domenica 4 luglio 2010

l’Unità 4.7.10
Le notizie nel pozzo
di Concita De Gregorio

C’è qualcosa di pavido e di ottuso, qualcosa che parla della paura di guardare nel pozzo da cui si levano grida, nel modo in cui chi fa informazione – cioè ha il dovere di raccontare quel che accade nel nostro paese e nel mondo ignora in modo sistematico certe notizie. Proprio le notizie di chi fonda la sua speranza di salvezza nel fatto che qualcuno si occupi di lui.
Non parlo solo degli eritrei respinti in Libia. A proposito di questa tragedia che segnaliamo da giorni, posso solo registrare con sorpresa, con amarezza il silenzio pressoché totale del sistema dell’informazione. E qua la legge bavaglio non c’entra. C’entrano altre logiche, evidentemente. Ma avremo modo di tornarci.
Parlo delle donne. Della facilità con cui due, tre, a volte quattro omicidi quotidiani vengono incolonnati nella fila delle notizia in breve, magari con un po’ più di spazio se la notizia è sufficientemente “gustosa” – oggi il carabiniere che uccide con l’arma di ordinanza la ragazza mentre a casa la convivente incinta lo aspetta, una specie di Match Point all’italiana, a canone inverso e impagina le altre morti, percosse, minacce a far da cornice nella pagina “a tema”.
Quale tema? La mano più grande che gira il polso a quella più piccola, le braccia più forti che soffocano con un cuscino chi non ha la forza fisica per reagire, la voce più grossa che spaventa, ricatta, perseguita e quasi sempre, alla fine, lascia dietro di sè il silenzio.
C’è qualcosa di colpevole, una colpa di tutti, nel modo in cui si volta la testa e non si vuol sentire, quando si parla di questo: eppure è sotto i nostri occhi, nelle nostre case. Manca lo sguardo degli altri: è questo che rende impuniti, che dà la sensazione di poterlo fare.
Non è mai un raptus. È sempre un crescendo
di violenza nella tolleranza altrui, nell’altrui indifferenza. La donna che (leggete l’articolo di Maria Grazia Gerina) dice: «mio marito minaccia di uccidermi se vado dall’avvocato per la separazione», e che attiva una richiesta di protezione, è una donna privilegiata. Paradossalmente lo è perchè sa di poter andare da un avvocato, sa di poter attivare una richiesta.
Moltissime non sono a questa soglia di coscienza: ne sono molto al di sotto. E tuttavia neppure la consapevolezza dei propri diritti, la conoscenza delle leggi, è sufficiente. La richiesta avanzata nel mese di aprile non provoca l’attivazione di alcun controllo, di alcuna forma di protezione. Arriviamo a luglio. Ancora niente. Eppure i tempi, anche in un passato recente, erano molto più celeri. Il fatto è che nelle questure del governo della “tolleranza zero” ci sono i tagli. Il personale, e le risorse, scarseggiano.
Dunque immaginate: lui minaccia di ucciderla, lei chiede di essere protetta, lui lo sa, lei per mesi è costretta a vivere inerme con un uomo che in ogni momento potrebbe prendere la sua personale arma di ordinanza – un coltello, una corda, una bottiglia ed ucciderla. Sarò la prossima, aveva scritto una donna sulla t-shirt qualche anno fa, dopo trenta aggressioni coniugali senza che nessuno fosse mai intervenuto. Siamo ancora a questo. È una mattanza silenziosa, tollerata.
D’altra parte, anche nei paesi dove la violenza contro le donne è punita con grandissima severità c’è qualcosa di omertoso, una specie di colpevole pudore: non si dice. Al Chelsea hotel di New York una decina di targhe celebra le vite geniali e maledette che si sono consumate qui. Dylan Thomas, Bob Dylan, Allen Ginsberg, Arthur C. Clarke che ci scrisse “Odissea nello spazio”. Nessuna ricorda la ragazza uccisa da Sid Vicius nella stanza numero 100. Aveva vent’anni, era bionda, si chiamava Nancy Spungen.

il Fatto 4.7.10
L’opposizione sonnambula
di Furio Colombo

“Qualcosa di grave sta per accadere in Italia, qualcosa per cui non è esagerato usare la parole golpe”. Ho ascoltato queste parole la mattina del 28 giugno. Le stava dicendo a Radio radicale Marco Pannella, con l’intento esplicito (per esempio il tono insolitamente pacato)di far capire che non stava usando il paradosso, come a volte gli piace fare. Voleva condividere l’esperienza di qualcuno che si aggira da tempo nella vita pubblica italiana ed europea, e ha collezionato molte sconfitte ma – quanto al vedere e prevedere in tempo – non tanti errori.
La frase chiede di proporre almeno una domanda: nessun riferimento a fatti o persone che potrebbero realmente dar vita fra breve a eventi drammatici?
Dunque credo che sia utile un confronto con gli eventi. L’economia è ferma (cioè peggiora), la disoccupazione si allarga, le istituzioni sono spezzate, il conflitto cresce in ogni spazio della vita pubblica, l’illegalità spontanea si aggrega a quella professionale. L'arroganza di chi ha il potere e continua a volere tutto, non accetta più i limiti delle leggi e della Costituzione. La criminalità organizzata detta valori e regole, la politica è debole, succube, smarrita, soggetta a giochi privati interni e a violente pressioni esterne, invasa da leggi personali, segnata da discordie, tensioni e rifiuto di regole fra organi e personaggi dello Stato. Un recentissimo esempio, particolarmente clamoroso, è stato il comportamento – venerdì 1 luglio – dell’avvocato personale di Berlusconi, Ghedini, che è anche membro del Parlamento e autore delle leggi di volta in volta richieste dal suo cliente. Ghedini ha di fatto intimato al presidente della Repubblica di tacere, perché “non eletto”. Come è noto, Ghedini ha negato Costituzione e realtà (il presidente della Repubblica è eletto dalle Camere riunite). Ma ha compiuto la missione, che era di attaccare apertamente il Quirinale. Siamo già entrati nell’emergenza annunciata? Può reggere la struttura istituzionale di una Repubblica così scossa? È bene non dimenticare che appena un giorno prima il senatore Dell’Utri, co-fondatore di tutte le imprese private e politiche di Berlusconi, festeggiato per essere stato condannato “solo” a 7 anni, “solo” per concorso mafioso, ha attratto attenzione con una strana frase, per lui dannosa e non richiesta: “Mangano resta il mio eroe” (Mangano, dopo avere abitato per un certo tempo nella casa di Berlusconi, è morto in carcere, condannato per mafia e per molti omicidi, senza mai rispondere alle domande dei giudici, ndr). “Mi ha colpito di più la conclusione della frase – ha scritto al Il Fatto la lettrice siciliana Rita Trigilo – quando il senatore dice: se finissi in carcere, non so se avrei la forza di fare lo stesso. Nel codice delle persone che il senatore frequentava vuol dire: se vado in carcere, vuoto il sacco”.
La macchia di illegalità si allarga, al punto da diventare un vanto. Intanto la Repubblica si spezza (il federalismo fiscale), si frantuma e si svende a pezzi (il federalismo demaniale). Persino le forze dell’ordine, umiliate e offese, partecipano alle proteste e pagano di persona la benzina per le loro “volanti”. Come si vede, un sovrapporsi pauroso di fatti subìti e negati (la crisi economica), fatti creati (le leggi contro la legge), il Parlamento paralizzato, le istituzioni allo scontro, tutto ciò porta a uno stato di sbandamento pericoloso. In questo paesaggio devastato si incrociano strani segnali, strane coincidenze; e l’annuncio di Pannella non resta isolato. Per esempio, la sera del 2 luglio, dopo che l’avvocato-deputato Ghedini ha mandato il suo messaggio al Quirinale, il primo ministro Berlusconi, di ritorno dal suo viaggio con ragazze al G20 di Toronto, a Panama, in Brasile, ha detto al Tg1-Tg5: “La situazione italiana non è tranquilla”. Detto da un primo ministro, è un annuncio grave.
Ma sentiamo anche le altre voci, le voci dell'opposizione, stessi giorni, stesse ore. Enrico Letta, vicesegretario del Pd, afferma: “Questo non va. È una manovra pasticciata”. Bersani risponde a Ghedini: “È stato passato il segno. Nessuno può parlare così, specialmente se è un avvocato”. All’improvviso ieri i toni democratici diventano più forti. Franceschini: “Voteremo tutti gli emendamenti dei finiani sulle intercettazioni”, senza rendersi conto che impegna il suo partito al buio, imbarazza i suoi deputati e i deputati vicini a Fini. Lo stesso giorno, più tardi, Bersani: “Bisognerà pensare a un altro governa , visto che questo non funziona”. Strana dichiarazione che lascia il tempo che trova oppure allude a progetti che non conosciamo. Come vedete è, il più delle volte, un discorrere quieto, di ordinaria routine politica. È scomparsa ogni traccia di legami tra oscura ricchezza, affari di mafia e ascendenza P2. È scomparso ogni riferimento all’ombra sempre più estesa della criminalità organizzata sulla politica, compresa la partecipazione, ricordata da Fini, di malavitosi al governo. Nessun accenno ai nuovi rapporti internazionali che legano l'Italia quasi solo a Gheddafi e a Putin, nessuna memoria dei respingimenti in mare, che continuano senza sapere quanti morti, quanti prigionieri nei campi libici, quanti diritti negati si verificano ogni giorno, a spese e sotto la responsabilità dell'Italia (come ci viene rimproverato da tutte le organizzazioni internazionali) mentre crollano i pilastri della sanità, della scuola, del lavoro, mentre l’attacco alla giustizia diventa furibondo e ci viene detto che la disoccupazione giovanile è al 29.2%.
Non vedere nulla, tranne un governo imperfetto da correggere, modificare, qualche volta sgridare, ma sempre tentando di migliorare la loro merce con qualche volenteroso contributo un po' qua, un po' là, mi appare come un distacco grave e pericoloso dalla realtà. Questo Pd, con la sua voglia forzata di ottimismo e normalità ricorda il triste caso del bambino sonnambulo di Roma. “Ci sono tanti casi – pare che abbiano detto i medici ai genitori – non preoccupatevi, di solito non cadono”. Il bambino sonnambulo di Roma è caduto. Ed è morto.

il Fatto 4.7.10
Predatori a caccia di bambini
Record del turismo sessuale all’Italia: 80mila maschi, un terzo pedofili
di Marco Politi

Estate. Parte la caccia dei predatori sessuali. La vacanza come grande occasione per abusare di bambine e bambini. Anche i Mondiali di Johannesburg sono terreno di manovra di questo ignobile sport. Da mesi gli organismi internazionali di protezione dei minori e le autorità locali hanno lanciato una campagna per tutelare i ragazzi a rischio. Si chiamano Travelling Sex Offenders i predatori con il biglietto aereo. L’Italia detiene un triste record. Primi in Europa sono gli 80 mila maschi italiani. “Ai primi posti in Kenya, Brasile, Thailandia, Cuba, Santo Do-mingo – spiega Marco Scarpati, presidente dell’Ecpat Italia – e quasi un terzo sono pedofili. Una ricerca dell’Università di Parma rivela che dopo i pedofili quaranta-cinquantenni è spuntata una fascia di giovani neanche trentenni, di tutti i ceti, sposati e non sposati, non più esclusivamente di reddito medio-alto, più dell’80 per cento eterosessuali”.
Per il Brasile e la Thailandia, in certe stagioni, partono charter a pieno ritmo. L’Unicef, l’organizzazione Onu per l’infanzia, denuncia che ogni anno un milione e mezzo di bambini finiscono nel giro della prostituzione. Ecpat sta per “End Child Prostitution, Pornography and Trafficking” e Scarpati, professore di Tutela internazionale dei diritti del minore all’Università Bicocca di Milano, descrive ciò che spinge il pedofilo al turismo sessuale: “Il senso di impunità, la convinzione di stare in un luogo sicuro, l’ideologia del compro-pago-mi diverto”. La sensazione di onnipotenza rende voraci. “In due settimane il predatore è capace di avere rapporti con venti partner diversi”. La mappa degli sfruttati è estesa. In Thailandia sono in vendita 300.000 bambini, nelle Filippine 200.000, nel sud della Cina 600.000, in India quasi altrettanti, 370.000 nel Messico. Una vergine impubere, in Cambogia, si affitta per 150 dollari: il trafficante, per portarsela via, può pagare circa 14.000 dollari per poi rivenderla in un bordello giapponese a 80.000 dollari. Il business della tratta (dove gli sfruttati sono all’ottanta per cento bambini) rende alle gang criminali profitti per 32 miliardi di dollari l’anno. Internet ha infranto i tabù, soggiunge Scarpati. La frequenza dei siti pedofili trasmette l’impressione che “lo fanno tutti”. Sui siti a luce rossa c’è un meccanismo di trascinamento verso la pedofilia. Chi clicca su un porno qualsiasi, dopo due-tre schermate viene bombardato da video su minori. E le proposte diventano sempre peggiori. Il viaggio programmato evidenzia l’approccio lucido del pedo-filo. “Le dinamiche dell’abusatore – sottolinea Emanuele Jannini, docente di Sessuologia a L’Aquila – sono studiate a tavolino, non nascono da impulsi né si manifestano in comportamenti abnormi. Al contrario. Dal padre di famiglia al parroco, dall’operatore di centri sportivi al guardiano di camping, il pedofilo è perfettamente integrato nella società. È il marito normale, non ha l’aspetto dell’orco. E perciò è invisibile”. Alla radice il fenomeno, trasversale nella società, non ha niente a che fare con il piacere del rapporto sessuale. Alcuni criminologi sostengono che l’abusatore “si masturba attraverso il corpo del bambino”. Nei paradisi di vacanza del Terzo Mondo (ma anche nell’Est europeo) il pedofilo trova “merce” a prezzi stracciati. Yasmine Abo-Loha, che per l’Ecpat ha girato molto, racconta quante volte siano le famiglie ad avviare alla prostituzione i bambini: “La fame, l’estrema povertà spinge i genitori a vendere i figli. Altre volte sono presi da trafficanti con l’inganno: la promessa di farli studiare o di mandarli a lavorare presso famiglie benestanti”. Le conseguenze sono drammatiche. “Il bimbo è ferito per sempre, si sente in colpa, ha un crollo di fiducia, avrà sempre problemi di socializzazione e difficoltà nei rapporti d’amore”. Uscire dal giro di prostituzione diventa difficilissimo. “Quasi sempre le vittime devono estinguere il debito dei familiari nei confronti dei trafficanti. Altre volte non sanno come sopravvivere. Oppure scappano dai centri di recupero, pensando che la vita di prima fosse meno noiosa”.
Due leggi, una del 1998 sulle “Nuove forme di schiavitù” e una del 2006 sullo “Sfruttamento sessuale”, forniscono un primo strumento per catturare i predatori anche all’estero. Ma i pedofili condannati sono rarissimi. Servirebbe uno spazio giuridico europeo con procedure semplificate oltrefrontiera. L’altro tipo di viaggi, quello meno appariscente, si svolge nelle case italiane. Sui computer. È la nuova frontiera degli adescamenti. Ragazzi che (con i genitori ignari nella stanza accanto) vendono performance erotiche sulla webcam in cambio di una ricarica di telefonino o di figurine del Pokemon. O su Facebook dove vengono iniziati con il pretesto dell’autocoscienza su problemi sessuali e trasformati in appuntamenti. La produzione di siti è incessante. Don Fortunato Di Noto, prete siciliano che da vent’anni fa monitoraggio, afferma di aver scoperto in un solo giorno 600 nuovi siti pedofili: “Dal 2003 al 2009 la mia associazione Meter ne ha denunciati 57 mila alla Polizia postale. Materiale indicibile, torture, catene, anche donne con neonati”. C’è una sorpresa per chi esplora il mondo di “insospettabili della porta accanto”: molti predatori non hanno l’aria braccata. Si muovono da freddi professionisti, occupano ruoli sociali rilevanti oppure pianificano un lavoro per stare accanto ai minori… magari nel reparto giocattoli di un grande magazzino. “Sono soggetti – dice Massimiliano Frassi, master in Criminologia in Inghilterra e presidente dell’associazione Prometeus – che si sentono sempre più pro-tetti e intoccabili. Ci sono reti di solidarietà invisibili, studi legali specializzati nel difendere gli abusatori, associazioni che proclamano di combattere le false accuse e gettano il discredito su chi fa le denunce”.
Neanche Frassi, però, avrebbe immaginato che poche settimane fa (nell’ambito del disegno di legge sulle intercettazioni) gli alfieri del centrodestra Quagliariello e Gasparri potessero presentare un emendamento per cancellare l’arresto in flagranza per chi compie “reati sessuali di lieve entità”. “Un macigno che impedirà il processo per direttissima dei pedofili”, reagì Anna Finocchiaro del Pd. Proteste di massa hanno sepolto l’emendamento. Per ora.
Gli strumenti legislativi
Due leggi, una del 1998 sulle “Nuove forme di schiavitù” e una del 2006 sullo “Sfruttamento sessuale”, forniscono un primo strumento per catturare i predatori anche all’estero. Il centrodestra ha presentato un emendamento al ddl intercettazioni per cancellare l’arresto in flagranza per chi compie “reati sessuali di lieve entità”

l’Unità 4.7.10
Le segnalazioni aumentano, mai tempi di risposta di polizia e magistratura si allungano
Giardullo (Silp Cgil) «Chi dice che si può tagliare garantendo comunque la sicurezza mente»
Ecco come tagli e burocrazia lasciano le donne senza difesa
di Mariagrazia Gerina

Telefono Rosa e Differenza Donna difendono gli strumenti messi a disposizione dalla legge anti-stalking e il ruolo delle forze dell’ordine. «Ma la mancanza di risorse rischia di comprometterne l’efficacia».

