mercoledì 14 luglio 2010

l’Unità 14.7.10
Intervista a Pier Luigi Bersani. L’offensiva dell’opposizione
«Il berlusconismo è giunto al punto critico. Democratici, nervi saldi»
Il segretario Pd negli Usa: la corruzione infetta le istituzioni, Paese senza guida «Teniamo la barra di un’opposizione ferma e guardiamo alle forze più responsabili»
di Dimone Collini

Ai democratici dico: nervi saldi». Pier Luigi Bersani guarda con preoccupazione ai «gravissimi fatti di corruzione che stanno infettando le istituzioni e i luoghi di governo». Ora spunta “Cesare”, quello che tutto sapeva. Il leader del Pd sottolinea che al di là dei nomi di Nicola Cosentino, Denis Verdini, Claudio Scajola e di tutti gli altri invischiati in questa torbida vicenda che passa per l’eolico sardo, gli appalti per il G8 e vecchie e nuove logge segrete, quel che ormai è chiaro è che «sotto l’ombrello dell’imperatore si sono creati dei meccanismi quasi feudali, con vassalli, valvassori e valvassini che hanno ritenuto di potersi muovere avendo in mano un pezzo di potere e giostrandolo anche al di fuori dei circuiti istituzionali». Siamo arrivati, dice il segretario del Pd, a «un punto critico». E alle «forze più responsabili del centrodestra» lancia un appello: «Riconoscano che il Paese è senza guida, che non si sta facendo nulla per gli italiani, che non si può andare avanti per mesi e mesi in queste condizioni».
Bersani si ritaglia una pausa tra gli incontri previsti dall’agenda statunitense per parlare di quanto sta avvenendo in Italia. «Anche qui mi stanno chiedendo cosa succede, il tema ha già oltrepassato i nostri confini», dice il leader del Pd dopo un colloquio al Dipartimento di Stato di Washington per discutere della situazione in Afghanistan con il vicedirettore delle operazioni Nato Carleton Bulkin e prima di un incontro per parlare di crisi economica con Phil Gordon, del Bureau per gli affari europei ed euroasiatici.
E lei che risponde, a chi le domanda cosa succede da noi? «Che una brutta fase presto si andrà chiudendo, perché da ogni punto di vista la si guardi è ormai evidente che più si allunga e peggio è. E che tutto quello che si sta vedendo non si sarebbe visto senza un ruolo dell’opposizione, sia per quel che riguarda il distacco sui temi sociali tra il centrodestra e il paese, sia per quel che riguarda la difesa del tema democratico, civile, della legalità». E lei dice che questa volta è diverso dal passato, da tutte le volte che avete parlato di berlusconismo al tramonto?
«A questo punto è innegabile che siamo al secondo tempo del berlusconismo, una fase in cui il meccanismo populista si scontra con la realtà, con l’incapacità a fare le riforme necessarie e a parlare con sincerità al paese. Questo governo ha dimostrato di non essere in grado di proporre interventi e misure per far fronte alla crisi che abbiano carattere di equità e condivisione. Ha dimostrato di avere in disprezzo le regole democratiche, di volere un Parlamento succube, di pensare di poter attaccare impunemente le istituzioni dello Stato e gli organi costituzionali, di non sopportare la libertà di stampa. E ora siamo arrivati a una fase in cui l’intero impianto tocca un punto critico». Di fronte al quale Berlusconi reagisce denunciando il clima “giacobino e giustizialista”: che farà a questo punto il Pd?
«Berlusconi può tentare il colpo di coda, tentare una chiamata alle armi contro il nemico, che di volta in volta sono i magistrati, i comunisti, i giacobini, i giustizialisti, con l’idea di farla franca e di sottrarsi alle sue responsabilità e ai suoi fallimenti. Il Pd farà una ferma opposizione, tenendo assieme questione sociale e questione democratica, in modo da poter muovere uno schieramento di opinione molto ampio. E lo farà sia in Parlamento che in giro per l’Italia, attraverso giornate di mobilitazione sui temi della manovra, della legalità e della libertà d’informazione».
In Parlamento avete comunque di fronte una maggioranza che ha cento voti in più, e posizionamenti diversi di alcune personalità non possono cambiare i risultati, non crede? «Noi ci rivolgeremo alle forze più responsabili della maggioranza, se ci sono, perché riconoscano che l’Italia è senza guida, che non si sta facendo nulla per gli italiani, che il paese è sopraffatto da continue notizie di fatti gravissimi di corruzione, di infezione delle istituzioni e dei luoghi di governo».
Pensa a una sede e un momento specifici? «Abbiamo chiesto una discussione al Senato per parlare dello stato della Repubblica. E bene ha fatto Anna Finocchiaro ad avanzare al presidente Schifani questa richiesta, perché siamo di fronte a una crisi sociale micidiale e a una deriva democratica che è sotto gli occhi di tutti. Quella discussione sarà l’occasione, se ritiene la maggioranza, per fare un discorso serio, per chiedersi se sono in grado di governare il paese. Questo è il punto. Si comincia a ragionare da qui in poi, da questo riconoscimento. Dopodiché, qualora ci fosse, la parola non toccherebbe a noi ma al Presidente della Repubblica, e il Pd si comporterebbe come la forza responsabile che è».
Il “riconoscimento” a cui lei fa riferimento prevedrebbe però l’uscita di scena di Berlusconi, cosa che il diretto interessato non sembra intenzionato a mettere nel novero delle possibilità...
«Per noi questo è un punto ineliminabile. Questo è il secondo tempo e un terzo non c’è. Farlo durare a lungo significa soltanto provocare altri danni al paese».
Berlusconi ha vinto le elezioni, ha fatto notare anche il leader dell’Udc Casini... «Sì, ma ha anche fallito la prova di governo, palesemente, anche se nega l’evidenza».
Berlusconi ha anche negato di aver detto che chi voterà la mozione di sfiducia nei confronti di Cosentino è fuori dal Pdl. Un avvertimento comunque fatto filtrare: pensa che questa prova di forza del premier avrà successo?
«Più che di prova di forza direi che Berlusconi in questo momento ha bisogno di mostrare la forza. Ma questo vuol dire semplicemente che non ce l’ha, che è in una posizione di estrema difficoltà e che reagisce tirando colpi di coda. E sapendo quel che significa il berlusconismo è evidente che non siamo in una situazione qualsiasi. Quindi il nostro compito adesso è tenere i nervi a posto, rimanendo combattivi nel lavoro di opposizione».
Finché le opposizioni si muoveranno in ordine sparso Berlusconi ha meno da temere, non crede? «Ma infatti adesso dobbiamo anche cominciare ad accorciare le distanze fra le forze dell’opposizione. A questo punto tutte quante devono sentire la responsabilità del momentoenonfarelagaraachivaunmetro più avanti o più indietro. Tutti dobbiamo sentire la responsabilità di lavorare a un progetto riformatore per l’Italia, perché in tutta questa vicenda il nostro problema principale sarà dare un messaggio positivo al paese, stremato da questa cura berlusconiana». Parlava di corruzione e infezione delle istituzioni, ora dalle carte dell’inchiesta sulla nuova loggia sembrerebbe che Berlusconi venisse costantemente informato circa le attività della cricca.
«Quel che è certo, guardando ai nomi di Cosentino, Verdini, Scajola e di tutti gli altri, è che sotto l’ombrello dell’imperatore si sono creati dei meccanismi quasi feudali, con vassalli, valvassori e valvassini che hanno ritenuto di potersi muovere avendo in mano un pezzo di potere e giostrandolo anche al di fuori dei circuiti istituzionali».
La corruzione c’è sempre stata, le risponderebbe qualcuno... «In questo caso siamo di fronte a un salto di qualità molto grave. Le stesse legislazioni speciali sugli appalti sono state l’autostrada per la corruzione. E noi l’avevamo detto già quando le approvarono. Ora ne abbiamo prove a bizzeffe».

l’Unità 14.7.10
Allarme Onu per il bavaglio «Rischi per la libertà»
«Se adottata nella sua forma attuale può minare il godimento del diritto alla libertà di espressione in Italia». È il giudizio sulla legge bavaglio del relatore speciale Onu sulla libertà di espressione. L’ira di Frattini...
di Umberto De Giovannangeli

Gli ultimi Paesi di cui si è occupato non sono certo campioni di democrazia e di libertà di stampa: Venezuela, Sri Lanka, Birmania...E ora, l’Italia. L’Italia del Cavaliere-Bavaglio. Il Governo italiano deve «abolire o modificare» il progetto di legge sulle intercettazioni perché «se adottato nella sua forma attuale può minare il godimento del diritto alla libertà di espressione in Italia». Ad affermarlo, in una nota ufficiale, è il relatore speciale dell'Onu sulla libertà di espressione, Frank La Rue. Secondo il progetto di legge 1415, ricorda la nota, chi non è accreditato come giornalista professionista può essere condannato alla reclusione fino a quattro anni per la registrazione di qualsiasi comunicazione o conversazione senza il consenso della persona coinvolta e la diffusione di tali informazioni. «Una sanzione così severa sottolinea La Rue minerebbe seriamente il diritto di tutti gli individui a cercare e comunicare informazioni, in violazione della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, di cui l'Italia è parte».
J’ACCUSE ARGOMENTATO
La Rue, guatemalteco, incaricato dal Consiglio dei diritti umani dell'Onu di monitorare la situazione del diritto alla libertà di opinione ed espressione nel mondo, ha inoltre espresso preoccupazione per la prevista introduzione di una sanzione per i giornalisti e gli editori che pubblicano materiale intercettato prima dell'inizio di un processo. «Una tale punizione, che include fino a 30 giorni di carcere ed una sanzione fino a 10.000 euro per i giornalisti e 450.000 euro per gli editori, è sproporzionata rispetto al reato», spiega. Inoltre, «queste disposizioni possono ostacolare il lavoro dei giornalisti di intraprende-
re giornalismo investigativo su questioni di interesse pubblico, quali la corruzione, data l'eccessiva durata dei procedimenti giudiziari in Italia, sottolineata a più riprese dal Consiglio d'Europa», osserva La Rue che ha auspicato una missione dell'Onu in Italia, nel 2011, per esaminare la situazione della libertà di stampa e il diritto alla libertà di espressione. «Frank La Rue è un esperto che fa capo al Consiglio dei Diritti umani delle Nazioni Unite con base a Ginevra e presta il proprio servizio in veste indipendente all'Onu senza ricevere alcun pagamento», precisa l'Onu, sul suo sito di informazione.,
FRATTINI INSORGE
Da Ginevra a Roma. Da una denuncia argomentata a una furente reazione. Quella del ministro degli Esteri, Franco Frattini. Sono fortemente sconcertato e sorpreso per la posizione del rappresentante dell'Onu» sul Ddl intercettazioni», tuona il titolare della Farnesina. «Il processo mediatico è una barbarie. Non un principio di diritto», insorge Frattini, partito lancia in resta contro il relatore Onu sulla libertà di espressione. «In tutti i Paesi liberali e democratici del mondo non è consentito alla pubblica accusa di divulgare prima della sentenza definitiva elementi di indagine che devono restare segreti. «Questo insiste il ministro per la semplice ragione che, in democrazia, si tutelano anche i diritti degli indagati. Il processo mediatico è una barbarie, non un principio di diritto». Il Cavaliere e i suoi fedelissimi contro l’Onu: la storia si ripete. L’opposizione insorge. «Non mi stupiscono le reazioni scomposte e, aggiungo, imbarazzanti, che vengono da autorevoli esponenti del governo e della maggioranza al richiamo che l'Onu ha rivolto al Ddl intercettazioni. Sono rimasti solo gli amici di Berlusconi, perché nemmeno tutto il Pdl è unito, a difendere la legge che questa maggioranza ha partorito sulle intercettazioni», rimarca la presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro. «Non c’è commentatore, non c’è giornalista, non c’è giudice o rappresentante delle forze di polizia che consideri quel Ddl una buona legge osserva Finocchiaro -. L'Onu non fa che confermare questo giudizio. Aggredire in maniera violenta e arrogante l'Onu è sintomo del grande nervosismo che serpeggia dentro la maggioranza devastata da tensioni e da una evidente questione morale che nessuno, nemmeno questa pessima legge, riuscirà a nascondere...».

l’Unità 14.7.10
Intervista a Corradino Mineo
«Rainews va bene e costa poco. Mi cacciano per logiche politiche»
Il direttore del canale all news: Masi non mi ha informato ma ho ricevuto tanta solidarietà «Negli ultimi giorni abbiamo raggiunto Sky. Il mio successore Ferraro? So che ha altri modelli»
di Natalia Lombardo

Corradino Mineo, direttore di RaiNews, sembra davvero sul filo della rimozione, non giustificata se non con le mire della Lega sul canale all news, per regionalizzarne l’identità in un futuro accorpamento con RaiTre, anche questa resa «federalista».
Oggi e domani si riunisce il Cda della Rai: continua il braccio di ferro del direttore generale, Mauro Masi, per impedire che Annozero riprenda a settembre. E poi l’ultimo repulisti: via Mineo da RaiNews per fare entrare, dall’esterno, Franco Ferraro, conduttore di Seven a Sky, giornalista professionista da due anni, dato in quota Lega per lo sponsor Antonio Marano. Potrebbe fermarsi, invece, la nomina di Susanna Petruni a RaiDue, scalzando Liofredi che annuncia una causa. La prepara anche Raffaele Genah, vicedirettore del Tg1 rimosso dalla conduzione.
In difesa di Mineo si è sollevato un fronte bipartisan: non solo il Pd, l’Idv, i radicali, l’Udc, ma anche Granata e il ministro Rotondi. Protestano per le nomine politiche e le assunzioni dall’esterno i dirigenti dell’Adrai, e l’Usigrai annuncia un «voto sul Dg Masi». Mineo, una difesa trasversale...
«Fa piacere che qualcuno abbia apprezzato il nostro lavoro. Con il “Caffè” abbiamo alimentato il dibattito all’interno della maggioranza e dell’opposizione. Il compito della tv all news non è quello di sparare notizie a raffica, ma di muovere il confronto, uscire dalla propaganda».
Il Dg Masi l’ha informata della sua volontà di cambiare direttore, o l’ha saputo solo dalle indiscrezioni? «No, ne so quanto voi. Ma dico, avete mai visto l’azienda vantare i risultato di RaiNews? No, quindi non mi stupisco del fatto che non mi dicano niente. Negli ultimi tre giorni siamo in parità di ascolti con Sky: domenica eravamo in testa, sabato e lunedì eravamo sotto di 50 spettatori di media. In prime time, la mattina presto, siamo leader assoluti: su RaiTre facciamo il 10 per cento di share, quasi il 2 sul digitale e sul sito. Mi hanno chiuso Il Caffè per dare spazio a Buongiorno Italia su RaiTre, e me lo restituiscono l’estate dalle 7 alle 8 perché non hanno i soldi per la tv glocal».
Un rimozione dalla logica politica?
«Non so che dire. Non è legata agli ascolti, né ai costi perché costiamo pochissimo e non ci hanno dato niente. C’è un’altra idea di all news? Qual è? Questo piano industriale è secretato. Si parla di fusione con Televideo. Si parla molto, il che spiegherebbe la scelta del giornalista Ferraro, che spero che sia un ottimo professionista, per le attribuzioni di fede che gli danno, che il modello dovrebbe essere quello di Buongiorno Italia: notizie a mitraglia dal burka all’assassinio alla festa locale. Un modello non vincente e che costa molto. Le uniche tv all news del mondo che vanno bene hanno un’identità netta: Fox News e Al Jazeera. La Cnn ha 200mila telespettatori in prime time, Fox News un milione. RaiNews 50mila, perché ha un’idea chiara: dare la notizie sempre animata dal dubbio, e discutere tutto. Se Masi le proponesse di dirigere il Gr Parlamento, però sotto la supervisione di Preziosi, accetterebbe? «Come faccio a prendere sul serio un proposta da un editore che per un anno e otto mesi mi ha lasciato in trincea senza darmi niente, né un riconoscimento né mi ha comunicato alcunché».
Pensa che farebbe causa?
«Non so. Questo sì che è da regime: uno prima spara e poi tratta. Io non faccio la vittima, i direttori si cambiano, ma dopo un confronto onesto con chi ha lavorato. C’è una redazione che si è comportata benissimo pur senza mezzi. Il problema non è Corradino Mineo, il problema è RaiNews. Quando, per ragioni che non conosco, mi toglieranno allora mi preoccuperò di cosa fare».

