Libri, mercoledi' Pannella presenta volume su Riccardo Lombardi
Roma, 14 GIU (Il Velino) - Politica e cultura, un binomio fuori moda oggi da riscoprire. Il nesso indissolubile e radicale tra idee e prassi nel pensiero di Riccardo Lombardi, figura storica del socialismo italiano, a lungo dimenticato, antifascista, tra i padri costituenti al fianco di Piero Calamandrei e dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, rappresenta il nucleo del volume di Carlo Patrignani "Lombardi e il Fenicottero". Il libro verra' presentato mercoledi' 16 giugno a Roma alla Casa delle Culture (via S.Crisogono 45) alle 17,30 dall'autore, Marco Pannella, lo storico Giuseppe Tamburrano, l'economista Paolo Lenon e Enzo Foschi, consigliere regionale del Pd. Conduce l'incontro Daniela Ubaldi, giornalista dell'agenzia Area e di Radio Citta' Futura.
Repubblica 14.6.10
Maometto tra gli angeli
La visione celeste del divino
di Pietro Citati
"Il viaggio notturno e l´ascensione del profeta" un testo pieno di mistero su un momento essenziale nella vita dell´Islam
Sul dorso di Buraq, una creatura insieme umana e animale che procede velocissima di cielo in cielo quasi al di fuori del tempo
All´inizio della sua missione il messaggero crede di aver visto Dio da vicino, ma alla fine della vita ne dubita. Forse è stato solo un "sogno veridico"
Tutto lascia credere che, all´inizio della sua missione, Maometto abbia immaginato di vedere Dio: da vicino, «alla distanza di due archi o meno», Egli gli fece la rivelazione: il Corano. Più tardi, verso la fine della vita, Maometto ebbe dubbi su quello che aveva visto: fu incerto se la sua era stata veramente una visione; questi dubbi furono accolti dall´ultima moglie, Ai´sa, che in una frase memorabile ricordò che Maometto aveva avuto un «sogno veridico». Questa visione, o questo sogno, diventò un momento essenziale nella vita dell´Islam: ne derivò una mistica; e una serie di racconti popolarissimi sul viaggio del profeta in cielo. In Italia conosciamo Il libro della Scala di Maometto, che venne tradotto in latino, e forse conosciuto da Dante (SE, a cura di Carlo Saccone, pagg. 200, euro 20). Un altro testo è Il viaggio notturno e l´ascensione del profeta, di ignota epoca e di ignoto autore, appena pubblicato da Einaudi nella bella traduzione di Ida Zilio-Grandi, con due saggi di Cesare Segre e di Maria Piccoli (pagg. XLII-126, euro 24).
Maometto trascorre la notte nella casa di Fahita, insieme alla figlia, Fatima la Radiosa. Qualcuno bussa alla porta: Fatima va ad aprire, e scorge un angelo coperto di gioielli, con due ali verdi che sbarrano la vista ad oriente e ad occidente: porta in capo un diadema ornato di perle e pietre preziose, e sulla fronte la scritta: «Non c´è dio al di fuori di Dio, Maometto è l´inviato di Dio». Fatima ha paura. Il padre riconosce l´angelo Gabriele, che gli aveva rivelato i primi versetti del Corano. Ora Gabriele gli dice: «Mio amato, indossa le tue vesti e acquieta il tuo cuore. Questa notte parlerai con il Tuo Signore, che non conosce né sopore né sonno».
Così comincia il miracoloso viaggio celeste. Il profeta sale sul dorso di Buraq, una creatura insieme umana ed animale: ha il viso umano, il corpo simile a quello di un mulo, la criniera fatta di una tramatura luminosa di perle fresche e di bacchette di giacinto, gli orecchi di smeraldo, gli occhi che irradiano bagliori come quelli del sole. Buraq possiede una conoscenza dei cieli che Maometto ignora: ma, nella gerarchia delle creature, è inferiore al Profeta, e gli domanda di intercedere per lei il giorno del giudizio.
Il viaggio di Maometto avviene tra una moltitudine di angeli. I testi apocalittici ebraici e cristiani avevano rappresentato migliaia e migliaia di angeli che lodavano Dio: col viso simile al sole, la fronte cinta dall´arcobaleno, e le gambe come colonne di fuoco. Ma la vera patria degli angeli è l´Islam. Quasi sempre appaiono in gruppi di settantamila: le spalle sono così vaste che un uccello veloce non può coprire in cinquecento anni la distanza tra le due spalle; e tengono in mano tutta la creazione, come un granello di senape nel deserto. Il sacro islamico esige grandezza, enormità, eccesso di luce, e talvolta una specie di vertiginosa mostruosità, che richiama alla memoria le antiche figure babilonesi ed iraniche. Nel primo cielo, Maometto incontra un angelo mezzo di neve e mezzo di fuoco, senza che il fuoco sciolga la neve e la neve estingua il fuoco: ha mille teste, ogni testa ha mille volti, ogni volto mille bocche, ogni bocca mille lingue che glorificano Dio in mille parlate diverse: «Sia gloria a colui che unì la neve ed il fuoco».
