martedì 28 settembre 2010

l’Unità 28.9.10
Nel suo intervento Bersani chiederà le dimissioni di Berlusconi
Bersani domani interverrà alla Camera per chiedere le dimissioni di Berlusconi e coerenza ai finiani. «Il parlamento deve chiarire se la legge è uguale per tutti, come prevede la Costituzione».
di Maria Zegarelli


L’unico vero interesse del presidente del Consiglio dei Ministri è il tema della giustizia. Ma non le riforme che servono a tutto il paese, soltanto le legge che salvano lui. Secondo il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, è questa la vera preoccupazione del premier: «Dalle parole dell’avvocato Ghedini e del ministro Alfano si capisce benissimo quale, tra i cinque punti di programma di cui parlerà il presidente del Consiglio, sia quello fondamentale e che più interessa Berlusconi e il Pdl.
Inutile che usino tanti giri di parole, che si citino le grandi riforme, che si mettano insieme tutti gli altri punti: da mesi il Paese è bloccato attorno al problema personale del capo del governo». Bersani guardano a domani e al discorso del premier dice: «È ora che le Camere dicano se i cittadini sono ancora o no tutti uguali davanti alla legge, come prevede la Costituzione. È su questo punto che il Parlamento si deve esprimere con chiarezza». Secondo Bersani lo snodo sarà questo, «è bene che ci si chiarisca subito sul tema giustizia e sul significato concreto che dovrà avere la riforma, perché è chiaro che ciò condizionerà la situazione politica e legislativa». E proprio su questo punto il segretario domani quando interverrà in aula chiederà un atto di coerenza a Fini e ai finiani, «soprattutto
dopo quello che è successo nelle ultime settimane». Al presidente del Consiglio chiederà di riconoscere che il governo è arrivato al capolinea e di rimettere quindi il mandato nelle mani del presidente della Repubblica. «Non può venirci a dire che è tutto a posto e sono in grado di governare per altri tre anni», ha ripetuto ieri Bersani ai suoi.
Nessuno spiraglio per riaprire quel dialogo di cui si parlava mesi fa per le riforme, oggi non ci sono più le condizioni. «L’unica cosa che ci unirà mercoledì sarà il compleanno», ha scherzato Bersani. 59 primavere lui, 74 quelle del premier che ormai, dopo le tensioni di questi ultimi mesi e il rischio implosione della maggioranza si vedono tutte. Lontani i tempi delle feste a Villa La Certosa e i festini a Palazzo Grazioli, quello appena iniziato potrebbe essere l’autunno più difficile del premier. Le sue scadenze in tribunale sono pressanti se non si fa presto con lo scudo giudiziario. «La ricreazione è finita davvero dice Maurizio Migliavacca. La crisi economica sta presentando il conto, ma l'unica cosa che interessa Berlusconi è lo scudo per i suoi processi». Il Pd, intanto, si prepara alla campagna elettorale, la prova generale il penultimo week-end di novembre, quando allestirà 10mila gazebo in tutto il paese per «il porta porta» a cui saranno chiamati tutti i votanti delle scorse primarie.

l’Unità 28.9.10
Il vero sviluppo si chiama uguaglianza
di Nicola Cacace


I l risultato politico più importante della tre giorni di Assisi dei Cristiano Sociali appena conclusa è la riconferma dell’uguaglianza come fattore di sviluppo, dopo anni di pensiero unico che aveva fatto breccia, anche a sinistra, secondo cui “la crescita economica era favorita dalle disuguaglianze e l’insistenza dell’Europa sulla coesione sociale ne minava la crescita”. Ad Assisi centinaia di donne e uomini dell’associazione fondata negli anni ’90 da Ermanno Gorrieri e Pier Carniti non hanno parlato di alleanze o di leadership. Decine di relatori tra cui Mauro Magatti, Marcella Lucidi, Domenico Chiesa, Valentino Castellani, Laura Pennacchi, Massimo Campedelli, Pierre Carniti, Giorgio Santini, Vittorio Sammarco, Stefano Fassina, don Luigi Ciotti, Pier Luigi Bersani, Dario Franceschini e il cooordinatore dei Cristiano Sociali Mimmo Lucà hanno parlato di economia e lavoro oltre che di valori, dimostrando «come e perché l’uguaglianza, nell’era della conoscenza, non è solo l’etica fondante del movimento e della Costituzione, è molto di più». Tutti i dati delle grandi organizzazioni, dall’Ocse alla Ue, dalla Banca mondiale alla Banca d’Italia, dimostrano che «negli ultimi 30 anni la globalizzazione, che pure ha prodotto effetti positivi come l’apertura del mercato della produzione e del consumo a miliardi di cinesi, indiani, brasiliani, prima esclusi, ha anche prodotto il più scandaloso aumento di diseguaglianze in quasi tutti i Paesi». Il Brasile è citato come una delle eccezioni: con la presidenza di Lula, milioni di poveri sono usciti dall’indigenza, l’inflazione è stata battuta e la crescita è stabilmente alta (Pil +7% nel 2010). Stati Uniti e Italia guidano le classifiche della diseguaglianza: in Italia il 10% delle famiglie possiede il 45% delle ricchezze mentre metà delle famiglie ne possiede meno del 10%. L’indice di Gini, che misura le diseguaglianze di redditi, vede Stati Uniti, Gran Bretagna e Italia in testa sopra la media Ocse, tra i Paesi a più alta diseguaglianza, mentre Francia, Germania, Olanda e Paesi scandinavi figurano sotto la media come Paesi a più bassa diseguaglianza. I Paesi a più alta crescita nel 2010 sono Svezia e Germania (Pil + 3%). L’uguaglianza come fattore di sviluppo è dimostrato anche dalle classifiche della Banca Mondiale sul reddito procapite: tutti i Paesi più egualitari figurano anche tra i più ricchi al mondo per reddito pro capite.
Emergono allora due messaggi e due domande: il primo è che nell’era della conoscenza i valori dell’eguaglianza a cominciare dalla scuola, dall’innovazione e dalla famiglia sono fattori di sviluppo oltre che etici. Il secondo è che l’Italia possiede già tutto il potenziale di cultura e imprenditorialità per arrestare il declino in atto. Le domande: perché perdere ancora tempo? E perché la sinistra non fa di questi argomenti la propria bandiera?

l’Unità 28.9.10
Intervista a Giuseppe Lumia (Pd)
«Portare l’antimafia al governo della Sicilia, la scommessa finale»
Il senatore è stato il regista del nuovo Lombardo quater che ha creato ulteriori tensioni nel Pd. È stato presidente dell’Antimafia e spiega come, con questa scelta, lui ed altri stiano mettendo in gioco tutta la loro storia
di Claudia Fusani


Il puzzle di deleghe e assessorati è completo. Anche l’ultimo tassello di dodici assessorati è andato al posto e saranno due i finiani (Tranchida di Messina e Gianmaria Sparma) nella giunta “caponata” così è stata ribattezzata del governatore Raffaele Lombardo. Oggi è il grande gionro: il governatore presenterà lasua giunta e spiegherà le rispettive deleghe.
Nell’eccentrico ed inedito mix che vede insieme al governo dell’isola Mpa, Fli, Pd, Api e l’Udc senza Cuffaro, per la prima volta dal 1994 sono fuori dalla giunta di palazzo dei Normanni il Pdl nelle sue numerose facce, lealisti, Miccichè, Dell’Utri. E per la prima volta nel governo dell’isola ci sono pezzi importanti dell’antimafia: Caterina Chinnici, magistrato e figlia di Rocco, il giudice che istruì il primo maxi processo a Cosa Nostra e che fu fatto saltare in aria nel 1983; Massimo Russo, ex pm; il profetto Giousuè Marino, prefetto dell’antiracket; Venturi, di quella Confcommercio che esclude chi non denuncia le estorsioni.
Giuseppe Lumia, senatore del Pd, ex presidente dell’antimafia, è il regista palese del nuovo Lombardo quater, operazione che ha creato altre lacerazioni nel già lacerato Pd. Una scelta che è stata prima di tutto «un travaglio lungo e indescrivibile». Quella in campo è una «partita finale». «Mi gioco tutto dice Lumia ma portare l’antimafia al governo e provare a squassare il sistema di potere e di collusione dall’interno è l’unica strada non ancora tentata in questa regione per cambiare». Lumia , ha messo insieme il diavolo con l’acqua santa visto che il governatore Lombardo è indagato per associazione esterna con quella mafia che lei vorrebbe combattere... «Indiscrezioni stampa sempre negate nelle audizioni dei magistrati di Catania in Commissione antimafia di cui sono membro».
Su reati di mafia i magistrati possono negare l’iscrizione. Inevitabile quindi l’imbarazzo nel vedere politici, come lei, e persone come Caterina Chinnici, Massimo Russo, il prefetto Giosuè Marino e poi Venturi siano entrate nel governo in team con Lombardo.
«Comprendo lo stupore. Ma chiedo di aspettare a giudicare. Saremo dieci volte più rigorosi nel controllare. Non faremo sconti a nessuno». Portare l’antimafia dentro il grande sistema dei poteri, sanità, rifiuti, energia, è un buon antidoto contro le collusioni tra mafia e politica?
«È la nostra scommessa, basata sulla considerazione che se l’antimafia resta lontana dai meccanismi di potere resta debole. Il primo obiettivo di questa inedita alleanza direi di persone più che di partiti è proprio quello di scardinare il sistema di potere. L’assemblea regionale è già riuscita a far saltare alcuni tappi».
Ad esempio?
«La sanità, dove l’ex pm Massimo Russo, assessore dal 2008, ha messo la Sicilia fuori dalla lista nera delle regioni a rischio intervenendo su nomine dei primari, clientele, appalti e ha ridotto le Asl sono da 29 a 9. Ha cancellato venti inutili centri di potere».
Sanità, poi?
«I rifiuti. Il governatore Lombardo, sempre con l’appoggio del Pd, ha annullato la gara per i termovalorizzatori, un miliardo e 600 milioni assegnati, ai tempi di Cuffaro, senza bando di gara da quel carrozzone che era l’agenzia regionale per i rifiuti (Arra)».
Sanità e rifiuti, i due tappi che una volta saltati nel 2009 mandano in frantumi il governo di centrodestra con i voti del Pd. E come nasce l’idea di andare al governo?
«Avevamo due opzioni: andare al voto subito e il messaggio in quel caso sarebbe stato che chi riforma va a casa; andare al governo con Lombardo facendo la corsa ad occupare le loro poltrone».
Quello che è accaduto.
«No, la nostra è una terza via, dare a Lombardo un sostegno misurato e rigoroso per andare avanti con le riforme. Le Asl sono già passate da 29 a 9; gli Ato, i consorzi per i rifiuti che avevano accumulato un miliardo di debiti e le strade erano sempre più sporche, sono passati da 27 a 9. La Sicilia aveva privatizzato l’acqua: Lombardo ha bloccato questa deriva. 500 scuole sono aperte anche il pomeriggio. Sul fronte energia è stato bloccato l’eolico, dove si era già infilata la mafia, per puntare sul solare. Adesso andremo avanti con l’abolizione delle province, la scuola a tempo pieno, la semplificazione della macchina amministrativa”.
Pochi gionri fa l’ex assessore Cimino, area Miccichè, è stato raggiunto da avviso di garanzia per mafiosità. Il livello di collusione sembra profondo a livello politico e tecnico. E si sa che basta poco per bloccare il progetto di cui parla.
«Aver costretto all’opposizione il gruppo di Miccichè e Dell’Utri, l’Udc di Romano e Cuffaro, per la prima volta dal 1994, non significa certo aver spezzato le collusioni col sistema mafioso. La nostra scelta, una prima assoluta nella storia della Sicilia, è una strada molto in salita. Il processo si può bloccare da un momento all’altro anche per le furbizie e il cinismo dei partiti nazionali».
Si riferisce al Pd che la critica per aver stretto questa strana e insidiosa alleanza, un po’ blasfema e molto trasformista?
«Parlo a tutti. Quello che sta accadendo qui deve essere tenuto fuori dalle dinamiche nazionali. Qui, adesso e non prima né dopo, intravediamo la possibilità di trasformare la Sicilia in una regione che produce e non solo che consuma e si fa assistere. E’ la nostra sfida alla Lega. Il nostro tentativo di fare l’Unità d’Italia. Un lavoro micidiale e difficile. Ma anche l’ultimo tentativo per provare a cambiare».