l’Unità 14.7.10
L’appello online degli africanisti: diritti ai profughi eritrei in Libia

Una lettera aperta degli africanisti italiani (promotori Anna Maria Gentili, Alessandro Triulzi, Uoldelul Chelati Dirar) ai ministri Frattini e Maroni sulla vicenda dei 245 profughi eritrei nelle prigioni libiche ha raccolto più di cento firme in due giorni. A quei 245, dicono gli africanisti, come a tutti i profughi, «dovrebbe essere riconosciuto il diritto di vedere presa in considerazione la propria eleggibilità allo status di rifugiati». Continuano: «Il dramma di questo gruppo di eritrei abbandonati in un limbo caratterizzato dalla più totale e indiscriminata negazione dei diritti elementari è sotto gli occhi di tutti, perché finalmente ne hanno parlato anche i nostri giornali e si sono mobilitate autorevoli organizzazioni umanitarie. L'Italia tende a rifiutare le critiche, ma non può non riconoscere quanto e come la responsabilità di questa drammatica situazione sia l’inevitabile conseguenza della politica dei respingimenti collettivi, in palese violazione degli obblighi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che l’Italia ha sottoscritti, e del divieto di refoulement della Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato».
Questa politica illegale e disumana «finanziata col nostro denaro, non riguarda certo solo eritrei, ma di questi abbiamo saputo con maggiori dettagli perché in Italia abitano e lavorano molti famigliari o amici... L'Eritrea ha fornito all'Italia intere generazioni di ascari che hanno combattuto coraggiosamente sotto la sua bandiera, anche nelle stesse terre libiche dove ora i loro nipoti sono sottoposti a un trattamento disumano nel silenzio se non col consenso del Governo italiano». Tra le richieste, il vincolo al rispetto dei diritti nell’uomo per gli accordi sul pattugliamento e sospensione dei respingimenti in Libia; che l’accordo preveda il ritorno dei funzionari Unhcr così che ascoltino i migranti possano deciderne la sorte e la vita.

Repubblica 14.7.10
Perché gli uomini uccidono le donne
di Michela Marzano

La violenza non è solo di pazzi, mostri, malati E poco importa il contesto sociale Spesso sono uomini che non accettano l´autonomia femminile
Molti di questi delitti passionali sono il sintomo del "declino dell´impero patriarcale", l´unico modo per sventare la minaccia della perdita

Si continua a chiamarli delitti passionali. Perché il movente sarebbe l´amore. Quello che non tollera incertezze e faglie. Quello che è esclusivo ed unico. Quello che spinge l´assassino ad uccidere la moglie o la compagna proprio perché la ama. Come dice Don José nell´opera di Bizet prima di uccidere l´amante: «Sono io che ho ucciso la mia amata Carmen». Ma cosa resta dell´amore quando la vittima non è altro che un oggetto di possesso e di gelosia? Che ruolo occupa la donna all´interno di una relazione malata e ossessiva che la priva di ogni autonomia e libertà?
Per secoli, il "dispotismo domestico", come lo chiamava nel XIX secolo il filosofo inglese John Stuart Mill, è stato giustificato nel nome della superiorità maschile. Dotate di una natura irrazionale, "uterina", e utili solo - o principalmente - alla procreazione e alla gestione della vita domestica, le donne dovevano accettare quello che gli uomini decidevano per loro (e per il loro bene) e sottomettersi al volere del pater familias. Sprovviste di autonomia morale, erano costrette ad incarnare tutta una serie di "virtù femminili" come l´obbedienza, il silenzio, la fedeltà. Caste e pure, dovevano preservarsi per il legittimo sposo. Fino alla rinuncia definitiva. Al disinteresse, in sostanza, per il proprio destino. A meno di non accettare la messa al bando dalla società. Essere considerate delle donne di malaffare. E, in casi estremi, subire la morte come punizione.
Le battaglie femministe del secolo scorso avrebbero dovuto far uscire le donne da questa terribile impasse e sbriciolare definitivamente la divisione tra "donne per bene" e "donne di malaffare". In nome della parità uomo/donna, le donne hanno lottato duramente per rivendicare la possibilità di essere al tempo stesso mogli, madri e amanti. Come diceva uno slogan del 1968: "Non più puttane, non più madonne, ma solo donne!". Ma i rapporti tra gli uomini e le donne sono veramente cambiati? Perché i delitti passionali continuano ad essere considerati dei "delitti a parte"? Come è possibile che le violenze contro le donne aumentino e siano ormai trasversali a tutti gli ambiti sociali?
Quanto più la donna cerca di affermarsi come uguale in dignità, valore e diritti all´uomo, tanto più l´uomo reagisce in modo violento. La paura di perdere anche solo alcune briciole di potere lo rende volgare, aggressivo, violento. Grazie ad alcune inchieste sociologiche, oggi sappiamo che la violenza contro le donne non è più solo l´unico modo in cui può esprimersi un pazzo, un mostro, un malato; un uomo che proviene necessariamente da un milieu sociale povero e incolto. L´uomo violento può essere di buona famiglia e avere un buon livello di istruzione. Poco importa il lavoro che fa o la posizione sociale che occupa. Si tratta di uomini che non accettano l´autonomia femminile e che, spesso per debolezza, vogliono controllare la donna e sottometterla al proprio volere. Talvolta sono insicuri e hanno poca fiducia in se stessi, ma, invece di cercare di capire cosa esattamente non vada bene nella propria vita, accusano le donne e le considerano responsabili dei propri fallimenti. Progressivamente, trasformano la vita della donna in un incubo. E, quando la donna cerca di rifarsi la vita con un altro, la cercano, la minacciano, la picchiano, talvolta l´uccidono.
Paradossalmente, molti di questi delitti passionali non sono altro che il sintomo del "declino dell´impero patriarcale". Come se la violenza fosse l´unico modo per sventare la minaccia della perdita. Per continuare a mantenere un controllo sulla donna. Per ridurla a mero oggetto di possesso. Ma quando la persona che si ama non è altro che un oggetto, non solo il mondo relazionale diventa un inferno, ma anche l´amore si dissolve e sparisce. Certo, quando si ama, si dipende in parte dall´altra persona. Ma la dipendenza non esclude mai l´autonomia. Al contrario, talvolta è proprio quando si è consapevoli del valore che ha per se stessi un´altra persona che si può capire meglio chi si è e ciò che si vuole. Come scrive Hannah Arendt in una lettera al marito, l´amore permette di rendersi conto che, da soli, si è profondamente incompleti e che è solo quando si è accanto ad un´altra persona che si ha la forza di esplorare zone sconosciute del proprio essere. Ma, per amare, bisogna anche essere pronti a rinunciare a qualcosa. L´altro non è a nostra completa disposizione. L´altro fa resistenza di fronte al nostro tentativo di trattarlo come una semplice "cosa". È tutto questo che dimenticano, non sanno, o non vogliono sapere gli uomini che uccidono per amore. E che pensano di salvaguardare la propria virilità negando all´altro la possibilità di esistere.

Repubblica 14.7.10
La notte Caravaggio
Roma apre le porte al genio divenuto una rockstar
di Francesca Giuliani

Si potranno ammirare anche l´Oloferne di Palazzo Barberini e il Battista della Galleria Corsini
È il pittore dei record: seicentomila visitatori alla mostra appena chiusa alle Scuderie del Quirinale
Si comincia sabato alle 19, si va avanti fino a domenica alle 9: niente biglietto, niente prenotazione, basta mettersi in fila. Galleria Borghese, Piazza del Popolo, San Luigi dei Francesi, Sant´Agostino. Più altre opere "prestate" per l´occasione

Di Caravaggio s´è detto che sapeva vedere nel buio, che nell´oscurità riusciva a riconoscere la luce e da lì, dalla violenza dei contrasti, si generavano i suoi dipinti. È un tratto, questo, che aggiunge senso all´iniziativa "La Notte di Caravaggio", dedicata all´artista più amato di tutti i tempi, colui il quale ha ormai superato in popolarità globale persino i suoi "pari" Michelangelo e Leonardo. E proprio il suo lato oscuro è tra gli aspetti di seduzione, attrazione, bramosia, che lo hanno fatto paragonare a un idolo rock, rendendolo un fenomeno di consumo culturale del tutto moderno.
Sabato 17 luglio, nell´esatta ricorrenza del quarto centenario della morte, Roma gli rende omaggio con l´apertura dei luoghi che custodiscono le sue opere. I musei e le chiese, raccordati da una linea continua di bus-navetta, inviteranno alla visita: dal tramonto all´alba, l´ingresso sarà libero, le visite guidate ma senza prenotazione e secondo la capienza dei luoghi. Un´idea di Rossella Vodret, soprintendente, studiosa e appassionata del maestro, promossa e poi realizzata dalla Soprintendenza speciale per il patrimonio e per il polo museale della città di Roma, con il coordinamento di Mondomostre. La stessa squadra reduce dal recente successo dell´esposizione record alle Scuderie del Quirinale. «Le tante opere di Caravaggio conservate nelle chiese e nei musei romani fanno rivivere il suo genio assoluto e irripetibile agli occhi di chi, ancora oggi, si emoziona davanti alle sue splendide tele», spiega Vodret.
Porte aperte, orario continuato dal tramonto a giorno fatto (dalle 19 alle 9): una sfida non da poco se si pensa ai quasi seicentomila visitatori della mostra Caravaggio alle Scuderie che, nonostante il rush finale dell´apertura notturna, ne ha lasciati certo molti desiderosi di rivivere quella vertigine che può dare l´osservare da vicino (a lungo, con concentrazione) un dipinto del maestro, aldilà di ogni conoscenza storico-artistica: la Notte di Caravaggio è per tutti loro.
Nell´occasione, i capolavori di casa alla Galleria Borghese ovvero il Ragazzo con il canestro di frutta, il Bacchino malato, il San Girolamo scrivente, la Madonna dei palafrenieri, Davide con la testa di Golia (il San Giovanni è in queste settimane esposto a Porto Ercole, dove il Merisi morì) saranno raggiunti dal Narciso e dalla Giuditta che taglia la testa a Oloferne di Palazzo Barberini oltre che dai due San Giovanni Battista, quello della Galleria Corsini e l´altro conservato alla Pinacoteca Capitolina. Tutti insieme verranno allestiti nella magnifica magione-museo del Cardinal Scipione, in modo da restituire larga parte della fenomenale parabola che trasformò Caravaggio da poverissimo, sconosciuto emigrante ad apprezzato artista, oggetto di contesa e status symbol tra le famiglie blasonate del primo Seicento.
A Roma, Michelangelo Merisi arrivò nel 1592 poco più che ventenne dove si diede da fare come garzone di bottega fino all´incontro, nel 1595, con il potente fra i potenti, quel cardinal Del Monte che lo toglie dalla strada, offrendogli alloggio e protezione nella sua residenza di Palazzo Madama. Sono i tempi delle prime glorie e delle grandi committenze, che lo portano a trasformare le già sontuose chiese della città del Papa. La cappella Contarelli, a San Luigi dei Francesi è il suo primo incarico pubblico, occasione di debutto ufficiale nell´ambiente romano per cui realizzò il Martirio di San Matteo, la Vocazione di San Matteo e San Matteo e l´Angelo. Solo due mesi più tardi inizia l´avventura della Cappella Cerasi di Santa Maria del Popolo, dove oggi si fronteggiano la Conversione di Paolo e la Crocifissione di San Pietro e tra il 1604 e il 1605 dipinge la Madonna dei pellegrini in Sant´Agostino.
In questi stessi anni avvengono gli episodi più turbolenti della sua vita: le risse, le denunce e la frequentazione dei salotti del potere, ma anche di popolani, bevitori, bari, delinquenti che prendono forma piena e forza scandalosa in una pittura che porta questa bassa umanità nei luoghi più sacri. Una vita tormentata e leggendaria fino alla drammatica condanna per omicidio nel 1606, e alla fuga da Roma, dove non tornò più.
In questo quarto centenario ricco di celebrazioni, la Roma del Caravaggio-rockstar invita a un viaggio al termine della notte, nel ricordo di quella che fu la sua ultima quando si ritrovò solo, in fuga, malato. "La Notte di Caravaggio", oltre ai nove dipinti raccolti alla Borghese, condurrà i visitatori nelle chiese-tempio della sua opera, in un rito collettivo degno di un idolo che non smette di nutrire la passione di chi ama l´arte.

Repubblica 14.7.10
Dall'urlo di "Golia" agli aguzzini di Pietro fino al martirio di Matteo
Buio dell´anima e luce divina
di Carlo Alberto Bucci

La notte di Caravaggio comincia la sera del 28 maggio 1606 quando uccide in una rissa Ranuccio Tommasoni e fugge da Roma. Un incubo che prende corpo nel Davide e Golia che l´artista dipinge, ritraendosi come peccatore nella testa mozzata del gigante, nella speranza di ottenere il perdono della curia romana. Intorno al capolavoro di Michelangelo Merisi ruotano gli altri cinque dipinti della Galleria Borghese, punto di partenza della "Notte di Caravaggio" che, dalle 19 di sabato alle 9 di domenica, terrà aperta la collezione allestita dal cardinal Scipione Borghese nella sua villa ma anche tre chiese che conservano sei dipinti del maestro: Santa Maria del Popolo (aperta solo fino all´una di notte), Sant´Agostino e San Luigi dei Francesi. Una "notte bianca caravaggesca" per ricordare, quattrocento anni dopo, la morte avvenuta a 39 anni il 18 luglio 1610 a Port´Ercole.
Niente prenotazioni e ingresso gratuito alla Galleria Borghese. Basterà mettersi in fila per ammirare l´altro autoritratto di Caravaggio (quello giovanile da Bacchino malato), la potente Madonna dei palafrenieri, lo straziante San Girolamo e il pasoliniano Ragazzo con il canestro di frutta esposti accanto a tre dipinti prestati per l´occasione: l´"esecuzione" di Oloferne di palazzo Barberini e i due Battista della galleria Corsini e dei Musei capitolini.
Passando in navetta o a piedi in santa Maria del Popolo, il buio della morte è squarciato dalla luce divina che colpisce e redime Saulo sulla via di Damasco e che si posa lieve sul corpo di Pietro issato sulla croce. In primo piano Caravaggio pone i piedi sporchi di uno degli aguzzini. Stesso dettaglio realistico che ritroviamo nei pellegrini adoranti la Madonna di Loreto in Sant´Agostino. Pochi metri più in là, in San Luigi dei Francesi tre dipinti raccontano lo straordinario exploit pubblico: nella cappella Contarelli, la storia di Matteo dalla vocazione fino martirio al quale l´artista prende parte ritraendosi tra le comparse di questa drammatica "esecuzione".

