il Fatto 14.9.10
Psichiatria Democratica
I giovani turchi, Ferrero e i gruppi veltroniani Fotografia di un partito perennemente in analisi
Il 25 settembre Veltroni a Orvieto Potrebbe diventare la “Mirabello” di centrosinistra
di Luca Telese
ANTEFATTO ICONOGRAFICO. Guardate per un attimo la foto di questa pagina. Pier Luigi Bersani chiude la festa di Torino. In piedi, solo. Per la prima volta un leader del Pd parla senza angeli custodi, senza alfieri, senza l’abbraccio dei due principali dirigenti del partito, immancabilmente vicini a lui. Quanta distanza dal rituale di tutti gli altri anni: il segretario sul palco, e tutti i leader, simbolicamente stretti intorno. Magari ipocritamente, stretti, ma tutti, almeno una volta l’anno, lì, come nella foto della classe all’inizio dell’anno. Ora abbandoniamo la foto, e passiamo al calvario della cronaca, dalle faide dei giovani turchi ai rumors di scissione, ai motivi per cui Orvieto potrebbe diventare una “Mirabello” di centrosinistra.
RETROSCENA REDAZIONALE. Per una volta vale la pena di raccontarvi come si può decidere un articolo nella riunione di questo giornale. Eravamo appena tornati dalla meravigliosa festa della Versilia, e già i nostri telefoni tril-
lavano su un unico tema: il Pd. Un veltroniano ti dice peste e corna di un dalemiano e viceversa (fin qui nulla di nuovo); poi arrivano aggiornamenti, ritrattazioni, agenzie, colpi di scena. Quindi la girandola della rassegna stampa. In due giorni, dal documento dei quarantenni anti-veltroniani, alle correnti storiche, un fermento criptato e indecifrabile per chi non possiede i codici delle faide antiche. A questo punto il direttore si mette a solfeggiare e a parafrasare: “Pi.... Di...., Pi... Dì... Psichiatria Democratica”. Ovvero: ci sono chiari segni di distorsioni dell’ego e di alterazione delle percezioni dell’io, in quel partito. Lettere para-psicanalitiche ai giornali, mezze verità, indiscrezioni pilotate, colpi bassi. Per dire. Secondo Il Corriere della sera, la settimana scorsa Bersani avrebbe stretto un patto con Paolo Ferrero per eleggere dieci parlamentari nelle liste del partito, con una “ospitata” tecnica stile radicali. Cerco il segretario di Rifondazione al telefono per capire se le sue smentite siano rituali o credibili. Lui è furibondo: “Se stiamo dialogando con Bersani? Certo! Lo dico da mesi. Se è vero che abbiamo stretto un accordo per eleggere i nostri dirigenti? Assolutamente no si indigna è una follia paranoica, messa in giro con malizia dai veltroniani, magari per far piacere a Vendola”. Chiedi: in che senso? E lui: “È una cosa che non sta nè il cielo nè in terra rincara la dose Ferrero ma che punta a farci apparire come dei dirigenti all’asta che vanno da Bersani per farsi garantire con il piattino in mano. Beh ruggisce il segretario non è così!”. In fondo basta questo sfogo per capire che la situazione è incandescente, e che la frattura interna influenza anche i rapporti con gli altri. Però restano dei fatti: le dichiarazioni entusiastiche di Ferrero e Oliviero Diliberto sul “Nuovo Ulivo” bersaniano, e gli editoriali dei giornali amici (ad esempio quello di Stefano Menichini su Europa) che la settimana scorsa davano già per certo l’accordo. Frammenti di schizofrenia?
ENDORSING FAGIOLINO.
La nostra riunione finisce così, e l’articolo, è commissionato. Ore 13.15 (non è uno scherzo), sulle agenzie arriva l’endorsement di Massimo Fagioli, psichiatra e ricercatore della mente, che ufficializza la fine del rapporto con l’ex leader presidente della Camera Fausto Bertinotti: “Attualmente la simpatia è per Bersani”. Le ironie sono fuori luogo. Sembra piuttosto un segno, la spia di un disagio, il turbinare di un cortocircuito fra politica e psiche. Come è noto Fagioli era stato un fan accanito di Bertinotti, fino a che non era apparsa sulla scena Nichi Vendola. Dopo di allora lo psichiatra non aveva fatto mistero di considerarlo “deviante” per la sua omosessualità. Ora Fagioli spiega la sua nuova predilezione per Bersani: “È il solo in grado di provare a rimettere insieme la sinistra, l'unico che ancora mantiene laicità e saggezza”. Ma davvero c’è una crisi di identità nel Pd? L’ultima crisi di identità, è la grottesca storia dei cosiddetti “Giovani Turchi”, un gruppo di quarantenni vicini a D’Alema, che scrivono un documento caustico contro il fondatore del Pd convocando una riunione ad Orvieto: “La politica interpretata come Hollywood, come un tour promozionale per propagandare se stessi”. La vera accusa a Veltroni è, ancora una volta, psicanalistica: quella di essere inconsapevolmente berlusconiano, affetto da protagonismo e bisogno di leadership. Però “i giovani turchi” non hanno la tempra di Ataturk. Basta il pronunciamento di due ex veltroniane bersaniane, Stella Bianchi e Annamaria Parente perchè sia annullata l’iniziativa, prevista per il 25. Una indubbia vittoria dei veltroniani. Ma Orvieto è la città dove è nato il Pd, e dove Veltroni in un celebre discorso parlò per la prima volta della vocazione mag-
gioritaria: “Non so quando saranno, so che alle prossime elezioni andremo da soli”. Lo disse il sabato, il lunedì Mastella abbandonò la maggioranza, il giovedì cadde Prodi. Il 25, a Orvieto, si tiene anche un convegno di Libertà eguale (la componente ex riformista del partito) con Veltroni e Sergio Chiamparino.
