lunedì 5 luglio 2010

l’Unità 5.7.10
Intervista a Amos Luzzatto
«Non giriamo la testa. L’indifferenza è un virus, lo dimostra la Shoah»
«Noi ebrei abbiamo sperimentato sulla nostra pelle il principio nefasto del non tocca a me»
L’ex presidente degli ebrei italiani: «Giusto l’appello dell’Unità. L’immigrazione non è un fatto di ordine pubblico. Servono ponti e non Muri»
di U.D.G.

L’indifferenza. Il voltare la testa dall'altra parte “tanto non tocca a me...”, tutto questo noi ebrei lo abbiamo sperimentato sulla nostra pelle con la Shoah. L'indifferenza è un virus letale per la coscienza civile di un individuo, di una comunità, di un Paese. E lo è anche pensare che il tema dell'immigrazione sia in primo luogo un problema di ordine pubblico e non invece, come dovrebbe essere, un problema di soccorso pubblico; d'integrazione e non di respingimenti, di “ponti” da realizzare e non di “muri” da innalzare. Ed è per tutto ciò che trovo lodevole e condivisibile l'iniziativa assunta da l'Unità a favore dei 245 cittadini eritrei detenuti, in condizioni degradate e degradanti, in un carcere libico». Ad affermarlo è una delle figure più rappresentative dell'ebraismo italiano: Amos Luzzatto. «Occorre afferma l’ex presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppare una iniziativa che metta l’accoglienza ai bisognosi al centro della nostra attenzione e al centro anche degli accordi internazionali che l’Italia sottoscrive». In questa battaglia di civiltà, rileva Luzzatto, un ruolo di primo piano devono averlo i media che «non sono solo espressione dell’opinione pubblica ma al tempo stesso la formano». Duecentoquaranta esseri umani, tra i quali donne e bambini, sono da giorni detenuti in condizioni disperate, sottoposti a violenze fisiche e psicologiche, in un lager libico. Cosa c'è dietro l'indifferenza che circonda questa tragedia?
«C'è il principio, nefasto, che non tocca a me e quindi giro la testa dall'altra parte; un modo di pensare e di
agire che ha avuto il suo peso ai tempi delle deportazioni della Shoah. È un clima, un atteggiamento che non sono ancora passati. L'indifferenza alimenta il pregiudizio e viceversa. Per questo ritengo che un appello all' opinione pubblica quale quello lanciato da l'Unità sia importante e doveroso sostenerlo, soprattutto se è vero che si tratta di persone che, almeno in parte, avrebbero diritto all' asilo politico».
L'indifferenza si rispecchia anche, tranne lodevoli eccezioni, anche sui media. «Un fatto davvero preoccupante. I media, al tempo stesso, esprimono e formano l'opinione pubblica. Sottovalutare o addirittura tacere su eventi drammatici come questo non contribuisce certo a formare una coscienza civica più matura e aperta». Questa indifferenza significa che i più deboli, gli indifesi, fanno meno notizia di altro e altri...
«Non si tratta solo dei più deboli. Si tratta di tutti coloro che non hanno influenza su quello che si ritiene essere l'interesse concreto e materiale del nostro Paese».
Ma non è nell'interesse del nostro Paese salvaguardare i diritti umani in Paesi, come la Libia, con cui l'Italia ha sottoscritto un Accordo di cooperazione?
«Sì, dovrebbe esserlo...».
Ma cosa lo impedisce?
«Due cose: la prima, inafferrabile, è la cultura con la quale si analizza e si reagisce alle notizie internazionali. Questa cultura generale, anch'essa in buona parte indotta, induce molto spesso all'indifferenza e ad una malintesa neutralità. C'è poi un secondo aspetto sul quale ho difficoltà a pronunciarmi...». In cosa consiste questo aspetto? «C'è da chiedersi fino a che punto la nostra politica estera presti attenzione a fatti come quello che l'Unità ha contribuito a far emergere».
La vicenda dei 245 cittadini eritrei riporta di attualità il tema dell'immigrazione. È pensabile poter affrontare e risolvere questo fenomeno solo in termini di ordine pubblico e di sicurezza?
«Direi proprio di no. E lo dico non sottovalutando affatto la questione della sicurezza. Il fenomeno dell'immigrazione non è prioritariamente un problema di ordine pubblico, ma di soccorso pubblico. Finché non si opera questo cambiamento profondo di angolo di giudizio, problemi come quello di cui stiamo parlando, si moltiplicheranno».
Solidarietà. E un termine che ha ancora un senso compiuto, reale, un suo diritto di cittadinanza in Italia? «Io credo di sì, ma ritengo anche che non trovi ancora i canali più adeguati per esprimersi in maniera efficiente, incisiva. È un problema di canali di comunicazione e di iniziativa da costruire, mettendo l'accoglienza ai bisognosi al centro della nostra attenzione e anche degli accordi internazionali che l'Italia sottoscrive».

l’Unità 5.7.10
«Italiani, ribellatevi. O sarete responsabili come nelle colonie»
Dagmawi, protagonista del film di Segre «Come un uomo sulla terra», racconta in prima persona l’inferno della Libia
di Dagmawi Yimer

Mi appello al governo italiano e a quello libico, in nome di tutti gli eritrei, i somali e gli etiopi che in questo momento stanno soffrendo in Libia. So benissimo cosa vuol dire essere nelle mani della polizia libica. Uso le ultime parole che mi rimangono, perché anche le parole finiscono quando non avviene nessun cambiamento. Io l'ho vissuto sulla mia pelle: i maltrattamenti nelle carceri libiche, gli schiaffi, le bastonate, gli insulti dei poliziotti libici. Anche io sono stato deportato dentro un container, durante un giorno e mezzo di viaggio, verso il carcere di Kufrah, con altre 110 persone, ammucchiate come sardine. Con noi c'erano anche otto donne e un bambino eritreo di quattro anni. Si chiamava Adam. Chissà che fine ha fatto quel bambino, chissà se è riuscito a salvarsi dalla trappola italo libica, chissà se sua mamma non è stata violentata dai poliziotti libici davanti a lui... Se è sopravvissuto, ormai avrà otto anni, e comincerà a capire piano piano che razza di mondo è riservato a lui e a tanti altri come lui.
Veniamo da paesi dove l'Italia non ha ancora fatto i conti con i suoi massacri durante il periodo coloniale e dove ancora oggi, dopo mezzo secolo, usa i libici per combattere gli eritrei, come all'epoca delle colonie usava gli eritrei per combattere i libici. È vero che la libertà di questi miei fratelli minaccia il benessere dei cittadini europei? È vero quindi che un accordo per il gas e il petrolio vale di più delle vite umane e della loro libertà naturale? Perché l'Italia, da paese civile, non ha previsto nell'accordo con la Libia il minimo rispetto dei diritti "inviolabili" degli esseri umani invece di chiudere un occhio e vantarsi di aver bloccato l'emigrazione via mare? Mi ricorda la stessa ipocrisia con cui Mussolini fece credere al suo popolo che l'Italia avesse stravinto sugli abissini senza dire nulla sui mezzi che avevano portato a quelle vittorie, ovvero tonnellate e tonnellate di gas utilizzate senza pietà per sterminare i civili. Il tono del governo è lo stesso, oggi come allora, ed è la stessa la reazione della gente.
Se ripenso a Adam il bambino di quattro anni che era con noi sul container, mi chiedo: quale era la sua colpa? Mi ricordo che ogni tanto l'autista del container (Iveco) si fermava per mangiare o per i suoi bisogni, mentre 110 persone urlavano per il caldo infernale del Sahara, per la mancanza d'aria, che a malapena entrava mentre il camion era in movimento. Il piccolo Adam lo tenevamo vicino al buco da dove entrava un po' d'aria da respirare... mentre chi si trovava in fondo al container si agitava disperatamente, urlava, piangeva. È possibile vedere ancora deportazioni di massa dentro i container?
Quando ci hanno arrestato poi, i libici non ci hanno chiesto perché fossimo in Libia e cosa volessimo. Eravamo semplicemente la preda dei poliziotti, eravamo donne da stuprare e uomini da bastonare. Pochi giorni fa ho incontrato una persona che lavora a Tripoli e mi ha detto che tra gli ultimi respinti in mare verso la Libia c'era una ragazza di 22 anni che è stata violentata dai poliziotti libici appena arrestata. Alla fine è riuscita a evadere, corrompendo una guardia, ma ora è incinta e non vuole far nascere un figliastro di cui non conosce nemmeno il padre... Perché tutto questa indifferenza verso la sofferenza degli altri, oltretutto provocata dall'Italia stessa? Dov'è la "civiltà" di un paese che finanzia un soggetto terzo per eseguire il lavoro sporco e lavarsene le mani come Pilato? Quando smetterà l'Italia di essere il "mandante" di queste violenze?
Guarda caso poi, dopo la "deportazione" i poliziotti libici ci vendettero per 30 dinari a testa (circa 18 euro) agli intermediari che poi ci riportarono sulla costa.
Anche noi abbiamo dei genitori che piangono pensando alle sofferenze che viviamo. Ma anche noi avremo giustizia per tutto quello che stiamo subendo. Oggi paghiamo il prezzo che i vostri governi hanno deciso di pagare per far godere al "popolo" la sicurezza energetica. Ma le lacrime e il sangue versato non saranno dimenticati. Uso le ultime parole che mi sono rimaste, l'ultima energia dopo due anni di battaglia su questo tema ma spero di poterlo avere ancora. Ho girato l'Italia, partecipando a centinaia di incontri e di proiezioni (di "Come un uomo sulla terra", ndr.) e ringrazio tutti coloro che mi hanno fatto vedere la loro indignazione e la loro vergogna di essere rappresentati da questi governi ipocriti.
Ma mi chiedo: se io che grido da qui non ho ascolto, figuriamoci i miei fratelli che stanno nella bocca del lupo. Ma continuo a gridare lo stesso e dico: Italia tu che sei civile e potente guarda queste persone e ricordati cosa hai fatto ai loro nonni.

Repubblica 5.7.10
L´incoerenza e il paradosso ecco il sale della vita
di Salman Rushdie

Perché i paradossi sono il sale della vita. E della letteratura
Anticipiamo il testo che lo scrittore leggerà il 10 luglio alla Milanesiana Un omaggio alla ricchezza nascosta nelle nostre incoerenze

Nella commedia di Tom Stoppard, Jumpers, il personaggio eponimo, il filosofo Sir Archibald Jumpers, chiede ai suoi studenti perché, secondo loro, la gente credeva che il sole girasse attorno alla terra. Uno di loro risponde che forse è perché sembra che sia il sole a girare attorno alla terra. "E come sarebbe," gli chiede Sir Archibald, "se sembrasse che fosse la terra a girare attorno al sole?" Si tratta di una splendida battuta che sortisce il suo effetto a scoppio ritardato, suscitando una risata sempre più fragorosa man mano che il pubblico si rende conto che sarebbe esattamente la stessa cosa, perché, dopo tutto, è proprio quello che sta succedendo. È la risata del paradosso, senza il quale la letteratura, e la vita, sarebbero gravemente menomate; a dire il vero, alcuni critici hanno affermato che il legame fra la poesia e il paradosso è talmente intimo che sono la stessa cosa.
La storia del paradosso comincia con la Bibbia, dove l´idea del concepimento verginale incarna la natura paradossale della fede, e continua fino a oggi, dove la più superficiale delle ricerche sulla letteratura della cultura pop rivela studi sul "Paradosso dei Beatles" (e cioè che erano giovani ribelli che entrarono rapidamente a far parte dell´establishment ricevendo l´onorificenza di membri dell´ordine dell´Impero britannico).
Nonché sul "Paradosso di Oprah Winfrey" (ovvero il fatto che, mentre dispensa consigli sulle nostre vite, come se fosse una componente della nostre famiglie, rimane distaccata, misteriosa ed estranea) e sul "Paradosso di Eminem" (ossia il fatto che è e allo stesso tempo non è il vero Slim Shady).
Don Chisciotte è un paradosso in sella a un cavallo sfiancato, il cavaliere errante le cui peregrinazioni smontano l´idea stessa di cavaliere errante, il cavalleresco idiota la cui follia rivela la follia più grande dell´ideale cavalleresco. Il detective Erik Lönnrot nel racconto di Borges La morte e la bussola risolve l´enigma di una misteriosa serie di omicidi e capisce dove e quando avverrà l´omicidio successivo, solo per scoprire, troppo tardi per potersi salvare, che sarà la prossima vittima e che gli altri crimini sono stati commessi per condurlo sulla scena del delitto. Oscar Wilde, che disse di poter resistere a tutto eccetto che alla tentazione, incarna i paradossi dell´edonismo. E nel romanzo di Joseph Heller Gold!, il personaggio dell´assistente presidenziale, Ralph Newsome, l´avatar delle disonestà in politica, parla esclusivamente per ossimori, frasi la cui fine contraddice l´inizio: «Questo Presidente vi appoggerà finché dovrà». «Vogliamo andare avanti il più velocemente possibile con questa faccenda, anche se dovremo procedere lentamente». «Questo Presidente non vuole dei leccapiedi. Ciò che vogliamo sono uomini indipendenti e integri che, una volta che avremo preso le nostre decisioni, concorderanno con ognuna di esse».
A mio avviso, il paradosso più bello è la famosa espressione verso la fine di Il canto di me stesso di Whitman.