Repubblica 14.7.10
Da Augé a Bauman alla rassegna di settembre I filosofi e la fortuna un festival di lezioni
di Marco Filoni

ROMA - Il tema che quest´anno vedrà protagonisti fra i maggiori filosofi e intellettuali al Festival di Filosofia sarà la fortuna. Un augurio di buon auspicio per i dieci anni della manifestazione che, fra Modena, Carpi e Sassuolo, dal 17 al 19 settembre ospiterà un ricco programma di iniziative: lezioni magistrali, dibattiti, spettacoli e concerti. Per l´occasione interverranno i più grandi maestri del pensiero: Jean-Luc Nancy, Zygmunt Bauman, Marc Augé, Peter Sloterdijk, Remo Bodei, Massimo Cacciari, François Jullien, Michela Marzano, Maurizio Ferraris, Enzo Bianchi, Niles Eldredge e tanti altri. Oltre 200 appuntamenti per confrontarsi con le molte declinazioni della fortuna fra caso e rischio, probabilità e imprevisto. Cioè il carattere dell´inatteso e il lavoro simbolico delle culture per addomesticare il futuro all´esperienza dell´azzardo e della scommessa. Vi sarà spazio per affrontare il tema nella scrittura (Erri de Luca e Stefano Benni), nel teatro (Paolo Rossi e Paolo Hendel) e nel cinema con una rassegna dedicata al personaggio di Fantozzi. Ci saranno anche cene filosofiche proposte da Tullio Gregory.

martedì 13 luglio 2010

l’Unità 13.7.10
Larghe intese. Casini insiste
Bersani: mai con chi ha fallito
Il leader Udc ripropone un governo di responsabilità nazionale guidato da Berlusconi
Pd e Idv nettamente contrari: il berlusconismo va chiuso. DiPietro: no al mercato delle vacche
di Simone Collini

In serata Casini rilancia: «Se avessi fatto il nome di Tremonti anziché quello di Berlusconi il Pd mi avrebbe detto sì». Il leader dei Democratici ironizza dagli Usa: «Aspettiamo che ci proponga Rotondi premier».

Scartata l’ipotesi di un ingresso dell’Udc nell’attuale maggioranza di governo, per via del veto della Lega e per indisponibilità degli stessi centristi a entrare in una coalizione lacerata, è lo stesso Casini a proporre un «governo di responsabilità nazionale» per uscire dalla «crisi politica in atto». Un esecutivo che per il leader dello scudocrociato potrebbe anche essere guidato da Berlusconi, visto che avendo lui «vinto le elezioni», dice al Corriere della Sera, «non è possibile avanzare veti». Un’operazione che secondo Casini lascerebbe fuori Idv e Lega, ma non il partito di Bersani: «Credo che nel Pd siano in molti a rendersi conto che così non si può andare avanti». I finiani aprono mentre, per restare nel fronte maggioranza, la Lega e il ministro Frattini chiudono all’ipotesi.
Ma è dal Pd che arriva una netta smentita per la presunta disponibilità dichiarata dal leader centrista. «Casini sa cosa pensiamo, il berlusconismo va chiuso perché ha fallito», chiarisce Bersani, da ieri in missione negli Stati Uniti. Il segretario del Pd non ricorre ai toni utilizzati dal leader dell’Idv Di Pietro, che definisce Casini «un infiltrato della maggioranza» e l’intera vicenda un «mercato delle vacche». Ma fa notare al leader dell’Udc che sì, il premier può rivestire questo incarico perché ha vinto le elezioni, «ma ha anche fallito, e mi sembra che questo sia un punto insuperabile». Di fronte alla «resa dei conti» in atto nella maggioranza e con un’alleanza di governo «giunta al capolinea» il centrodestra dovrebbe solo prendere atto del proprio «fallimento». Solo a quel punto, chiuso il ciclo del berlusconismo, le forze responsabili potranno dar vita a scenari da unità nazionale. «Qualsiasi soluzione possibile chiarisce Dario Franceschini per garantire un governo al paese che affronti le emergenze, per noi non può che passare attraverso la chiusura dell’era di Berlusconi».
E non è un caso che tanto il segretario del Pd quanto il capogruppo alla Camera parlino non di Berlusconi ma di un’«era» e del più generico «berlusconismo». Un modo per smentire ulteriormente le tesi di Casini, visto che dopo il niet democrat il leader centrista dice che se avesse fatto il nome di Tremonti anziché quello di Berlusconi come premier di questo governo di responsabilità nazionale il Pd avrebbe commentato favorevolmente la proposta. «È evidente che questo governo se ne deve andare», sottolinea la presidente del Pd Rosy Bindi, «ma è altrettanto evidente che non si possono immaginare governi delle larghe intese o di salute pubblica con i protagonisti di questo fallimento, da Berlusconi in giù. Non sarebbe serio e non sarebbe utile all’Italia». E Bersani, commentando ironicamente il rilancio di Casini: «Prima annunciava che il Pd era disponibile ad un Berlusconi-bis. Adesso dice la stessa cosa cambiando premier e indicando Tremonti. Aspettiamo che il leader dell’Udc ci proponga Rotondi... ».

l’Unità 13.7.10
Carceri libiche, i racconti terribili dei migranti al Festival antirazzista Arci
«Tre giorni di viaggio nel deserto, 60 in un pulmino... L’inferno»
«Nel lager di Kufra lavori forzati, botte. Cibo e acqua solo a pagamento»
di U. D. G.

Testimonianze di scampati, somali ed eritrei, dai lager libici: ecco cos’era l’inferno... Sono loro i protagonisti del meeting antirazzista dell’Arci a Cecina. Le violenze dei carcerieri e quelli dei trafficanti.

Cosa sia l’inferno in terra lo racconta A.H.Y, somalo, 26 anni. L’inferno di un lager libico. Dove A.H.Y. è stato segregato. Un lager come quello in cui sono finiti, per otto giorni almeno, 245 eritrei, diversi dei quali respinti dall’Italia. A.H.Y è uno degli ospiti del meeting antirazzista dell’Arci a Cecina. A.H.Y racconta la sua odissea: 300km, molti dei quali in pieno deserto, su camion container, pagando trafficanti diversi per arrivare a Kufra, con la promessa di poter raggiungere Tripoli e di lì l’Italia. Ma a Kufra ha trovato la polizia che lo ha incarcerato insieme ai suoi compagni di viaggio. «Parlare di carcere in Libia dice A.H.Y. è un eufemismo», in realtà sono veri e propri lager, stanze di pochi metri quadri in cui sono stipati in 50, senza servizi igienici, senza possibilità di lavarsi, senza cibo e acqua. E in Libia tutto ha un prezzo: se vuoi lavarti o mangiare devi pagare. Anche per essere liberato devi pagare, e se non puoi farlo devi lavorare: tutto ciò che gli aguzzini pretendono fino a che non ritengono che il lavoro cui ti hanno costretto sia sufficiente per comprarti la libertà».
IN MANO AGLI AGUZZINI
A.M.M ha 20 anni, è somalo e ha ottenuto in Italia la protezione sussidiaria circa un anno fa: proveniva dalla Libia, dove a causa delle violenze subite, ha perso la memoria. A.M.M. racconta della segregazione e della violenza subita dai trafficanti che lo hanno rinchiuso in un deposito fino a quando non sono arrivati i soldi della famiglia per la liberazione. Ma anziché raggiungere Tripoli è finito in mano ad altri trafficanti. Ha tentato di fuggire ed è stato picchiato a sangue fino a fargli perdere la memoria. Quando la riacquista, capisce di essere in carcere. Poi, dopo giorni di lavoro la libertà. Oggi sono in Italia, vivono a Caltagirone. I loro racconti, come quello di T.D. (eritreo, 18 anni), anche lui ospite del meeting dell’Arci, conferma quanto «da tempo l’Arci denuncia sulla costante violazione dei diritti umani in Libia, con cui il Governo italiano ha stretto un accordo di cooperazione in materia di immigrazione», afferma l’organizzazione in una nota.
STORIE DI ORRORE
Presente e passato s’intrecciano nel denunciare l’inferno dei lager libici. Racconta (maggio 2009) Fatawhit,una donna eritrea: «Avevamo già lasciato le coste libiche da tre giorni, quando siamo arrivati all’altezza delle piattaforme petrolifere. D’un tratto in mezzo al mare sorgono delle piattaforme immense da cui escono lingue di fuoco. Proprio da là è uscita una nave che ci ha accostato. Non so di quale paese fosse, credo che l’equipaggio fosse per metà libico e per metà italiano. È stata quella barca che ci ha scortato fino alle coste libiche e ci ha lasciato nelle mani della polizia. Siamo stati prima portati per due mesi alla prigione di Djuazat, un mese a Misratah e otto mesi a Kufra. Il trasferimento da una prigione all’altra si effettuava con un pulmino dove erano ammassate 90 persone. Il viaggio è durato tre giorni e tre notti, non c’erano finestre e non avevamo niente da bere. Ho visto bere l’urina... A Misratah ho visto delle persone morire. A Kufra le condizioni di vita erano molto dure, in tutto c’erano 250 persone, 60 per stanza. Dormivamo al suolo, senza neanche un materasso, c’era un solo bagno per tutti e 60, ma si trovava all’interno della stanza dove regnava un odore perenne di scarico. Era quasi impossibile lavarsi, per questo molte persone prendevano le malattie...

il Fatto 13.7.10
Ecco cosa manca alla legge
Lo psicoterapeuta: “Serve maggiore protezione”
di Caterina Perniconi

Anna Maria, picchiata e strangolata. Clara, accoltellata. Simona, uccisa con una pallottola al volto. Queste sono solo tre delle 12 donne perseguitate e uccise nei primi mesi di quest’estate. Una mattanza realizzata per mano di coloro che spesso le vittime considerano il loro “amore” e invece si rivela il loro assassino. Alla luce di questi tragici eventi, l’Osservatorio nazionale stalking da oggi mette in campo un nuovo strumento dedicato alle persone perseguitate: un contatto dedicato su Skype, con la supervisione delle Forze dell’ordine, dove chiunque abbia bisogno di aiuto potrà chiamare, anche anonimamente.
Il problema però non investe soltanto l’universo femminile. Secondo l’Osservatorio l’87% degli stalker sono maschi, ma c’è anche un 13% di femmine. “Ci sono molti comportamenti che le persone che sospettano di essere molestate in modo persecutorio devono evitare – spiega Massimo Lattanzi, psicoterapeuta e coordinatore dell’Osservatorio – non devono assecondare il presunto autore, non devono cadere nel tranello del senso di colpa, per minacce di suicidio o malattie imminenti, e non devono assolutamente accettare ‘l’appuntamento chiarificatore’, che potrebbe essere l’ultimo”.
Secondo la casistica, difficilmente chi molesta con continuità smette di perseguitare la vittima, a meno di percorsi specifici di risocializzazione. La denuncia spesso scatena un doppio pensiero nello stalker: sia la sensazione di essere ‘pensato’, quindi il riavvicinamento, che quella di definitivo distacco, ovvero abbandono. “Ma la denuncia è fondamentale – spiega Lattanzi – anche se servono percorsi successivi di protezione delle vittime, affinché non si sentano abbandonate”. Esistono infatti stalker seriali che non mantengono il distacco richiesto dalle autorità. Quindi che cosa manca a questa legge per essere davvero efficace ed economicamente realizzabile? “Le Forze dell’ordine dovrebbero essere messe nelle condizioni di agire immediatamente – spiega ancora lo psicoterapeuta – secondo l’articolo 348, comma 4, del codice penale, possono chiedere la valutazione del rischio di ‘passaggio all’atto’, quindi alla violenza, da parte di un esperto. Nel caso lo stalker fosse considerato pericoloso allora il fascicolo dovrebbe essere immediatamente consegnato all’autorità giudiziaria e la vittima deve essere protetta. Tutto nel giro di pochi giorni”. Ad oggi le cose non stanno così. Serve ancora molto tempo per la valutazione dei casi e l’allontanamento dalle vittime non è sufficiente. “La sentenza della Corte di Cassazione che ha stabilito che bastano due episodi per far scattare le misure di sicurezza è un importante passo avanti – conclude Lattanzi – ma non basta. Bisognerebbe mettere a disposizione tutte quelle strutture, come i centri antiviolenza e le case protette, già in uso per reati sessuali o la tratta delle donne, anche per le vittime di stalking. Le province dovrebbero fare un censimento degli edifici disponibili e metterli in rete per l’uso immediato da parte delle forze dell’ordine. Le vittime vanno protette da subito, senza snaturarle dal proprio territorio, ma rendendole difficilmente rintracciabili”. Manca un altro elemento importante nella legge: oggi, chi molesta tramite e-mail o social network rischia soltanto una contravvenzione. Ma gli stalker capaci di rintracciare le vittime via Internet sono in esponenziale aumento.

il Fatto 13.7.10
“Se lo denuncio che succede?” Il difficile percorso delle vittime di stalking
di Si. D’O.

