lunedì 31 maggio 2010

l’Unità 31.5.10
Via Tasso «ente inutile»
Il Museo della memoria che Tremonti condanna
Tra il ’43 e il ’44 le SS qui torturarono 2.000 cittadini. Oggi, coi suoi graffiti, custodisce il ricordo della Resistenza romana. Ma non vale 50.000 euro...
di Maria Serena Palieri

C’è una teca a via Tasso in cui è riassunta, come nessun poeta avrebbe potuto fare (forse ci sarebbe riuscito Giorgio Caproni, il poeta maestro elementare), l’Italia che ribellandosi al nazifascismo usciva dalla guerra: custodisce una pagnotta sulla quale Ignazio Vian scrisse l’ultimo saluto alla sua famiglia, appoggiata su un tricolore senza «traditrici» insegne sabaude. Vian, già ufficiale, l’8 settembre era stato tra i primi a diventare partigiano, arrestato e torturato aveva retto, non aveva denunciato i suoi, finì impiccato. Aveva 27 anni. Il pane, la bandiera, quegli affetti primari da figlio, da ragazzo. Sessantasei anni dopo basterebbe una cifra altrettanto elementare, 50.000 euro un «bicchierino» la definisce il presidente Antonio Parisella per salvare il Museo Storico della Liberazione che ha sede in via Tasso.
Lì dove, nel palazzo costruito negli anni Trenta dai principi Ruspoli e dato in affitto all’ambasciata tedesca a Roma, dopo l’occupazione, tra il ’43 e il ’44, al civico 145 la Sicherheitspolizei, agli ordini dell’Obersturmbannführer Herbert Kappler, in stanze rese sorde e cieche murando finestre, perennemente buie staccando la luce e controllabili grazie a spioncini sulle porte, imprigionò e torturò. Via Tasso a Roma è ancora un nome che evoca terrore, nausea. A Via Tasso, in quei mesi, si finiva per un niente. Ci finirono Giuliano Vassalli (ne scampò) e Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo (ucciso alle Ardeatine). Ci finirono in duemila, tra donne e uomini: militari passati in clandestinità, cittadini qualunque, anche giovanissimi e anche vecchissimi, chiunque fosse sospetto di legami con la Resistenza, di sapere chi proteggeva ebrei, dove si fabbricavano volantini e i chiodi a tre punte usati per forare i copertoni dei camion militari. Da via Tasso uscirono gli antifascisti trucidati a Forte Bravetta e alle Fosse Ardeatine. Da lì il 4 giugno 1944 uscì Bruno Buozzi per andare a morire, ucciso in extremis dalle Ss in fuga, con altri 12 prigionieri, nell’eccidio della Storta. Lì, quello stesso 4 giugno, quando romani e romane si riversarono nell’edificio odiato, fu quasi per miracolo ritrovato dopo un mese di torture, e liberato, Arrigo Paladini, sottotenente dell’Esercito catturato
mentre dal Sud era in missione clandestina a Roma, che vent’anni dopo diventerà uno dei direttori del Museo. Ma ecco, stante alla manovra di Tremonti, a via Tasso si chiude: chiuso il rubinetto del Ministero per i Beni Culturali, anche se dava gocce, 50.000 euro l’anno. Ed ecco un altro passo avanti perché, nel nostro lieto eterno presente, viale Bruno Buozzi, a Roma, diventi semplicemente una smemorata elegante strada in discesa che porta dai Parioli alle Belle Arti.
Via Tasso al civico 145 c’era il carcere, al 155 c’erano i comandi delleSs-nonèunmuseo.Loè,anche. Ma è anzitutto un luogo fisico dove chi entra (ogni anno 15.000 studenti), come avviene ad Auschwitz, entra in una dimensione temporale diversa: «vive» quello che lì è avvenuto tra l’11 settembre 1943 e il 4 giugno 1944. Sveglia alle 7, silenzio alle 20, una gamella di broda e un pezzo di pane al giorno, divieto di parlare tra prigionieri, invito a farlo, di notte, coi seviziatori, nelle sedute notturne di interrogatori e di torture. Contatto con le famiglie una volta a settimana, per avere il cambio e il dono consentito, un uovo sodo, e per cercare di esportare messaggi cifrati sotto il rammendo d’una maglia, come qualcuno disperato e furbissimo riuscì a fare.
A Via Tasso il tempo, per buona parte, è rimasto quello. Nel dopoguerra diventò un rifugio per gli sfollati. Nel 1950 l’erede Ruspoli, principessa Josepha, donò l’edificio allo Stato perché nascesse il Museo storico della lotta di Liberazione in Roma. Tra il ’53 e il ’54 fu trovato un alloggio per gli ultimi sfollati e il 4 giugno del ’55 Gronchi, presidente della Repubblica, inaugurò le prime stanze. Raccoglievano tutto ciò che si era potuto radunare, volantini dei Gap, chiodi a tre punte, editti degli occupanti. Ma soprattutto custodivano i segni lasciati con le unghie da chi lì aveva trascorso giorni e notti: Arrigo Paladini (non sa che di lì uscirà vivo) nel buio della detenzione graffia sul muro un messaggio, chiede perdono a coloro cui può aver fatto del male, «la morte è brutta per chi la teme» scrive un altro, «tu serva Italia di dolore ostello» è un graffito dantesco, c’è chi cerca luce così, «l’ultima speranza non è perduta, forse la vita è salva, abbiate fede». E poi c’è il sangue: sui muri, sulle camicie che indossavano i prigionieri andati al plotone di esecuzione o al cappio per impiccati.
Via Tasso è Ente pubblico sotto tutela del ministero per la Pubblica Istruzione (poi Beni Culturali) dal 14 aprile 1957. Ora per salvare il Museo dalla chiusura dichiarano, bipartisan, disponibilità Regione Lazio, Comune e Provincia di Roma. 50.000 euro l’anno sono come dice Parisella «un bicchierino». Se alle parole Renata Polverini, Gianni Alemanno e Nicola Zingaretti faranno seguire i fatti, il Museo vivrà. Certo è inquietante che quel luogo dove nel buio, e nel coraggio e nel sangue davvero, è nato il primo nucleo di Italia democratica, diventi per il Governo un ente inutile, in questa grande manovra economica di salvataggio della patria. Ma già, questi sono giorni in cui diciamo addio a pezzi di Costituzione e in cui sappiamo che la nuova Repubblica, lieta e immemore, è nata 18 anni fa tra mafia e tintinnar di sciabole.

l’Unità 31.5.10
Il mondo dei libri dice no al bavaglio
Un giorno di letture per fermare la legge
di Marco Cassini

Durante il recente Salone del Libro di Torino sono stato “intercettato” dall’editore Giuseppe Laterza, il quale con tono concitato mi ha letto il testo di una lettera-comunicato stampa (concepita con Stefano Mauri del gruppo Mauri Spagnol) per sensibilizzare il maggior numero possibile di soggetti sulla gravità del ddl che rischia di diventare una “legge-bavaglio”. L’Associazione Italiana Editori aveva diffuso due giorni prima un comunicato quasi identico ma nessun giornale l’aveva ripreso. Forse operando “dal basso” – ̆diceva Laterza – pur nel rispetto dell’Aie, con una semplice lettera che chiede attenzione ma senza i crismi dell’ufficialità, otterremo un po’ di attenzione.
Quello che ha ottenuto la lettera è stato ben più che “un po’ di attenzione”. Da dieci giorni, e non solo sulle terze pagine o sui blog, si parla, a ragione, della necessità di bloccare il ddl. La lettera è stata sottoscritta da oltre cento editori e più di diecimila fra intellettuali, impiegati, lettori, dipendenti statali, disoccupati, professionisti, insegnanti: insomma, di italiani. Il dibattito è animato quanto lo scontro politico ai massimi livelli istituzionali. In ambito editoriale, ha contribuito all’accensione della querelle la vistosa assenza, fra i firmatari, del gruppo editoriale di proprietà di una parte della famiglia del premier.
Noi editori di libri, anche se apparentemente (solo apparentemente) meno coinvolti dei colleghi editori di giornali, pur favorevoli alla tutela del diritto alla privacy, sentiamo comunque forte il rischio implicito nell’inasprirsi delle pene per chi mette in pratica uno dei principi fondamentali garantiti in ogni civiltà democratica. Una preoccupazione che ci dovrebbe dunque animare da cittadini prima ancora che da editori.
Quando l’altro giorno Laterza mi ha chiamato con quello stesso tono concitato, sapevo che dovevo aspettarmi qualcosa di altrettanto deflagrante. Perché non organizziamo una giornata di letture al teatro Quirino di Roma, per sensibilizzare ulteriormente sull’argomento, unire ancor di più le forze, proprio nel giorno (oggi) in cui il ddl verrà di nuovo discusso nelle sedi istituzionali?
Ho osato rilanciare proponendogli di allargare la cosa a tutto il territorio nazionale, senza limitarci a un unico spazio fisico ma chiedendo l’adesione di tante librerie, e promuovere altri reading per tutta la prossima settimana. Sarebbe bello se aderissero piccoli librai di provincia, mi ha detto Laterza. E allora ho esagerato in ottimismo dicendo «chissà, magari aderirà perfino qualche libreria che porta lo stesso nome di quell’editore che non ha firmato?». È puntualmente successo, e questo mi fa ben sperare nel futuro del paese.
Marco Cassini è, con Daniele di Gennaro, il fondatore della casa editrice «minimum fax»

Repubblica 31.5.10
L’attacco a cultura e bellezza
di Salvatore Settis

Prosegue alacremente il cantiere di smontaggio dello Stato. Sotto l´etichetta di "federalismo demaniale", passano a Regioni ed enti locali 19.005 unità del demanio dello Stato, per un valore nominale di oltre tre miliardi.
Mente Calderoli quando afferma (La Padania, 7 maggio) che i beni trasferiti «demaniali sono e demaniali resteranno». Il demanio non è una forma di proprietà, ma servizio pubblico nell´interesse generale di tutti i cittadini, per questo è inalienabile. Al contrario, i beni trasferiti possono essere «anche alienati per produrre ricchezza a beneficio delle collettività territoriali», o saranno versati in fondi immobiliari di proprietà privata; la legge incoraggia anzi i Comuni a produrre varianti urbanistiche che ne consentano non solo la mercificazione, ma la cementificazione, sigillata e garantita dai ricorrenti condoni edilizi (l´ultimo disegno di legge, presentato dal Pdl, sana con un sol colpo di spugna tutti i reati contro il paesaggio e l´ambiente commessi o da commettersi entro il 31 dicembre 2010).
La manovra Tremonti, approvata sulla parola e senza il testo finale da un Consiglio dei ministri assai ubbidiente, aggraverà lo stato delle finanze locali, strangolando ulteriormente Comuni Province e Regioni. Il taglio previsto, quasi 15 miliardi nel biennio 2011-12 (4 miliardi ai soli Comuni), obbligherà i Comuni ad alienare l´alienabile, e a concedere licenze di edificazione a occhi chiusi, pur di incassare gli oneri di urbanizzazione, un tributo che, contro la ratio originaria della norma Bucalossi (1977), si può ora utilizzare nella spesa corrente per qualsiasi finalità. Ai sacrifici richiesti ai cittadini (basti ricordare la riduzione imposta al Servizio sanitario nazionale: 418 milioni nel 2011, 1.132 milioni dal 2012 in poi) si aggiungerà dunque l´ecatombe delle nostre città, del nostro paesaggio. Le disposizioni in materia di conferenze di servizi (art. 49 della bozza), che riprendono il disegno di legge Brunetta-Calderoli sulla cosiddetta "semplificazione della pubblica amministrazione", vanificano gli argini posti dal Codice dei Beni Culturali. Secondo la nuova norma, ogni volta che il Codice richiede l´autorizzazione di interventi edilizi che incidano sul paesaggio, «il Soprintendente si esprime in via definitiva in sede di conferenza di servizi in ordine a tutti i provvedimenti di sua competenza»; la sua eventuale assenza dalla conferenza dei servizi equivale al pieno consenso del Soprintendente.
Viene in tal modo riesumato e radicalizzato il principio del silenzio-assenso, un istituto che sin dalla legge 241 del 1990 non può applicarsi «agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico», come ribadito più volte, dalla legge 537 del 1993 alla legge 80 del 2005 (governo Berlusconi). Invano il ministero dei Beni Culturali, che aveva ottenuto la soppressione di analoghe norme almeno due volte (nella Finanziaria 2008 e nell´abortito decreto-legge sul "piano casa"), ha richiamato il governo al rispetto della legge. Ma la tutela del paesaggio imposta dall´art. 9 della Costituzione richiede che, in una materia così sensibile, il previsto giudizio di compatibilità degli interventi edilizi con il valore culturale del bene venga formulato espressamente e dopo attenta valutazione: il silenzio o l´inerzia non può in alcun modo sostituire l´attivo esercizio della tutela, che l´art. 9 della Costituzione pone fra i principi fondamentali dello Stato. Lo ha espressamente dichiarato la Corte Costituzionale in almeno cinque sentenze: in questa materia «il silenzio dell´Amministrazione preposta non può avere valore di assenso» (sentenza nr. 404 del 1997). Il silenzio-assenso, nato per tutelare il cittadino contro l´inerzia della pubblica amministrazione, non può diventare un trucco per eludere la legge col sigillo di una norma anticostituzionale.
Ma c´è di peggio, e lo ha ben visto Eugenio Scalfari (Repubblica, 30 maggio), che ha lucidamente disegnato la «prospettiva raccapricciante» di un´Italia a due velocità: «Federalismo al Nord e accentuazione del centralismo statale al Sud». La "manovra Tremonti" è anche troppo esplicita: prevede (art. 43 della bozza) che «nel Meridione d´Italia possono essere istituite zone a burocrazia zero». Burocrazia zero significa che per tutte le nuove «iniziative produttive» (non meglio definite) ogni procedimento amministrativo di qualsiasi natura viene «adottato esclusivamente dal Prefetto ovvero dal Commissario di Governo», e diventa operativo dopo 30 giorni. Non senza raccapriccio, immaginiamo dunque, domani o dopodomani, un´Italia con il Nord governato dalla Lega e il Sud dai gauleiter della Lega.
Sotto la maschera bugiarda di un federalismo democratico, nuove forme di centralismo spuntano per ogni dove. Definanziando decine di istituti culturali (cito fra gli altri la gloriosa Scuola archeologica di Atene, a Napoli l´Istituto Croce e quello di Studi Filosofici, e così via), la manovra Tremonti sottrae ogni possibile finanziamento futuro di queste istituzioni al ministero dei Beni Culturali, e ne sposta la responsabilità alle Finanze e a Palazzo Chigi: una forma di commissariamento che espande ed esaspera, per contrappasso, quello che i Beni Culturali hanno fatto, dando Pompei a un commissario della Protezione Civile senza la minima competenza archeologica. Le centinaia di pensionamenti dell´alta burocrazia ministeriale, propiziati se non imposti dalla stretta pensionistica della manovra, decapitando numerosi uffici in tutto il Paese, favoriranno inevitabilmente un continuo ridisegnarsi delle competenze, in cui il diktat del ministero delle Finanze avrà sempre più peso, e agli altri ministri non resterà che rassegnarsi al silenzio-assenso.
Se tutto questo fosse fatto, come vuole la party line diffusa anche in quella che fu la sinistra, per contrastare la crisi e avviare la ripresa, potremmo provare a farcene una ragione. Ma incombe su questa interpretazione più d´un sospetto. Perché la devastazione del paesaggio e l´offesa alla Costituzione dovrebbero alleviare la crisi economica? Che cosa guadagna in coesione e in forza economica il Paese col "commissariare" l´intero Sud, riducendolo a una colonia a "burocrazia zero", cioè governata dai prefetti? Perché, se le casse sono vuote al punto da dover ridurre i finanziamenti alla sanità (mettendo in forse il diritto alla salute garantito dall´art. 32 della Costituzione), dovremmo ostinarci a voler costruire il ponte sullo Stretto? Il «tesoretto di Giulio», come qualche leghista ha affettuosamente chiamato i risparmi che la manovra dovrebbe mettere da parte, non servirà proprio a promuovere un federalismo i cui costi nessuno si attarda a calcolare? Lo smontaggio dello Stato serve ad assicurare la stabilità della moneta e il benessere dei cittadini, o ad accelerare la disgregazione del Paese voluta dalla Lega e dai suoi complici d´ogni colore, a velocizzare il saccheggio del territorio e la spartizione del bottino?