Forse che mi contraddico?
Benissimo, allora vuol dire che mi contraddico.
(Sono vasto, contengo moltitudini.)

Salem Sinai, verso l´inizio del mio romanzo I figli della mezzanotte, evoca questa idea nella dichiarazione di ispirazione volutamente whitmaniana: «Per comprendermi, dovrete anche voi inghiottire tutto quanto». Il romanzo che segue costituisce il tentativo di attenersi alle istruzioni di Salem e di inghiottire, se non il mondo, almeno un subcontinente.
La natura umana è contraddittoria, e l´io umano è una cosa capiente e multiforme, «un mostro caotico e informe», se posso appropriarmi della descrizione di Henry James di alcuni generi di romanzo. Noi possiamo avere, e abbiamo, molte personalità simultaneamente; possiamo mostrarci dolci coi nostri figli, ma duri coi nostri dipendenti, possiamo amare Dio e odiare gli esseri umani, possiamo preoccuparci per l´ambiente e ciononostante lasciare le luci accese quando usciamo di casa, possiamo essere persone tranquille che la passione per la squadra del cuore trasforma in individui aggressivi e ogni tanto persino in hooligan. E per quanto possiamo desiderare fortemente difendere la sovranità del nostro io individuale – un´idea nata nel Rinascimento fiorentino che forse rappresenta il dono più grande dell´Italia alla civiltà mondiale – in realtà quell´io è sovrano e al tempo stesso invaso da altre personalità. È sia autonomo che non autonomo. Nessuno di noi viene al mondo con la testa vuota. Portiamo con noi il bagaglio del nostro patrimonio, sia biologico che culturale, ed esso ci limita e al contempo ci apre delle possibilità, ci paralizza e al contempo ci affranca. Possiamo ritenerci liberi di scegliere, e moralmente responsabili delle nostre scelte, ed è giusto considerarci tali, ma non tocca solo a noi stabilire il modo in cui elaboriamo quelle scelte, e proprio quelle particolari scelte che sentiamo di dover fare.
Pertanto siamo creature paradossali, sia individuali che sociali, sia del nostro tempo che immerse nel flusso della storia. Siamo mortali ma, come la Cleopatra di Shakespeare, nutriamo desideri immortali; e la contraddizione è la nostra linfa vitale. Si possono trarre grandi benefici sociali da queste ampie definizioni dell´io, perché maggiore è il numero delle individualità che abitano il nostro io, più facile sarà trovare un punto d´incontro con altre nature umane multiple e molteplici. Possiamo essere di fedi diverse ma tifare per la stessa squadra. Tuttavia viviamo in un´epoca in cui siamo esortati a ridurre e limitare sempre di più la nostra individualità, a comprimere la nostra multidimensionalità dentro la camicia di forza di un´identità nazionale, etnica, tribale o religiosa a una dimensione. Ora che ci penso, questo potrebbe essere il male da cui hanno origine tutti gli altri mali del nostro tempo. Perché quando soccombiamo a un tale rimpicciolimento, quando permettiamo una semplificazione per cui diventiamo meramente serbi, croati, musulmani, indù, allora per noi diventa facile riconoscere nell´altro l´avversario, il Diverso, e i punti cardinali stessi della bussola cominciano ad azzuffarsi, Est e Ovest si scontrano, così come Nord e Sud.
La letteratura non ha mai perso di vista ciò che il nostro rissoso mondo cerca di costringerci a dimenticare. La letteratura si pasce della contraddizione, e nei romanzi e nelle poesie noi cantiamo la nostra complessità umana, la nostra capacità di essere, simultaneamente, sia sì che no, sia questo che quello, senza avvertire il minimo disagio. L´equivalente arabo dell´espressione «c´era una volta» è «kan ma kan», che tradotto significa: «Era così, non era così». Questo grande paradosso è alla base di tutte le opere di narrativa. La narrativa è esattamente quel luogo in cui le cose sono così e non sono così, in cui esistono mondi in cui crediamo profondamente pur sapendo che non esistono, non sono mai esistiti e mai esisteranno. E questa bella complicazione non è mai stata tanto importante quanto nella nostra epoca di eccessiva semplificazione.
I diritti sono stati assolti dalla Milanesiana. © 2010, Salman Rushdie.
Published by arrangement with The Wylie Agency (traduzione di Licia Vighi)

Repubblica 5.7.10
Il Belpaese della disuguaglianza metà ricchezza al 10% degli italiani
La crisi ha aumentato le distanze sociali. Classe media frantumata
Peggio di noi, tra le nazioni svilup-pate, solo Messico Turchia, Portogallo Usa e Polonia
Al Lazio il primato della regione più diseguale d´Italia Il Friuli quella messa meglio
Gli italiani più ricchi hanno un reddito dodici volte superiore a quello dei più poveri
di Roberto Mania

ROMA - Don Paolo Gessaga la spiega così, quasi con uno slogan pubblicitario: «La povertà non è più "senza fissa dimora"». La povertà è accanto a noi. Diffusa e afona, al pari della diseguaglianza. «È meno apparente, ma è più profonda», aggiunge il sacerdote che ha fondato la catena degli empori della Caritas. Dalla sua parrocchia di San Benedetto in via del Gazometro a Roma, nel quartiere popolare Ostiense, questo cinquantenne arrivato dal varesotto, vede, e tocca, da vicino le nuove povertà e le nuove diseguaglianze, coda velenosa della Terza Depressione mondiale come l´ha chiamata il premio Nobel per l´economia Paul Krugman. La crisi ha accentuato le diseguaglianze e frantumato anche la middle class italiana. Siamo diventati tutti americani. E l´Italia, in termini di reddito, è un paese sempre più diseguale: ricchi e poveri, giovani e anziani, uomini e donne, nord e sud. L´eguaglianza non c´è più, né si ricerca, e le distanze si allargano. Lo dice Don Paolo, lo certificano l´Ocse e la Banca d´Italia. Peggio di noi, tra le nazioni cosiddette sviluppate, solo il Messico, la Turchia, il Portogallo, gli Stati Uniti e la Polonia.
E forse non è neanche più un caso che l´indice per misurare il tasso di diseguaglianza nella distribuzione del reddito sia stato definito nel secolo passato da uno statistico-economista italiano: Corrado Gini. Forse era già quello un segno premonitore. Ecco, il "coefficiente Gini" ci dice quanto siamo peggiorati. E peggioreremo ancora se è vero che la discesa ha subito un´accelerazione con la recessione precedente, quella dei primi anni Novanta. Meno profonda di questa e più celere nell´abbandonarci, però. «L´esperienza del 1992-93 quando l´economia italiana attraversò una fase severamente negativa, suggerisce che a una crisi economica può seguire un persistente aggravamento della diseguaglianza», ha scritto l´economista della Sapienza di Roma Maurizio Franzini, nel suo recente libro "Ricchi e poveri" (Università Bocconi editore). Basterà aspettare i prossimi mesi.
Più basso è l´indice Gini più eguale è la società. Il nostro indice Gini arriva a 35. In Polonia è 37, negli Stati Uniti 38, in Portogallo 42, in Turchia 43 e in Messico 47. La Francia ha un coefficiente del 28 per cento e la Germania, nonostante gli effetti della riunificazione est-ovest, è al 30. In alto i paesi dell´uguaglianza, l´Europa del nord: la Danimarca e la Svezia con un coefficiente Gini del 23 per cento.
C´è anche un altro modo per misurare la diseguaglianza, dividendo la popolazione in decili: il 10 per cento più ricco e il 10 per cento più povero per poi calcolare quante volte il reddito del primo gruppo supera il secondo. Anche qui siamo messi male, malissimo: gli italiani più ricchi hanno un reddito superiore di dodici volte quello dei più poveri. Certo, in Messico questo rapporto sale a 45, ma nella vecchia Europa ci supera solo la Gran Bretagna con un rapporto che sfiora il 14, mentre la Germania è al 6,9, la Spagna al 10,3, la Svezia al 6,2. Conclusione di una ricerca dell´Ires appena uscita ("Un paese da scongelare", di Aldo Eduardo Carra e Carlo Putignano, edito da Ediesse): «In Italia i ricchi sono più ricchi, il ceto medio è più povero e i poveri sono molto più poveri». E così, in un decennio le diseguaglianze si sono accresciute di oltre cinque punti. Il coefficiente Gini era 29 nel 1991, poi è salito al 34 nel 1993. E ora - si è visto - è al 35. Ma nulla fa pensare che si fermi lì. Anzi: tutto fa pensare il contrario. Altri paesi - la Spagna, per esempio - si sono mossi in direzione esattamente opposta.
La ricchezza è saldamente nelle mani di pochi e lì ci rimane, impedendo la mobilità sociale, condizionando le carriere, costruendo pezzo per pezzo una parte della nostra gerontocrazia. Secondo l´ultimo dato della Banca d´Italia contenuto nella periodica indagine su "I bilanci delle famiglie italiane", il 10 per cento delle famiglie più ricche possiede quasi il 45 per cento dell´intera ricchezza netta delle famiglie. Un livello rimasto sostanzialmente invariato negli ultimi quindici anni.
Partecipiamo non sempre consapevolmente a un processo di divaricazione che spinge la classe media verso il basso, i super-ricchi verso l´alto e affonda i più poveri. «Che oggi sono anche in giacca e cravatta, basta guardare come sono cambiate le persone che almeno una volta al giorno vengono a mangiare alla Caritas», racconta Don Paolo da quello che è un osservatorio strategico anche perché Roma è fondamentale nell´attribuire al Lazio il primato negativo della regione più diseguale d´Italia con il 33,9 di coefficiente Gini. Pesano, nella Capitale, ma non solo qui, il caro-casa e la precarietà del lavoro. In alto, la regione italiana dell´eguaglianza è il Friuli Venezia Giulia, regione a statuto speciale, laboriosa e dal benessere diffuso. L´eguaglianza è anche questo. E, probabilmente, è anche uno dei fattori che porta la provincia di Trieste a un triplo primato: l´età media più elevata tra le province del nord-est, la più alta percentuale di anziani oltre il 65 anni (30,2 per cento), e l´incidenza più elevata di residenti con 80 anni e più (11,2 per cento). Anche nel 2028 - secondo la Fondazione Nord-Est - Trieste manterrà i primati. Perché l´eguaglianza - è la tesi originale che Richard Wilkison e Kate Pickett illustrano nel loro "La misura dell´anima" (Feltrinelli) - migliora «il benessere psicologico di tutti noi». Di più, secondo i due studiosi: «Tanto la società malata quanto l´economia malata hanno le proprie origini nell´aumento della diseguaglianza». E infatti due economisti come Jean-Paul Fitoussi e Joseph Stiglitz pensano che all´origine della grande crisi provocata dai mutui subprime ci sia proprio l´aumento delle diseguaglianza che, ad un certo punto, ha fatto implodere il sistema finanziario.
Di certo tra i frutti di questa "economia malata" ci sono i working poor, i lavoratori poveri, più tute blu che colletti bianchi, ma ci sono anche - lo abbiamo visto - gli impiegati, la classe di mezzo. Un fenomeno che in Italia non avevano ancora conosciuto in queste dimensioni ma che è anch´esso conseguenza di una diseguaglianza crescente. Tra gli operai i "poveri" sono il 14,5 per cento. Percentuale che si impenna fino a sfiorare il 29 per cento nelle regioni meridionali. Il "caso Pomigliano" ha fatto riscoprire la classe operaia e anche la distanza abissale di reddito tra l´amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, e i suoi turnisti: il primo guadagna 435 volte di più dei secondi.
Nemmeno la recessione è stata, ed è, uguale per tutti. I giovani stanno pagando più caro. È l´Istat che lo certifica nel suo Rapporto annuale: «La crisi ha determinato nel 2009 una significativa flessione dei giovani occupati (300 mila in meno rispetto all´anno precedente), i quali hanno contribuito per il 79 per cento al calo complessivo dell´occupazione». Un giovane su tre è senza lavoro. Un giovane - ricordano Tito Boeri e Vincenzo Galasso nel loro "Contro i giovani" (Mondadori) - guadagna il 35 per cento in meno di chi ha tra i 31 e i 60 anni (era il 20 per cento negli anni Ottanta). Ecco: così, partendo dal basso, si costruisce un paese diseguale.