L´ascesa di Buraq e di Maometto procede velocissima di cielo in cielo: cinquecento anni di cammino sono superati in un batter d´occhi, quasi al di fuori del tempo. Via via essi si lasciano alle spalle il cielo di ferro, quello di rame, di argento bianco, di oro rosso, di giacinto verde, finché giungono nel settimo cielo, di perla bianca, dove «non si ode il graffiare di un calamo»: dunque al di sopra di ogni scrittura e letteratura, nel puro ineffabile divino. Come i cieli, scorrono i profeti: Davide, Salomone, Giuseppe, Abramo, Mosè, Adamo. Intanto si ode il Grido di Dio: Dio è, in primo luogo, una voce, un´immensa potenza fonica; il culmine e il cuore spirituale di ogni realtà fisica. Questa voce esalta Maometto: «Non contraddire il mio amato Maometto»; «Conducete il mio amato Maometto nella Luce». Se il sacro è l´enormità dello spazio e della luce, un semplice uomo, nato e destinato a morire, sta al di sopra di qualsiasi grandezza, nella quale Dio si esprime.
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Quando Maometto arriva un´ultima volta alla presenza di settantamila fila d´angeli, si ode di nuovo il Grido di Dio: «Sollevate i veli tra me e il mio amato Maometto». Il profeta aveva già superato settantamila veli di luce bianca, settantamila veli di smeraldo verde, settantamila veli di broccato di seta, settantamila veli di taffetà, settantamila veli di luce e settantamila veli di tenebra, settantamila veli di muschio, settantamila veli d´ambra e settantamila veli di Potenza; e ora supera veli che Dio solo conosce. In questo momento percepisce «qualcosa di sublime, che nessuna fantasia può immaginare e nessun pensiero raggiungere». Il Corano affermava che Dio parla agli uomini soltanto dietro un velo: mentre Maometto si lascia dietro anche l´ultimo velo, e si trova «alla distanza di due archi, o meno» da Lui.Questo momento supremo è un´esperienza totale, che Maometto conosce sia nell´anima sia nel corpo. Dio pone la mano tra le scapole di Maometto; e lui prova un´alleviante frescura al fegato o al cuore. Ma, al tempo stesso, sia Maometto sia l´autore del Viaggio notturno sanno che vedere Dio è impossibile. Quando Dio domanda: «Mi vedi con i tuoi occhi?», il profeta risponde: «La vista non ti percepisce... La Tua Luce, il Tuo Splendore e la Tua Maestà hanno accecato la mia vista. Ti vedo soltanto con il cuore». La conoscenza fisica di Dio non può venire cancellata, ma insieme viene cancellata, perché quando percepiamo Dio, percepiamo solo un´infinita luce: è il paradosso di ogni esperienza mistica. Il rapporto di Maometto con Dio è diretto, immediato, senza distanza né intermediari, «faccia a faccia». Dio ribadisce: «Se ho creato Adamo con la Mia mano, l´ho creato d´argilla, mentre ho creato te con la luce del Mio volto. Se ho scelto Abramo come amico, ho scelto te come amato, e l´amato è meglio dell´amico. Se ho parlato con Mosè, gli ho parlato da dietro un velo, sul monte Sinai, mentre con te ho parlato sul tappeto della Prossimità e senza alcun velo».
Quando Maometto lascia il culmine dei cieli, ritrova l´angelo Gabriele, che lo accompagna fino all´entrata del Paradiso. Qui Ridwan, il Guardiano, lo prende per mano e lo accompagna nei Giardini. Maometto guarda, e la terra è bianca come fosse d´argento, i ciottoli sono di perle e di corallo, la polvere di muschio, le piante di zafferano, gli alberi hanno foglie d´argento e d´oro. Una cupola di perla sta sospesa, senza che nulla la sorregga e la sostenga. Dentro la cupola ci sono mille cappelle, e in ciascuna ci sono mille stanze, e in ogni stanza mille divani, e su ogni divano mille giacigli di broccato di seta, e un fiume d´acqua corre tra giaciglio e giaciglio. Nella cupola di perla c´è una cupola di smeraldo verde, e all´interno un divano d´ambra bianca tempestato di diamanti e pietre preziose, dove sta adagiata una donna, con le palpebre scure di collirio, e occhi grandi dalla cornea rosa e le pupille nerissime.