Repubblica 31.5.10
Roberta Einaudi, editrice e nipote di Giulio: ecco perché ho firmato gli appelli anti-bavaglio
"Così torniamo a un clima da fascismo"

ROMA - Roberta Einaudi, editore di "Nottetempo" e nipote di Giulio Einaudi, lei ha firmato l´appello sostenuto da Repubblica.it e quello promosso da Laterza contro la legge-bavaglio: ci spiega perché?
«Sarà banale, ma ho paura di quello che temono tutti: è gravissimo se i giornali non potranno più scrivere la verità e spiegarci i fatti. Sono senza parole. Dopo i tremendi anni del fascismo non pensavo che sarebbe successo di nuovo. Non credevo che avrei dovuto vivere un simile evento».
Cosa direbbero suo zio Giulio e suo nonno Luigi di questa legge?
«Beh, nonno Luigi mi ripeteva sempre di leggere, conoscere, ascoltare gli altri e poi ragionare col mio cervello. Era la sua fissazione. Ecco, ora il lettore non potrà più conoscere e quindi non potrà più deliberare. Allora dico: meglio lasciare una colonna in bianco, come durante il fascismo».
Ad essere colpiti non saranno solo giornali e lettori, ma anche i magistrati che non potranno più usare le intercettazioni come prima...
«Come possono pensare di portare avanti le indagini azzoppando le intercettazioni? È una legge idiota. Mi piacerebbe pensare che si tratta solo di ingenuità, ma purtroppo queste non sono persone ingenue. Hanno un interesse ben preciso».
(a.d´a)

l’Unità 31.5.10
Le navi della pace verso Gaza
«Israele non può fermarci»
Le sei imbarcazioni partite da Cipro, attese oggi davanti alle coste della Striscia
A bordo 10mila tonnellate di aiuti e attivisti di 50 Stati. La Difesa israeliana: li bloccheremo
di Umberto De Giovannangeli

In rotta verso Gaza. Malgrado le minacce. «Freedom Flotilla», il convoglio di 6 navi che vuole rompere l’assedio di Gaza sfidando il blocco delle forze armate israeliane, ha raggiunto ieri le coste libanesi.

«Siamo partiti da Cipro dice Greta Berlin, la portavoce di Free Gaza, uno degli organizzatori poco dopo le 16. La Marina israeliana blocca una zona a circa 20 miglia nautiche dalla costa di Gaza, dove noi contiamo di arrivare nella tarda mattinata o all’inizio del pomeriggio di domani (oggi per chi legge,
ndr)». Le navi trasportano circa 10.000 tonnellate di aiuti, materiali da costruzione, case prefabbricate (100) per chi è rimasto senza tetto dopo l’operazione Piombo Fuso del 2008-2009, medicine e apparecchiature mediche, 500 carrozzelle elettriche, depuratori per l’acqua, impianti fotovoltaici, generatori, materiale per la scuola e altri beni fondamentali per la popolazione della Striscia.
ULTIMO TRATTO
Le autorità politiche e militari dello Stato ebraico hanno ribadito che non permetteranno per nessun motivo l’attracco delle navi a Gaza. Hanin Zuabi, un membro del Parlamento israeliano che si trova a bordo della flotta, ha dichiarato che gli attivi-
sti intendono raggiungere la Striscia indipendentemente dai piani per fermarli. «Se gli israeliani cercano di fermarci, scoppierà un’enorme crisi diplomatica e politica», dice Zuabi. «Abbiamo 50 Stati che partecipano a questo progetto e che stanno lanciando un messaggio molto chiaro ad Israele, cioè che la comunità internazionale non accetta l’assedio a Gaza». «Il messaggio d’Israele è stato chiaro: vi fermeremo. Nessuno può impedirci di farlo», gli fa eco Huwaida Arraf, presidente del Free Gaza Movement . Tuttavia, aggiunge Arraf, «migliaia di persone hanno contribuito a far diventare questa flotta una realtà e la popolazione di Gaza ci sta aspettando».
Fonti del ministero della Difesa a Tel Aviv hanno però fatto sapere che le imbarcazioni della Flotilla saranno in ogni caso dirottate nel porto israeliano di Ashood. Tutti i passeggeri saranno smistati in enormi tendoni, allestiti lungo la costa meridionale, dove verranno identificati e, se necessario, sottoposti a cure mediche. Chiunque rifiuterà questo trattamento, verrà arrestato e condotto nelle carceri israeliane. Gli attivisti rischiano l’arresto, l’espulsione e la confisca del cargo, ripete in serata un portavoce di Tsahal. «Contiamo di raggiungere Gaza, non ci fermiamo e non ci fermeremo se ce lo ordineranno. Non opporremo resistenza fisica, ma ci dovranno speronare», ribatte Audrey Bomse, portavoce della Free Gaza organization. «L’unico scenario che ha qualche senso per gli israeliani è smetterla una volta per tutte di fare i “bulli” del Medio Oriente e lasciarci passare», insiste Greta Berlin. «Trascinare le navi nel porto di Ashdod costituirebbe un clamoroso autogol per il governo israeliano, dal momento che sulle navi sono presenti anche personalità arabe di nazionalità israeliana e attivisti della sinistra israeliana, pronti a smascherare la pirateria dei loro militari non appena venissero costretti a sbarcare nel proprio Paese», osserva Hani al-Masri, analista politico palestinese.
LINEA DURA
La risposta non si fa attendere. Ed è durissima. «Non permetteremo che venga violata la nostra sovranità», avverte il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, che annuncia di aver comunicato agli ambasciatori di Turchia, Cipro, Irlanda e Grecia (le navi della Freedom Flotilla battono bandiera di questi Paesi) che l’arrivo a Gaza delle navi, con circa settecento persone di 40 nazionalità a bordo, infrangerebbe le leggi internazionali, poiché Israele «ha emesso delle ordinanze che proibiscono l’entrata di navi a Gaza». «Questi attivisti si definiscono difensori dei diritti umani, ma restano in silenzio quando a essere bersagliati sono i civili israeliani o quando il regime di Hamas a Gaza compie brutalità contro gli oppositori», dice il portavoce del governo israeliano.

l’Unità 31.5.10
I cinquant’anni della rivoluzione in una pillola
Maggio 1960 Negli Usa parte la somministrazione della COCP
Gli effetti Ha contribuito a restituire alle donne la gestione del loro corpo
Nel maggio 1960 la Food&Drug Administration degli Usa approva l’utilizzo di una «combined oral contraceptive pill» (Cocp), che diventerà presto nota come la «pillola contaccettiva» o, più semplicemente, la Pillola.
di Pietro Greco

Non è il caso di fermarsi più di tanto sui meccanismi di funzionamento, ormai ben noti, di questo nuovo farmaco, messo a punto dal chimico Carl Djerassi nel 1951 e sperimentato clinicamente dai medici John Rock, Celso-Ramon Garcia e Gregory Pincus nel 1954. Conviene fermarsi sui suoi effetti sociali e cul-
turali: enormi e, ancora oggi, niente affatto esauriti.
E già perché la pillola, assunta quotidianamente dalle donne, inibisce l’ovulazione. E, dunque, le gravidanze indesiderate. Costa poco, è facile da assumere e ha un’elevatissima efficacia. È grazie a questo combinato disposto di caratteristiche che la COCP ha un immediato e clamoroso successo: nel 1961 negli Usa la assumono già 400.000 donne; 1,2 milioni nel 1962; oltre 3,5 milioni nel 1963. Oggi in tutto il mondo la assumono oltre 100 milioni di donne.
L’impatto sulla società è stato ed è tuttora) tale che dieci anni fa la rivista inglese The Economist l’ha eletta a scoperta scientifica più importante del XX secolo. Sia perché la Pillola ha contribuito al controllo delle nascite e alla drastica riduzione del numero di figli per donna prima nei paesi occidentali e poi in molti paesi in via di sviluppo; sia perché ha consentito la separazione tra sesso e riproduzione, fornendo un contributo decisivo a quella che è stata definita la «rivoluzione sessuale»; sia perché ha contribuito a modificare il ruolo che ha la donna nella società e, quindi, ad accelerare quella che molti considerano la più grande rivoluzione sociale del XX secolo: la rivoluzione femminile.
GLI «AVVERSARI»
Un elemento, in particolare, va tenuto in considerazione. La Pillola ha contribuito direttamente e come metafora a restituire alle donne la gestione del proprio corpo, compreso il sistema riproduttivo. E, dunque, ha contribuito all’affermazione di nuovi diritti per tutti, fondati sulla libertà e la responsabilità individuale. «Il corpo è mio e lo gestisco io» è diventata l’idea su cui sono stati ricostruiti i rapporti tra medicina e società e, forse, su diritto e società. Una simile carica dirompente non poteva non suscitare reazioni. Se per alcuni la Pillola è diventata il simbolo di libertà e responsabilità individuale, per altri è diventata il simbolo stesso del male e di quel suo succedaneo che è la società multietica. In breve, è stata avversata da più parti. In primo luogo dai vertici della Chiesa cattolica. La Pillola, si diceva, porterà alla dissoluzione della famiglia e dunque della società. Non è avvenuto. Si è anche cercato di dimostrare che la Pillola ha pesanti effetti collaterali sulla salute delle donne. Proprio quest’anno uno studio condotto per quattro decenni su 46.000 donne ha dimostrato non solo che la Pillola non fa male, ma che le donne che l’assumono vivono in media di più, per loro si riducono i rischi di morire prematuramente per tutte le cause di morte, incluso cancro e malattie cardiovascolari.
Se i cinquant’anni della Pillola sono una plastica dimostrazione degli effetti profondi tra scienza, innovazione tecnologica e società nell’era della conoscenza, non devono indurre ad alcun trionfalismo. La rivoluzione femminile, che ha subito un’accelerazione anche grazie alla Pillola, è ancora largamente incompiuta.

l’Unità 31.5.10
CGIL verso lo sciopero generale
2 giugno: in difesa della Costituzione
Una manovra che divide l’Italia