Repubblica 28.9.10
L'arte del veleno un'invenzione italiana
di Adriano Prosperi


Una vaga somiglianza: come riconoscere i tratti di una persona conosciuta molti anni fa nel volto del figlio o del nipote. Ecco quello che accade al lettore di libri e documenti del passato quando cerca di capire qualcosa di questo affare che riempie le nostre cronache e che per tutti si chiama «casa di Montecarlo».
La verità, ecco la domanda dell´opinione pubblica: verità sulla casa, verità su chi muove le fila dell´affaire. La aspettiamo dalle parole dei protagonisti, dalle laboriose certificazioni di uno Stato da burla, l´abbiamo attesa invano dalla pubblica dichiarazione del secondo e malcapitato protagonista. Intuiamo confusamente che chi la possiede è il principale e finora silenzioso protagonista: ma abbiamo ragione di credere che non ce la dirà. Eppure la verità è sotto i nostri occhi. Il suo nome è una parola antica, suggerita dalla memoria involontaria a moltissimi commentatori e cronisti, che hanno avuto però il torto di usarla come metafora.
Veleno, ecco la parola. Proviamo a prendere sul serio il senso letterale. Vale la pena di leggere sull´argomento un bel libro recente dello storico Alessandro Pastore (Veleno, Il Mulino, Bologna settembre 2010). Vi si raccontano storie lontane, casi criminali, perizie di tossicologi e di criminalisti. Non vi troverete né il caffè di Pisciotta né quello di Sindona. Ma scoprirete che da secoli l´Italia si è conquistata nel mondo una grande fama come patria dei veleni.
Chiedere per conoscenza all´inventore del Rinascimento italiano, lo storico Jacob Burckhardt, o a Stendahl, quell´Arrigo Beyle milanese appassionato lettore delle antiche cronache italiane. Nell´Italia del Rinascimento, secondo Thomas De Quincey, il veneficio conferì all´assassinio la raffinatezza di un´opera d´arte: da allora in poi chi ricorre al pugnale o alle armi da fuoco è come chi preferisce una rozza riproduzione al capolavoro originale. È un fatto che da noi, in Italia, le lotte per il potere, per l´amore, per la gloria, hanno mostrato una decisa predilezione per le vie sottili e tortuose degli intrighi e dei venefici evitando la prova di forza a viso aperto, la violenza semplice e brutale. È noto che il veleno come opera d´arte conobbe la sua massima raffinatezza e il più intenso uso nella corte papale: celebri fra tutti i casi dei Borgia, che fecero sistematicamente uso di quei mezzi e lasciarono a Lucrezia, che fu in tutti i sensi la donna di famiglia, la discutibile eredità di una fama sinistra, non cancellata dalle tardive pratiche devote.
L´arte del veleno fu dunque una invenzione tutta italiana, una «abominable innovation from Italy», scrisse De Quincey. Strumento prediletto delle congiure, i principi rinascimentali italiani le dedicarono la stessa cura che altri sovrani europei investivano allora nell´organizzazione di eserciti e flotte. E se lo zio di Amleto non era un italiano, William Shakespeare apprese molto dall´Italia, come si conveniva al supremo artista del teatro del potere.
L´arte poi declinò ai tempi dell´incipiente borghesia, involgarendosi a strumento di gelosie d´amore e di inferni domestici. Ma una volta identificati e classificati i preparati mortali nei laboratori di polizia cominciò a languire il fascino sinistro del veleno: quello di una morte che arriva a destinazione, spedita da mano lontana, strisciando come il serpente nascosto nel giardino dell´Eden. La possibilità di sbarazzarsi dell´avversario senza lasciare tracce ha sempre aguzzato gli ingegni. È per questo che, nel declino della morte per veleno (che tuttavia esiste), ne è rimasta immortale l´idea e si è ripresa la ricerca.
C´era bisogno di qualcosa di nuovo. E ancora una volta è stata l´arte italiana a trovare la risposta, rinverdendo la sua antica perizia nelle invenzioni abominevoli, il suo gusto impareggiabile per la scelta di astuzie coperte al posto della violenza palese e dello scontro sul campo. Oggi il veleno che uccide non è un artificio segreto: è una cosa che sta sotto gli occhi di noi tutti, come la lettera smarrita di un celebre racconto di Edgar Allan Poe. Basta una carticella, un documento adeguatamente ritoccato e cucinato, non importa se falso o autentico, meglio se misto di verità e di invenzione: lo si tiene in serbo per usarlo al momento opportuno. Lo si inocula nella forma più pubblica e clamorosa possibile, via Internet, sulla stampa quotidiana, in televisione.
Più si domina il campo dell´informazione meglio è. L´opinione pubblica diventerà il portatore sano del veleno spedito alla vittima designata. Da quel momento in poi basterà aspettare. Il destinatario potrà avere reazioni diverse: accasciarsi e sparire in silenzio, come ha fatto Dino Boffo, reagire con ira e con clamore, come ha fatto Gianfranco Fini. Non importa. L´effetto è sicuro. La vittima designata assorbirà il veleno e subirà gli effetti letali della gogna mediatica rilasciata a dosi quotidiane tanto più rapidamente quanto più rigido sarà il suo senso dell´onore, più forte la sua sensibilità all´esposizione della propria immagine pubblica. Ma prima o poi si leverà di mezzo o altri lo convinceranno a farlo. Questa almeno è ciò che spera il mandante, che intanto si manterrà lontano, silenzioso e apparentemente estraneo alla vicenda.