Maometto ritorna a casa, dove la figlia Fatima lo attende. Ormai sa tutto del mondo, che egli stesso ha contribuito a creare. Esso ha due culmini. Quello supremo è un Dio che egli non può vedere, o vede soltanto nelle profondità del cuore. L´altro culmine è il Paradiso, che invece riempie il suo sguardo: mentre lo percorre, contempla la nostra stessa realtà terrena, più bella, ricca e lussuosa, portata in alto e spiritualizzata. Tra l´invisibile e il meraviglioso visibile, egli conosce la vita felice.
l'Unità 15.6.10
Il comitato centrale: «Quello Fiat è un ricatto, non un’intesa. Senza diritti saremmo schiavi»
Alzo zero contro la Costituzione
Pomigliano diventa l’ultimo caso di aggressione alla Carta In ballo c’è il diritto di sciopero
Fiom dice no al ricatto
Pomigliano, la Fiom respinge l’accordo
Il comitato centrale delle tute blu Cgil respinge il ricatto Fiat su Pomigliano: «Impossibile firmare». Ma rilancia: «Se davvero vuole realizzare il proprio piano industriale, l’azienda applichi il contratto nazionale».
di L. V.
Il Lingotto ha deciso il gioco, ha dettato le regole, e ha preteso un sì o un no secco da quanti vogliano partecipare. Ma la risposta della Fiom su Pomigliano d’Arco non può che essere articolata. La posta è troppo alta per semplificazioni monosillabiche.
FIOM NON FIRMA MA RILANCIA
«Diciamo sì al rilancio dello stabilimento campano per realizzare il piano industriale della Fiat, nella piena applicazione del contratto nazionale» hanno sottolineato le tute blu della Cgil al termine del comitato centrale, convocato ieri per esprimersi sull’ultimatum del gruppo. «Ma diciamo no alle clausole che derogano a contratti, leggi e Costituzione. Non possiamo sottoscrivere quel testo perchè contiene profili d’illegittimità».
Niente firma, dunque. La Fiom non si piega al «ricatto» del gruppo torinese e scatena un fiume di reazioni nel mondo economico e politico, tra chi invoca responsabilità a senso unico e chi riconosce le ragioni del lavoro. «Marchionne ha chiesto solo più turni di lavoro e di combattere l’assenteismo»
ha commentato, tra gli altri, il presidente della Camera Gianfranco Fini. «Nel documento ci sono punti molto pesanti sui diritti fondamentali» gli ha risposto il responsabile Lavoro del Pd, Stefano Fassina.
Oggi l’organizzazione dei metalmeccanici Cgil sarà comunque al tavolo convocato a Roma dall’azienda per fare il punto sulla trattativa, invitata a partecipare «per conoscenza», mentre le altre organizzazioni sindacali si preparano a firmare un accordo separato da sottoporre poi a referendum. Ovvero, il rilancio dell’impianto napoletano con 700 milioni d’investimento e la produzione della nuova Panda al prezzo di deroghe al contratto nazionale a alle leggi.
IL LAVORO È LA PRIORITÀ
Eppure un’altra soluzione sarebbe possibile, se il Lingotto decidesse di accogliere la controproposta della Fiom, che «all’unanimità chiede alla Fiat di applicare il contratto nazionale di lavoro, perchè questo permette all’azienda di produrre le 280mila automobili all’anno e le 1.045 al giorno che sono gli obiettivi del piano che Marchionne vuole fare».
Su questi obiettivi si è concentrata anche la segreteria confederale della Cgil, riunitasi in mattinata dopo l’incontro a due tra il leader Guglielmo Epifani e il segretario delle tute blu Maurizio Landini: «Il lavoro è la priorità, è essenziale che si dia corso all’investimento annunciato dalla Fiat ridando certezza al territorio» ha ribadito il sindacato di Corso d’Italia. Senza dimenticare, però, che «le norme proposte dall’azienda aprono profili di illegittimità su malattia e diritto di sciopero» e che «ogni firma eventualmente apposta a questa clausola non è semplicemente invalida, è inefficace e inesistente». Autonomia alla Fiom, dunque, a cui «tocca promuovere la discussione» in merito, «coinvolgendo gli iscritti e individuando le corrette forme per il giudizio da parte dei lavoratori». Per domani, infatti, il sindacato ha convocato a Napoli l’assemblea dei propri iscritti.