Fino all’approvazione della legge sullo stalking, “incastrare” un persecutore era molto complicato. C’era l’ipotesi – molto blanda – del reato di molestia e c’era quello – molto pesante – di violenza. In mezzo, un vuoto legislativo immenso. La normativa sullo stalking porta la firma del ministro per le Pari opportunità, Mara Carfagna, che però col Fatto Quotidiano non vuole parlare. È una delle pochissime leggi del governo Berlusconi che ha portato a risultati positivi e concreti, dando alle vittime la possibilità di denunciare i propri persecutori (spesso portando a casa la pelle).
Anche se non sempre si trova il coraggio di rivolgersi ai carabinieri, come nel caso di M., la donna che ci ha raccontato la sua storia. “Denunciare è prima di tutto un dovere morale – ribatte invece il generale Vittorio Tomasone, comandante provinciale dei carabinieri di Roma – perché magari il persecutore si sta comportando nello stesso modo con altre persone. E poi non si deve pensare che non si faccia nulla per fermarlo”. L’Arma ha di recente istituito, presso il dipartimento per le Pari opportunità, una sezione specifica per studiare il fenomeno e aggiornare le strategie di prevenzione e il contrasto ai persecutori.
Ma cosa accade quando una donna (la vittima principale) vuole porre fine alle persecuzioni? “Sia che chiami il 112, sia che si rechi in una stazione dell’Arma – prosegue Tomasone – troverà il personale preparato ad ascoltarla. Assieme alla Procura di Roma abbiamo partecipato a due ondate di corsi e seminari per imparare a ‘gestire’ queste situazioni. Per esempio, ci si può avvalere di uno psicologo; si può procedere alla verbalizzazione con persone dello stesso sesso; si utilizzano locali idonei, in cui non sia presente nessun altro. Poi, per formalizzare la denuncia, si utilizza un questionario particolare, messo a punto dal nostro ufficio analisi e dal mondo accademico-scientifico”. A quel punto nei casi considerati meno gravi si sottopone all’autorità giudiziaria un ammonimento all’interessato, in quelli più gravi scatta la denuncia alla magistratura e partono le indagini. Se invece c’è la flagranza di reato o i militari si rendono conto della pericolosità del soggetto, si adotta immediatamente un provvedimento di fermo. E alle vittime chi pensa? “Fare rete è fondamentale – spiega ancora Tomasone – le Forze dell’ordine, i presidi sanitari e le istituzioni mettono le vittime in contatto con i centri antiviolenza”. Sembra tutto facile, a parole. Eppure molte delle donne uccise in quest’ultimo periodo avevano in precedenza denunciato per stalking l’uomo che poi le ha uccise. “Non è che solo perché c’è una legge o una procedura di formazione del personale, non si verifichino casi di estremizzazione – puntualizza il comandante Tomasone – spesso capita che lo stalker si faccia vivo a intermittenza, a distanza di molti mesi. Una persecuzione discontinua e lunga nel tempo non consente di adottare provvedimenti”. Qual è il passo successivo? “Una legge sulla violenza familiare continuata – conclude Tomasone – laddove è più facile che vi sia un grande numero oscuro di casi, perché le donne hanno molte più remore a denunciare”.

il Fatto 13.7.10
Uu calcio a parte
Quel che resta al Sudafrica
Cattedrali in un deserto senza vera integrazione
di Oliviero Beha

Cattedrali mediatiche: la Spagna fa la comunione. Nel film di Tom Stoppard Rosenkrantz e Guilderstern sono morti, premiato inopinatamente a Venezia nel 1990 con il Leone d’Oro, i due personaggini amletici inessenziali ma preziosi a un certo punto tirano per aria una moneta: è una scena minima eppure indimenticabile. Fanno a testa o croce per un pezzo, e veniva sempre testa (o croce, non ricordo ma non importa: veniva sempre e comunque la stessa faccia della medaglia).
FINALMENTE C’È una sorta di seguito della storia: lo interpreta il polpo Paul che ha azzeccato con l’esito della finale Mondiale vinta dalla Spagna l’ottava “estrazione” personale nell’acquario di Oberahausen. Sette volte circa la Germania della quale è ospite (è infatti nativo o “compagno” dell’Isola d’Elba), otto con la finale. Altro che addetti ai lavori, tecnici sopraffini o consumati allibratori: il polpo ha dato punti e prove di piovra a tutti. In attesa di riuscire eventualmente a dimostrare che il presidente della Fifa, Blatter, il vero e primo vincitore già alla vigilia di questo Mondiale, abbia un qualche sodalizio societario con il tal Paul, non mi resta che segnalare questa piega cabalistica e naturalistica insieme che ha preso il pallone. Meno male che si diceva che la squadra di calcio era una “fede”. Adesso rischia di fare tendenza che sia una sorta di sortilegio, di questione per streghe o octopus. E la fede può essere supplita dalla superstizione. È già un bel risultato, per un Mondiale di calcio... in tempi nostradamici che di tutto avrebbero bisogno fuorché di “fatture” intese non in senso tremontiano stretto. Ma tracciamo un bilancio, ricordando ovviamente che alla vigilia dell’intera manifestazione e della finale in particolare avevo e ho continuato a ritenere possibile e magari probabile la vittoria olandese, pur di fronte a una squadra oggettivamente più forte.
Vittoria meritata, di una Spagna in condizione ormai da anni dopo un Europeo vinto. Non un gioco spettacolare, ma grande tecnica e adattabilità tattica, una media dei 15/16 utilizzati in campo molto alta, quattro, cinque giocatori al top come Xavi, Iniesta, Casillas, Sergio Ramos e forse Villa. La paura di vincere, finalmente, il titolo più ambito, la Spagna ha corso fortemente il rischio di perdere e forse anche per questo alla fine ha vinto di giustezza e di giustizia.
Certo, per l’Olanda Robben ha sbagliato il gol decisivo che avrebbe rovesciato probabilmente partita, frittata e polpo, certo, il gol di Iniesta prima di rigori dall’esito assolutamente imprevedibile è nato su un clamoroso calcio d’angolo non assegnato all’Olanda dopo una punizione di Sneijder. Ma succede, e il gioco duro olandese iniziale un po’ fesso e vagamente tollerato dall’arbitro Webb è stato poi punito da dettagli decisivi della sorte. L’Olanda non ha fatto la cosiddetta “partita perfetta”, si è limitata con talento e applicazione a rendere “imperfetta” quella della Spagna, che infatti, e va ribadito, è stata anche sul punto di perderla. Ma alla lunga un che di raccogliticcio, la stanchezza di Sneijder ancora e sempre calcisticamente in mezzo al campo intelligente quanto Xavi dall’altra parte, un Robben che sbaglia invece di un Robben che “esegue”, una “panchina” davvero cortissima in fatto di talenti puri specie in confronto alla scelta rigogliosa degli spagnoli di Del Bosque, ha condotto i migliori a battere sul filo simpatici “avventurieri delle Indie” che comunque avevano navigato senza scossoni fino a Johannesburg. Alcune valutazioni complessive si impongono:
SUL RAPPORTO TRA il calcio e la Nazionale e il Paese che rappresentano c’è una vistosa conferma. Lo si diceva in negativo per l’Italia, e sono saltati su in tanti a dire che “non c’entra nulla”, forse equivocando su quello specchio di cui si parlava. Può essere uno specchio convesso, che rimanda altre immagini, o uno specchio rotto, con sette anni di disgrazie ecc., ma sempre di specchio e di metafora speculare si tratta. Non vederla significa non volerla o saperla vedere. Lo ha detto Del Bosque, i sovrani, Zapatero: ha vinto il Paese, unito per un giorno, con tutti i risvolti del caso. E Pertini che inneggiava e giocava a carte con i nostri campioni del Mondo dell’82 di ritorno dalla Spagna sull’aereo presidenziale (dove avevano imbertato i premi in denaro non tassati come si doveva) me lo ricordo benissimo... Paese e calcio in alcune circostanze si sposano in altre si separano, e ogni volta è un discorso diverso. Ma negare la supplenza “politica” e “sociale”, dunque “culturale” o meglio “subculturale” che svolge il pallone, è cecità.
IL LIVELLO DEL gioco sta scadendo sempre di più. Pensare che invece una società multietnica dovrebbe far crescere anch’esso, in un misto di tecnica e di fisicità speciali. Invece il business, il denaro strozza tutto e si va perdendo “il senso del gioco per la palla”, parafrasando il romanzo che aveva a che fare con la “neve”. Troppa importanza per il “fuori campo” che preme sul terreno d’erba naturale o sintetica come una cappa, che fa diventare sempre più i giocatori, cioè coloro che “giocano”, degli attori di una fiction sia pure peculiare oppure i testimonial dell’indotto pallonaro.
Infatti i “numeri” li riservano soprattutto per gli spot in tv. Arriveremo prima o poi ai “precox” del calcio, con calciatori che giocano partite ancora da organizzare o partite vecchie che si disputano nella mente da Matrix degli spettatori. Di certo l’importanza di una partita non può sostituire la partita stessa, un pretesto non può ridurre il “testo” ai minimi termini, altrimenti è finita e la si gioca su altri tavoli, dove l’alea non conta e la palla non è più rotonda.
IL SUDAFRICA È stato ed è per il pallone, i Signori della Palla e la rotondolatria mondiale, una specie di Cattedrale nel deserto: ha vinto con il piede destro di Iniesta e le mani giunte il popolo che prega per eccellenza, a partire dalla sua lingua fatta per quello secondo la dizione proverbiale, e vai con la Fiesta e il flamenco di strada. Ma in Sudafrica restano oggi gli stadi, teatri di Fitzcarraldo nella foresta amazzonica, cattedrali mediatiche senza devoti né fedeli e con qualche sparuto arcivescovo metaforico ma non tanto che se ne avvarrà: nessuna religione, nessuna colonizzazione fideistica, uno spettacolo televisivo per molti che non hanno neppure l’elettricità, nessun reale anello di integrazione tra bianchi (rugby) e neri (calcio), se non nelle foto degli eventi. Non basta girare l’interruttore di un Kolossal Rotondo per favorire il dialogo, se in realtà non è certamente questo il motivo di fondo della kermesse né si è lavorato in funzione di questo. Quindi, ben presto si ripartirà da prima, e il problema rimarrà lo stesso.
Del resto, se c’è una storia di imperialismo colonizzatore perché la via del calcio dovrebbe essere tanto diversa da quella, che so? Dei diamanti? Con i popoli non si gioca. Li si gioca. E magari non si dovrebbe.

Repubblica 13.7.10
Mineo verso la rimozione insorgono le opposizioni
Rainews, da Sky arriva Ferraro: è in quota Lega
Gorla: il giovedì al posto di Annozero è previsto X Factor
di Leandro Palestini

ROMA - Corradino Mineo dovrà lasciare presto la direzione di RaiNews. Al suo posto arriva Franco Ferraro, caporedattore di SkyTg24, giornalista gradito alla Lega. La decisione potrebbe essere ratificata domani dal consiglio di amministrazione Rai. «È da mesi che si rincorrono voci di una mia cacciata, forse questa è la volta buona», commento Mineo, che esclude «trattative con l´azienda: non faccio scambi, continuo a lavorare con la mia redazione». Ma per il cdr di RaiNews i giochi sono fatti: «Un´altra poltrona da assegnare. Un´altra chiamata dall´esterno. Queste le uniche risposte che il dg Rai riesce a dare sul futuro di RaiNews». E la scelta del dg Mauro Masi, di rimuovere Corradino Mineo dal canale all News viene criticata dal centrosinistra. «Gli imbavagliatori e i loro delegati alla Rai cercheranno di mettere le mani anche su RaiNews allontanando il direttore Mineo, mortificando le richieste della redazione e mettendo al suo posto un esterno gradito alla Lega», dichiarano Giuseppe Giulietti (Articolo 21) e il senatore del Pd Vincenzo Vita, denunciando lo spoil system: «Per la prima volta nella storia della Rai, una maggioranza avrebbe il controllo di dieci testate giornalistiche su undici, con l´aggravante di un premier proprietario dell´altra metà dell´etere e ministro ad interim delle Telecomunicazioni». Paolo Gentiloni, responsabile comunicazione Pd, giudica «incredibile che si voglia sostituire, per di più a quanto pare con un "esterno" gradito alla Lega, un direttore che ha portato RaiNews a raggiungere ascolti vicini a quelli del suo concorrente SkyTg24». Il segretario dell´Usigrai, Carlo Verna, chiede a Masi di smentire le voci della rimozione di Mineo, per di più «con una nomina dall´esterno per RaiNews, dopo il piano industriale che ci è stato illustrato e in presenza di demansionati eccellenti»: il caso Ruffini. «Credo che un avvicendamento a RaiNews avverrà a breve», conferma Alessio Gorla, consigliere Rai in quota Pdl, pur riconoscendo a Mineo d´aver svolto «un buon lavoro; ha innovato rispetto a Roberto Morrione». Gorla a "Klauscondicio" parla di Santoro. Dice di non sapere «a che punto è la trattativa» per la soluzione consensuale, ma osserva che «nel palinsesto è stato indicato che "X Factor" va in onda di giovedì».
Corradino Mineo è da tempo nel mirino del Pdl. Le dirette tv di RaiNews non sarebbero piaciute a Silvio Berlusconi (dal "No-B day" romano a "Raiperunanotte" di Santoro), gli attriti con la direzione Rai sono stati frequenti. In maggio si pensò a una "ritorsione" per l´oscuramento di RaiNews durante il passaggio al digitale terrestre in Lombardia. Ma era un problema tecnico.
Mauro Masi metterà a posto anche la casella di Rai Educational, lasciata vacante da Giovanni Minoli (in pensione): la candidata alla direzione è Silvia Calandrelli, in quota centrosinistra, già vicedirettore di RaiTre. E intorno al prossimo Cda Rai c´è un po´ di mistero. Il dg Masi ha tolto dall´ordine del giorno la pratica RaiDue: la sostituzione di Massimo Liofredi con Susanna Petruni. È soltanto un rinvio?

Repubblica 13.7.10
C’era una volta il maschio
Caratteri virili e fertilità in calo Sotto accusa inquinamento e additivi alimentari
di Guglielmo Pepe

L´anno scorso, di questi tempi, era già sta lanciato l´allerta mondiale per la pandemia A. Per il momento, sulla prossima influenza stagionale, silenzio assoluto. Dopo l´allarmismo eccessivo, prevale la cautela tra le autorità sanitarie? Di certo il virus H1N1 - previsto come devastante - ha colpito tutto il mondo in modo blando. La campagna di prevenzione, almeno in Italia, è fallita visto che si sono vaccinati in meno di 900 mila. E adesso le dosi acquistate vengono bruciate: finora per un valore di 7 milioni di euro (peggio negli Usa: sono finite nell´inceneritore 40 milioni di fiale, costate 260 milioni di dollari).
L´accusa all´Oms da parte di vari esperti è di aver ascoltato troppo le sirene delle multinazionali. Opinione diffusa: secondo un´indagine KeyStone, il 66 per cento di 2500 italiani intervistati ritiene che tanto clamore è servito solo a Big Pharma. Altri esperti sono invece contenti perché l´influenza ha fatto meno vittime del previsto. Sono d´accordo. Purché dietro la giusta prevenzione non si celino inganno, frode e pressanti interessi economici.
g.peperepubblica.it

In quarant´anni è dimezzato il numero degli spermatozoi mentre aumentano i casi di malformazioni e iposviluppo dei genitali. Le cause: pesticidi, fitofarmaci e additivi nei cibi Gli esperti: "Agiscono come estrogeni o bloccano il testosterone" Sono migliaia i composti chimici messi sotto accusa dalla Food and Drug Administration Usa e dall´Unione Europea