Repubblica 5.7.10
Bruxelles, appello del ministro della Giustizia Stefaan De Clerck
"La Chiesa deve risarcire le vittime dei preti pedofili"

BRUXELLES - La chiesa belga deve prendere iniziative per incontrare le vittime degli abusi sessuali commessi da preti, e per risarcirle in modo adeguato. È quanto chiede il ministro uscente della Giustizia Stefaan De Clerck. Il risarcimento «potrebbe essere un indenizzo pecuniario, ma la Chiesa dovrebbe studiare caso per caso il modo migliore per dare alle vittime un risarcimento di quanto hanno subito», ha dichiarato De Clerck al quotidiano fiammingo «Het Nieuwsblad». Il ministro riferisce che la grande maggioranza dei 475 dossier sequestrati durante le ultime perquisizioni, il 24 giugno scorso negli uffici della commissione Adriaenssens (creata nell´ambito della chiesa per il trattamento delle vittime di pedofilia) riguarda fatti che risalgono a 30, 40 e 50 anni. Fatti che quindi non possono essere perseguiti dalla giustizia in quanto reati prescritti. Per De Clerck dunque è la Chiesa che dovrebbe assumere l´iniziativa di andare incontro alle vittime: «Se non è possibile applicare la giustizia, la Chiesa deve incontrare le vittime, testimoniare loro rispetto e confessare gli errori commessi», suggerisce De Clerck. Ciò può essere fatto in modi diversi: con la punizione dei preti colpevoli, il loro licenziamento, il versamento di un indennizzo alla vittima. «Gli abusi sessuali su bambini non potranno mai essere cancellati, ma un risarcimento economico - rileva De Clerck - potrà favorire il processo di riparazione».
Una posizione, quella di De Clerck, condivisa da gran parte dei magistrati belgi, molti dei quali sospettano che la Chiesa fiamminga abbia voluto sistematicamente coprire i sacerdoti pedofili. Intanto è stato confermato che il cardinale Godfried Danneels, ex primate del Belgio, sarà presto interrogato. Durante il blitz della polizia del 24 giugno scorso all´arcivescovado di Bruxelles, era stata perquisita infatti anche l´abitazione di Danneels, in carica dal 1979 al 2009. Danneels sarebbe chiamato in causa per il caso di abuso di un minore da parte del vescovo di Bruges, Roger Vangheluwe.

Repubblica 5.7.10
Ora anche il divorzio può diventare contagioso
di Enrico Franceschini

Lo afferma una ricerca dei sociologi e degli psicologi delle università di Harvard, Brown e California Aumenta fino al 75 per cento la probabilità di dirsi addio quando parenti o conoscenti fanno altrettanto

Separarsi è contagioso si imitano gli amici single
Il test durato 32 anni su un campione di entrambi i sessi ha dimostrato che le coppie sono meno condizionate in presenza di figli

Chi va con lo zoppo, impara a zoppicare, afferma il vecchio proverbio. Vale anche per chi va con i divorziati. Avere un amico, parente o collega che divorzia, aumenta considerevolmente la probabilità che una coppia si separi, secondo uno studio scientifico pubblicato in questi giorni.
In altre parole, sostengono gli autori della ricerca, il divorzio è «contagioso»: proprio come un virus. Condotto da sociologi e psicologi di tre importanti università americane (Harvard, Brown e la University of California), lo studio ha riscontrato che il divorzio di un amico intimo o di un parente stretto accresce di un incredibile 75 per cento le chances di divorziare tra chi lo conosce. Il divorzio di un «amico di un amico», di un conoscente, di un collega che si conosce solo di vista, aumenta la probabilità di divorziare del 33 per cento. La presenza dei figli ha un effetto moderatore su questa forma di «contagio sociale», come la definiscono gli scienziati statunitensi: l´influenza di un divorzio nella cerchia ristretta di amici si riduce in proporzione al numero di bambini che una coppia ha. Insomma, più figli si hanno, minore è l´effetto di vedere che amici e colleghi si separano. Il divorzio non ha bisogno di avvenire nelle vicinanze: anche la fine di un matrimonio a migliaia di chilometri di distanza, ma in una coppia di amici o parenti, può spingere a fare altrettanto.
Gli studiosi americani hanno basato le loro rivelazioni su statistiche riguardanti un ampio gruppo di persone di entrambi i sessi per un periodo di ben 32 anni. «Il divorzio andrebbe studiato e compreso come un fenomeno collettivo che si estende ben al di là di coloro che ne rimangono direttamente coinvolti», si conclude la ricerca, diretta da Rose McDermott, James Fowler e Nicholas Christakis, docenti di sociologia e psicologia nelle tre prestigiose università americane. Commentando lo studio, un giornale britannico, l´Observer, trova un immediato riscontro della teoria in un noto gruppo di amici: il «Primrose Hill set», ossia il gruppo di attori, cantanti e celebrità, tutti sposati, che vivevano nel quartiere alla moda di Primrose Hill, a Londra. Jude Law e Sadie Frost, Noel Gallagher e Meg Mathews, Liam Gallagher e Patsy Kensit, «avevano tutto, erano ricchi, belli, famosi e ottimi amici», osserva il domenicale, «eppure oggi nessuno di loro è ancora in coppia». Liam Gallagher e Patsy Kensit hanno divorziato nel 2000, Noel Gallagher e Meg Mathews nel 2001, Jude Law e Sadie Frost nel 2003. Si può obiettare che le celebrità divorziano più spesso. Ma la teoria del «divorzio contagioso» trova un´altra conferma nel comportamento di tante coppie sposate che, quando qualcuno dei loro amici si separa, interrompono ogni rapporto con i divorziati e in generale si guardano bene dall´invitare a cena dei single divorziati. Finora si pensava che fosse per non avere un «cattivo esempio» (o una piacevole tentazione) davanti agli occhi. Adesso è chiaro: cercano disperatamente di evitare il contagio.

l’Unità 5.7.10 pag.3
5 risposte da Nichi Vendola
di Camilla Furia

Presidente Regione Puglia
1. Manovra economica
In Italia abbiamo toccato quota 120 miliardi di euro di evasione fiscale e 60 miliardi di corruzione. E il Governo si accanisce sul mondo degli invalidi e su chi si stava affacciando alla finestra per andare in pensione.
2. Lavoro pubblico
Il Governo si accanisce sui lavoratori statali che prendono 1.200 euro al mese. Si accanisce sul welfare. Mette le dita negli occhi dei più poveri.
3. Recessione
Questa manovra è terribilmente iniqua e recessiva perché non chiama in causa i grandi patrimoni, le grandi rendite.
4. Crisi
Questa crisi che il Governo Berlusconi nasconde da due anni, ma che l’Istat ha ben fotografato, quando terminerà avrà lasciato sull’asfalto una vittima; un’intera generazione che rischia di non trovare più una collocazione nel mondo produttivo.
5. Deporre le armi
Le dispute introspettive all’interno delle tante sinistre non hanno più senso. Bisogna deporre le armi di una contesa intestina e nevrotica per armarsi d’intelligenza e capire il perché della sconfitta civile, culturale e sociale della sinistra per mettere in piedi il cantiere dell’alternativa a un berlusconismo che declina ma che può fare ancora molti danni al Paese.

domenica 4 luglio 2010

l’Unità 4.7.10
Le notizie nel pozzo
di Concita De Gregorio

C’è qualcosa di pavido e di ottuso, qualcosa che parla della paura di guardare nel pozzo da cui si levano grida, nel modo in cui chi fa informazione – cioè ha il dovere di raccontare quel che accade nel nostro paese e nel mondo ignora in modo sistematico certe notizie. Proprio le notizie di chi fonda la sua speranza di salvezza nel fatto che qualcuno si occupi di lui.
Non parlo solo degli eritrei respinti in Libia. A proposito di questa tragedia che segnaliamo da giorni, posso solo registrare con sorpresa, con amarezza il silenzio pressoché totale del sistema dell’informazione. E qua la legge bavaglio non c’entra. C’entrano altre logiche, evidentemente. Ma avremo modo di tornarci.
Parlo delle donne. Della facilità con cui due, tre, a volte quattro omicidi quotidiani vengono incolonnati nella fila delle notizia in breve, magari con un po’ più di spazio se la notizia è sufficientemente “gustosa” – oggi il carabiniere che uccide con l’arma di ordinanza la ragazza mentre a casa la convivente incinta lo aspetta, una specie di Match Point all’italiana, a canone inverso e impagina le altre morti, percosse, minacce a far da cornice nella pagina “a tema”.
Quale tema? La mano più grande che gira il polso a quella più piccola, le braccia più forti che soffocano con un cuscino chi non ha la forza fisica per reagire, la voce più grossa che spaventa, ricatta, perseguita e quasi sempre, alla fine, lascia dietro di sè il silenzio.
C’è qualcosa di colpevole, una colpa di tutti, nel modo in cui si volta la testa e non si vuol sentire, quando si parla di questo: eppure è sotto i nostri occhi, nelle nostre case. Manca lo sguardo degli altri: è questo che rende impuniti, che dà la sensazione di poterlo fare.
Non è mai un raptus. È sempre un crescendo
di violenza nella tolleranza altrui, nell’altrui indifferenza. La donna che (leggete l’articolo di Maria Grazia Gerina) dice: «mio marito minaccia di uccidermi se vado dall’avvocato per la separazione», e che attiva una richiesta di protezione, è una donna privilegiata. Paradossalmente lo è perchè sa di poter andare da un avvocato, sa di poter attivare una richiesta.
Moltissime non sono a questa soglia di coscienza: ne sono molto al di sotto. E tuttavia neppure la consapevolezza dei propri diritti, la conoscenza delle leggi, è sufficiente. La richiesta avanzata nel mese di aprile non provoca l’attivazione di alcun controllo, di alcuna forma di protezione. Arriviamo a luglio. Ancora niente. Eppure i tempi, anche in un passato recente, erano molto più celeri. Il fatto è che nelle questure del governo della “tolleranza zero” ci sono i tagli. Il personale, e le risorse, scarseggiano.
Dunque immaginate: lui minaccia di ucciderla, lei chiede di essere protetta, lui lo sa, lei per mesi è costretta a vivere inerme con un uomo che in ogni momento potrebbe prendere la sua personale arma di ordinanza – un coltello, una corda, una bottiglia ed ucciderla. Sarò la prossima, aveva scritto una donna sulla t-shirt qualche anno fa, dopo trenta aggressioni coniugali senza che nessuno fosse mai intervenuto. Siamo ancora a questo. È una mattanza silenziosa, tollerata.
D’altra parte, anche nei paesi dove la violenza contro le donne è punita con grandissima severità c’è qualcosa di omertoso, una specie di colpevole pudore: non si dice. Al Chelsea hotel di New York una decina di targhe celebra le vite geniali e maledette che si sono consumate qui. Dylan Thomas, Bob Dylan, Allen Ginsberg, Arthur C. Clarke che ci scrisse “Odissea nello spazio”. Nessuna ricorda la ragazza uccisa da Sid Vicius nella stanza numero 100. Aveva vent’anni, era bionda, si chiamava Nancy Spungen.

