di due anni fa, di fabbricare in laboratorio un organismo vivente.
Le agenzie di stampa battono la notizia che Venter, in collaborazione con Hamilton Smith, è riuscito a realizzare cellule artificiali capaci di vivere e riprodursi grazie a un genoma artificiale, un cromosoma costruito dai ricercatori a partire da composti chimici, con l´ausilio di un computer e di un sintetizzatore di Dna. Il Dna di un batterio, il Mycoplasma mycoides, è stato modificato e trasferito in un altro batterio, il Mycoplasma capricolum, privato del suo Dna, dando origine a un nuovo essere vivente, mai esistito finora in natura.
È solo il primo passo, non è una forma di vita completamente sintetica (un Mycoplasma laboratorium) ma è una svolta fondamentale, che arriva al termine di un percorso iniziato oltre cinquant´anni fa, quando Arthur Kornberg scoprì l´enzima che opera la duplicazione del Dna e riuscì a produrla in laboratorio. Era il 1956 e la struttura del Dna era stata descritta da Watson e Crick appena tre anni prima. Nelle ultime tappe di questo percorso ha fatto la parte del leone lo stesso Venter, arrivando per primo a sequenziare il genoma umano nel 2000 e costruendo, due anni fa, il primo cromosoma sintetico.
Non è la creazione della vita dal nulla, ma certo è la fabbricazione della vita. In fondo, i ricercatori hanno agito come agisce la vita stessa, per tentativi ed errori, con operazioni di bricolage, come le definì François Jacob. Hanno assemblato in laboratorio un milione di nucleotidi di Dna, procurandosi frammenti di Dna da genomi batterici e combinandoli fino a trovare un assetto funzionante, costruendo così una cellula che è in tutto una cellula naturale (non potrebbe vivere e riprodursi altrimenti), tranne per il fatto che il suo patrimonio ereditario non è stata costruito dalla natura ma da uno dei suoi prodotti, l´uomo.
Gli obiettivi che Venter si è ripromesso fin dall´inizio di questa ricerca sono sempre stati chiarissimi: giungere a fabbricare batteri artificiali da impiegare per bonificare acque e terreni contaminati da petrolio o da altre sostanze inquinanti, piuttosto che per la produzione di idrogeno o biogas o vaccini, oppure alghe in grado di assorbire anidride carbonica in eccesso o di produrre biocarburanti. Ora questi obiettivi sono assai più vicini. Potrebbero rivelarsi strumenti importantissimi per combattere il degrado ambientale.
Si stanno aprendo le porte su quella che potrà rivelarsi la prima grande rivoluzione di questo millennio: la generazione di vita artificiale. «Si gioca ad essere Dio», diceva scherzosamente Craig Venter. Le prospettive sono effettivamente straordinarie e le applicazioni virtualmente illimitate. Per tranquillizzare chi teme ciò che può nascere alle frontiere della scienza, forse è bene precisare che la produzione di organismi superiori non è all´orizzonte, né lo sarà, con ogni evidenza, per parecchie generazioni a venire.
Il segreto della vita, la sua caratteristica unica ed essenziale, è la capacità di produrre copia di se stessa. Nel corso dell´evoluzione, tutte le forme di vita che sono via via comparse e poi scomparse lo hanno fatto perché erano in grado di utilizzare le fonti di energia presenti nell´ambiente per crescere e riprodursi. Come ogni altro organismo vivente, anche i batteri artificiali saranno sottoposti al vaglio della selezione naturale. È un´avventura appassionante, che promette sviluppi importanti negli anni a venire. In molti sensi, la sfida più grande che si apra in questo momento davanti all´uomo: bisogna vedere cosa sapremo farne, come sapremo utilizzare questo nuovo potere.
Si potrebbe dire, parafrasando la Bibbia, che ora che l´uomo ha assaggiato il frutto dell´albero della vita, sarà bene che assaggi anche il frutto dell´albero della conoscenza del bene e del male, così da diventare abbastanza discriminante da sapersi prendere piena responsabilità delle sue azioni.
Stanno diventando possibili anche altri esperimenti di grande interesse. Oggi sappiamo come è fatto il Dna di Neandertal, un tipo di uomo estinto da 30.000 anni, che era ritenuto nostro antenato ma oggi è considerato piuttosto come un lontano cugino. C´è grande curiosità di vederlo in vita, invece che ridotto a uno scheletro, per sapere come si comporta. Potremmo riprodurre un Neandertal artificiale usando quel Dna? Forse sì, in un lontano futuro. Ma programmi simili non sarebbero compatibili con nessuna etica rispettabile. Ricerche recentissime mostrano, fra l´altro, che vi sono stati incroci fra i Neandertal e uomini come noi, quindi siamo chiaramente su terreno pericoloso. Si è anche detto che potremmo ricostruire dei mammut o altri grandi e piccoli animali estinti: un terreno forse meno scivoloso, ma che pure si presterebbe ad obiezioni.
Venter insiste sulla biologia sintetica resa possibile da questa scoperta e sulle numerosissime applicazioni che se ne potranno sviluppare, non solo sul terreno ecologico ma per creare nuove piante e animali, che possano superare i problemi odierni di disponibilità di cibo. E per risolvere problemi di genetica medica attualmente insolubili.

Repubblica 21.5.10
Né un miracolo né un mostro combattiamo euforie e paure
di Umberto Veronesi

La notizia era attesa nel mondo scientifico. Questo non toglie nulla al valore. Non dobbiamo né osannare al miracolo, né evocare spettri di mostri artificiali. Il Dna sintetico non ci porterà vantaggi immediati né danni catastrofici. Il perché ce lo spiega la scienza stessa, che ci ha svelato che il Dna è all´origine della vita, ma da solo è impotente. Per questo il cromosoma sintetico di Vender è inserito in una cellula vivente. Ma il trasferimento di Dna da un organismo all´altro, non è una novità. Oggi già trasferiamo geni da un organismo all´altro, scomponiamo e rimettiamo insieme frammenti di Dna e già possiamo ottenere nuove sostanze e organismi. Il tema è, oltre che scientifico, soprattutto filosofico e ideologico: parliamo per la prima volta della possibilità di costruire la vita umana. La scienza avanza e la cultura resta indietro. La prima cosa da fare è combattere l´ignoranza che crea false paure e false euforie.

Repubblica 21.5.10
Pensiamo alla grande conquista e non alle possibili perversioni
di Massimo Piattelli Palmarini

«È una formidabile conquista. Scientificamente non sorprende: conoscevamo già tutti i componenti. Ma, una volta scomposti, la novità sta nel riuscire a ricomporli. Il prossimo passo? Creare qualcosa di simile a un uovo, per esempio, di ranocchio, e fecondarlo. Scandalo? Per carità: non vedo attentati a nulla. Certo i rischi ci sono sempre: ma perché dobbiamo guardare alle possibili perversioni invece di compiacerci del risultato raggiunto? Sì, Venter è scienziato e imprenditore perché oggi la biologia ha bisogno di investimenti considerevoli. Ed è inutile nasconderci anche i ritorni considerevoli: nelle terapie, nei farmaci. Il mio sogno? Vedere un giorno appesa nelle aule scolastiche, dove oggi c´è la tavola degli elementi di Mendeleev, la tabella che spieghi quali geni si attivano e quale combinazione algebrica scatta per dare vita agli esseri viventi».