I GRUPPI AUTONOMI. Ma cosa c’è di vero nell’ipotesi avanzata ancora una volta dal Corriere, che i veltroniani vogliono fare un gruppo autonomo”. Una follia? O un inconfessabile desiderio inconscio? Walter Verini, braccio destro di Veltroni sorride: “Balle”. E in serata Veltroni interviene: “Niente gruppi: c’è bisogno che il Pd recuperi forza, si deve lavorare per fare del Pd”. Ma a Orvieto Veltroni potrebbe meditare un nuovo strappo. Magari un appoggio tecnico al sindaco di Torino, già con un piede fuori dal partito, all’insegna dello slogan: “Oltre il Pd per tornare a vincere”. Fini torna nella “sua” Mirabello per costruire un’altra destra. Veltroni nella “sua” Orvieto per un altro centrosinistra.
l’Unità 14.9.10
L’ex leader chiede «più coraggio». Ma Area democratica non lo segue
Veltroni: il Pd cambi Bersani: ma divisi non siamo credibili
Oggi Bersani riunisce al Nazareno tutti i big del partito: «Dobbiamo dimostrarci pronti a governare. Discutiamo pure, ma delle proposte per l’Italia». Veltroni chiede di recuperare lo «spirito originario» del Pd
di Simone Collini
«Di fronte alla crisi della maggioranza il Pd deve dimostrarsi pronto a governare il paese», dirà oggi Pier Luigi Bersani aprendo la riunione con tutti i big del partito. Ovvero è il ragionamento che farà il segretario del Pd agli altri membri del coordinamento convocati al Nazareno ben vengano discussioni sulle proposte concrete, ma perdersi ora in polemiche e divisioni può far perdere l’occasione di chiudere l’era del berlusconismo e tornare al governo. Un appello che arriva dopo che nei giorni immediatamente precedenti e successivi l’intervento di chiusura alla Festa del Pd alcuni giornali hanno parlato dell’irritazione dei veltroniani per un presunto accordo elettorale con Prc e Pdci (smentito da Bersani), poi per un’iniziativa a cui hanno dato vita alcuni quarantenni bersaniani (i cosiddetti “giovani turchi”), poi per la decisione di chiudere a Torino con la “vecchia formula” del comizio (a cui avevano rinunciato negli ultimi due anni Veltroni e Franceschini). Fino alla notizia che i veltroniani starebbero pensando di fare dei gruppi autonomi alla Camera e al Senato. Anche questa smentita, per bocca di Walter Verini: «È del tutto infondata». Restano però le critiche: «Il nostro partito dice il braccio destro di Veltroni riprendendo un sondaggio pubblicato da “Repubblica” e che dà il Pd al 26,5% raggiunge nei sondaggi il suo minimo storico, e questo in una condizione politica che dovrebbe essere assolutamente favorevole ad una forza di opposizione».
LINEE A CONFRONTO
Per Bersani non è però in questo modo che si rilancia il Pd: «Discutiamo pure, ma sulle proposte concrete da presentare all’Italia», è il messaggio che lancia agli altri dirigenti. «Adesso dobbiamo smetterla di guardarci la punta delle scarpe e dobbiamo rimboccarci le maniche, dobbiamo lanciare una forte mobilitazione già in questi giorni di riapertura delle scuole e poi attraverso l’Assemblea nazionale». Che si terrà ad ottobre a Milano, o comunque in una capitale del Nord (anche per rispondere alle sollecitazioni di Sergio Chiamparino nei confronti di questa parte del paese).
All’incontro di oggi Veltroni vuole andare senza provocare rotture ma comunque ribadendo la sua tesi per un cambio di linea. Il Pd deve cioè recuperare lo «spirito originario», dimostrare «più coraggio» nel mostrarsi come il partito «che combatte tutti i conservatorismi», presentarsi come la forza «che vuole il cambiamento». L’ex segretario non ci sta a passare per uno tentato dalla scissione: «Io ci credo più di altri nel Pd, l’ho fatto nascere si è sfogato con i suoi e voglio rafforzarlo». Anche il discorso delle alleanze, per Veltroni, va affrontato partendo da un «investimento» su questo partito, perché più forte è, più forte sarà la sua capacità attrattiva e meno potere di ricatto avranno le forze minori. Il discorso di Bersani alla Festa di Torino ha sì fissato dei paletti per quel che riguarda il confronto con l’Udc e l’esclusione di Prc e Pdci dal patto di governo, ma per Veltroni «la sfida è aprirci e raccogliere energie fresche e nuove», non cercare accordi politici in base a ragionamenti puramente aritmetici.
Veltroni andrà però al confronto anche sapendo che altri dirigenti di Area democratica come Dario Franceschini, Piero Fassino, Franco Marini, sono più vicini alle posizioni del segretario che alle sue, o a quelle dell’ex-ppi Beppe Fioroni o di Paolo Gentiloni. Entrambi, così come pure Veltroni e Chiamparino, saranno al convegno organizzato da LibertàEguale ad Orvieto la prossima settimana. Mentre tutti i veltroniani sembrano intenzionati a disertare le giornate di Area democratica che sta organizzando Franceschini ad Amalfi per la fine ottobre.
Repubblica 14.9.10
Veltroni, sfida aperta a Bersani un documento sul "Pd tradito"
Asse con gli ex ppi. I fedelissimi: può ritentare da premier
Raccolta di firme tra i parlamentari. Il segretario: non ci sono esclusive sullo spirito originario
di Goffredo De Marchis
ROMA Walter Veltroni prepara la campagna di autunno. Non solo per lanciare il libro di prossima uscita "Rivoluzione democratica" dove, dopo tanti romanzi, rimette al centro la politica e lo spirito originario del Pd rimosso dai successori. L´obiettivo finale dell´ex segretario è riprovare la corsa per Palazzo Chigi. «Mi sembra improbabile, ma non impossibile», dice il suo fedelissimo Stefano Ceccanti. «Vendola non ce la fa. Parla solo a un piccolo pezzo del Paese. Bersani nemmeno, figuriamoci. Con lui il Pd ha perso tutta la sua autorevolezza... «, spiega l´altro veltroniano, Giorgio Tonini. Dunque, solo Walter ha le carte in regola. Il libro è un singolo tassello della strategia. Nell´immediato c´è la denuncia di un tradimento. Quello compiuto da Bersani colpevole di aver dimenticato i valori fondativi del progetto, di rispolverare l´Ulivo e andare a caccia di alleati. Denuncia che finirà nero su bianco, in un documento programmatico su cui Veltroni in persona sta cercando firme tra i parlamentari.