Il genere maschile è in pericolo. «Infertilità, malformazioni genitali, regressione dei caratteri sessuali e tumori ai testicoli aumentano e, se non si trovano rimedi, il maschio, non solo della specie umana, sembra destinato all´estinzione». Così, senza tanti giri di parole, il professor Andrea Lenzi, direttore del dipartimento di Fisiopatologia umana dell´università la Sapienza di Roma e coordinatore del gruppo "Biodiversità e interferenti endocrini" del Comitato per la biosicurezza, biotecnologie e scienze della vita della Presidenza del Consiglio, sintetizza un problema che ha raggiunto ormai livelli di guardia. Anche perché la causa, pur essendo nota, non sarà facile da eliminare. Sono migliaia di composti chimici (pesticidi, coloranti, conservanti eccetera) che, attraverso alimenti, saponi, detersivi, plastiche arrivano nel corpo dove intralciano il "lavoro" degli ormoni sessuali, in particolare di quelli maschili.
Risalgono a circa quarant´anni fa le prime ricerche che avvistarono il problema. Ad esempio, in Danimarca si osservarono tra gli agricoltori più casi di sterilità che nel resto della popolazione, nonostante la vita indubbiamente più sana. Per capire il perché il primo passo fu valutare la fertilità in altre categorie professionali. Si scoprì così che tra i colleghi "biologici" che non usavano pesticidi e fitofarmaci, i casi di sterilità erano inferiori alla media nazionale. Le analisi trovarono questi composti chimici solo nel sangue degli agricoltori tradizionali e con le successive indagini si scoprì che erano proprio queste molecole, anche in concentrazioni minime, a interferire in modo del tutto casuale e imprevedibile con gli ormoni che stimolano la produzione di spermatozoi. Il meccanismo è spiegato nel disegno in alto.
«Poi sono arrivate le ricerche che hanno riscontrato l´aumento anche di altre patologie andrologiche - dice Lenzi - Oltre all´infertilità, crescono i tumori testicolari e le anomalie dei genitali dovute a ritardi della maturazione sessuale, sindromi complessivamente note come "disgenesie gonadiche". In sintesi, quello che emerge da centinaia di ricerche svolte negli ultimi vent´anni, anche dal nostro gruppo, è una regressione dei caratteri sessuali maschili». Parallelamente, altre ricerche hanno evidenziato che un gruppo di agenti chimici introdotti dall´uomo nell´ambiente interferisce con il sistema endocrino. Endocrine-disrupting chemicals il termine coniato nel 1996 dalla United States Environmental Protection Agency (Epa), in italiano "interferenti endocrini". Un lungo elenco di sostanze (le più comuni nella scheda, ndr).
Per individuarle nell´ambiente e negli alimenti, gruppi di ricerca messi al lavoro dagli Stati Uniti e dall´Unione Europea hanno messo a punto metodi di analisi efficaci e veloci. Ma ci vorranno anni prima ci capire tra i circa diecimila composti chimici sospetti quelli che interferiscono con gli ormoni sessuali maschili. Lavoro complicato dal fatto che agiscono in dosi minime, si accumulano nel tessuto adiposo da dove si liberano anni dopo e spesso derivano dall´interazione nell´organismo tra composti originariamente innocui.
«Intanto a livello individuale possiamo fare molto - dice Lenzi - Prima regola: negli acquisti, a parità di prodotto scegliere quello con la lista degli ingredienti più corta. Più additivi ci sono e più è probabile che vi siano interferenti endocrini. È indispensabile che un dentifricio sappia di mango, uno yogurt di castagna o i detersivi siano blu elettrico o verde fosforescente? La seconda è preferire il biologico e di stagione che non comportano residui di pesticidi, fitofarmaci né additivi. La terza e ultima: fare visite andrologiche periodiche. L´effetto degli interferenti endocrini si aggrava negli individui resi più suscettibili da patologie andrologiche pregresse o in corso e da familiarità. Prima sono diagnosticate e minori sono i danni».

Repubblica 13.7.10
Ma non c’è solo l’inquinamento
Per gli uomini i danni maggiori arrivano dai sentimenti confusi

Maschi a rischio. Perché possono subire aggressioni ai loro organi genitali e alla funzione riproduttiva per colpa dell´inquinamento dell´ambiente e del cibo. La loro salute sessuale ha bisogno di maggiori controlli medici, ma la sessualità è un intreccio di identità, psiche, ruoli e anche questo richiede una specifica attenzione.
Nel lavoro di sessuologia clinica i maschi raccontano le ferite che nascono dalla confusione e dalla sensazione di incompetenza perché si evidenzia un modello contraddittorio nella costruzione dei ruoli e dei comportamenti. Nelle riviste dedicate alla salute maschile, si danno istruzioni sui dati quantitativi come muscoli, funzione nello sport e nella prestazione sessuale. Si evidenzia una contraddizione tra valutazione quantitativa prestazionale e la richiesta di un codice più femminile nell´allevamento dei cuccioli e nella comunicazione emotiva con la partner. I maschi rispondono con comportamenti altalenanti: richiesta di protezione, comportamenti di fuga e di evitamento e comportamenti di aggressione. La confusione si confronta con un desiderio femminile a sua volta contraddittorio rispetto alle attese e alle delusioni.
Cosa vuole veramente una donna dai propri maschi e cosa la rassicura? Nel contesto della psicoterapia di coppia le donne vogliono il dominio sui loro maschi, ma non la resa, agiscono un conflitto aspro che le porta a uno scontro continuo, ma non accettano la sottomissione, vogliono affidare la loro bambina interiore, ma non lasciano l´armatura del guerriero, vogliono fare sesso in modo nuovo, ma anche opporsi al sesso, tradire come i maschi, ma conservare una confusione tra sesso e amore, sesso e progetto.
I maschi mostrano i muscoli, ma non mordono, i guai nascono quando scelgono l´aggressività e agiscono il potere in modo cattivo, a volte con emozioni forti che spingono alla distruzione totale. La medicina e la psicologia, ambedue coinvolte nella soluzione dei problemi sessuali, hanno bisogno di confronto per capire quali contenuti integrare nella consulenza sessuologia, come nutrire la differenza e la gestione del potere reciproco in termini costruttivi. Un tema difficile da valutare è anche la crisi della fertilità che mette insieme il ritardo cronologico delle donne nella ricerca di un figlio e la maggiore infertilità maschile. Agire per la prevenzione è un intervento necessario, a partire dai maschi adolescenti sino ai giovani adulti.

Repubblica 13.7.10
Il grande entomologo Edward Wilson, l´autore di "La creazione", sarà oggi a Roma Ecco le sue riflessioni sul rapporto fra le due culture, quella dei numeri e l’umanistica
Quando la scienza usa la lingua della poesia
di Edward O. Wilson

Non è vero che il linguaggio degli scienziati sia il regno del freddo raziocinio e che solo quello degli artisti sia emotivamente coinvolgente
Per conservare le forme viventi sulla Terra, i due codici vanno combinati Ed è questo lo scopo del mio romanzo "Anthill"

I prodotti della scienza e delle arti creative differiscono radicalmente nello stile e negli obiettivi. La conoscenza scientifica rappresenta ciò che sappiamo del mondo materiale e delle leggi per mezzo delle quali esso funziona. Le asserzioni scientifiche sono fattuali, in altre parole esse sono basate sull´evidenza fisica, trasparente e replicabile. Un articolo scientifico comincia descrivendo l´oggetto su cui si è condotto lo studio. Con precise citazioni, l´articolo riconosce il lavoro svolto dagli scienziati che hanno contribuito alla conoscenza dell´oggetto della ricerca. Il riconoscimento è cruciale, nella cultura scientifica, non solo per inquadrare l´argomento, ma per attribuire il giusto merito agli autori che ci hanno preceduto. Il riconoscimento delle proprie scoperte e la reputazione che ne deriva rappresentano la moneta corrente nel regno della scienza. Il resto sono chiacchiere.
In quasi tutti i casi, una scoperta scientifica è riconosciuta come tale dagli altri scienziati solo quando è stata sottoposta a revisione paritaria e pubblicata sotto forma di articolo da una rivista specializzata che gli esperti ritengono confacente all´argomento trattato. L´articolo deve indicare le procedure e i materiali utilizzati nella ricerca, il modo in cui i dati ottenuti sono stati analizzati, e le conclusioni derivate dall´analisi. Sono permesse alcune digressioni, anche di carattere speculativo, al fine di allargare la discussione, ma sono scoraggiate le metafore non essenziali e l´espressione di emozioni.
Qui troviamo la differenza fondamentale tra la scienza e le arti creative. Le metafore utilizzate per evocare emozioni sono proibite nei rapporti scientifici, ma sono la ragione primaria – oso dire l´anima? – dell´arte.
Questo vuol dire che la scienza è freddo raziocinio mentre solo le arti creative sono emotivamente coinvolgenti? È questa la differenza fondamentale tra loro? Niente affatto. Lo scienziato di successo ragiona come un poeta e lavora come un contabile. Ma nella sua mente la poesia non si affievolisce mai. Nei dialoghi di corridoio e in altri incontri informali, gli scienziati colpiti da una particolare pubblicazione ne discutono l´importanza, l´eleganza, la bellezza. E coloro che scrivono di scienza con intenti divulgativi sono liberi di usare gli strumenti emotivi della poesia, senza per ciò tradire lo spirito scientifico. Non è un errore scrivere in maniera artistica di scienza.
Un aneddoto personale può illustrare come scienza e poesia interagiscano creativamente nell´emergere da una stessa fonte estetica. Appena laureato, nei primi anni Cinquanta, ero rimasto incantato dalla teoria della dominanza faunistica formulata dai biogeografi americani William Diller Matthew e Philip J. Darlington. In breve, essi erano giunti alla conclusione che certi gruppi di animali, come la famiglia dei canidi (Canidae) e i roditori comuni (Muridae), dopo essere comparsi in certe parti del mondo, in particolare nei climi temperati dell´Eurasia o nei tropici del Vecchio Mondo, si diffusero per tutto il globo sostituendo i gruppi fino ad allora dominanti (per esempio, i marsupiali) e occupando le loro nicchie ecologiche.
Questo grande modello ciclico di dominanza era per me la biologia al suo meglio, epico e nobile. Ero affascinato da una domanda che sembrava non avere risposta: come e perché, nel corso di milioni di anni, alcuni gruppi si impongono come dominanti e altri si estinguono?
Ebbi la possibilità di esaminare la questione quando, poco più che ventenne, ricevetti una borsa di studio per studiare le formiche del Pacifico meridionale. Viaggiando per gli arcipelaghi della Melanesia, dalla Nuova Guinea alla Nuova Caledonia, ricostruii la distribuzione di centinaia di specie di formiche, deducendo origine e direzione della loro diffusione, e identificai le nicchie ecologiche occupate da ciascuna specie.
Durante questo periodo da contabile, avevo ben chiaro di essere il primo a studiare un grande ciclo di dominanza faunistica a livello di singola specie. Ma un giorno in cui non ero impegnato nella ricerca, in uno di quei momenti che ci fanno esclamare a-ha!, riconobbi la componente ecologica del processo di successione, che combinata con la moltiplicazione delle specie chiamai il «ciclo del taxon».
Il ciclo del taxon è stato foriero di nuovi sogni, metafore, fantasie, quasi sempre evocate in soliloqui o durante conversazioni con altri biogeografi. Il risultato fu un nuovo prodotto dell´immaginazione: l´equilibrio delle specie o, come lo chiamavamo all´epoca, la saturazione delle specie. E la domanda che ora si presentava era: esiste un limite al numero delle specie che possono abitare una certa isola, così che quando una specie colonizzatrice si insedia, in media, una specie residente si estingue? La risposta, se mai fossimo stati in grado di offrirla, avrebbe aiutato a spiegare la storia complessiva della dominanza faunistica. E di qui, ancora, altri sogni, entusiasmi, piste false e piste giuste, metafore.
A questo punto, nel tentativo di formulare la risposta corretta, unii le mie forze con Robert H. MacArthur, un giovane e brillante ecologo e matematico. L´anno era il 1960; io avevo trentun anni e MacArthur trenta (sarebbe morto nel 1972, una grande perdita per la scienza). Elaborammo insieme la «teoria della biogeografia delle isole», per fornire alcune risposte parziali alla questione chiave dell´equilibrio delle specie – sapevamo bene che tutte le teorie scientifiche sono sempre parziali.
La teoria della biogeografia delle isole sarebbe poi risultata fondamentale per la nascita di discipline emergenti come gli studi sulla biodiversità e la biologia della conservazione. Prevedere il destino delle isole è davvero importante. Il mondo naturale è stato convertito dagli esseri umani in arcipelaghi sempre più frammentati: foreste e praterie sono state spezzettate dalle attività umane in un mosaico irregolare; l´innalzamento di dighe ha separato i corsi d´acqua l´uno dall´altro e gli affluenti dal fiume principale; i laghi sono stati trasformati in stagni da siccità artificiali causate dall´uomo.
Al fine della conservazione delle forme viventi della Terra, scienza e arti creative vengono combinate assieme. Era questo uno degli scopi del mio recente romanzo, Anthill (La collina delle formiche), che racconta la storia di un ragazzino, cresciuto nelle campagne dell´Alabama, che dedica la sua vita a salvare un frammento di un´antica savana su cui incombe la minaccia di deforestazione da parte degli alfieri dello sviluppo.

lunedì 12 luglio 2010

l’Unità 12.7.10
Intervista a Christopher Hein
«Miope e tirchia quell’Italia
che chiude la porta ai rifugiati»
Il fondatore del Cir: «L’ossessione securitaria rischia di cancellare diritti e civiltà. Anche l’Italia ha avuto i suoi richiedenti asilo, sotto il Fascismo. Lo fu anche Sandro Pertini»
di Umberto De Giovannangeli

Il rifugiato è prima di tutto un essere umano che ha bisogno di tutela non solo dal momento in cui mette piede in Italia o in un altro Stato dell’Unione europea. Dal momento in cui la persona è costretta a lasciare il proprio paese, dove non trova più protezione, e a intraprendere il viaggio verso l’esilio, quella persona è rifugiata e necessita di aiuto». Un aiuto troppo spesso negato. L’Unità ne parla con Christopher Hein, fondatore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), partendo dalle conclusioni, su citate, del libro da Hein curato «Rifugiati. Vent’anni di storia del diritto d’asilo in Italia» (Donzelli Editore». «I diritti umani vanni bene riflette Hein fino a quando ci si limita alle parole. Quando però c’è un prezzo da pagare, l’Italia si scopre “tirchia”». E miope. Qual è la ragione per cui si continua ad alimentare l’equivoco fra migranti e rifugiati?
«Le ragioni sono molteplici e di varia natura. Sui media, nell’immaginario collettivo, in Italia esistono i barconi di migranti, mai di rifugiati... L’immigrato è una figura conosciuta che appartiene al vissuto, alla memoria storica dell’Italia. Il rifugiato molto meno, o quasi niente. In Italia si fa fatica a ricordare i rifugiati durante il fascismo. Non c’è una grande consapevolezza che nel Ventennio c’erano antifascisti che hanno chiesto, come Sandro Pertini, asilo in Francia... E quando se ne parla, si fa riferimento all’”esule” e non al rifugiato... Poi c’è una dimensione statistico-numerica: in Italia abbiamo oggi 4,5 milioni di immigrati e forse, tutto sommato, 70mila rifugiati. È chiaro che la questione migrazione, quantitativamente parlando, ha una valenza ben maggiore di quella dell’asilo e dei rifugiati. C’è poi una terza dimensione, più politica...».
E in cosa consiste?
«Nell’assillo della “governabilità”. Nell’immigrazione, almeno in teoria è possibile stabilire una quota d’ingresso. Invece per i rifugiati non si possono stabilire quote di accettazione. C’è questo elemento d’incertezza: cosa succederà l’anno prossimo in Egitto, in Iran, piuttosto che nei Paesi dell’Africa subsahariana o del Maghreb... e quindi si verificherà un altro esodo di massa come è accaduto durante la guerra nella ex Jugoslavia? Alla base c’è la mancanza di consapevolezza di un valore elementare, sancito peraltro dalla Costituzione italiana. A dominare è la paura verso un fenomeno che può sfuggirti di mano... E così entriamo nel campo della “schizofrenia” politica...
A cosa si riferisce?
«Penso al governo Berlusconi che prima fa la legge Bossi-Fini e poi nel 2002, fa la più grande sanatoria di tutti i tempi: quella di 700mila immigrati regolarizzati... Ma allora, che necessità c’è di respingere con la forza 700-1000-1500 eritrei e somali, se allo stesso tempo vari la sanatoria per badanti e lavoratori domestici che ha riguardato circa 300mila persone? Perché rischiare conflitti internazionali, condanne per violazione del diritto di asilo, e questo per 700-1000 persone? Spesso nelle discussioni, quando presentiamo come Cir al nostra proposta di legge in attuazione dell’articolo 10 della Costituzione, ci sentiamo ripetere: ma se domani arrivano a Malpensa, a Fiumicino un miliardo di cinesi a chiedere asilo... Più che un argomento, è una ossessione che, va detto, non è propria solo di chi si riconosce nell’attuale maggioranza di governo. Questa del miliardo di cinesi è una leggenda metropolitana ma che fa effetto».
Guardando al futuro, e avendo bene in mente la vicenda dei 245 eritrei segregati in un carcere libico, come governare il problema dell’asilo?
«Ciò che noto è che un Paese come l’Italia che in tante battaglie per i diritti umani è stata in prima fila, protagonista ad esempio sullo Statuto del Tribunale penale internazionale, che non a caso si chiama Statuto di Roma, con la presidenza di Giovanni Conso, o la stessa Convenzione europea per i Diritti umani che è stata siglata a Roma nel 1950, la stessa moratoria sulla pena di morte che ha visto l’Italia svolgere un ruolo di primo piano all’Onu dal momento però in cui applicare i diritti umani, o il diritto di asilo, costa qualcosa, allora c’è un freno, un chiudersi, un respingere... I diritti umani vanno benissimo finché non costano. E visto che l’accoglienza di rifugiati qualcosa necessariamente costa, allora si chiudono le porte. E questo non è solo eticamente sbagliato, è anche prova di miopia politica, perché molti di quegli asilanti respinti, penso all’America Latina, sono diventati poi parte della classe dirigente di quei Paesi».