Repubblica 21.5.10
La psicanalista Roudinesco attacca il filosofo per le sue critiche a Freud
"Caro Onfray tu sei di destra"
"Un testo pieno di errori e frutto di antichi pregiudizi contro il fondatore della psicanalisi"

PARIGI. Il ciclone Michel Onfray continua a scuotere il mondo della cultura francese. Da quando un mese fa il suo violento saggio contro Freud Le crépuscule d´une idole (Grasset), è arrivato nelle librerie, il filosofo iconoclasta è al centro di una violentissima polemica, fatta di accuse e contraccuse, invettive e anatemi. Non passa giorno senza nuove prese di posizione attorno alle 600 pagine del suo libro tutto teso a presentare l´inventore della psicanalisi come un borghese reazionario, fallocrate, omofobo e ammiratore di Mussolini. Nel paese di Jacques Lacan e Françoise Dolto, dove la psicanalisi è una vera e propria istituzione, tali attacchi sono sembrati una provocazione intenzionale. Motivo per cui in molti – da Alain Badiou a Julia Kristeva – hanno condannato un´opera tanto politicamente scorretta.
Tra le voci levatesi contro Onfray, c´è anche quella di Elisabeth Roudinesco, la storica della psicanalisi autrice di molti saggi, tra cui anche una biografia di Lacan. La studiosa, che ha già stroncato Le crépuscule d´une idole dalle pagine di Le Monde, sta ora per mandare in libreria Mais pourquoi tant de haine? (da Seuil, giovedì 27 maggio), un pamphlet di un centinaio di pagine contro il volume di Onfray. Pur riconoscendo la necessità di criticare «il dogmatismo degli analisti dell´inconscio e delle loro scuole, e perfino la teoria freudiana, che non deve mai essere considerata un corpus sacro», Elisabeth Roudinesco non mostra alcuna indulgenza per Onfray, accusato di aver scritto un testo «zeppo d´errori e dicerie», impregnato d´odio allo stato puro e fondato solamente sulla negazione della realtà».
L´autore de Le crépuscule d´une idole, secondo la Roudinesco, «attribuisce al fondatore della psicanalisi le proprie ossessioni», riducendone la riflessione «all´odio dei padri e all´ammirazione delle madri, per poterle sedurre sessualmente» e riabiliterebbe di fatto «il discorso dell´estrema destra francese». Come proverebbe anche la sua insistenza nel volersi contrapporre alle élite intellettuali parigine, di cui gli psicanalisti sarebbero la quintessenza.
Accuse naturalmente respinte dall´interessato, il cui volume, grazie anche alle polemiche, ha già venduto quasi 150.000 copie ed è da tre settimane al primo posto delle classifiche. E per continuare ad opporsi ai suoi detrattori, Onfray pubblica ora un libretto fuori commercio, Freud, une chronologie sans légende, in cui condensa le discusse tesi del suo libro. Insomma, la battaglia attorno a Le crépuscule d´une idole, che in Italia verrà tradotto da Ponte alle Grazie, sembra destinata a durare ancora a lungo.

il Riformista 21.5.10
Vescovi inquisiti
Il Vaticano va informato delle indagin
di Francesco Peloso

Ha fatto scalpore nei giorni scorsi l’approvazione di un articolo del disegno di legge sulle intercettazio ni nel quale si afferma che l’autorità giudiziaria dovrà informare il Segretario di Stato vaticano «quando risulta indagato o imputato un ve scovo». La novità è stata interpre tata come l’ennesima limitazione posta alla magistratura in materia di indagini, questa volta in riferimento al personale ecclesiastico. «Niente di tutto questo», afferma il professor Carlo Cardia, docente di Diritto ecclesiastico, che ha contribuito alla stesura della norma nella sua fase preparatoria. «È un equivoco che va chiarito subito: non c’è nessuna limitazione ai magistrati in materia di intercettazioni sui vescovi; non è di questo che si tratta». Il provvedimento, spiega Cardia, stabilisce un’altra cosa: e cioè che la Segreteria di Stato viene avvertita, «non nella prima fase riservata del le indagini, ma quando il vescovo in questione deve, per esempio, di fendersi in giudizio. Per altro non si fa riferimento a eventuali interruzioni dell’indagine». Tuttavia una novità c’è, ed è il fatto che viene chia mata in causa il Segretario di Stato. Per altro nello stesso ddl si afferma, in linea con il Concordato, che quando «risulta indagato o imputato» un sacerdote deve esserne data comunicazione al vescovo locale. Nel caso in cui sia sottoposto a in chiesta un vescovo, invece, nel testo all’esame del Senato, si stabilisce che il suo diretto superiore è il Segretario di Stato «cui il Pontefice spiega Cardia delega una serie di poteri per il governo della Chiesa universale». Da parte dell’opinione pubblica il sospetto avanzato è che l’avvertimento dato dai giudici alla Segreteria di Stato abbia in realtà come unica conseguenza l’intervento da parte vaticana per scongiurare o limitare un’inchiesta giudiziaria. Secondo Cardia, non è questo il rischio che si corre, anzi il provvedi mento potrebbe indurre il Papa a prendere provvedimenti cautelari verso quei vescovi imputati di reati gravi, fermo restando il principio del la “presunzione d’innocenza”.
Sotto il profilo generale, osserva ancora il giurista, «il vescovo dipende in un rapporto organico dalla Santa Se de, nel senso che il vescovo è nomi nato dal Papa e solo quest’ultimo ha poteri su di lui. Non va però dimenticato che ogni vescovo, insieme al Papa, è un successore degli apostoli, solo che il Papa è il successore di Pietro e questo gli dà delle prerogative in più». «Il Segretario di Stato aggiunge il professore va considerato invece come una sorta di primo ministro della Chiesa universale». In questo contesto, la norma approvata in commissione al Senato intende di re che la comunicazione arriva alla Segreteria di Stato «quando l’atto giudiziario si ufficializza, quando c’è un avviso di garanzia». Insomma, spiega Cardia, non c’è nessun tentativo di porre un freno alle indagini. Ma se il vescovo ha un superiore nel Segretario di Stato e quindi nel Papa, c’è il rischio che la nuova normativa italiana apra una falla Oltreoceano nella difesa che il Vaticano ha messo in campo contro i tentativi di coinvolgere il Vaticano e il Pontefice quali responsabili ultimi nella copertura degli abusi sessuali dei preti da parte dei vescovi. Gli avvocati delle associazioni delle vittime americane, infatti, hanno chiesto che il giudizio si estendesse alle alte gerarchie romane Papa compreso in virtù di un principio gerarchico di responsabilità. Gli avvocati del Vaticano hanno risposto che la Chiesa non è un’azienda o una multinazionale e dunque non la si può giudicare in quei termini. Il professor Cardia conferma, dal suo punto di vista, la validità di questa tesi. «Fra vescovo e Papa afferma non c’è un rapporto di dipendenza di tipo civile, negli Stati Uniti in vece l’accusa dice: il vescovo di pende dal Vaticano che è uno Stato assoluto governato da un monarca che è il Papa, quindi lui è responsabile. Ma nella Chiesa, fra vescovi e Pontefice esiste piuttosto il rapporto organico che dicevo pri ma, non c’è un tipo di responsabilità gerarchica aziendale. Altrimenti, se il Papa fosse responsabile per tutti i vescovi del mondo, altro che infallibilità!». Ancora diversa è la questione se a essere chiamate in causa sono le singole congrega zioni vaticane, per esempio quella per i Vescovi o per la Dottrina della fede, in ragione del ruolo che han no svolto in determinate vicende: «Su questo bisogna vedere i sin goli casi, non si può esprimere un criterio generale; io credo però che quando si parla di abusi bisogna sempre seguire la strada della giustizia civile, cioè penale».

«in Puglia Nichi Vendola è stato il più votato anche tra i cattolici praticanti»
Il Sole 24Ore 21.5.10
Letta rilancia Bersani, ma Vendola è il più amato

«Bersani è il nostro leader, abbiamo uno statuto chiaro, il nostro leader lo candideremo alla presidenza del Consiglio». A rilanciare la premiership del segretario del Pd è stato ieri Enrico Letta. Ma non sarà certo la questione della premiership a occupare i lavori dell’assemblea dei mille del partito che si riunisce domani e sabato: nelle intenzioni di Bersani oggi parte la «sfida» al governo con un attacco a politiche inadeguate che causeranno una manovra «lacrime e sangue», ma anche con le proposte dell’alternativa, dal lavoro alle riforme istituzionali. 
Anche “Area democratica"sembra orientata a mettere da parte le polemiche interne a favore dei contenuti e l’incontro avvenuto ieri tra Bersani e Franceschini confermerebbe la volontà comune in tal senso. Insomma, per due giorni il tentativo sarà quello di lasciare sullo sfondo questioni che dividono come appunto la premiership. Eppure l’argomento continua a far discutere: ieri una ricerca Swg commissionata dai cristiano sociali di Mimmo De Luca ha evidenziato che, se nel resto d’Italia il centro-sinistra ha tra i cattolici una distanza di quasi 14 punti dal Pdl (da qui la sconfitta di candidate come Mercedes Bresso ed Emma Bonino), in Puglia Nichi Vendola è stato il più votato anche tra i praticanti.