L´ex sindaco sta scrivendo il testo che mette in mora l´attuale gestione del Pd. L´uscita è prevista per la fine della settimana, una volta raccolto un numero sufficiente di adesioni. Beppe Fioroni ha promesso un mare di autografi nel confine degli ex popolari. Ai quali si aggiungeranno i deputati e i senatori di stretta osservanza veltroniana. Fioroni e Veltroni si sono incontrati ieri per fare il punto. I bersagli sono due: Bersani e il capogruppo Franceschini. Il "manifesto" contesterà punto per punto la linea del partito e dichiarerà esaurita l´esperienza di Area democratica, la minoranza interna. Bisogna dimostrare che ormai il capogruppo Dario Franceschini si può considerare a tutti gli effetti un bersaniano doc. Il documento segna una novità assoluta nel percorso politico di Veltroni: la nascita di una corrente e la sua guida. Smentita, per il momento, l´ipotesi di dare vita a gruppi autonomi sul modello di Futuro e libertà. «Io sto nel Pd», dice l´ex leader. Ma le mosse del suo ritorno prepotente nel campo del centrosinistra sono evidenti. E innervosiscono il gruppo dirigente del Pd.
Oggi torna a riunirsi il caminetto. Ci sarà Veltroni, ci sarà D´Alema, ci sarà Bersani. Il segretario è pronto ad affrontare di petto le critiche, tanto più dopo l´esito considerato positivo del comizio alla Festa di Torino. Con un argomento polemico rivolto proprio a Veltroni. «Nessuno si può intestare lo spirito originario del Pd». Avremo perciò l´antipasto di uno scontro che presto potrebbe spostarsi sul terreno delle primarie. Per le quali sono già in campo Nichi Vendola e Sergio Chiamparino, non a caso anche loro autori di libri autobiografici appena usciti o in uscita. E per le quali Bersani è il candidato naturale del Pd. Anzi, per statuto l´unico democratico che può correre in quanto segretario. «È lo statuto voluto da Veltroni, no?», osserva il coordinatore Maurizio Migliavacca.
Tira un´aria cattiva nel cielo democratico ora che le elezioni si allontanano. I "giovani turchi", quarantenni che si richiamano al rinnovatore Ataturk, dopo una frenata sono pronti a rilanciare il loro documento, dura critica verso tutto il gruppo dirigente con attacchi personali rivolti soprattutto all´ex segretario. I veltroniani però faranno pesare le firme sotto il documento Veltroni-Fioroni. I maligni dicono: non arrivano a 20. Se fossero di più il problema si pone. Ma sono i numeri dei sondaggi a muovere la "campagna di Walter". Quello sul Pd, dove il partito si ferma a un misero 26,5 per cento e non guadagna voti dalla crisi del centrodestra, torna utile per contrastare la leadership di Bersani. Quello preoccupante sul gradimento dei leader, dove Veltroni scivola parecchio dietro Vendola, Chiamparino e Bersani, impone invece il cambio di passo.
l’Unità 14.9.10
Nuovo Ulivo alleato con l’Udc Restano i dubbi di Idv e Vendola
Di Pietro: «A Bersani risponderò a Vasto, ma Casini resta un avversario. E il governatore: «L’alternativa non si fa nei palazzi». Giordano: «Le alleanze? Decide chi vince le primarie»
di Andrea Carugati
Nessuna bottiglia di champagne, in casa dei dipietristi e dei vendoliani, dopo il discorso con cui Bersani a Torino ha rilanciato la proposta di alleanza tra nuovo Ulivo e Udc. Ma le reazioni del giorno dopo fanno capire che qualcosa è cambiato da fine agosto, quando Bersani aveva lanciato per la prima volta l’idea di un’alleanza a «due cerchi» e le rispo-
ste di Tonino e dei vendoliani erano state tranchant: «Casini è un’avversario». Stavolta Idv e Sel hanno capito che si fa sul serio, che è ora di mettersi a un tavolo con Bersani per costruirla davvero, un’alternativa a Berlusconi. E allora i toni sfumano. Di Pietro prima detta alle agenzie una dichiarazione dura: «Vogliamo allearci con quella parte del Pd che non vuole fare inciuci con gli avversari, e Fini e l’Udc sono nostri avversari». Poi corregge il tiro: «A Bersani risponderemo nella nostra assemblea programmatica a Vasto questo fine settimana. Li tracceremo condizioni e limiti della coalizione che abbiamo in mente. Ho ascoltato il leader Pd, ci sono luci e ombre, ma dobbiamo trovare un punto d’incontro». Nel pomeriggio Di Pietro riunisce i suoi parlamentari, per fare il punto su cosa dire a Vasto. Sintetizza all’uscita il capogruppo Donadi: «Abbiamo parlato del perimetro del centrosinistra, e Casini non ne fa parte».
Vendola, pur memore delle ruggini pugliesi, è più possibilista. «Costruiamo un vocabolario che metta insieme le parole del futuro, questo è l’inizio del cambiamento, un’operazione che non si può concludere al chiuso dei palazzi e delle segreterie». E Casini? «I veti non bisogna né subirli né esercitarli, non bisogna mai mettere il carro davanti ai buoi. I volenterosi, se fossero disponibili a voltar pagina, dovrebbero essere i benvenuti nella coalizione del cambiamento». Spiega il suo braccio destro Nicola Fratoianni: «Noi vogliamo una coalizione, il dialogo col Pd è aperto e sui contenuti Bersani ha detto molte cose convincenti. Ma appunto non si può discutere di alleanze con l’Udc prima che di programmi, altrimenti finisce come in Puglia dove il Pd ha aspettato per mesi il Godot Casini... Prima bisogna mettersi d’accordo sui punti chiave del programma, poi scegliere il leader con le primarie e solo alla fine si valuta se è possibile allargare l’alleanza al centro». Ancora più netto Franco Giordano: «Noi non mettiamo veti sull’Udc, ma la proposta di Bersani così com’è sa di status quo, manca un’invenzione che coinvolga il nostro popolo. Prima bisogna fare le primarie, è lì che si decide quale coalizione e quale programma. Non le puoi convocare quando hai già deciso tutto...». E se poi l’Udc non ci sta? «Anche in Puglia si è detto per mesi che senza l’Udc non si vinceva, e invece...», sorride Fratoianni.