il Fatto 4.7.10
L’opposizione sonnambula
di Furio Colombo

“Qualcosa di grave sta per accadere in Italia, qualcosa per cui non è esagerato usare la parole golpe”. Ho ascoltato queste parole la mattina del 28 giugno. Le stava dicendo a Radio radicale Marco Pannella, con l’intento esplicito (per esempio il tono insolitamente pacato)di far capire che non stava usando il paradosso, come a volte gli piace fare. Voleva condividere l’esperienza di qualcuno che si aggira da tempo nella vita pubblica italiana ed europea, e ha collezionato molte sconfitte ma – quanto al vedere e prevedere in tempo – non tanti errori.
La frase chiede di proporre almeno una domanda: nessun riferimento a fatti o persone che potrebbero realmente dar vita fra breve a eventi drammatici?
Dunque credo che sia utile un confronto con gli eventi. L’economia è ferma (cioè peggiora), la disoccupazione si allarga, le istituzioni sono spezzate, il conflitto cresce in ogni spazio della vita pubblica, l’illegalità spontanea si aggrega a quella professionale. L'arroganza di chi ha il potere e continua a volere tutto, non accetta più i limiti delle leggi e della Costituzione. La criminalità organizzata detta valori e regole, la politica è debole, succube, smarrita, soggetta a giochi privati interni e a violente pressioni esterne, invasa da leggi personali, segnata da discordie, tensioni e rifiuto di regole fra organi e personaggi dello Stato. Un recentissimo esempio, particolarmente clamoroso, è stato il comportamento – venerdì 1 luglio – dell’avvocato personale di Berlusconi, Ghedini, che è anche membro del Parlamento e autore delle leggi di volta in volta richieste dal suo cliente. Ghedini ha di fatto intimato al presidente della Repubblica di tacere, perché “non eletto”. Come è noto, Ghedini ha negato Costituzione e realtà (il presidente della Repubblica è eletto dalle Camere riunite). Ma ha compiuto la missione, che era di attaccare apertamente il Quirinale. Siamo già entrati nell’emergenza annunciata? Può reggere la struttura istituzionale di una Repubblica così scossa? È bene non dimenticare che appena un giorno prima il senatore Dell’Utri, co-fondatore di tutte le imprese private e politiche di Berlusconi, festeggiato per essere stato condannato “solo” a 7 anni, “solo” per concorso mafioso, ha attratto attenzione con una strana frase, per lui dannosa e non richiesta: “Mangano resta il mio eroe” (Mangano, dopo avere abitato per un certo tempo nella casa di Berlusconi, è morto in carcere, condannato per mafia e per molti omicidi, senza mai rispondere alle domande dei giudici, ndr). “Mi ha colpito di più la conclusione della frase – ha scritto al Il Fatto la lettrice siciliana Rita Trigilo – quando il senatore dice: se finissi in carcere, non so se avrei la forza di fare lo stesso. Nel codice delle persone che il senatore frequentava vuol dire: se vado in carcere, vuoto il sacco”.
La macchia di illegalità si allarga, al punto da diventare un vanto. Intanto la Repubblica si spezza (il federalismo fiscale), si frantuma e si svende a pezzi (il federalismo demaniale). Persino le forze dell’ordine, umiliate e offese, partecipano alle proteste e pagano di persona la benzina per le loro “volanti”. Come si vede, un sovrapporsi pauroso di fatti subìti e negati (la crisi economica), fatti creati (le leggi contro la legge), il Parlamento paralizzato, le istituzioni allo scontro, tutto ciò porta a uno stato di sbandamento pericoloso. In questo paesaggio devastato si incrociano strani segnali, strane coincidenze; e l’annuncio di Pannella non resta isolato. Per esempio, la sera del 2 luglio, dopo che l’avvocato-deputato Ghedini ha mandato il suo messaggio al Quirinale, il primo ministro Berlusconi, di ritorno dal suo viaggio con ragazze al G20 di Toronto, a Panama, in Brasile, ha detto al Tg1-Tg5: “La situazione italiana non è tranquilla”. Detto da un primo ministro, è un annuncio grave.
Ma sentiamo anche le altre voci, le voci dell'opposizione, stessi giorni, stesse ore. Enrico Letta, vicesegretario del Pd, afferma: “Questo non va. È una manovra pasticciata”. Bersani risponde a Ghedini: “È stato passato il segno. Nessuno può parlare così, specialmente se è un avvocato”. All’improvviso ieri i toni democratici diventano più forti. Franceschini: “Voteremo tutti gli emendamenti dei finiani sulle intercettazioni”, senza rendersi conto che impegna il suo partito al buio, imbarazza i suoi deputati e i deputati vicini a Fini. Lo stesso giorno, più tardi, Bersani: “Bisognerà pensare a un altro governa , visto che questo non funziona”. Strana dichiarazione che lascia il tempo che trova oppure allude a progetti che non conosciamo. Come vedete è, il più delle volte, un discorrere quieto, di ordinaria routine politica. È scomparsa ogni traccia di legami tra oscura ricchezza, affari di mafia e ascendenza P2. È scomparso ogni riferimento all’ombra sempre più estesa della criminalità organizzata sulla politica, compresa la partecipazione, ricordata da Fini, di malavitosi al governo. Nessun accenno ai nuovi rapporti internazionali che legano l'Italia quasi solo a Gheddafi e a Putin, nessuna memoria dei respingimenti in mare, che continuano senza sapere quanti morti, quanti prigionieri nei campi libici, quanti diritti negati si verificano ogni giorno, a spese e sotto la responsabilità dell'Italia (come ci viene rimproverato da tutte le organizzazioni internazionali) mentre crollano i pilastri della sanità, della scuola, del lavoro, mentre l’attacco alla giustizia diventa furibondo e ci viene detto che la disoccupazione giovanile è al 29.2%.
Non vedere nulla, tranne un governo imperfetto da correggere, modificare, qualche volta sgridare, ma sempre tentando di migliorare la loro merce con qualche volenteroso contributo un po' qua, un po' là, mi appare come un distacco grave e pericoloso dalla realtà. Questo Pd, con la sua voglia forzata di ottimismo e normalità ricorda il triste caso del bambino sonnambulo di Roma. “Ci sono tanti casi – pare che abbiano detto i medici ai genitori – non preoccupatevi, di solito non cadono”. Il bambino sonnambulo di Roma è caduto. Ed è morto.

il Fatto 4.7.10
Predatori a caccia di bambini
Record del turismo sessuale all’Italia: 80mila maschi, un terzo pedofili
di Marco Politi

Estate. Parte la caccia dei predatori sessuali. La vacanza come grande occasione per abusare di bambine e bambini. Anche i Mondiali di Johannesburg sono terreno di manovra di questo ignobile sport. Da mesi gli organismi internazionali di protezione dei minori e le autorità locali hanno lanciato una campagna per tutelare i ragazzi a rischio. Si chiamano Travelling Sex Offenders i predatori con il biglietto aereo. L’Italia detiene un triste record. Primi in Europa sono gli 80 mila maschi italiani. “Ai primi posti in Kenya, Brasile, Thailandia, Cuba, Santo Do-mingo – spiega Marco Scarpati, presidente dell’Ecpat Italia – e quasi un terzo sono pedofili. Una ricerca dell’Università di Parma rivela che dopo i pedofili quaranta-cinquantenni è spuntata una fascia di giovani neanche trentenni, di tutti i ceti, sposati e non sposati, non più esclusivamente di reddito medio-alto, più dell’80 per cento eterosessuali”.
Per il Brasile e la Thailandia, in certe stagioni, partono charter a pieno ritmo. L’Unicef, l’organizzazione Onu per l’infanzia, denuncia che ogni anno un milione e mezzo di bambini finiscono nel giro della prostituzione. Ecpat sta per “End Child Prostitution, Pornography and Trafficking” e Scarpati, professore di Tutela internazionale dei diritti del minore all’Università Bicocca di Milano, descrive ciò che spinge il pedofilo al turismo sessuale: “Il senso di impunità, la convinzione di stare in un luogo sicuro, l’ideologia del compro-pago-mi diverto”. La sensazione di onnipotenza rende voraci. “In due settimane il predatore è capace di avere rapporti con venti partner diversi”. La mappa degli sfruttati è estesa. In Thailandia sono in vendita 300.000 bambini, nelle Filippine 200.000, nel sud della Cina 600.000, in India quasi altrettanti, 370.000 nel Messico. Una vergine impubere, in Cambogia, si affitta per 150 dollari: il trafficante, per portarsela via, può pagare circa 14.000 dollari per poi rivenderla in un bordello giapponese a 80.000 dollari. Il business della tratta (dove gli sfruttati sono all’ottanta per cento bambini) rende alle gang criminali profitti per 32 miliardi di dollari l’anno. Internet ha infranto i tabù, soggiunge Scarpati. La frequenza dei siti pedofili trasmette l’impressione che “lo fanno tutti”. Sui siti a luce rossa c’è un meccanismo di trascinamento verso la pedofilia. Chi clicca su un porno qualsiasi, dopo due-tre schermate viene bombardato da video su minori. E le proposte diventano sempre peggiori. Il viaggio programmato evidenzia l’approccio lucido del pedo-filo. “Le dinamiche dell’abusatore – sottolinea Emanuele Jannini, docente di Sessuologia a L’Aquila – sono studiate a tavolino, non nascono da impulsi né si manifestano in comportamenti abnormi. Al contrario. Dal padre di famiglia al parroco, dall’operatore di centri sportivi al guardiano di camping, il pedofilo è perfettamente integrato nella società. È il marito normale, non ha l’aspetto dell’orco. E perciò è invisibile”. Alla radice il fenomeno, trasversale nella società, non ha niente a che fare con il piacere del rapporto sessuale. Alcuni criminologi sostengono che l’abusatore “si masturba attraverso il corpo del bambino”. Nei paradisi di vacanza del Terzo Mondo (ma anche nell’Est europeo) il pedofilo trova “merce” a prezzi stracciati. Yasmine Abo-Loha, che per l’Ecpat ha girato molto, racconta quante volte siano le famiglie ad avviare alla prostituzione i bambini: “La fame, l’estrema povertà spinge i genitori a vendere i figli. Altre volte sono presi da trafficanti con l’inganno: la promessa di farli studiare o di mandarli a lavorare presso famiglie benestanti”. Le conseguenze sono drammatiche. “Il bimbo è ferito per sempre, si sente in colpa, ha un crollo di fiducia, avrà sempre problemi di socializzazione e difficoltà nei rapporti d’amore”. Uscire dal giro di prostituzione diventa difficilissimo. “Quasi sempre le vittime devono estinguere il debito dei familiari nei confronti dei trafficanti. Altre volte non sanno come sopravvivere. Oppure scappano dai centri di recupero, pensando che la vita di prima fosse meno noiosa”.
Due leggi, una del 1998 sulle “Nuove forme di schiavitù” e una del 2006 sullo “Sfruttamento sessuale”, forniscono un primo strumento per catturare i predatori anche all’estero. Ma i pedofili condannati sono rarissimi. Servirebbe uno spazio giuridico europeo con procedure semplificate oltrefrontiera. L’altro tipo di viaggi, quello meno appariscente, si svolge nelle case italiane. Sui computer. È la nuova frontiera degli adescamenti. Ragazzi che (con i genitori ignari nella stanza accanto) vendono performance erotiche sulla webcam in cambio di una ricarica di telefonino o di figurine del Pokemon. O su Facebook dove vengono iniziati con il pretesto dell’autocoscienza su problemi sessuali e trasformati in appuntamenti. La produzione di siti è incessante. Don Fortunato Di Noto, prete siciliano che da vent’anni fa monitoraggio, afferma di aver scoperto in un solo giorno 600 nuovi siti pedofili: “Dal 2003 al 2009 la mia associazione Meter ne ha denunciati 57 mila alla Polizia postale. Materiale indicibile, torture, catene, anche donne con neonati”. C’è una sorpresa per chi esplora il mondo di “insospettabili della porta accanto”: molti predatori non hanno l’aria braccata. Si muovono da freddi professionisti, occupano ruoli sociali rilevanti oppure pianificano un lavoro per stare accanto ai minori… magari nel reparto giocattoli di un grande magazzino. “Sono soggetti – dice Massimiliano Frassi, master in Criminologia in Inghilterra e presidente dell’associazione Prometeus – che si sentono sempre più pro-tetti e intoccabili. Ci sono reti di solidarietà invisibili, studi legali specializzati nel difendere gli abusatori, associazioni che proclamano di combattere le false accuse e gettano il discredito su chi fa le denunce”.
Neanche Frassi, però, avrebbe immaginato che poche settimane fa (nell’ambito del disegno di legge sulle intercettazioni) gli alfieri del centrodestra Quagliariello e Gasparri potessero presentare un emendamento per cancellare l’arresto in flagranza per chi compie “reati sessuali di lieve entità”. “Un macigno che impedirà il processo per direttissima dei pedofili”, reagì Anna Finocchiaro del Pd. Proteste di massa hanno sepolto l’emendamento. Per ora.
Gli strumenti legislativi
Due leggi, una del 1998 sulle “Nuove forme di schiavitù” e una del 2006 sullo “Sfruttamento sessuale”, forniscono un primo strumento per catturare i predatori anche all’estero. Il centrodestra ha presentato un emendamento al ddl intercettazioni per cancellare l’arresto in flagranza per chi compie “reati sessuali di lieve entità”

l’Unità 4.7.10
Le segnalazioni aumentano, mai tempi di risposta di polizia e magistratura si allungano
Giardullo (Silp Cgil) «Chi dice che si può tagliare garantendo comunque la sicurezza mente»
Ecco come tagli e burocrazia lasciano le donne senza difesa
di Mariagrazia Gerina

Telefono Rosa e Differenza Donna difendono gli strumenti messi a disposizione dalla legge anti-stalking e il ruolo delle forze dell’ordine. «Ma la mancanza di risorse rischia di comprometterne l’efficacia».