l’Unità 15.6.10
Adesso c’è anche l’assalto al diritto allo sciopero
I costituzionalisti lanciano l’allarme
«Attenti agli aut aut»
Incontro di una cinquantina di accademici con Bersani e Violante. Difendere la Carta dai colpi di mano del governo
di Maria Zegarelli
Certo, tutti cercano di attenersi al tema all’ordine del giorno, le riforme istituzionali a cui sta lavorando il Partito democratico, ma la preoccupazione anche per l’assalto all’articolo 41 della Carta Costituzionale, tra gli oltre 50 costituzionalisti riunitisi ieri nella Sala della Regina a Montecitorio, è forte. L’invito è partito dal segretario Pier Luigi Bersani, che si prepara, con il responsabile Riforme, Luciano Violante, alla «campagna d’autunno», proprio sui temi della Costituzione, ma come prescindere dalla stretta attualità, dalla lettura dei quotidiani? Impossibile, anche perché l’accordo che una delle realtà imprenditoriali più importanti del Paese vuole siglare con i sindacati minerebbe parecchi di diritti sanciti dai costituenti. Tania Groppi, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico nella facoltà di Economia dell'Università di Siena, appena uscita dal seminario Pd, prova a fare il punto: «A me sembra che la tendenza che la maggioranza di governo viveva finora di insofferenza verso le regole, si stia diffondendo anche al settore privato e sia passata dalle garanzie ai diritti dice Groppi poco dopo aver lasciato i lavori del seminario -. Berlusconi da sempre, e ultimamente con maggiore insistenza, dice che tutte queste regole sono un impedimento al suo lavoro: adesso mi sembra che si sia fatto un ulteriore passo cercando di intaccare i diritti sociali, quelli dei lavoratori». Secondo la costituzionalista la Fiat con questo accordo mette in discussione lo stesso diritto allo sciopero, alla salute, al riposo e quello alla partecipazione politica».
E non è un caso che ieri, durante l’incontro a porte chiuse, a cui erano presenti tra gli altri, Onida, Sorrentino, Luciani, Barbera, Bassanini, De Martin e Giorgis in tanti abbiano ribadito la necessità di difendere con convinzione la Costituzione, nella «prima e nella seconda parte». Da qui la larga condivisione della platea per la piattaforma di lavoro illustrata da Violante che «punta molto sul rilancio della democrazia partecipativa, sulla necessità di una rinnovata legittimazione delle istituzioni, del rapporto tra elettori e eletti e della centralità del parlamento», come commenta uno dei presenti.
Allarme, rinnovato, poi per una possibile forzatura da parte della maggioranza per le riforme istituzionali. «Le riforme vanno fatte senza aut-aut ma con larga condivisione». Ai costituzionalisti presenti è stato anche chiesto quanto percorribile possa essere lo strumento del referendum per l’abrogazione del Porcellum e l’eventuale reviviscenza del Mattarellum. Alla fine la linea che è prevalsa è stata quella della cautela. Lo stesso Bersani, ha avvertito: «Attenzione, il quorum in questi ultimi venti anni non è mai stato raggiunto. Potrebbe rivelarsi un boomerang. Noi dobbiamo dire con chiarezza che siamo contro questa legge elettorale e che si devono saldare questione sociale e questione istituzionale». C’è chi fa anche notare che dubbi di ammissibilità davanti alla Corte Costituzionale sul referendum abrogativo per il Porcellum ce ne sono e non vanno sottovalutati. Il Pd, dal canto suo, trova un punto di condivisione al suo interno: non porsi in termini «statici» rispetto alle riforme, ma di difendere con decisione l’impianto della Carta fondativa.
l’Unità 15.6.10
«Si rispettino le regole l’Italia non è il Burundi»
Un’associazione privata come il sindacato non può convalidare atti costituzionalmente illegittimi dei datori di lavoro come l’art. 14 dell’intesa
di Luigi Mariucci, Diritto del lavoro a Ca’ Foscari
I l documento Fiat su Pomigliano assomiglia, per usare un eufemismo, più a una dichiarazione unilaterale che a una proposta contrattuale. Il testo contiene molte rilevanti modifiche della condizione di lavoro e del sistema di relazioni contrattuali. Sul primo piano basti vedere le misure previste in tema di orario di lavoro: 24 ore di produzione continua, 18 turni settimanali, compreso il sabato notte, lavoro straordinario direttamente esigibile dall’azienda, deroghe al regime delle pause. Colpiscono, in particolare, clausole siffatte: «Le soluzioni ergonomiche (...) permettono sulle linee a trazione meccanizzata con scocche in movimento continuo, un regime di tre pause per 10 minuti ciascuna (...) che sostituiscono le attuali due pause di 20 minuti». E lo chiamano postfordismo! Vi sono poi norme c.d. anti-assenteismo che prevedono la mancata retribuzione dei giorni di malattia se le assenze superano una certa media, colpendo, per così dire, nel mucchio. Infine è prevista una «clausola di responsabilità» molto pesante a carico dei sindacati, in caso di comportamenti difformi dalle regole sopra definite, in termini di sanzioni riferite ai contributi e ai permessi sindacali.