La CGIL non è contraria in astratto alle manovre correttive. La situazione è grave e densa di incognite ed è necessario intervenire sui conti pubblici. Non lo si può fare, però, mettendo di nuovo le mani in tasca ai soliti noti e costruendo una manovra esclusivamente di tagli e senza alcun intervento in termini di investimenti. Questo, il giudizio della CGIL sulla manovra di Tremonti. Una posizione ribadita dal segretario generale Guglielmo Epifani, che ha lanciato nuovi messaggi di mobilitazione e proposte di politiche economiche alternative. Per quanto riguarda le iniziative di lotta, Epifani ha annunciato che durante il prossimo comitato direttivo della confederazione, che si terrà il 7, l’8 e il 9 giugno, la segreteria proporrà uno sciopero generale da tenersi entro la fine dello stesso mese (“con manifestazioni articolate su base territoriale”). Ma prima dello sciopero, sabato 12 giugno a Roma si terrà una manifestazione nazionale di tutto il mondo del lavoro pubblico. “Obiettivo della protesta – ha detto il leader di corso d’Italia – è quello di cambiare i contenuti della manovra”. “I dipendenti pubblici sono di-
sponibili ai sacrifici, ma questi non possono ricadere solo su di loro. Abbiamo letto il testo della manovra e confermiamo il nostro giudizio: c’è bisogno di una correzione dei conti pubblici, la CGIL dice sì, ma non trova nelle scelte di questa manovra la risposta a tale correzione. È un provvedimento che divide l’Italia. Siamo l’unico paese in Europa in cui la parte più benestante non viene toccata dai tagli. Zapatero ha annunciato un intervento di 5 miliardi sui redditi più alti, Cameron penalizza le banche, mentre la Merkel prevede nuove tasse per trovare ulteriori risorse. Da noi i sacrifici si concentrano unicamente sui lavoratori pubblici, in parte su quelli privati e sui tagli agli enti locali. Non c’è traccia di nessuna riforma di alcun tipo, tutti i provvedimenti sulle pensioni sono un pasticcio, iniqui e non affrontano il vero problema, che è la previdenza dei giovani”.
Secondo Epifani, nella manovra “non c’è nessun sostegno agli investimenti e all’occupazione, anzi con il taglio delle risorse alla ricerca si impoverisce un settore fondamentale. Per questo, chiediamo alle forze politiche, al Parlamento e al governo di cambiare i contenuti della manovra. Presenteremo noi stessi, e vedremo anche se è possibile con Cisl e Uil, degli emendamenti per sostenere l’obiettivo del cambiamento”. Tra le proposte della CGIL, c’è quella d’inserire una tassa di solidarietà per i redditi superiori ai 150 mila euro, per liberare risorse da destinare al futuro dei giovani. La seconda proposta è quella di ripristinare l’Ici per i redditi da 90-100 mila euro. Infine, Epifani propone di alzare la tassazione dello scudo fiscale dal 5 al 7 per cento. Sono due, comunque, gli obiettivi immediati della CGIL: da un lato, la richiesta di modificare la manovra finanziaria e, dall’altro, la necessità di fermare la riduzione dei diritti dei lavoratori, come sta avvenendo con le nuove norme sull’arbitrato.

Repubblica 31.5.10
Dovetti parlare in tv
"In quella notte terribile delle bombe vuoto politico e democrazia debole"
Scalfaro: temo che non sapremo mai la verità sugli attentati
di Vittorio Ragone

Non vedo volontà politiche univoche per una commissione d´inchiesta che faccia piena luce
Nei miei confronti venne montato uno scandalo vergognoso e dovetti parlare in tv al popolo italiano

ROMA - Presidente Scalfaro, lei era Capo dello Stato nel ´93. Se la ricorda la notte fra il 27 e il 28 luglio? Le bombe a via Palestro a Milano, poi a San Giovanni e al Velabro a Roma? Le prime reazioni, le linee telefoniche interrotte, l´ombra di un golpe?
«Non nitidamente come si potrebbe pensare. Ricordo la telefonata con il presidente Ciampi: ero a casa con mia figlia Marianna, vennero a bussare alla porta a notte fonda l´allora segretario generale al Quirinale Gaetano Gifuni e il capo della sicurezza, il prefetto Iannelli. Il telefono non ci aveva svegliati. E ricordo bene la riunione del mattino dopo, quando convocai il capo della polizia, il prefetto Parisi, e i responsabili dei carabinieri e dei servizi»
Quali piste furono seguite all´inizio? La mafia? I servizi stranieri? 007 italiani infedeli? Ci si interrogò sulla regia o sulla "manona" che poteva aver diretto le stragi?
«Formulammo delle ipotesi, tutte queste ipotesi, così come logica vuole davanti a eventi di natura straordinaria. E ordinammo alle persone preposte all´intelligence e alle indagini di raccogliere elementi sufficienti a orientarci in modo convincente. Il prefetto Parisi aveva ricevuto - e teneva in grande conto - una segnalazione del Mossad secondo la quale nel mondo della destra estrema c´era una forte spinta a destabilizzare la situazione italiana, puntando anche alle dimissioni del capo dello Stato. Un anno prima c´erano state le stragi di Falcone, Borsellino e delle scorte, e due mesi prima un´altra autobomba ai Georgofili a Firenze. Cercavamo un filo, una logica che spiegasse questa catena di eventi».
A ripensarci oggi la sequenza di quei giorni oltre che brutale è impressionante: si vede un paese martellato sotto colpi militari e divisioni politiche, lì lì per crollare.
«Furono mesi di preoccupazioni gravi e costanti. La situazione politica era di inquietudine, gravi questioni sociali premevano, la cosiddetta Tangentopoli era in pieno corso; tutti questi fattori creavano tensione nella popolazione. Il mio cruccio in quelle settimane era che - tra una manifestazione sindacale più agitata delle altre e un sit in contro il terrorismo o la mafia - ci potesse scappare l´episodio di violenza; che la piazza cambiasse natura, e che gli eventi degenerassero».
C´è chi parla di una regia più raffinata, un´entità che cuciva insieme una nuova strategia della tensione.
«Il vuoto politico, un vuoto politico come quello che le stavo descrivendo, è la condizione di maggiore debolezza di una democrazia. Sarebbe difficile reggere, per qualsiasi paese. È chiaro che chiunque avesse voluto destabilizzare avrebbe trovato terreno fertile. La mafia? I terroristi? Qualche matto dentro gli apparati dello stato? O tutte e tre le cose insieme? Io credo che sia una risposta difficile da dare. La magistratura avviò indagini in varie direzioni. Abbiamo atteso a lungo qualche elemento che spiegasse fatti, moventi, concatenazioni. Ma devo dire che abbiamo atteso invano. Confesso che anche le prime affermazioni del procuratore Antimafia Pietro Grasso in questi giorni mi avevano lasciato perplesso. Chi ha i poteri per investigare investighi. Ho visto che successivamente ha chiarito in maniera soddisfacente il senso delle sue parole...»
Crede che si possa arrivare oggi alla verità?
«Non bastano le certezze morali per attestare una verità. Occorrono risposte documentate, sentenze, verifiche. E devo dire che quasi non spero più che arriveremo a capire. Soprattutto perché non vedo intorno volontà politiche univoche. Il Parlamento sarebbe in grado di condurre un´autentica inchiesta su quei mesi terribili, senza utilizzarla come pretesto per spararsi addosso, da una parte e dall´altra? Condivido gli appelli alla ricerca della verità, ma osservo una realtà politica che fa acqua da tutte le parti».
Eppure, presidente, lei fu direttamente toccato da quelle vicende. Subito dopo le stragi cominciarono le voci, poi la campagna della destra sui fondi neri del Sisde, sugli ex ministri dell´Interno e su di lei che - fu detto e scritto - li aveva usati in maniera indebita.
«Me le ricordo quelle accuse, particolarmente gravi e strumentali, e poi naturalmente mai dimostrate: che io avessi destinato i fondi neri a disposizione del ministro, non soggetti a rendicontazione, per scopi diversi da quelli previsti. Fu un´azione banditesca: in Piemonte certi individui si recarono nei conventi di clausura a chiedere se il presidente Scalfaro avesse finanziato lavori di ristrutturazione o qualsiasi altro tipo di intervento. Mi difesi pubblicamente. Sfidai chiunque a produrre la prova che anche una sola lira avesse avuto destinazione diversa da quelle legittime. In novembre parlai in televisione, davanti al popolo italiano... «
Il famoso "Non ci sto".
«Dissi: "Prima si è tentato con le bombe, ora con il più vergognoso e ignobile degli scandali. Ma occorre rimanere saldi e sereni"».
E perché, pur toccato direttamente, è così restio a ipotizzare zone grigie e regie uniche?
«Perché nonostante tutto quel che abbiamo rievocato, e nonostante anche Parisi mi dicesse che io stesso ero l´obiettivo d´una manovra più vasta, continuo a pensare che sia compito della magistratura e degli apparati investigativi darci una verità definitiva. E che sia compito di noi tutti mantenere misura e sangue freddo fino a quando questa verità sarà accertata».

Repubblica 31.5.10
L’uomo e l’animale
Il grande enigma delle metamorfosi
di Massimo Cacciari

In modo diverso, ogni epoca e ogni civiltà hanno raffigurato nelle bestie la grandezza e la miseria degli esseri umani. Da Dante a Nietzsche
Tra i bestiari antichi il più celebre è quello che troviamo nella "Divina Commedia" La varietà è impressionante, quanto a realismo e simbolismo
In "Zarathustra" sono presenti l´istinto punitivo della tarantola, l´ingordigia delle mosche e la trasformazione dello spirito in cammello
L´immagine del Leviatano, mostro biblico, campeggia nel grandioso frontespizio barocco dell’opera omonima di Thomas Hobbes

Con questo intervento ha chiuso giovedì 27 il ciclo "Animalia" all´Università di Bologna
ome l´uomo ha "finto" a propria immagine gli dèi, così ha "finto" anche gli animali. Antropomorfizzare l´altro sembra essere costitutivo della sua essenza. L´altro tende sempre ad apparirgli non come essere che gli si dà, che gli si manifesta da un "fondo" tanto meraviglioso quanto, alla fine, misterioso, ma come non-Io, e cioè come prodotto dell´Io. L´animale è "a disposizione" della ricerca che l´Io compie per conoscere se stesso; e così anche il dio può trasformarsi nell´idolo che l´uomo si fa per soddisfare la propria volontà di sapere e potere. Così l´Io cerca di addomesticare animale e dèi - per quanto la loro natura, il loro originario essere per sé, debba finire sempre per travolgere quel tentativo. Vi saranno infinite specie di animali e forme del divino dopo che questo uomo scomparirà - oltre l´uomo.
In modo diverso, ogni epoca e ogni civiltà hanno "immaginato" nell´animale la loro grandezza come la loro miseria. E, ancora più, hanno associato all´animale i propri dèi, proprio perché si è sempre avvertito che animale e dio formano insieme quell´Altro che si vorrebbe, appunto, ridurre a nostro "prodotto". Le metamorfosi dell´animale divino vanno dalla terranea potenza del toro, che si accompagna alla serpe degli dèi di sotterra, al volo irrefrenabilmente libero dell´aquila, fino alle angeliche farfalle, creatura di luce, del Paradiso. Vi sono poi gli animali-messaggero che accompagnano l´anima, a volte di buona, a volte di cattiva razza, come i cavalli di Platone. Le immagini tornano per l´animale umano, ma come impoverite; l´aria del mondo sublunare corrode anche loro. L´uomo si riflette con timore e tremore sul volto dell´animale. Il rapporto era un simbolo nel mondo divino. Qui diviene, invece, una relazione altamente pericolosa. La mente sovrana del dio poteva sempre "avere la meglio" sulla "natura" dell´animale; la vittoria non è affatto scontata per l´uomo. In ogni momento egli può soccombere all´essere animale; e vincere questa possibilità è per lui davvero un super-vincere, poiché egli, a differenza del dio, è sempre, comunque, "anche" animale, e sempre lo resterà. Così la sua immagine è essenzialmente metamorfosi; la sua immagine può essere descritta, cioè, come sempre in movimento tra l´uccello-angelo, l´uccello dell´anima che "sale" a "indiarsi", a farsi-uno col dio, e l´infimo degli animali.
Tra i grandi "bestiari" che descrivono questo metamorfizzarsi instancabile dell´Io incomparabilmente il più grande è quello che troviamo nella Comedìa dantesca. La varietà delle figure è impressionante, quanto il realismo che incarna ogni simbolismo. Par di vedere e toccare quei porci, quei botoli, quei cani che si trasformano in lupi, quelle volpi che abitano "la maledetta e sventurata fossa" della valle dell´Arno! I vizi, come le virtù, divengono nel linguaggio di Dante carne e sangue, nervi e ossa. Ma la bestia non è soltanto lonza-leone-lupo, i peccati, nella loro "logica" connessione, che lottano per impedire al pellegrino di compiere il suo itinerario in deum; né è soltanto il "bruto" che non vuole esperire e conoscere (il bruto non è, in questo caso, nient´affatto la bestia, bensì colui che Ulisse inganna, che non sa opporsi alla frode dell´eroe). Vi sono, pur sempre nel mondo del peccato, anche le colombe di Francesca. Anche il timbro dell´amore cortese, amore che seduce ed è necessario oltrepassare per quanto ciò costi fatica quasi sovrumana, può avere la voce dell´animale.
Se dovessi citare un altro "bestiario", all´altro polo della nostra civiltà, così da disegnare un arco chiuso nel nostro discorso, parlerei dello Zarathustra di Nietzsche. Anche in quest´opera l´animale è sostanzialmente scandalo, ostacolo all´Itinerario verso l´Oltre-uomo. È l´invidia, la gelosia, l´istinto di punire della tarantola; è l´ingordigia delle mosche velenose che tormentano il solitario. Ma appare anche nelle prime due metamorfosi: quella dello spirito in cammello capace di portare i pesi più gravosi (è in questo labor che lo spirito inizia a comprendere la propria potenza), e quella del cammello in leone (è qui che lo spirito afferma il proprio volere, anzi: il proprio voler essere tutti i valori). Ma l´ultima metamorfosi è quella del leone in Puer, nel Fanciullo che non è "caricato" di passato, di rimpianti, di sensi di colpa - insomma, nell´infanzia innocente, che crea senza sapere, che fa senza fare. L´animale appare perciò come la "via" che ci conduce all´immagine dell´infanzia e del Gioco, che ci libera dal "primato" del Logos, del Discorso, del Progetto. Capovolgimento del "bestiario" dantesco? Sì, certo - ma anche l´ascesi dantesca finisce nell´attonito silenzio che supera ogni fantasia - e di fronte al balenare dell´immagine, nel cuore del Mistero, proprio del Figlio.
Ma è senza dubbio nel campo della contesa, della lotta politica che il ricorso al linguaggio della metamorfosi e all´"uso" dell´animale hanno trovato il più rigoglioso sviluppo. L´eterno scontro tra sovrani e sudditi, potenti e miseri, la denuncia della tirannide come della degenerazione dei regimi democratici in oclocrazia, tutto ciò ha alimentato nei secoli il linguaggio dell´uomo "animale politico". In questo contesto, tuttavia, l´immagine più forte, e più inquietante per noi, non è quella di un animale, anche se di un animale porta il nome. È l´animale creato dal Signore all´origine, dotato di una potenza che a nulla sulla terra può essere comparata. «Non est potestas super terram quae comparetur», così il Signore presenta a Giobbe il Leviatano nella sua rivelazione finale. A questo immenso animale, così immenso da non riuscire neppure a "porlo" in una immagine, abbiamo tuttavia dato figura - umana. Essa campeggia nel grandioso frontespizio barocco della opera omonima di Thomas Hobbes. Sul margine alto l´inequivocabile rimando al mostro biblico; subito sotto, dalle alture di un paesaggio ben coltivato, emerge, come un sole, un gigante coronato, che tiene in pugno i simboli della potestas politica e dell´auctoritas spirituale, e il cui corpo è formato dall´ordinata moltitudine degli individui. Questa moltitudine compone tale Corpo. Esso non sarebbe che un vuoto fantasma senza la loro presenza. Ma, ad un tempo, questa moltitudine non sarebbe una, bensì molteplicità vagante, senza i sicuri confini che quel Corpo detta.
Ma Leviatano è il suo vero nome. E finalmente ci potremo cibare della sua carne nel giorno del Giudizio. Ce ne potremo liberare. Il mostro ci è forse ora necessario - tuttavia, tale rimane, e noi attendiamo l´Ultimo Giorno proprio per poterlo sacrificare. Così in quel Giorno potremo non dover più ricorrere all´animale per rappresentare noi stessi, ovvero: per nasconderci a noi stessi - potremo cercare senza finzioni quell´altro che siamo e, insieme, incontrare quell´altro che l´animale è, quel "sereno animale" di cui Rilke ha cantato, la cui casa, la terra, noi abbiamo trasformato nel suo inferno