l’Unità 12.7.10
Lo strazio di Srebrenica
Quindici anni dopo la ferita non è chiusa
Cinquantamila persone al funerale collettivo di 775 vittime recentemente identificate. Messaggio di Obama: «Una macchia sulle nostre coscienze»
di Gabriel Bertinetto

Accade di tutto a Srebrenica nel giorno in cui cinquantamila persone si radunano commosse per ricordare gli ottomila civili che in questo angolo di Bosnia furono sopraffatti dalla peste balcanica di fine millennio, la pulizia etnica.
Accade che il quindicesimo tragico anniversario della strage perpetrata dalla milizie serbo-bosniache, sia onorato dalla partecipazione di Boris Tadic, presidente della Serbia, che promette di fare di tutto perché sia consegnato alla giustizia il principale mandante di quell’orrore, Ratko Mladic.
Accade anche, spostandoci di centottanta gradi lungo la curva dei valori etici universali, che i compagni di partito del latitante Mladic scelgano provocatoriamente la ricorrenza dei suoi delitti per decorare in contumacia due dei principali complici, Radovan Karadzic e Momcilo Krajisnik.
Il primo è sotto processo al Tribunale speciale dell’Aja per i crimini commessi nell’ex-Jugoslavia. L’altro è già stato condannato da quella stessa corte a venti anni di carcere. A Banja Luka, capitale della Republika Srpska, una delle tre entità in cui è tuttora divisa la Bonsia, i dirigenti del Partito democratico serbo hanno consegnato alla moglie di Karadzic e al fratello di Krajisnik le medaglie e le onorificenze destinate ai due detenuti.
Anno dopo anno la terra di Srebrenica restituisce i poveri resti degli innocenti che l’11 luglio del 1995 furono uccisi in massa e gettati in fosse comuni. Massacrati per annientare un’intera comunità. Nascosti per cancellare le tracce del misfatto.
Nel corso degli ultimi dodici mesi gli scavi hanno consentito la riesumazione e l’identificazione di 775 corpi. Musulmano-bosniaci quasi tutti (tranne un croato), perché nei piani di Karadzic e Mladic a Srebrenica non c’era posto che per la razza serba. Gli altri dovevano essere cacciati o eliminati fisicamente.
Le 775 salme sono state sepolte nel cimitero di Potocari vicino alle tremila circa recuperate negli anni precedenti. «Non ho più niente da perdere -diceva piangendo Hatidza Mehmedovic, 58 anni, assistendo all’interramento dei cadaveri del marito e di due figli che all’epoca avevano 18 e 21 anni-. L’unica cosa che mi può ancora interessare è combatte-
re perché sia fatta infine giustizia». Raccolta in silenzio, la folla di parenti, amici, e semplici connazionali delle vittime, ha ascoltato i mea-culpa dei rappresentanti di Belgrado e della comunità internazionale. Perché se il genocidio fu perpetrato da bande che la Serbia di allora proteggeva e ispirava, i caschi blu delle Nazioni Unite qui a Srebrenica non fecero nulla per impedirlo. I cinquantamila hanno preso atto del solenne impegno di Tadic: «Non desisterò dalla ricerca dei responsabili ancora latitanti, e mi riferisco innanzitutto a Mladic». Perché, ha aggiunto il capo di Stato serbo, solo quando tutti gli assassini saranno presi e processati «potremo tenderci la mano l’un l’altro e tornare a vivere da persone normali, come vivevamo una volta».
Hanno anche sentito l’ambasciatore americano a Sarajevo, Charles English, definire la carneficina di Srebrenica «una macchia sulla nostra coscienza collettiva». Parole di Barack Obama, che nel messaggio letto pubblicamente dal suo rappresentante, definisce le vittime «persone che volevano solo vivere in pace, che si sono fidate del fatto che la comunità internazionale le avrebbe protette, e che nel momento più difficile sono state abbandonate a se stesse».
In zona in quel mese di luglio del 1995 stazionavano centinaia di soldati olandesi dell’Onu, che non capirono la gravità di cosa stava accadendo intorno a loro o forse non ebbero il coraggio di opporsi.
L’inerzia dei caschi blu è degna, secondo l’organizzazione tedesca non governativa «Centro per il decoro politico», del monumento che alcuni sopravvissuti intendono costruire accanto al cimitero, ammassando le une sulle altre sedicimila scarpe, a simboleggiare gli ottomila scomparsi. Sulla sagoma campeggerà a caratteri cubitali la scritta U.N. (Nazioni Unite), «metafora dell’immenso tradimento» allora compiuto dall’Onu, secondo la portavoce dell’ong Merima Spahic.
C’erano molti leader politici europei ieri al cimitero di Potocari, dal premier belga Yes Leterme al ministro degli esteri francese Bernard Kouchner al presidente sloveno Danilo Turk. C’era anche il capo di Stato turco Recep Tayyip Erdogan. E c’era l’Alto rappresentante dell’Unione europea per la Bosnia, Valentin Inzko, che ha stigmatizzato l’assenza dei dirigenti serbo-bosniaci alla cerimonia. Coloro che non si piegano all’evidenza dei fatti storici e rifiutano di ammettere ciò che avvenne a Srebrenica, ha detto Inzko, «non hanno futuro, non appartengono alla nostra civiltà».
Se fra i capi della comunità serbo-bosniaca la negazione della verità è completa, a Belgrado l’ammissione dei crimini compiuti in mone della grande Serbia è a volte ancora parziale. Il 31 marzo scorso il Parlamento di Belgrado ha approvato una risoluzione che condanna lo strazio di Srebrenica, ma evita di definirlo con il termine usato dalla giustizia internazionale, genocidio.
Lo strascico di dolori, rancori, incomprensioni e polemiche lasciato dalla guerra civile jugoslava degli anni novanta è pesante. Gli eventi delle ultime settimane dimostrano come sia ancora aperta ad esempio la ferita del Kosovo. L’ex-provincia serba a maggioranza albanese è indipendente dal febbraio 2008, ma Belgrado la considera tuttora parte del proprio territorio. Ed a Mitrovica, nella parte nord del Kosovo, che confina con la Serbia, la popolazione locale non si rassegna a riconoscere l’autorità di Pristina. Recentemente la città è stata teatro di scontri e un attentato ha provocato un morto.

Repubblica 12.7.10
La manovra uccide il nostro paesaggio
di Salvatore Settis

La "manovra" del governo che in nome del federalismo mette in ginocchio le Regioni, e senza affrontare i nodi della corruzione e dell´evasione fiscale taglia selvaggiamente sanità, ricerca, scuola sta facendo un´altra vittima: il nostro paesaggio.
Un´ecatombe annunciata già nel decreto-legge, che prevedeva (come ho scritto il 31 maggio in queste pagine) una forma aggressiva di silenzio-assenso sulle autorizzazioni paesaggistiche, annullando di fatto le garanzie del Codice dei Beni Culturali (varato nel 2004 da un governo Berlusconi). In sede di conversione in legge, com´era prevedibile, la sbandierata necessità di un voto di fiducia si traduce anche su questo tema in licenza di uccidere, che prenderà posto nel maxi-emendamento "omnibus".
La Commissione Bilancio al Senato ha emendato, su proposta del presidente Azzollini (Pdl), l´art. 49 della "manovra" (ddl 2228), prevedendo di declassare la d.i.a. (dichiarazione di inizio attività) in s.c.i.a ("segnalazione certificata di inizio attività"), di fatto un´autocertificazione a cura dell´impresa o di un tecnico di sua fiducia, che elude ogni successivo controllo («l´attività oggetto della segnalazione può essere iniziata alla data della presentazione della segnalazione»). Si annienta in tal modo il sistema vigente invitando a edificare, anche in zone vincolate, senza alcuna autorizzazione, e lasciando alle pubbliche amministrazioni solo l´opzione di tentare un blocco dei lavori, purché entro 30 giorni o «in presenza di un danno grave e irreparabile per il patrimonio artistico, l´ambiente, la salute», e comunque sempre negoziando con l´impresa-committente (e autocertificante).
Questa norma è destinata a devastare il sistema, non a migliorarlo. Essa calpesta il principio (sempre confermato dalla legge 241 del 1990 ad oggi) secondo cui i meccanismi di accelerazione come il silenzio-assenso o la d. i. a. non possono mai riguardare beni e interessi di valore costituzionale primario come il patrimonio storico-artistico e il paesaggio. Principio riaffermato dalla Corte Costituzionale, secondo cui in materia ambientale e paesaggistica «il silenzio dell´Amministrazione preposta non può aver valore di assenso» (sentenze 26 del 1996 e 404 del 1997). La nuova norma, se non fermata in tempo, avrebbe natura francamente eversiva: essa non solo capovolge la gerarchia fra un principio fondamentale della Costituzione (art. 9: «La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico artistico della Nazione») e la libertà d´impresa di cui all´articolo 41, ma dà per approvata una modifica dell´articolo 41 che le Camere non hanno ancora discusso.
È´ solo di un mese fa l´ipotesi Tremonti-Confindustria di modificare l´articolo 41 della Costituzione, che oggi garantisce la libertà d´impresa purché non sia «in contrasto con l´utilità sociale»: secondo la proposta di modifica «gli interventi regolatori dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali che riguardano le attività economiche e sociali si informano al controllo ex post». In questa proposta di controllo postumo, che equivarrebbe di fatto all´azzeramento di ogni controllo, è la radice del silenzio-assenso elevato a principio assoluto, della metamorfosi della d.i.a. in s.c.i.a.: in una Costituzione immaginaria, non nella Carta vigente.
Nell´emendamento che il voto di fiducia intende imporre brutalmente al Paese, la libertà d´impresa viene sovraordinata al pubblico interesse, e viene cestinato l´articolo 9 che prescrive la tutela del paesaggio legandola a un sistema di valori incentrato sull´utilità sociale, la dignità della persona umana (art. 3), i limiti imposti alla proprietà privata «allo scopo di assicurarne la funzione sociale» (art. 42). Il pubblico bene viene calpestato, la tutela messa in sottordine rispetto all´unico diritto sovrano, quello di fare impresa a qualunque costo, anche inondando il territorio di cemento e di brutture, anche proseguendo lo spietato consumo di suolo già in corso (13 ettari al giorno cementificati nella sola Lombardia).
Al di sopra del paesaggio, che è bene comune di tutti, vien posta la fatturazione delle imprese, la cui pretesa autoresponsabilità spodesta tutti i poteri delle pubbliche amministrazioni. I controlli ex post, secondo i dettami di un "nuovo" articolo 41 della Costituzione di Lorsignori (opposta a quella vigente), occasionali e a campione, sarebbero del tutto inutili una volta arrecato il danno. Sulla base di semplici autocertificazioni, migliaia di pale eoliche devasteranno sull´istante anche i paesaggi più pregevoli, anche dove siano in corso azioni di tutela sinora efficaci, come è nel Molise ad opera della benemerita Direzione regionale dei Beni culturali: basterà una s.c.i.a. per rendere irriconoscibili l´antica città sannita di Sepino o il monte Caraceno, importante area archeologica, boschiva e paesaggistica con vista sul parco nazionale d´Abruzzo. Basterà una s.c.i.a. per evitare anche in futuro ogni controllo antisismico, preparando di fatto disastri futuri, pur di costruire (sempre mediante s.c.i.a.) "città nuove". Del resto, secondo il deputato Pdl Giorgio Stracquadanio, «L´Aquila era una città che stava morendo indipendentemente dal terremoto, e il terremoto ne ha certificato la morte civile; il Governo avrebbe voluto fare una nuova università, una Harvard italiana, e ci è stato detto che volevamo cementificare». Menzogne come questa risuonano impunemente nell´aula di Montecitorio; una perversa Costituzione-fantasma, e non quella vera, detta l´azione di governo. Se non si corre velocemente ai ripari, muore il bene comune, muore l´etica della Costituzione, muore la legalità, la storia e l´identità del Paese.