Donne che hanno paura di fare la stessa fine delle donne uccise dallo stalker seriale. Figli che hanno paura per le proprie madri: «Non ce la faccio più a vedere mio padre, il suo ex marito, che la tormenta». Persino una anziana donna che a 79 anni vive nel terrore dell’ex marito di 83. Il Telefono Rosa in questi giorni squilla in continuo. L’ultima richiesta di aiuto arriva da una ragazza che ha troppa paura di restare a casa sua. E chiede di essere accolta in una abitazione protetta. La cronaca che ogni giorno sforna nuove morti funziona come un campanello d’allarme. A marzo, a un anno dall’entrata in vigore della legge le denunce erano già più di 7mila. E poi c’è l’estate: «Le amiche partono, i vicini di casa anche e le vittime di stalking si ritrovano più isolate che mai», spiega la presidentessa di Telefono Rosa Gabriella Moscatelli.
Il primo consiglio per le vittime di stalking che vedono a rischio la loro incolumità è chiedere l’intervento immediato del questore. Uno strumento che permette di bloccare subito il molestatore, senza attendere che l’escalation raggiunga gli esiti più drammatici, Utilissimo, a patto che venga applicato in modo tempestivo. «Così avveniva all’inizio», racconta Eugenia Scognamiglio, avvocatessa di Telefono Rosa. Istanze esaminate in pochi giorni, risposte immediate. «Adesso invece le istanze sono aumentate e anche i tempi di risposta, arrivati fino a 3-4 mesi». Un’attesa infernale per una donna che vive una situazione di estremo disagio e di rischio.
La disponibilità da parte delle forze di polizia non c’entra: le domande sono tante e probabilmente il personale a disposizione è troppo poco, spiegano le associazione. «A Roma, per esempio, abbiamo fatto un grande lavoro di sensibilizzazione insieme alla Squadra Mobile», ricorda Anna Baldry, di Differenza Donna, responsabile dello sportello anti-stalking istituito nel 2007 prima ancora che entrasse in vigore la legge, che ha allargato ulteriormente il margine di intervento delle forze di polizia. Fondamentale non solo nel caso in cui la donna non abbia ancora sporto denuncia ma anche per affrontare il lungo periodo che intercorre eventualmente tra la notizia di reato e il giudizio. Tanto più che i giudici, che pure potrebbero adottare misure cautelari a difesa della donna spesso sottolinea Baldry scontano una mancanza di «strumenti adeguati alla valutazione del rischio». Il punto è che anche il questore per firmare l’ammonimento ha bisogno che venga esaminata la raccolta dei fatti e questo richiede tempo e personale. Lo sportello Anti-stalking ha anche creato una «Agendalba» per guidare le donne nella raccolta di tutti i dati che possano essere utili alla loro causa. Ma il problema resta.
«Quando si riduce il personale, i mezzi, le ore di straordinario è evidente che diminuiscano le capacità di contrasto anche in un campo sensibile come il contrasto alla violenza», rilancia la denuncia delle associazioni Claudio Giardullo, del Silp Cgil: «Chi racconta al paese che si possono mantenere gli stessi livelli di sicurezza in presenza di una riduzione della spesa dice il falso».

il Fatto 4.7.10
Ti picchio ma solo un po’
di Silvia Truzzi

Leggere con attenzione la seguente storia, come si fa con le avvertenze dei farmaci (gli effetti collaterali sono particolarmente spiacevoli). Sandro F. era stato condannato in primo grado dal Tribunale di Sondrio, nel settembre 2005, e anche la Corte d’appello di Milano, nell’ottobre 2007, lo aveva ritenuto colpevole di maltrattamenti ai danni della moglie Roberta B. Pena: 8 mesi di reclusione con le generiche. Motivazioni della Corte d’appello: “La responsabilità dell’imputato era provata sulla base di sue stesse ammissioni, anche se parziali, e sulla testimonianza di medici, conoscenti e certificati medici, da cui si ricava una condotta abituale di sopraffazioni, violenze e offese umilianti, lesive della integrità fisica e morale” della moglie sottoposta a “continue ingiurie, minacce e percosse”. Sandro F. decide di appellarsi alla Suprema Corte in cerca di giustizia. E finalmente la trova. Perché “i fatti appaiono risolversi in alcuni limitati episodi di ingiurie, minacce e percosse nell’arco di tre anni (per i quali la moglie ha rimesso la querela), che non rendono di per sé integrato il connotato di abitualità della condotta di sopraffazione necessaria alla configurazione del reato di maltrattamenti”. Ciliegina sulla torta: “La condizione psicologica di Roberta B. per nulla intimorita dal comportamento del marito, era solo quella di una persona scossa, esasperata, molto carica emotivamente”. Condanna annullata. È tutto vero, come il caldo che in questi giorni è piombato sulla Capitale e sui cervelli di chi ci vive e sentenzia. Se per caso sei una donna equilibrata e forte due ceffoni te li puoi anche prendere. Senza “intimorirti”, al massimo ti esasperi un po’. È assai curioso che per definire l’esistenza di un reato e quindi la colpevolezza (soprattutto in caso di violenza) si utilizzi l’atteggiamento psicologico della vittima: l’elemento soggettivo di norma riguarda chi il reato lo commette e non chi lo subisce. Ma sarà un caso di giustizia creativa, come quello dello stupro impossibile con i jeans. Altrettanto stupefacente è che ingiurie, minacce e percosse – se si verificano in alcuni “limitati” episodi non siano giudicate gravi. Se ti picchio solo qualche volta - non proprio tutti i giorni come il famoso proverbio cinese - allora va bene. Altro proverbio: “Tra moglie e marito non mettere il dito”. Aggiornamento della Cassazione: “Nemmeno se lui alza le mani”

l’Unità 4.7.10
Le minacce nel lager
«Se ci provate di nuovo possiamo ammazzarvi»
Dal campo di detenzione libico di Brak il racconto delle torture psicologiche subite dai prigionieri eritrei. L’ottimismo dell’inviata di Frattini, Margherita Boniver. «Prevarrà l’equilibrio tante volte dimostrato dalle autorità libiche»
di Umberto De Giovannangeli

Potete ritenervi fortunati. Se ci provate di nuovo, se osate protestare, vi ammazziamo legalmente. Per noi non è un problema...». Il responsabile del lager di Brak li ha riuniti nella notte. Gli aguzzini in divisa hanno fatto la conta, e visto che c’erano hanno ripreso a manganellarli. Poi li hanno condotti in una sala attigua alla stanzetta fetida in cui da tre giorni sono rinchiusi in novanta. Non bastano le percosse. Non bastano il cibo e l’acqua centellinati; non basta aver negato qualsiasi cura medica a diciotto di loro feriti. Le torture sono anche psicologiche. E anch’esse lasciano il segno. Cronaca da un inferno. L’inferno del carcere di Brak, nel Sud della Libia, dove sono stati deportati oltre 200 eritrei. Fortunati. Lo ripete il capo del lager. con un ghigno che fa paura a chi è già attanagliato dal terrore. . Fortunati per non essere stati fatti fuori subito. La loro colpa è aver osato ribellarsi. E chi lo fa, nella Libia del «caro amico Muammar» (Berlusconi dixit) puoi finire, dimenticato, in un carcere speciale, dove puoi morire senza che nessuno lo venga a sapere.
Chi ha potuto parlare con qualcuno di loro, riferendolo a l’Unità, racconta di una situazione che resta drammatica. Il cibo scarseggia. Così l’acqua. Nessuna assistenza medica per i feriti. Privati di ogni cosa, nudi, senza neanche una coperta per coprirsi. Le notizie si accavallano. Alcune sono drammatiche: tre feriti sono stati portati via. Di loro non si ha più notizia dall’altra notte. C’è chi spera che siano stati portati in ospedale. C’è chi tema che siano morti. «Se vi va bene, tra qualche giorno vi rimanderemo da dove siete venuti...», ripete il capo del lager. Deportati in Eritrea, da dove avevano cercato di fuggire. Se vi va bene...E se va male, finirete in un carcere speciale, perché, ripete il capo del lager, «voi siete un pericolo per la sicurezza nazionale» della Libia. Un pericolo da cancellare. Distruggere. con ogni mezzo.
Salvarli è una corsa contro il tempo. Una corsa ad ostacoli. «RispedirciinEritrea-diceunodiloro-ècome condannarci a morte. Se vogliono deportarci, che sia fatto in un Paese terzo, disposto ad accoglierci». Questo Paese potrebbe, dovrebbe essere l’Italia. È una speranza. Che non va lasciata cadere nel vuoto. Il «vuoto» che rischia di inghiottire 245 vite umane. «Il governo italiano ha attivato tutti i canali utili» affinché la vicenda dei detenuti eritrei in Libia «si concluda positivamente», assicura Margherita Boniver, presidente del Comitato Schenghen e inviato speciale per le emergenze umanitarie del ministro Frattini. Ma nel presente dei disperati di Brak la parola «speranza» non esiste. Il presente è un sonno inquieto, spezzato ogni due ore nella notte da agenti della sicurezza libici che irrompono nella stanza, fanno la conta e picchiano. E le cose non sono migliori nel Centro di detenzione di Misratah, dove sono rimasti una parte di loro: 32 uomini, 13 donne, 7 bambini, alcuni dei quali neonati. Don Mussie Zerai l’infaticabile sacerdote e animatore dell’agenzia Habesha, Ong che si occupa dei migranti africani è riuscito a raccoglierne la testimonianza: «I nostri cacerieri raccontano continuano a picchiarci, a insultarci...Il cibo è poco e quello che ci danno non va bene per i bambini...». Chissà se queste testimonianze riusciranno a incrinare le granitiche certezze di Margherita Boniver: « Siamo certi afferma l’inviata del ministro Frattini ha concluso che ancora una volta prevarrà l'equilibrio e la capacità di gestire situazioni complesse tante volte dimostrati dalle autorità libiche». Di «equilibrio» nel lager di Brak non c’è traccia. E «capacità di gestire situazione complesse» fatica a intravedersi nella vicenda di 245 immigrati eritrei trasferiti a forza da Misratah a Brak oltre mille chilometri di distanza ammassati come bestie in 2 container di ferro, in condizioni inumane e degradanti per l'alta temperatura, il sovraffollamento e la mancanza d'aria. «Continuano a picchiarli riferisce a l’Unità un giovane un eritreo in contatto con alcuni di loro temono di non sopravvivere». «Ci sono donne e bambini svenuti qua in mezzo...ci manca l’aria», aveva raccontato uno dei deportati al collega Gabiele Del Grande. Donne e bambini. Anche loro sono un «pericolo per la sicurezza» del Colonnello Gheddafi...E sarà per ragioni di sicurezza», che ai 245 immigrati eritrei sono stati portati via gli indumenti, quel poco di denaro che avevano con sé, gli orologi, i cellulari...
“Siete fortunati, potevamo ammazzarvi legalmente...Questa è la «legge» che vige nel lager di Brak. Per i disperati senza diritti è un’altra notte di paura. Di non vita...

l’Unità 4.7.10
Radicali: «Subito una missione parlamentare in Libia»

Il Parlamento invii una missione in Libia per verificare la situazione dei 300 eritrei. Lo chiede il senatore Marco Perduca, co-vicepresidente del senato del Partito Radicale Nonviolento. «L'ennesima notizia tragica che proviene dalla Libia deve trovare una pronta risposta istituzionale, basata sul rispetto della parola data e il tradizionale spirito umanitario italiani», dice. «Infatti, in occasione della scellerata ratifica del trattato Italia-Libia al Senato, il Governo spiega espresse parere favorevole su un ordine del giorno del Presidente Marcenaro che chiedeva il coinvolgimento del Parlamento nel monitoraggio dell' applicazione dell'accordo con Tripoli. Considerato che l'Italia, seppur nella sua restrittiva interpretazione della convenzione sui rifugiati del '51, ritiene comunque gli eritrei tra i popoli a rischio persecuzioni, credo che Camera e Senato debbano chiedere al Governo di mantenere la parola data e inviaresenza indugio una delegazione in Libia conclude Perduca per valutare la situazione».