Donne che hanno paura di fare la stessa fine delle donne uccise dallo stalker seriale. Figli che hanno paura per le proprie madri: «Non ce la faccio più a vedere mio padre, il suo ex marito, che la tormenta». Persino una anziana donna che a 79 anni vive nel terrore dell’ex marito di 83. Il Telefono Rosa in questi giorni squilla in continuo. L’ultima richiesta di aiuto arriva da una ragazza che ha troppa paura di restare a casa sua. E chiede di essere accolta in una abitazione protetta. La cronaca che ogni giorno sforna nuove morti funziona come un campanello d’allarme. A marzo, a un anno dall’entrata in vigore della legge le denunce erano già più di 7mila. E poi c’è l’estate: «Le amiche partono, i vicini di casa anche e le vittime di stalking si ritrovano più isolate che mai», spiega la presidentessa di Telefono Rosa Gabriella Moscatelli.
Il primo consiglio per le vittime di stalking che vedono a rischio la loro incolumità è chiedere l’intervento immediato del questore. Uno strumento che permette di bloccare subito il molestatore, senza attendere che l’escalation raggiunga gli esiti più drammatici, Utilissimo, a patto che venga applicato in modo tempestivo. «Così avveniva all’inizio», racconta Eugenia Scognamiglio, avvocatessa di Telefono Rosa. Istanze esaminate in pochi giorni, risposte immediate. «Adesso invece le istanze sono aumentate e anche i tempi di risposta, arrivati fino a 3-4 mesi». Un’attesa infernale per una donna che vive una situazione di estremo disagio e di rischio.
La disponibilità da parte delle forze di polizia non c’entra: le domande sono tante e probabilmente il personale a disposizione è troppo poco, spiegano le associazione. «A Roma, per esempio, abbiamo fatto un grande lavoro di sensibilizzazione insieme alla Squadra Mobile», ricorda Anna Baldry, di Differenza Donna, responsabile dello sportello anti-stalking istituito nel 2007 prima ancora che entrasse in vigore la legge, che ha allargato ulteriormente il margine di intervento delle forze di polizia. Fondamentale non solo nel caso in cui la donna non abbia ancora sporto denuncia ma anche per affrontare il lungo periodo che intercorre eventualmente tra la notizia di reato e il giudizio. Tanto più che i giudici, che pure potrebbero adottare misure cautelari a difesa della donna spesso sottolinea Baldry scontano una mancanza di «strumenti adeguati alla valutazione del rischio». Il punto è che anche il questore per firmare l’ammonimento ha bisogno che venga esaminata la raccolta dei fatti e questo richiede tempo e personale. Lo sportello Anti-stalking ha anche creato una «Agendalba» per guidare le donne nella raccolta di tutti i dati che possano essere utili alla loro causa. Ma il problema resta.
«Quando si riduce il personale, i mezzi, le ore di straordinario è evidente che diminuiscano le capacità di contrasto anche in un campo sensibile come il contrasto alla violenza», rilancia la denuncia delle associazioni Claudio Giardullo, del Silp Cgil: «Chi racconta al paese che si possono mantenere gli stessi livelli di sicurezza in presenza di una riduzione della spesa dice il falso».

il Fatto 4.7.10
Ti picchio ma solo un po’
di Silvia Truzzi

Leggere con attenzione la seguente storia, come si fa con le avvertenze dei farmaci (gli effetti collaterali sono particolarmente spiacevoli). Sandro F. era stato condannato in primo grado dal Tribunale di Sondrio, nel settembre 2005, e anche la Corte d’appello di Milano, nell’ottobre 2007, lo aveva ritenuto colpevole di maltrattamenti ai danni della moglie Roberta B. Pena: 8 mesi di reclusione con le generiche. Motivazioni della Corte d’appello: “La responsabilità dell’imputato era provata sulla base di sue stesse ammissioni, anche se parziali, e sulla testimonianza di medici, conoscenti e certificati medici, da cui si ricava una condotta abituale di sopraffazioni, violenze e offese umilianti, lesive della integrità fisica e morale” della moglie sottoposta a “continue ingiurie, minacce e percosse”. Sandro F. decide di appellarsi alla Suprema Corte in cerca di giustizia. E finalmente la trova. Perché “i fatti appaiono risolversi in alcuni limitati episodi di ingiurie, minacce e percosse nell’arco di tre anni (per i quali la moglie ha rimesso la querela), che non rendono di per sé integrato il connotato di abitualità della condotta di sopraffazione necessaria alla configurazione del reato di maltrattamenti”. Ciliegina sulla torta: “La condizione psicologica di Roberta B. per nulla intimorita dal comportamento del marito, era solo quella di una persona scossa, esasperata, molto carica emotivamente”. Condanna annullata. È tutto vero, come il caldo che in questi giorni è piombato sulla Capitale e sui cervelli di chi ci vive e sentenzia. Se per caso sei una donna equilibrata e forte due ceffoni te li puoi anche prendere. Senza “intimorirti”, al massimo ti esasperi un po’. È assai curioso che per definire l’esistenza di un reato e quindi la colpevolezza (soprattutto in caso di violenza) si utilizzi l’atteggiamento psicologico della vittima: l’elemento soggettivo di norma riguarda chi il reato lo commette e non chi lo subisce. Ma sarà un caso di giustizia creativa, come quello dello stupro impossibile con i jeans. Altrettanto stupefacente è che ingiurie, minacce e percosse – se si verificano in alcuni “limitati” episodi non siano giudicate gravi. Se ti picchio solo qualche volta - non proprio tutti i giorni come il famoso proverbio cinese - allora va bene. Altro proverbio: “Tra moglie e marito non mettere il dito”. Aggiornamento della Cassazione: “Nemmeno se lui alza le mani”

l’Unità 4.7.10
Le minacce nel lager
«Se ci provate di nuovo possiamo ammazzarvi»
Dal campo di detenzione libico di Brak il racconto delle torture psicologiche subite dai prigionieri eritrei. L’ottimismo dell’inviata di Frattini, Margherita Boniver. «Prevarrà l’equilibrio tante volte dimostrato dalle autorità libiche»
di Umberto De Giovannangeli

Potete ritenervi fortunati. Se ci provate di nuovo, se osate protestare, vi ammazziamo legalmente. Per noi non è un problema...». Il responsabile del lager di Brak li ha riuniti nella notte. Gli aguzzini in divisa hanno fatto la conta, e visto che c’erano hanno ripreso a manganellarli. Poi li hanno condotti in una sala attigua alla stanzetta fetida in cui da tre giorni sono rinchiusi in novanta. Non bastano le percosse. Non bastano il cibo e l’acqua centellinati; non basta aver negato qualsiasi cura medica a diciotto di loro feriti. Le torture sono anche psicologiche. E anch’esse lasciano il segno. Cronaca da un inferno. L’inferno del carcere di Brak, nel Sud della Libia, dove sono stati deportati oltre 200 eritrei. Fortunati. Lo ripete il capo del lager. con un ghigno che fa paura a chi è già attanagliato dal terrore. . Fortunati per non essere stati fatti fuori subito. La loro colpa è aver osato ribellarsi. E chi lo fa, nella Libia del «caro amico Muammar» (Berlusconi dixit) puoi finire, dimenticato, in un carcere speciale, dove puoi morire senza che nessuno lo venga a sapere.
Chi ha potuto parlare con qualcuno di loro, riferendolo a l’Unità, racconta di una situazione che resta drammatica. Il cibo scarseggia. Così l’acqua. Nessuna assistenza medica per i feriti. Privati di ogni cosa, nudi, senza neanche una coperta per coprirsi. Le notizie si accavallano. Alcune sono drammatiche: tre feriti sono stati portati via. Di loro non si ha più notizia dall’altra notte. C’è chi spera che siano stati portati in ospedale. C’è chi tema che siano morti. «Se vi va bene, tra qualche giorno vi rimanderemo da dove siete venuti...», ripete il capo del lager. Deportati in Eritrea, da dove avevano cercato di fuggire. Se vi va bene...E se va male, finirete in un carcere speciale, perché, ripete il capo del lager, «voi siete un pericolo per la sicurezza nazionale» della Libia. Un pericolo da cancellare. Distruggere. con ogni mezzo.
Salvarli è una corsa contro il tempo. Una corsa ad ostacoli. «RispedirciinEritrea-diceunodiloro-ècome condannarci a morte. Se vogliono deportarci, che sia fatto in un Paese terzo, disposto ad accoglierci». Questo Paese potrebbe, dovrebbe essere l’Italia. È una speranza. Che non va lasciata cadere nel vuoto. Il «vuoto» che rischia di inghiottire 245 vite umane. «Il governo italiano ha attivato tutti i canali utili» affinché la vicenda dei detenuti eritrei in Libia «si concluda positivamente», assicura Margherita Boniver, presidente del Comitato Schenghen e inviato speciale per le emergenze umanitarie del ministro Frattini. Ma nel presente dei disperati di Brak la parola «speranza» non esiste. Il presente è un sonno inquieto, spezzato ogni due ore nella notte da agenti della sicurezza libici che irrompono nella stanza, fanno la conta e picchiano. E le cose non sono migliori nel Centro di detenzione di Misratah, dove sono rimasti una parte di loro: 32 uomini, 13 donne, 7 bambini, alcuni dei quali neonati. Don Mussie Zerai l’infaticabile sacerdote e animatore dell’agenzia Habesha, Ong che si occupa dei migranti africani è riuscito a raccoglierne la testimonianza: «I nostri cacerieri raccontano continuano a picchiarci, a insultarci...Il cibo è poco e quello che ci danno non va bene per i bambini...». Chissà se queste testimonianze riusciranno a incrinare le granitiche certezze di Margherita Boniver: « Siamo certi afferma l’inviata del ministro Frattini ha concluso che ancora una volta prevarrà l'equilibrio e la capacità di gestire situazioni complesse tante volte dimostrati dalle autorità libiche». Di «equilibrio» nel lager di Brak non c’è traccia. E «capacità di gestire situazione complesse» fatica a intravedersi nella vicenda di 245 immigrati eritrei trasferiti a forza da Misratah a Brak oltre mille chilometri di distanza ammassati come bestie in 2 container di ferro, in condizioni inumane e degradanti per l'alta temperatura, il sovraffollamento e la mancanza d'aria. «Continuano a picchiarli riferisce a l’Unità un giovane un eritreo in contatto con alcuni di loro temono di non sopravvivere». «Ci sono donne e bambini svenuti qua in mezzo...ci manca l’aria», aveva raccontato uno dei deportati al collega Gabiele Del Grande. Donne e bambini. Anche loro sono un «pericolo per la sicurezza» del Colonnello Gheddafi...E sarà per ragioni di sicurezza», che ai 245 immigrati eritrei sono stati portati via gli indumenti, quel poco di denaro che avevano con sé, gli orologi, i cellulari...
“Siete fortunati, potevamo ammazzarvi legalmente...Questa è la «legge» che vige nel lager di Brak. Per i disperati senza diritti è un’altra notte di paura. Di non vita...

l’Unità 4.7.10
Radicali: «Subito una missione parlamentare in Libia»

Il Parlamento invii una missione in Libia per verificare la situazione dei 300 eritrei. Lo chiede il senatore Marco Perduca, co-vicepresidente del senato del Partito Radicale Nonviolento. «L'ennesima notizia tragica che proviene dalla Libia deve trovare una pronta risposta istituzionale, basata sul rispetto della parola data e il tradizionale spirito umanitario italiani», dice. «Infatti, in occasione della scellerata ratifica del trattato Italia-Libia al Senato, il Governo spiega espresse parere favorevole su un ordine del giorno del Presidente Marcenaro che chiedeva il coinvolgimento del Parlamento nel monitoraggio dell' applicazione dell'accordo con Tripoli. Considerato che l'Italia, seppur nella sua restrittiva interpretazione della convenzione sui rifugiati del '51, ritiene comunque gli eritrei tra i popoli a rischio persecuzioni, credo che Camera e Senato debbano chiedere al Governo di mantenere la parola data e inviaresenza indugio una delegazione in Libia conclude Perduca per valutare la situazione».