«il quadro che i nostri cineasti hanno voluto offrire è troppo nero per non convincere chi vuole già essere convinto. Ieri Luchetti, mercoledì Marco Bellocchio (ma lo psichiatra che l’assiste da 30 anni non gli ha insegnato che il torto o la ragione non stanno tutti da una parte?)»
Libero 21.5.10
La brutta Italia di Cannes
di Giorgio Carbone

Premetto che il discorso dei panni sporchi che si debbono lavare in famiglia io non l’ho mai digerito.
Specie riferito al cinema. Con la scusa della famiglia, i panni non venivano mai lavati. E quindi bravi i registi che parlavano delle magagne del nostro Paese senza paura che a causa loro l’Italia venisse considerata un immenso immondezzaio. E bravi anche i governanti che non mettevano i paletti. Ero ragazzino quando Rosi presentò "Le mani sulla città" (che non era certo tenero con le classi dirigenti) ma mi gonfiai d’italico orgoglio quando il regista volle sottolineare: «L’Italia è oggi un Paese dove è possibile lavorare e lottare per le proprie idee». Sono passati quasi 50 anni. E oggi i nostri prodi lottano per una sola idea: l’Italia berlusconiana fa schifo. Ieri sulla Croisette era il turno di Daniele Luchetti che ha mostrato le mutande sporche con "La nostra vita". Che vogliamo premettere è un film ben fatto, ben recitato (ben lontano dai rutti della Guzzanti) ma che non rinuncia all’idea dell’Italia immondezzaio.
Soprattutto a causa della sceneggiatura (dei rossissimi Rulli e Petraglia) ognuno esce dal cinema con l’idea che qualsiasi povero italiano, per uscire dal guano, non ha altra possibilità che imbrogliare e ricattare.
Quello che il pubblico francese (e inglese, e spagnolo) voleva sentirsi dire. Gli spagnoli segano gli stipendi degli statali, i francesi hanno le banlieu in fiamme, gli inglesi hanno una crisi politica che non si vedeva dai tempi di Oliver Cromwell. Ma la cantina d’Europa è l’Italia. L’unica sacca d’inciviltà del Vecchio Continente. Anche se qualche francese nutre dei dubbi (ma i francesi nutrono con difficoltà, il loro complesso di superiorità nei nostri riguardi ha radici multisecolari), il quadro che i nostri cineasti hanno voluto offrire è troppo nero per non convincere chi vuole già essere convinto. Ieri Luchetti, mercoledì Marco Bellocchio (ma lo psichiatra che l’assiste da 30 anni non gli ha insegnato che il torto o la ragione non stanno tutti da una parte?). La scorsa settimana, Sabina Guzzanti che col folle fascennino ha guadagnato sulla Croisette il titolo di Michael Moore italiana (chiedo scusa al Michael per tutto il male che ho scritto di lui negli ultimi sei anni). Qualcuno obietterà: ma avranno pur diritto poveracci di esprimere il loro dissenso su questo Paese. Certamente, come ha diritto il sottoscritto di dissentire da questo cinema. Perché non assomiglia a quello di Rosi. E nemmeno a quello di Verdone, per cui feci le prime recensioni da titolare di rubrica. Ieri il Carlo ha voluto unirsi al coro, sparando, all’università di Roma, bordate contro Bondi e persino contro il cardinale Bagnasco, reo di non aver fatto vincere la Bonino. Caro Carlo, vuoi sapere perché eri così simpatico ai tempi di “Bianco rosso e Verdone"? Perché l’unico coro che conoscevi era quello dei chierichetti.
Mentre Cannes piange, Venezia ride. Proprio così, nell’anno di grazia 2010, la Mostra italiana smette ufficialmente il ruolo di Cenerentola dei festival e si assesta autorevolmente sulla cima. Che non occupava da circa 40 anni. Che vuol dire, da sempre, essere in cima? Avere i film migliori. E gli ospiti più prestigiosi (dive, divi e superstar della regia).Venezia, dopo sette lustri di egemonia (la mostra era nata nel lontano 1933) perse il primato appena iniziarono gli annidi piombo e perse ti itto (cioè entrò in coma profondo) dal 1974 al 1979. Poi si risvegliò a nuova vita. Che però non fu più la stessa. Per in tenderci, dal Milan
di Gullitte Van Basten a quello costretto a lottare per il terzo posto. Ma stavolta vince il campionato. Mentre Cannes vivacchia, la mostra 2010, la numero sette dell’era Marco Muller, s’annuncia "straordinarissima" (per usare l’eloquio di qualche famoso presidente milanista). 11 programma fa venire l’acquolina in bocca a tanti probabili festival ieri. Tutto il meglio del cinema americano e italiano. I nostri pro di presenti a Cannes in versione dimessa ("La nostra vita" di Luchetti) oppure sconcia (la Guzzanti) irromperanno a Venezia amò di fiumana. Fu annunciato Nanni Moretti ("Habemus papam"). E annunciatissimo Mario Marione con il suo kolossal sul Risorgimento "Noi credevano". È arcisicuro Pupi Avati con "Una sconfinata giovinezza" e pressoché inevitabile "Vallanzasca" di Michele Placido (con Kim Rossi Stuart). E poi l’ultimo di Castellitto, e "Il gioiellino" di Molaîolo ("la ragazza del lago") sul crack della Parmalat.
E ora sentite cosa arriva dall’America. Nientepopodimeno (come si diceva in Tv mezzo secolo fa) "The tree oflife" del regista-mito Terrence Malick con Sean Penn e Brad Pitt. Un’opera corteggiatissima da Cannes (il mito, all’ultimo, ha voluto optare per il Lido). Poi c’è "The american" di Anton Corbjin con George Clooney alla testa di un cast molto italiano (Violante Placido, Filippo Timi).
E l’inglese Iulian Schnabel (Oscar 2008) che porta "li itirai" che ha ricavato dal romanzo scritto dalla sua signora, che poi sarebbe Bula "bella gnocca senza cervello" Jebreal (mica scemo Schnabel, oltre che bravo regista). Questi i primi film sicuri del cartellone veneziano. Che già da soli garantiscono un’orgia divistica che in queste settimane Cannes non s’è manco sognata.
Quindi Brad Pitt e George Clooney, Sean Penn (sempre che a settembre non sia ricoverato in qualche clinica) e Freida Pinto (la ragazza di "The millionaire" ora protagonista con Sdnlabel), Valeria Solario e Paz Vega, Luca Barbareschi e Claudia Cardinale (nel francese "Le balcon sur le mer’), John Turturro e Fiorello (ma sì, Turturro è impazzito per l’ormai cinquantenne entertainer e l’ha voluto nel suo "Passione", omaggio molto americano alla canzone napoletana).

il Riformista lettere 21.5.10
IL SOGNO DEI NEONATI. Caro direttore, per una volta uno studio sul cervello umano ci ha davvero emozionati. Non è la solita “scoperta” dell’enzima che ci fa commuovere o tra dire o quella di una sostanza che ci fa innamorare. Siamo finalmente nella realtà umana: l’attività cerebrale incosciente dei neonati è instancabile e comincia già dai primi giorni di vita. Ed è forse anche superiore a quella degli adulti, perché semplicemente i neonati hanno la «capacità di immaginare» ancora intatta. Lo studio del l’Università della Florida sul pensiero dei bambini piccolissimi nel sonno, riconferma ove ce ne fosse bisogno, la Teoria della nascita di Massimo Fa gioli. Dall’istante in cui veniamo alla luce, sogniamo. E i nostri sogni sono «pensiero per immagini».
di Flore Murard Yovanovitch e Paolo Izzo

giovedì 20 maggio 2010

l'Unità 20.5.10
Intervista Marco Bellocchio

«In questa povera Italia
la dittatura è ormai interna alla stessa democrazia»
Il regista Dopo la sua «Lezione di cinema» non riesce a non parlare di politica e tagli alla cultura. E racconta anche del suo nuovo film familiare «Sorelle»
di Gabriella Gallozzi

La crisi. «Chiedono ancora sacrifici alle classi più deboli mentre loro si tolgono il 5%: ridicolo, dovrebbero togliersi il 50%»
I progetti. «La cronaca offre infiniti spunti: il caso Englaro, i finti ciechi che chiedono la licenza per il taxi, il museo con una sola visitatrice...»