l’Unità 14.9.10
Forse per Gelmini la scuola pubblica è di sinistra?
di Fabio Luppino
P oteva fermarsi alla sottovalutazione bonaria dei simboli leghisti nella scuola di Adro, comunque fatto grave per un ministro. Gelmini ha voluto strafare, denotan-
do protervia culturale e voglia di rivincite antiche quando ha detto che il pericolo vero sono i simboli di sinistra nelle scuole. Sono progressista di formazione, di sinistra ma senza illusioni, scarsamente ideologico, socialdemocratico dentro il Pci. Ma mi avrebbe molto seccato, fortemente contrariato trovare nelle scuole dei miei figli «simboli di sinistra», così come le pennellate celtiche di Adro, anche di più. Passo in rivista più e più volte quello che vedo entrando in una scuola (perché non si può essere sempre contro per principio), ma ho grandi difficoltà ad accogliere la preoccupazione del ministro. Il crocefisso? No. La foto del Presidente della Repubblica? No, non poteva parlare di quella. I presidi con la porta aperta, a volte? Certo potrebbero generare sospetti, ma di sinistra è un po’ più forte, direi. Bidelli (personale Ata, sì) senza divisa? Certo, qualche decennio fa le avevano, a volte azzurre, a volte nere, ma adesso i soldi non ci sono nemmeno per quelle. No, passiamo oltre.
O forse che siano di sinistra i banchi rotti, i muri scrostati, i bagni non puliti, le palestre senza l’agibilità, la mancanza della carta igienica, le serrande rotte, le porte che non si chiudono e che nessuno aggiusta? Potrebbero, forse, come conseguenza di un modo rivoluzionario di stare a scuola dei ragazzi, al pari della gelatina sui capelli, dei pantaloni portati più bassi delle mutande, dell’orecchino, del piercing, della capacità a volte di fare domande intelligenti...
Ecco, forse ci sto arrivando. Se uno studente sa parlare, pensare, studiare, educato come cittadino consapevole, forse è questo il punto, il problema. Se la scuola Gelmini è di destra, perché la riforma delle superiori tagliando il sapere sta affievolendo i presupposti dell’Istruzione costituzionale, la scuola pubblica, laica, nata per formare, includere, consentire l’ascensore sociale, garantire l’attuazione del principio di eguaglianza è di sinistra. La scuola, è di sinistra!
Allora, il punto è questo. Avere libri non orientati, insegnanti capaci di destare lo spirito critico, scrivere, formarsi un’opinione libera, non aderire a schemi precostituiti, esercitare obiezione di coscienza grazie ad una approfondita conoscenza delle cose. Tutto questo è di sinistra, forse? Se è così, rivendichiamo che questa sia la scuola, pubblica, e anche non pubblica. Quello che Gelmini e il governo di cui fa parte stanno aspramente combattendo da due anni con geometrica potenza.
Repubblica 14.9.10
Il successo dell´ultimo saggio "Comune" che esce ora in Italia
Quel che l´America legge in Toni Negri
di Federico Rampini
È un segno della confusione dei tempi: Candy Crowley, la più autorevole anchorwoman politica di Cnn, nel suo Tg fa un elogio del nuovo capo-economista della Casa Bianca, Austan Goolsbee, «perché finalmente cita Marx e Trotsky nei suoi discorsi». Goolsbee ha solo 41 anni e ha già alle spalle una brillante carriera accademica alla University of Chicago. Ma sì, proprio quella di Milton Friedman, il padre del neoliberismo reaganiano. Suo amico di lunga data, Obama lo ha appena nominato alla guida del Council of Economic Advisers. Ma Goolsbee ha un vizietto che di questi tempi potrebbe giorcargli brutti scherzi: adora dissacrare, ironizza su se stesso e sul presidente, va ai talkshow satirici come quello di Jon Stewart a fare l´auto-caricatura dell´economista-guru. Le sue citazioni di Marx e Trotsky – «i testi sacri che abbiamo rispolverato per capire questa crisi» – sono frecciate contro l´accademia e il pensiero unico che ha dominato la politica economica americana negli ultimi trent´anni. Colpisce nel segno, anche perché la destra americana è pronta a vedere il socialismo in agguato dietro l´angolo. E questa è senza dubbio una chiave del sorprendente successo di Toni Negri in America. Ora che esce in Italia la traduzione della sua ultima opera firmata con Michael Hardt, Comune (Rizzoli), vale la pena ricordare com´è stata accolta un anno fa negli Stati Uniti. In un´America sotto choc per la sua recessione più grave dagli anni Trenta, il Wall Street Journal salutava il saggio di Negri con un «Benvenuti nel Manifesto del partito comunista, versione 2.0», come si usa designare l´ultimo e più avanzato modello di un software digitale. Il quotidiano di Rupert Murdoch, la Bibbia della classe dirigente capitalista, sentenziava in quell´occasione: «Karl Marx è tornato di moda». E aggiungeva: «Antonio Negri e Michael Hardt sono nella posizione ideale per sfruttare questo revival visto che il loro libro reinventa un marxismo per il XXI secolo». Per Brian Anderson, sulla pagina dei commenti del Wall Street Journal che è un barometro fedele dell´intellighenzia di destra, «è inquietante che Comune sia stato pubblicato sotto un´insegna prestigiosa come quella della Harvard University Press». Il saggio è pericoloso? Abbastanza da essere definito: «la miscela dello stregone del radicalismo contemporaneo». La fortuna di Negri, in un certo senso, coincide con la sfortuna di Obama. La trilogia composta dalle opere Impero, Moltitudine e Comune non si distingue molto da quella prolifica vena di saggistica anti-capitalista, anti-globalizzazione e anti-americana che ha conosciuto un boom almeno dai tempi della rivolta di Seattle contro l´Organizzazione del commercio mondiale, nel 1999. Risale a quelle giornate di guerriglia urbana la rinascita di un movimento di contestazione radicale, che si voleva erede del Maggio Sessantotto, delle lotte operaie e studentesche degli anni Settanta. In qualsiasi libreria italiana o francese, tedesca o spagnola, la trilogia di Negri-Hardt si perde in mezzo a una montagna di opere simili, e similmente ripetitive. In America però tocca un nervo scoperto. Coincide con i sospetti della destra, soprattutto l´ala populista e movimentista del Tea Party, sul presunto "socialismo" di Obama e del suo clan. Nell´arco di dodici mesi, la crisi che ha messo a nudo tutte le storture del capitalismo americano, è stata rovesciata contro l´attuale presidente e viene riletta come una crisi dovuta all´eccesso di interventismo pubblico, al ritorno dello Stato Leviatano. Comune diventa così un testo sospetto, perché gli oltranzisti di destra guidati da Sarah Palin e Glenn Beck hanno questo in comune con Negri: sono convinti anche loro che il comunismo sia attuale, praticamente dietro l´angolo. Quello della Casa Bianca.