Repubblica 4.7.10
Pedofilia in Belgio il Grande Inquisitore tra i Cardinali
Angeli e demoni
di Andrea Bonanni

Una cattedrale, una cripta, due tombe violate alla ricerca di prove. Blitz della polizia, dossier confiscati. Anatemi del Vaticano e lettere del Papa. Nel Belgio cattolico e laico, fiammingo e vallone, una storia che sembra scritta da Dan Brown. Protagonista, un uomo misterioso: il sostituto procuratore che mette sotto inchiesta la chiesa per pedofilia
Di Wim De Troy si sa poco o nulla Si è occupato con successo di tratta di esseri umani
In passato ha fatto arrestare un collega accusato di passare informazioni alla malavita

Le tombe di due eminentissimi cardinali, Jozef-Ernest Van Roey e Leon-Joseph Suenens, defunti arcivescovi di Mechelen-Bruxelles, perquisite nella cripta della cattedrale di Saint-Rombaut. Cinquecento dossier riservati sui casi di pedofilia nella Chiesa confiscati. L´intera conferenza episcopale sequestrata per nove ore dalle forze dell´ordine durante una perquisizione nella sede dell´arcivescovado. I vescovi che si vedono requisire il telefonino. Il nunzio apostolico che viene rilasciato solo dopo aver invocato l´immunità diplomatica di rappresentante dello Stato Vaticano. Il computer dell´ex primate del Belgio, cardinal Danneels, sequestrato e sottoposto a perizia per ricostruire i file rimossi. Gli anatemi del segretario di Stato vaticano e le accorate lettere del Papa. Un uomo, un solo uomo dietro tutto questo. Un magistrato, un sostituto procuratore del re, una versione laica e secolare di grande inquisitore. Si chiama Wim De Troy.
C´è un po´ di romanzo gotico d´appendice e molto di Dan Brown nella vicenda dei preti pedofili in Belgio, degenerata in una spirale di sospetti velenosi. Il giornale fiammingo De Morgen scrive che i magistrati sospettano la Chiesa belga di aver volutamente e sistematicamente coperto i sacerdoti accusati di pedofilia e ipotizzano contro i vertici religiosi nazionali una incriminazione per associazione a delinquere. Il quotidiano cattolico La Libre Belgique parla apertamente di un complotto della massoneria «che avrebbe per obiettivo la distruzione della Chiesa» e di cui il sostituto procuratore a capo dell´inchiesta sarebbe un esponente.
Le gerarchie ecclesiastiche e gli esponenti politici cercano di mantenere il sangue freddo. Ma in un Paese che, oltre alla tradizionale divisione tra fiamminghi e valloni, è anche attraversato da una profonda spaccatura tra una cultura cattolica molto radicata e un laicismo duro, dai toni risorgimentali, la tensione innescata dall´inchiesta della magistratura è difficile da controllare. «Non bisogna cedere alla tentazione di gridare al complotto - dice a Repubblica padre Eric De Beukelaer, portavoce della Conferenza episcopale belga - Capisco la collera e l´irritazione per il sequestro dei dossier e per la violazione delle tombe dei cardinali. Ma in una situazione come questa occorre che la ragione prenda il sopravvento. Fino a prova contraria dobbiamo avere fiducia nel nostro sistema democratico».
In realtà la chiesa cattolica, nel pieno della bufera per i casi di pedofilia che stanno emergendo un po´ dovunque, dagli Stati Uniti alla Germania, dall´Italia all´Irlanda, per la prima volta si trova di fronte a una giustizia che procede a perseguire i reati senza alcuna considerazione per l´istituzione in seno alla quale sono stati commessi. L´accordo che era stato raggiunto tra i vertici dell´episcopato belga e il ministero della Giustizia, per consentire il lavoro della commissione indipendente creata dai vescovi, è saltato di fronte alla determinazione del sostituto procuratore De Troy.
Di lui si sa poco o nulla. Per nulla incline ai riflettori, tantomeno alle interviste, il giudice che ha distrutto l´aura di intoccabilità della chiesa cattolica, ha fama di uomo integerrimo. In passato non ha esitato a far arrestare un collega accusato di passare informazioni alla malavita sulle inchieste in corso. Perfettamente bilingue, è stato a lungo il portavoce della procura di Bruxelles. Da quando ha assunto l´incarico di magistrato inquirente, quattro anni fa, si è occupato con successo di numerosi casi di droga, di omicidi e di tratta di esseri umani. Nulla trapela della sua vita privata, foto introvabili, niente dichiarazioni, niente di niente. Come se la sua funzione e la sua carica esaurissero da sole la sua figura. Anche la politica ha dovuto piegarsi di fronte all´indipendenza della magistratura perfettamente incarnata da De Troy. «I giudici agiscono in piena autonomia e hanno il dovere di perseguire le indagini sui crimini di cui sono venuti a conoscenza utilizzando tutti i mezzi che ritengono necessari», ha ammesso il ministro della Giustizia Stefaan De Clerck.
Così il grande inquisitore va vanti per la sua strada. Di fronte a lui ci sono due alti prelati che rappresentano i due volti del cattolicesimo belga. L´uomo accusato di aver protetto i pedofili in seno alla Chiesa è il cardinale Godfried Danneels, fiammingo, per trent´anni primate del Belgio ed esponente di spicco dell´ala più progressista dell´episcopato europeo. Le sue posizioni sulla contraccezione, sui preservativi, considerati «un male minore» rispetto al pericolo dell´Aids, lo hanno spesso visto in contrapposizione a Ratzinger. L´anno scorso ha lasciato l´incarico per limiti di età, ma resta comunque una personalità influente nella Chiesa belga e un punto di riferimento per il cattolicesimo progressista.
Il suo successore è monsignor Leonard, di origini francofone, docente di filosofia, perfettamente allineato con la posizioni conservatrici di Benedetto XVI. Considera l´omosessualità un comportamento anormale, frutto di una distorsione dello sviluppo psicologico normale. E Le Soir riporta sue dichiarazioni che definiscono l´epidemia di Aids «una sorta di giustizia immanente» a causa dei comportamenti sessuali devianti. Appena nominato primate del Belgio, Leonard ha fatto sua la nuova politica vaticana di tolleranza zero verso i casi pedofilia in seno alla Chiesa. E subito si è trovato a dover gestire le dimissioni del vescovo di Bruges, reo confesso di aver avuto rapporti con un minore. Di fronte all´esplodere di sempre nuovi casi di abuso in seno al clero, in particolare nelle Fiandre, Leonard non ha esitato a chiedere perdono alle vittime in nome della Chiesa e a criticare «la sottovalutazione» del fenomeno da parte del suo predecessore. Ma certo ora, dopo le perquisizioni e i sequestri e mentre il Vaticano grida alla persecuzione, deve trovare una difficile convivenza con il grande inquisitore che sta perseguitando i crimini di pedofilia senza guardare in faccia nessuno.

Repubblica 4.7.10
Quando Cesare vuole giudicare Dio
di Agostino Paravicini Bagliani

I rapporti tra la Chiesa e la giustizia, che accompagnano la storia del cristianesimo fin dalla sua affermazione storica sotto l´imperatore Costantino († 337), hanno conosciuto da sempre oscillazioni e situazioni conflittuali. Pur considerando il cristianesimo religione di stato, Costantino ordinò che le cause dottrinali dei donatisti fossero portate davanti al giudice imperiale. L´imperatore Giustiniano intervenne in modo ancor più incisivo nella vita interna della Chiesa, garantendo sì protezione ma anche il rispetto di sanzioni in caso di violazione della legge. Il suo Codice (533) regolava in modo dettagliato i problemi disciplinari anche di preti e diaconi. L´imperatore permise persino a ciascuno di denunciare all´imperatore contravvenzioni alla legge.
Costantino aveva però anche concesso ai vescovi di poter giudicare le cause civili riguardanti i semplici chierici, e così si comporteranno i concili fin dal Quarto secolo. Il Concilio di Ippona (393), di cui Agostino era il vescovo, minacciò di deporre il chierico che avesse sottomesso una causa, civile o criminale, al giudice secolare. Nacque dunque già nel Quarto secolo quello che i giuristi del Medioevo e dell´età moderna chiameranno il «privilegio del foro». Anche Carlomagno legiferò con i suoi numerosi "capitolari" sulla disciplina del clero, pur concedendo ai vescovi ampi spazi giurisdizionali. La situazione cambiò radicalmente nell´Undicesimo secolo, in seguito alla volontà del papato romano di liberarsi dalla tutela dei grandi signori laici. Uno dei punti fermi della lotta contro le investiture fu proprio la "libertà della Chiesa" anche in termini giurisdizionali. Papi come Alessandro III (1159-1181) e Innocenzo III (1198-1216) estesero alle autorità ecclesiastiche tutte le cause civili e criminali riguardanti il clero, lasciando alle autorità civili il diritto di giudicare le cause di natura feudale. Nacquero così nuovi gravi conflitti con i poteri laici che tentarono sovente di opporsi, giungendo in molte regioni dell´Europa medievale a una sorta di compromesso. Si distinse infatti tra la deposizione e la degradazione dei chierici colpevoli dei più gravi delitti. La deposizione, che non comportava la perdita dei privilegi, fu riservata alla giustizia ecclesiastica. Con la deposizione si sanzionavano crimini come la lussuria. La degradazione, ancora più severa, veniva invece decisa anche da giudici laici. Il rituale prevedeva che con un coltello o un vetro si raschiasse la pelle delle dita del chierico (che servono a consacrare l´Eucarestia) e si scalfisse con delle forbici la tonsura (simbolo della sua dignità). L´esecuzione della sanzione finale (generalmente il rogo) spettava all´autorità civile.
Come ebbe ad affermare Gregorio VII (1075-1084), «il papa non poteva essere giudicato da nessuno» (Dictatus pape). Soltanto in caso di eresia, poteva però essere deposto da un concilio. Ed è proprio per farlo deporre da un concilio che Guglielmo di Nogaret, in compagnia di Sciarra Colonna, catturò ad Anagni (settembre 1303) papa Bonifacio VIII (1294-1303) cui aveva rivolto fin dal 1302 gravissime accuse, come quella di adorare gli idoli, di essersi dato a pratiche magiche e quant´altro. Accuse storicamente insostenibili ma che avrebbero permesso al re di Francia di trasformare il concilio parigino in un vero e proprio tribunale. L´affermarsi del diritto canonico medievale, e poi il Concilio di Trento, confermarono l´eccezionalità delle prerogative giurisdizionali ecclesiastiche, dovendo però sempre fare i conti con forti resistenze e tradizioni locali. Del resto, anche il Codice di diritto canonico del 1917 prevedeva la possibilità di deroghe locali che tra Otto e Novecento furono sovente oggetto di negoziati concordatari.

Repubblica 4.7.10
La sessualità secondo la Chiesa di oggi
risponde Corrado Augias

Gentile Augias, qualche giorno fa una ragazza di 22 anni va in chiesa per confessarsi. L'anziano sacerdote la interrompe per chiederle se è fidanzata. Imbarazzata lei risponde di sì. Il prete le dà un foglio, con una serie di precetti da osservare durante il fidanzamento. Poi le chiede se è vergine; lei risponde di sì. Sta mentendo, lo fa per non sentirsi giudicata, offesa nella sua intimità. Purtroppo la ragazza si è disfatta del documento. Ne ho cercato una copia ma senza riuscire. Il luogo è la Basilica di San Nazaro Maggiore, parrocchia al centro di Milano, pochi passi dal Duomo. Uno dei concetti che più mi ha colpito (non riporto testualmente ma solo il senso) è che le manifestazioni di affetto devono limitarsi a bacio, carezza o abbracci, purché non talmente intimi da provocare polluzione o orgasmo. Ricordo che quando frequentavo il catechismo, per ricevere la cresima, una delle perplessità più forti, in tema di dogmi cattolici, era sul mistero della Madonna, rimasta incinta per opera dello spirito santo. Mi chiedevo: è davvero così inconciliabile, per un credente, immaginare la Madonna unita carnalmente a suo marito Giuseppe? Capii che non sarei diventato un buon fedele proprio perché incapace di accettare quei dogmi. Sicuramente, la prima qualità che deve avere un cattolico, è credere a prescindere, io non ce l'avevo.
Erminio Cervello erminio.ce@libero.it

I rapporti della Chiesa con la sessualità sono sicuramente travagliati ma opzioni diverse da quelle del prete milanese sono possibili. Una concezione tendenzialmente sessuofobica si trova a competere con una visione ormai prevalente nel mondo che è opposta, vorrei dire esageratamente opposta. La signora Francesca Ribeiro ( ribesca@tiscali.it ) mi segnala per esempio: «La Curia torinese ha bocciato la delibera di iniziativa popolare che dice sì alle unioni civili affermando: "In sintonia con il magistero del Papa e dei vescovi italiani, non ci stancheremo di proporre alle giovani generazioni il modello millenario di famiglia che Gesù Cristo ha confermato come il progetto di Dio valido fin dal principio". Quale modello? Maria e Giuseppe non avevano rapporti coniugali. Per Gesù (Mt 12, 49-50) i suoi discepoli erano madre e fratelli "chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi mi è fratello, sorella e madre". La sua preoccupazione era l'amore, da lì viene la vera famiglia». C'è per fortuna anche una corrente di teologia più aggiornata. Per il prof. Vito Mancuso ad esempio: «Ci sono credenti che aderiscono alla verità non per obbedire ma per amore della verità stessa e del bene del mondo. Deve finire, forse è già finita, l'epoca dei teologi e dei cristiani sotto tutela». Voglio credere, spero, che Mancuso abbia ragione.

Repubblica 4.7.10
Disegnare il tempo
Storia occidentale di un enigma
di Umberto Galimberti

Gli antichi greci ricordavano il succedersi delle Olimpiadi, i romani i governi dei consoli. Persiani ed ebrei elencavano i loro re Rappresentare lo scorrere dei secoli è stato da sempre uno degli assilli dell´uomo Adesso, un gruppo di storici delle università di Princeton e dell´Oregon raccoglie e analizza per la prima volta in un volume gli esperimenti di cartografia cronologica realizzati dal Medioevo al Novecento
Quando è iscritto in un disegno, il tempo acquista un senso, e quando il tempo è fornito di senso, nasce la "storia" Non c´è infatti nel tempo ciclico che ripete se stesso, e neppure in quello progettuale che si esaurisce nel raggiungimento dello scopo


l tempo è un enigma. Ogni popolazione, ogni cultura, ogni civiltà se ne sono fatte una figurazione. Noi occidentali, che abbiamo le nostre radici nella grecità e nella tradizione giudaico-cristiana, abbiamo elaborato sostanzialmente tre concezioni del tempo, riferite rispettivamente alla natura, all´uomo, a Dio.
1. I greci, che considerano la natura come quell´orizzonte immutabile che, al dire di Eraclito, «nessun uomo e nessun dio fece», elaborano una prima figura del tempo che chiamano «ciclico», e che noi possiamo immaginare come successione delle stagioni dell´anno - primavera, estate, autunno, inverno e poi il ciclo ricomincia - o come successione delle stagioni della vita: nascita, crescita, maturità, vecchiaia, morte, perché la natura necessita della morte dei singoli individui affinché altre vite possano vivere. Nel tempo ciclico non c´è futuro che non sia la pura e semplice ripresa del passato. E perciò i vecchi che hanno visto più cicli, sono per questo i depositari del sapere.
2. Accanto al tempo ciclico della natura i greci individuano anche quel tempo tipico dell´uomo che anticipa degli scopi e si propone di raggiungerli. Chiamano questo tempo «scopico», da skopéo che significa «guardare, avendo ben in vista il bersaglio che si vuol raggiungere». Anche le parole italiane: micro-scopio, tele-scopio, endo-scopia, ribadiscono la qualità di questo sguardo che tende a uno scopo. Il tempo scopico, che possiamo chiamare anche "progettuale", perché l´uomo pro-getta, getta innanzi, anticipa lo scopo che vuole raggiungere, non guarda il passato, ma il futuro. Non un futuro lontano, ma un futuro prossimo, perché solo la prossimità traduce le cose in "mezzi" e in "fini". Infatti, se dispongo di denaro sufficiente per comprare una casa, ma sul mercato non ci sono case, quel denaro non è un "mezzo" per comprare una casa; allo stesso modo se ci sono case, ma non denaro per acquistarle, quelle case non sono un fine, ma un sogno. Perché qualcosa sia mezzo e qualcosa sia scopo è necessario che i due siano temporalmente vicini, per cui il tempo scopico è un tempo breve, oggi e domani. È il tempo tipico della tecnica, che si propone di raggiungere il massimo degli scopi con l´impiego minimo dei mezzi.
3. La tradizione giudaico-cristiana introduce nella cultura occidentale una figura del tempo assolutamente imprevista dalla cultura greca. Si tratta del tempo «escatologico» dove alla fine (éschaton) si realizza quello che all´inizio era stato annunciato. A differenza del tempo ciclico e di quello progettuale, il tempo escatologico iscrive la temporalità in un "disegno" che va dall´origine alla fine del mondo. Quando è iscritto in un disegno, il tempo acquista un "senso", e quando il tempo è fornito di senso, nasce la "storia". Non c´è infatti storia nel tempo ciclico che ripete se stesso, e neppure nel tempo progettuale che si esaurisce nel raggiungimento dello scopo.
Il cristianesimo, annunciando all´uomo una sopravvivenza ultraterrena, ha immesso nella cultura occidentale un´enorme carica ottimistica investita sul futuro. Per il cristianesimo infatti il passato è male (colpa originaria), il presente è redenzione, il futuro è salvezza. Questa differenza qualitativa delle figure del tempo la ritroviamo pari pari nella scienza, per la quale il passato è ignoranza, il presente è ricerca, il futuro è progresso. Lo stesso si può dire per la sociologia prima illuminista e poi marxista, per le quali il passato è ingiustizia, il presente rivoluzione, il futuro giustizia sulla terra. Così ragiona la psicoanalisi: il passato è trauma o nevrosi infantile, il presente è analisi, il futuro è guarigione.
Tutto è cristiano in Occidente, perché, in ogni sua espressione, questa cultura è percorsa da una carica ottimistica orientata al futuro, promossa dall´annuncio della salvezza, di cui il progresso scientifico, la giustizia sociale, la guarigione della malattia sono le sue figure laicizzate. Ne consegue che quando papa Ratzinger invoca il riconoscimento delle radici cristiane dell´Occidente, a mio parere chiede troppo poco, perché non solo le radici, ma il tronco, i rami, le foglie, i frutti, tutto è cristiano in Occidente, per effetto della concezione escatologica del tempo, dove alla fine si realizza quello che all´inizio era stato promesso.
Ma Nietzsche, circa un secolo e mezzo orsono, ha annunciato che «Dio è morto». Che significa? Significa che se nel Medioevo l´arte è sacra, la letteratura è inferno, purgatorio, paradiso, persino la donna è donna-angelo, Dio è vivo, perché crea un mondo che non riuscirei a capire se togliessi la parola "Dio". Ma se tolgo la parola "Dio" dal mondo contemporaneo, lo capisco ancora? Direi di sì. Non lo capirei se togliessi la parola "denaro" o la parola "tecnica". Ciò significa che Dio è morto, che il mondo accade a prescindere da Dio. E, con la morte di Dio, muore la visione ottimistica sul futuro che rintracciamo in ogni espressione della storia d´Occidente. Dove si vede che la fisionomia delle civiltà dipende rigorosamente dalla concezione che esse si sono fatte del tempo.