Guardate la finanziaria: chiedono ancora sacrifici alle classi più deboli mentre loro si tolgono il 5%. È quasi più ridicolo che vergognoso. E tutto questo di fronte agli operai in cassa integrazione. Ma come? Viviamo nella società dell’immagine, no?! Allora dicessero: eccovi il 50% dei nostri stipendi così guadagnerebbero almeno un po’ di dignità...». Neanche da Cannes è facile parlare di cinema per Marco Bellocchio. Le «urgenze italiane» travolgono tutto. Soprattutto qui sulla Croisette dove ancora risuona l’eco delle polemche di Bondi sul caso Draquila. A distanza di un anno da Vincere, Bellocchio fa ritorno al festival per tenere la sua lezione di cinema davanti ad una platea osannante. Forse un «risarcimento», commenta, o meglio «un riconoscimento» per il suo film su Mussolini che, l’anno passato, uscì a bocca asciutta dal concorso. Ma che la sua rivincita l’ha avuta in seguito nelle sale francesi, nelle critiche entusiaste, nelle vendite in tutto il mondo e, l’ultima, nella vittoria a sorpresa dei David di Donatello.
Il tema del suo film, del resto, è ancora così attuale non solo nell’Italia di Berlusconi, ma anche nell’Europa che svolta sempre più verso l’autoritarismo. «Certo dice Bellocchio la situazione di smarrimento di oggi non è paragonabile a quella del ’22, ma è vero che l’attuale maggioranza lavora molto sulla paura, alla quale contrappone l’uomo forte, decisionista, autoritario. Berlusconi con la tv arriva dappertutto. È il grande fratello. A questo punto non c’è bisogno della dittatura militare: è interna alla stessa democrazia». Come spiegare tutto questo all’estero?
«Gli stranieri si stupiscono della situazione italiana continua Bellocchio -. Eppure Silvio Berlusconi non è un usurpatore, ma è stato votato dalla maggioranza del Paese. Bisognerebbe, piuttosto riflettere sull’atteggiamento della sinistra nei suoi confronti, su questo costante attacco frontale... Se l’obiettivo era scavalcare il cavaliere il tentativo è fallito completamente. Se il mio Vincere l’avessi intitolato Perdere sono sicuro che la sinistra sarebbe stata più contenta».
Il problema dell’opposizione, prosegue il regista, «è l’incapacità di articolare delle alternative. Siamo stati delusi dalla destra e pure dalla sinistra. Ma soprattutto da quest’ultima. Da Bondi certe cose me l’aspetto, non mi offende neanche, è semplicemente inadeguato al suo ruolo. La sinistra però... Penso alla riconferma di Alberoni al Centro sperimentale, per esempio. Non ho niente contro di lui, ma certamente non è uomo di cinema.
Eppure è stato Rutelli a rinnovare il suo mandato. Ecco, ho come l’impressione che, al di là della politica, tutto sia deciso tra amici». Si è toccato davvero il fondo rincara Bellocchio. «E seppure non credo che la Lega conquisterà l’Italia, penso che sia vera la frase tanto di moda «il Pd non ha più la capacità di stare sul territorio». Dovrebbe piuttosto sforzarsi di cambiare davvero al suo interno: per gli ex non c’è futuro. Ci vuole una classe dirigente nuova che col Pci non abbia più niente a che vedere».
Invece ci si continua dividere. Mentre gli attacchi, dall’altra parte si fanno sempre più pesanti. «Brunetta insulta dandoci dei ladri, dei parassiti, convincendo le persone che la cultura non serve a nulla. Nei confronti del cinema, poi, ancora peggio: pensano che quello italiano sia comunista e quindi via, lo rigettano completamente», coi drastici tagli al Fus che sappiamo. Da soli, però «non si va da nessuna parte», dice Bellocchio. «Serve unità, per ricompattare tutto il mondo della cultura, senza ricorrere agli slogan di un tempo che non hanno portato a nulla. Per questo ho aderito al movimento dei Centoautori. Non è piu tempo di barricate, ma come dice Carla Fracci solo l’unione fa la forza. Bisogna rafforzare l’unità nel rispetto delle diseguaglianze e trovare un punto comune».
Puntando ciascuno sulla qualità del proprio lavoro. Come Bellocchio ha sempre fatto, del resto. «A me prosegue non mi interessa l’invettiva, la polemica diretta, la derisione ad personam. Si può fare, certamente, contro Berlusconi, Scajola... figurarsi. Quello che cerco io però è l’approfondimento. Per questo sto pensando ad un film a partire dall’Italia di oggi. Il caso Englaro, per esempio, mi ha colpito come sintesi della disperazione e dell’ipocrisia di questa classe politica che pur di non perdere l’appoggio della chiesa è stata disposta a fare leggi incredibili che poi si sono perse chissà dove». La cronaca di spunti ne offre infiniti. «Penso ancora ai finti ciechi che hanno richiesto la licenza per i taxi. Al museo in Sicilia con una sola visitatrice, al concerto interrotto al Pantheon perché i guardiani avevano finito il turno. Sono tutti casi fra il tragico e il grottesco che potrebbero costituire uno spunto. Al momento però, quello che più lo interessa è Sorelle, «un piccolo film familiare in sei episodi», che racconta il ritorno del regista a Bobbio, nella casa dei Pugni in tasca, insieme ai figli Pier Giorgio e la piccola Elena. E che probabilmente vedremo a Venezia.

Repubblica 20.5.10
Marco Bellocchio accusa l´Italia "Mai eravamo scesi così in basso"
Lo sfogo:"I politici pensano che il cinema è comunista"
Bondi si doveva distinguere e venire al festival: non c´è solo "Draquila", ci sono Luchetti, io...
di Maria Pia Fusco

CANNES. Se il ministro Bondi fosse venuto, avrebbe visto la "sala Buñuel" affollata, soprattutto di giovani, intenti ad ascoltare con grande attenzione la lezioni di cinema di Marco Bellocchio. Avrebbe sentito il calore e gli applausi alle immagini di titoli importanti nel storia del nostro cinema, I pugni in tasca, Nel nome del padre, Salto nel vuoto, L´ora di religione, Buongiorno, notte, Vincere. «Non posso offendermi per la sua assenza, ma si poteva distinguere. Qui non c´è solo Draquila, ci sono io, c´è il film di Luchetti e quello di Frammartino, che, da quanto ho letto, è stato accolto molto bene», dice Bellocchio. Il fatto è che «loro pensano ancora che il cinema sia comunista, che la cultura sia comunista».
Doppio appuntamento ieri a Cannes per il regista. Nella sua lezione, condotta da Michel Ciment, si sofferma sulla fellatio di Diavolo in corpo per illustrare «quanto sia delicato il rapporto tra quello che deve accadere e la sua rappresentazione», spiega la necessità narrativa della sequenza tra padre e figlio in L´ora di religione... Poi nell´incontro con la stampa italiana, il cinema e la politica si intrecciano. «Forse perché mai in Italia la classe politica era scesa così in basso», accusa.
L´essere stato invitato e la presenza in giuria di Giovanna Mezzogiorno «potrebbe essere non un risarcimento ma un riconoscimento per Vincere, che l´anno scorso non ebbe premi, poi è stato un grande successo in Francia, ha avuto critiche positive in America, è uscito e sta ancora uscendo in tanti paesi. Proprio dalla stampa straniera è venuto il paragone Mussolini-Berlusconi. In una situazione di smarrimento c´è la necessità di rifarsi a figure forti, l´attuale maggioranza lavora molto sull´ansia e sulla paura e non vuole intralci. "Lasciateci lavorare", come diceva Tambroni negli anni Sessanta. Mi ha stupito questa nuova finanziaria che chiede sacrifici alle classi più indifese. E poi dicono che loro si taglieranno il 5%. Non hanno il senso del ridicolo? Dite il 50%, oppure "ci toglieremo una mensilità", ma fatelo. In questa società delle immagini sarebbe un segno».
Per Bellocchio «non c´è pericolo di una dittatura in Italia, è diversa l´epoca e sono diversi Berlusconi e Mussolini, che seduceva nobildonne e giornaliste, non aveva bisogno di escort. E non c´è bisogno della dittatura, la televisione arriva ovunque, si può esercitare il controllo anche in democrazia», dice e, alla domanda "come liberarsi di Berlusconi?", risponde: «Mi riconosco il diritto di non saperlo. So che l´opposizione, al di là di rivendicazioni generiche, non fornisce un´alternativa reale. Io sono arrabbiato con la destra e con la sinistra, ma più con la sinistra, perché Bondi so chi è. Non credo che la Lega conquisterà l´Italia, ma è vero che il Pd ha perso il contatto con il territorio. Perché non si sforza di ritrovarlo? Forse per gli ex non c´è futuro, bisogna aspettare una classe dirigente nuova di dirigenti che non siano ex del Pci».