Repubblica 4.7.10
Pedofilia in Belgio il Grande Inquisitore tra i Cardinali
Angeli e demoni
di Andrea Bonanni

Una cattedrale, una cripta, due tombe violate alla ricerca di prove. Blitz della polizia, dossier confiscati. Anatemi del Vaticano e lettere del Papa. Nel Belgio cattolico e laico, fiammingo e vallone, una storia che sembra scritta da Dan Brown. Protagonista, un uomo misterioso: il sostituto procuratore che mette sotto inchiesta la chiesa per pedofilia
Di Wim De Troy si sa poco o nulla Si è occupato con successo di tratta di esseri umani
In passato ha fatto arrestare un collega accusato di passare informazioni alla malavita

Le tombe di due eminentissimi cardinali, Jozef-Ernest Van Roey e Leon-Joseph Suenens, defunti arcivescovi di Mechelen-Bruxelles, perquisite nella cripta della cattedrale di Saint-Rombaut. Cinquecento dossier riservati sui casi di pedofilia nella Chiesa confiscati. L´intera conferenza episcopale sequestrata per nove ore dalle forze dell´ordine durante una perquisizione nella sede dell´arcivescovado. I vescovi che si vedono requisire il telefonino. Il nunzio apostolico che viene rilasciato solo dopo aver invocato l´immunità diplomatica di rappresentante dello Stato Vaticano. Il computer dell´ex primate del Belgio, cardinal Danneels, sequestrato e sottoposto a perizia per ricostruire i file rimossi. Gli anatemi del segretario di Stato vaticano e le accorate lettere del Papa. Un uomo, un solo uomo dietro tutto questo. Un magistrato, un sostituto procuratore del re, una versione laica e secolare di grande inquisitore. Si chiama Wim De Troy.
C´è un po´ di romanzo gotico d´appendice e molto di Dan Brown nella vicenda dei preti pedofili in Belgio, degenerata in una spirale di sospetti velenosi. Il giornale fiammingo De Morgen scrive che i magistrati sospettano la Chiesa belga di aver volutamente e sistematicamente coperto i sacerdoti accusati di pedofilia e ipotizzano contro i vertici religiosi nazionali una incriminazione per associazione a delinquere. Il quotidiano cattolico La Libre Belgique parla apertamente di un complotto della massoneria «che avrebbe per obiettivo la distruzione della Chiesa» e di cui il sostituto procuratore a capo dell´inchiesta sarebbe un esponente.
Le gerarchie ecclesiastiche e gli esponenti politici cercano di mantenere il sangue freddo. Ma in un Paese che, oltre alla tradizionale divisione tra fiamminghi e valloni, è anche attraversato da una profonda spaccatura tra una cultura cattolica molto radicata e un laicismo duro, dai toni risorgimentali, la tensione innescata dall´inchiesta della magistratura è difficile da controllare. «Non bisogna cedere alla tentazione di gridare al complotto - dice a Repubblica padre Eric De Beukelaer, portavoce della Conferenza episcopale belga - Capisco la collera e l´irritazione per il sequestro dei dossier e per la violazione delle tombe dei cardinali. Ma in una situazione come questa occorre che la ragione prenda il sopravvento. Fino a prova contraria dobbiamo avere fiducia nel nostro sistema democratico».
In realtà la chiesa cattolica, nel pieno della bufera per i casi di pedofilia che stanno emergendo un po´ dovunque, dagli Stati Uniti alla Germania, dall´Italia all´Irlanda, per la prima volta si trova di fronte a una giustizia che procede a perseguire i reati senza alcuna considerazione per l´istituzione in seno alla quale sono stati commessi. L´accordo che era stato raggiunto tra i vertici dell´episcopato belga e il ministero della Giustizia, per consentire il lavoro della commissione indipendente creata dai vescovi, è saltato di fronte alla determinazione del sostituto procuratore De Troy.
Di lui si sa poco o nulla. Per nulla incline ai riflettori, tantomeno alle interviste, il giudice che ha distrutto l´aura di intoccabilità della chiesa cattolica, ha fama di uomo integerrimo. In passato non ha esitato a far arrestare un collega accusato di passare informazioni alla malavita sulle inchieste in corso. Perfettamente bilingue, è stato a lungo il portavoce della procura di Bruxelles. Da quando ha assunto l´incarico di magistrato inquirente, quattro anni fa, si è occupato con successo di numerosi casi di droga, di omicidi e di tratta di esseri umani. Nulla trapela della sua vita privata, foto introvabili, niente dichiarazioni, niente di niente. Come se la sua funzione e la sua carica esaurissero da sole la sua figura. Anche la politica ha dovuto piegarsi di fronte all´indipendenza della magistratura perfettamente incarnata da De Troy. «I giudici agiscono in piena autonomia e hanno il dovere di perseguire le indagini sui crimini di cui sono venuti a conoscenza utilizzando tutti i mezzi che ritengono necessari», ha ammesso il ministro della Giustizia Stefaan De Clerck.
Così il grande inquisitore va vanti per la sua strada. Di fronte a lui ci sono due alti prelati che rappresentano i due volti del cattolicesimo belga. L´uomo accusato di aver protetto i pedofili in seno alla Chiesa è il cardinale Godfried Danneels, fiammingo, per trent´anni primate del Belgio ed esponente di spicco dell´ala più progressista dell´episcopato europeo. Le sue posizioni sulla contraccezione, sui preservativi, considerati «un male minore» rispetto al pericolo dell´Aids, lo hanno spesso visto in contrapposizione a Ratzinger. L´anno scorso ha lasciato l´incarico per limiti di età, ma resta comunque una personalità influente nella Chiesa belga e un punto di riferimento per il cattolicesimo progressista.
Il suo successore è monsignor Leonard, di origini francofone, docente di filosofia, perfettamente allineato con la posizioni conservatrici di Benedetto XVI. Considera l´omosessualità un comportamento anormale, frutto di una distorsione dello sviluppo psicologico normale. E Le Soir riporta sue dichiarazioni che definiscono l´epidemia di Aids «una sorta di giustizia immanente» a causa dei comportamenti sessuali devianti. Appena nominato primate del Belgio, Leonard ha fatto sua la nuova politica vaticana di tolleranza zero verso i casi pedofilia in seno alla Chiesa. E subito si è trovato a dover gestire le dimissioni del vescovo di Bruges, reo confesso di aver avuto rapporti con un minore. Di fronte all´esplodere di sempre nuovi casi di abuso in seno al clero, in particolare nelle Fiandre, Leonard non ha esitato a chiedere perdono alle vittime in nome della Chiesa e a criticare «la sottovalutazione» del fenomeno da parte del suo predecessore. Ma certo ora, dopo le perquisizioni e i sequestri e mentre il Vaticano grida alla persecuzione, deve trovare una difficile convivenza con il grande inquisitore che sta perseguitando i crimini di pedofilia senza guardare in faccia nessuno.

Repubblica 4.7.10
Quando Cesare vuole giudicare Dio
di Agostino Paravicini Bagliani

I rapporti tra la Chiesa e la giustizia, che accompagnano la storia del cristianesimo fin dalla sua affermazione storica sotto l´imperatore Costantino († 337), hanno conosciuto da sempre oscillazioni e situazioni conflittuali. Pur considerando il cristianesimo religione di stato, Costantino ordinò che le cause dottrinali dei donatisti fossero portate davanti al giudice imperiale. L´imperatore Giustiniano intervenne in modo ancor più incisivo nella vita interna della Chiesa, garantendo sì protezione ma anche il rispetto di sanzioni in caso di violazione della legge. Il suo Codice (533) regolava in modo dettagliato i problemi disciplinari anche di preti e diaconi. L´imperatore permise persino a ciascuno di denunciare all´imperatore contravvenzioni alla legge.
Costantino aveva però anche concesso ai vescovi di poter giudicare le cause civili riguardanti i semplici chierici, e così si comporteranno i concili fin dal Quarto secolo. Il Concilio di Ippona (393), di cui Agostino era il vescovo, minacciò di deporre il chierico che avesse sottomesso una causa, civile o criminale, al giudice secolare. Nacque dunque già nel Quarto secolo quello che i giuristi del Medioevo e dell´età moderna chiameranno il «privilegio del foro». Anche Carlomagno legiferò con i suoi numerosi "capitolari" sulla disciplina del clero, pur concedendo ai vescovi ampi spazi giurisdizionali. La situazione cambiò radicalmente nell´Undicesimo secolo, in seguito alla volontà del papato romano di liberarsi dalla tutela dei grandi signori laici. Uno dei punti fermi della lotta contro le investiture fu proprio la "libertà della Chiesa" anche in termini giurisdizionali. Papi come Alessandro III (1159-1181) e Innocenzo III (1198-1216) estesero alle autorità ecclesiastiche tutte le cause civili e criminali riguardanti il clero, lasciando alle autorità civili il diritto di giudicare le cause di natura feudale. Nacquero così nuovi gravi conflitti con i poteri laici che tentarono sovente di opporsi, giungendo in molte regioni dell´Europa medievale a una sorta di compromesso. Si distinse infatti tra la deposizione e la degradazione dei chierici colpevoli dei più gravi delitti. La deposizione, che non comportava la perdita dei privilegi, fu riservata alla giustizia ecclesiastica. Con la deposizione si sanzionavano crimini come la lussuria. La degradazione, ancora più severa, veniva invece decisa anche da giudici laici. Il rituale prevedeva che con un coltello o un vetro si raschiasse la pelle delle dita del chierico (che servono a consacrare l´Eucarestia) e si scalfisse con delle forbici la tonsura (simbolo della sua dignità). L´esecuzione della sanzione finale (generalmente il rogo) spettava all´autorità civile.
Come ebbe ad affermare Gregorio VII (1075-1084), «il papa non poteva essere giudicato da nessuno» (Dictatus pape). Soltanto in caso di eresia, poteva però essere deposto da un concilio. Ed è proprio per farlo deporre da un concilio che Guglielmo di Nogaret, in compagnia di Sciarra Colonna, catturò ad Anagni (settembre 1303) papa Bonifacio VIII (1294-1303) cui aveva rivolto fin dal 1302 gravissime accuse, come quella di adorare gli idoli, di essersi dato a pratiche magiche e quant´altro. Accuse storicamente insostenibili ma che avrebbero permesso al re di Francia di trasformare il concilio parigino in un vero e proprio tribunale. L´affermarsi del diritto canonico medievale, e poi il Concilio di Trento, confermarono l´eccezionalità delle prerogative giurisdizionali ecclesiastiche, dovendo però sempre fare i conti con forti resistenze e tradizioni locali. Del resto, anche il Codice di diritto canonico del 1917 prevedeva la possibilità di deroghe locali che tra Otto e Novecento furono sovente oggetto di negoziati concordatari.

Repubblica 4.7.10
La sessualità secondo la Chiesa di oggi
risponde Corrado Augias

Gentile Augias, qualche giorno fa una ragazza di 22 anni va in chiesa per confessarsi. L'anziano sacerdote la interrompe per chiederle se è fidanzata. Imbarazzata lei risponde di sì. Il prete le dà un foglio, con una serie di precetti da osservare durante il fidanzamento. Poi le chiede se è vergine; lei risponde di sì. Sta mentendo, lo fa per non sentirsi giudicata, offesa nella sua intimità. Purtroppo la ragazza si è disfatta del documento. Ne ho cercato una copia ma senza riuscire. Il luogo è la Basilica di San Nazaro Maggiore, parrocchia al centro di Milano, pochi passi dal Duomo. Uno dei concetti che più mi ha colpito (non riporto testualmente ma solo il senso) è che le manifestazioni di affetto devono limitarsi a bacio, carezza o abbracci, purché non talmente intimi da provocare polluzione o orgasmo. Ricordo che quando frequentavo il catechismo, per ricevere la cresima, una delle perplessità più forti, in tema di dogmi cattolici, era sul mistero della Madonna, rimasta incinta per opera dello spirito santo. Mi chiedevo: è davvero così inconciliabile, per un credente, immaginare la Madonna unita carnalmente a suo marito Giuseppe? Capii che non sarei diventato un buon fedele proprio perché incapace di accettare quei dogmi. Sicuramente, la prima qualità che deve avere un cattolico, è credere a prescindere, io non ce l'avevo.
Erminio Cervello erminio.ce@libero.it

I rapporti della Chiesa con la sessualità sono sicuramente travagliati ma opzioni diverse da quelle del prete milanese sono possibili. Una concezione tendenzialmente sessuofobica si trova a competere con una visione ormai prevalente nel mondo che è opposta, vorrei dire esageratamente opposta. La signora Francesca Ribeiro ( ribesca@tiscali.it ) mi segnala per esempio: «La Curia torinese ha bocciato la delibera di iniziativa popolare che dice sì alle unioni civili affermando: "In sintonia con il magistero del Papa e dei vescovi italiani, non ci stancheremo di proporre alle giovani generazioni il modello millenario di famiglia che Gesù Cristo ha confermato come il progetto di Dio valido fin dal principio". Quale modello? Maria e Giuseppe non avevano rapporti coniugali. Per Gesù (Mt 12, 49-50) i suoi discepoli erano madre e fratelli "chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi mi è fratello, sorella e madre". La sua preoccupazione era l'amore, da lì viene la vera famiglia». C'è per fortuna anche una corrente di teologia più aggiornata. Per il prof. Vito Mancuso ad esempio: «Ci sono credenti che aderiscono alla verità non per obbedire ma per amore della verità stessa e del bene del mondo. Deve finire, forse è già finita, l'epoca dei teologi e dei cristiani sotto tutela». Voglio credere, spero, che Mancuso abbia ragione.