Repubblica 4.7.10
Tra mappe celesti e teatri della memoria
di Gabriele Pantucci

il Tempio del tempo (Temple of Time) realizzò in America nel 1846 quello che l´umanista italiano Giulio Camillo Delminio (1480-1544) avrebbe voluto realizzare tre secoli prima. Delminio aveva ideato il Teatro della memoria: che in modello ligneo avrebbe contenuto l´impronta mnemonica di tutta la conoscenza universale. Lo spettatore, dal centro del palcoscenico avrebbe appreso i principi del neoplatonismo, del mito, dell´astrologia... ogni componente dello scibile. Li avrebbe ricordati grazie alle rispettive posizioni: su un gradino, in una nicchia, sul soffitto... perché noi siamo predisposti a ricordare le cose nel contesto del luogo, come aveva scritto Cicerone. Un´educatrice americana, Emma Willard, grazie ai suoi studi classici aveva ricordato il principio, realizzandolo sulla grande tavola del Tempio del tempo con la proiezione tridimensionale della cronografia storica. Le colonne a destra coi secoli nel vecchio mondo: decorate dai nomi dei grandi che li avevano dominati. Quella dimezzata del secolo in corso indicava già Napoleone nella sua parte inferiore. Sulla sinistra quelle del nuovo mondo. Le cinque lunghe corsie del soffitto erano carte biografiche: statisti, filosofi e inventori, teologi, poeti e pittori e guerrieri. Sul pavimento la carta dello scorrere storico del tempo. La tavola, in colori brillanti su sfondo nero, ebbe successo e molti studenti americani avrebbero ricordato per il resto delle loro vite le successioni storiche grazie all´intelligente concatenazione.
Lo spirito pratico del diciannovesimo secolo si profuse nella creazione di strumenti che contribuissero alla diffusione del sapere rispondendo all´antico quesito: come si rappresenta il tempo? I greci incidevano sulle lapidi il succedersi delle Olimpiadi, i romani quello dei consoli, mentre ebrei e persiani elencavano i re. Soltanto nel quarto secolo il teologo cristiano Eusebio di Cesarea stese la prima linea del tempo. Due storici americani - Anthony Grafton della Princeton University e Daniel Rosenberg della University of Oregon - hanno osservato che i problemi formali e storici posti dalle rappresentazioni grafiche del tempo sono stati largamente ignorati. Col volume Cartographies of Time: A History of the Timeline (Princeton Architectural Press: www.papress.com), ricco di riproduzioni, hanno documentato quanto di più significativo si è fatto dal Medioevo. Il New York Times lo ha già definito «il libro più bello dell´anno». Dal monaco Hermann Rolewinck (Colonia 1502) che per primo sviluppò una cronaca del mondo in forma di codice di genealogia all´umanista tedesco Petrus Apianus (1495-1552) che creò una sorta di "computer astronomico", al domenicano Giovanni Maria Tolosani che introdusse nel 1537 prove astronomiche nelle sue tavole cronologiche. Ma è negli ultimi duecentocinquanta anni che si è sviluppata soprattutto in America una mini industria della riproduzione del tempo. Dalle mappe dell´atlante storico di Edward Quin, ai giochi di carte, al ventaglio di James Ludlow, fino all´umoristica interpretazione di Francis Picabia. Non va ignorato il Mark Twain´s Memory Builder che lo scrittore creò e fece brevettare per irrobustire la memoria dei connazionali .

sabato 3 luglio 2010

Repubblica 3.7.10
Da porporato a pontefice "Così il cardinale Ratzinger prese di mira i progressisti e lasciò impuniti i pedofili"
Il "New York Times" accusa Benedetto XVI
"I vescovi locali denunciavano il problema, ma il Vaticano restò inattivo"
di Federico Rampini

New York - Joseph Ratzinger, quando da cardinale dirigeva la Congregazione per la dottrina della fede, fu «parte di una cultura di non-responsabilità, negazionismo, e ostruzionismo della giustizia» di fronte agli abusi sessuali commessi da sacerdoti. Lo afferma il New York Times sulla base di documenti interni alla Chiesa, interviste a vescovi ed esperti di diritto canonico. Dal reportage emerge una versione molto diversa, sul ruolo di papa Benedetto XVI, rispetto alla descrizione ufficiale fornita dalla Chiesa. Tra le rivelazioni spunta un vertice segreto avvenuto in Vaticano nel 2000 tra Ratzinger e i vescovi delle nazioni anglofone più colpite dagli scandali di pedofilia: Stati Uniti, Irlanda, Australia. Secondo il vescovo Geoffrey Robinson di Sidney, che partecipò all´incontro segreto, Ratzinger «impiegò molto più tempo a riconoscere il problema degli abusi sessuali, rispetto a quel che fecero alcuni vescovi locali». Nell´intervista al New York Times il prelato australiano si chiede: «Perché il Vaticano era così tanti anni indietro?».
Il New York Times smonta la linea di difesa che la Santa Sede ha tenuto sull´attuale pontefice. Il Vaticano ha descritto come una svolta la decisione del 2001 di dare alla Congregazione diretta da Ratzinger l´autorità di semplificare le procedure e affrontare direttamente i casi di pedofilia. Dopo quella decisione, annunciata con una lettera apostolica di Giovanni Paolo II, il cardinal Ratzinger sarebbe emerso come uno dei più coraggiosi nel riconoscere la minaccia degli abusi sessuali per la reputazione della Chiesa. Tutto questo viene confutato nella ricostruzione del giornale americano. In realtà la Congregazione aveva già gli stessi poteri dal 1922, secondo diversi esperti di diritto canonico interpellati. La lettera del 2001 non segnò affatto una svolta. Al contrario, la Chiesa si decise ad agire solo in grande ritardo, sotto la pressione di alcuni vescovi anglofoni in prima linea negli scandali. «Per i due decenni in cui ebbe la guida della Congregazione», scrive il New York Times, «il futuro Papa non esercitò mai quell´autorità. Evitò di intervenire anche quando le accuse e i processi stavano minando la credibilità della Chiesa in America, Australia, Irlanda, e altri Paesi». Ancora oggi, prosegue l´articolo, «molti decenni dopo che gli abusi sessuali da parte dei sacerdoti sono diventati un problema, Benedetto XVI non ha istituito un sistema di regole universali» per affrontarlo. Al contrario permane tuttora «una confusione dilagante tra i vescovi, sul modo di affrontare le accuse».
Eppure i segnali d´allarme per il Vaticano vengono da lontano. Nel 1984 il reverendo Gilbert Gauthé di Lafayette, Louisiana, ammise di avere molestato 37 minorenni. Nel 1989 uno scandalo enorme scoppiò in un orfanatrofio cattolico del Canada. Nella prima metà degli anni Novanta 40 fra preti e monaci australiani erano sotto processo per abusi sessuali. Nel 1994 cadde un governo in Irlanda per avere negato l´estradizione di un prete pedofilo. A quel tempo il cardinal Ratzinger aveva consolidato la sua autorità al vertice della Congregazione, dove era stato nominato nel 1981. «È lui», sottolinea il New York Times, «che avrebbe potuto avviare azioni decisive negli anni Novanta, per impedire che gli scandali diventassero una metastasi, diffondendosi da un Paese all´altro». Ma le sue priorità erano altre. Fin dal 1981 Ratzinger aveva identificato «la minaccia fondamentale per la fede della Chiesa»: la teologia della liberazione, il movimento dei preti progressisti che si stava affermando in America latina. «Mentre padre Gauthé (il pedofilo, ndr) veniva processato in Louisiana, il cardinal Ratzinger stava sanzionando pubblicamente i preti del Brasile e del Perù per aver sostenuto che la Chiesa doveva impegnarsi a favore dei poveri e degli oppressi. I suoi strali colpirono poi un teologo olandese favorevole a dare funzioni ecclesiali ai laici, e un americano che sosteneva il diritto al dissenso sull´aborto, il controllo delle nascite, il divorzio e l´omosessualità». Per reprimere ogni velleità di autonomia delle Chiese nazionali, Ratzinger usò la sua autorità per affermare che le Conferenze episcopali «non hanno un fondamento teologico, non appartengono alla struttura della Chiesa». Un´offensiva fatale, scatenata proprio nella fase in cui alcune »onferenze episcopali nei Paesi anglofoni avevano cominciato ad affrontare gli scandali in modo aperto, e chiedevano di poter sanzionare i preti pedofili senza aspettare le lungaggini dei processi canonici.

il Fatto 3.7.10
Il feeling tra Chiesa e premier
Adesso si capisce perché Vaticano e B&C vanno così d’accordo. In effetti un cattolico praticante e, per la verità, anche un laico raziocinante, avevano qualche difficoltà a capire la solidarietà per B. da parte del Vaticano.
di Bruno Tinti

Adesso si capisce un po’ meglio perché Vaticano e B&C vanno così d’accordo. In effetti un cattolico praticante e, per la verità, anche un laico raziocinante, avevano qualche difficoltà a capire come le più alte gerarchie della chiesa cattolica continuassero a gratificare B. della loro affettuosa solidarietà nonostante la figura morale dell’uomo fosse certamente abbietta. Probabilmente nei cattolici destava minor stupore il fatto che B, colpevole di gravi reati e assolto per prescrizione a seguito di una legge costruita da lui e nel suo personale interesse, venisse ciò non di meno ricevuto in Vaticano; in fondo di reati fiscali, socie-tari, contro la pubblica amministrazione si trattava, il loro tasso d’immoralità poteva essere giudicato modesto da chi si occupa di anime e non di soldi (?). Meno comprensibile poteva sembrare che le gerarchie ecclesiastiche continuassero ad avere rapporti cordiali con persona amica di imputati e condannati per mafia, chi in primo grado, chi in secondo, chi in via definitiva, e che aveva addirittura ospitato in casa sua un riconosciuto mafioso: ma insomma, che mafia e religione costituiscano un binomio pressoché inscindibile (basta osservare l’esibita ma sincera devozione dei mafiosi frequentatori abituali delle messe) è noto a tutti. Certamente incomprensibile e incoerente era però il permanere di ottimi rapporti con persona che si scopava puttane previamente convocate in allegri festini presso la residenza di governo, che frequentava senza apparenti ragioni istituzionali o semplicemente amicali una minorenne, che era, ohibò, divorziato e risposato civilmente, ragione per la quale a milioni di fedeli è rifiutato il sacramento della comunione. Questo proprio non si riusciva a capire.
Fino ad oggi, veramente, quando abbiamo scoperto che anche le alte gerarchie ecclesiastiche sono convinte che gli unti dal signore meritino l’impunità giudiziaria. Magistratura e polizia belghe indagano su atti di pedofilia commessi da ecclesiastici? Cercano le prove di questi disgustosi delitti? Eseguono perquisizioni e, chissà, intercettazioni telefoniche (lì si può, pare che sia considerata una cosa intelligente da fare se si vogliono scoprire reati e colpevoli)? Addirittura trovano documentazione comprovante le violenze sessuali commesse da ecclesiastici in danno di bambini? Perfino sequestrano questa documentazione? E come reagisce la chiesa belga? La commissione nominata dalla conferenza episcopale si dimette per protesta: perché le indagini le dovevano fare loro per primi; poi, in piena trasparenza, ne avrebbero comunicato i risultati a polizia e magistratura. Da morir dal ridere, se non fosse drammatico.
Ma questa è la chiesa belga, si dirà, intemperanze alla periferia dell’Impero; che c’entra il Vaticano? Eh, non è stato il Vaticano a esprimere stupore e sdegno per le indagini della polizia belga? E non è stato tale padre Federico Lombardi, portavoce del Vaticano, a sostenere che le condotte tenute dalla Chiesa “non hanno inteso e non hanno favorito alcuna copertura di tali delitti, ma anzi hanno messo in atto un'intensa attività per affrontare, giudicare e punire adeguatamente tali delitti nel quadro dell'ordinamento ecclesiastico”? E alla fine non è stato il Vaticano che ha presentato un ricorso alla Corte Suprema degli Stati Uniti sostenendo la sua immunità a fronte delle denunce delle vittime di tale Andrew Ronan, un prete pedofilo, come tale noto alla sua gerarchia, che però si era limitata a trasferirlo di sede in sede ogni volta che veniva denunciato? E, alla fine, non sono stati lo stesso Papa e il cardinale Bertone ad incazzarsi con la polizia e la magistratura belghe? Così adesso si capisce perché c’è tanto feeling tra B. e il Vaticano. Sono tutti e due convinti di essere al di sopra della legge. Il Vaticano perché è unto dal Signore; e B. perché è unto dal popolo. È quest’originale battesimo che rende inapplicabile ai preti pedofili la giustizia secolare: i loro delitti saranno puniti “adeguatamente nel quadro dell'ordinamento ecclesiastico”. Il che comunque sarebbe sempre meglio (se davvero avvenisse, ma la storia di padre Ronan non autorizza molta fiducia) di quanto avviene nell’entourage di B&C, dove non solo non si “punisce” nessuno ma chi commette delitti fa carriera politica. Sarà perché in Italia manca una figura (per dire, vista l’impresentabilità di B&C, magari il presidente della Repubblica) che possa convincentemente affermare, come ha fatto il premier belga Yves Leterme: “Ciò che mi interessa, come primo ministro di questo paese, è che il potere giudiziario possa esprimersi in modo autonomo ed è proprio questo che sta succedendo. Le perquisizioni sono la prova che in questo paese c'è una separazione di poteri tra Stato e Chiesa e che il potere giudiziario può agire in modo autonomo”?

il Fatto 3.7.10
Una croce fondata sulla P2
Nasce un movimento per la difesa del crocifisso: ispirato dal Venerabile
di Carlo Tecce e Giampiero Calapà