Dicono che questo diktat, anzi, si perdoni il lapsus, questo accordo è necessario per assicurare la prospettiva produttiva di Pomigliano e che questo è reso necessario dalla competizione globalizzata. E sia. Fin qui si può fare, nella consapevolezza che tutto ciò comporta duri sacrifici e costrizioni per i lavoratori e una assunzione molto forte di responsabilità per i sindacati. Purché di questo non si faccia la bandiera di un «nuovo sol dell’avvenire», come predica l’attuale ed ex-socialista ministro del lavoro in carica.
Ciò che non si può fare è invece pretendere di modificare, con un c.d. contratto collettivo, addirittura la Costituzione. Ciò è quanto si verifica, in particolare, nel punto 14 del testo, che merita di essere citato per intero: «Le clausole indicate integrano la regolamentazione dei contratti individuali di lavoro al cui interno sono da considerarsi correlate ed inscindibili, sicché la violazione da parte del singolo lavoratore di una di esse costituisce infrazione disciplinare di cui (...) agli articoli contrattuali relativi ai provvedimenti disciplinari conservativi e ai licenziamenti(...)».
Questa clausola è due volte illegittima: perché qualifica arbitrariamente come parte normativa del contratto impegni di parte obbligatoria, riferite ai sindacati stipulanti; e perché pretende addirittura di trasformare in illecito, passibile di licenziamento, l’esercizio del diritto individuale di sciopero, sancito dalla Costituzione. La firma già apposta da qualche sindacato a questa clausola non è semplicemente invalida: è inefficace, inesistente, tamquant non esset, dicevano gli antichi. Una associazione privata, qual è il sindacato, non può infatti convalidare atti costituzionalmente illegittimi dei datori di lavoro. Non si modifica per contratto la costituzione: questo è l’abc dell’alfabeto costituzionale. Forse questo si può fare in Cina, negli Usa o nel Burundi, ma non in Italia. Perciò a mio giudizio la Fiom-Cgil farebbe bene a siglare con riserva quel testo, con una assunzione straordinaria di responsabilità, limitando gli effetti giuridici della sua firma alle parti del testo riferite a materie di competenza contrattuale e dichiarandone l’ovvia irrilevanza per le parti relative a discipline inderogabili di legge.
Repubblica 15.6.10
Epifani: la Fiat ci ripensi la fabbrica non è una caserma
"Cadano i limiti a scioperi e malattia, e noi diciamo sì"
Siamo disponibili a trovare soluzioni per un assenteismo che a tratti è stato intollerabile
intervista di Roberto Mania
ROMA - «Marchionne ci ripensi: non contrapponga lavoro a diritti. Pomigliano non può diventare una fabbrica-caserma. E il "piano B" sarebbe anche una sua sconfitta». Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, parla mentre, a qualche chilometro di distanza, è in corso il Comitato centrale della Fiom sul caso-Pomigliano. Sa già come andrà a finire: no alla proposta della Fiat.
Lei condivide la posizione della Fiom?
«Io dico ciò che chiede la Cgil: che si realizzi rapidamente l´investimento previsto per lo stabilimento di Pomigliano. Questo è il frutto di anni di mobilitazione nel territorio da parte dei sindacati, della Cgil, della Chiesa, delle istituzioni locali. A Napoli non c´è alternativa. Stiamo parlando di 15 mila posti di lavoro, compresi quelli dell´indotto. Un piano di queste dimensioni impone una sfida che sicuramente deve essere raccolta: quella della saturazione degli impianti e della turnazione. Su questo non dobbiamo avere timidezze. I 18 turni non sono una novità. In molte fabbriche si lavora 24 ore su 24 per sette giorni. Sappiamo che sarà un sacrificio alto per i lavoratori, perché non è facile lavorare il sabato e la domenica di notte, perché non è la stessa cosa lavorare alla catena di montaggio o stare seduti davanti a una scrivania».
Sta ragionando come se il no della Fiom fosse ininfluente. Le ricordo che Marchionne ha posto come condizione l´accordo di tutti i sindacati senza escludere di poter mantenere la produzione della Panda in Polonia.
«C´è un capitolo del documento della Fiat che apre problemi molto gravi. Riguarda la malattia e lo sciopero. Abbiamo consultato insigni giuristi e ci dicono che, senza chiarimenti e correzioni, quelle clausole appaiono illegittime o addirittura incostituzionali. Mi domando: si può sottoscrivere un accordo con questi profili di illegittimità? Questo è il punto. Conviene alla Fiat che chiede certezze uno scenario di questo tipo?».