Corriere della Sera 20.5.10
Bellocchio: su Berlusconi la sinistra ha sbagliato tutto
di G.Ma.
qui

il Riformista 20.5.10
Perdere titolo giusto…
Lago ai biopic, da Ceausescu a Carlos
Programma. Giornata all’insegna della politica. Il regista fa lezione: «Per gli ex Pci non c’è futuro tranne Vendola»
Panahi conferma lo sciopero
di Giacomo Visco Comandini
qui

Repubblica 20.5.10
La stampa nemica
di Giorgio Bocca

A differenza di altri sultani che nascondono la spada con cui feriscono i nemici, l´estroverso Cavaliere vuole che lo si sappia che è stato lui a usare i suoi soldi e i suoi poteri per sbarazzare il campo dai critici e da quelli di diverso parere. È stata la sua voce isterica e cattiva a lanciare gli anatemi contro giornalisti e opinionisti che osavano contraddirlo.
A chiedere apertis verbis ai dirigenti della Rai di toglierglieli dai piedi, a non sopportare la presenza dei Montanelli, dei Biagi e di chiunque mettesse in discussione il suo sovrano potere sultanesco. Non stupisce quindi che ora voglia addirittura imbavagliare la libertà di stampa tout-court, chiudere la bocca ai giornali e alla verità.
Si è detto spesso che Berlusconi, a differenza di altri padroni, è un buono, uno che corre al capezzale dei dipendenti ammalati, che li manda in crociera per le vacanze e gli telefona: «Siete belli, siete abbronzati, al vostro ritorno troverete una gratifica, la prossima volta ci sarò anch´io, ho già pronto lo smoking». Certo, è un imprenditore non un gangster, uno che usa le parole più che la violenza, ma non è uno che perdona chi si mette sulla sua strada, prima o poi cerca di eliminarlo. Non lo nasconde, vuole che tutti sappiano che l´incauto ha avuto la sua giusta punizione.
Un intercalare solito del Cavaliere è il «se lei mi consente», come a dire: io sono straricco, strapotente ma profondamente democratico fin dalla nascita: chiedo il permesso anche di sbadigliare, anche di respirare, sorrido sempre anche quando metto alla porta un mio dipendente, anche quando licenzio un allenatore del Milan. Il cavaliere di Arcore è buono, generoso, magnanimo ma i direttori di giornali che non gli piacciono escono dalla comune, si chiamino Montanelli o Biagi. Ci pensano i maestri di cerimonia a congedarli. I maestri delle cerimonie, uomini di mondo educati a corte, in questi giorni compaiono sui teleschermi o sui giornali per smentire affabilmente i catastrofisti, i profeti di sventure autoritarie che denunciano l´attacco alla libertà di stampa, come di fatto è il «nuovo ordine» sulle intercettazioni telefoniche.
Ma che dite, di che vi lamentate? Vieteremo solo quelle che fanno danno agli innocenti, che ledono la privacy dei cittadini, che servono solo alle diffamazioni ingiuste, alla maldicenza, al pettegolezzo. Davvero? Le cose stanno diversamente. Senza le intercettazioni telefoniche fatte dalla magistratura e pubblicate dai giornali nessuno avrebbe saputo che un ministro era stato aiutato «a sua insaputa» ad acquistare «un mezzanino» da duecento metri quadrati con vista sul Colosseo da un generoso costruttore edile.
Berlusconi è fisicamente e mentalmente il contrario dei dittatori del secolo scorso. Paragonarlo nei modi di parlare, di fare, di atteggiarsi ai Mussolini, Hitler, Stalin non reggerebbe neppure alla bassezza dell´avanspettacolo. Anche il suo impero televisivo è stato costruito legalmente, con i privilegi e le prepotenze legali in cui i grandi costruttori sono maestri. Ma chi si è opposto a questo sistema, chi si è messo di traverso con le buone o con le cattive è stato cacciato. Si tratta di quella che noi chiamiamo la democrazia autoritaria o la dittatura della maggioranza o l´assolutismo elettorale per cui chi ha più voti, chi ha il maggior consenso popolare può far tutto ciò che gli comoda, anche violare le leggi della Costituzione.
Ma perché questa democrazia autoritaria non è stata denunciata e contrastata in passato, quando i grandi partiti storici, il democristiano e il comunista, si spartivano i poteri uno della politica l´altro del mercato del lavoro? Credo perché quei partiti erano nati dalla guerra di liberazione, erano fondati sui valori della Resistenza, davano garanzie di non arrivare mai alla limitazione se non alla soppressione dei diritti democratici. I dubbi, i timori sul cavaliere di Arcore, su cui i suoi portavoce teatralmente ironizzano, sono autorizzati dal suo sistema di continuo attacco ai baluardi della democrazia, ora alla libertà di stampa come prima alla magistratura e all´opposizione in genere, genericamente definita come comunista, di un comunismo morto e sepolto ma sempre intento a ostacolarlo e danneggiarlo.
Forse, anzi certamente Berlusconi non se ne rende conto, forse come tutti gli «uomini fatali» è convinto di aver sempre ragione, che tutti congiurino ai suoi danni, ma da quando è entrato in politica, da quando ha detto al suo amico Dell´Utri «fare un partito? Lo fanno tutti, lo facciamo anche noi» non ha fatto altro che attaccare, deridere, osteggiare la democrazia, il «teatrino della politica» come la chiama lui. La magistratura, con l´ipocrita distinzione fra quella buona che lo lascia in pace e quella «politicizzata» che lo perseguita, la stampa che concepisce solo, a quanto pare, come mezzo di intimidazione degli avversari.
L´ultimo dei suoi allenatori del Milan è stato licenziato come Santoro: «Consensualmente». Ha detto che c´era «incompatibilità di carattere». Chiamiamola così: fra Berlusconi e la democrazia parlamentare nata dalla guerra di liberazione c´è incompatibilità di carattere.