il Fatto 28.9.10
Pd, Partito Desaparecido
di Marco Travaglio


Il 3 agosto Il Fatto apriva con il titolo “C’è vita nel Pd?”. Due settimane dopo, rientrati con comodo dalle ferie, i dirigenti del “principale partito di opposizione” annunciavano sfracelli per la ripresa. Il segretario Bersani parlò di “una campagna porta a porta, la più grande mobilitazione che un partito abbia mai promosso”, per “raggiungere il più alto numero di italiani casa per casa e lanciare la nostra proposta di governo”. Siamo al 28 settembre e nulla di tutto questo è avvenuto, né se ne intravede la benché minima avvisaglia. A meno che la più grande mobilitazione che un partito abbia mai promosso non sia l’ennesima batracomiomachia fra dalemiani e veltroniani, su un copione che si ripete da una quarantina d’anni fin dai tempi della Fgci. Nel qual caso sì, le avvisaglie si vedono, purtroppo. Veltroni ha inviato una lettera al Corriere, Bersani ha inviato una lettera a Repubblica, allora anche Veltroni ha inviato una lettera a Repubblica, poi ciascuno ha presentato la sua mozione e raccolto le sue firme. Così tutti hanno capito che, nel momento della crisi più drammatica mai vista nel centrodestra, il Pd ha deciso di rispondere con una bella rissa, anche se nessuno ha ancora capito bene su che cosa stia litigando (a parte gli onanismi sul “papa straniero”). Intanto il Pd è entrato nella giunta siciliana Lombardo IV, sostenendo un governatore indagato per mafia: lo stesso che tre anni fa la capogruppo Pd al Senato Anna Finocchiaro, candidata contro di lui, definì “temibilissimo perché ha costruito un sistema di potere clientelare spaventoso che ha riportato la Sicilia al Medioevo”. A Milano, come candidato sindaco, il Pd ha scelto l’archistar Stefano Boeri, stretto collaboratore di Salvatore Ligresti e artefice di opere faraoniche alla Maddalena targate Protezione civile e a prezzi raddoppiati per il celebre G8 fantasma. Un sondaggio di Mannheimer dimostra che il 30% degli elettori del Pd vuole l’alleanza con Di Pietro e il 28% anche con la sinistra radicale, ma i vertici del partito continuano a inseguire l’Udc di Casini, o quel che ne resta dopo la fuga verso B. dell’azionista di maggioranza, Totò Cuffaro. La mozione di sfiducia al premier, più volte ventilata, risulta non pervenuta. Così come le regole per le primarie in caso di elezioni, anche perché i sondaggi danno in testa Vendola (capo di un partito che alle ultime elezioni non raggiunse nemmeno il 4%) su Bersani (capo di un partito che due anni fa prese il 27% e ora naviga intorno al 24). Ma nessuno si domanda il perché: se gli elettori non gradiscono l’attuale gruppo dirigente, è colpa degli elettori, non del gruppo dirigente. L’idea di lanciare un candidato nuovo, possibilmente vivente e contemporaneo, è scartata a priori. Il meglio che si riesce a immaginare è Sergio Chiamparino (62 anni, in politica da 40), da dieci anni sindaco di Torino, il comune più indebitato d’Italia e la città più inquinata d’Europa dopo Plovdiv in Bulgaria (ma non si esclude di candidare direttamente il sindaco di Plovdiv). Occasioni d’oro per la “grande mobilitazione” ne fioccano al ritmo di una dozzina al giorno: dal massacro politico-mediatico di Fini allo scandaloso voto salva-Cosentino, dallo scandalo quotidiano della Rai al fallimento del miracolo della monnezza in Campania. Ma su Fini il Pd balbetta. Su Cosentino non può che balbettare, avendo votato nello stesso modo per salvare D’Alema e Latorre dalle intercettazioni Unipol-Bnl. Sulla Rai non sa che dire, anche perché la parola “conflitto d’interessi” suona fessa in bocca a chi per tre volte poteva risolverlo e per tre volte non ci pensò neppure. E su Napoli il Pd ribalbetta, non avendo rimosso per tempo i corresponsabili dello sfascio, da Bassolino alla Jervolino. Occorrerebbe un leader che, negli ultimi 15 anni di suicidio del centrosinistra, non c’era e dunque possa riprendere in mano quelle questioni cruciali senza sentirsi rinfacciare il passato. Ma forse, se c’è, questo Mister X fa la seconda elementare.

Repubblica 28.9.10
Depressione
"Male oscuro", cure difficili
di Carla Etzo


Ne soffrono sei milioni di italiani. E ora la Società di neuropsicofarmacologia lancia l´allarme: "Diagnosi sottostimate e guarigioni sotto il 40%"
La patologia è in continua crescita: non diagnosticata nel 50% dei casi

CAGLIARI. La depressione è una patologia in crescita: colpisce sei milioni di italiani. Un male che viene diagnosticato in misura inferiore al 50 per cento dei casi, ma solo il 15 per cento dei pazienti riconosciuti come depressi riceve cure adeguate. Nel 2020, secondo l´Organizzazione mondiale della sanità, la depressione sarà la seconda causa di disabilità nel mondo dopo le patologie cardiache. Sono solo alcuni dei dati illustrati nei giorni scorsi a Cagliari durante il XVII congresso nazionale della Società italiana di neuropsicofarmacologia. Numeri che gli esperti non esitano a definire allarmanti e che trovano conferma in uno studio realizzato dalla Società italiana di farmacologia con le società italiane di psichiatria e di medicina generale: centosessanta medici di base hanno somministrato un questionario teso a valutare la percezione della qualità della vita di 1600 assistiti a rischio. È emersa la necessità di elaborare strategie di prevenzione, anche insieme ai medici di medicina generale perché, ha chiarito il professor Giovanni Biggio, presidente della Sinpf, «la diagnosi precoce permette di proteggere il cervello da gravi danni, come l´atrofizzazione dei neuroni, difficilmente recuperabile». È poi importante riconoscere quei disturbi che non sono altro che una somatizzazione del male di vivere come quelli di tipo gastrointestinale, neurologico, cardiologico, reumatologico e ortopedico.
Diffidenza nei confronti delle terapie farmacologiche, scarsa prevenzione e percezione della malattia come difficilmente curabile sono alla base degli insuccessi nella lotta al "male oscuro". Un dato per tutti: per l´Osservatorio nazionale della salute femminile, Onda, l´83 per cento delle donne ritiene la depressione meno curabile del tumore al seno. «Per evitare ricadute occorrono almeno tre mesi di cura con gli antidepressivi chiarisce il professor Eugenio Aguglia, docente di Psichiatria all´Università di Catania la terapia dovrebbe essere portata avanti per almeno altri otto mesi. Molti però interrompono prima perché sentono di stare meglio oppure perché temono gli effetti collaterali dei medicinali». Aggiunge Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Neuroscienze al Fatebenefratelli di Milano: «Si guarisce nel 40 per cento dei casi». La ricerca è orientata a trovare soluzioni farmacologiche sempre più adatte alle esigenze dei pazienti: «Dai primi di settembre è disponibile in Italia l´Agomelatina, farmaco approvato per la depressione degli adulti (inserito in fascia C e dunque a pagamento, ndr) aggiunge Biggio capostipite di una nuova classe di antidepressivi, i melatoninonergici, ha tra i suoi vantaggi quello di dare miglioramenti dopo una settimana, essere efficace sui principali sintomi: migliora l´umore, riduce l´ansia e i disturbi del sonno».

Repubblica 28.9.10
Attese e timori così cala il desiderio


Le donne hanno acquistato tante identità nuove, si muovono nello spazio e nel potere, ma nella dimensione in cui si confrontano con il proprio corpo sessuato e il maschio è presente un conflitto tra modernità e pensiero antico. Una donna cerca sicurezza nel maschio in due territori diversi: nel sociale e nella sessualità. Le donne delle generazioni precedenti temevano il tratto impulsivo della sessualità maschile, oggi temono la mancanza del desiderio e la riduzione della richiesta di fare sesso. L´autostima femminile si nutre ancora della competenza del proprio partner, che deve mostrare sicurezza, curiosità, attrazione. Nelle coppie si registra una oscillazione del desiderio sessuale maschile e una moda coatta, condivisa tra i sessi, che se si pensa di fare sesso, si deve realizzare l´atto. Scompare così l´attesa e il piacere dei gesti di prova. Scompare la modalità del maschio tradizionale che esprime il desiderio regalando alla donna la possibilità di sentirsi attraente e di esprimere il potere del "no". Nella consultazione si osserva che la crisi della libido maschile nasce dalla riduzione del tratto impulsivo buono della sessualità. La sessualità diventa accessibile, si può iniziare presto, è percorribile con più persone, ma è diventata affaticata dall´obbligo maschile di fare sesso sempre bene e al femminile il doversi attivare per fare sesso riduce l´autostima di essere desiderate. Nella consultazione si riproporre la gioia del contatto e il gioco corporeo, la curiosità, la capacità di conosce i propri gusti e desideri.
* www.irf-sessuologia.org

Repubblica 28.9.10
Che intelligente quel Neanderthal
di Pietro Del Re


Che l´uomo di Neanderthal fosse tarchiato e fasciato da muscoli d´acciaio è cosa nota. Sappiamo anche che apparve in Europa circa 400mila anni fa e che si estinse, per ragioni ancora ignote, 35mila anni orsono. La grande novità su questo nostro lontano cugino riguarda la sua intelligenza, che i paleontologi valutavano fino a oggi piuttosto limitata. E invece no. Contrordine. Sul Journal of archaeological method and theory un team di scienziati ne riabilita le capacità mentali, sostenendo che il primitivo era in grado di costruire utensili e di dimostrare spirito d´iniziativa. Questo postulato complica, se possibile, il mistero sulla sua scomparsa. Come è potuto soccombere un essere sociale e abbastanza robusto da sopravvivere a diverse glaciazioni? È verosimile che l´Homo neanderthalensis si sia arreso di fronte ai vantaggi culturali di una razza più evoluta. Quella dei Cro-Magnon. Ovvero della nostra. Che attraverso tanti piccoli massacri perpetrò forse il primo genocidio della storia dell´umanità.

Repubblica 28.9.10
Misteri, segreti e bellezza della metafisica delle particelle
L’ultimo libro di Frank Close, professore ad Oxford, racconta l´infinitamente piccolo e le origini dell’universo
di Pietro Citati


Siamo nati da una Grande Distruzione Quella che creò il nostro mondo
I testi di scienza, non solo quelli divulgativi, sono appassionanti come romanzi