domenica 30 maggio 2010

striscia rossa 29.5.10
Ciò che tutti noi vorremmo è una disobbedienza civile di massa. Ma questa non può essere forzata, deve essere spontanea per meritarsi tale nome edavere successo
Mahatma Gandhi

striscia rossa 30.5.10
Non è grave il clamore chiassoso dei violenti, bensì il silenzio spaventoso delle persone
Martin Luther King

Obiezione di coscienza
(immagine: NO)

l’Unità 30.5.10
Disubbidire subito
di Giovanni Maria Bellu

In Gran Bretagna, la perfida Albione, come direbbe il nostro Duce, succedono cose incredibili. Si scopre che un viceministro ha messo nella nota spese l’affitto di una casa dove non abita e scoppia uno scandalo colossale. Tanto che il poveretto deve scusarsi davanti alla nazione, giurare che rimborserà le casse pubbliche fino all’ultima sterlina e avviarsi a capo chino verso la Commissione Etica del Parlamento.
È davvero singolare che un popolo che ha la parola “privacy” nel suo vocabolario la tenga in minor considerazione di noi che abbiano solo quei desueti “privatezza” e “riservatezza”. Eppure è proprio così: solo qua, nel felice regno di Berlusconia , la privacy è davvero sacra. Per dire: due terzi dei parlamentari non giustifica in alcun modo l’utilizzo dei 4000 euro (al mese e a cranio) destinati alla retribuzione degli assistenti e nessuno ci fa caso. Anche se il danno erariale è di 20 milioni di euro e non di 40.000 miserabili sterline.
Ma, dobbiamo riconoscerlo, sopravvive anche tra noi una minoranza di moralisti che si scandalizza se un ministro riceve in regalo un appartamento da un imprenditore che lavora per il suo ministero, o se un presidente del Consiglio va a puttane, o se uno dei suoi principali collaboratori è anche collaboratore part time di Cosa Nostra. Durerà poco. La maggioranza del nostro Parlamento che annovera alcune delle più autorevoli vittime di questo residuale ma feroce giustizialismo comunista sta per risolvere definitivamente il problema. Tra l’altro con garbo e delicatezza. Noi giornalisti (e a dire il vero anche i nostri familiari) abbiamo appreso con sollievo che non finiremo in galera, come annunciato in un primo tempo, ma semplicemente sulla strada per le sanzioni economiche inflitte agli editori, se incorreremo in quella forma di violazione della privacy che si sostanzia nel dare le notizie. E i magistrati, sempre al contrario di quanto comunicato in un primo tempo, potranno proseguire le intercettazioni telefoniche anche oltre i 75 giorni se stanno cercando un latitante. Decisione che, al dire il vero, un po’ viola la privacy di Osama Bin Laden e Matteo Messina Denaro, ma non si può avere tutto dalla vita.
In più per noi giornalisti è previsto l’aggiornamento professionale gratuito attraverso una serie di esercitazioni che affineranno la nostra padronanza della lingua italiana. Come il “riassunto degli atti giudiziari”. Se ci troveremo davanti a uno di quei giganteschi incartamenti di migliaia di pagine nei quali i magistrati giustizialisti raccolgono le loro accuse, magari per sostenere che un certo uomo politico, chissà anche un presidente del Consiglio, va rinviato a giudizio, non dovremmo più fare la fatica di descriverne il contenuto nel modo più chiaro e onesto possibile, come faticosamente facciamo oggi, ma dovremmo limitarci a riassumerne il senso. In poche parole. Ma quali? “Presunto delinquente” va bene?
Stiamo suscitando nel mondo civile un sentimento che oscilla tra la compassione e la paura. Ci consola e ci rafforza il sostegno dei colleghi delle principali democrazie occidentali. Disubbidiremo subito.

Repubblica 30.5.10
Sit-in in molte città per fermare la legge-bavaglio
ROMA - Mobilitazione in tutta Italia contro la legge-bavaglio sulle intercettazioni. Ieri si sono svolte manifestazioni sponsorizzate dal Popolo Viola. Migliaia di persone in piazza a Milano, Torino, Udine, Bologna, Cagliari, Napoli, Salerno e Cagliari. Anche a Londra il popolo della Rete ha radunato i suoi davanti alla sede della Bbc. In settimana proteste e presidi andranno avanti. Tra le altre iniziative quella di editori e librai con una serie di letture. Parteciperanno anche Camilleri, Sartori, Travaglio, Rodotà, Augias, Pace e Carofiglio.

Corriere della Sera 30.5.10
Gli enti culturali pronti alla piazza
di Antonio Carioti

Corriere della Sera 29.5.10
Niente trapianti ai disabili mentali
Accuse al Veneto
di Margherita de Bac

Corriere della Sera 29.5.10
Un rene è un diritto, l’intelligenza non c’entra
di Giuseppe Remuzzi

Repubblica 30.5.10
La nostra giustizia e quella di Dio
di Adriano Prosperi

Monsignor Charles J. Scicluna ha il titolo di «promotore di giustizia» presso la Congregazione per la dottrina della fede. In termini di giustizia laica è il pubblico ministero.
In quanto tale ha il compito di trattare i «delicta graviora», cioè quelli dei sacerdoti colpevoli di pedofilia e di uso della confessione per indurre penitenti a rapporti sessuali. In questa veste ha raccontato di aver esaminato circa 9.000 casi di religiosi accusati di quei crimini (in una intervista al quotidiano «Avvenire» del 13 marzo scorso). Lo ha fatto nel corso di procedure segrete, sulla base delle norme canoniche.
Il dilagare della questione dei pedofili sulla stampa mondiale e nei tribunali laici ha spinto il «promotore di giustizia» ad assumere una nuova veste, quella di pubblico e spietato accusatore dei preti pedofili. La voce che è risuonata in San Pietro è stata l´arringa del pubblico ministero che chiede la condanna più dura. Quella chiesta ieri da Scicluna è una condanna a morte eterna: secondo lui sui colpevoli grava la minaccia dell´Inferno, dell´eterna dannazione. Ma non può sfuggire il fatto che questa retorica giudiziaria di accusatore dei delinquenti svolge la funzione di coprire le responsabilità dell´istituzione.
Scicluna è il difensore d´ufficio dell´autorità ecclesiastica in generale e di quella della Congregazione in particolare. Tanto più forte l´accusa di quelli quanto più netta la difesa di questa. Non è la prima volta che vediamo ricorrere a un doppio registro di questo genere: già ai tempi del rito della «purificazione della memoria» di papa Wojtyla, le colpe del passato di cui chiedere perdono erano state quelle di singoli cristiani restando santa la Chiesa con i suoi pontefici. Quanto alla minaccia dell´Inferno proferita ieri da monsignor Scicluna, si può immaginare il tormento di un uomo di Chiesa mentre pronuncia una sentenza del genere.
Tuttavia resta il fatto che quella pur tremenda sentenza rimanda ad altro e remoto giudizio, diverso da quelli terreni, un giudizio del quale ognuno è libero di pensare quel che vuole. Da molto tempo l´immagine dell´Inferno come luogo di perenne sofferenza oltre la morte è entrata in crisi anche tra i cristiani, come ha dimostrato la ricerca dello storico inglese D. P. Walker. Declino irreversibile. Da secoli si è andata diffondendo sempre più la convinzione che il vero inferno è qui tra gli uomini, sulla terra. E contemporaneamente si è affermata la distinzione fondamentale della giustizia moderna: quella tra reato e peccato: una distinzione che è all´origine delle legislazioni e delle culture moderne. Il peccato riguarda la coscienza del credente e può essere trattato nel segreto della confessione. Il reato riguarda la giustizia. Per i crimini c´è il codice penale, c´è l´obbligo della denunzia da parte di chi ne è a conoscenza.
Nei riti segreti della Congregazione vaticana questa distinzione fondamentale per ora non si è affermata. Nell´intervista già citata il monsignore ammetteva che nei paesi di cultura anglosassone e in Francia i vescovi a conoscenza di quel tipo di reati sono obbligati a denunziarli all´autorità giudiziaria. In Italia no, perché qui la legge dello stato non lo impone: e in questi casi le autorità della Congregazione vaticana non obbligano i vescovi a denunciare i propri sacerdoti. Ecco il problema che gli anatemi di questi giorni non riescono a nascondere. Un problema per noi cittadini, per lo stato italiano colpevole di tollerare nel suo sistema giudiziario infrazioni come questa al principio dell´uguaglianza davanti alla legge. A noi cittadini corre l´obbligo di ricordare che lo Stato ha le sue leggi e che i suoi inferni sono le prigioni. È allo Stato che spetta obbligare per legge i vescovi e qualunque autorità ecclesiastica a denunziare delitti come questi.
Quanto alla Chiesa, anch´essa ha la sua colpa, diversa da quelle dei singoli religiosi ma non meno grave: quella della connivenza, del segreto con cui ha coperto finché ha potuto i casi dei preti pedofili. E non possiamo nascondere lo sconcerto davanti alle parole di monsignor Scicluna quando chiede la nostra comprensione per le sofferenze della Chiesa e dei vescovi nel denunziare i religiosi colpevoli: «Questi vescovi – ha detto nell´intervista a Avvenire – sono costretti a compiere un gesto paragonabile a quello compiuto da un genitore che denuncia un proprio figlio». E´ una scelta di linguaggio veramente singolare in una storia in cui ci sono veri inferni, veri e terribili dolori: e soprattutto figli veri.