Lei pensa che la Fiat, la Cisl e la Uil possano firmare un accordo addirittura incostituzionale? Le sembra possibile? Non sarà la vostra una forzatura interpretativa?
«Per quanto mi risulta anche i metalmeccanici di Cisl e Uil avevano sollevato i nostri stessi argomenti. Poi ha prevalso lo spirito di chiudere. Ma c´è il rischio di un fiorire di iniziative giudiziarie, se non vengono chiariti quegli aspetti, perché la nostre preoccupazioni sono molto fondate. Al primo ricorso quel piano non regge. Per questo chiedo a Marchionne un ripensamento».
La Cgil sostiene che una firma su un accordo del genere sarebbe "invalida, inefficace e inesistente". Se è così perché intanto non la mettete?
«Rovesciamo il problema: a cosa servirebbe un sì in questo modo? A nulla. La Fiat non deve piegare i sindacati ma trovare un piano che regga. La Cgil è assolutamente disponibile a trovare soluzioni per un assenteismo che a tratti ha assunto a Pomigliano caratteristiche intollerabili. Siamo pronti e abbiamo anche le nostre proposte».
Quali?
«Ne parleremo».
Esclude che Marchionne possa applicare il "piano B" e non spostare la produzione della Panda a Pomigliano?
«Penso che alla fine possa prevalere in Marchionne il senso della forza dell´operazione Pomigliano. Ha scommesso troppo sulla Fabbrica Italia. Il "piano B" sarebbe anche una sua sconfitta. Gli chiedo di non attuarlo, ma so che il "piano B" è concretamente nelle sue mani».
Lei ha fatto tutto per arrivare a un´intesa? Possibile che la Cgil scopra i problemi sempre poco prima della firma?
«Non è così. Stiamo rincorrendo centinaia di vertenze in tutta Italia. In questo caso, mi dispiace, è mancato il rapporto tra la Cgil e la Fiom nella costruzione della soluzione».
La colpa è della Fiom?
«È un dato di fatto perché questa vicenda ha ricadute su vari settori, non solo sui lavoratori metalmeccanici».
La Fiom ha parlato di "ricatto" da parte di Marchionne. Lei userebbe la stessa parola?
«Se si intende dire che la Fiat ha tirato troppo la corda, c´è una parte di verità. L´intera verità è che la Fiat ha integralmente la possibilità di decidere. È una situazione inedita nella quale il Lingotto ragiona come una multinazionale che non ha più nulla da chiedere al governo italiano».
Se ci sarà il referendum è scontata la vittoria del sì. A quel punto la Fiom dovrà firmare?
«Deciderà la Fiom. È giusto che i lavoratori comunque dicano la loro. La Fiom deve potere dire sì o no, può chiedere il giudizio dei lavoratori, ma non può scaricare tutte le responsabilità su quest´ultimi».
l’Unità 15.6.10
Il virus della divisione
La sinistra e la retorica vecchi contro giovani
di Michele Ciliberto
Personalmente amo molto la polemica che considero il sale della discussione e della ricerca; ma per polemizzare bisognerebbe entrare nel merito delle posizioni che si vogliono contestare. Altrimenti la polemica si trasforma in un gioco sterile. Come è accaduto nel caso dell’articolo pubblicato sabato scorso in “polemica” con un mio intervento di due giorni prima.
Il mio obiettivo era contestare la rugiadosa retorica giovanilistica oggi di moda a destra e a sinistra, per sottolineare la dimensione sociale della “questione generazionale” e la necessità di affrontarla a livello strutturale, al di fuori di diffuse, e artificiose, contrapposizioni tra “vecchi” e “giovani”. Nel quadro di questo ragionamento, ho fatto riferimento all’Università il mondo che credo di conoscere meglio e alla recente proposta del Pd di procedere a uno shock generazionale, mandando forzosamente in pensione i professori a 65 anni (per intendersi: l’età della pensione prevista ora per le donne). Era una specificazione di ordine esemplificativo, che voleva, per contrasto, ribadire la necessità di porre su basi concrete la “questione” dei giovani, tirandola fuori dalle secche in cui è ora impigliata e di cui proprio la proposta del Pd è una conferma.
Di tutto ciò in questa polemica non ci sono tracce, salvo ricordare che sul tema esiste una “piccola” (sic) bibliografia. Invece ci si concentra con molta energia sulle (poche) righe in cui criticavo la proposta del Pd: come se se si fosse imbracciato il fucile “a prescindere” (direbbe Totò) e non si aspettasse altro che sparare sui professori universitari, considerati la vera radice di tutti i mali dell’Università. I professori universitari, ribadisco: non coloro che hanno sgovernato, e continuano a sgovernare questo paese; quei professori che, in una sorta di lavacro, dovrebbero essere eliminati con un’operazione di tipo gattopardesco sostituendo a un vecchio ceto un nuovo ceto. E per aver citato una battuta in chiave antiutopistica di Antonio Labriola – uno dei più grandi studiosi di Marx che l’Italia abbia avuto mi sono trovato ad essere annoverato tra i conservatori, anzi tra gli apologeti della “tradizione”: come se Labriola fosse Joseph de Maistre o Edmund Burke.