Corriere della Sera 20.5.10
Pansa e la «querelle»
«De Benedetti? Vuole fare politica»
«Con D’Alema è andato oltre. Agnelli non lo fece mai»
di Aldo Cazzullo
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Corriere della Sera 20.5.10
Università primo sì alla riforma
I ricercatori scendono in piazza
di Giulio Benedetti
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mercoledì 19 maggio 2010

l’Unità 19.5.10
La Regione Toscana chiederà la verifica di costituzionalità del provvedimento
I Teatri lirici Intanto proseguono gli scioperi delle prime, mentre le sale aprono al pubblico
Fondazioni, il decreto Bondi finisce alla Corte costituzionale
Mentre è ancora forte la eco dell’epico scontro tra Carla Fracci e Gianni Alemanno sindaco di Roma, i grandi teatri lirici italiani continuano la loro opposizione al decreto del ministro dei Beni e delle Attività Culturali Sandro Bondi.
di Luca Dal Frà

I grandi teatri lirici inventano nuove forme di protesta, e le regioni e le città italiane si stringono intorno ai lavoratori della lirica, promettendo anche un ricorso sulla costituzionalità del provvedimento. Da anni non c’era un clima così vivace nella lirica italiana ed è straordinario che sia dovuto a un ministro come Bondi e al suo entourage: naturalmente non era nelle loro intenzioni, anzi è una schifata reazione ai piani di dismissione della lirica e al tentativo di una cricca di mettere le mani sui teatri.
Della situazione è emblematico lo scontro Fracci-Alemanno avvenuto nella platea dell’Opera di Roma durante la manifestazione contro il decreto di lunedì: il sindaco di Roma è appeso ai pantaloni del governo poiché come lui stesso dice il bilancio della capitale è al «dissesto» e attende nuovi fondi dalla arcigna mano tremontiana. Così, con coraggio peloso, alla manifestazione si era schierato non contro il decreto del governo ma per una sua correzione offrendosi come eroico mediatore: contestatissimo dalla sala, l’impavido sindaco s’è beccato pure la scenata di Fracci: «Vergognati, farabutto! Buffone!» – lo ha epitetato l’étoile. Molti, tra cui l’ineffabile sovrintendente dell’Opera di Roma Catello De Martino, ritengono Fracci fosse infuriata poiché non le è stato rinnovato il contratto come direttore del Corpo di Ballo. In realtà nei dieci anni in cui ha ricoperto questo ruolo la signora della danza italiana ha portato i ballerini del lirico capitolino a diventare la compagine di balletto più importante e produttiva della penisola – quest’anno le recite di danza superano quelle della lirica all’Opera di Roma. Forse anche delusa
dalla mancata riconferma, Fracci aveva chiesto due anni fa un incontro ad Alemanno perché preoccupata del futuro della squadra che con fatica aveva cresciuto e amalgamato. Solo oggi Alemanno si dice disposto a incontrarla, ma il punto è che il sindaco se ne infischia del lato artistico della vicenda e ha puntato le sue carte sull’arrivo di Riccardo Muti, atteso non già come il musicista di grandissimo livello quale è in realtà, ma come evento mediatico con cui coprire notevoli magagne. C’è poi il lato comico della vicenda: Alemanno afferma di voler un nuovo ciclo aprendo ai giovani e il teatro assume per il corpo di ballo Micha van Hoecke, anni 66, appena 4 in meno di Fracci.
PRODUZIONE CIRCUITAZIONE
Genova, Bologna, Roma continuano lo sciopero delle prime contro il decreto, ma nel frattempo sono sbocciate nuove iniziative: la Scala e il Maggio e altri teatri aprono le loro prove al pubblico. E bisognava vederli i milanesi interessati, sorpresi e spiazzati sui palchi della Scala a osservare i ballerini che costruivano il loro spettacolo Trittico del Novecento. Perché tolte le generali, le prove non è che siano proprio un divertimento per il pubblico: è difficile capire cosa stia avvenendo. Ma aprendo le porte e coinvolgendo il pubblico si mostra come, a differenza di quanto sostengo Brunetta, Bondi e altri, nei teatri si lavora: un lavoro lungo, fatto di nervi, sfibrante. E il decreto con i suoi tagli indiscriminati e il blocco di turn-over e integrativi colpisce proprio la produttività dei teatri, a favore della logica degli eventi, come ha scelto di fare Alemanno. Per far questo il provvedimento dà un immenso potere a un’equipe di liquidatori: Bondi stesso – poco interessato all’argomento – e il suo entourage ministeriale. Con principesco distacco e lucidità intellettuale Gioacchino Lanza Tomasi ha definito questa nuova generazione di “ministeriales”: «Funzionari manager (...), con ampio potere discrezionale, il cui orgoglio primario non è quello del servitore dello stato ma dell’imprenditore politico» (Sole 24 Ore 16 maggio). Così mentre i nomi degli alti papaveri del Ministero compaiono nell’elenco delle ristrutturazioni gratuite dell’impresa di Anemone, i boiardi di stato si dilettano a produrre eventi, per lo più circuitando spettacoli affidati ad agenzie di parenti, fidanzate e amici: da L’Aquila, città piegata dal terremoto che invece di un progetto di ricostruzione fin’ora ha ricevuto una profluvie di spettacolini, a Pompei e via così.
ANTI E INCOSTITUZIONALE
Per la prima volta nell’universo della lirica fatto di rivalità, teatri e sindacati hanno prodotto un documento unitario: il decreto è inemendabile. L’opposizione e in particolare il Pd si prepara a fare l’ostruzionismo nelle aule parlamentari. Ancora più interessante sono le iniziative che stanno prendendo alcune regioni ed enti locali, in testa la Toscana: la verifica di costituzionalità del decreto. Infatti la legislazione sulle attività culturali dovrebbe essere decisa nel concorso tra regioni e stato, ma il ministro Bondi per il suo decreto non ha consultato nessuno. Se il provvedimento fosse bloccato per incostituzionalità non sarebbe una sorpresa: tra annullamenti di concorsi, appalti e altre vicende penose, da qualche tempo il ministero dei Beni e delle Attività Culturali non sembra imbroccarne una.

l’Unità 19.5.10
Laici furiosi? No, laici
di Bruno Gravagnuolo

È polemica tra Il Mulino e Reset tra «laici furiosi» e «laici accomodanti», a partire dal pamphlet Rizzoli di Giancarlo Bosetti su Il fallimento dei laici furiosi. Da un lato Bosetti, direttore di Reset, ha accusato gli intellettuali ossessionati dalla «minaccia clericale», colpevoli di non comprendere la società «post-secolare» e di restare inchiodati a un conflitto vetero-liberale tra Stato e Chiesa. Dall’altro al Mulino, con Piero Ignazi, Gian Enrico Rusconi e Mauro Barberis, si replica che la laicità è sul serio in pericolo con questo Papato. E che la proliferazione diffusa della «religiosità» non autorizza cedimenti «post-secolari», dinanzi alle invadenze della gerarchia. Replica poi Bosetti: guardate Obama, da laico non teme cedimenti e fa compromessi sull’aborto. Chi ha ragione? Vediamo. Senz’altro il «post-secolare» è un dato: dalle sette evangeliche, ai fondamentalismi, al nuovo ruolo egemonico della Chiesa cattolica. Dopo la crisi delle ideologie. La secolarizzazione ha al suo interno anche il post-secolare: esigenze di senso esistenziale, appartenenza, identità e tutela psicologica di massa. Giusto quindi capire, dialogare e riassumere nel registro civile anche ispirazioni valoriali religiose. Un filtro laico questo teorizzato dall’ultimo Habermas. Che però ha da essere filtro vero, non colabrodo. Sicché il tema di una laicità forte, e in grado di fare da filtro razional-democratico esiste, nella «Comunicazione universale libera da dominio», per dirla sempre con Habermas. Perciò ci sono cose indisponibili e invalicabili, in senso laico. Il pluralismo di tutte le fedi religiose e senza privilegi. La libertà degli stili di vita. Le unioni civili. Il diritto a scegliere la migliore tecnica fecondativa. La facoltatività dell’insegnamento religioso, senza superiorità curricolari del cattolicesimo a scuola. Infine la difesa da ingerenze clericali, come quella che ha colpito la Bonino. Dialogo? Sì, ma con regole e valori laici. Forti. Anche per salvare la pluralità del «religioso». Obama? Fa compromessi, ma la sua è una religione civile. Laicissima.