Repubblica 28.5.10
Pedofilia, lo scandalo travolge i gesuiti
Prime ammissioni: in Germania l´ordine ha tenuto nascosti centinaia di casi
Crisi di credibilità per la Chiesa tedesca: in un anno registrati 125 mila fedeli in meno
di Andrea Tarquini

BERLINO Centinaia di bambini e ragazzi sono stati violentati o brutalmente percossi per decenni nelle istituzioni scolastiche dei gesuiti in Germania, e per decenni l´ordine ha sistematicamente coperto e insabbiato le denunce. Lo hanno denunciato ieri la dottoressa Ursula Raue, la studiosa incaricata dalla Chiesa stessa di indagare sullo scandalo degli abusi sessuali nelle scuole dei gesuiti, e padre Stefan Dartmann, il provinciale della Compagnia nella Repubblica federale.
Il rapporto della signora Raue rivela che l´orrore ha avuto dimensioni ancor più vaste di quanto si pensasse. E coincide con un esodo in massa dalla Chiesa cattolica in Germania: 125 mila fedeli l´hanno lasciata, un record storico che denuncia la gravissima crisi di credibilità del cattolicesimo nel paese del Papa, e lo espone anche a serie difficoltà finanziarie, con il venir meno dei contributi fiscali dei fedeli.
«È scandaloso, è una realtà che ci copre di vergogna e disonore, chiedo perdono a tutte le vittime», ha detto padre Dartmann. Ha condannato i decenni di silenzio, «frutto di una cultura di solidarietà con i colpevoli anziché con le loro vittime, una cultura non solo scelta da singole persone ma ben radicata nell´ordine, allora e, temo, ancora oggi». Dartmann non ha voluto però precisare se si pensa a indennizzi finanziari o materiali per chi subì il martirio.
«I casi accertati sono 205, ma temo che la cifra reale sia ancora più grande», ha spiegato Ursula Raue. Molte vittime, teme l´investigatrice ufficiale, probabilmente non hanno ancora trovato il coraggio di superare la vergogna e denunciare il loro caso, mentre altre potrebbero essere già morte. E secondo i media, almeno altri 50 casi sono stati accertati in istituzioni cattoliche non dipendenti dai gesuiti.
Nella sua relazione, la dottoressa Raue ha offerto testimonianze agghiaccianti. Almeno 12 sacerdoti, sei dei quali deceduti, sono colpevoli diretti; altri 32 tra religiosi e assistenti laici sono fortemente sospettati. C´era padre Eckhart, del prestigioso collegio Canisius di Berlino, che «picchiava spesso e volentieri», o padre Michael, «che amava percuotere i bimbi sul sedere nudo in presenza di altri minori, e poi controllava chi degli altri piccoli aveva un´erezione». Un altro religioso, di cui non viene fatto il nome, è accusato di aver violentato nel confessionale una bimba di 9 anni e una di 14. «Il confine tra stupro e percosse era spesso labile, spesso i padri si eccitavano picchiando i minorenni», ha spiegato Ursula Raue. La lista delle scuole religiose coinvolte è una mappa di tutto il Paese: il Canisius a Berlino, Sankt Blasien, il collegio Aloisius a Bonn, Sankt Ansgar ad Amburgo, istituzioni a Goettingen, il collegio dell´Immacolata a Bueren, in Westfalia, dice la lista parziale diffusa ieri sera da Spiegel.

il Fatto 29.5.10
Cei, azione zero sui pedofili
di Marco Politi

Abusi. La Chiesa italiana fa la sua scelta: azione zero. Sugli stupri del clero l’assemblea dei vescovi decide che un intervento collettivo non serve. Niente “tolleranza zero” come negli Usa, niente Linee guida come quelle che autorizzano in Germania a chiamare a rapporto il singolo presule disattento, niente commissione d’inchiesta come in Austria, niente numeri verdi né referenti cui possa rivolgersi la vittima.
L’esempio inglese citato dal direttore dell’Osservatore Romano – una task force in ogni parrocchia – viene definito “non un’indicazione per l’Italia”. Troppo persino per una giornalista cattolica, che in conferenza stampa ha chiesto al cardinal Bagnasco: “Scusi Eminenza, ma allora uno deve chiamare il centralino della diocesi dicendo: sono una vittima, mi passi il vescovo?”.
Il comunicato dell’assemblea esalta il “coraggio della verità che, anche quando è dolorosa e odiosa, non può essere taciuta e coperta”: proclamazione surreale mentre i vertici ecclesiastici negano chiarimenti all’opinione pubblica su chi sono e che fine hanno fatto i cento preti delinquenti (numero fornito dalla Cei) già coinvolti in un procedimento. È un fossato tra l’invito di papa Ratzinger all’azione per dare voce a quanti per decenni non sono stati ascoltati, portando i colpevoli in tribunale, e l’inazione della Cei come organismo collettivo. Evidentemente prevale nelle gerarchie la paura di scoperchiare il vaso delle violenze. Sostiene Bagnasco che, date le autorevoli indicazioni dei testi vaticani, “non è necessario né opportuno” prendere altri provvedimenti. Tutto è lasciato al “discernimento” dei singoli vescovi. Esattamente ciò che per secoli ha prodotto insabbiamenti e ritardi, che lo stesso Bagnasco ammette “possibili”. Riproporre questo sistema è attendismo e si paga sempre.

Corriere della Sera 29.5.10
L’incubo (non solo cattolico) dell’abisso senza luce
di Armando Torno

Corriere della Sera 29.5.10
Le Goff: «Questa mia Europa laica»
«L’amo profondamente ma nego che le sue radici siano cristiane»
di Nuccio Ordine

Il Fatto 29.5.10
Luciano Canfora: “Vuole più poteri, come il Duce”
di Wanda Marra

N on è casuale e ha anche una sua pertinenza storica la citazione di Mussolini fatta da Berlusconi giovedì al vertice dell’Ocse (“non ho nessun potere, forse ce l'hanno i gerarchi, ma non io”). Parola di Luciano Canfora, filologo, storico, studioso dell’antichità. Che pur ricordando che i diari in cui è contenuta l’affermazione sono “una patacca” spiega che la tradizione orale racconta che il Duce spesso faceva dichiarazioni simili. Professore, il riferimento di Berlusconi agli oligarchi fascisti è una gaffe casuale o un’osservazione che vuole significare qualcosa di preciso? Rivela un obiettivo molto chiaro: ottenere più poteri al Premier rispetto a quelli del presidente della Repubblica. Anche Mussolini ha avuto questo problema: lo Statuto albertino dava pochi poteri al presidente del Consiglio rispetto al Re. Mussolini è riuscito a rovesciare la situazione, sbilanciando il rapporto a suo favore, con le leggi eccezionali del ‘26. L’affermazione di non avere in realtà nessun potere che scopo ha?
Rivela un altro lato del mussolinismo. Anche il Duce spesso attribuiva ai livelli intermedi la responsabilità dei problemi, pilotando così lo scontento verso altri. Insomma, io credo che il paragone a Berlusconi sia stato suggerito, e con abilità, da qualcuno.
Non è certo la prima volta che Berlusconi cita il fascismo... Nella sua visione il fascismo è stato in parte un fatto positivo, fino al 1938: lo disse nel '94, quando cercava l’alleanza con Fini. Oggi invece il suo riferimento al ventennio ha anche l’obiettivo di togliere al presidente della Camera il consenso dei suoi compagni di partito.
Ma crede sia possibile che Berlusconi sia fatto fuori dai suoi, in una sorta di versione contemporanea del Gran Consiglio del Fascismo che mise in minoranza Mussolini?
Non vedo all’orizzonte figure capaci di sostituirsi al capo. Siamo all’interno di in un regime o viceversa in un sistema che può trasformarsi in una dittatura?
Siamo in un periodo intermedio, equiparabile agli anni tra il 22 e il 26, prima delle leggi speciali. La storia prenderà un cammino che noi non possiamo prevedere. Penso che sia difficile il salto verso una forma aperta di dittatura. Ma la crisi può dare risultati imprevisti: se si aggravasse nessuno può prevedere le reazioni dell’opinione pubblica.
Perché Berlusconi ha scelto un palcoscenico internazionale per la sua citazione di Mussolini? Per avere maggiore risonanza internazionale. Le mosse più brusche e più forti, le ha fatte sempre parlando all'estero.

l’Unità 30.5.10
Gelmini regista del caos
di Fabio Luppino

L e riflessioni a mente fredda aiutano a trovare la verità. L’eccitazione diffusa di chi non si fa carico dei problemi delle famiglie rispetto alla posticipazione dell’inizio dell’an-
no scolastico serve a mascherare, in realtà, soprattutto da parte del ministro, la confusione di queste settimane. Stando ai fatti sarà quasi impossibile un inizio di anno regolare: s’intende con i professori ai loro posti, con le classi formate, con i trasferimenti effettuati, con le sforbiciate sulle ore sistemate a dovere, con il calcolo millimetrico che non dovrà consentire ad alcun precario di avere incarichi di alcuna sorta.
Nel mese di maggio i funzionari ministeriali stanno sottoponendo ad un ridicolo balletto le segreterie di tutti gli istituti. Vengono inviate le classi di concorso che potranno insegnare questa o quella materia. Ma c’è un continuo aggiornamento con circolari che smentiscono le precedenti, con mutamenti prodotti, a volte, nel giro di sole ventiquattr’ore. Per i profani della materia è bene spiegare. Attraverso queste determinazioni, con la certezza di chi potrà insegnare cosa, le scuole decideranno l’organico di diritto, quali e quanti insegnanti avere per il prossimo anno scolastico. Sembra facile, ma non è così. E, soprattutto, la macchina infernale messa in moto con la cosiddetta riforma delle superiori sta sfuggendo di mano ai suoi profeti. Dopo aver decretato la «morte sul lavoro» di 25mila insegnanti precari, il ministero non si può permettere di produrre scientemente altri soprannumerari o perdenti posto tra i prof di ruolo, destinati in poco tempo alla disoccupazione. Ma avendo ridotto le ore e alcuni insegnamenti, ogni giorno che passa si accorge che esistono classi di concorso senza materia da insegnare. Facciamo un esempio: gli ultimi docenti in stenografia e dattilografia (materie oggi archeologiche) sono stati riconvertiti ad una materia che si chiama trattamento testi, l’anticamera dell’informatica. Dal prossimo anno scolastico in molti istituti questa materia non ci sarà più. Cosa faranno gli insegnanti? I demiurghi del ministero stanno cercando di abbinare la loro classe di concorso alla materia informatica, di cui gli stessi sanno ben poco. Il trionfo delle tre I! Allo stesso modo procedono con le altre materie, in particolare quelle scientifiche. Ma bisogna stare attenti se non si consentirà l’insegnamento della matematica ad un laureato in Biologia marina...
Il problema resta, però, l’organico. Senza questo e le ore corrispondenti per professore non si può mettere in moto la macchina organizzativa relativa ai trasferimenti di quei prof che nel frattempo grazie ai tagli di Gelmini non hanno più le 18 ore su un’unica scuola. Così che al 15 settembre l’appuntamento è con il caos.

l’Unità 29.5.10
Rimettiamo in moto la politica
Il Pd, i radicali e un’agenda comune
di Valter Vecellio

H a risposto positivamente il segretario del Pd Bersani, dicendosi disponibile a un incontro ufficiale e non estemporaneo con i dirigenti della galassia Radicale per una messa a punto delle cose da fare, che si possono fare, e sul come farle. Ed è positivo che alla recente assemblea del Pd si sia deciso – almeno per quel che riguarda i propri dirigenti e amministratori – di aderire all’Anagrafe Patrimoniale degli Eletti. Ora, evidentemente, si tratta di scendere sul terreno pratico, scandire i tempi di una possibile agenda di lavoro; passare dalle intenzioni ai fatti, costruire e praticare l’alternativa riformatrice all’esistente. «Les temps des monts enragés et de l’amitié fantastique», dice René Char nel 142esimo dei «Fogli d’Ipnos». Versi non a caso dedicati ad Albert Camus: davvero, mai come oggi sono tempi di monti furenti, mai come oggi c’è necessità di “fantastiche amicizie”.
È stata, è, può essere “fantastica amicizia” – e perciò leale, fatta anche di aspre verità che ci si dice l’un l’altro – quella tra Pd e Radicali. “Amicizia fantastica” che ha già dato frutti: è grazie ai voti conquistati allo schieramento moderato dalla Rosa nel Pugno (Radicali e Socialisti) che Prodi ha sconfitto Berlusconi; e recentemente l’Istituto Cattaneo ha certificato che i Radicali sono in grado di strappare consensi da settori che ad altre forze del mondo progressista sono preclusi. Dunque, e nell’ottica di un Partito Democratico all’americana dove convivono molte “anime” in fecondo confronto, sarebbe un incomprensibile masochismo che i Radicali venissero esclusi dal progetto che faticosamente si cerca di costruire.
In queste ore parecchi (e parecchio interessati) suonano la campana a morto per il Pd. Il rischio esiste e c’è un solo modo per recidere gordianamente la questione: se si muore per mancanza di iniziativa politica, per vivere occorre fare di tutto per assicurarla, nutrirla, farla lievitare.
Quello dei Radicali è un invito, un appello a parlarsi e ascoltarsi; per analizzare la situazione di straordinaria gravità in cui la “democrazia reale”, italiana sta precipitando le nostre istituzioni”; per far vivere e rafforzare” l’alleanza con il Pd e riflettere insieme su come realizzare l’alternativa.
Per questo è urgente arricchire analisi e dibattito: premessa per poter mobilitare il popolo italiano e la comunità internazionale, e superare la drammatica condizione di fuorilegge delle nostre istituzioni, a cominciare da quella della giustizia e delle carceri italiane. E poi, per esempio, le riforme istituzionali, e il cruciale nodo di un’informazione negata, confiscata. Perché non discuterne?

l’Unità 30.5.10
«Stesso sangue, stessi diritti» Braccianti indiani in piazza
Per la prima volta un’intera comunità di immigrati fa sciopero e va in piazza. È accaduto ieri a Latina, dove i braccianti indiani hanno manifestato per reclamare gli stessi diritti degli italiani.
di Roberto Rossi