Repubblica 12.7.10
Il museo fantasma di Ercolano inaugurato due volte e mai aperto al pubblico
Scavi abbandonati al degrado. E anche Pompei perde visitatori
di Alberto Custodero

Le soprintendenze campane sono nel caos. Quella di Napoli è retta ad interim da un dirigente in pensione
La procura di Salerno ha aperto un´inchiesta sull´utilizzo dei fondi della Ue e su presunte irregolarità

ERCOLANO - A Ercolano il museo antiquarium è una struttura fantasma: nonostante sia stato costruito 35 anni fa e inaugurato due volte, nel ´78 e nel ´93 (le vetrine ancora imballate), non è mai stato aperto. I quattromila reperti archeologici che dovrebbe ospitare, giacciono da anni blindati nel caveau di una banca. O depositati in magazzini, alcuni dei quali infiltrati dalle piogge. La "culla di legno carbonizzata", la "statua di bronzo di bacco", le sculture della "casa dei cervi", gli "ori" riemersi fra gli scheletri, e poi la mobilia annerita dai 500 gradi della nube ardente vulcanica sono solo alcune delle perle del "museo che non c´è", negate alla curiosità dei trecentomila visitatori che si recano ogni anno a Ercolano. Anche le "terme", la parte più suggestiva degli scavi, sono chiuse al pubblico: i visitatori si trovano la porta d´ingresso chiusa a chiave e nessun cartello a spiegare il perché. Stessa sorte per il "teatro antico", il più famoso essendo il primo scavo fatto nel ´700: è inaccessibile al pubblico. I trecento calchi dei corpi carbonizzati dall´eruzione del 79 dopo Cristo, rinvenuti al livello della spiaggia sotto una coltre di 19 metri di fango vulcanico, ancora non sono stati esposti nel luogo di ritrovamento, nonostante i lavori per il loro allestimento siano iniziati 12 anni fa.
Se Ercolano piange, Pompei non ride. Un esempio per tutti: a Pompei, il sito dei fuggiaschi, un gioiello degli ultimi scavi della metà degli anni Novanta finanziati dai fondi Fio, è incredibilmente sbarrato da una fune sgualcita. Anche qui nessun cartello offre una qualsiasi spiegazione. Si trovano nella "regione prima, insula 22esima" del sito archeologico, a pochi metri dall´orto dei fuggiaschi. Ma i visitatori non possono accedere a questa area rialzata, di interesse eccezionale (si possono vedere i corpi di persone sopravvissute alla prima eruzione, ma uccise dai fanghi vulcanici mentre tentavano di fuggire sopra un metro di pomici), perché l´ingresso è loro impedito da una corda. La rampa di scale è priva del primo gradino, la teca di vetro antiproiettile di protezione ai calchi è impolverata da chissà quanto tempo.
Difficile tentare di dare una spiegazione al "male oscuro" che affligge da sempre gli scavi di Ercolano e Pompei, ma che s´è acuito in questi ultimi anni che hanno visto, di recente, perfino il commissariamento da parte di un funzionario della Protezione Civile. Tutta la macchina amministrativa delle soprintendenze campane, del resto, sembra da tempo nel caos. È mai possibile, per fare un esempio, che quella di Napoli, dalla quale dallo scorso agosto dipendono Ercolano e Pompei, sia retta ad interim dall´ex segretario generale del ministero dei Beni culturali - ormai in pensione - Giuseppe Proietti, che è nel contempo pure soprintendente speciale di Roma ed Ostia? Ma non solo. La soprintendenza di Salerno, da cui dipendono i siti archeologici di Avellino, Caserta e Benevento, è affidata alla dottoressa Maria Luisa Nava la cui nomina ha ottenuto il record degli annullamenti: l´hanno bocciata il Tar (con conferma del Consiglio di Stato), e un decreto della presidenza della Repubblica. Ciononostante, continua a esercitare le sue funzioni con il rischio che tutti gli atti da lei firmati siano formalmente nulli. Il tutto accade mentre uno dei massimi esperti di scavi vesuviani (300 pubblicazioni scientifiche fra Ercolano e Pompei), il dirigente Mario Pagano - cacciato inspiegabilmente dalla soprintendenza di Salerno dopo soli 3 mesi dalla sua nomina con procedura pubblica - è da tempo mobbizzato dal ministero dei Beni culturali. Pagano è lasciato a casa da più di un anno con stipendio, ma senza incarico, nonostante due ordinanze della magistratura del Lavoro abbiano disposto il suo reintegro a pieno titolo nei ruoli della direzione regionale archeologica campana. Il motivo del mobbing nei suoi confronti potrebbe nascondersi in un´indagine giudiziaria top secret della procura di Salerno sulla gestione "allegra" dei fondi della soprintendenza salernitana. Il pm Rocco Alfano e la sua polizia giudiziaria hanno già acquisito la contabilità degli ultimi anni, in particolare dei progetti finanziati dalla Ue. L´inchiesta penale trae spunto dalle indagini difensive – poi riversatesi in un esposto in procura - dell´avvocato Katiuscia Verlingieri (legale di Pagano), che ha scoperto strane irregolarità nei conti di alcuni lavori finanziati dalla Ue a Paestum e Velia. L´avvocatessa-investigatrice, armata di registratore, è riuscita a dimostrare che un ammanco di 400 mila euro della soprintendenza di Salerno è stato "sanato" dai fondi stanziati dal ministero dei Beni culturali sulla base di una perizia falsa, per lavori di manutenzione in realtà mai fatti.

Repubblica 12.7.10
"Il Seminario. Libro XVIII", un discorso sul fallimento del linguaggio
Il mondo di cartapesta che denucia Lacan
di Nadia Fusini

Il maestro francese indica due strade: quella della "spazzatura occulteggiante", finzione che regge nel regno del posticcio, e la via della lingua poetica e letteraria

Il Seminario Libro XVIII. Di un discorso che non sarebbe del sembiante, del 1971, esce in Italia per i tipi Einaudi e la cura esemplare di Antonio Di Ciaccia (pagg. 184, euro 22) facendo seguito alla ripubblicazione del Seminario III, dedicato alle psicosi (1955-1956). Lo cito perché pur a distanza di anni, certi temi tornano, rispetto ai quali si compiono rivoluzioni. E´ un andamento del pensiero lacaniano il ritmo di variazione e ripresa, ripensamento e spostamento.
Nel Seminario III Lacan utilizzava la linguistica di de Saussure per leggere in modo inedito, rispetto a Freud e ai postfreudiani, le Memorie di Daniel Schreber, l´alto magistrato tedesco che in esse disegnava l´avvincente ritratto di un malato di nervi tra i più interessanti e geniali della letteratura pischiatrica. L´algoritmo saussuriano serviva in quel caso a Lacan, soprattutto gli serviva la barra tra significante e significato, intesa a separare due ordini ben distinti. Come gli serviva la distinzione fondamentale di Jakobson tra metonimia e metafora, per disegnare il campo di tensione espressivo del desiderio, in rapporto alle complicazioni del sintomo.
Nel Seminario XVIII Lacan liquida il rapporto tra psicoanalisi e linguistica: certo, l´inconscio è strutturato come un linguaggio nella linea Saussure-Jakobson, ma ora Lacan soprattutto ascolta dove e come il linguaggio fallisce, non prende, e dunque il soggetto non comprende, se non metaforicamente ciò di cui si tratta. Il linguaggio non può appropriarsi di niente, si dice in questo seminario; semmai chi parla, il "parlessere" per usare una sua buffa parola, evoca qualcosa che comunque resta impossibile da designare. Ma proprio quell´impossibile, Lacan lo chiama il reale: chi parla sta sul taglio. Non tutti lo sanno, ma vale per tutti.
A questo punto si aprono due strade: la prima è quella che Lacan chiama della spazzatura occulteggiante, ovvero un cammino lungo il quale si imbastisce un discorso che finge di cogliere il referente impossibile; finché la finzione regge siamo nel regno del posticcio, nella new age di un sentimentale quanto irreale e irresponsabile mondo di cartapesta. E´ il discorso delle ideologie o delle costruzioni fantasmatiche che si prendono sul serio.
Un´altra strada è il sentiero interrotto lungo il quale si incontrano non la spazzatura, ma semmai radure, chiari del bosco; è la via della lingua poetica e letteraria, che nello stesso atto di parola coglie sogno e fantasma, e non sfugge alla consapevolezza dello scacco costitutivo a ogni essere che parla, al riconoscimento che c´è dell´impossibile e l´esistenza umana non può, non deve evitare questa coscienza - ne va della sua intelligenza, ne va della verità.
L´impossibile, tutto, ogni impossibile Lacan lo sintetizza nell´aforisma: «non c´è rapporto sessuale». Che vuol dire? Non certo che non ci siano donne e uomini e non intrattengano tra di loro rapporti sessuali incrociando omo e etero-sessualità come più pare e piace - perché non è certo lì il punto, non è lì lo scandalo. Lo scandalo è che comunque e con chiunque quel rapporto non si scrive. Lo si può dire, anzi, non si fa che dirlo, la psicoanalisi stessa scaturice da questo, c´è psicoanalisi, c´è relazione psicoanalitica, transferale, proprio perché non c´è rapporto sessuale.
Non c´è, cioè: non si scrive. Si scriverebbe, se esistesse un discorso che non fosse del sembiante: questo pare suggerire Lacan, che esplora a questo punto una terza via, quella della logica. Prova a vedere se per via logica quel rapporto si potesse scrivere: perché questo vuol dire scritto, per Lacan - logico. "No logica, no scritto", per dirla con George Clooney.
E siccome la logica non è nata ieri, e non v´è dubbio che Aristotele abbia provato a mettere in logica quanto accade all´essere pensante, Lacan lo chiede per primo a lui. E si accorge che se Aristotele può scrivere il rapporto tra l´universale e il particolare, non arriva però a scrivere il rapporto tra l´universale/particolare e il singolare. O almeno così pare a Lacan, il quale si impegna a questo punto in altre soluzioni, ricorrendo alla logica di Peirce, all´algebra di George Boole, ai lavori sui quantificatori di Augustus De Morgan, agli assiomi matematici di Giuseppe Peano. Ma alla fine, per ora, in questo seminario, lascia in sospeso la questione.
Si può però notare come ancora una volta emerga in primo piano quale possibile agente risolutore il sembiante femminile. Non stupisce, perché se il sembiante ha la funzione di velare il niente, la donna è l´asso nella manica - in quanto soggetto che ha una relazione essenziale con il niente. Che questo niente sia corporeo, anatomico per Freud, o una mancanza che apre a più metafisiche profondità per Lacan, il niente rimane sempre e comunque un privilegio femminile, a cui anche gli uomini potrebbero ambire, se sapessero incamminarsi sulla retta via della ricerca della verità, in un discorso che non fosse del sembiante, appunto.

Repubblica 12.7.10
Il direttore Bordin lascia durante un lungo faccia a faccia con Pannella
di Mauro Favale

Il direttore di Rai Due è in procinto di essere sostituito da Susanna Petruni
Scontro a Radio Radicale con dimissioni in diretta

Il leader: "Ti sei preso una responsabilità grave" Il conduttore di "Stampa e regime": "Non puoi darmi del disertore"

ROMA - «Non c´è una causa scatenante». Piuttosto, «un problema di accumulo». La voce è sempre quella, inconfondibile, arrochita, alle 7,30 del mattino come alle 5 del pomeriggio. Massimo Bordin parla per oltre due ore col suo editore Marco Pannella. E stavolta l´argomento è l´addio del giornalista, dopo 19 anni, alla direzione di Radio Radicale. Un´ultima, attesissima, conversazione domenicale col leader radicale, un evento per gli appassionati, tutto in diretta radiofonica: perché è la trasparenza la caratteristica principale del partito e della radio, la pubblicità di riunioni e congressi a uso e consumo di militanti e addetti ai lavori. Stavolta tocca mettere in piazza i motivi di un divorzio che ha provocato centinaia di messaggi di solidarietà (tra Facebook e forum vari) per il giornalista. Tanto che Pannella gli dice più volte: «Sei più popolare di me e di Emma». E poi lo accusa: «Ti sei preso una responsabilità politica molto grave». «Mi dai del disertore. Gridi al momento gravissimo, ma lo fai sempre», risponde Bordin.
Un anno fa, a Pasqua del 2009, un altro confronto aspro, sempre ai microfoni della radio. Una sorta di preludio a un divorzio che nelle due ore viene analizzato eppure mai sviscerato completamente. Tanto che Bordin afferma: «Proverò a spiegarmi in qualche sede, non voglio fare uso improprio del mezzo. Per chi m´hai preso, per Santoro? Voglio il mio microfono? Lasciamo perdere». Si intuisce che Bordin vorrebbe continuare a lavorare a Radio radicale. Ma non come direttore. Piuttosto punterebbe a conservare lo spazio mattutino di Stampa e regime, la seguitissima rassegna stampa. Anche se Pannella lo provoca: «Ora si apre il mercato». Poi via all´evocazione di altri ex radicali che hanno abbandonato il partito di Pannella: «Non ho voglia di essere mangiato, non sono commestibile. E non ho ambizioni politiche», specifica Bordin. A Pannella critica «la mancanza di una linea nella quale ritrovarsi». Il leader radicale si ammorbidisce: «Mi dispiace che la cosa si sia conclusa così». Spenta la radio, gli ascoltatori aspettano di capire se davvero Bordin lascerà Radio radicale.

Repubblica 12.7.10
I bambini fantasma di Haiti 800mila vagano ancora nei campi
di Daniele Mastrogiacomo

L´Unicef a sei mesi dal sisma. Clinton: "Ricostruzione lenta"
Molti sono orfani e non hanno cibo Le scuole sono crollate, manca l´acqua potabile

Ci sono 800 mila bambini che vagano tra i campi spontanei di Port-au-Prince. Molti sono orfani, altri hanno dei parenti sopravvissuti al terremoto ma non sanno dove e come trovarli. A sei mesi di distanza dallo spaventoso sisma che ha scosso e distrutto il 60% di una città tra le più povere del mondo, l´Unicef traccia un bilancio illuminato da importanti successi ma offuscato da ombre di rassegnazione. L´emergenza non è finita. Ci sono stati 220 mila morti, altrettanti sono rimasti sotto le macerie e non verranno mai più ritrovati. Un milione e 600 mila sono sfollati. Trecentomila persone hanno subito ferite importanti: 4 mila hanno perso una gamba, un braccio, spesso entrambi. Ma sono i bambini quelli più deboli e più vulnerabili. Fanno parte di quel 46% della popolazione che ha meno di 18 anni. Rappresentano la Haiti del futuro. Ma sono anche quelli che non hanno sempre accesso alle strutture sanitarie, che vengono utilizzati nei lavori più duri, che subiscono le violenze fisiche e sessuali, che sono nel mirino di turpi commerci per i traffici di organi e adozioni improvvisate. «I bambini hanno ancora bisogno della nostra totale attenzione - scrivono i responsabili di Unicef - troppi vivono in condizioni inaccettabili, senza acqua e senza servizi igienici. Molti restano esposti a malattie prevenibili con le vaccinazioni».
L´incubo delle epidemie è per il momento scongiurato. Ma le condizioni generali restano precarie. Basti pensare che solo 333 mila persone hanno accesso all´acqua potabile, che c´è una latrina ogni 145 abitanti, che solo 62.800 bambini sono realmente seguiti e accuditi, che cinquemila scuole sono state distrutte e non ancora ricostruite, che l´intero sistema di educazione stenta a decollare. In tanti vivono ancora nei 1342 insediamenti spontanei. Accampamenti costruiti con teli e stracci, in mezzo alle strade, con l´acqua che sgorga dalle condotte spezzate o le pozzanghere che diventano serbatoi quando cessa l´erogazione. «Mezzo milione di bambini sono a rischio», dice l´Unicef.
E´ stato soprattutto grazie alla rete di ong se l´isola degli schiavi non è sprofondata tra le sue macerie. Nove miliardi è la spesa stimata per ricostruire Port-au-Prince e i paesi che sorgono lungo la faglia che ha provocato il terremoto. Ma Bill Clinton, inviato speciale degli Usa ad Haiti, denuncia i ritardi nella ricostruzione. E il presidente Renè Preval, nella sua rassegnazione, riesce ad essere realista: «Il destino dell´isola resta legato agli aiuti della Comunità internazionale».


l’Unità 12.7.10
I sacerdoti sono una categoria molto richiesta nei numerosi siti on line per incontri gay
Registrarsi è semplice, se hai pazienza e costanza arriva finalmente la risposta del “don”
In cerca di preti nelle chat popolate di solitudini
di Ilaria Donatio

Viaggio tra i siti on line per incontri gay alla ricerca di un prete. Lo scrivi nel profilo, senza perdere tempo. Ai sacerdoti è dedicata una delle tante chat room. Unico divieto: la pedofilia e i rapporti con i minori.