Il crocifisso di legno cade tre volte dal trespolo di una lavagna. Le braccia dell’emozionato Roberto Mezzaroma che l’agitava, in quel momento mistico e (un po’) pacchiano, erano le protesi di Licio Gelli, il gran maestro della P2.
Il cosiddetto Venerabile ha ispirato il Movimento etico per la difesa internazionale del crocifisso (Medic), presentato nella sala congressi del Michelangelo di Roma, un albergo a pochi passi dal Vaticano. La politica è corsa a sostenere l’iniziativa: c’era Olimpia Tarzia, consigliere regionale Pdl, l’ex direttore del Tg1 Nuccio Fava, atteso invano l’ex mezzobusto del Tg1 Francesco Pionati (Adc) e sono stati annunciati telegrammi ricevuti (ma non letti) dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, dal presidente emerito Francesco Cossiga e dal “divo” Giulio Andreotti.
Il disegno dell’uomo P2
Per la Chiesa è un appuntamento imperdibile: don Walter Trovato, cappellano della polizia di Stato, è il primo a sedersi al tavolo degli oratori; l’anziano monsignore Antonio Silvestrelli è l’ultimo. Non èfacilecontareicollarinibianchi dei preti. Gelli ha scritto il codice etico e addirittura disegnato il simbolo dell’associazione: una sfera tagliata da cerchi concentrici su sfondo azzurro, una croce nera avvolta in una stretta di mano, quattro frecce ai bordi. Il Venerabile è nella sua Villa Wanda sulle colline di Arezzo: “Questa è la mia nuova battaglia - spiega al Fatto Quotidiano - e il colore scelto per il simbolo rimanda al mare, al cielo e al grembiule della Madonna, il resto a San Francesco e le frecce rappresentano i punti cardinali”. L’età avanzata ha impedito a Gelli di officiare la cerimonia in una sala moderna, affollata di uomini e donne vestiti con abiti scuri da sera nel caldo di mezzogiorno. Un amico di Gelli ha rimpianto l’assenza del Venerabile, criticando “la gestione troppo rude della cerimonia del costruttore Mezzaroma”. Accenti che si mescolano, spillette che si confondono. Segni, simboli, messaggi più o meno occulti, più o meno massonici. Il secondo capitolo di uno Statuto suggellato da Gelli, più che a un piano di rinascita nazionale, somiglia a una crociata pop: difendere, coinvolgere, riconoscere. “Medic vuole far emergere - declama Mezzaroma - le radici giudaico-cristiane del mondo occidentale e promuovere il significato autentico del crocifisso quale simbolo condiviso di amore assoluto; nasce con l’ambizione di essere un movimento trasversale, che raccoglie non solo cattolici ma anche ebrei, musulmani, atei, convinti che la croce abbraccia l’umanità intera”. Quasi un comizio, senza leggere, e un po’ fuori dal protocollo per un evento mondano in pieno giorno. L’imprenditore Mezzaroma, ex europarlamentare di Forza Italia, è stato nominato segretario generale del Medic in una riunione a Villa Wanda che, diretta come è logico da Gelli, ha indicato presidente onoraria la duchessa d’Aosta, Silvia Paternò, dei marchesi di Regiovanni , dei conti di Prades, dei baroni di Spedalotto, appartenente al Sovrano MilitareOrdinediMalta . Una roba da far impallidire la contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare di fantozziana memoria. Araldica pesante, insomma, tanto che “siamo già in 500: faccio politica per passione, sono iscritto al Pdl; stimo tantissimo Gel-li, ma non mi confido al telefono con nessuno” e attacca la cornetta Mezzaroma, contattato all’ultima forchettata di un banchetto fastoso. Il costruttore romano è un fan della prim’ora dei Circoli del buon governo di quel Marcello dell’Utri appena condannato a 7 anni in appello per concorso esterno in associazione mafiosa.
Ex romanista parente di Lotito
Ex europarlamentare, responsabile del dipartimento “lotta alla povertà” del partito ai tempi di Forza Italia, Mezzaroma è lo zio della moglie di Claudio Lotito. Nel 2005 diventò il secondo azionista della Lazio vantandosi di “aver già salvato la Roma nel 1992 assieme ai miei fratelli, perché bisogna costruire non demolire”. E detto da lui vale un capitale, perché di cemento se ne intende. L’avventura con la Lazio è costata una condanna a un anno e 8 mesi, per un accordo definito “interpositorio” che permise a Mezzaroma di acquistare il 14,61% delle azioni biancocelesti di fatto per conto di Lotito, in modo da nascondere la titolarità del pacchetto completo con cui lo stesso Lotito avrebbe poi lanciato l’Opa. Aggiotaggio e ostacolo all’attività degli organi di vigilanza, per Lotito la condanna è di due anni.
Tra i padrini chiamati a battezzare il Medic, c’era anche monsignor Alberto Silvestrelli: un alto prelato che risponde all’invito di Licio Gelli. Esponente del governo Vaticano con l’incarico di sottosegretario alla Congregazione per il clero, oltre ad essere giudice di appello del Vicariato di Roma (il tribunale dei preti) e commissario della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, si occupa di sociale: alcolismo e disabili. Ai tempi della gestione Ratzinger, monsignor Silvestrelli ha ricoperto incarichi anche nella Congregazione per la dottrina della fede, la moderna Inquisizione.
Il consigliere regionale (Lazio) Olimpia Tarzia, altra commensale, vanta un ampio curriculum tra fede e politica: fondatore (e segretario generale dal ‘97 al 2006) del Movimento per la vita, il cui successo più importante è stato il fallimento del referendum sulla fecondazione assistita nel 2005. “Il crocifisso - ha affermato Tarzia - è simbolo di vita: si invoca lo Stato laico, ma lo Stato laico come democratico difende i diritti umani e il primodiquestidirittièquelloalla vita”.IlMedicèprontoadifendere il crocifisso “anche con azioni forti, a promuovere un referendum che rimetta al popolo italiano la decisione di continuare a riconoscersi in quei valori che hanno delineato i confini culturali e spirituali dell’Italia e dell’Europa”. A quei valori che affascinano Licio Gelli.

venerdì 2 luglio 2010

Agi 2.7.10
Pd: Donaggio, Lombardi riferimento Libertà e dignità lavoro
Riscoprire la lezione umana e politica di Riccardo Lombardi e' fondamentale specie in una situazione a alto rischio per la tenuta democratica del Paese: Riccardo e' stato ed e' il punto di riferimento insostituibile per difesa della democrazia e la dignita' del lavoro, cui spese un'intera vita. Lo dice la senatrice del Pd, Franca Donaggio che plaude alla riscoperta dell'Ingegnere 'acomunista' da parte del Pd. "Sono stata per trent'anni nella Cgil, il mio ultimo incarico e' stato quello di responsabile delle politiche delle donne, e - precisa orgogliosa - nella componente lombardiana. Fu Bruno Trentin, molto legato a Lombardi, a volermi a Roma: con Fausto Vigevani, un lombardiano doc, sono stati i miei maestri, di cui sento ancora forte la mancanza". Ora il Pd mostra interessa per Lombardi e la Donaggio plaude. "Riscoprire Riccardo vuol dire reimettere nella politica l'etica e la responsabilita' e certi valori come l'onesta', il rigore e la coerenza - aggiunge - che sono qualita' fondamentali per far vivere la democrazia: e in questo Riccardo e' stato un esempio di pulizia per tutti. Oltre che ovviamente portatore di un 'pensiero forte' rivolto sempre a sinistra e al mondo del lavoro". E su questa direttrice il feeling con due dei maggiori sindacalisti della Cgil, Vigevani e Trentin. "E' la storia a dirci - conclude la Donaggio - che le piu' grandi conquiste (le liberta' sindacali, la formazione continua, la dignita' del lavoro, la riduzione dell'orario di lavoro, la partecipazione) per il mondo del lavoro hanno avuto come protagonista Lombardi: fu lui a porre nel 1962 l'esigenza dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori attuato poi da Giacomo Brodolini e oggi messo in seria discussione". (AGI) Pat

l’Unità 2.7.10
Desaparecidos. 250 eritrei arrestati sulla rotta di Lampedusa e finiti nel lager libico
La protesta. Gli immigrati rifiutano le generalità, scontri con la polizia: i feriti deportati a Brak
Il pugno duro di Gheddafi sulla rivolta dei senza diritti
di Umberto De Giovannangeli

I «desaparecidos» di Maroni. Centinaia di eritrei respinti a Lampedusa, picchiati in Libia, di cui da giorni non si hanno notizie. La denuncia della comunità eritrea in Italia. I silenzi delle autorità italiane.

La rivolta dei senza diritti si consuma nel silenzio. Il silenzio complice della Comunità internazionale. Il silenzio di un Governo, quello italiano, che ha aperto un credito illimitato al Colonnello di Tripoli.Il silenzio che copre la vergogna dei « desaparecidos» voluti dall’Italia. Un silenzio rotto dalla coraggiosa e documentata denuncia di Fortress Europe e del suo giovane e instancabile animatore, Gabriele Del Grande.
NESSUNA NOTIZIA
Ciò che aspetta i respinti è cosa nota (tranne ai governanti italiani...): rinchiusi in carcere in Libia. Ma adesso rimarca Del Grande il problema è capire che fine faranno. All'alba del 30 giugno Fortress Europe ha perso le loro tracce. Due container sono partiti carichi di 300 persone uomini, donne, bambini lasciandosi alle spalle i cancelli del campo di detenzione di Misratah. Un reparto dell' esercito ha fatto irruzione nelle celle in piena notte. Le ultime telefonate d'allarme sono giunte alle cinque del mattino. Poi il silenzio: tutti i telefonini sono stati sequestrati. I detenuti portati via sono tutti eritrei, uomini e donne, compresi una cinquantina di minorenni e diversi bambini.
Tutti arrestati sulla rotta per Lampedusa, chi respinto in mare nell'ultimo anno e chi fermato nelle retate della polizia libica a Tripoli. «La diaspora eritrea, da Roma e da Tripoli, ci ha chiesto afferma Del Grande di dare la massima diffusione alla notizia, perché il rischio di un'espulsione di massa a questo punto è molto alto». Che a Misratah tirasse una brutta aria lo si era capito da un pezzo. Da quando, tre settimane fa, il governo libico aveva espulso l'Alto Commissariato dei Rifugiati delle Nazioni Unite, che proprio a Misratah aveva regolare accesso da ormai tre anni. Ma i guai sono arrivati nella giornata dell’altro ieri.
I militari libici è sempre Del Grande a denunciarlo hanno consegnato ai detenuti i moduli dell'ambasciata eritrea per l'identificazione. Tutti si sono rifiutati categoricamente di fornire la propria identità all'ambasciata, temendo che fosse il primo passo per un'espulsione collettiva. Al loro rifiuto la tensione è salita, fino a sfociare in una rivolta, con un durissimo scontro con le forze di sicurezza. Qualcuno ha tentato di scavalcare il muro di cinta e fuggire, ma l'evasione è stata presto sventata e la protesta duramente repressa a colpi di manganellate.
APPELLO ACCORATO
Secondo Mussie Zerai, responsabile dell’agenzia Habesha(Ong che si occupa dell’accoglienza dei migranti africani) che da Roma ha potuto raggiungere telefonicamente alcuni detenuti di Misratah, ci sarebbero una trentina di feriti gravi, che sarebbero stati portati via nei container insieme a tutti gli altri. Habesha riferisce anche di tentati suicidi per evitare la compilazione dei moduli di identificazione: «La situazione è drammatica», conferma a l’Unità Zerai. La comunità degli eritrei di Tripoli ha lanciato ieri pomeriggio un allarme per lo stato in cui versano i loro connazionali trasferiti ieri dal Centro di Detenzione di Misurata al carcere di Brak, nella valle dello Shaty, nel Sud della Libia, a circa 75 chilometri da Seba. Dopo una intera di giornata di viaggio all'interno di tre camion-container,gli eritrei sono arrivati al centro di Brak nella serata di ieri. «Li stanno picchiando riferisce un eritreo in contatto con alcuni di loro temono di non sopravvivere». Secondo alcune testimonianze sempre di fonte eritrea, fra loro ci sarebbero anche diversi feriti, che però non avrebbero ancora ricevuto alcuna cura. Intanto le Ong di Tripoli che si occupano di rifugiati, Cir e Iopcr, riferisce una fonte vicina alle associazioni, riceveranno nella giornata di domenica una visita da parte del direttore del Centro di Brak e nei prossimi giorni hanno programmato una visita a Misurata, dove sono rimaste 80 donne eritree e alcuni bambini e poi, almeno questo è nelle loro speranze, una visita a Brak per constatare le condizioni degli eritrei. La diaspora eritrea da anni passa attraverso Lampedusa per chiedere asilo politico in Europa. La situazione ad Asmara si fa di giorno in giorno sempre più grave.
VIOLENZE QUOTIDIANE
Non è da oggi che Fortress Europe documento le violenze che segnano la quotidianità di migliaia di disperati nei «campi di accoglienza» libici. Grazie a Fortress Europe sappiamo, ad esempio, del massacro di Benghazi. Attraverso foto scattate con un cellulare, e sfuggite alla censura, Del Grande ha svelato come la polizia libica ha ucciso sei rifugiati somali a Ganfuda. E sempre grazie a Fortress Europe si è saputo che erano eritrei i passeggeri dell’imbarcazione respinta al largo di Lampedusa il primo luglio di un anno fa. Rifugiati eritrei. Respinti nell’inferno libico dall’Italia di Berlusconi e Maroni.

l’Unità 2.7.10
Silenzio di morte
di Giovanni Maria Bellu

Fino a due anni fa all’inizio dell’estate i titoli sulla «emergenza Lampedusa» riempivano le prime pagine. Quest’anno l’«emergenza» è finita. E il ministro Maroni se ne gloria. Ma tace, come quasi tutti i media, sul costo di questo meschino trionfo in termini di vite umane.
Il costo è la condanna a morte di centinaia di uomini e di donne. I conti sono semplici: dal 2008 al 2009 le domande d’asilo che per la metà venivano accolte si sono dimezzate (da 15.000 a 8000). E il calo continua nel 2010. C’è la sicurezza statistica che alcune migliaia di perseguitati non hanno potuto raggiungere le coste italiane e salvarsi. Alcune migliaia di persone. Una briciola rispetto agli ingressi illegali che infatti, via terra, continuano massicci. I respingimenti hanno bloccato solo i disperati che fuggivano da dittature feroci e dalle guerre.
Per assecondare la propaganda della Lega Nord il governo si è fatto complice di un crimine contro l’umanità. E i media che in passato avevano dato un contributo determinante nella creazione della falsa “emergenza Lampedusa” ora quasi coralmente tacciono.
Ci sono dei bavagli che il sistema dell’informazione si è messa da tempo, senza bisogno di alcuna legge.

l’Unità 2.7.10
«Lo scempio delle regole comincia dalla scuola
Peggio delle leggi vergogna»
L’avvocato e la politologa discutono della «riforma» Gelmini dopo la bocciatura del Tar del Lazio: «Capovolti i principi costituzionali»
di Chiara Affronte