Temo che, in Italia, gli amatori di romanzi e di poesia non leggano volentieri i libri di fisica teorica. Mi sembra doloroso e penoso: non solo perché i nostri letterati rinunciano a conoscere importantissime leggi di fisica, con le loro affermazioni, contraddizioni, scandali, strani contrasti con l´esperienza e la ricerca. C´è qualcosa di più grave. La passione metafisica, il gioco puro delle idee – tutto quanto, una volta, eravamo abituati a trovare nei libri di filosofia – , lo ritroviamo, oggi, nei libri di fisica teorica. Se leggiamo Einstein, o Heisenberg, od Hawking, – vi respiriamo quell´atmosfera di assoluto, quella luce di indimostrabile e incontrovertibile, che, alle origini della cultura europea, abbiamo conosciuto in Parmenide, Platone e, poi, in Plotino. Di questo respiro di assoluto noi abbiamo bisogno.
Nei libri di fisica teorica, la mente insegue il doppio infinito: oscilla tra l´infinitamente grande e l´infinitamente piccolo. La passione per l´infinitamente grande risale a Pascal e a Leopardi:
«e quando miro
Quegli ancor più senz´alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle
Ch´a noi paion qual nebbia…».
Oggi siamo abituati all´immensamente vasto: ciò che ci affascina è soprattutto l´infinitamente piccolo. I libri ci parlano, per esempio, del nanosecondo: vale a dire di un miliardesimo di secondo; tempo in cui la luce velocissima percorre trentatre centimetri e trentatre millimetri – niente.
Contro i libri di fisica moderna, i cultori di letteratura obiettano, di solito, che sono difficili: quel guazzabuglio di frasi e di numeri è incomprensibile. Non è vero. Tra i libri di fisica che oggi vengono pubblicati, sia tra quelli creativi sia tra quelli divulgativi, moltissimi sono estremamente facili: si leggono con un piacere quasi romanzesco, saltando di teoria in teoria, partecipando con passione alle discussioni tra grandi scienziati, insinuandoci come formiche tra gli enigmi. Vorremmo conoscere Dirac, o Touscheck o Ernest Rutherford, o il misteriosissimo Majorana, che ha lasciato il suo nome ai neutrini di Majorana; e ascoltarli discutere nel silenzio dell´universo. In questi giorni, per esempio, la casa editrice Einaudi pubblica un lucidissimo libro di Frank Close, professore ad Oxford: Antimateria (traduzione di Giorgio P. Panini, pagg. 204, euro 24), al quale auguro molti lettori felici.
***
Quattordici miliardi di anni fa, avvenne il cosiddetto Big Bang, prima del quale niente esisteva: un improvviso, violentissimo scoppio d´energia, di cui ignoriamo la fonte. Come dice la Genesi: «Sia la luce. E la luce fu». Le ricerche moderne e modernissime riescono a risalire a un attimo dopo lo scoppio: un miliardesimo di secondo. Allora si rivelò quale è il numero, e il ritmo fondamentale, dell´universo. Non l´Uno della filosofia platonica, e della religione cristiana ed islamica, ma il Due. Di qua la materia, di là il suo opposto, l´antimateria: di qua l´elettrone, con cariche elettriche negative, di là il suo opposto, il positrone, con cariche elettriche positive, lo specchio rovesciato del primo. Per un tempo esilissimo, le due forze si equilibrarono e si bilanciarono. E, per un istante, l´osservatore (se fosse esistito un occhio nel fuoco e nella tenebra) non avrebbe saputo prevedere il futuro dell´universo. Siamo diventati materia, e ne sopportiamo il peso: ma forse avremmo potuto diventare antimateria, la forza che domina nel cuore della nostra Galassia
La fantasia del lettore moderno ritorna, senza fine, a quel miliardesimo di secondo dopo il Big Bang, che gli scienziati hanno fatto rinascere negli anelli cavi del Cern di Ginevra. Di alcune cose siamo certi. Sappiamo che l´energia originaria si convertì, nel giovanissimo universo, in primordiali frammenti di materia (elettroni), da cui siamo discesi. E sappiamo che, di fronte alla materia, si estendeva una quantità quasi eguale di antimateria (positroni), la quale, forse, non era soggetta alla forza di gravitazione, e quindi si levava verso l´alto. Tra materia e antimateria (dotata di un immenso potere distruttivo), avvenivano collisioni frequentissime: elettroni e positroni si annichilivano in un lampo di luce; e gli oggetti appena nati duravano pochissimo. Se questa condizione di equilibrio e di simmetria tra i due poli fosse continuata, la vita non sarebbe mai apparsa nel mondo.
Se noi oggi viviamo, ciò dipende da due cause. La prima, l´ho già detta: nell´universo esistevano due forze, che lottavano l´una contro l´altra; non una sola forza, incapace di movimento. La seconda causa è probabile: allora esisteva un leggero squilibrio a favore della materia; uno squilibrio forse lievissimo, qualcosa di minimo e quasi inesistente come un nanosecondo, ma che bastò a produrre quella che viene chiamata la Grande Annichilazione. Nell´universo, il minimo genera, o può generare, l´immenso. Almeno nel nostro mondo, l´antimateria scomparve, come una furtiva ombra spettrale. E la materia cominciò a costruire i suoi innumerevoli edifici: tanto che oggi, per molte centinaia di milioni di anni-luce attorno a noi, tutte le cose sono costituite esclusivamente da materia.
Dove si è nascosta quell´immensa quantità di positroni, che esisteva dopo il Big Bang? Per loro, il mondo che noi abitiamo è alieno ed ostile, e li distrugge rapidamente. Ma, circa centomila anni fa, nel cuore del sole si formarono nubi di positroni, che sono stati quasi subito annichiliti, emettendo raggi gamma. Questi raggi tentarono di fuggire alla velocità della luce, ma vennero ostacolati da una folla di elettroni e protoni, che formano la massa ribollente del sole. Dopo un certo periodo di tempo, sebbene respinti in una direzione o un´altra, assorbiti e riemersi, riuscirono a raggiungere la superficie dell´astro; persero energia, cambiarono frequenza e lunghezza d´onda, diventarono prima raggi X, poi raggi ultravioletti, e percorsero tutti i colori dell´arcobaleno. La luce del sole, che ogni mattina appare ai nostri occhi, condivide dunque in piccola parte l´energia distruttiva dei positroni originari.
Con ogni probabilità, i positroni hanno trionfato altrove, lontanissimi dal sistema solare. Nel centro della nostra Galassia, esistono nubi di positroni: essi si trovano presso stelle binarie che emettono raggi X, e vengono attratte da stelle che producono neutrini e da buchi neri. Ma conosciamo positroni molto più prossimi a noi: quelli che hanno creato in laboratorio, per decenni, gli scienziati che lavorano al Cern presso Ginevra. I fisici del Cern hanno disposto un´immensa macchina, il Lep (Large Electron Positron collider) a una cinquantina di metri di profondità nel sottosuolo, in una galleria di 27 km, lunga come la Circle Line della metropolitana di Londra.
Il Lep è un anello cavo, dove viene fatto il vuoto. Una fitta serie di elettromagneti, disposti lungo la circonferenza del cavo, guida fasci di elettroni e di positroni, facendoli girare per settimane e settimane, a una velocità prossima a quella della luce. Le particelle rapidissime attraversano il confine tra Svizzera e Francia undicimila volte al secondo, passano sotto la statua di Voltaire a Ferney, sotto campi coltivati, villaggi ai piedi del Giura, dove un tempo Rousseau passeggiava ed erborizzava. I percorsi degli elettroni e dei positroni sono mantenuti a lieve distanza gli uni dagli altri: ma in quattro punti della grande circonferenza il loro cammino si incrocia. Qualche volta si verifica la collisione di un elettrone e di un positrone; ed entrambi si annichilano in un lampo incandescente di energia. Questo evento minimissimo nel sottosuolo di Ginevra riproduce quello che accadde, un istante dopo il Big Bang. Noi siamo vivi e attivi: cresciamo, abbiamo un corpo, mangiamo, parliamo, pensiamo, camminiamo, generiamo altra materia, che genererà altra materia; eppure siamo nati dalla Grande Distruzione che creò il nostro mondo.

Repubblica 28.9.10
Dalla Sassonia a Torino, passando per Sorrento. Le peregrinazioni del filosofo
Se L´opera di Nietzsche è lunga 4000 chilometri
di Maurizio Ferraris


La salute e la malattia sono le categorie attraverso le quali legge il mondo. Ed è uno dei protagonisti del libro "I viaggi dei filosofi"