Corriere della Sera 14.9.10
In sintesi, l’ubiquità di questo tipo di leggi mostra che, nel pur complesso mondo della natura e della mente, c’è più ordine e regolarità di quanto si pensasse
Corpo e pensiero. L’attività è scandita da regole matematiche
Scoperte le «leggi di scala» legate anche ai processi cognitivi
Nel linguaggio prevalgono le parole corte
di Massimo Piattelli Palmarini
Carta, matita e quattro minuti di tempo. Pronti? Fate una lista di ciò che vi ricordate di aver fatto ieri (appuntamenti, impegni di lavoro, attività in famiglia e così via). Fatto? Ora, di nuovo la stessa situazione, ma adesso scrivete ciò che vi ricordate per il mese scorso. Poi, fatto questo, ciò che vi ricordate per l’anno passato. Ebbene, in ciascuno di questi compiti avrete scritto cinque vostri ricordi al minuto, indipendentemente dal lasso di tempo mentalmente immaginato (giorno, mese, anno). Appena un po’ più di cinque se vi avessi, invece, chiesto di fare una lista di ciò che intendete fare domani, o nel prossimo mese o nell’anno che viene. La lezione da trarre da questo esperimentino è che esistono delle costanti di scala, delle regole, anche per i nostri processi mentali.
Nel linguaggio prevalgono le parole corte
di Massimo Piattelli Palmarini
Carta, matita e quattro minuti di tempo. Pronti? Fate una lista di ciò che vi ricordate di aver fatto ieri (appuntamenti, impegni di lavoro, attività in famiglia e così via). Fatto? Ora, di nuovo la stessa situazione, ma adesso scrivete ciò che vi ricordate per il mese scorso. Poi, fatto questo, ciò che vi ricordate per l’anno passato. Ebbene, in ciascuno di questi compiti avrete scritto cinque vostri ricordi al minuto, indipendentemente dal lasso di tempo mentalmente immaginato (giorno, mese, anno). Appena un po’ più di cinque se vi avessi, invece, chiesto di fare una lista di ciò che intendete fare domani, o nel prossimo mese o nell’anno che viene. La lezione da trarre da questo esperimentino è che esistono delle costanti di scala, delle regole, anche per i nostri processi mentali.
Tali leggi si estendono dalla memoria al linguaggio, dalla percezione al controllo della motricità. In altre parole, il nostro cervello, come anche quello di altre specie, lavora secondo notevoli regolarità. Intuitivamente, questo significa che, passando da piccole a grandi dimensioni, i rapporti tra varie altre grandezze restano costanti.
Molti fenomeni di questo tipo sono stati scoperti in biologia. Per esempio, il fisiologo svizzero Max Kleiber, fino dai primi anni Trenta del Novecento, scoprì che l’attività metabolica di tutti gli animali (pensiamo per semplicità alla spontanea produzione di calore corporeo) segue la legge della potenz a t r e q u a r t i . Ci o è , p e r esempio, un animale che è cento volte più grande di un altro produce un calore che è solo 31 volte maggiore.
Dal topo-ragno, il più piccolo mammifero esistente, alla balena azzurra, il più grande, questa legge di scala è rigorosamente rispettata. Un altro esempio: nel corso di un’intera vita, in media, il numero complessivo di battiti cardiaci per ogni mammifero, noi compresi, è lo stesso. Vita più breve, e quindi dimensioni corporali minori, ma frequenza cardiaca più alta, secondo la legge di scala.
Ciò che adesso ci dicono, sulla rivista scientifica «Trends in Cognitive Sciences», sette ricercatori distribuiti tra California ed Europa, è che le leggi di scala esistono anche nel mondo della cognizione. Mettendo insieme, comparativamente, un gran numero di esperimenti pubblicati lungo il corso degli anni e ricalcolando in modo originale i dati salienti, hanno distillato svariate leggi di scala. Uno degli autori, Ramon Ferrer-i-Cancho, fisico, linguista teorico e esperto di scienze della computazione all’Università Politecnica della Catalogna a Barcellona, così mi descrive l’importanza di questa scoperta: «Il fatto che svariati processi cognitivi seguano le stesse leggi statistiche, sposino le stesse equazioni matematiche, dai più elementari processi neuronali su su fino ai più complessi comportamenti umani, rappresenta un ponte tra fisica, biologia e psicologia. L’adattamento e la flessibilità dei processi mentali ne emergono forti e chiari. Inoltre, cominciamo a poter trattare con metodi ben noti in fisica fenomeni cerebrali complessi, prossimi ai punti critici, cioè a situazioni nelle quali minimi cambiamenti in certe variabili producono cambiamenti subitanei e qualitativi».