Un mese intero passato in chat. In orari e con nomi diversi. Con un’unica indicazione nel profilo: “In cerca di un don”. La prima cosa che si impara nei siti di incontri online è che non c’è tempo da perdere. Dunque, è meglio chiarire subito cosa si cerca: “170x67 castano non peloso maschile giovanile”. Oppure: “165x80, moro riccio, molto peloso, maschile e carino”. E, in questo caso, che sia anche prete. Se è vero, poi, che tutte le chat si assomigliano, per quelle gay c’è solo l’imbarazzo della scelta: registrarsi è semplicissimo. Nessun controllo, ad esempio, sull’età dell’utente che, in teoria, potrebbe accedere ogni volta con un nick diverso.
Ci sono Mirc, la chat di gay.it, 77chat.com, ma anche siti come bearwww.com, gayromeo.com, gaydar. it: alcune richiedono anche la foto ma generalmente basta inserire pochi dati essenziali e l’indicazione di cosa cerchi e come lo vuoi. Sesso, amore, amicizia, scambi di coppia: l’obiettivo è quasi sempre incontrarsi, nella realtà oppure via web cam. I preti sono una categoria molto richiesta. Come i militari. “Il fascino della divisa”, si potrebbe dire. A loro è dedicata una delle tantissime chat room in cui è possibile entrare su 77chat.com. Qui, in homepage, campeggia uno sbrigativo divieto di pedofilia e pratiche sessuali con minorenni. La nostra stanza a tema si chiama “Preti e amici”. I nick dei preti sono abbastanza scontati: Don cerca maturi, d_off, don umbro, don, don giu, don marco, don40, padre Pio e tanti altri. Gli “amici” indicano nel profilo le proprie preferenze.
“Dove sei? Quanti anni hai? Come sei fatto?”. È un copione già scritto: basta attendere pochi minuti e si aprono, una dopo l’altra, le prime finestre di dialogo. Le domande sono sempre quelle e conviene rispondere alla svelta per passare al secondo “blocco” “sei sposato? single? gay? bisex?” superato il quale avviene il (fortunato) passaggio a un luogo più sicuro: msn e/o telefono, preludio dell’incontro. Noi ci siamo fermati prima, semplicemente, scomparendo e riapparendo in chat con un nick diverso: un altro giro, un’altra corsa.
Un mondo, quello delle chat “per adulti”, più normale e ordinario di quanto si pensi. In realtà, un pezzo del nostro stesso mondo, incredibilmente popolato da solitudini, desideri repressi, sensi di colpa. Vite divise. Che, come osserva il teologo morale Giannino Piana (l’intervista è a pagina 8), sono “drammaticamente segnate da una sorta di lacerazione”, alla perenne “ricerca di un modello troppo alto per essere raggiunto”.

l’Unità 12.7.10
«Prego, dico messa e ho sensi di colpa: mi piacciono gli uomini
In chat con un sacerdote: «So che dal punto di vista della Chiesa sono in errore, ma è più forte di me Ti ho spaventato? Per favore ora non sparire...»
di I. D.

Don: ciao, da dove?
X: da Roma e tu?
D: anch’io, quanti anni?
X: 39... sei un prete?
D: io 49, sì sono un prete. Anche tu?
X: io no, li cerco...
D: eccomi! Sei sposato?
X: no, sono gay
D: gay?
X: Perché, tu no?
D: non mi piace definirmi
X: avrai delle preferenze...
D: mi piacciono i maschietti
D: se ti far star bene pensare che sono gay, facciamo come dici tu... sei maschile o effeminato?
X: maschilissimo. Hai una relazione in questo momento?
D: sì ma lui vive a tanti chilometri di distanza... Dimmi, come sei fisicamente?
X: Sono alto 1,77, abbastanza magro, castano: un bel tipo secondo quelli a cui piaccio...
D: eh eh eh e è tutto soggettivo! Io, 170x67, castano, non peloso, maschile giovanile.
X: perché cerchi altri incontri se hai già una persona?
D: ti ho detto che cerco altri incontri?
X: chiedi a tutti come sono fatti prima di diventarci amico?
D: beh, non li escludo ma in genere non approdo mai a niente di che...
D: in che zona sei tu?
X: Roma nord. Dove vivi? in istituto o da solo?
D: zona centro, vivo solo... tu non hai storie in corso?
X: sì, una un po’ traballante: convivo con una persona.
D: Comunque, io non ho e non cerco esperienze di sesso anale: non mi interessa...
D: sei scappato?
X: scusa, perché me lo dici così?
D: meglio essere chiari...
X: non le cerchi o ne hai paura?
D: è una mia idea fissa e nessuno me la toglie...
X: un’idea fissa che ti infastidisce a quanto pare!
D: no.... uno può pensarla così?
X: certo, per me ognuno può fare come gli pare! E cosa ti concedi se posso?
D: beh tutto il resto in genere... sempre in bilico tra il cercare e lo sforzarmi a “fare il bravo”
X: e “il resto” invece ti dà piacere?
D: sì, certo.
X: non ti provoca sensi di colpa?
D: molti...
X: perché sei diventato prete, se posso?
D: è il risultato di certe situazioni vissute sulla mia pelle (penso): di contrasti prima e di solitudine poi...
X: ma sei contento di esserlo?
D: tutto sommato sì
X: il tutto sommato ha a che fare con la sessualità?
D: sì ma anche perché sto svolgendo una mansione particolare, con molta solitudine: ecco questo è un po’ il problema
X: quando finisce questa mansione?
D: non decido io... è una situazione un po’ complessa. Dai, cambiamo discorso! Che numero di piede hai?
X: ... questa domanda non me l’aspettavo: 42 comunque...
D: ognuno ha le sue stranezze... mi piace il piede maschile e mi piace il maschio in calzini... eh eh eh he
X: intendi che ti piace il maschio nudo e vestito solo con i calzini?
D: no, anche vestito... purché in ciabatte e calzini, stranezze della vita!
X: in effetti è da approfondire...
D: beh, tu hai le tue: la storia dei maschi e dei preti da quanto ti frulla in testa?
X: da sempre e in questa chat mi sembra sia una fantasia molto comune!
D: dai, chiedimi quello che ti va... ti «concedo» tre domande
X: vorrei sapere se hai mai perso la testa, il controllo, per qualcuno...
D: sì, ma senza esagerare...
X: ti spreteresti mai? D: non credo
X: dunque così vivi bene? D: beh nessuno mi ha obbligato, è una scelta libera che uno fa sapendo a cosa va incontro...
X: che fai ora? D: già vuoi sparire?
X: ma no, ti dico che non sparisco...
D: ok... lavoro anch’io: prego, leggo, dico messa
X: mmhh se mi dici dove celebri vengo in incognito... vorrei ascoltare le tue omelie...
D: ... comunque, per la cronaca, ora sono un po’ eccitato...
X: come mai? cosa stai immaginando...
D: niente di che, solo il fatto di seguirti nel discorso...
X: allora continuo... che tipo di relazioni hai con gli uomini (maschi) in carne ed ossa?
D: se intendi il sesso, solo esperienze orali: perdo molti punti ai tuoi occhi?
X: ma no! Solo, mi viene in mente una domanda: prova a spiegarmi la differenza. Dal punto di vista della Chiesa sei comunque in errore...
D: lo so ma proprio non ci riesco. Dimmi come sei vestito...
X: jeans e polo blu. Tu?
D: io in jeans nero e maglietta, sono in ciabatte...
X: ah vero, le ciabatte...
D: eh eh eh...
X: Che hai da fare più tardi?
D: ho un incontro di preghiera...
X: hai un gruppo con cui ti vedi spesso oppure le persone cambiano?
D: una volta al mese se posso vado ma sono più di 400/500 persone.
X: ah però!
D: come ti chiami?
X: Matteo e tu?
D: Paolo... che farai domani?
X: riposo. Tu?
D: messa alle otto, poi angelus e quindi....riposo. Senti: non ti piacerebbe conoscermi?
X: sì che mi piacerebbe
D: vorrei incontrarti, anche solo una volta...
X: vediamo che succede, facciamo con calma...
D: vorrei solo un punto più sicuro dove trovarti... metti msn!
X: ok, dai, ci provo.
X: Ma come ti chiamano: don o padre?
D: in entrambi i modi... sai, qualcuno mi chiama anche monsignore.
X: accidenti!
D: ci sei stasera? Dalle 17.30 in poi sono qui. E se mi chiedi di fare due passi, ci sono pure! Lo vuoi il mio cellulare?
X: non lo voglio
D: ok X: sei arrabbiato?
D: ....
X: forza! Non avere fretta monsignore.... fammi un sorriso!
D: sapessi...
X: dimmi...
D: se potessi ti darei un bel bacio sulla bocca... anzi, me lo daresti tu un bacio? mi fai un po’ di coccole?
X certo che te lo darei: come lo vuoi?
D: dolce, lento, passionale...
X: te lo sto dando...
D: mmhh...
X: ti piace?
D: moltissimo, sono eccitato.
X: mi fa piacere che ti piaccia
D: se fossi qui ti farei di tutto...
X: tranne il rapporto completo...
D: tranne quello: non avverrà mai. Ma se fossi con me ora, ti spoglierei, ti leccherei tutto...
X: Forse è meglio che ci salutiamo ora...
D: Non sparire
D: ti ho spaventato? Sono sempre molto provocante in chat ma ti assicuro che in realtà sono impacciato e pure... inconcludente.
X: non ti devi giustificare...sei quello che sei
D: non sparire X: non sparisco.

l’Unità 12.7.10
Intervista a Giannino Piana
«Sulla sessualità la Chiesa cambi alcune regole morali»
Il teologo «Una visione negativa del sesso mette in moto un meccanismo perverso di colpa. Attraverso le chat on line certi preti cercano una dimensione dove poter vivere»
di L. D.

Professor Piana come commenta, da teologo morale, il dialogo che abbiamo proposto? «Purtroppo, credo che quello che viene fuori abbia fondamento e temo anche che si tratti di un comportamento abbastanza diffuso. Non so dal punto di vista statistico quante persone tocchi, ma certamente esiste una percentuale piuttosto estesa di preti che hanno tendenze omosessuali e che, attraverso le chat online, tentano di stabilire rapporti dai risvolti sessuali molto evidenti: vorrebbero vivere, così, una dimensione che reprimono nella vita reale, sintomo, questo, anche di una certa solitudine.
C'è un elemento che emerge con chiarezza: l'esistenza di vite divise tra due mondi che corrono parallelamente...
«Questo doppio volto emerge con chiarezza dal colloquio: si fa continuamente presente e si rivela nelle sue debolezze, nelle sue pulsioni solo in contesti lontani dalla vita consacrata. Fa pensare all'esistenza di tutto un mondo sotterraneo che resta tale e che non viene soddisfatto. Questo perché non è stato neanche opportunamente coltivato attraverso un processo che l'avrebbe condotto, magari, a una sublimazione, ma molto più seria. L'assenza di questo percorso fa sì che esplodano forme contraddittorie di pulsione che rivelano, tra l'altro, tratti della personalità rimasti alla fase adolescenziale».
È possibile secondo lei convivere per un'intera esistenza con e dentro questa contraddizione? «È certamente difficile ma è anche possibile, purtroppo. C'è ed è forte la difficoltà oggettiva a comporre i due momenti: quello più autentico che però esplode in forme abnormi e persino infantili e per un altro verso, la necessità di rimanere in un contesto che permette di sopravvivere e che offre garanzie, sia dal punto di vista economico sia da quello della sicurezza. Garanzie anche di tipo psicologico: c'è uno status acquisito, c'è un ruolo che si esercita, c'è un'immagine di sé che, anche se in alcuni contesti, permette di socializzare».
Ma una persona consacrata è in grado di gestire una condizione del genere svolgendo in modo adeguato il proprio ministero?
«Io credo di no: dove non c'è trasparenza, dove non c'è una scelta fatta liberamente che sia orientata in una direzione o nell'altra inevitabilmente nell'esercizio del ministero non è garantita quella autenticità necessaria e richiesta, quella trasparenza che deriva dal nocciolo più profondo di una persona. Ma questo comporta una scelta: quella di stare pubblicamente con un'altra persona, oppure, l'avvio di quel processo di sublimazione, anche della propria solitudine, di cui parlavo prima (e che però richiede una particolare tensione morale e psicologia ma anche una certa maturità).
Ho l’impressione, inoltre, che ci sia spesso, in molti preti, una certa difficoltà di rapportarsi agli altri in modo autentico e che emerge immediatamente e, forse, nasce anche da queste situazioni: con la conseguenza che risultano, alternativamente, quasi ostili ai rapporti, chiusi in se stessi oppure, al contrario, completamente dediti a forme (superficiali) di cameratismo, a rapporti troppo carichi e che rivelano sempre una situazione non chiarita al livello di coscienza personale e coinvolge il modo stesso in cui vivono il loro ministero».
Basterebbe, secondo lei, cambiare le regole? Mi riferisco a quelle che fondano la morale sessuale della Chiesa cattolica.
«Credo che questo cambiamento sarebbe importante e inciderebbe su molte vite: la morale cattolica ha mantenuto, soprattutto a livello normativo, una visione fortemente negativa della sessualità, con la conseguenza di mettere in moto un meccanismo perverso di colpa e di auto-giustificazione.
Certamente, conta anche l'inserimento in un contesto piuttosto che in un altro: anche oggi ci sono seminari più severi e repressivi nei confronti della sessualità (e della donna in particolare) ed altri che puntano, seguendo lo spirito del Concilio Vaticano II, a una maggiore responsabilizzazione del soggetto, a valorizzare la libertà di azione e l'attenzione a scelte diverse. Questo, com'è naturale, provoca minori sensi di colpa e anche una visione più serena della sessualità e dell'erotismo.
Dunque, direi che la revisione delle regole che, di fatto, sono sempre più inascoltate, sia importante e valga per tutti, non solo per chi fa la scelta del sacerdozio. Ma mentre la gente comune, credente e praticante, ha ormai instaurato un rapporto che definirei "selettivo" con l'istituzione (tiene quel che le serve e sul piano morale prende le distanze), chi compie una scelta di vita consacrata, fa anche percorsi più necessitati e costringenti di quanto lo siano quelli normali.
D'altra parte, c'è anche un aspetto del tutto soggettivo: è chiaro che le persone più fragili sono anche le più esposte ai sensi di colpa, che poi sono sempre il frutto di pressioni esercitate dall'esterno. Ma anche di modelli ideali eccessivamente staccati dalla realtà. È questa distanza, è l'incapacità di essere fedeli a quel livello di idealità che viene proposto, è il vivere una serie di situazioni che portano lontano da quello che vorresti essere e che non sei, è tutto questo insieme, alla fine, che provoca conseguenze distruttive sulle persone.

Giannino Piana è docente di Etica cristiana presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Libera Università di Urbino e di Etica ed economia presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Torino.

l’Unità 12.7.10
Pedofilia
Il giornale Avvenire «Fermiamo anche gli orchi laici»

Allo scandalo «enorme» della pedofilia,che non riguarda solo la Chiesa ma una realtà mondiale ben più ampia, foraggiata anche dal turismo sessuale, è dedicato un dossier di quattro pagine pubblicato sabato dal giornale cattolico 'Avvenirè. «Né alibi né rimozioni», spiega in un editoriale di prima pagina il direttore del quotidiano, Marco Tarquinio, osservando che il «cancro degli abusi sessuali sulle bambine e i bambini» va affrontato in tutte le sue declinazioni, anche quelle che riguardano «paesi civilissimi e teatro di importanti campagne di stampa moralizzatrici» e però patria di «frotte di orchi che originano i più imponenti e vergognosi flussi del turismo sessuale».