Torino, in Via Carlo Alberto 6, si legge un´epigrafe: «In questa casa/ Federico Nietzsche/ conobbe la pienezza dello spirito che tenta l´ignoto/ la volontà di dominio/ che suscita l´eroe// qui/ ad attestare l´alto destino/ e il genio/ scrisse "Ecce homo"/ libro della sua vita // a ricordo/ delle ore creatrici/ primavera autunno 1888/ nel I centenario della nascita/ la città di Torino/ pose/ 15 ottobre 1944 a. XXII e.f.». La targa fu posta in tempi di volontà di potenza scatenata. Io la vedo almeno due volte all´anno, perché in quella casa c´è lo studio del mio commercialista, e pago le tasse nella stanza di Zarathustra. Lì tra gli ultimi giorni del 1888 e i primi del 1889, aveva luogo il crollo psichico che lo porterà a scrivere i "biglietti della follia" in cui dichiara di essere tutti i nomi della storia e si firma ora "Dioniso" ora "Il Crocifisso". Ma come ci era arrivato, a Torino, e perché quella fine?
Come prima cosa, torniamo indietro a Sils-Maria, dove Nietzsche affittava una stanza in cui, il 26 agosto 1886, compose quello che solitamente viene considerato l´ultimo piano della Volontà di potenza. L´opera non vedrà mai la luce per mano di Nietzsche, e i frammenti postumi saranno variamente organizzati da sua sorella Elisabeth e dal suo allievo Peter Gast, nel 1901 e poi in una nuova e più ampia edizione nel 1906. L´idea di Nietzsche, che incubava sin dai primi studi filologici, e che ora trova una nuova sostanza, è che il mondo sia fatto di atomi dotati di una forza interna, che si scontrano per sopraffarsi, e che la sola cosa che conta, per loro, è per l´appunto la lotta, l´aggressione, l´urto, non la felicità, non l´utile, ed evidentemente nemmeno la morale, dal momento che qui stiamo affrontando livelli di realtà che riguardano atomi, corpuscoli, microrganismi, cellule, amebe. C´è un vulcano che esplode e trascina al di là della vita, con la forza di qualcosa di molto potente e insieme di molto basso e primario.
Ecco dove finiscono le dottrine escogitate nei posti di vacanza. Nietzsche si è molto lamentato, a un certo punto, anche degli anni passati sulla riviera ligure e francese. Stanze fredde, malinconia, l´incapacità (un po´ patologica) di parlare in modo accettabile l´italiano o il francese. In questi anni e in questi luoghi Nietzsche scrive Aurora, gli Idilli di Messina e La Gaia scienza. Ma c´è anche Roma, dove il 26 aprile 1882 conosce Lou Andreas-Salomè, ventunenne figlia di un generale russo, curiosissima di cultura e di intellettuali, che nel 1894 scriverà un bel libro su Nietzsche. Nietzsche progetta subito di sposarla, ma fra i due non succederà niente tranne un bacio (forse) a Orta, dopo una passeggiata al Sacro Monte. Nietzsche e Lou trascorrono insieme il mese di agosto, a Tautenburg, però con Elisabeth, gelosa e aggressiva nei confronti di Lou, e poi cinque settimane, tra ottobre e novembre, a Lipsia, questa volta con Paul Rée, un amico di Nietzsche autore di un libro sull´Origine dei sentimenti morali. I due, Lou e Rée, il 5 novembre partiranno alla volta di Berlino, lasciando Nietzsche nella più completa desolazione, e lui ripiegherà a Rapallo, dove in pochi giorni del gennaio 1883 scrive la prima parte di Così parlò Zarathustra.
La salute e la malattia sono le categorie per il cui tramite Nietzsche legge il mondo. Non c´è da stupirsene, visto che il suo è essenzialmente lo sguardo di un malato. Nell´ottobre 1876 ottiene un anno di congedo da Basilea, prodromo delle dimissioni definitive, nel 1879. Con Rée e con Albert Brenner, un allievo, parte per l´Italia. Il 22 ottobre raggiungono Genova, dove si imbarcano per Napoli; il 27 sono a Sorrento, ospiti di Malwida von Meysenbug che aveva preso in affitto Villa Rubinacci. Oggi la villa è un albergo con pizzeria. È molto probabile che Nietzsche, malandato e depresso, chiedesse all´Italia, specie meridionale, quello che tutti i viaggiatori le domandavano, forse sin dall´epoca di Annibale, di certo dal grand tour settecentesco in avanti: ristoro fisico, riposo, serenità da pensionato. Ma non ci si può sottrarre al proprio destino, ai condizionamenti familiari, ai geni. A ben vedere, la storia è ancora più antica, ed è già presente nell´epoca "romantica", quella dell´insegnamento in Svizzera.
Nietzsche arriva a Basilea nel 1869, giovanissimo professore di filologia, e incomincia un´attività complessa. Quella di docente di greco e di latino, che cerca di avvicinarsi, dalla filologia, alla filosofia. Quella di curioso di cose scientifiche, che cerca di colmare le lacune della sua formazione soltanto umanistica. E quella di fervente wagneriano, che nei fine settimana frequenta il maestro e la moglie Cosima a Tribschen, sul lago di Lucerna. Il simbolo e il sintomo di questa triplice attività e personalità è La nascita della tragedia, concepita più o meno quando Nietzsche arriva a Basilea, cresciuta tra i corsi universitari e gli incontri con Wagner, e uscita all´inizio del 1872. Fra le tappe essenziali del viaggio non resta che Röcken. In Sassonia, la città natale. Secondo la stima Google maps, l´itinerario che abbiamo tracciato partendo da Torino è di 3.761 km – circa 1 giorno 16 ore. Nietzsche ci mise quarantaquattro anni. Leggiamo in un frammento autobiografico di quando aveva diciannove anni: «Come pianta io nacqui presso il camposanto, come uomo in una canonica». Camposanto e canonica sono ancora lì, e nel camposanto è stato sepolto il 28 agosto 1900, tre giorni dopo la morte avvenuta a Weimar.

Repubblica Firenze 28.9.10
Al prestigioso Istituto dovrebbero arrivare tra i 50 e i 100mila euro. L´impegno di Cooplat, Quadrifoglio e Publiacqua
Spiccioli per la Nazionale
Per la Biblioteca fondi fino a marzo. Bondi: "Usate i dipendenti Eti"
di Mara Amorevoli


La direttrice: "Il ministero ci darà 50-100 mila euro poi dovrebbero arrivare altri fondi per garantire il servizio in futuro"
L´invito dal governo: l´istituto ha oltre cinque milioni e mezzo di denari non utilizzati Inizi da quelli
Tante istituzioni culturali toscane sono state rese autonome e poi abbandonate a se stesse. Ma autonomia non vuol dire questo
Perché non si mettono a gara le frequenze del digitale tv come accade nel resto d´Europa? Così i soldi si troverebbero

Allarme senza fine per la Nazionale. Dal ministero dei Beni culturali i fondi per tenere aperta la Biblioteca anche il pomeriggio sono garantiti solo fino a marzo, mentre Bondi propone di coprire i buchi d´organico con gli ex dipendenti dell´Eti, chiuso a luglio. Per Enrico Rossi e Matteo Renzi i provvedimenti tampone del governo non sono sufficienti, mentre dalla Fondazione Kennedy Europea parte un appello internazionale (da oggi sul sito) per salvare la Nazionale.
Chiusura scongiurata. La Biblioteca Nazionale resterà aperta. La notizia arriva da Londra, dove si trova per lavoro la direttrice dell´Istituto Ida Fontana: «Oggi (ieri, ndr) ho parlato con il direttore generale per le Biblioteche Maurizio Fallace che mi ha assicurato che sono stati reperiti i fondi per garantirci la normale apertura almeno fino a marzo. E´ arrivata anche una sua lettera alla mia segreteria. Per ora la cifra dovrebbe aggirarsi sui 50-100 mila euro, a cui dovrebbero seguire altri finanziamenti, poiché c´è l´impegno a mantenere la Biblioteca aperta anche in futuro». L´annuncio arriva prima della riposta del ministro dei Beni culturali Sandro Bondi che, a fine giornata, suggerisce due iniziative per salvare dalla débacle l´istituzione: «Ad oggi la contabilità speciale della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, dotata di autonomia dal gennaio di quest´anno, ha in giacenza quasi 5.650.000 euro: fondi non utilizzati che andrebbero rimodulati per risolvere una situazione d´emergenza». Il ministro aggiunge poi «una sua proposta di buon senso». E aggiunge: «Per far fronte alla carenza di personale si possono utilizzare alcuni bibliotecari che sono compresi tra i 56 dipendenti dell´Eti, soppresso nel luglio scorso, che risiedono a Firenze».
Una razionalizzazione e una boccata di ossigeno per questo istituto d´eccellenza nazionale, che si concretizzerà soprattutto in denaro sonante per assicurare il pagamento delle bollette di gas, luce e pulizie, oltre che per il salario dei giovani della ditta che opera nella movimentazione e distribuzione dei libri, i cui stipendi per ora sembravano garantiti solo fino al 30 novembre, data di scadenza del contratto.
Un provvedimento arrivato davvero in extremis a calmare la drammatica situazione economica in cui versa ormai da mesi la Nazionale. «Ma è anche una riposta all´accorato appello del Comitato dei lettori, a quello lanciato da Repubblica prosegue al telefono Ida Fontana e alla mobilitazione e alle pressioni del mondo della cultura per salvare l´immenso patrimonio di questa importante istituzione che si era vista costretta a ridurre l´orario di apertura al pubblico».
All´appello tuttavia è seguita una gara di solidarietà anche da parte di alcune aziende di servizi cittadini. Una riposta essenziale per ridimensionare le tariffe che l´istituto non era in grado di affrontare e saldare. Prosegue la direttrice: «C´è stato un concorso di prese di posizione e iniziative che apprezziamo molto. Publiacqua ci riduce le tariffe in cambio di una mostra sull´acqua che prossimamente sarà inserita nei nostri programmi. Quadrifoglio ci abbasserà la tassa sui rifiuti e noi concederemo un´aiuola in cui realizzare un cassonetto interrato. Infine Cooplat ci verrà in aiuto, effettuando le pulizie a minor prezzo e in qualche caso anche gratis». Sono piccole sinergie che si muovono in città, risorse che permetteranno alla Biblioteca di tirare il fiato sulle economie quotidiane. Mentre, grazie all´autonomia dell´istituto, potranno andare avanti altre iniziative con i proventi arrivati dagli sponsor. «Ma non possiamo far fronte alla manutenzione ordinaria con i progetti finanziati dagli sponsor prosegue la direttrice Questi esigono un ritorno di immagine, risultati visibili sul piano culturale. Così i 300-400 mila euro che abbiamo guadagnato come risorse da iniziative legate all´autonomia non possiamo stornarli sul pagamento delle bollette».
Stessa storia per i 400 mila euro stanziati a maggio in soccorso alle precarie finanze della Nazionale, dalla Commissione cultura della Camera: denari in arrivo che saranno destinati ai lavori, alla manutenzione dei tetti dei magazzini e agli impianti di sicurezza. Quello che manca è un intervento forte dal ministero dei beni culturali e dallo Stato. In clima di tagli ai bilanci e di giri di vite sui fondi, si procede via via con interventi sulle emergenze.
«Ma il direttore generale Fallace mi ha garantito che per il futuro non dovremo correre più rischi. E me lo auguro poiché nel 2011 si celebreranno i 150 anni della Biblioteca nazionale, nata appunto dalla fusione della Biblioteca Magliabechiana con la Biblioteca Palatina nel 1861. Questo evento sarà celebrato come si deve, non certo con la preoccupazione di chiusure per mancanze di fondi» conclude Ida Fontana, certa ormai che qualsiasi pericolo sia scongiurato e che le soluzioni messe in cantiere funzionino davvero.