il Fatto 19.5.10
Le tegole pugliesi e il momentaccio di D’Alema
di Luca Telese

È vero, l’uomo ci ha abituato a repentini cambiamenti di rotta, infiniti colpi di scena, sorprendenti cadute e spettacolari resurrezioni. Ma, di sicuro, quello che Massimo D’Alema sta passando in questi giorni è davvero “un momentaccio”, un’ennesima prova, un passaggio politico cruciale in cui si intravede un bivio: o un cambio di marcia netto, o il lento logoramento che alla fine erode tutte le leadership forti della politica italiana fino a consumarle. Lo scenario è noto: uomini a lui vicini che cadono nelle maglie delle inchieste, contese polemiche senza rete, offensive interne che mettono in discussione la sua egemonia dentro il Partito democratico, sentenze di condanna comminate senza appello da editori di riferimento della sinistra riformista un tempo vicini. L’ultima tegola, però, ha un nome e un cognome: quella di Flavio Fasano, ex sindaco di Gallipoli, ex assessore provinciale ai Lavori pubblici, da sempre considerato uomo-ombra del Líder Maximo nel tacco d’Italia. L’arresto di Fasano. Due giorni fa, alla porta di Fasano bussano i carabinieri. Per lui scatta l'arresto (assieme ad altri quattro), con un repertorio di accuse che vanno dal concorso in “turbata libertà degli incanti e violazione del segreto d'ufficio”, al “falso per induzione in errore determinato dall'altrui inganno”, dalla “corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio” all’“abuso d'ufficio”. Nella giornata di ieri lo stillicidio di intercettazioni che rimbalzavano sui giornali online era impressionante. Fasano si ritrovava impelagato in intercettazioni come questa, sugli appalti della cartellonistica: “Allora – diceva l'ex sindaco – io qua ti sto dando un quadro economico... di rimozione di 7000 cartelli. Il 75% con un introito medio di 200 euro, un introito di 874.000 euro dalla rimozione. Alla Provincia va a trovare il 5%, appena 45.000 euro”. E ancora: “Io ho detto, a Gino (Siciliano) fai il capogruppo!Midaiil3%,chenoisiamo...”.Certo, i frammenti possono essere interpretati; le accuse devono essere provate, il quadro accusatorio è complesso, ma quello che emerge è perlomeno una incredibile disinvoltura, un tono medio che lascia di stucco, una lingua brutale, un fenomeno che attraversa una intera classe dirigente legata all'ex premier e al Pd. Ieri su Il Giornale, Gian Marco Chiocci riassumeva così un vero e proprio bollettino di guerra: “Dopo le dimissioni dell'indagato segretario organizzativo del Pd, Michele Mazzarano, suo fedelissimo nel Salento (in rapporti con l'imprenditore Tarantini, quello della D'Addario a Palazzo Grazioli); dopo il coinvolgimento nelle inchieste baresi del suo amico-factotum Roberto De Angelis (quello degli incontri fra D'Alema e Tarantini); dopo l'iscrizione sul registro degli indagati dell'imprenditore Enrico Intini, suo intimo amico (nel medesimo filone sesso-sanitario); dopo tutte queste faccende disgraziate, insomma, un altro pesce pregiato del branco dalemiano finisce nella rete giudiziaria”. I dalemiani non esistono. Certo, ha buon gioco D’Alema a ricordare che “i dalemiani non esistono”, e che molti hanno usufruito con molta generosità di questa qualifica. Ed è sicuramente brillante la battuta coniata dalla sua portavoce, Daniela Reggiani, per spiegare che le appartenenze dentro il Pd in questi anni si sono confuse e talvolta ribaltate: “Fatemi capire. Quando Fasano votava la mozione Franceschini, all’ultimo congresso, i giornali scrivevano: ‘È uno schiaffo a D’Alema’. Quando Fasano faceva sapere che votava per Nichi Vendola, commentavano: ‘È uno schiaffo a D’Alema’. È possibile che ora che lo arrestano – ironizza con tono amaro la Reggiani – i giornali scrivano: ‘È uno schiaffo a D’Alema?’”. I “pugliologi” ricordano anche che i rapporti fra il lìder maximo e il dirigente pugliese del Pd (dopo i fasti dei tempi in cui D’Alema lo aveva addirittura sposato) si erano già raffreddati nel 2004, quando Fasano sperava in una candidatura che non arrivò. Ma allo stesso tempo colpisce che il minimo comune fra tutte le storie che abbiamo ricordato sia quello della “Questione morale”.
Il duello sulle signorine. Già nel duello televisivo all’arma bianca con Alessandro Sallusti, a ridosso di uno spot, il condirettore de Il giornale tirò fuori l’argomento tabù. D’Alema: “Adesso le manderanno qualche signorina...”. E Sallusti: “Veramente le signorine in Puglia hanno frequentato i dalemiani!”. Per non parlare delle frasi senza appello di De Benedetti. “Stimo moltissimo Bersani: è stato un eccellente ministro e di lui come persona e uomo di governo posso soltanto dir bene. Ma come leader? È totalmente inadeguato. Lui e D'Alema – dice l’ingegnere in un libro intervista che esce questa settimana ma che è stato già anticipato – stanno ammazzando il Pd”. E ieri a Londra in una lezione alla London Schol of Economics è andato anche oltre: “D’Alema? Un problema umano?”. Si, è vero, è un momentaccio: ma a Ballarò D’Alema ha perso le staffe perché non aveva elaborato una riflessione compiuta sulle vicende pugliesi, e – forse – persino sulla storia della sua casa. Se vuole tornare a “volare alto”, dovrà dirci qualcosa di netto e chiaro su quello che succede “in basso”, sull’abisso in cui sono precipitati uomini che lui conosce come le proprie tasche. O che almeno
credeva di conoscere...

Corriere della Sera 19.5.10
De Benedetti e il caso «berluschini»
«D’Alema? È un problema umano
di Paolo Conti

il Riformista 19.5.10
D’Alema, la fede e il no ai matrimoni gay
Laicità inclusiva. L’ex premier sul dialogo tra Chiesa, politica e scienza. Legge sul fine vita? «Non ce n’è bisogno»
di Jacopo Matano
qui
http://www.scribd.com/documents/31608102/il-Riformista-19-5-10-p10

il Fatto 19.5.10
Povera scuola
Il governo studia il blocco degli scatti di anzianità ma i docenti italiani sono già i meno pagati d’Europa
di Caterina Perniconi