Il 24 giugno il Tar del Lazio accoglie il ricorso di 755 persone tra insegnanti e genitori contro la riforma Gelmini alle scuole superiori: i ricorrenti si appellano al tribunale amminsitrativo considerando illegittimi i tagli e le iscrizioni perché la riforma non ha ancora valore di legge. Il Tar sospende ogni provvedimento fino al 19 luglio, data dell’udienza in cui verrà confermata o meno l’ordinanza. «Un segnale importante», il commento a caldo di Milli Virgilio, legale insieme a Corrado Mauceri dei ricorrenti.
Virgilio, ex assessore alla Scuola della giunta Cofferati, incontra Nadia Urbinati, docente di Scienze Politiche alla Columbia University di New York. E insieme ragionano sulle motivazioni del ricorso e, ancor prima, sullo scenario politico che lo ha determinato. Entrambe partono da un assunto: «Non ci sono solo la legge-bavaglio e le leggi ad personam: con questo governo assistiamo ad una sistematica violazione delle regole democratiche di cui, ciò che si sta facendo nella scuola, è un esempio eclatante».
La riforma Gelmini insomma è «un caso emblematico», per Urbinati: «Dimostra un modo di governo arbitrario», i cui «obiettivi aggiunge Virgilio sono esclusivamente finanziari e di bilancio». Vengono scardinati e capovolti i principi fondamentali: «La scuola viene vista come un servizio, come fosse la sanità, scavalcando completamente la sua finzione istituzionale che assicura il principio di uguaglianza tra le persone», spiega l’avvocato. Si capovolgono le regole della democrazia, e si procede per decreti, «per emergenze». Il caso Bertolaso insegna: «Ma la scuola non è un fatto straordinario», chiarisce la politologa.
Cosa è successo, dal 2008, quando è stata fatta la Finanziaria d’estate? Ricorda Virgilio: «Di quella legge di agosto, l’articolo 64 è un piccolo tassello dedicato alla scuola. Si annuncia: “Entro un anno (il 25 giugno 2009, ndr) faremo i piani dell’offerta formativa e i regolamenti”, di fatto delegando se stessi, autorizzandosi a modificare le leggi». Della serie: il Governo fa e disfa: del Parlamento chissenefrega. In questo caso, però, la cosiddetta emergenza che permette al governo di fare il decreto legge è «il risparmio», Virgilio lo ribadisce e ironizza: «Emergenza tale, che dal 2008 ancora l’operazione non è finita....».
Insomma, «le circolari e i regolamenti assumono forza di legge e un sito internet dove vengono date di volta in volta le informazioni parificato al livello della Gazzetta ufficiale», sbotta l’ex assessore. Immediato il commento della politologa: «Una evidente violazione della divisione dei poteri: il governo diventa autonomo nel legiferare».
I motivi del ricorso al Tar, inattaccabili per l'avvocato, sono sintetizzabili in 5 punti: 1)Il governo dichiara di voler eliminare gli “sprechi” della scuola tagliando 8 miliardi di euro in 3 anni, senza preoccuparsi delle conseguenze che questo taglio ha su un’istituzione che la Costituzione individua (articolo 3-33-34) come lo strumento attraverso cui garantire il principio di uguaglianza; 2) L’uso del decreto legge è previsto dalla Costituzione solo nei casi di urgenza, ma questa operazione non è ancora conclusa, in ben due anni; 3) Il governo delega se stesso a emanare regolamenti che modificano le leggi; 4) Inoltre ha legiferato in materia di competenza regionale; 5) È stato superato il limite di scadenza del 25 giugno 2009: lo schema di decreto interministeriale firmato solo dalla Gelmini non è pubblicato in Gazzetta; 6) si sono violati i principi dell’autonomia scolastica (le iscrizioni sono state fatte su piani formativi irreali, che non si sa quali siano concretamente, non condivisi dai soggetti democraticamente previsti, ndr).
In sostanza, l'obiettivo è chiaro e deve mettere tutti in guardia: «È quello dello smantellamento della scuola pubblica», concordano l’avvocato e la politologa. Un fatto che deve far tremare l'opposizione tanto quanto la legge-bavaglio, parere delle due donne: «Qui emergono tutti gli ingredienti dello stato arbitrario: colpire la scuola pubblica è colpire il diritto di cittadinanza», riflette Urbinati. Che lancia un appello all'opposizione: «Il Pd dovrebbe indire una conferenza stampa e fare di questo tema una questione nazionale. La scuola non può continuare ad essere considerata un fatto secondario nel nostro Paese dove peraltro si riscontrano nuove forme di analfabetismo. L'opposizione lanci una campagna». perché, prosegue Virgilio, «quello che il governo fa nella scuola colpisca l'opinione pubblica tanto quanto la legge-bavaglio».
Questo governo, per la politologa, «non è schizofrenico, ma ha un’idea e la persegue». Il «nemico» numero uno, osserva Urbinati, «è il sociale perché loro sono figli dell’individualismo puro: i poveri fanno gli schiavi a zero diritti e vanno aPomigliano».L’«animaliberistaè una delle due anime del governo Berlusconi: la prima è quella patrimonialista che si occupa degli interessi del premier, l'altra, perseguita da Brunetta, Sacconi e Tremonti, è quella di attacco al sociale», in tutte le sue declinazioni.

Repubblica 2.7.10
Più 1,5% rispetto al 2009 unico dato in controtendenza
Nella scuola dei tagli aumentano i prof di religione
di Salvo Intravaia

È l´unico dato in controtendenza. Per il resto meno cattedre e classi, e precari espulsi
In 12 mesi gli insegnanti di ruolo sono diminuiti del 4%, i bidelli e i tecnici del 6%

ROMA - Per la scuola italiana travolta dai tagli, l´unico segno più è per gli insegnanti di Religione. Il ministero dell´Istruzione ha appena pubblicato l´annuale dossier dal titolo "La scuola statale – sintesi dei dati, anno scolastico 2009/2010": il corposo volume di 342 pagine che contiene tutti i numeri dell´anno appena trascorso. Una pubblicazione di routine, che quest´anno però riserva una sorpresa: in mezzo a tanti segni meno, rispetto al 2008/2009 una delle poche voci che cresce è quella dei docenti di Religione. È lo stesso ministero a certificarlo. Il confronto con un anno fa consegna un quadro della scuola italiana con sacrifici per tutti, dagli alunni disabili ai precari, tranne che per gli insegnanti di Religione. Un dato che appare in netta controtendenza col taglio delle classi e con il lento ma graduale spopolamento delle aule quando sale in cattedra il docente individuato dal vescovo. Quella dei docenti che impartiscono l´unica ora di lezione facoltativa prevista dall´ordinamento scolastico italiano è questione che ha destato sempre polemiche.
Quando nel 2004 l´allora ministro dell´Istruzione, Letizia Moratti, pensò di stabilizzarli attraverso due distinti concorsi il mondo politico-sindacale si spaccò in due. Anche perché tra i titoli necessari per accedere al concorso, riservato a coloro che avevano prestato servizio per almeno 4 anni negli ultimi dieci (dal 1993/1994 al 2002/2003), occorreva essere in possesso dell´idoneità rilasciata dall´ordinario diocesano. Ma il secondo governo Berlusconi non si curò troppo delle polemiche e bandì ugualmente il concorso, che nel settembre 2005 consentì per la prima volta nella storia dello Stato italiano l´immissione in ruolo dei primi 9167 docenti di Religione. Da allora il loro numero è sempre cresciuto, fino alla cifra record (26.326 unità) dell´anno scolastico appena archiviato. I quasi 14 mila prof di ruolo, in leggera flessione rispetto a 12 mesi fa, sono stati abbondantemente compensati dai colleghi precari: 12.446 in tutto. Nel frattempo, la scuola italiana è stata oggetto di tagli senza precedenti. Nel triennio 2009/2012 spariranno 133 mila cattedre per un totale di 8 miliardi di euro. Ma non solo: l´incremento degli alunni disabili (da 175.778 a 181.177 unità) è stato fronteggiato con un taglio netto di oltre 300 cattedre di sostegno. Quasi 37 mila alunni in più sono stati stipati in 4 mila classi in meno. E sono diminuiti persino i plessi scolastici: 92 in meno. È toccato al personale della scuola pagare il prezzo più alto al risanamento dei conti pubblici. In un solo anno gli insegnanti di ruolo sono calati del 4%, senza nessun recupero da parte dei precari che hanno dovuto salutare quasi 14 mila incarichi con relativo stipendio. Per non parlare del personale di segreteria, dei bidelli e dei tecnici di laboratorio: meno 6% in 12 mesi. L´anno appena trascorso ha visto anche il varo della riforma Gelmini per il primo ciclo (scuola elementare e media), col calo delle ore di lezione e del tempo prolungato alla scuola media. Ma è stato anche l´anno delle proteste dei dirigenti scolastici per il taglio ai fondi d´istituto e del congelamento per un triennio (dal 2011 al 2013) degli stipendi degli insegnanti.

l’Unità 2.7.10
La distruzoine della cultura
Decreto Bondi: un nuovo «Fahrenheit 451»?
di Vincenzo Vita

Tra i temi della manifestazione di ieri a piazza Navona e in tante altre piazze d’Italia, vi era anche quello serio e drammatico della crisi della lirica e dei teatri d’opera. Il decreto Bondi convertito la settimana scosa in legge col voto definitivo di Palazzo Madama ha inferto un grave colpo alla cultura italiana. Il testo, ancorché sia stato arato da qualche emendamento nel corso del viaggio tra Senato e Camera, rimane inaccettabile e viziato da evidenti profili di illegittimità costituzionale.
Innanzitutto, la “forma decreto”, che poteva essere evitata presentando un disegno di legge, secondo i termini discussi un anno fa in Commissione cultura del Senato: non c’era infatti alcuna urgenza.
Punto cruciale, è quello relativo al ruolo delle Regioni. L’articolo 117 della Costituzione assegna loro un ruolo molto specifico e la riforma del Titolo V della Costituzione aveva dato proprio alle Regioni specificamente una fisionomia del tutto diversa da quella che si evince dall’articolato del decreto, ormai diventato legge. Vi è una evidente sottrazione di potestà e di ruolo. Inoltre, si fa rinvio a un regolamento, che si tende a definire “rafforzato”, che confligge proprio con la natura dei rapporti tra Stato e Regioni. Si può supporre che qualche Regione farà ricorso e il fragile testo molto difficilmente resisterà alle obiezioni della Corte costituzionale.
È bene ricordare che questo Governo è al suo cinquantasettesimo decreto-legge e che sono state richieste ben trentaquattro fiducie. La decretazione d’urgenza non è più un’eccezione, come dovrebbe essere secondo la Costituzione quanto una sorta di commissariamento dell’attività del Parlamento, ridotto a spettatore, a semplice audience, come di moda nell’ambito di un governo televisivo.
Questa legge anticostituzionale fa il paio con tanti tagli in corso d’opera alle attività culturali, alle attività dei saperi, alle attività dell’informazione: una sorta di novello «Fahrenheit 451». Il settore lirico-sinfonico merita una riforma, una legislazione moderna, evoluta e adatta al secolo della conoscenza e della multimedialità. Così non è. La legge Bondi ci riporta indietro, toglie anche quel poco di buono che era nella normativa pregressa, la rende forse inapplicabile e, anche per questo, a poco valgono alcuni ritocchi se il contesto rimane quello.
«Tagli e bavagli» era il tema della mobilitazione di Roma di ieri, promossa dalla Fnsi e da Articolo21. Tagli ai saperi (l’Eti è sciolto, gli Enti culturali dimezzati nel finanziamento), alla scuola (mannaia Gelmini-Tremonti) e all’informazione (le proposte liberticide sulle intercettazioni). Non si parlerà, non si studierà: non si canterà nemmeno?
Vincenzo Vita è vicepresidente della Commissione Cultura del Senato

Repubblica 2.7.10
Firenze, l'allarme della direttrice: "Mancano i fondi, a novembre scelgo la pensione"
"La biblioteca nazionale in rovina, Io me ne vado"
di Laura Montanari

Non si possono più catalogare i volumi. Non c´è il personale per i turni: verrà ridotto l´accesso al pubblico. E sono stati cancellati molti abbonamenti alle riviste

FIRENZE. I libri non li spolverano più da quattro anni perché mancano i soldi per farlo. Per la stessa ragione hanno cancellato decine di abbonamenti a riviste e tagliato gli acquisti di volumi stranieri. Da tempo è anche sospesa la conversione del catalogo da cartaceo ad elettronico col risultato che, di sei milioni di libri, soltanto due e mezzo sono i titoli online. Gli altri si ricercano come nel secolo scorso, scorrendo a mano gli schedari. Il declino della Biblioteca Nazionale di Firenze è scritto sui muri di certi corridoi, dove l´intonaco porta ancora l´ombra delle luci al neon levate dieci anni fa. Nei magazzini di questa che è la più grande biblioteca italiana, giacciono parcheggiati 200mila volumi che aspettano di essere catalogati dal personale che non c´è perché, dei 500 dipendenti che lavoravano qui negli anni ‘90, di economia in economia, oggi ne sono rimasti 195 con un´età media che vira ai sessanta. Il 10 per cento di quella montagna di arretrato sarà smaltito grazie al finanziamento di una fondazione bancaria, il resto giacerà negli scatoloni, in attesa di nuovi benefattori. Così l´accumulo cresce: «Ci arrivano 70mila volumi l´anno e riusciamo a catalogarne 40mila» spiega la direttrice Antonia Ida Fontana. Ha appena annunciato che a fine novembre lascia, andrà in pensione: «E´ un addio amaro. Siamo così in pochi che da metà luglio saremo costretti a chiudere l´accesso al pubblico per tre pomeriggi la settimana. Non era mai successo».
La crisi di questo monumento del sapere e della nostra memoria scritta, si legge a tante voci: una, è quella degli appelli che intellettuali e visitatori ogni tanto mandano ai giornali denunciando l´emergenza. «E´ come se il ministero dei Beni culturali non si rendesse conto del valore che ha la Biblioteca Nazionale di Firenze» spiega Franco Contorbia, docente di letteratura e frequentatore dell´emeroteca. La più ricca collezione di giornali d´Europa si trova in parte in una sede decentrata, in un magazzino al Forte Belvedere dove non c´è nemmeno una sala di lettura aperta al pubblico e dove due volte la settimana un pulmino sale lassù con la lista delle richieste per prestiti o consultazioni da esaudire. «Il confronto con le analoghe biblioteche di Londra o di Parigi è mortificante - dice Paul Ginsborg, docente di Storia contemporanea, altro assiduo frequentatore della Nazionale - A Firenze appena entri nell´edificio avverti una sensazione di degrado che poi ritrovi, per esempio, nelle sedie rotte, nella stoffa che si lascia andare sulle sedute della sala consultazione». Oppure nelle infiltrazioni d´acqua della rotonda Magliabechiana, o nei pavimenti pieni di toppe dell´area della distribuzione, quattro piani di balconi circolari che il pubblico non vede e dove lo scorrimano in legno che, lungo le scale è incerottato con il nastro isolante, sembra una metafora della provvisorietà. I numeri raccontano il resto: «Dal ministero ci arrivano due milioni e mezzo di euro, erano il doppio soltanto cinque anni fa» spiega la direttrice. La Nazionale raccoglie per missione, tutto quello che viene pubblicato nel Paese: conserva quello che stampiamo, è la testimonianza del nostro passaggio, un villaggio di 6 milioni di libri sistemato su 120 chilometri di scaffali per capire le cose che abbiamo attraversato, la storia, la letteratura, le scienze, i pensieri, le mode, i linguaggi e la complessità del mondo. Eppure negli ultimi anni non riesce più a tenere il passo e catalogare tutti i libri che riceve. «E´ una cosa gravissima - aggiunge Ginsborg, - Il personale fa il possibile, ma sono sempre di meno e non c´è un passaggio generazionale: quelli che vanno in pensione hanno un patrimonio di 40 anni di conoscenza dei fondi librari, che sanno dove mettere le mani e come esaudire le richieste dei ricercatori, non lasciano eredi per via dei tagli. Hanno grosse responsabilità i governi che hanno abbandonato la biblioteca in questo modo». Qui dove sono conservati gli autografi di Galileo, lo Zibaldone di Boccaccio, i tarocchi del Mantegna, il manoscritto di Pinocchio, 600 libri d´artista (Klee, Matisse, Picasso, Chagall…) e migliaia di pezzi unici.
Altro problema, gli spazi: la biblioteca cresce di due chilometri di scaffali l´anno. L´ala nuova sarà pronta dopo l´estate e basterà per soli quattro anni, poi bisognerà avviare i cantieri in una delle vicine caserme in disuso. Intanto si tira avanti come si può, con le macchinette del caffè al posto del bar (chiuso da vent´anni) e col loggiato che dà su Santa Croce affittato, per rastrellare soldi, agli sponsor di turno, in genere per le cene del Rotary. A quelli della moda invece no: «Ci hanno detto: o rimbiancate, o per le sfilate e le feste, non ci interessa».