Repubblica 4.7.10
Disegnare il tempo
Storia occidentale di un enigma
di Umberto Galimberti

Gli antichi greci ricordavano il succedersi delle Olimpiadi, i romani i governi dei consoli. Persiani ed ebrei elencavano i loro re Rappresentare lo scorrere dei secoli è stato da sempre uno degli assilli dell´uomo Adesso, un gruppo di storici delle università di Princeton e dell´Oregon raccoglie e analizza per la prima volta in un volume gli esperimenti di cartografia cronologica realizzati dal Medioevo al Novecento
Quando è iscritto in un disegno, il tempo acquista un senso, e quando il tempo è fornito di senso, nasce la "storia" Non c´è infatti nel tempo ciclico che ripete se stesso, e neppure in quello progettuale che si esaurisce nel raggiungimento dello scopo


l tempo è un enigma. Ogni popolazione, ogni cultura, ogni civiltà se ne sono fatte una figurazione. Noi occidentali, che abbiamo le nostre radici nella grecità e nella tradizione giudaico-cristiana, abbiamo elaborato sostanzialmente tre concezioni del tempo, riferite rispettivamente alla natura, all´uomo, a Dio.
1. I greci, che considerano la natura come quell´orizzonte immutabile che, al dire di Eraclito, «nessun uomo e nessun dio fece», elaborano una prima figura del tempo che chiamano «ciclico», e che noi possiamo immaginare come successione delle stagioni dell´anno - primavera, estate, autunno, inverno e poi il ciclo ricomincia - o come successione delle stagioni della vita: nascita, crescita, maturità, vecchiaia, morte, perché la natura necessita della morte dei singoli individui affinché altre vite possano vivere. Nel tempo ciclico non c´è futuro che non sia la pura e semplice ripresa del passato. E perciò i vecchi che hanno visto più cicli, sono per questo i depositari del sapere.
2. Accanto al tempo ciclico della natura i greci individuano anche quel tempo tipico dell´uomo che anticipa degli scopi e si propone di raggiungerli. Chiamano questo tempo «scopico», da skopéo che significa «guardare, avendo ben in vista il bersaglio che si vuol raggiungere». Anche le parole italiane: micro-scopio, tele-scopio, endo-scopia, ribadiscono la qualità di questo sguardo che tende a uno scopo. Il tempo scopico, che possiamo chiamare anche "progettuale", perché l´uomo pro-getta, getta innanzi, anticipa lo scopo che vuole raggiungere, non guarda il passato, ma il futuro. Non un futuro lontano, ma un futuro prossimo, perché solo la prossimità traduce le cose in "mezzi" e in "fini". Infatti, se dispongo di denaro sufficiente per comprare una casa, ma sul mercato non ci sono case, quel denaro non è un "mezzo" per comprare una casa; allo stesso modo se ci sono case, ma non denaro per acquistarle, quelle case non sono un fine, ma un sogno. Perché qualcosa sia mezzo e qualcosa sia scopo è necessario che i due siano temporalmente vicini, per cui il tempo scopico è un tempo breve, oggi e domani. È il tempo tipico della tecnica, che si propone di raggiungere il massimo degli scopi con l´impiego minimo dei mezzi.
3. La tradizione giudaico-cristiana introduce nella cultura occidentale una figura del tempo assolutamente imprevista dalla cultura greca. Si tratta del tempo «escatologico» dove alla fine (éschaton) si realizza quello che all´inizio era stato annunciato. A differenza del tempo ciclico e di quello progettuale, il tempo escatologico iscrive la temporalità in un "disegno" che va dall´origine alla fine del mondo. Quando è iscritto in un disegno, il tempo acquista un "senso", e quando il tempo è fornito di senso, nasce la "storia". Non c´è infatti storia nel tempo ciclico che ripete se stesso, e neppure nel tempo progettuale che si esaurisce nel raggiungimento dello scopo.
Il cristianesimo, annunciando all´uomo una sopravvivenza ultraterrena, ha immesso nella cultura occidentale un´enorme carica ottimistica investita sul futuro. Per il cristianesimo infatti il passato è male (colpa originaria), il presente è redenzione, il futuro è salvezza. Questa differenza qualitativa delle figure del tempo la ritroviamo pari pari nella scienza, per la quale il passato è ignoranza, il presente è ricerca, il futuro è progresso. Lo stesso si può dire per la sociologia prima illuminista e poi marxista, per le quali il passato è ingiustizia, il presente rivoluzione, il futuro giustizia sulla terra. Così ragiona la psicoanalisi: il passato è trauma o nevrosi infantile, il presente è analisi, il futuro è guarigione.
Tutto è cristiano in Occidente, perché, in ogni sua espressione, questa cultura è percorsa da una carica ottimistica orientata al futuro, promossa dall´annuncio della salvezza, di cui il progresso scientifico, la giustizia sociale, la guarigione della malattia sono le sue figure laicizzate. Ne consegue che quando papa Ratzinger invoca il riconoscimento delle radici cristiane dell´Occidente, a mio parere chiede troppo poco, perché non solo le radici, ma il tronco, i rami, le foglie, i frutti, tutto è cristiano in Occidente, per effetto della concezione escatologica del tempo, dove alla fine si realizza quello che all´inizio era stato promesso.
Ma Nietzsche, circa un secolo e mezzo orsono, ha annunciato che «Dio è morto». Che significa? Significa che se nel Medioevo l´arte è sacra, la letteratura è inferno, purgatorio, paradiso, persino la donna è donna-angelo, Dio è vivo, perché crea un mondo che non riuscirei a capire se togliessi la parola "Dio". Ma se tolgo la parola "Dio" dal mondo contemporaneo, lo capisco ancora? Direi di sì. Non lo capirei se togliessi la parola "denaro" o la parola "tecnica". Ciò significa che Dio è morto, che il mondo accade a prescindere da Dio. E, con la morte di Dio, muore la visione ottimistica sul futuro che rintracciamo in ogni espressione della storia d´Occidente. Dove si vede che la fisionomia delle civiltà dipende rigorosamente dalla concezione che esse si sono fatte del tempo.

Repubblica 4.7.10
Tra mappe celesti e teatri della memoria
di Gabriele Pantucci

il Tempio del tempo (Temple of Time) realizzò in America nel 1846 quello che l´umanista italiano Giulio Camillo Delminio (1480-1544) avrebbe voluto realizzare tre secoli prima. Delminio aveva ideato il Teatro della memoria: che in modello ligneo avrebbe contenuto l´impronta mnemonica di tutta la conoscenza universale. Lo spettatore, dal centro del palcoscenico avrebbe appreso i principi del neoplatonismo, del mito, dell´astrologia... ogni componente dello scibile. Li avrebbe ricordati grazie alle rispettive posizioni: su un gradino, in una nicchia, sul soffitto... perché noi siamo predisposti a ricordare le cose nel contesto del luogo, come aveva scritto Cicerone. Un´educatrice americana, Emma Willard, grazie ai suoi studi classici aveva ricordato il principio, realizzandolo sulla grande tavola del Tempio del tempo con la proiezione tridimensionale della cronografia storica. Le colonne a destra coi secoli nel vecchio mondo: decorate dai nomi dei grandi che li avevano dominati. Quella dimezzata del secolo in corso indicava già Napoleone nella sua parte inferiore. Sulla sinistra quelle del nuovo mondo. Le cinque lunghe corsie del soffitto erano carte biografiche: statisti, filosofi e inventori, teologi, poeti e pittori e guerrieri. Sul pavimento la carta dello scorrere storico del tempo. La tavola, in colori brillanti su sfondo nero, ebbe successo e molti studenti americani avrebbero ricordato per il resto delle loro vite le successioni storiche grazie all´intelligente concatenazione.
Lo spirito pratico del diciannovesimo secolo si profuse nella creazione di strumenti che contribuissero alla diffusione del sapere rispondendo all´antico quesito: come si rappresenta il tempo? I greci incidevano sulle lapidi il succedersi delle Olimpiadi, i romani quello dei consoli, mentre ebrei e persiani elencavano i re. Soltanto nel quarto secolo il teologo cristiano Eusebio di Cesarea stese la prima linea del tempo. Due storici americani - Anthony Grafton della Princeton University e Daniel Rosenberg della University of Oregon - hanno osservato che i problemi formali e storici posti dalle rappresentazioni grafiche del tempo sono stati largamente ignorati. Col volume Cartographies of Time: A History of the Timeline (Princeton Architectural Press: www.papress.com), ricco di riproduzioni, hanno documentato quanto di più significativo si è fatto dal Medioevo. Il New York Times lo ha già definito «il libro più bello dell´anno». Dal monaco Hermann Rolewinck (Colonia 1502) che per primo sviluppò una cronaca del mondo in forma di codice di genealogia all´umanista tedesco Petrus Apianus (1495-1552) che creò una sorta di "computer astronomico", al domenicano Giovanni Maria Tolosani che introdusse nel 1537 prove astronomiche nelle sue tavole cronologiche. Ma è negli ultimi duecentocinquanta anni che si è sviluppata soprattutto in America una mini industria della riproduzione del tempo. Dalle mappe dell´atlante storico di Edward Quin, ai giochi di carte, al ventaglio di James Ludlow, fino all´umoristica interpretazione di Francis Picabia. Non va ignorato il Mark Twain´s Memory Builder che lo scrittore creò e fece brevettare per irrobustire la memoria dei connazionali .

sabato 3 luglio 2010

Repubblica 3.7.10
Da porporato a pontefice "Così il cardinale Ratzinger prese di mira i progressisti e lasciò impuniti i pedofili"
Il "New York Times" accusa Benedetto XVI
"I vescovi locali denunciavano il problema, ma il Vaticano restò inattivo"
di Federico Rampini

New York - Joseph Ratzinger, quando da cardinale dirigeva la Congregazione per la dottrina della fede, fu «parte di una cultura di non-responsabilità, negazionismo, e ostruzionismo della giustizia» di fronte agli abusi sessuali commessi da sacerdoti. Lo afferma il New York Times sulla base di documenti interni alla Chiesa, interviste a vescovi ed esperti di diritto canonico. Dal reportage emerge una versione molto diversa, sul ruolo di papa Benedetto XVI, rispetto alla descrizione ufficiale fornita dalla Chiesa. Tra le rivelazioni spunta un vertice segreto avvenuto in Vaticano nel 2000 tra Ratzinger e i vescovi delle nazioni anglofone più colpite dagli scandali di pedofilia: Stati Uniti, Irlanda, Australia. Secondo il vescovo Geoffrey Robinson di Sidney, che partecipò all´incontro segreto, Ratzinger «impiegò molto più tempo a riconoscere il problema degli abusi sessuali, rispetto a quel che fecero alcuni vescovi locali». Nell´intervista al New York Times il prelato australiano si chiede: «Perché il Vaticano era così tanti anni indietro?».
Il New York Times smonta la linea di difesa che la Santa Sede ha tenuto sull´attuale pontefice. Il Vaticano ha descritto come una svolta la decisione del 2001 di dare alla Congregazione diretta da Ratzinger l´autorità di semplificare le procedure e affrontare direttamente i casi di pedofilia. Dopo quella decisione, annunciata con una lettera apostolica di Giovanni Paolo II, il cardinal Ratzinger sarebbe emerso come uno dei più coraggiosi nel riconoscere la minaccia degli abusi sessuali per la reputazione della Chiesa. Tutto questo viene confutato nella ricostruzione del giornale americano. In realtà la Congregazione aveva già gli stessi poteri dal 1922, secondo diversi esperti di diritto canonico interpellati. La lettera del 2001 non segnò affatto una svolta. Al contrario, la Chiesa si decise ad agire solo in grande ritardo, sotto la pressione di alcuni vescovi anglofoni in prima linea negli scandali. «Per i due decenni in cui ebbe la guida della Congregazione», scrive il New York Times, «il futuro Papa non esercitò mai quell´autorità. Evitò di intervenire anche quando le accuse e i processi stavano minando la credibilità della Chiesa in America, Australia, Irlanda, e altri Paesi». Ancora oggi, prosegue l´articolo, «molti decenni dopo che gli abusi sessuali da parte dei sacerdoti sono diventati un problema, Benedetto XVI non ha istituito un sistema di regole universali» per affrontarlo. Al contrario permane tuttora «una confusione dilagante tra i vescovi, sul modo di affrontare le accuse».
Eppure i segnali d´allarme per il Vaticano vengono da lontano. Nel 1984 il reverendo Gilbert Gauthé di Lafayette, Louisiana, ammise di avere molestato 37 minorenni. Nel 1989 uno scandalo enorme scoppiò in un orfanatrofio cattolico del Canada. Nella prima metà degli anni Novanta 40 fra preti e monaci australiani erano sotto processo per abusi sessuali. Nel 1994 cadde un governo in Irlanda per avere negato l´estradizione di un prete pedofilo. A quel tempo il cardinal Ratzinger aveva consolidato la sua autorità al vertice della Congregazione, dove era stato nominato nel 1981. «È lui», sottolinea il New York Times, «che avrebbe potuto avviare azioni decisive negli anni Novanta, per impedire che gli scandali diventassero una metastasi, diffondendosi da un Paese all´altro». Ma le sue priorità erano altre. Fin dal 1981 Ratzinger aveva identificato «la minaccia fondamentale per la fede della Chiesa»: la teologia della liberazione, il movimento dei preti progressisti che si stava affermando in America latina. «Mentre padre Gauthé (il pedofilo, ndr) veniva processato in Louisiana, il cardinal Ratzinger stava sanzionando pubblicamente i preti del Brasile e del Perù per aver sostenuto che la Chiesa doveva impegnarsi a favore dei poveri e degli oppressi. I suoi strali colpirono poi un teologo olandese favorevole a dare funzioni ecclesiali ai laici, e un americano che sosteneva il diritto al dissenso sull´aborto, il controllo delle nascite, il divorzio e l´omosessualità». Per reprimere ogni velleità di autonomia delle Chiese nazionali, Ratzinger usò la sua autorità per affermare che le Conferenze episcopali «non hanno un fondamento teologico, non appartengono alla struttura della Chiesa». Un´offensiva fatale, scatenata proprio nella fase in cui alcune »onferenze episcopali nei Paesi anglofoni avevano cominciato ad affrontare gli scandali in modo aperto, e chiedevano di poter sanzionare i preti pedofili senza aspettare le lungaggini dei processi canonici.