Oltre a connettere tra di loro diverse discipline scientifiche, queste leggi di scala accomunano la nostra specie ad altre specie. Più sorprendente, ma vero, è che tali formule, valgono anche per la ricerca mentale in soggetti umani. Il caso più esemplare, nel mondo del linguaggio, la cosiddetta legge di Zipf, resa popolare dal linguista americano George Kingsley Zipf. In qualunque testo scritto, o in qualunque conversazione spontanea, la frequenza media di parole corte è maggiore di quella delle parole lunghe. Misurando queste grandezze rigorosamente, si trova una legge di scala che ha come esponente la potenza meno uno, cioè sono l’inverso una dell’altra. Misurando, invece, nelle frasi, la distanza tra le parole e i rapporti sintattici tra di esse, si ha di nuovo una legge di scala, ma diversa, cioè un decadimento molto più rapido.
Corriere della Sera 14.9.10
Le pillole di 2000 anni fa
Hanno più di duemila anni le pillole preparate dagli antichi greci, che archeologi americani sono riusciti ad analizzare con l’esame del Dna. Le pillole sono state trovate in una nave affondata al largo della Toscana nel 130 a.C. che trasportava medicine. Gli esperti sono stati in grado di analizzare queste compresse millenarie, scoprendo che erano realizzate mescolando più di dieci estratti di diverse piante, tra cui l’ibisco (importato probabilmente dal medio Oriente o dall’India e dall’Etiopia), il sedano, le carote e le cipolle selvatiche. «Per la prima volta possiamo confermare quanto scrissero Dioscoride e Galeno e quanto prescritto dai medici greci dell’antichità» ha affermato Alain Touwaide, dello Smithsonian National Museum of Natural History di Washington (Usa).
Avvenire 14.9.10
Intervista. Per il paleontologo francese Yves Coppens «l’essere umano appare sensibile al sacro a partire dalla sua prima comparsa sulla Terra»
L’Homo? Religiosus fin dalle caverne
«Non c’è distanza fra l’apparizione dell’uomo e l’apparizione del suo pensiero religioso. L’uno e l’altro sono parti di una stessa condizione, come appare evidente dai riti funebri più antichi»
di Daniele Zappalà
«P er me, l’origine dell’uomo resta la più bella storia in assoluto e quando la scienza cerca di comprenderla è sempre costretta a constatare al contempo il carattere per così dire stravagante di questa storia, accanto alla sua dimensione d’umiltà». Dopo una vita di studi e campagne scientifiche sul campo talora esaltanti, Yves Coppens esibisce sempre verso il mondo preistorico una curiosità e un’ammirazione quasi spiazzanti. Il grande antropologo e paleontologo francese, fra gli scopritori della nostra antenata più famosa, Lucy, è anche un brillante divulgatore. Come mostra la raccolta di testi brevi Il presente del passato , in uscita oggi per Jaca Book (pagine 168, euro 18,00). Professore, perché la preistoria ci affascina tanto? «Gli interrogativi sul nostro statuto sulla Terra, sulla nostra origine e sulla nostra direzione, per così dire, fanno parte di un bisogno connaturato in noi. Al contempo, molti avvertono una grande precarietà nella situazione attuale. E in proposito, pur non condividendo personalmente questo punto di vista, ho l’impressione che nelle risposte sulla nostra origine si cerca pure una sorta di ancoraggio o di aiuto. Dei visitatori di mostre che ho curato, del resto, hanno spesso confessato che questa mano tesa verso il passato più profondo li rassicurava». Lei ha scritto che il percorso dell’uomo offre un grande messaggio d’umiltà. Cosa intende? «Si tratta della storia di un essere vivente apparso come qualsiasi altro essere vivente in una fase di adattamento climatico. Dopo il successo ottenuto in quest’adattamento, si è in seguito sviluppato grazie alle risorse di cui disponeva, compresa la cultura, nata dall’apparizione della coscienza. In generale, l’uomo è un mammifero di dimensioni medie in un pianeta in mezzo ad altri attorno a una stella, a sua volta, in mezzo a miliardi di altre in una galassia, a sua volta, in mezzo a miliardi di altre. Non si può che restare umili». Per lei l’uomo si è comportato 'come un podista di fondo'. Perché? «I paleontologi e gli anatomisti hanno seguito l’evoluzione della locomozione preumana e umana lungo dieci milioni di anni. All’inizio, vi fu l’associazione di una vita arboricola e di una bipedia alquanto goffa. Una bipedia più stabile, efficace e fluida si è sviluppata molto progressivamente. L’accesso alla stazione eretta e alla locomozione come la concepiamo oggi fu davvero lento e meritato. La facoltà di correre è giunta relativamente tardi». In quest’evoluzione, c’è una fase che ancor oggi la affascina più di altre? «L’apparizione stessa del genere umano, con lo sviluppo del suo encefalo e con la scelta di un’alimentazione a largo spettro che si è rivelata un successo decisivo per le fasi successive». A proposito del mistero della coscienza, antropologi culturali come René Girard sostengono la centralità della dimensione sacra. Sul campo, a che punto sono giunte le ricerche sulla religiosità primitiva? «Sappiamo o abbiamo ormai il presentimento, dato che non sono sempre disponibili le prove definitive, che l’homo religiosus coincide con l’uomo in generale. L’essere umano, fin dallo sbocciare della sua umanità, è sensibile al sacro e possiede una dimensione spirituale. Personalmente, sono convinto che non ci sia distanza fra l’apparizione dell’uomo e l’apparizione del suo pensiero religioso. L’uno e l’altro sono parti di una stessa condizione». Quali ricerche concrete paiono provarlo? «Non è semplice sugli esseri più antichi scoprire delle dimostrazioni di questa dimensione religiosa. Ma abbiamo ad esempio degli elementi che provano il trattamento dei morti fin da un milione di anni fa, o ancor prima. All’inizio, questi trattamenti furono forse un po’ rudimentali, ma restano comunque dei trattamenti. Mostrano che l’uomo tratta i suoi morti con un altro occhio, altri sentimenti, rispetto agli animali». Le recenti celebrazioni di Darwin hanno riacceso lo scontro fra darwinisti puri e duri, per così dire, e neodarwinisti. Scientificamente, resta un dibattito costruttivo? «Le concezioni di Darwin hanno centocinquant’anni. Da allora, la scienza ha fatto progressi considerevoli. È evidente che la selezione naturale predicata da Darwin resta verificata, ma oggi si riconosce che la parte dovuta al caso è molto inferiore rispetto a quanto Darwin immaginasse. Darwin non conosceva le leggi dell’eredità e tanto meno ciò che oggi chiamiamo epigenetica. In altri termini, l’evoluzione è molto più complessa e diversificata di quanto egli pensasse. L’opera di Darwin resta esemplare e continua ad ispirarci. Ma l’evoluzione come oggi la intendiamo non può più essere definita col nome di darwinismo. Darwinismo ed evoluzione sono ormai due parole ben separate, anche se il darwinismo rappresentò una delle origini della riflessione sull’evoluzione». Quale le pare oggi la più grande sfida per la conoscenza della preistoria? «Credo sia proprio una migliore comprensione delle modalità dell’evoluzione. Sappiamo che l’evoluzione è una realtà. Ma non conosciamo tutti i meccanismi che essa utilizza per realizzarsi. La biologia, la genetica e la paleontologia hanno ancora molte ricerche da compiere per approdare a una comprensione collaudata e condivisa». Nel suo libro in uscita in Italia, lei si sofferma anche sul pensatore e scienziato gesuita Pierre Teilhard de Chardin. In che senso, la sua lezione resta attuale? «Sono molti gli aspetti attuali della sua riflessione. Teilhard fu grande innanzitutto perché seppe ben percepire la continuità della storia dell’universo, della Terra, della vita e dell’uomo. Ma anche perché intuì e anticipò l’evoluzione dell’umanità con le sue odierne reti. Del resto, potremmo benissimo chiamare internet 'noosfera'. Merita di essere riletto e meglio compreso».
Molti fenomeni di questo tipo sono stati scoperti in biologia. Per esempio, il fisiologo svizzero Max Kleiber, fino dai primi anni Trenta del Novecento, scoprì che l’attività metabolica di tutti gli animali (pensiamo per semplicità alla spontanea produzione di calore corporeo) segue la legge della potenz a t r e q u a r t i . Ci o è , p e r esempio, un animale che è cento volte più grande di un altro produce un calore che è solo 31 volte maggiore.
Dal topo-ragno, il più piccolo mammifero esistente, alla balena azzurra, il più grande, questa legge di scala è rigorosamente rispettata. Un altro esempio: nel corso di un’intera vita, in media, il numero complessivo di battiti cardiaci per ogni mammifero, noi compresi, è lo stesso. Vita più breve, e quindi dimensioni corporali minori, ma frequenza cardiaca più alta, secondo la legge di scala.
Ciò che adesso ci dicono, sulla rivista scientifica «Trends in Cognitive Sciences», sette ricercatori distribuiti tra California ed Europa, è che le leggi di scala esistono anche nel mondo della cognizione. Mettendo insieme, comparativamente, un gran numero di esperimenti pubblicati lungo il corso degli anni e ricalcolando in modo originale i dati salienti, hanno distillato svariate leggi di scala. Uno degli autori, Ramon Ferrer-i-Cancho, fisico, linguista teorico e esperto di scienze della computazione all’Università Politecnica della Catalogna a Barcellona, così mi descrive l’importanza di questa scoperta: «Il fatto che svariati processi cognitivi seguano le stesse leggi statistiche, sposino le stesse equazioni matematiche, dai più elementari processi neuronali su su fino ai più complessi comportamenti umani, rappresenta un ponte tra fisica, biologia e psicologia. L’adattamento e la flessibilità dei processi mentali ne emergono forti e chiari. Inoltre, cominciamo a poter trattare con metodi ben noti in fisica fenomeni cerebrali complessi, prossimi ai punti critici, cioè a situazioni nelle quali minimi cambiamenti in certe variabili producono cambiamenti subitanei e qualitativi».
Oltre a connettere tra di loro diverse discipline scientifiche, queste leggi di scala accomunano la nostra specie ad altre specie. Più sorprendente, ma vero, è che tali formule, valgono anche per la ricerca mentale in soggetti umani. Il caso più esemplare, nel mondo del linguaggio, la cosiddetta legge di Zipf, resa popolare dal linguista americano George Kingsley Zipf. In qualunque testo scritto, o in qualunque conversazione spontanea, la frequenza media di parole corte è maggiore di quella delle parole lunghe. Misurando queste grandezze rigorosamente, si trova una legge di scala che ha come esponente la potenza meno uno, cioè sono l’inverso una dell’altra. Misurando, invece, nelle frasi, la distanza tra le parole e i rapporti sintattici tra di esse, si ha di nuovo una legge di scala, ma diversa, cioè un decadimento molto più rapido.
Corriere della Sera 14.9.10
Le pillole di 2000 anni fa
Hanno più di duemila anni le pillole preparate dagli antichi greci, che archeologi americani sono riusciti ad analizzare con l’esame del Dna. Le pillole sono state trovate in una nave affondata al largo della Toscana nel 130 a.C. che trasportava medicine. Gli esperti sono stati in grado di analizzare queste compresse millenarie, scoprendo che erano realizzate mescolando più di dieci estratti di diverse piante, tra cui l’ibisco (importato probabilmente dal medio Oriente o dall’India e dall’Etiopia), il sedano, le carote e le cipolle selvatiche. «Per la prima volta possiamo confermare quanto scrissero Dioscoride e Galeno e quanto prescritto dai medici greci dell’antichità» ha affermato Alain Touwaide, dello Smithsonian National Museum of Natural History di Washington (Usa).