Repubblica 2.7.10
La Fracci polemica: "Io all´Opera? Dipende da Muti e lorsignori"
Contro la riforma Bondi niente tournée alla Scala e a Roma saltano le ‘prime´
di Laura Serloni e Mariella Tanzarella

ROMA - Sale la tensione alla Scala, dove i lavoratori hanno messo in cantiere ben undici giorni di sciopero. Nel teatro milanese non solo si combatte il decreto di riforma appena approvato in Parlamento, ma si profila anche un braccio di ferro con il sovrintendente Lissner. Salta la prima del Barbiere di Siviglia di venerdì 9 e nuovi scioperi minacciano le tournée estive. Ieri i lavoratori del teatro hanno decretato un altro sciopero per venerdì prossimo, l´ottavo dall´inizio delle proteste. E saranno discusse nei prossimi giorni nuove modalità di lotta, che potrebbero far saltare le trasferte previste per il 21, 22 e 23 luglio a Pompei con i Carmina Burana e quella a Buenos Aires dal 25 agosto al primo settembre con l´Aida in forma di concerto diretta da Barenboim, con un pacchetto complessivo di undici giorni di sciopero. Particolarmente accesi i toni dell´assemblea e «forti malumori» nei confronti di Stéphane Lissner, che mercoledì sera, dopo che il Faust era andato in scena di nuovo con orchestrali e coro in jeans e maglietta per protesta, aveva annunciato a sorpresa di considerarla «una giornata di sciopero», e dunque di non voler pagare i lavoratori.
Stesso clima all´Opera di Roma. «Un atto irresponsabile e autolesionista» ha definito il ministro Bondi lo sciopero dei lavoratori che in segno di protesta hanno fatto saltare il balletto Romeo e Giulietta e l´apertura della stagione estiva. «Mi sarei aspettato un atteggiamento più responsabile -ha aggiunto il ministro - ora che si deve riscrivere il regolamento per le fondazioni liriche». Ma la protesta continua. Alle Terme di Caracalla salteranno tutte le "prime": dall´Aida al Rigoletto.
Tutto questo mentre all´Opera si continua a trattare per portare il maestro Riccardo Muti alla direzione artistica. «Stiamo ragionando sul contratto: i termini sono condivisi ma, certo, la conferma si avrà solo con la firma», conferma il sovrintendente Catello De Martino. Al di là di un saluto di cortesia, durante la presentazione del cartellone estivo delle Terme di Caracalla, è stata gelida l´atmosfera tra il sindaco Gianni Alemanno e la direttrice in uscita del corpo di ballo dell´Opera, Carla Fracci. E se il primo cittadino definisce «determinante» la collaborazione della Fracci, la ballerina ha dubbi sul futuro. «Finisce qui il lavoro che ho svolto in questi dieci anni. Ora c´è una compagnia conosciuta a livello mondiale, un patrimonio. Ma bisogna vedere se se ne rendono conto "lorsignori", visto che a teatro non ci vengono». E quanto alla sua collaborazione con tono risentito aggiunge: «Io ho chiesto di poter lavorare alla creazione di una compagnia internazionale ma dipende tutto anche dall´arrivo di Muti, uomo con i suoi pregi ma con un modo d´essere che vuole stare sempre al centro».

l’Unità 2.7.10
L’uccisione di Maria e Livia spinge di nuovo a riflettere sul tema della violenza maschile Si parla di stalking, si denunciano veline e velinismo ma intanto nulla sembra cambiare
Uomini che odiano le donne
di Silvia Ballestra

Due elementi colpiscono nell’ennesima giornata di follia omicida contro le donne. Il fatto che Gaetano De Carlo, a poche ore l’una dall’altra, abbia ucciso ben due ex fidanzate, e che l’assassino fosse uno “stalker” conclamato. Non un raptus, non qualcosa di inatteso. Con Maria Montanaro la relazione era finita da poco, Livia Balcone, invece, sua compagna in un passato non vicinissimo, era già da un po’ vittima delle sue persecuzioni. Minacce, molestie e anche un’aggressione, che l’avevano spinta a depositare ben sette denunce contro quest’uomo pericoloso, fargli togliere il porto d’armi. C’era in corso un processo che però non è bastato a fermarlo, così al dolore di amici e parenti delle vittime si aggiunge la frustrazione. Un’impotenza che coglie anche chi si occupa di queste questioni da tempo poiché si ha la sensazione che, nonostante la presa di coscienza del problema “femminicidio” di questi ultimi anni, le cifre della cronaca sembrano inarrestabili. La legge sullo stalking, da noi, è recente ed è presto per fare bilanci ma è certamente un passo avanti, il riconoscimento di un problema, l’ultimo campanello d’allarme. Ora, è vero che, sebbene sembrino rispondere a un copione, a un preciso profilo criminale, questi delitti hanno a che fare con specifiche patologie, dinamiche, rapporti. Solitudini, ossessioni, desideri insoddisfatti. Ma non dipendono solo dalle singole storie personali e familiari: chiamano in causa anche la condizione socio-culturale, e dunque politica, di un Paese intero.
Da tempo, ormai, da più parti, si sottolinea come il corpo delle donne sia oggetto delle più diverse forme di violenza e sopruso. Ciò che solo qualche anno fa sembrava indicibile, liquidato come argomento polveroso e “vetero”, ci è stato ora raccontato e mostrato, analizzato e denunciato anche nella sua versione più attuale: la mercificazione continua del corpo della donna – buono per vendere di tutto – è talmente martellante e presente da non poter più essere negata o liquidata con argomentazioni leggere da commedia all’italiana. Da anni si parla di veline e velinismo, si parla di monnezza sottoculturale, di modelli deleteri, di certe trasmissioni orrende che sviliscono le donne, ma da quel versante nulla cambia. Pupe, veline e bonazze in costume continuano a occupare l’etere e lo spazio con ammiccamenti e promesse irraggiungibili.
Ci siamo indignate, indignati, abbiamo scritto che tutto si tiene, che considerare le donne come merci da possedere e esibire non è dignitoso per nessuno e non può restare senza conseguenze. Nel frattempo abbiamo scoperto che da noi le donne sono usate anche come benefit nella corruzione dei potenti. Chissà allora se una legge sulle persecuzioni può bastare o non servirebbe, pure, un cambiamento più generale, uno scatto d’orgoglio.
Una recente classifica della qualità della vita nelle città, accanto a qualità, quantità e efficienza dei servizi, livello dell’offerta culturale, ha posto come parametro anche il numero di omicidi e violenze domestiche: non sarà un caso che fra le prime venticinque non c'è nessuna città italiana.

Repubblica 2.7.10
Le ossessioni
Molestie, pedinamenti, aggressioni. Che talvolta, come è accaduto a Torino, finiscono in tragedia. Ecco cosa trasforma la passione in un incubo
di Maria Novella De Luca

È come se dal silenzio fosse affiorato un mondo di dolore fino ad ora nascosto e taciuto. Due milioni e settecentomila donne hanno subito in Italia molestie e persecuzioni da ex mariti, ex amanti, ex fidanzati. E da quando nel febbraio del 2009 è entrata in vigore la legge che istituisce e dunque punisce il resto di stalking, in pochi mesi ci sono state 7000 denunce e 1200 arresti. Testimonianza di quanto il fenomeno, ancora sommerso, sia esteso, trasversale ai ceti, annidato negli ambienti più diversi. Le vittime di questo "amore molesto", che da persecuzione si può trasformare in omicidio, sono nel 78,94% dei casi donne, e nel 21,06% uomini, e ogni giorno 17 persone vengono denunciate per molestie reiterate, reato punito oggi con la reclusione da 6 mesi a 4 anni. Persecutori, cacciatori: raccontare l´universo (e l´Italia) dello stalking, vuol dire entrare in buio di ossessioni e di paure, di vittime aggredite e violate, che vivono con il terrore di uscire di casa, di alzare il telefono, di portare al parco i propri bambini, di ogni angolo dove potrebbe nascondersi l´aggressore.
Come accadeva a Maria Montanaro, che aveva 36 anni, e a Sonia Balcone, che di anni ne aveva 43 e una figlia di 5, prima che il loro ex, Gaetano De Carlo, si trasformasse da stalker implacabile in serial killer, ammazzandole una dopo l´altra in un´unica sola giornata, e avrebbe continuato ad uccidere se non fosse stato fermato. Poi De Carlo, ex carrozziere che viveva a Cremona, braccato e inseguito si è sparato un proiettile alla tempia con la sua 7,65. Un lucido piano omicida perché quelle due donne "non fossero più di nessuno". È questa la spinta, spiegano gli psicologi, che può trasformare un ex in un persecutore e poi in un killer. «Un desiderio di possesso così estremo da portare all´assassinio e poi alla morte di sé - dice Anna Costanza Baldry, docente di Psicologia alla seconda università di Napoli - perché tanto l´oggetto amato non c´è più, e allora a che vale vivere?».
Da poco più di un anno in Italia è in vigore la legge anti-stalking, tenacemente voluta dal ministro per le Pari opportunità Mara Carfagna. E qualcosa sta lentamente cambiando, anche se complessivamente i numeri degli omicidi (tutti di donne) avvenuti per mano di ex mariti o ex compagni, in Italia continuano ad aumentare, passando dai 100 del 2006 ai 119 del 2009, e soltanto nei casi registrati dalla cronaca. «Rattrista vedere che questa volta la giustizia non sia arrivata in tempo, prima che accadesse l´irreparabile, perché il senso della legge sullo stalking è innanzitutto quello di prevenire gesti più gravi - commenta infatti con amarezza il ministro Carfagna -. Mi rincuora però sapere che oggi, finalmente, le vittime di stalking hanno gli strumenti per liberarsi dall´incubo. Ci sono riusciti in tanti: in poco più di dodici mesi, infatti, vi sono stati 1.216 arresti a fronte di oltre 7mila denunce». E forse, chissà, le cose sarebbero potute andare diversamente se davvero De Carlo, denunciato ben 7 volte per molestie, di fronte ai giudici ci fosse arrivato davvero, ma la sua decisione omicida ha preceduto l´udienza davanti al Gup di Cremona, che si sarebbe dovuta tenere nel novembre prossimo. Eppure, ragiona il ministro Carfagna, «che la legge funzioni lo dimostra paradossalmente questa assurda storia, perché oggi, a poco più di 12 mesi dall´introduzione nel Codice del reato di stalking, ci trovavamo alla vigilia di un processo».
«Eravamo una famiglia splendida», dice sconvolto e tra le lacrime Guido Olivari, marito di Sonia Balcone, che adesso dovrà crescere da solo la sua bimba di 5 anni. «De Carlo non si faceva sentire da un anno, dopo l´ultima denuncia speravamo che ci avrebbe lasciati tranquilli». E invece è in questi mesi antecedenti al processo che forse è maturato il suo piano. Perché, come dicono giudici, esperti, psicologi, in questo "tempo scoperto" può accadere di tutto. Giovanna Fava è una delle avvocate del Forum delle donne giuriste ed è tra le autrici di un saggio edito da FrancoAngeli "Stalking e violenza alle donne". «Il tempo che intercorre tra le indagini preliminari e il processo è davvero pericoloso per le vittime. Perché i loro persecutori sono a piede libero, possono trovarle, aggredirle, e non sempre le forze dell´ordine riescono a proteggerle. Come in questo caso: se il processo si fosse celebrato per direttissima forse le due donne sarebbero ancora vive. La verità è che la legge sullo stalking oggi ci dà uno strumento in più per contrastare un fenomeno drammatico, dove le vittime sono in piccola parte anche uomini, ma poi ciò che manca è la tutela di chi è perseguitato». «Troppo spesso ancora - aggiunge Giovanna Fava - le denunce di molestie vengono sottovalutate, spesso gli aggressori non vengono arrestati in tempo. So che il ministero per le Pari opportunità sta facendo dei corsi di formazione per le forze di polizia. È giusto, perché in Italia noi non abbiamo ancora le lenti giuste per vedere e prevenire questo tipo di reati».
Reati gravi. Tanto che per lo stalking sono previste, ancora, le intercettazioni telefoniche. Fondamentali. Basta leggere una delle tante denunce per capire quanto spesso le vittime vengano perseguitate, ad ogni ora del giorno e della notte, su telefoni cellulari e fissi, costrette a cambiare schede, numeri e a sobbalzare a ogni squillo. «Che il governo faccia sul serio lo dimostra il fatto - aggiunge Mara Carfagna - che ho chiesto e ottenuto che, emendando il disegno di legge attualmente in discussione, questo reato fosse inserito nell´elenco di quelli per i quali saranno sempre consentite le intercettazioni telefoniche».
Ma che cosa trasforma un uomo (e raramente una donna) con cui si è avuta una relazione in un persecutore? Anna Costanza Baldry, oltre ad essere docente di psicologia, è responsabile da oltre due anni dello sportello anti-stalking Astra della Provincia di Roma. «La nuova legge è perfettibile, però il dato di fatto è che oggi in Italia è possibile difendersi. Da un punto di vista psicologico, lo stalking, anche nei casi più estremi, deriva raramente da una patologia mentale. I persecutori sono lucidi, sanno cosa fanno. È che non riescono ad accettare di aver perso il dominio sulla persona che una volta gli era accanto». «E spesso - racconta Baldry, autrice del libro "Dai maltrattamenti all´omicidio" - già in coppia questi uomini si dimostravano gelosi, possessivi, incapaci di accettare che la donna avesse una vita autonoma... Quando poi la storia finisce, le tentano tutte. Fanno capire alla vittima di non poter vivere senza di lei, alternano minacce a dichiarazioni d´amore, regali ad aggressioni. E spesso le vittime sono confuse, arrivano addirittura a ritirare la querela. Questo a mio parere è un punto debole della legge». Visto che è ormai evidente quanto una persona perseguitata possa essere manipolata. «Infatti - conclude Anna Costanza Baldry - ogni volta che una donna vittima di stalking viene da noi, allo sportello Astra, quello che consigliamo è di non cedere mai alle richieste di colloquio, non accettare l´ultimo incontro, ma di cercare una casa protetta».
In realtà difendersi dallo stalking è un´operazione complessa. Come dimostrano le esperienze e le leggi di Paesi che prima del nostro, dall´Austria alla Germania, hanno istituto il reato di persecuzione e molestia reiterata. Non è sempre facile dimostrare in tribunale di essere vittime di stalking. «Per questo come legali - conclude Giovanna Fava - ciò che noi consigliamo alle donne è di tenere un diario di tutto ciò che accade, per documentare ogni tentativo di contatto da parte dello stalker. E poi, ed è la cosa più difficile, bisogna interrompere ogni contatto, non accettare ma nemmeno rispedire lettere o regali, gesti che potrebbero essere interpretati come apertura di comunicazione. Quindi coinvolgere nella propria battaglia la famiglia, gli amici, e soprattutto le forze dell´ordine. Perché uno stalker rifiutato può uccidere». È la cronaca di questi giorni.

Repubblica 2.7.10
Siena, polemiche per l´opera dell´artista libanese Alì Hassoun
Simboli islamici sulla Madonna il drappo del Palio irrita la Curia

SIENA - È polemica a Siena sul drappellone dipinto dall´artista libanese Alì Hassoun, che stasera andrà in premio alla contrada vincitrice del Palio di luglio intitolato alla Madonna di Provenzano. L´Arcidiocesi promuove San Giorgio con la kefiah, ma non la mezzaluna dell´Islam sulla corona della Vergine Maria. E l´autorità religiosa locale chiede, per il futuro, di essere «resa partecipe» nella commissione e nella realizzazione dell´opera perché sia «rispettata l´iconografia tradizionale del Palio, che è oggetto di devozione, benedetto e esposto in chiesa».
«L´opera di Hassoun - secondo l´Arcidiocesi - richiama con immediatezza l´effigie della Madonna di Provenzano e il guerriero sottostante può essere identificato con San Giorgio che uccide il drago-Satana. Più problematico è l´inserimento sulla corona della Vergine della Mezzaluna, simbolo dell´Islam, e della stella di Davide, effigie dell´Ebraismo. Anche l´inserimento di una citazione del Corano si presta a discussione, in quanto per i musulmani Maria è semplicemente madre di un profeta, e non madre di Dio». Ieri Hassoun è tornato a difendere la sua opera: «È a favore del dialogo tra culture. Il demone sotto San Giorgio rappresenta il terrorismo e l´ignoranza».
(ma.bo.)