Repubblica Firenze 28.9.10
Il governatore aveva lanciato due proposte: "Non possiamo permetterci di assistere a questo sfascio"
Rossi e l´impotenza della Regione "Stanno smantellando lo Stato"
E Renzi attacca il ministro "Basta figurucce nel mondo"
di Simona Poli


Prima l´allarme per l´Accademia della Crusca, ora quello per la Nazionale. Beni dello Stato, patrimonio culturale dell´Italia, che non hanno più neppure i soldi per pagare gli stipendi o saldare le bollette. Che ne pensa presidente Rossi?
«Che non possiamo permetterci di assistere a questo sfascio. Quello che sta accadendo sotto i nostri occhi non saprei definirlo in altro modo che un progressivo e inarrestabile svuotamento dello Stato. Vado al ministero dell´Industria e non trovo un ministro, vado all´Anas e mi dicono che non ci sono i soldi per fare le strade, vado ai Beni culturali per farmi tramite di appelli disperati e anche lì allargano le braccia impotenti».
A Ida Fontana, direttrice della Nazionale, il ministero avrebbe garantito i fondi per l´apertura pomeridiana delle sale almeno fino a marzo. E Bondi propone un piano d´emergenza per integrare lo scarso personale utilizzando come bibliotecari ex dipendenti dell´Eti, l´Ente teatrale chiuso da luglio.
«Ma non è in questo modo che uno Stato provvede a una delle sue istituzioni più importanti. La Nazionale è un bene fondamentale, servono fondi veri per tenerla in vita e permetterle di funzionare a pieno ritmo. Come si può pensare che il pomeriggio sia chiusa? Sarebbe normale che stesse sempre aperta piuttosto, quale altro luogo sennò andrebbe reso accessibile a tutti a qualsiasi ora? Mi chiedo perché di fronte a questo nessuno s´indigni. Secondo me le coscienze dovrebbero ribellarsi».
Il governo taglia su tutto, dove trovare i soldi?
«Perché l´Italia non mette a gara le frequenze del digitale come hanno fatto gli altri paesi? Forse perché quelle frequenze fanno comodo al signore che ci governa e che invece di preoccuparsi di finanziare la Nazionale sta smantellando lo Stato?».
Ida Fontana è venuta a parlare anche con lei, però.
«E io l´ho ricevuta e le ho detto che faremo tutto il possibile per aiutarla, anche se la Regione sta scontando le enormi difficoltà imposte dai tagli del governo. Abbiamo anche parlato di un paio di proposte che, mi rendo conto solo a parlarne, sono del tutto inadeguate ai bisogni. La prima è quella di supportare associazioni di volontariato che formino giovani in biblioteconomia, potrebbero imparare sul campo e dare una mano al personale, una sorta di servizio civile insomma. L´altra idea è di chiedere a qualche nostro custode, su base volontaria, di spostarsi alla Nazionale, senza sguarnire la Regione naturalmente. Si tratterebbe di qualche unità, vedremo».
Crusca e Nazionale fanno parte del patrimonio dello Stato. Secondo Schiavone e Primicerio la loro gestione non si può "delegare" e neppure pensare che concedere l´autonomia sia sufficiente.
«Anche questo è paradossale. Lo Stato dà l´autonomia a Nazionale, Riccardiana, Marucelliana, Medicea Laurenziana, Governativa di Lucca, Universitaria di Pisa. Per cosa? Per poi abbandonarle a se stesse. Autonomia non vuol dire abbandono».
Il sistema Italia può reggere ancora in queste condizioni?
«Non credo proprio. Questo smantellamento dello Stato sta modificando nel profondo la struttura materiale del paese. Non importa fare colpi di Stato per ottenere effetti devastanti sulla tenuta democratica e civile, per cambiare le cose è sufficiente che lo Stato perda le sue funzioni primarie. E tutto questo a fronte di capitali che vengono importati dall´estero pagando appena il 5 per cento di tasse e di liquidazioni milionarie che, certamente, vanno ad importanti personalità ma che evidenziano sempre di più la gigantesca sperequazione sociale».
Cosa risponde a Bondi?
«A lui bisogna rivolgere la famosa battuta usata nella contestazione studentesca: "Una risata vi seppellirà"».
«Apprezzo la buona volontà del ministro Sandro Bondi di trovare una soluzione in calcio d´angolo, ma finchè il ministro non tratterà le questioni di Firenze in modo unitario e organico, il governo sarà esposto, giorno dopo giorno, a figurucce sulla stampa». Il sindaco Matteo Renzi reagisce così le iniziative prese dal ministro per «salvare» la Nazionale. Come dire, quello che serve alla città è ben altro.
«Una volta il David, una volta il Maggio, una volta è la Nazionale, una volta sono le scritte sui muri dell´Accademia e degli Uffizi. Noi siamo pronti a collaborare, ma loro devono smetterla di inseguire i problemi senza trovare soluzioni definitive», dice il sindaco. Uno scontro Firenze-Roma? Lo vedremo l´8 ottobre, quando Renzi incontrerà proprio il ministro Bondi. Un incontro già fissato da qualche giorno per discutere di tutte le questioni aperte: dalla legge speciale al teatro della musica. Adesso anche della biblioteca.
Renzi ricorda di aver già fatto presente al sottosegretario Bonaiuti il caso della biblioteca: «Riproporrò l´argomento a Bondi: purtroppo il Comune non è proprietario dell´immobile né della biblioteca: possiamo solo fare una pressione politica». Del resto, «la biblioteca rientra nel pacchetto della specialità di Firenze, di quelle cose cioè che rendono Firenze una realtà eccezionale. Lo hanno capito tutti, speriamo lo abbiano capito anche i ministri del governo che avevano promesso a Firenze una legge speciale».

Corriere della Sera 28.9.10
Una macchia nera sui dipinti di Lascaux
E’ polemica sui sistemi di conservazione
di Viviano Domenici


I dipinti preistorici della grotta di Lascaux, in Dordogna (Francia), antichi di 17.000 anni, stanno male e non si trova la cura per debellare la lebbra che li sta deturpando. Il male comparve la prima volta cinquant’anni fa e periodicamente torna a insidiare, sia pure in forme diverse, le 900 figure di questo straordinario bestiario dell’uomo paleolitico.
Stavolta sono macchie nerastre a crescere sul muso della «grande vacca», tra le corna delle renne, sulle zampe dei cavallini neri, e finora tutti i tentativi di annientare quell’impasto micidiale di microscopici funghi, muffe e calcite non sono stati risolutivi.
L'allarme è stato rilanciato nei giorni scorsi, in occasione della visita del presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy e di sua moglie Carla Bruni, che sono entrati nella grotta indossando tute bianche sterili. Così la notizia del cattivo stato di salute di Lascaux ha fatto il giro del mondo, insieme all’eco delle polemiche suscitate dall’iniziativa del Comitato internazionale per la Conservazione di Lascaux che ha chiesto all’Unesco di iscrivere la grotta nella lista dei beni patrimonio dell'Umanità a rischio di di struzione. Una richiest a eclatante che di fatto mette sotto accusa l’attuale Commissione ministeriale da cui dipende la conservazione dei dipinti.
Principale imputato è il particolare sistema di condizionamento dell’aria, fatto installare dall’attuale Commissione, che avrebbe innescato lo sviluppo incontrollato di funghi (Fusarium solani), muffe e batteri contro i quali sono state impiegate massicce dosi di antibiotici e antifungini, applicati sotto forma di impacchi, che non hanno dato i risultati sperati.
Anzi, secondo i critici alcuni interventi — come quello di spargere quattro tonnellate di calce viva nella cavità per combattere i batteri introdotti dagli stessi tecnici addetti alle operazioni di disinfestazione — hanno creato più problemi che altro.
Il Comitato internazionale ha anche denunciato il rifiuto della Commissione ministeriale di mettere a disposizione degli scienziati di tutto il mondo la «cartella clinica» semestrale dei dati rilevati dalla rete di sensori presente nella grotta.
Di fronte alle pesanti critiche, la conservatrice di Lascaux, Muriel Mauriac, ha replicato affermando che lo stato di salute e i livelli di contaminazione della grotta sono stabili e tra pochi giorni saranno disponibili gli studi sul metabolismo del fungo aggressore. Insomma, due verità contrapposte. Forse sapremo qualcosa di più in occasione della conferenza stampa annunciata per la metà di ottobre. E’ evidente, però, che la prima minaccia ai celebri dipinti di Lascaux viene dalla presenza dell’uomo che altera il microclima nell’ipogeo; tutti gli altri problemi sono solo conseguenti.

La Stampa 28.9.10
Saramago mio marito occhi pieni di Portogallo
La vedova racconta l'ultimo viaggio dello scrittore nel suo Paese poco prima di morire: «Finiamo sempre per tornare dove ci aspettano»
di Pilar Saramago

qui
http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/339532/

lunedì 27 settembre 2010

Repubblica 27.9.10
L’era del New Labour è finita adesso torniano tra la gente
Famiglia e scuola ecco i valori del mio Labour
di Ed Miliband