Avvenire 14.9.10
Intervista. Per il paleontologo francese Yves Coppens «l’essere umano appare sensibile al sacro a partire dalla sua prima comparsa sulla Terra»
L’Homo? Religiosus fin dalle caverne
«Non c’è distanza fra l’apparizione dell’uomo e l’apparizione del suo pensiero religioso. L’uno e l’altro sono parti di una stessa condizione, come appare evidente dai riti funebri più antichi»
di Daniele Zappalà
«P er me, l’origine dell’uomo resta la più bella storia in assoluto e quando la scienza cerca di comprenderla è sempre costretta a constatare al contempo il carattere per così dire stravagante di questa storia, accanto alla sua dimensione d’umiltà». Dopo una vita di studi e campagne scientifiche sul campo talora esaltanti, Yves Coppens esibisce sempre verso il mondo preistorico una curiosità e un’ammirazione quasi spiazzanti. Il grande antropologo e paleontologo francese, fra gli scopritori della nostra antenata più famosa, Lucy, è anche un brillante divulgatore. Come mostra la raccolta di testi brevi Il presente del passato , in uscita oggi per Jaca Book (pagine 168, euro 18,00). Professore, perché la preistoria ci affascina tanto? «Gli interrogativi sul nostro statuto sulla Terra, sulla nostra origine e sulla nostra direzione, per così dire, fanno parte di un bisogno connaturato in noi. Al contempo, molti avvertono una grande precarietà nella situazione attuale. E in proposito, pur non condividendo personalmente questo punto di vista, ho l’impressione che nelle risposte sulla nostra origine si cerca pure una sorta di ancoraggio o di aiuto. Dei visitatori di mostre che ho curato, del resto, hanno spesso confessato che questa mano tesa verso il passato più profondo li rassicurava». Lei ha scritto che il percorso dell’uomo offre un grande messaggio d’umiltà. Cosa intende? «Si tratta della storia di un essere vivente apparso come qualsiasi altro essere vivente in una fase di adattamento climatico. Dopo il successo ottenuto in quest’adattamento, si è in seguito sviluppato grazie alle risorse di cui disponeva, compresa la cultura, nata dall’apparizione della coscienza. In generale, l’uomo è un mammifero di dimensioni medie in un pianeta in mezzo ad altri attorno a una stella, a sua volta, in mezzo a miliardi di altre in una galassia, a sua volta, in mezzo a miliardi di altre. Non si può che restare umili». Per lei l’uomo si è comportato 'come un podista di fondo'. Perché? «I paleontologi e gli anatomisti hanno seguito l’evoluzione della locomozione preumana e umana lungo dieci milioni di anni. All’inizio, vi fu l’associazione di una vita arboricola e di una bipedia alquanto goffa. Una bipedia più stabile, efficace e fluida si è sviluppata molto progressivamente. L’accesso alla stazione eretta e alla locomozione come la concepiamo oggi fu davvero lento e meritato. La facoltà di correre è giunta relativamente tardi». In quest’evoluzione, c’è una fase che ancor oggi la affascina più di altre? «L’apparizione stessa del genere umano, con lo sviluppo del suo encefalo e con la scelta di un’alimentazione a largo spettro che si è rivelata un successo decisivo per le fasi successive». A proposito del mistero della coscienza, antropologi culturali come René Girard sostengono la centralità della dimensione sacra. Sul campo, a che punto sono giunte le ricerche sulla religiosità primitiva? «Sappiamo o abbiamo ormai il presentimento, dato che non sono sempre disponibili le prove definitive, che l’homo religiosus coincide con l’uomo in generale. L’essere umano, fin dallo sbocciare della sua umanità, è sensibile al sacro e possiede una dimensione spirituale. Personalmente, sono convinto che non ci sia distanza fra l’apparizione dell’uomo e l’apparizione del suo pensiero religioso. L’uno e l’altro sono parti di una stessa condizione». Quali ricerche concrete paiono provarlo? «Non è semplice sugli esseri più antichi scoprire delle dimostrazioni di questa dimensione religiosa. Ma abbiamo ad esempio degli elementi che provano il trattamento dei morti fin da un milione di anni fa, o ancor prima. All’inizio, questi trattamenti furono forse un po’ rudimentali, ma restano comunque dei trattamenti. Mostrano che l’uomo tratta i suoi morti con un altro occhio, altri sentimenti, rispetto agli animali». Le recenti celebrazioni di Darwin hanno riacceso lo scontro fra darwinisti puri e duri, per così dire, e neodarwinisti. Scientificamente, resta un dibattito costruttivo? «Le concezioni di Darwin hanno centocinquant’anni. Da allora, la scienza ha fatto progressi considerevoli. È evidente che la selezione naturale predicata da Darwin resta verificata, ma oggi si riconosce che la parte dovuta al caso è molto inferiore rispetto a quanto Darwin immaginasse. Darwin non conosceva le leggi dell’eredità e tanto meno ciò che oggi chiamiamo epigenetica. In altri termini, l’evoluzione è molto più complessa e diversificata di quanto egli pensasse. L’opera di Darwin resta esemplare e continua ad ispirarci. Ma l’evoluzione come oggi la intendiamo non può più essere definita col nome di darwinismo. Darwinismo ed evoluzione sono ormai due parole ben separate, anche se il darwinismo rappresentò una delle origini della riflessione sull’evoluzione». Quale le pare oggi la più grande sfida per la conoscenza della preistoria? «Credo sia proprio una migliore comprensione delle modalità dell’evoluzione. Sappiamo che l’evoluzione è una realtà. Ma non conosciamo tutti i meccanismi che essa utilizza per realizzarsi. La biologia, la genetica e la paleontologia hanno ancora molte ricerche da compiere per approdare a una comprensione collaudata e condivisa». Nel suo libro in uscita in Italia, lei si sofferma anche sul pensatore e scienziato gesuita Pierre Teilhard de Chardin. In che senso, la sua lezione resta attuale? «Sono molti gli aspetti attuali della sua riflessione. Teilhard fu grande innanzitutto perché seppe ben percepire la continuità della storia dell’universo, della Terra, della vita e dell’uomo. Ma anche perché intuì e anticipò l’evoluzione dell’umanità con le sue odierne reti. Del resto, potremmo benissimo chiamare internet 'noosfera'. Merita di essere riletto e meglio compreso».