Da anni si parla del taglio allo stipendio dei parlamentari, ma per ora di questa riforma non c’è traccia. Chi vede invece di anno in anno svalutarsi lo stipendio sono gli insegnanti, messi nuovamente nel mirino del ministro dell’Economia. Infatti nella manovra di quest’anno è previsto un prelievo dalle tasche degli statali, compresi i lavoratori della scuola, con il congelamento degli scatti d’anzianità.
I soldi raccolti da questo tipo di operazione sono molti solo grazie alla quantità di docenti su cui si abbatte il taglio, più di un milione. Perché gli scatti sono irrisori, vanno dai 30 euro ai 100 euro lordi ognuno, e si verificano mediamente ogni 4 anni. Un’insegnante di scuola media romana, Rossella Ciardullo, ci ha mostrato la sua busta paga, dopo 35 anni di carriera, al massimo degli scatti d’anzianità e “gonfiata” dagli straordinari: 1.924 euro. Un laureato e specializzato SISS, che oggi si appresta a fare il docente, non può sperare nella sua vita di guadagnare più di 1500 euro. A fronte, peraltro, di un maggior carico di lavoro dovuto alla riforma del maestro unico, e al taglio degli insegnanti precari. Ovviamente l’Europa sta a un altro livello: un maestro francese guadagna il 33% di stipendio in più, un professore di scuola media spagnolo circa il 25% in più e i tedeschi dall’80% al 100% in più.
PRIMARIA
“Io guadagno 1.667 euro al mese dopo 33 anni di lavoro –raccontaFranca Campana, insegnante di scuola primaria – andrò in pensione con meno di 1.300 euro e lasciando una scuola in cui manca tutto. Pensate che i genitori si fanno carico anche della carta igienica. E prima della ripresa delle lezioni vengono persino a pitturare le classi”. Gli istituti, che non sono mai stati ricchi, risentono dei tagli della Finanziaria 2008, e da due anni non ricevono più i fondi di gestione ordinaria per coprire le spese didattiche. Sulle famiglie gravano quindi oneri statali e contributi volontari, anche per le attività integrative pomeridiane. Inoltre è stato ridotto del 78% il fondo per le supplenze brevi, ragione per cui ibambini a cui manca un’insegnante vengono spesso divisi in gruppi e accorpati ad altre classi, magari di età e con programmi di studio diversi. Quindi i precari, oltre 140 mila, restano a casa. Secondo i Cobas il prossimo anno scolastico spariranno 26 mila posti di lavoro tra i docenti e circa 15 mila tra gli ATA. Eppure il problema più grande che stanno portando i tagli, facendo insorgere migliaia di genitori in tutt’Italia, è la riduzione del tempo pieno. “Le classi consolidate che non si riformeranno quest’anno sono 800 – spiega Piero Castello dell’esecutivo provinciale di Roma dei Cobas – senza contare le oltre 2000 nuovechenonnasceranno.Il tempo pieno è stato una conquista degli operai e oggi è diventato il modello pedagogico più ricco ed elaborato”. Per non parlare dell’affollamento delle classi con maestro unico e senza compresenza, metodo efficace per recuperare gli alunni in difficoltà, che spesso superano i 25 bambini, anche disabili, contro la legge che ne permetterebbe al massimo 20.
SECONDARIA
Non se la passano meglio i docenti delle scuole secondarie. “Quest’anno i miei ragazzi hanno fatto uno scambio culturale con Copenaghen – racconta Graziella Graziani, professoressa di lettere al liceo scientifico Morgagni di Roma – appena hanno messo piede in quella scuola mi hanno chiesto: ‘Professore’, ma che stiamo alla privata?’. E io ho dovuto spiegargli che era semplicemente una scuola pubblica funzionante, con i computer per chi non ne possiede e attrezzature moderne”. Secondo la Graziani “quelle che arrivano dal ministero sono indicazioni contraddittorie. Ci chiedono didattica più qualificata e tagliano insegnanti, supplenti e ore. E come possiamo fare allora a lavorare sui singoli e finire i programmi?”. Il problema delle scuole superiori è anche quello dei corsi di recupero. I fondi per farli non ci sono più e le famiglie sono costrette a pagare le ripetizioni a casa. SICUREZZA
Le province toscane sono mobilitate per protestare contro i limiti del patto di stabilità a cui sono sottoposte le amministrazioni locali, che impediscono l'impegno delle risorse per l’edilizia scolastica. “Il fatto che tutte le Province si mobilitino all'unisono – ha spiegato Andrea Pieroni, presidente di Upi Toscana – mostra quanto grave sia la situazione e come venga percepita allo stesso modo ovunque. La nostra protesta non ha colore politico e rappresenta solo l’ultimo sforzo di chi ha a cuore le nuove generazioni e la loro sicurezza. Una nazione con le scuole pericolanti è una nazione pericolante”.

il Fatto 19.5.10
La riforma uccide la ricerca. Gelmini: “Gli studenti sono con me”

È più utile per l’Italia comprare aerei da combattimento per 17 miliardi di euro o investire nell’università e nella ricerca?”. La provocazione arriva per bocca del governatore della Regione Puglia, Nichi Vendola, ma rispecchia l’interrogativo che si pongono in molti all’interno degli Atenei: a che punto delle priorità di questo governo arriva la cultura? Evidentemente è molto in basso nella lista. Di anno in anno i finanziamenti calano, non ci sono posti di lavoro, né risorse per fare ricerca, e i cervelli continuano a fuggire all’estero. La nuova riforma dell’Università procede in Parlamento e non è certo ciò che gli atenei si aspettavano. Non scontenta solo studenti e ricercatori (i primi hanno occupato ieri la maggior parte dei rettorati in tutt’Italia, da Milano, a Trieste, da Roma a Palermo, i secondi protestano oggi alle 10 davanti al Senato a Roma dove si discute la nuova legge) ma anche docenti e rettori.
Luigi Frati, rettore della Sapienza tradizionalmente vicino alla maggioranza, ha dichiarato che il ddl Gelmini presenta “illogicità manifeste” che vanno cambiate. “Durante la discussione al Senato – ha detto Frati – sono state corrette alcune questioni. Ad esempio erano sorti dei dubbi sulla composizione del Consiglio di amministrazione che ora, con le modifiche, avrà una minoranza esterna”. Poi il problema dei ricercatori: “Mentre si progetta un nuovo sistema di reclutamento dei ricercatori, con contratti a termine che precedono la possibile assunzione come professori associati – ha spiegato Frati – non si sa se ci saranno le risorse perché poi ci siano effettivamente i posti. E con quali soldi? E che sarà degli altri 20 mila ricercatori che ci sono già nell’università? C’è un problema tecnico evidente”. Ma il ministro è convinto del suo operato: “Il ddl sostiene la Gelmini riforma completamente il sistema universitario italiano; elimina sprechi e privilegi, rivede la governance degli atenei, punta sul merito, apre le porte ai giovani. La stragrande maggioranza degli studenti, come dimostrano le recenti elezioni universitarie, ha voglia di cambiare e non ha nessuna intenzione di seguire chi cerca di strumentalizzarli”. Secondo gli studenti la titolare del dicastero dell’Istruzione “dà i numeri. Citare a suo favore le elezioni studentesche, in cui ha votato una percentuale ridicola degli studenti, significa mentire spudoratamente. E’ un patetico tentativo di nascondere la contrarietà delle università al suo ddl”. La Sapienza di Roma, infatti, ha proclamato ieri, durante l’assemblea di ateneo, “lo stato di agitazione generale dell’intera comunità universitaria per il prossimo anno accademico”.
E le proteste più forti arrivano da Napoli, da Bari e da Palermo. Un Mezzogiorno che ha bisogno di ripartire dalla cultura e dall’innovazione. “Il disegno di legge sulla riforma dell’università è una minaccia per il futuro degli atenei e quindi per lo sviluppo del Paese” spiegano i ricercatori della Seconda università di Napoli, riuniti in un presidio simbolico di protesta. “Ci siamo rallegrati – spiega il rappresentante dei 510 ricercatori della Sun in senato accademico, Vincenzo Paolo Senese – quando è stato annunciato un provvedimento che garantiva il merito. Purtroppo di questo criterio non vi è traccia nel disegno di legge, che invece mira a ridurre il personale, abbassare le retribuzioni, bloccare la possibilità di progressione delle carriere e incentivare quei contratti a tempo determinato che raramente vengono rinnovati”. Ciò a cui vanno incontro infatti i futuri studenti che si affacceranno alla carriera universitaria sono tre anni di contratto a termine come ricercatore, rinnovabili di altri tre, e poi un fantomatico concorso che dovrebbe farli diventare associati. Ma come chiede il rettore Frati, con quali soldi? Nel frattempo i 20 mila ricercatori già presenti negli atenei
vengono schiacciati da questo meccanismo. Eppure la soluzione esiste, non è un’impresa impossibile. “Abbiamo elaborato una proposta a costo zero per far diventare oggi professori i ricercatori che insegnano da anni degli atenei – ha spiegato Marco Merafina, a capo del Coordinamento nazionale dei ricercatori universitari – il problema si può risolvere senza spendere un euro”. Ma per ora nessuno li ascolta.
“Mentre in Parlamento si discute, il malato muore – dichiara Mimmo Pantaleo, segretario generale della Flc-Cgil – tanti atenei nei prossimi mesi rischiano il collasso finanziario, altri sono dovuti ricorrere all’esercizio provvisorio. Il ddl mina l’autonomia dell’università, la sottopone, nei fatti, al controllo del ministero dell’Economia, nel meccanismo di governance abolisce la partecipazione democratica, compromette il diritto allo studio istituendo un fondo per il merito privo di risorse. Insomma tutto viene fatto per piegare l’università a una logica aziendalistica con l’unico vero obiettivo di recuperare risorse”. (c. pe.)

Corriere della Sera 19.5.10
Intercettazioni, spunta la norma pro Vaticano
La cheisa va avvisata se il pm ascolta un religioso
di Dino Martirano

Corriere della Sera 19.5.10
Pannella e gli amori
«Ne ho avuti 400»

Corriere della Sera 19.5.10
Juliette Binoche in lacrime per il dramma di Panahi
Kiarostami, mobilitazione generale sull’Iran
di Giovanna Grassi

il Riformista 19.5.10
La vittoria di Bonanni nel Congresso della Cgil
di Giorgio Cremaschi
qui
http://www.scribd.com/documents/31608108/il-Riformista-19-5-10-p6