Ieri il Partito laburista ha dato il via al lungo viaggio per tornare al potere. Una nuova generazione ha ricevuto il mandato di trasformare il partito e fare in modo che il Labour torni a difendere gli interessi delle famiglie di ogni parte della Gran Bretagna. Abbiamo molta strada da fare se vogliamo ricostruire quell´ampia base di consenso che nel 1997 ci portò al potere con una vittoria travolgente.
Il viaggio sarà difficile e richiederà tempo. Per arrivare a destinazione, dovremo fare tre cose. Trarre gli insegnamenti giusti dagli anni che abbiamo trascorso al governo, condurre un´opposizione responsabile e offrire un´alternativa costruttiva al governo in carica.
Io sono orgoglioso di gran parte di quello che ha realizzato il Labour negli anni in cui è stato maggioranza, ma non ritengo che dobbiamo difendere ogni decisione che abbiamo preso. Abbiamo commesso degli errori. È necessario riconoscerlo se vogliamo andare avanti e affrontare le sfide del futuro. Negli ultimi quattro mesi, durante la campagna per l´elezione a leader del partito, ho girato il paese in lungo e in largo, parlando con padri e madri di famiglia, piccoli imprenditori e capitani d´impresa, studenti e pensionati, e ho sentito dire tante cose sul perché il nostro partito ha perso la fiducia.
La gente si ritrova a lavorare più che mai, e nonostante questo fa più fatica ad andare avanti. La gente vuole che i propri figli abbiano opportunità migliori di quelle che hanno avuto loro, ma devono fare i conti con le tasse universitarie e la mancanza di abitazioni a prezzi abbordabili per chi compra casa per la prima volta.
Questa gente ha giocato rispettando le regole, ma ha la sensazione che la società non ricompensi chi dà prova di responsabilità, ed è preoccupata per l´immigrazione. Vogliono un Governo che difenda la Gran Bretagna, ma sull´Iraq - il test decisivo per la nostra esperienza di Governo per quello che riguarda la politica estera - hanno perso la fiducia in noi.
Dobbiamo riconoscere gli errori che abbiamo commesso in tutti questi ambiti, e dimostrare che siamo cambiati. Mai più dobbiamo perdere il contatto con la maggioranza del nostro Paese. Il secondo dovere che abbiamo è quello di condurre un´opposizione responsabile.
È fondamentale, per la nostra democrazia, che questo Governo sia obbligato a rispondere del suo operato. Ma farò opposizione senza cadere nella trappola dell´opportunismo. Sul piano antideficit, non ci opporremo a qualsiasi taglio. Dopo anni di espansione che hanno trasformato i nostri servizi pubblici, rispetto ai tempi dei soffitti gocciolanti e delle aule nei container, ora i nostri servizi pubblici dovranno imparare a fare di più con meno.
Ma questo non significa mandar giù senza fiatare il piano di tagli che il Governo propone. Non è giusto che troppo spesso a essere penalizzati siano quelli che non hanno avuto nessuna responsabilità nella crisi, mentre quelli che l´hanno scatenata vengono protetti. E tagli sbagliati nel momento sbagliato possono mettere a rischio la ripresa.
È economicamente sbagliato buttare a mare i progetti per la costruzione di nuove scuole, e lasciare senza lavoro gli operai edili in un momento in cui il settore è in difficoltà. È economicamente sbagliato buttare a mare i prestiti pubblici a quelle imprese britanniche che possono creare posti di lavoro nelle industrie del futuro.
Questo approccio è pericoloso per il nostro Paese, ed importante condurre queste battaglie. Oltre a offrire un´alternativa alle politiche sbagliate del Governo, noi daremo il nostro sostegno a questo esecutivo quando adotterà misure corrette.
Questo è l´approccio che ho adottato durante tutta la campagna per la guida del partito: ho sostenuto la tabella di marcia del Governo in Afghanistan, ho sostenuto le proposte di Ken Clarke sulla criminalità e ho sostenuto Vince Cable nella sua battaglia per abolire le tasse universitarie.
Per progredire, non ci limiteremo a riconoscere i nostri errori e offrire un´opposizione costruttiva. Proporremo i nostri piani per il futuro in modo da offrire un´alternativa costruttiva al Governo. Ci vorrà del tempo, ma è fondamentale per dimostrare che siamo pronti per governare. Proporremo un nuovo approccio che aumenti l´offerta di case e venga incontro ai timori degli studenti sul debito sostituendo il sistema delle tasse universitarie. Un nuovo approccio alla società che protegga le cose a cui attribuiamo valore nelle nostre comunità, e a cui il liberismo dei conservatori non attribuisce valore. Un nuovo approccio all´uguaglianza che contribuisca a forgiare una Gran Bretagna meno divisa. Ma che sia ben chiaro: io non intendo fare il capo dell´opposizione un giorno in più del necessario.
Il mio scopo è dimostrare che il nostro partito è al fianco delle classi medie in difficoltà nel nostro Paese, al fianco di tutti coloro che hanno lavorato duramente e vogliono riuscire ad andare avanti. Il mio scopo è riportare il nostro partito al potere. È una sfida impegnativa. È un viaggio lungo. Ma il nostro partito ha fatto il primo passo eleggendo un leader di una nuova generazione. Ora spetta a me concretizzare questo cambiamento. È una sfida che attendo con impazienza.
(Copyright Sunday Telegraph Traduzione di Fabio Galimberti)

Corriere della Sera 27.9.10
Fondi dimezzati, la Biblioteca muore
Il governo senza soldi non può accettare passivamente un disastro annunciato
La Nazionale di Firenze, memoria del Paese, è alla paralisi
di Ernesto Galli Della Loggia


Signor ministro, quella che si appresta a leggere è l’ennesima lettera che le viene indirizzata di questi tempi per lamentare le tristi condizioni economiche che affliggono un’istituzione culturale. Sono d’accordo con lei: c’è qualcosa di insopportabilmente petulante non scevro di una vaga supponenza in queste lamentele in nome della cultura. La cultura: una roba — come senz’altro deve averle detto più di una volta qualche suo collega in Consiglio dei ministri — che non produce un centesimo ma sta sempre a chiedere soldi.
Di soldi, questa volta, ha bisogno, un urgente e disperato bisogno, la Biblioteca Nazionale di Firenze. La Biblioteca — non sto certo a dirlo a lei, che di sicuro lo sa benissimo, ma a qualche lettore distratto — è la nostra massima istituzione libraria, il luogo della Penisola dove è conservata la stragrande maggioranza del nostro patrimonio a stampa specie degli ultimi due secoli. Oltre ai libri di ogni tipo, giornali, riviste, opuscoli: tutto ciò che in Italia si è pensato e scritto da un certo momento in avanti sta qui, in questi depositi, in questi schedari, in queste sale. Per far funzionare e mantenere le quali è stato speso quest’anno 1 milione circa di euro, cui il suo ministero ha contribuito con la cifra modesta di 716 mila euro (escluso il pagamento degli stipendi): cifra modesta in sé e tanto più, vorrà convenirne, rispetto all’importanza dell’istituzione finanziata. Che però, ciò nonostante, l’anno prossimo si vedrà decurtare la cifra suddetta a meno della metà: 350 mila euro. Si aggiunga, per completare il quadro, il blocco del turn over: in cinque anni il personale della Biblioteca è diminuito del 60 per cento.
Il risultato lo si può immaginare. La catalogazione dei libri, ripresa solo grazie alla generosità del Monte dei Paschi, copre solo il 10 per cento (il 10 per cento!) dei volumi pubblicati negli ultimi due anni; dappertutto arredi vecchi che cadono a pezzi, scarsa pulizia e per finire — e quel che più conta — è stato annunciato che ormai restano in cassa solo poche decine di migliaia di euro per pagare il personale della ditta che si occupa della distribuzione dei volumi al pubblico, il cui contratto scade alla fine di novembre. Dopo, quindi, bisognerà ridurre drasticamente anche gli orari di apertura della Biblioteca. In pratica, per un’istituzione come questa, l’inizio della fine.
Vede, signor ministro, se i soldi non ci sono, non ci sono, chi non lo capisce? (naturalmente per un certo tipo di cose non mancano mai, ma lasciamo perdere) e dunque nessuno intende farle una colpa di una cosa (l’entità del bilancio del suo ministero) che non dipende certo da lei. Ciò che però colpisce — che almeno colpisce le persone come me che hanno un qualche interesse diretto in questo genere di faccende — è il modo tranquillo, mi viene da dire quasi disinvolto e distratto, spesso addirittura infastidito verso chi se ne lamenta, con cui lei vive e rappresenta all’esterno questa situazione di penuria.
Lei è niente di meno che il ministro preposto all’arte, al cinema, ai musei, ai teatri, alle biblioteche, di un Paese che non è il Paraguay o il Madagascar (degni peraltro del più incondizionato rispetto), ma che è l’Italia. Lei sa che senza quelle cose, senza i musei, le biblioteche, il cinema, l’opera, l’Italia non è niente. «Noi» non siamo niente. Senza di esse anche la nostra storia, anche l’oggi citatissimo e celebratissimo Risorgimento, non significano più nulla, l’Italia scompare. Ma non solo l’Italia (come forse a qualcuno piacerebbe). Scompaiono anche, mettiamo, la provincia di Verona o quella di Bergamo; le quali senza le cose di cui stiamo dicendo diventerebbero nient’altro che due floridi distretti economici senza passato, senza radici, che potrebbero stare qui come in Cina o in Romania. Ricchi ma insignificanti: come tutto ciò che non ha identità.
Vede, signor ministro, nessuno le chiede di darsi fuoco per protesta davanti al ministero del Tesoro. Ma il Paese — per essere più modesti almeno quella sua parte che condivide il contenuto di questa lettera — le chiede se non altro di condividere pubblicamente le sue preoccupazioni, di dare a esse voce intervenendo nell’arena pubblica non solo per stigmatizzare questo o quell’indirizzo ideologico a lei sgradito. Ci acconteremmo che lei non si stancasse di spiegare all’opinione pubblica e alla classe politica che ogni euro sottratto alle biblioteche, ai musei, al cinema, ai teatri, è una ferita aperta nella nostra storia. Insomma: alla fine non le chiediamo altro che di condividere una pena, di partecipare a un dolore. Mi creda, se lei lo facesse sarebbe già moltissimo. Con il mio ossequio.

Repubblica 27.9.10
Veltroni: il leader c´è, è Bersani gli ex ppi escludono la scissione
Pd, Bindi in allarme per la giunta anomala in Sicilia
di g. d. m.