Stesso sangue, stessi diritti”. Tra piazza della Libertà e largo caduti di Nassirya, in una Latina deserta e indifferente, davanti al tetro palazzo della Prefettura e sotto un cielo coperto e afoso, per la prima volta nel nostro Paese la rappresentanza di un'intera comunità di immigrati, quasi tutti indiani e braccianti agricoli, ha scioperato e manifestato. Lo ha fatto per reclamare giustizia, dignità e, come recitava, lo striscione di apertura “stessi diritti” degli italiani. Lo ha fatto, sotto le insegne della Flai-Cgil, in modo ordinato e pacifico, per far capire a una città intera, e forse anche a una nazione che ignora o, peggio, tollera la loro condizione, di non volere mai più essere, come cantavano durante la marcia, “schiavi” o “animali” ma “delle persone normali”.
Eppure sciopero per “i nuovi cittadini”, come si definiscono, è una parola che ancora spaventa. Dei 500 presenti ieri in piazza, ci spiega Vicky, un giovane Sikh tra gli artefici della manifestazione, solo una fetta, circa il 70%, ha veramente incrociato le braccia. Il resto ha lavorato nei campi la mattina, come tutti i giorni, ad eccezione della domenica per pochi euro. “Il mio datore di lavoro mi ha fatto un contratto di otto euro l'ora – racconta Sing Amarg, in un italiano incerto ma poi ne ricevo tre”. Ed fortunato, altri arrivano a due, qualcuno fatica invece per 80 centesimi. Sono quelli più ricattabili, con il permesso di soggiorno scaduto o nelle mani di uno dei proprietari delle trentamila aziende della zona, delle quali solo un terzo denunciate regolarmente.
Per questo la parola sciopero incute timore. In verità non solo agli immigrati indiani – settemila regolari, il doppio, forse il triplo, a seconda della stagione, senza permesso di soggiorno ma anche a chi gestisce e sfrutta questo immenso traffico di uomini. Alcuni segnali sono stati eloquenti. Il primo, spiega Giovanni Gioia della Flai-Cgil locale, sono le retate effettuate dalla Polizia nei vari borghi che costellano l'agro pontino: “Otto solo negli ultimi giorni”. Una frequenza sospetta in una zona che tollera gli immigrati e che dal loro sfruttamento ricava il 19% del produzione locale. Il secondo un articolo, uscito a ridosso della manifestazione nelle pagine di Latina Oggi. Nel quale i Comitati agricoli riuniti, e cioè gli agricoltori della zona, criticavano fortemente il corteo mettendo anche in guardia dal parteciparvi. “E invece, nonostante le intimidazioni, è stata una scommessa vinta” ha detto il segretario generale della Flai-Cgil Stefania Crogi. “Da oggi – ha aggiunto Claudio De Berardino segretario Cgil Lazio nessuno potrà più dire di non sapere, di non conoscere. Da oggi tutti sanno e tutti conoscono”.
Anche la Prefettura, e cioè il governo. Alla quale sono state avanzate delle richieste ben precise. Come la creazione di un osservatorio permanente e un tavolo di discussione con i sindacati. Se questo riuscirà ad arginare o circoscrivere un fenomeno, come quello dello sfruttamento degli immigrati, meglio se irregolari, è tutto da vedere. Ieri i 500 hanno sfilato tra l'indifferenza generale. Questo perché Latina e provincia vivono di lavoro irregolare. In genere sono le mafie, come la Camorra o la 'ndragheta, qui fortissime, che alimentano il sommerso, ultimamente, invece, è stata anche la crisi. Che, nella zona, sta mietendo molte più vittime che altrove. Non è un case se a Latina e dintorni è presente un tasso di disoccupazione del 27%, cioè quasi tre volte superiore a quello nazionale. Molte fabbriche stanno chiudendo. L'ultima è la multinazionale francese Nexans (che produce cavi ad alta e media tensione). Dal primo giugno manderà a casa 300 operai. Che ieri hanno sfilato proprio accanto ai braccianti agricoli indiani. Come ricordava lo striscione: “Stesso sangue, stessi diritti”.

l’Unità 29.5.10
Vendola-Chiamparino idee per la sinistra che verrà «Ma non chiamatelo ticket...»
Sarebbe il terzo ticket per Nichi Vendola: con De Magistris, poi Veltroni, ora Chiamparino. Il governatore si schermisce: «In Puglia i ticket li ho tolti». Ma sulla sinistra che verrà molti punti in comune con il sindaco di Torino.
di Jolanda Bufalini

Sarebbe il terzo ticket, dopo quello con Veltroni e quello con De Magistris ma Nichi Vendola si schermisce: «Da governatore in Puglia i ticket li ho tolti». Confronto a due, organizzato e moderato dal direttore di Reset, fra Sergio Chiamparino e Nichi Vendola, il tema lo dà il titolo del nuovo numero della rivista: «Italia nelle mani di Bossi, a sinistra ancora nebbia». Due che più diversi non si potrebbe, ma niente affatto dissonanti e, anche, abbastanza divertiti e inclini all’amarcord fra Marx e Lenin. La crisi finanziaria è, per Vendola «crisi di un modello sociale di cui Tremonti è stato un protagonista» Un esempio: i derivati e la regione Puglia, accordi con la Merrill Lynch siglati sotto lo sguardo protettivo del ministro dell’economia. Il sindaco di Torino si spinge a dire «facciamo come in tutta Europa, chiamiamoci sinistra, una parola con una latitudine ampia. Centrosinistra contiene in sè già un' idea di subalternità e di chiusura, riassume l'idea per cui la sinistra non può governare i processi complessi della società contemporanea». E il presidente pugliese apre a sua volta nelle battute finali: «La mia storia e quella di Sergio devono essere portate in un luogo dove noi non proponiamo la replica dei nostri copioni, ma troviamo le parole giuste per parlare al nostro tempo. Non abbiamo nostalgia delle parolacce», punzecchia verso il segretario del Pd.
Giancarlo Bosetti sonda sulla leadership a sinistra, «nuovo contenitore o coalizione», Chiamparino non vuol fare il pierino ma: «Spetta al Pd avviare una discussione vera anche perché le questioni in ballo sono scottanti e non sono indolori». Chiede impegno su un programma essenziale evitando i «manuali», come fu quello che portò undici forze diverse a siglare l’accordo a sostegno di Prodi. Anche se il programma di Lenin, tutto il potere ai soviet, «magari era troppo sintetico».
Il refrein post-regionali della Lega nord «insediata nel territorio» non piace a Nichi Vendola: «Non vuol dire niente, sono molti anni che la Lega è insediata a covare uova di serpente come il razzismo. Ma è la globalizzazione e la sua crisi che hanno consentito alle uova di serpente di schiudersi». Opporre, dice, il governatore rosso «al territorio come regressione tribale o piccola patria il lavoro come diritto, alla comunità rancorosa una finestra aperta e cosmopolita sul mondo».
Analitico e concreto, Chiamparino fa qualche esempio per rispondere: «A Torino dove stiamo costruendo una nuova Moschea, noi siamo andati avanti e la Lega ha perso voti. Significa che è possibile operare per una comunità integrata e non del rancore». Secondo: «Gippo Farassino prese, agli esordi della Lega, il 23 per cento. Il suo nuovo successo è del 9%» Tre: «Il panettiere di Murazzano è orientato a sinistra ma, quando il sindaco di Barolo è andato a chiedere il voto per le regionali, lui gli ha risposto che lo avrebbe dato a Giordano, che lo aiuta sempre nelle pratiche per le pecore». Conclusione: la Lega sta mutuando dalla vecchia Dc l’intermediazione dei rapporti con le capitali, Torino, Roma.

l’Unità 29.5.10
Le navi di pace sfidano Israele
Lieberman: li fermeremo
I pacifisti non demordono: la «Flotta della solidarietà» proverà oggi a forzare il blocco navale israeliano per raggiungere Gaza. La tensione è altissima. La marina dello Stato ebraico è pronta all’abbordaggio.
di Umberto De Giovannangeli

I falchi di Gerusalemme «abbordano» la Flotta della solidarietà. Il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, bolla come un atto di «propaganda violenta contro Israele» la spedizione della flottiglia multinazionale delle organizzazioni non governative di «Free Gaza» salpate in questi giorni con l'intenzione dichiarata di spezzare il blocco contro la Striscia.
AVIGDOR ATTACCA
«Nella Striscia di Gaza non c'è crisi umanitaria», sostiene Lieberman, in polemica con diverse istituzioni internazionali, nel corso di una riunione ad hoc durante la quale ha ribadito che il suo governo non permetterà ai battelli di raggiungere la meta. «Israele aggiunge si sta comportando nel modo più umanitario possibile e lascia passare migliaia di tonnellate di cibo e materiale verso Gaza, malgrado i crimini di guerra e i lanci di razzi di Hamas». L'iniziativa delle Ong rincara la dose è dunque solo «un tentativo di propaganda violenta contro Israele» cui Israele risponderà «non consentendo alcuna violazione della sua sovranità: in mare, nei cieli o a terra». Secondo voci riportate dai media delle regione, le forze di sicurezza israeliane hanno già provveduto a mettere in
campo sistemi di disturbo delle comunicazioni attorno alla Striscia sottoposta dallo Stato ebraico a una forte limitazione di accesso di merci e persone fin dall'ascesa al potere degli islamico-radicali di Hamas, nel 2007 e hanno predisposto tende e servizi attorno al porto di Ashdod (sud di Israele): dove hanno annunciato di voler dirottare la flottiglia, per poi provvedere al rimpatrio forzato degli attivisti e al trasbordo via terra dei loro aiuti sotto il proprio controllo. I moniti israeliani non hanno in ogni caso scoraggiato i responsabili della traversata, promossa da Ong registrate in Turchia, Svezia, Grecia, Cipro, Irlanda e Algeria, con la partecipazione anche di alcuni pacifisti italiani.
DETERMINATI A PROSEGUIRE
La tensione è altissima. La flottiglia internazionale ha rimandato a oggi la partenza, secondo quanto hanno reso noto gli organizzatori. «Abbiamo cambiato due volte i programmi perché gli Israeliani minacciavano di catturare l'imbarcazione turca e quindi abbiamo deciso di rinviare il raduno di tutte le imbarcazioni», spiega Audrey Bomse, una delle organizzatrici del movimento «Free Gaza», che guida l'iniziativa. Un altro problema, aggiunge Bomse, è stato un guasto tecnico che ha colpito uno dei natanti. Sette imbarcazioni cariche di aiuti umanitari si sono radunate nelle acque internazionali al largo di Cipro per fare rotta su Gaza. La «Flottiglia» trasporta tonnellate di medicinali, materiali da costruzione, generatori di corrente, carrozzine elettriche e materiale scolastico per la popolazione della Striscia (1,5milioni di persone, in maggioranza donne, bambini e adolescenti).
PALAZZO CHIGI ALLERTATO
La «Freedom Flotilla Italia» ha inviato-27maggioore19:42-unfaxal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta. «Di sicuro saprà si legge nel messaggio che agenzie di stampa hanno riportato come il Governo di Israele ha ripetutamente minacciato di impedire al convoglio, denominato Freedom Flotilla, di giungere a Gaza ricorrendo anche alla forza ed all’arrembaggio. Non saprà forse, signor sottosegretario, che la Freedom Flotilla navigherà unicamente in acque internazionali e nella acque territoriali di Gaza, sicché qualsiasi azione della marina israeliana si configurerebbe come atto di pirateria, ciò che la comunità internazionale non può permettere...Ci rivolgiamo perciò a lei auspicando vivamente che il Governo Italiano svolga con immediatezza perché le navi giungeranno tra breve in vista della acque territoriali di Gaza – i passi necessari per invitare il Governo Israeliano al rispetto delle norme del diritto internazionale che non riconoscono ad Israele alcun diritto su Gaza da dove ha ritirato con scelta unilaterale il proprio esercito. Lo stesso assedio di Gaza che dura da un anno e mezzo è arbitrario ed illegittimo Restiamo in fiduciosa e vigile attesa, confidando in una sua risposta rassicurante...». La risposta, finora, è solo una: il silenzio. Inquietante. Complice.