Eppure è stata una polemica istruttiva. Essa dimostra che l’ideologia “generazionale” è assai ramificata ed è spia di disagi strutturali; che tra le generazioni è sceso il “coltello della divisione”; che è venuto meno un linguaggio unitario. Occorre un lungo lavoro per rimettere il Paese e l’Università: gli shock generazionali, le rotture velenose, gli atteggiamenti pregiudiziali non portano da nessuna parte. In questo momento è necessario il contrario: un paziente lavoro di reciproco ascolto per individuare un terreno comune; e per questo anche l’Unità può dare un contributo.
il Fatto 15.6.10
Pretendiamo rispetto
di Gian Carlo Caselli
Ennesimo attacco del premier contro i giudici, che sarebbero “politicizzati” e avrebbero l’obiettivo di rovesciare per via giudiziaria il risultato elettorale. Tesi non priva di un che di grottesco. Liquidata dalla “Jena”, sul quotidiano “La Stampa”, osservando che dopo 16 anni di tentativi inutili i giudici andrebbero licenziati per manifesta incapacità... Ma l’ironia non basta. La ripetizione ossessiva di una tesi, anche bislacca, con martellanti campagne spesso prive di contraddittorio, finisce per diffondere e consolidare un pregiudizio pericoloso per la democrazia. Perché in democrazia la fiducia dei cittadini nella giustizia non è un optional, ma un elemento strutturale: se viene meno, si affaccia il rischio di derive illiberali e disgreganti. I tentativi del premier di circoscrivere i suoi attacchi ad una parte della magistratura non sono credibili perché smentiti dalle vicende degli ultimi anni. L’attacco si è rivelato a geometria variabile, nel senso che è di assoluta evidenza come siano stati costretti a subirlo tutti i magistrati (proprio tutti: pm e giudici, fino alle Sezioni Unite della Cassazione e addirittura alla Corte costituzionale) che adempiendo i loro doveri, in qualunque città o ufficio, abbiano avuto la sventura di imbattersi in interessi che pretendono di sottrarsi ai controlli istituzionali previsti per tutti gli altri.
Ma l’obiettivo di una propaganda tanto infondata quanto insistita è anche distogliere l’attenzione rispetto ai veri problemi che angosciano il Paese. Riproporre il vecchio ma sempre verde ritornello della magistratura politicizzata significa parlare meno della crisi economica; della manovra finanziaria; delle pensioni; del lavoro che non c’è o se c’è è sempre più spesso nero, precario, insicuro. Significa provare ad offuscare la realtà incontestabile di una legge sulle intercettazioni che stritola in una tenaglia micidiale informazione, investigazione e sicurezza dei cittadini, picconando in un colpo solo alcune pietre angolari della democrazia. Significa continuare ad ignorare la catastrofe annunziata del sistema giustizia, per tirare invece la volata a riforme che invece di migliorare anche solo un poco l’efficienza del sistema taglieranno ancora di più le unghie agli inquirenti. Dunque, evocare complotti giudiziari, disegni politici realizzati mediante l’azione penale, persecuzioni per motivi di parte può essere utile perché sempre meno si ragioni sui fatti. Ma questi metodi e questa cultura rischiano di uccidere la verità e la giustizia, rendendo un pessimo servizio al Paese. L’Associazione nazionale magistrati, facendo il suo mestiere, prova ad arginare questa strumentale ondata di propaganda basata sul nulla, ma gli spazi che riesce a ritagliarsi sono sempre più esigui. Il Consiglio superiore della magistratura ha sempre fatto di tutto per difendere l’autonomia e l’indipendenza dei giudici contro gli attacchi di certa politica, ma non possiede radio o televisioni che diffondano ovunque il suo “verbo”. Anzi, dovrà presto pagare il rifiuto sempre opposto alle richieste di maggior “docilità” subendo una trasformazione (due Csm separati per separare le carriere, in vista della agognata – anche se a parole negata – sottoposizione del pm al governo), trasformazione che non è prevista dalla Costituzione, ma tanto si sa che la Costituzione è vista da qualcuno come una pratica da archiviare, non come una Carta di valori irrinunciabili, una spinta al continuo miglioramento del tasso di democrazia del sistema, che nello stesso tempo funziona da argine ai tentativi di arretramento.