Repubblica 2.7.10
Il viagra rosa? Roba da maschi
di Natalia Aspesi

Il Viagra per signore, per ora non ancora in commercio, certo sarebbe una manna: per gli uomini, ovviamente, che potrebbero illudersi di essere loro, con il loro fascino, ad assatanare una partner altrimenti sfuggente e sbuffante. La sociologa-antropologa americana Camille Paglia ha dato su "Repubblica" una spiegazione storica-economica-politica del perché la farmacologia non troverà mai un Viagra femminile. Ma ci sono anche ragioni meno colte, da posta del cuore, a rendere antipatico un simile farmaco: si avrà pure il diritto di non averne voglia e quindi di lasciar perdere, oppure si dovrà pensarlo come a un lavoro, a un dovere, a una necessità, cui adattarsi appunto con una pillola? Certo ci sono signorine in varie carriere scalate mediante anziani per niente appetitosi ma potenti, che giusto per una promozione più veloce potrebbero lusingarli con scintille da Viagra rosa. Ma si sa che in questi casi da secoli le donne hanno la grande arma della finzione che oltretutto, a differenza della pillola arrappante, non fa venire la nausea, neppure se il potente è nauseabondo.


l’Unità 2.7.10
Domani il Pride a Roma Un bacio collettivo apre il corteo

Conto alla rovescia per il pride di Roma, dopo una stagione di aggressioni come non si era vista prima. Ad aprire il corteo che partirà domani alle 16.30 dalla Piramide per arrivare in piazza Venezia passando per la gay street, un bacio collettivo, segno che ogni bacio è una rivoluzione. Nell’attesa non mancano le polemiche. «Roma è gay»: la frase provocatoria comparsa ieri in alcune strade della capitale farà discutere. Mentre è emblematico l’invito rivolto dalle colonne del Secolo a Berlusconi: apra le porte di palazzo Chigi ai gay, sull'esempio del premier Tory, David Cameron, che ha ospitato la festa di apertura del Pride londinese a Downing Street. Ci sono anche a destra lesbiche, gay e trans e sfileranno a Roma (www.Romapride2010.it). La prideweek è iniziata lunedì con incontri culturali e feste. Intanto per la prima volta le divisioni dentro il movimento gay hanno superato la cortina dei contatti interni per approdare ai media. A mancare sarà il circolo Mario Mieli, in prima fila nelle edizioni passate, in seguito a tensioni esplose nella fase organizzativa. Il rischio è di esporre la parata ad una sorta di prova del fuoco: il popolo dei manifestanti riuscirà ad andare oltre e a ribadire che il pride è di tutti? Ce la farà a manifestare per la conquista dei diritti lasciando a casa le tensioni delle associazioni? Tra i tanti inviti a non dividersi citiamo “Nuova Proposta” gruppo di gay credenti: c’è chi aspetta un segno di speranza, saremo al pride come “obbligo di servizio”. Il grande tema sono le discriminazioni delle quali portano i segni sulla pelle i tre portavoce: Mattia Cinquegrani, il ragazzo di 23 anni insultato e aggredito sull’autobus N8 la notte tra il 24 e il 25 aprile, Luana Ricci, musicista licenziata dopo 18 anni di servizio nella diocesi di Lecce perché trans e Esther Ascione, 21 anni di Anguillara Sabazia vittima di episodi di omofobia. Mentre la Polverini non ha detto un “no” deciso a chi le ha chiesto lumi su una sua eventuale partecipazione, finora hanno aderito al Pride il governatore della Puglia Nichi Vendola, Vladimir Luxuria, Paola Concia, Sabrina Impacciatore, Elio Germano e Marisa Laurito.

l’Unità 2.7.10
«Non dimentichiamo che siamo un Paese di immigrati, dobbiamo avere coraggio»
Usa, 11 milioni di clandestini Obama: non possiamo cacciarli
di Virginia Lori

Undici milioni di clandestini in terra americana. Barack Obama non vuole girare la testa dall’altra parte. «Non possiamo mandarli a casa», dice al Paese lanciando la nuova sfida sul tema rovente dell’immigrazione.

È la nuova sfida di un presidente che sa cosa significhi «immigrato». Quello dell'immigrazione è uno «dei temi fondamentali» di questa generazione, e l'America «non deve dimenticare di essere un Paese di emigranti»: ad affermarlo è il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che ieri alla Ameri-
can University di Washington è intervenuto per presentare le nuove linee politiche per una «riforma complessiva» delle leggi che in Usa regolano l'immigrazione.
SFIDA EPOCALE
Questa amministrazione «si rifiuta di ignorare le sfide fondamentali del nostro tempo» dice Obama, sottolineando che dopo la riforma sanitaria, la riforma finanziaria, la nuova politica energetica, la sua amministrazione intende affrontare una riforma complessiva dell'immigrazione. Una battaglia di civiltà. Un sistema di regole sull'immigrazione che funzioni «non è solo un tema di carattere politico o economico, è anche un tema di carattere morale», af-
ferma Obama. Per una riforma dell' immigrazione «all'altezza del nostro tempo», «l'America deve ricordarsi di essere una terra di immigrati», e rifarsi alla storia di milioni di americani giunti «in questa terra di opportunità dall'Olanda, dall'Italia, dalla Polonia, da altri Paesi europei»: in questi termini Obama ha invitato il Congresso ad affrontare la questione immigrazione. «È tempo di avere coraggio ha detto -, di porre in secondo piano gli interessi politici di parte» e cercare, insieme, di mettere a punto «un sistema funzionale e giusto» ispirato a quegli stessi valori da cui l'America deriva. Nel suo discorso Obama è stato comunque molto attento a non usare la parola sanatoria, vista come il fumo negli occhi dai repubblicani, anzi affermando che l'idea di dare automaticamente a tutti i clandestini lo «lo status legale» è «ingiusta e poco saggia». Ma, ha poi sottolineato, come possa essere ingiusto dal punto di vista morale «punire persone che stanno cercando solo di guardagnarsi da vivere». «È impossibile pensare di mandare a casa 11 milioni di persone, che sono strettamente integrate nel tessuto economico dell'America», sottolinea Obama. Nello stesso tempo «ogni Paese ha il diritto e il dovere di avere il pieno controllo dei suoi confini»; e gli immigrati illegali «non devono pensare che se varcano i confini illegalmente non subiranno per questo alcuna conseguenza».
VALORI E PRAGMATISMO
Per quanto riguarda i confini, Obama ricorda come ora siano più controllati di 20 anni fa e che intende continuare ad impegnarsi in questa direzione. Ma anche aggiunto che il problema non si può risolvere solo costruendo barriere sempre più alte e aumentato il numero di pattuglie: «I nostri confini sono troppo vasti per risolvere il problema solo con barriere e pattuglie, non funzionerà». «Per fermare l'immigrazione illegale dobbiamo riformare il nostro sistema che non funziona dell'immigrazione legale ha detto il presidente la domanda è se abbiamo il coraggio e la volontà politica di far passare la legge al Congresso e avere finalmente la riforma». Obama ha ricordato come la controversa legge approvata dall'Arizona abbia drammaticamente portato alla ribalta la questione: il Paese si è diviso, «alcuni hanno sostenuto la legge, altri l'hanno criticata lanciando boicottaggi, ma tutti condividono la frustrazione per un sistema che non funziona». «La magggioranza democratica è pronta ad andare avanti» afferma Obama, che è forte anche del sostegno, secondo i sondaggi, della maggioranza degli americani e di molte associazioni civili Usa, quelle religiose in testa. Ora la palla passa ai repubblicani, senza il cui sostegno la legge non potrà passare al Senato. È tempo di scelte coraggiose e di un Paese che non alzi Muri divisori: è la nuova sfida di Obama.

l’Unità 2.7.10
Bimbi in Cisgiordania
L’inferno dimenticato dell’infanzia murata
44%. Sono i bambini in Cisgiordania che patiscono la diarrea causa mortalità infantile
60.000. Sono i bambini impediti a raggiungere le loro scuole a causa del Muro nei Territori
220. Sono i bambini morti per restrizioni imposte da Israele nella seconda intifada
322. Sono i bambini palestinesi uccisi a Gaza durante l’operazione «Piombo Fuso»
Non solo Gaza. Il rapporto di Save the Children alza il velo sulle condizioni di vita nella West Bank: mancano cibo e medicine, le scuole sono fatiscenti Le voci dal campo profughi: «Sono palestinese. È questa la mia colpa?»
di Umberto De Giovannangeli

Una infanzia «murata». Quella dei bambini palestinesi di Cisgiordania. Una condizione meno conosciuta ma non per questo meno grave di quella dei bambini di Gaza. Anzi, per certi aspetti, l’infanzia «murata» dei bambini palestinesi di Cisgiordania è ancora più disperata di quella dei bambini condannati a crescere in quella prigione a cielo aperto di nome Gaza. Ad accendere i riflettori sui bambini di Cisgiordania è Save the Children nel suo rapporto aggiornato sulla povertà infantile nei Territori.
Gli autori del documento evidenziano il deteriorarsi della situazione nella cosiddetta zona C della Cisgiordania, quella rimasta sotto il controllo diretto di Israele anche dopo la nascita dell'Autorità nazionale palestinese (Anp). E puntano il dito contro le restrizioni imposte alla gente che ci vive e la carenza d'infrastrutture di base: la cui manutenzione affermano è ostacolata dalle autorità israeliane. Nel rapporto si fa riferimento al pessimo stato di case, scuole, sistemi fognari e strade in gran parte della zona C, nonché al persistente disagio di migliaia di persone che continuano a vivere in tende e senza accesso ad acque pulite. L'uso dei terreni agricoli risulta inoltre negato, a causa di confische o di ragioni di sicurezza invocate dai militari, a numerose famiglie. In tale contesto, stima Save the Children, il 79% delle comunità residenti nella zona C della Cisgiordania vive oggi in una situazione di «nutrimento carente». Una percentuale, particolarmente alta fra i beduini, che si rivela addirittura superiore al 61% registrato nella Striscia di Gaza, da oltre tre sottoposta da Israele a uno stringente blocco dei confini. Parallelamente si segnala un «picco di crisi» nella diffusione delle malattie infantili. La diarrea principale causa di morte fra i piccoli sotto i 5 anni nel mondo colpisce oggi il 44% dei bambini della zona C, sottolinea il rapporto. Mentre i ritardi nella crescita sono due volte più frequenti che a Gaza e i casi di malnutrizione patologica riguardano ormai un bambino su 10.
Il rapporto denuncia poi le limitazioni d'accesso imposte a varie organizzazioni umanitarie in parte della zona C e chiede a Israele d'allargare le maglie, oltre che di mettere fine a demolizioni di case palestinesi e confische di terre. Quanto all'Anp, sollecita maggiori sforzi per convogliare investimenti e aiuti in quest'area. «La comunità internazionale ha giustamente focalizzato di recente la sua attenzione sulle sofferenze delle famiglie di Gaza, ma la triste condizione dei bambini della zona C non può essere ignorata», rimarca Salam Kanaan, responsabile di Save the Children nei Territori palestinesi. Osservando che «il miglioramento della situazione» economica complessiva nel resto della Cisgiordania non può cancellare «le sofferenze e l'incremento di povertà e malnutrizione» fra le comunità più esposte.
Storie di sofferenza. La sofferenza al di là del Muro. Quando dobbiamo trasferire d'urgenza un bambino da Betlemme a Gerusalemme racconta suor Erika, impegnata nel Baby Hospital di Betlemme bisogna chiedere una montagna di permessi. Basta un dubbio e l'ambulanza viene rimandata indietro ». E quando tutto è in ordine? «Il check point non può essere attraversato da un’ambulanza palestinese: il bambino deve essere trasportato a piedi, magari col respiratore, fino all'autolettiga israeliana incaricata di portarlo fino all'ospedale».
Stefano Apuzzo, Serena Baldini e Barbara Archetti hanno realizzato un libro bellissimo, toccante: Lettere al di là del Muro. Dai bambini dei campi profughi palestinesi (I libri di Gaia). Il libro contiene le lettere piu belle e toccanti dei bambini che vivono nei campi profughi palestinesi alle porte di Gerusalemme. Le loro famiglie furono espulse dai villaggi natii alla nascita dello Stato di Israele nel 1948 e dopo l’occupazione illegale dei Territori Palestinesi nel 1967.
Cosa significa per dei bambini crescere ingabbiati da un muro di cemento altro 9 metri, senza la possibilità di non uscire mai dai campi in assenza della “carta blu”? Lettere al di là del muro è un testo di bambini palestinesi che si raccontano senza remore e paure, una testimonianza unica e preziosa. Marah ha 14 anni, questa è la sua lettera: «Sono una ragazza di 14 anni del campo di Qalandja. Chiedo al mondo arabo, al mondo occidentale e a tutti gli esseri umani sulla terra: che colpa ha l’infanzia per essere uccisa così in Palestina? Io sono nata in Palestina, è questa la mia colpa? E ancora, sono nata in una zona ancora più piccola della Palestina, un campo profughi. Che colpa ne ho io se gioco con una pietra o un fucile, al posto di giocare con una bambola o una macchinina? Che colpa ne ho io se mangio una volta sola al posto che tre? Che colpa ne ho io se abito con tutta la mia famiglia in una sola stanza con un bagno ed una cucina? Dove sono la mia stanza, la mia bambola, la mia vita? Perché devo giocare per la strada, ma non in un campo giochi? La mia colpa è essere palestinese? Essere bambina costretta a vivere in questo posto occupato? O forse la mia colpa è non riuscire a togliermi di dosso questa occupazione? Io non riesco a trovare qualcuno che risponda alle mie domande, ma io continuo a vivere la mia vita in questo piccolo posto nonostante tutto, perché io appartengo a questo campo e sono orgogliosa di questo campo, perché è il mio Paese, è la mia patria ed è il posto dove morirò...».
Iman Juhaleen ha 12 anni. Ma una maturità da adulta: La mia vita nel campo è molto normale perché mi ci sono abituata. Ci sono persone buone e persone cattive perché le dita di una mano non sono tutte uguali, sono diverse. Ci sono i buoni e quelli che non lo sono, la gente che vive in questo campo è così. Nel campo vive tantissima gente e ci sono tanti centri e scuole, medici, negozi e la clinica dell’Unrwa (l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, ndr) , che da quando è stato costruito il campo ha la direzione dei servizi, ed i negozi di arredamento e di elettrodomestici e le farmacie e i venditori di vestiti e i fornai, tutto quello che serve. Grazie a Dio ci mancano solo alcune cose che considero poco importanti, come la pulizia delle strade. Se la gente si aiutasse e si impegnasse di più il campo sarebbe più pulito, per noi e i nostri figli e per tutta la società, io e le mie amiche discutiamo di questo argomento. Visto che siamo un popolo istruito e colto dobbiamo risolvere i nostri problemi e non aspettare che vengano risolti da altri. La nostra situazione è più difficile che nel passato per la presenza del Muro di separazione razziale che ci circonda da tutti i lati, siamo diventati come un uccello in gabbia. È questo il grosso problema che affrontiamo. Quando ci sono delle difficoltà prego tutti gli abitanti del campo di affrontarle insieme, mano per mano. Purtroppo, quando vado fuori dal campo, nelle città vicine, vedo che non ci sono gli stessi problemi, mi auguro con tutto il cuore di diventare come loro. Perché siamo capaci di migliorare la nostra situazione, continueremo e riusciremo a fare molto con la volontà. Nel futuro vorrei essere una giornalista e vorrei diventare importante. ..». Per decine e decine di chilometri il Muro in Cisgiordania supera gli otto metri di altezza (il doppio del Muro di Berlino). Quel Muro divide migliaia di bambini palestinesi dalle loro scuole. Distrugge il loro presente. Cancella la speranza nel loro futuro.