Corriere della Sera 29.5.10
«Nucleare, secco no di Israele
al Trattato di non proliferazione
E non accetteremo di essere sottoposti a ispezioni»
Israele: «Non partecipiamo al Trattato
di non proliferazione nucleare»
Per Tel Aviv la risoluzione del Tnp «ignora la realtà del Medio Oriente e le vere minacce»
qui
http://www.corriere.it/esteri/10_maggio_29/israele-trattato-nucleare_785c5330-6b5b-11df-9ae5-00144f02aabe.shtml

Repubblica “29.5.10
Israele denunci le atomiche", l´ira degli Usa

NEW YORK - I paesi arabi vincono il braccio di ferro alla Conferenza per la Non proliferazione nucleare di New York. Ieri, in chiusura di lavori, per la prima volta dopo 10 anni di impasse, la conferenza ha adottato un documento di revisione del Trattato entrato in vigore nel 1970: nel testo si auspica un Medio Oriente libero dalle armi nucleari e si fissa per il 2012 una conferenza internazionale che faccia il punto sul nucleare nella regione.
Il documento ha suscitato una dura reazione da parte dei rappresentanti americani, perché mette sul banco degli imputati Israele. Il testo auspica infatti che lo Stato ebraico aderisca al Trattato mettendo le sue testate nucleari sotto il controllo dell´Aiea, l´Agenzia internazionale per l´energia atomica. Israele non ha mai ammesso ufficialmente di possedere armi nucleari, ma sono pochi gli esperti che dubitano dell´esistenza di testate all´interno del suo territorio. Nè la Siria nè l´Iran, che avevano espresso riserve sulla dichiarazione finale, hanno bloccato il documento, che è stato fortemente voluto da Egitto ed altri Paesi arabi.

giovedì 27 maggio 2010

Adnkronos 27.5.10
LIBRI: AD ANCONA SARA' PRESENTATO DOMANI 'LOMBARDI E IL FENICOTTERO' DI PATRIGNANI
Ancona, 27 mag. - (Adnkronos) - Sara' presentato domani, alle 18, nella Libreria Feltrinelli di Ancona 'Lombardi e il Fenicottero', scritto dal giornalista Carlo Patrignani per i tipi de' L'Asino d'oro edizioni' e dedicato a Riccardo Lombardi, colui che e' stato definito il 'poeta del socialismo italiano', grande leader della 'sinistra socialista'. All'incontro partecipera', oltre all'autore, Antonio Giannotti, vice presidente del Circolo Lombardi. E' un testo, quello di Patrignani, ''scritto in onore di Riccardo Lombardi di cui sono stato in passato, come tantissimi altri -spiega l'autore-, un gran estimatore per l'intelligenza, la genialita', l'onesta' e la pulizia morale che ne hanno fatto uno dei migliori protagonisti della storia della Repubblica, di cui a breve ricorre il 64esimo anniversario. Il libro, per la prima volta, attraverso una lunga ricerca, parla della sua donna Ena Viatto su cui e' sceso un velo di silenzio lunghissimo da dopo la Liberazione alla sua morte, avvenuta l'11 novembre 1986. Nonostante fosse stata un fenicottero al pari di Rita Montagnana, Teresa Noce, le donne di Palmiro Togliatti e Luigi Longo, con il compito di distribuire materiale clandestino al di la' e al di qua delle Alpi''. Nel libro, ci sono inediti di Lombardi a partire dall'articolo scritto nel 1946 su quale Repubblica e Costituzione fare fino alla P2 e alla famosa affermazione ''un Psi cosi' non ha motivo di esistere''. (Ama/Pn/Adnkronos)

l’Unità 27.5.10
L’Inconscio è ancora come lo «vide» Freud? La Spi a congresso
A Taormina, da oggi al 30 le discussioni degli psicoanalisti

Il XV Congresso della Società psicoanalitica Italiana (Spi) si apre oggi a Taormina sul caposaldo della psicoanalisi: l’Inconscio. «Scoperto» da Freud è il fulcro e il motore della teoria che il padre della psicoanalisi elaborò. Il nostro inconscio è rimasto lo stesso che «vide» Freud o i cambiamenti sociali, culturali, ambientali lo hanno modificato? I lavori e la discussione che animeranno il congresso fino al 30 maggio saranno il punto di arrivo di un lungo lavoro di rivisitazione del concetto di inconscio che la società psicoanalitica, presieduta da Stefano Bolognini, ha compiuto in questi ultimi anni. Nel congrersso verrà posto l’accento non tanto sull’inconscio come «calderone ribollente», realtà ontologica, o regione della mente, ma sull’esplorazione dell’inconscio e del suo operare, tramite gli strumenti che la psicoanalisi si è data e con i quali si cimenta con la sofferenza umana: un metodo specifico di osservazione, una tecnica, una teoria. Siamo in pieno ambito della clinica e della ricerca a partire dalla clinica, dentro il lento e paziente lavoro nell’intimità dello spazio analitico come osservatorio privilegiato anche sulle trasformazioni sociali. Nel percorso del convegno si parlerà di persone con un funzionamento inconscio che risente della difficoltà dell’uomo di oggi a soffermarsi sulla propria realtà psichica. L’uomo di oggi rimuove meno, non tanto perché la rimozione non esista più, ma perché, stretto nell’illusione di una felicità rapidamente conquistabile, fatica ad avere accesso alla propria realtà psichica in cui fa capolino, non invocata, l’idea del proprio limite e quindi della propria morte. A sviluppare e confermare questa linea di ricerca e di discussione, i molti lavori dedicati all’espressione corporea del disagio psichico; si richiede all’analista di oggi un atteggiamento capace di accogliere, sviluppare e trasformare gli stati emotivi. Ampiamente rappresentata nel congresso la psicoanalisi dei bambini e degli adolescenti, a testimonianza di un interesse crescente del mondo psicoanalitico rispetto al costituirsi del soggetto e delle identità.

Repubblica 27.5.10
Se le vacanze valgono più della scuola
risponde Corrado Augias

Gentile dottor Augias, ho letto su Repubblica le opinioni della professoressa Mastrocola favorevole alla riapertura dell'anno scolastico in ottobre perché «tanto, per come è la scuola adesso, meglio starci il meno possibile». Ritengo, invece, che la scuola, quand'anche dia "solo un'infarinatura" e non faccia "cultura" (ma è tutto da discutere!) sia ancora un presidio rispetto al ciondolare presso i muretti, alla nullafacenza ai tavolini di un bar. Le estati passate a "guardarsi dentro" sono stupende! Ma, forse, va coltivata prima l'attitudine a questo "guardarsi". Tra una infarinatura e l'altra può ancora essere il piccolo risultato di mesi e anni trascorsi in classe, con qualche insegnante ancora motivato che può aver trasmesso uno straccio di attitudine a riflettere e a pensare. Il vero problema della scuola sarebbe, semmai, di migliorarne la qualità (strutture, docenti, vita quotidiana). La scuola andrebbe ripensata senza questo assillo ogni anno di piccole riforme che confondono e basta. Men che meno la "riforma" Gelmini, una applicazione della legge finanziaria che ha impoverito in modo scandaloso la scuola pubblica.
Giulia Alberico g.alberico@fastwebnet.it
Il calendario scolastico è uno dei classici argomenti che andrebbero discussi con calma, ragionando insieme, tenendo conto delle speciali condizioni del nostro Paese che da Nord a Sud copre una distanza ortodromica di oltre milleduecento chilometri. Per cominciare, bisognerebbe mettere subito da parte le povere parole del ministro Gelmini che tira in ballo i benefici per le vacanze e il turismo. Mi ha scritto la prof. Laura Kocci (lkocci@tiscali.it): «L'uscita della Gelmini ha un merito: fa capire quale sia l'idea di scuola dell'attuale governo: le vacanze valgono più della scuola». Roberto Corbella, presidente dei tour operator di Confindustria ha suggerito (su Repubblica del 25 maggio) che si potrebbe forse migliorare la distribuzione delle vacanze nel corso dell'intero anno scolastico. La lettrice Elisabetta Bolondi (bolondi@tiscali.it) che ha insegnato a lungo "nella semiperiferia romana" e dunque sa di che parla, scrive: «La mia esperienza mi porta a dire che ci vuole più scuola, più presenza di adulti responsabili che siano un punto di riferimento per ragazzi sbandati, spaesati, disorientati dall'assenza delle famiglie». Forse qui è il punto: la scuola non solo per le lezioni "frontali" ma come centro di aggregazione, di allenamento alla socialità, di scoperta della propria città o regione. Tutto ciò che in famiglia si ha sempre meno spesso. Poiché al momento i soldi non ci sono, bisognerebbe supplire con la passione. E con un po' di competenza.

Repubblica 27.5.10
Quel che rende unico ogni individuo
Perché l´individuo è alle fondamenta della democrazia
di Gustavo Zagrebelski

Sappiamo adattarci e adeguarci alle condizioni di vita più diverse
La verità della nostra umanità non sta in una filosofia ma sta dentro ciascuno di noi
Anticipiamo una parte della lezione che il giurista terrà domani a Pistoia sul rapporto tra democrazia e identità personale

«Sull´uomo», sull´essere umano. Non so immaginare come altri, intervenendo in questi "dialoghi sull´uomo", interpreteranno l´espressione e intenderanno il loro compito. Da parte mia, non andrò di certo alla ricerca di qualcosa di essenziale, di ideale, di radicale circa l´essere-uomo. Nelle cose politiche e morali, è bene diffidare delle astrazioni e delle dottrine circa l´umanità autentica, vera, non corrotta, corrispondente all´ideale, un ideale che debba essere realizzato con ogni mezzo e a ogni costo. È prudente pensare che non esista "l´uomo" o che, se esiste, non l´abbiamo mai incontrato. Ci sono "gli uomini" e non uno è per natura uguale all´altro. Per nostra fortuna è così. Altrimenti saremmo pronti ad accettare l´uomo-massa, l´uomo-gregge, l´uomo in serie. La verità della nostra umanità non sta in una filosofia, in un´antropologia; sta dentro ciascuno di noi, in interiore homine, e tutti possiamo cercare di conoscerla seguendone le tracce profonde, senza mentire a noi stessi. Conosci te stesso! E non pensare che quello che hai trovato valga necessariamente nemmeno per chi ti sta più vicino.
La storia ci mostra però che questa realtà, tanto molteplice da non poter trovare un esemplare di per sé uguale a un altro, è tuttavia massimamente plastica, cioè capace di adattarsi, adeguarsi, combaciare alle condizioni nelle quali si trova a vivere. Nessun altro essere vivente ne è altrettanto capace. Per questo, gli esseri umani sopravvivono nelle condizioni ambientali, climatiche, sociali, politiche più diverse. Non solo gli individui, ma anche le loro società sono varie e sono capaci di cambiare, come nessun´altra società di esseri viventi. I viventi non umani ci appaiono programmati per vivere nella e solo nella struttura sociale che è loro propria.
Dalle società tribali arcaiche, studiate dagli etologi, alle odierne società della comunicazione, di cui si occupano gli informatici, quante varianti, quanti tipi umani diversi: cacciatori, agricoltori, nobili e plebei, liberi e servi, cittadini e contadini, corteggiani, cavalieri e borghesi, umanisti e tecnici, imprenditori ed esecutori, proprietari e proletari, uomini di religione e uomini di scienza, eccetera. Differenze, queste, che riguardano il lato esteriore degli esseri umani, quello che riguarda i rapporti sociali tra di loro. Ma che diremmo del lato interiore, quello che riguarda cose come le loro qualità morali, la loro sensibilità artistica, l´autocoscienza, la felicità e l´infelicità? Qui davvero ogni pretesa di generalizzare sarebbe ancora più arbitraria.
Forse però, potremmo già subito smentirci da noi stessi e dire che, allora, una natura dell´essere umano c´è, ed è la sua plasticità e irriducibilità ad unitatem. Ma è una smentita apparente, perché non ci permette di andare oltre, mentre è propriamente questo "oltre", o questo "altro" ciò che ci importerebbe di definire.
Orbene, è precisamente l´indefinibiltà di un´idea essenziale a priori che consente di dire qualcosa in modo indiretto, a partire dalle condizioni esterne che operano sugli esseri umani, conformandoli a determinati standard sociali e a determinate aspettative sociali. Ferma restando, peraltro, la sempre presente, residua e ribelle, loro irriducibilità integrale a tali standard.
Guardando alle condizioni odierne delle nostre società, troviamo impressionanti conferme di due profezie che risalgono, l´una, a Tocqueville e, l´altra, a Dostoevskij.
Tocqueville, osservando le condizioni della società americana orientata alla democrazia ugualitaria, previde «una folla innumerevole di uomini simili e uguali, che girano senza posa su se stessi per procurarsi piccoli, volgari piaceri, con cui soddisfare il proprio animo. Ciascuno di loro, tenendosi appartato, è come estraneo al destino degli altri: i suoi figli e i suoi amici più stretti formano per lui tutta la specie umana; quanto al rimanente dei suoi concittadini, è vicino a loro, ma non li vede; li tocca, ma non li sente; vive solo in se stesso e per se stesso, e se ancora gli rimane una famiglia, si può dire almeno che non abbia patria. Al di sopra di costoro s´innalza un potere immenso e tutelare, che s´incarica da solo di assicurare il godimento dei loro beni e di vegliare sulla loro sorte. È assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite. Assomiglierebbe al potere paterno, se, come questo, avesse per fine di preparare gli uomini all´età virile; ma al contrario, cerca soltanto di fissarli irrevocabilmente nell´infanzia» (La democrazia in America, 1840, libro II, parte IV, capitolo VI).
Dall´altra parte del mondo, qualche decennio dopo (1879-1880), Dostoevskij avrebbe scritto, presumibilmente senza conoscere il suo predecessore, quella che è stata definita la storia dei due secoli successivi, La leggenda del Grande inquisitore, capitolo centrale, somma del suo pensiero politico e vetta della sua arte, ne I fratelli Karamazov. Anche qui, l´umanità è vista divisa in due. I "tutori" di Tocqueville diventano gli "inquisitori" in Dostoevskij. La visione generale è la stessa: la massa addomesticata e i pochi che, al di sopra, l´addomesticano. Non tiranni feroci, ma benefattori che prendono sulle loro spalle il fardello di una libertà di cui, per lo più, gli esseri umani non sanno che farsi, anzi anelano di sbarazzarsi. La società dei grandi numeri, industrializzata, standardizzata, meccanizzata produrrebbe così una doppia, opposta umanità. La divisione ha a che fare con la distribuzione ineguale di tre risorse vitali, i beni materiali, le conoscenze, il potere: detto altrimenti, l´avere, il sapere, il potere, i tre pilastri d´ogni struttura sociale.
La democrazia in America è un testo che potremmo definire di sociologia politica; La Leggenda, di antropologia morale. Per questo, in un discorso sull´essere umano come è quello cui i "Dialoghi sull´uomo" ci invitano, è a Dostoevskij, innanzitutto, che ci rivolgiamo. Non con l´illusione di trovarvi tutto, ma almeno con la certezza di scorgervi qualcosa di ciò che cerchiamo, anzi forse non poco.