Il ministro Guardasigilli, il presidente della Camera e il presidente del Senato potrebbero, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze istituzionali, intervenire in qualche modo per recuperare un clima di rispetto verso l’ordine giudiziario. Non mi sembra che abbiano molta voglia di farlo. E allora, non resta che sperare in qualcun altro. Che però è troppo in alto perché possa arrivargli la voce sommessa di uno dei tanti servitori dello Stato stanchi di essere vilipesi “a gratis”.
Repubblica 15.6.10
Ambra a teatro con "I pugni in tasca" "Ma come ho pianto per Bellocchio"
Ospite del festival di Taormina, l'attrice racconta gli esordi in tv e la fatica dello studio
di Maria Pia Fusco
TAORMINA. Il primo incontro di Ambra Angiolini con Marco Bellocchio per un provino non si può definire esattamente felice. «Non capisco come una con quella faccia abbia quella voce», fu il commento del regista, che però le diede un´altra possibilità «ma fu un disastro, perché non riuscivo a smettere di piangere. Piansi per tutto il viaggio di ritorno a casa», ricorda Ambra Angiolini. Ma «Marco è una persona priva di pregiudizi, ricco di una sana curiosità e si è fatto sorprendere: mi ha richiamato al festival di Bobbio, abbiamo girato un cortometraggio e soprattutto mi ha coinvolto nella versione teatrale di I pugni in tasca». Scritto dallo stesso Bellocchio è in programma la prossima stagione, quattro mesi in vari teatri italiani: regia di Stefania De Santis, Ambra nel ruolo che fu di Paola Pitagora, Piergiorgio Bellocchio in quello di Lou Castel.
I pugni in tasca, considerato in seguito anticipatore della contestazione, è un film del 1965, Ambra è nata 12 anni dopo. Ma «è una storia di grande impatto anche per chi il ´68 non l´ha vissuto. Più che nel contesto politico, che resterà lo stesso nella versione teatrale, il fascino è in quello familiare. È una famiglia che non riesce a controllare le distanze e in cui c´è qualcosa di torbido che è anche modo di comunicare. Ho letto una corrispondenza tra Bellocchio e Pasolini, che definiva I pugni in tasca "un cinema di prosa che ogni tanto sfocia nella poesia". Mi sembra una riflessione perfetta per tutto il cinema bello». Una vicenda come quella del film di esordio di Bellocchio «sarebbe difficile da proporre oggi. Non si potrebbe tenere nascosta la malattia o l´abuso, oggi finirebbero su Internet. Con il risultato che la famiglia, che dovrebbe essere sostegno e protezione diventa prigione e causa di autodistruzione. In un tempo in cui se ne parla tanto mi sembra giusto ricordare che ci sono ancora tante famiglie di questo tipo. Basta leggere certi casi di cronaca». Ospite di Taormina, Ambra ha incontrato i giovani del Campus ai quali ha raccontato la propria esperienza di adolescente a cui «la popolarità è arrivata per caso. Ma da allora sono passati 19 anni di lavoro, di studio, anche di fatica». Oggi è un´attrice con più di un film in uscita, tra i quali Notizie dagli scavi di Emidio Greco con Battiston e Immaturi di Paolo Genovesi, una fiction per la Rai e una sit-com con Fabio De Luigi per Mediaset. E anche attrice di teatro. Dopo una prova impegnativa come il monologo di Stefano Benni La misteriosa scomparsa di W, «penso che potrò affrontare I pugni in tasca con un pizzico di sicurezza in più. Sarà una prova di coraggio, ma mi piace la compagnia, siamo un gruppo strano, giusto per una famiglia come quella».
Repubblica 15.6.10
"Vendola, governatore stile Obama" sul "Times" l'elogio di Emmott
ROMA - Nichi Vendola «è l´uomo da tenere d´occhio nella sinistra in Italia», perché sta combinando con successo mercato e competizione con i valori sociali della sinistra. Parola di Bill Emmott, ex direttore dell´Economist che ieri sul Times ha raccontato quello che sta succedendo «nel tacco d´Italia: una rinfrescante combinazione di vecchi valori e capitalismo». Per Emmott, il governatore della Puglia è un esempio per la sinistra europea in crisi. Vendola «è un mobilizzatore in stile Obama, con l´oratoria e il carisma per creare sogni, e sta costruendo un movimento nazionale. Come governatore, ha almeno in parte accettato che il problema del Meridione è stato troppo Stato e troppo poco mercato e ha spostato il proprio interventismo verso le infrastrutture locali, verso la concessione di borse di studio a 10.000 studenti, per consentire loro di studiare fuori dalla regione, e verso l´ambientalismo».