il Fatto 3.7.10
Il feeling tra Chiesa e premier
Adesso si capisce perché Vaticano e B&C vanno così d’accordo. In effetti un cattolico praticante e, per la verità, anche un laico raziocinante, avevano qualche difficoltà a capire la solidarietà per B. da parte del Vaticano.
di Bruno Tinti

Adesso si capisce un po’ meglio perché Vaticano e B&C vanno così d’accordo. In effetti un cattolico praticante e, per la verità, anche un laico raziocinante, avevano qualche difficoltà a capire come le più alte gerarchie della chiesa cattolica continuassero a gratificare B. della loro affettuosa solidarietà nonostante la figura morale dell’uomo fosse certamente abbietta. Probabilmente nei cattolici destava minor stupore il fatto che B, colpevole di gravi reati e assolto per prescrizione a seguito di una legge costruita da lui e nel suo personale interesse, venisse ciò non di meno ricevuto in Vaticano; in fondo di reati fiscali, socie-tari, contro la pubblica amministrazione si trattava, il loro tasso d’immoralità poteva essere giudicato modesto da chi si occupa di anime e non di soldi (?). Meno comprensibile poteva sembrare che le gerarchie ecclesiastiche continuassero ad avere rapporti cordiali con persona amica di imputati e condannati per mafia, chi in primo grado, chi in secondo, chi in via definitiva, e che aveva addirittura ospitato in casa sua un riconosciuto mafioso: ma insomma, che mafia e religione costituiscano un binomio pressoché inscindibile (basta osservare l’esibita ma sincera devozione dei mafiosi frequentatori abituali delle messe) è noto a tutti. Certamente incomprensibile e incoerente era però il permanere di ottimi rapporti con persona che si scopava puttane previamente convocate in allegri festini presso la residenza di governo, che frequentava senza apparenti ragioni istituzionali o semplicemente amicali una minorenne, che era, ohibò, divorziato e risposato civilmente, ragione per la quale a milioni di fedeli è rifiutato il sacramento della comunione. Questo proprio non si riusciva a capire.
Fino ad oggi, veramente, quando abbiamo scoperto che anche le alte gerarchie ecclesiastiche sono convinte che gli unti dal signore meritino l’impunità giudiziaria. Magistratura e polizia belghe indagano su atti di pedofilia commessi da ecclesiastici? Cercano le prove di questi disgustosi delitti? Eseguono perquisizioni e, chissà, intercettazioni telefoniche (lì si può, pare che sia considerata una cosa intelligente da fare se si vogliono scoprire reati e colpevoli)? Addirittura trovano documentazione comprovante le violenze sessuali commesse da ecclesiastici in danno di bambini? Perfino sequestrano questa documentazione? E come reagisce la chiesa belga? La commissione nominata dalla conferenza episcopale si dimette per protesta: perché le indagini le dovevano fare loro per primi; poi, in piena trasparenza, ne avrebbero comunicato i risultati a polizia e magistratura. Da morir dal ridere, se non fosse drammatico.
Ma questa è la chiesa belga, si dirà, intemperanze alla periferia dell’Impero; che c’entra il Vaticano? Eh, non è stato il Vaticano a esprimere stupore e sdegno per le indagini della polizia belga? E non è stato tale padre Federico Lombardi, portavoce del Vaticano, a sostenere che le condotte tenute dalla Chiesa “non hanno inteso e non hanno favorito alcuna copertura di tali delitti, ma anzi hanno messo in atto un'intensa attività per affrontare, giudicare e punire adeguatamente tali delitti nel quadro dell'ordinamento ecclesiastico”? E alla fine non è stato il Vaticano che ha presentato un ricorso alla Corte Suprema degli Stati Uniti sostenendo la sua immunità a fronte delle denunce delle vittime di tale Andrew Ronan, un prete pedofilo, come tale noto alla sua gerarchia, che però si era limitata a trasferirlo di sede in sede ogni volta che veniva denunciato? E, alla fine, non sono stati lo stesso Papa e il cardinale Bertone ad incazzarsi con la polizia e la magistratura belghe? Così adesso si capisce perché c’è tanto feeling tra B. e il Vaticano. Sono tutti e due convinti di essere al di sopra della legge. Il Vaticano perché è unto dal Signore; e B. perché è unto dal popolo. È quest’originale battesimo che rende inapplicabile ai preti pedofili la giustizia secolare: i loro delitti saranno puniti “adeguatamente nel quadro dell'ordinamento ecclesiastico”. Il che comunque sarebbe sempre meglio (se davvero avvenisse, ma la storia di padre Ronan non autorizza molta fiducia) di quanto avviene nell’entourage di B&C, dove non solo non si “punisce” nessuno ma chi commette delitti fa carriera politica. Sarà perché in Italia manca una figura (per dire, vista l’impresentabilità di B&C, magari il presidente della Repubblica) che possa convincentemente affermare, come ha fatto il premier belga Yves Leterme: “Ciò che mi interessa, come primo ministro di questo paese, è che il potere giudiziario possa esprimersi in modo autonomo ed è proprio questo che sta succedendo. Le perquisizioni sono la prova che in questo paese c'è una separazione di poteri tra Stato e Chiesa e che il potere giudiziario può agire in modo autonomo”?

il Fatto 3.7.10
Una croce fondata sulla P2
Nasce un movimento per la difesa del crocifisso: ispirato dal Venerabile
di Carlo Tecce e Giampiero Calapà

Il crocifisso di legno cade tre volte dal trespolo di una lavagna. Le braccia dell’emozionato Roberto Mezzaroma che l’agitava, in quel momento mistico e (un po’) pacchiano, erano le protesi di Licio Gelli, il gran maestro della P2.
Il cosiddetto Venerabile ha ispirato il Movimento etico per la difesa internazionale del crocifisso (Medic), presentato nella sala congressi del Michelangelo di Roma, un albergo a pochi passi dal Vaticano. La politica è corsa a sostenere l’iniziativa: c’era Olimpia Tarzia, consigliere regionale Pdl, l’ex direttore del Tg1 Nuccio Fava, atteso invano l’ex mezzobusto del Tg1 Francesco Pionati (Adc) e sono stati annunciati telegrammi ricevuti (ma non letti) dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, dal presidente emerito Francesco Cossiga e dal “divo” Giulio Andreotti.
Il disegno dell’uomo P2
Per la Chiesa è un appuntamento imperdibile: don Walter Trovato, cappellano della polizia di Stato, è il primo a sedersi al tavolo degli oratori; l’anziano monsignore Antonio Silvestrelli è l’ultimo. Non èfacilecontareicollarinibianchi dei preti. Gelli ha scritto il codice etico e addirittura disegnato il simbolo dell’associazione: una sfera tagliata da cerchi concentrici su sfondo azzurro, una croce nera avvolta in una stretta di mano, quattro frecce ai bordi. Il Venerabile è nella sua Villa Wanda sulle colline di Arezzo: “Questa è la mia nuova battaglia - spiega al Fatto Quotidiano - e il colore scelto per il simbolo rimanda al mare, al cielo e al grembiule della Madonna, il resto a San Francesco e le frecce rappresentano i punti cardinali”. L’età avanzata ha impedito a Gelli di officiare la cerimonia in una sala moderna, affollata di uomini e donne vestiti con abiti scuri da sera nel caldo di mezzogiorno. Un amico di Gelli ha rimpianto l’assenza del Venerabile, criticando “la gestione troppo rude della cerimonia del costruttore Mezzaroma”. Accenti che si mescolano, spillette che si confondono. Segni, simboli, messaggi più o meno occulti, più o meno massonici. Il secondo capitolo di uno Statuto suggellato da Gelli, più che a un piano di rinascita nazionale, somiglia a una crociata pop: difendere, coinvolgere, riconoscere. “Medic vuole far emergere - declama Mezzaroma - le radici giudaico-cristiane del mondo occidentale e promuovere il significato autentico del crocifisso quale simbolo condiviso di amore assoluto; nasce con l’ambizione di essere un movimento trasversale, che raccoglie non solo cattolici ma anche ebrei, musulmani, atei, convinti che la croce abbraccia l’umanità intera”. Quasi un comizio, senza leggere, e un po’ fuori dal protocollo per un evento mondano in pieno giorno. L’imprenditore Mezzaroma, ex europarlamentare di Forza Italia, è stato nominato segretario generale del Medic in una riunione a Villa Wanda che, diretta come è logico da Gelli, ha indicato presidente onoraria la duchessa d’Aosta, Silvia Paternò, dei marchesi di Regiovanni , dei conti di Prades, dei baroni di Spedalotto, appartenente al Sovrano MilitareOrdinediMalta . Una roba da far impallidire la contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare di fantozziana memoria. Araldica pesante, insomma, tanto che “siamo già in 500: faccio politica per passione, sono iscritto al Pdl; stimo tantissimo Gel-li, ma non mi confido al telefono con nessuno” e attacca la cornetta Mezzaroma, contattato all’ultima forchettata di un banchetto fastoso. Il costruttore romano è un fan della prim’ora dei Circoli del buon governo di quel Marcello dell’Utri appena condannato a 7 anni in appello per concorso esterno in associazione mafiosa.
Ex romanista parente di Lotito
Ex europarlamentare, responsabile del dipartimento “lotta alla povertà” del partito ai tempi di Forza Italia, Mezzaroma è lo zio della moglie di Claudio Lotito. Nel 2005 diventò il secondo azionista della Lazio vantandosi di “aver già salvato la Roma nel 1992 assieme ai miei fratelli, perché bisogna costruire non demolire”. E detto da lui vale un capitale, perché di cemento se ne intende. L’avventura con la Lazio è costata una condanna a un anno e 8 mesi, per un accordo definito “interpositorio” che permise a Mezzaroma di acquistare il 14,61% delle azioni biancocelesti di fatto per conto di Lotito, in modo da nascondere la titolarità del pacchetto completo con cui lo stesso Lotito avrebbe poi lanciato l’Opa. Aggiotaggio e ostacolo all’attività degli organi di vigilanza, per Lotito la condanna è di due anni.
Tra i padrini chiamati a battezzare il Medic, c’era anche monsignor Alberto Silvestrelli: un alto prelato che risponde all’invito di Licio Gelli. Esponente del governo Vaticano con l’incarico di sottosegretario alla Congregazione per il clero, oltre ad essere giudice di appello del Vicariato di Roma (il tribunale dei preti) e commissario della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, si occupa di sociale: alcolismo e disabili. Ai tempi della gestione Ratzinger, monsignor Silvestrelli ha ricoperto incarichi anche nella Congregazione per la dottrina della fede, la moderna Inquisizione.
Il consigliere regionale (Lazio) Olimpia Tarzia, altra commensale, vanta un ampio curriculum tra fede e politica: fondatore (e segretario generale dal ‘97 al 2006) del Movimento per la vita, il cui successo più importante è stato il fallimento del referendum sulla fecondazione assistita nel 2005. “Il crocifisso - ha affermato Tarzia - è simbolo di vita: si invoca lo Stato laico, ma lo Stato laico come democratico difende i diritti umani e il primodiquestidirittièquelloalla vita”.IlMedicèprontoadifendere il crocifisso “anche con azioni forti, a promuovere un referendum che rimetta al popolo italiano la decisione di continuare a riconoscersi in quei valori che hanno delineato i confini culturali e spirituali dell’Italia e dell’Europa”. A quei valori che affascinano Licio Gelli.