mercoledì 26 maggio 2010

Agi 24.5.10
Ru 486: Flamigni e Melega, passo avanti in nome della laicità
"Riteniamo l'introduzione della RU486 un passo avanti in nome della laicita' dello Stato, nel pieno rispetto della legge 194 che auspica l'uso di tecniche piu' moderne e piu' rispettose dell'integrita' fisica e psichica della donna". Lo affermano gli autori del libro 'RU486. Non tutte le streghe sono state bruciate' per le edizioni 'L'asino d'oro', Carlo Falamigni e Corrado Melega, che sara' presentato venerdi' prossimo alla Feltrinelli di Roma insieme all'altro libro sempre del duo Flamigni-Melega 'La pilloala del giorno dopo' e sempre per le edizioni 'L'asino d'oro' di Matteo Fago e Lorenzo Fagioli. "Due testi agili e divulgativi, dedicati alle donne ma anche destinati agli operatori sanitari - si legge in una una nota - scritti da due ginecologi di fama che spiegano per la prima volta tutto quello che c'e' da sapere sulla "pillola abortiva" e sul farmaco contraccettivo di emergenza". Dopo il successo di pubblico avuto al Salone del Libro di Torino, i due piccoli libri, vengono presentati a Roma per mettere a fuoco "le distorsioni ideologiche che in Italia hanno accompagnato l'impiego della RU486 e della pillola del giorno dopo con il giornalista Pietro Greco, la ginecologa Anna Pompili e la psichiatra Elvira Di Gianfrancesco. Per quanto riguarda la "RU486", il volume, corredato da dati aggiornati e confronti statistici, evidenzia i rapporti con la legge 194, l'iter che ne ha introdotto l'uso negli ospedali italiani e indica in appendice la documentazione per accedere a questa tecnica farmacologica di interruzione di gravidanza, entro le prime 7 settimane, "utilizzata fino ad oggi da milioni di donne", in molti paesi d'Europa e del mondo, tra i quali Usa e Cina. 'La pillola del giorno dopo' rientra invece nella contraccezione di emergenza e viene utilizzata entro le 72 ore successive a un rapporto sessuale non protetto. Si tratta di un progestinico che agisce inibendo o alterando la qualita' dell'ovulazione, senza interferire sull'impianto dell'ovulo fecondato sulla mucosa uterina, che avviene 5 giorni dopo la fecondazione. Acquistabile in molti paesi d'Europa liberamente al banco, in Italia necessita di prescrizione medica. (AGI) Pat

Repubblica 26.5.10
Il mondo dei cabalisti
Fra tradizione e moda new age
Intervista a Moshe Idel di Gad Lerner

Intervista a Moshe Idel, studioso della cultura ebraica che ha rinnovato un modo secolare di affrontare i legami tra religiosità e introspezione psichica La sua nuova interpretazione ha scatenato in Israele una violenta controversia Diceva Scholem: "Beato chi ti aiuta a correggere gli errori e non te li scaglia contro" "Ciclicamente si rinnova la convinzione che stia arrivando il messia. E non viene"

Nell´ebraico moderno Qabbalah è parola che si usa normalmente per indicare una ricevuta fiscale, participio dal verbo leqabbel, cioè "ricevere"; e pazienza se nel mondo contemporaneo impazza la mistica giudaica dei cabalisti, deformata in foggia new age. Scopriamo a un tratto legami stupefacenti fra l´introspezione dell´anima sperimentata nella prassi religiosa d´altri tempi e lo studio dell´inconscio con le tecniche della psicoanalisi. Questo strano tragitto, perfino la Qabbalah modaiola di Madonna & co, non viene certo deprecato ma suscita semmai l´ironia di Moshé Idel, dopo una vita dedicata alla sempre nuova reinterpretazione dei testi medievali e moderni, dalla Spagna alla Mitteleuropa passando per le sinagoghe di Safed, la città della Galilea ove s´incontrarono questi scrutatori dell´Inconoscibile. Succeduto a Gershom Scholem nell´insegnamento di mistica ebraica all´università di Gerusalemme, ventidue anni fa Moshé Idel ebbe il coraggio di ribaltarne la visione con il libro Qabbalah, nuove prospettive che oggi Adelphi ripubblica aggiornato e corredato da un´ampia introduzione. Quando lo incontro a Verona insieme a Elisabetta Zevi, responsabile dell´ebraistica di Adelphi, durante una pausa del seminario "Filosofia versus Kabbalah" organizzato dalla Fondazione Campostrini, questo professore israeliano di origine romena può sorridere compiaciuto sugli esiti della controversia: «Nessuno studioso è un papa, mi sforzo di correggere i miei errori. Ma le ricerche storiche fiorite in questo ventennio non hanno certo legittimato il violento dibattito sollevato in Israele contro di me, per lealtà al maestro, dai seguaci di Scholem».
Dunque è sbagliato tradurre letteralmente il concetto di Qabbalah, cioè "ricevuta", come una Tradizione intoccabile?
«La Qabbalah è senza dubbio una Tradizione, come tale ci viene tramandata e dunque va studiata col dovuto rigore. Ciò che non ci esime dal reinterpretarla depurandola dagli errori di chi ci ha preceduti».
Per questo rifiuta l´accusa di aver tradito Gershom Scholem?
«Quando mi ricevette la prima volta io ero un giovane laureando e lui già un professore emerito. Gli sottoposi quelle che a me parevano delle contraddizioni fra suoi testi di epoche diverse. Fu brusco, se li fece lasciare sul tavolo, sottolineati. Alcuni giorni dopo ricevetti a casa una sua lettera di meticolosa risposta. Si concludeva con una frase che non dimentico: "Benedetto colui che ti aiuta a correggere i tuoi errori invece di scagliarteli contro". Seguo ancora quell´insegnamento del maestro Scholem che mi accolse al suo fianco».
Ma lei, Moshé Idel, è solo uno studioso o anche un mistico?
«Spero di non deluderla ma sono solo uno studioso, la parola chiave che mi sospinge è la curiosità. Come ci rivela la sua autobiografia, Scholem da giovane utilizzò delle tecniche mistiche nel suo approccio alla Kabbalah. Non a caso la elevò a sistema di pensiero ebraico, come tale contrapposto ai sistemi filosofici organici di Kant e di Hegel. Io invece vedo nella Kabbalah più semplicemente un modo di vivere. Considero il ritmo della vita più significativo delle idee, senza bisogno di contrapposizioni filosofiche».
Lei non è un mistico, non è un filosofo. Come può allora addentrarsi nella sfera dell´irrazionale?
«Razionale, irrazionale: per me sono solo etichette. Non cerco la verità nei sistemi filosofici, per me Aristotele è sbagliato come Platone. Tutto ciò che pensiamo è immaginario. Il razionalista Maimonide ha un posto d´onore nella storia dell´ebraismo ma è un immaginario come i cabalisti».
Insisto, questa dichiarata estraneità all´introspezione non costituisce un limite ai suoi studi?
«Ammetto che mi è stata preziosa la relazione instaurata con un mistico studioso della Kabbalah come rav Mordechai Attia. Grazie a lui posso dire di avere conosciuto la vicenda esistenziale di un cabalista vero. Ma certo non l´ho seguito quando pretendeva di retrodatare in tempi biblici il testo fondamentale della Kabbalah, lo "Zohar". Resta incontrovertibile la sua collocazione medievale sancita da Gershom Scholem».
Eppure ammetterà che il boom degli studi contemporanei sulla Kabbalah si deve alla portentosa capacità con cui la mistica ebraica anticipa l´indagine psicanalitica dell´animo umano.
«David Bakan pubblicò nel 1957 una ricerca per dimostrare l´influsso della Kabbalah sul pensiero di Freud. La considero un´esagerazione. Ma indubbiamente la Vienna di Freud era una piazza in cui i rabbini contavano, e Freud sapeva di cultura ebraica più di quanto s´immagini. È probabile che abbia subito l´influsso del chassidismo, dubito invece che conoscesse a fondo la Kabbalah».
Ma il movimento chassidico fondato in Polonia da Baal Shem Tov nel diciottesimo secolo non è forse la terza manifestazione della Kabbalah? E poi, guarda caso, quel mistico viene ricordato come un guaritore miracoloso…
«Certamente. Anche se ce lo hanno tramandato studiosi come Martin Buber, inesperti di Kabbalah, è lì che la mistica ebraica si è rivivificata giungendo fino a noi come esperienza creativa».
L´imprevedibile diffusione mondiale degli studi sulla Kabbalah è figlia di uno spirito dei tempi apocalittico?
«Può darsi. Ciclicamente si rinnova la convinzione che il Messia possa venire ogni momento. Ma non viene. Resto scettico di fronte a manifestazioni di messianesimo politico derivate da eventi storici all´apparenza portentosi, come ad esempio la vittoriosa Guerra israeliana dei Sei Giorni. Tali circostanze segnalano che, a differenza di quanto sosteneva Gershom Scholem, la Kabbalah può essere alimentata dall´euforia piuttosto che dal trauma dell´esilio. Ma resta una parzialità della vicenda ebraica».
La Kabbalah come continuità anziché come rivoluzione?
«Esatto. Sarebbe limitativo studiarla come risposta a una crisi storica quando invece si rinnova fra noi come tradizione».

Repubblica 26.5.10
Milano arrestato il prete paladino dey gay
di Emilio Randacio

Il paladino dei diritti dei gay cattolici finisce in carcere con l’accusa di violenza sessuale su un ragazzo di 13 anni. Don Domenico Pezzini, lodigiano, 73 anni, da lunedì sera si trova rinchiuso nel carcere di San Vittore. Secondo l’inchiesta della squadra mobile e coordinata dal pm di Milano Cristina Roveda, Pezzini avrebbe abusato almeno di un minorenne.
L’indagine, però, è accompagnata da uno strettissimo riserbo. Il procuratore aggiunto milanese Pietro Forno, si è limitato a dire «di non essere autorizzato a rilasciare dichiarazioni». Era stato proprio Forno, in un’intervista, a denunciare poco più di un mese fa, la scarsa collaborazione che ì vertici della Chiesa accompagnava le inchieste che coinvolgevano religiosi. Un J’accuse che aveva suscitato polemiche ed era costato un procedimento disciplinare per il numero due della procura milanese. Il collegio difensivo del sacerdote, inoltre, fino a sera non era ancora riuscito ad avere una copia dell’ordine d’arresto.
Quel che è certo è che il profilo di don Pezzini è sem prestato molto discusso. In passato aveva già subito un allontanamento dal seminario di Lodi per le sue posizioni ritenute «progressiste» . Fíno al 1986 è stato docente in Cattolica di Lingua e letteratura inglese. Poi, un incidente diplomatico con l’allora cardinale Joseph Ratzinger, ne aveva precluso la carriera. Pezzini, infatti, aveva preso le distanze dalla lettera dell’attuale pontefice sulla «cura pastorale degli omosessuali».
Di lì a pochi mesi, il sacerdote era stato rimosso dalla cattedra e dirottato nell’ateneo veronese. Da 24anni, inoltre, ha fondato a Milano il gruppo «La Fonte», impegnato a costruire « un cammino di spiritualità alla ricerca di un’integrazione profonda tra condizione omosessuale e fede cristiana». Come sia nata l’inchiesta, non è ancora chiaro. L’episodio contestato risale però a3 anni fa e, fino a ieri, la Curìa milanese era completamente all’oscuro dell’indagine. Don Pezzini, invece, circa tre mesi fa, aveva ricevuto una «proroga indagini» in cui gli veniva comunicato dell’inchiesta a suo carico.

Repubblica Roma 25.5.10
Villa Massimo, il parco torni ai cittadini"
L’appello di Italia Nostra: "Stop al pub rumoroso e ai videogiochi che rubano il verde"
di Sara Grattoggi

Italia Nostra si unisce alla battaglia dei residenti del Municipio III per la tutela della ex-pineta di via di Villa Massimo, oggi parco Marguerite Duras. E chiede all´assessore all´Ambiente del Comune, Fabio De Lillo, «di fermare tutte le concessioni o convenzioni in itinere che prevedono di affidare la gestione delle aree verdi ai privati». Oltre alla lotta per il ripristino dei pini tagliati nel parco Marguerite Duras e per lo stop ai nuovi prefabbricati (una ludoteca e un baby-parking) che il concessionario dell´area, Luigi Miglietta, vorrebbe sostituire alle attuali giostre, «è già in atto da tempo una battaglia per Villa Ada ed ultimamente peril Parco di Tor di Quinto minacciato da un progetto che vede l´arrivo di cubature e di servizi privati non previsti dalla sistemazione originaria del parco» informa Italia Nostra in una nota. «I "punti verdi qualità" e i "punti verdi infanzia" sono diventati un´occasione per ottenere aumenti o nuove cubature private a pagamento in aree pubbliche», denuncia l´associazione. Che chiede «di fermare subito il progetto» di via di Villa Massimo e di fare chiarezza su quali fossero le condizioni della concessione, che è stata data a titolo gratuito in cambio di alcune migliorie e di un´efficiente manutenzione del parco.
Un obbligo che, hanno sottolineato ieri i cittadini durante una concitata riunione al Municipio III, è stato disatteso da Miglietta, gestore del parco e del bistrot "Casina dei Pini" che si trova al suo interno. Al mini-sindaco Dario Marcucci i residenti hanno chiesto il ripristino degli alberi ad alto fusto e la chiusura del giardino al tramonto (prevista, ma spesso non rispettata dai clienti del locale, che come pub-ristorante può rimanere aperto fino alle 2 di notte). In attesa della decisione, Miglietta ieri pomeriggio ha cercato di placare gli animi dichiarandosi disponibile ad accogliere le richieste del Municipio e, in caso di "veto" da parte dei residenti, a rinunciare al progetto.