L´ex segretario rivendica però la necessità di dar voce al "disagio" nel partito. Anche Parisi punta il dito sulle "capriole" con Lombardo

ROMA - Adesso è qualcosa più di una tregua. Adesso l´effetto del documento dei 75 che aveva terremotato il Pd sembra superato. «La leadership del Partito democratico c´è e si chiama Pier Luigi Bersani», dice Walter Veltroni nella trasmissione "In 1/2 ora". «La discussione politica va avanti - spiega l´ex segretario - si confrontano opinioni diverse, si esprime un disagio che secondo me esiste e si sta manifestando. Ma il leader non è in discussione. Per me non è all´ordine del giorno il tema di un cambiamento. Bersani è il mio segretario, ha tutta la mia solidarietà per il lavoro che ha fatto, e il mio impegno unitario».
Questa pace non spinge Veltroni a dichiarare fin da oggi un sostegno a Bersani per la corsa a Palazzo Chigi. «Le elezioni sono tra tre anni. Non mi impegno sui nomi». L´impegno è sul partito, sulla sua capacità di innovazione, di riformismo. Su questo proseguirà il lavoro di chi ha firmato il documento dei 75. E a Rosy Bindi che oggi dice «il discorso del Lingotto non mi piacque neanche nel 2007» risponde: «Non voglio incrinare l´unità del partito. Ma penso ancora che quella sia la base di un partito riformista». Unità che Casini non riesce a vedere: «Mi sembrano in stato confusionale».
Un altro autore del documento, Beppe Fioroni, ha riunito a Orvieto gli amministratori locali ex popolari che si riconoscono nelle sue posizioni. È l´occasione che per dire che da questa area «non verrà mai nessun proposito di scissione, chi lo sostiene bestemmia». Semmai, spiega Fioroni, con l´iniziativa dei 75 «abbiamo rimotivato la nostra gente, l´elettorato moderato e cattolico che per la stragrande maggioranza sta con noi». All´assemblea di Orvieto c´erano sindaci, consiglieri, presidenti di provincia da tutta Italia. «Da noi Bersani non avrà mai il problema di finire in un indistinto gelatinoso. Diamo voce a una parte forte della società, vogliamo tenerla dentro il Partito democratico». E il segretario accetta le strette di mano: «Per l´amor di Dio, non esiste alcun rischio scissione».
A Milano Marittima la Bindi ha riunito l´associazione Democratici davvero, ha ospitato Bersani e ha preso di mira la nuova alleanza siciliana, dove il Pd è entrato nella maggioranza di Raffaele Lombardo. Bersani la sostiene, la presidente del Pd reagisce: «Lombardo è un personaggio su cui pendono interrogativi politico-giudiziari molto seri. Lui appartiene a quella prima Repubblica che ha preparato il disastro di questi anni». Arturo Parisi, che parla di «capriole», è contrario allo stesso modo. E vuole vedere gli effetti del Lombardo quater sulle logiche romane: «Non si capisce se il Pd ha aderito per i risultati virtuosi ottenuti da un governatore che due anni fa avevamo dipinto come il maestro del clientelismo - dice con un filo di ironia - . Qualcuno deve spiegare cosa c´è sotto».

La Stampa 27.9.
Per sfidare l'embargo
Veliero di pacifisti ebrei verso Gaza
Il «Jews for Justice for Palestinians» ha obiettivi pacifici
Sulla barca salpata da Cipro un sopravvissuto all'Olocausto

qui
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/201009articoli/58885girata.asp

Repubblica 27.9.10
Alle elezioni in Stiria trionfa il movimento xenofobo. In calo i socialdemocratici
L’ultradestra vince anche in Austria e adesso trema il governo di Vienna
di Andrea Tarquini


Immigrazione e crisi economica temi dominanti in campagna elettorale: i partiti tradizionali non hanno dato risposte chiare

BERLINO - Nuovo successo dell´ultradestra in Europa, dopo l´Olanda e la Svezia. Ancora una volta, in uno dei paesi più prosperi e moderni del Vecchio continente, parole dure contro l´immigrazione islamica pagano. Conquistano in modo trasversale elettori conservatori o progressisti. Alle elezioni nella Stiria, bastione rosso e uno dei più importanti Stati federali austriaci, la Fpoe, cioè il partito nazionalconservatore e dichiaratamente anti-islamico, vola. Sottrae voti a tutti: alla socialdemocrazia (Spoe) che resta prima forza politica, ai democristiani (Oevp), e persino al Partito comunista austriaco (Kpoe). Una estrema propaganda online, con giochi internettiani in cui vinci se abbatti il minareto col muezzin o elimini la moschea dal paesaggio urbano austriaco, è stata la chiave del successo della destra radicale. Successo dei messaggi più espliciti, nello Stato la cui capitale, Graz, è la seconda città austriaca, moderna e multiculturale come Milano, Monaco o Lione.
«Grande vittoria, siamo molto soddisfatti», ha detto Heinz-Christian Strache, leader della Fpoe. A lui, erede politico del capo storico dell´ultradestra austriaca Joerg Haider, morto in un grave incidente d´auto, gli elettori stanno dando un ruolo sempre più centrale. Soprattutto in vista della partita decisiva. Cioè il 10 ottobre, quando la capitale Vienna voterà per il rinnovo del suo governo. Vienna è "città rossa" (socialdemocratica) fin dai tempi di Francesco Giuseppe, ma negli ultimi sondaggi la destra radicale è in decollo. È certa di conquistare tra il 20 e il 25 per cento dei consensi.
I risultati quasi definitivi del voto in Stiria, resi noti ieri sera, danno un´indicazione chiarissima. La socialdemocrazia resta primo partito col 38,2 per cento dei voti, ma perde 3,2 punti percentuali. I democristiani ne perdono 1,5, scendendo a 37,1. La destra radicale sale da poco più del 4 per cento al 10,8, insomma un risultato a metà tra raddoppio e tripletta. Inquieti e nervosi per le sfide della crisi economica internazionale e soprattutto dell´immigrazione musulmana, molti elettori hanno voltato le spalle ai partiti storici. Come in Olanda, come in Svezia. Il leader socialdemocratico della Stiria, Franz Voves, ha detto che per restare governatore tratterà con tutti, anche con la destra radicale. Uno sdoganamento chiarissimo, e quasi senza condizioni.
(Ha collaborato Luca Faccio)

Repubblica 27.9.10
Il libro di Veronesi "Perché il futuro è delle donne"
Perchè c’è bisogno di un nuovo matriarcato
di Umberto Veronesi


Anticipazione
Anticipiamo un brano dal libro di Dell´amore e del dolore delle donne (Einaudi, pagg. 158, euro 18) da domani in libreria.La guida del paese dovrebbe essere per metà in mani femminili. Il nuovo libro di Veronesi

Occorre rovesciare un´organizzazione sociale che oggi ruota essenzialmente intorno alla figura maschile Solo in questo modo è possibile garantire lo sviluppo della civiltà
Quando chiedo alle pazienti o alle mie collaboratrici se hanno mai provato ad alleviare l´affanno in cui le vedo dibattersi, mi sento dire: "Sa, professore faccio prima a fare io"

Credo di essere stato un buon padre per i miei figli, ma sono consapevole che non deve essere stato facile per loro confrontarsi con me. Avere accanto a me in ospedale Paolo, il mio figlio maggiore, e Giulia, la mia prima figlia femmina, è una soddisfazione immensa (...). A volte penso però che lo sforzo che hanno dovuto compiere per affermarsi sia stato, per certi versi, doppio rispetto a chi ha un cognome diverso dal loro. Per Giulia a quel cognome si aggiunge «il peso» del suo essere donna e mamma di tre bambini (...).
Ho visto in mia figlia il ritratto inaspettato e vero di una donna complessa, «multidimensionale», chirurga inappuntabile, ricercatrice metodica, medico empatico, madre attenta, compagna amorevole.
Mi colpisce sempre la capacità tutta femminile di pensare contemporaneamente a tante cose, anche lontanissime: i capricci dei bambini e i dati dei pazienti; e di passare da una dimensione all´altra in modo del tutto naturale (...). Nei clan familiari del secolo scorso le donne erano il nodo centrale di una rete di parentele sulle quali si intessevano rapporti solidali fortissimi e intoccabili (...). Mi ricordo che le donne che vivevano con noi in cascina, quando ero bambino, facevano molta vita di gruppo: lavoravano insieme negli orti e nei campi, cucivano, rassettavano, erano sempre affaccendate. Spesso mi permettevano di partecipare, e fingendomi impegnato in qualcosa mi divertivo a origliare i loro discorsi. Ricordo che una frase in particolare ricorreva spesso: «Non ti lamentare con tuo marito. Tanto, appena esce dalla porta di casa, fino a sera, la padrona sei tu» (...).
Oggi lasciare la famiglia d´origine equivale a conquistarsi la libertà, ma il prezzo che si paga per questa scelta è la perdita di una condivisione – di affetti e di compiti – che sarebbe preziosa per una donna «multifunzionale». Quello che stiamo attraversando, mi pare, è un momento di transizione: la protezione e la solidarietà del vecchio modello familiare non sono ancora state sostituite da un modello sociale che abbia funzioni analoghe, e che tenga conto dei ruoli effettivamente occupati dalla donna (...). L´organizzazione sociale oggi ruota essenzialmente intorno all´uomo, e invece dovrebbe ruotare intorno alla donna, perché la donna, in questo momento, è più adatta a garantire lo sviluppo della civiltà.
So che può sembrare un´affermazione utopistica, e certamente scatenerà l´indignazione di molti uomini, ma a ben pensarci una società matriarcale avrebbe vantaggi per tutti (...). Per esprimere la propria personalità, una donna era (e talvolta, ancora, è) obbligata a ricorrere a sotterfugi, proprio come quello, semplice, delle donne della cascina della mia infanzia, che aspettavano che il marito uscisse di casa per sentirsi finalmente libere. Per questo sono a favore di una cultura e di una civiltà coniugate al femminile (...).
Il dominio maschile ci ha traghettato in un´epoca di indubbio progresso civile e scientifico, ma adesso, inevitabilmente, il timone va passato alla donna. Per questo non mi stanco di ripetere che il futuro è donna. La mia convinzione, lo so bene, cozza in modo evidente con la realtà: se è vero che la donna è più «adatta» dell´uomo, – mi sento chiedere, – com´è che ancora non ha conquistato un ruolo non solo dominante, ma neppure paritario?
La prima ragione, a cui già ho accennato, è organizzativa: la società non è strutturata per favorire la carriera lavorativa della donna. In particolare, sulle sue spalle pesa un innegabile pregiudizio psicologico: la convinzione che l´uomo sia dotato di una maggiore capacità decisionale (...).
Il secondo ostacolo ha a che fare con il peso culturale delle religioni. La religione cristiana, ad esempio, rivela la sua indole maschilista nel divieto di sacerdozio imposto alle donne, che le estromette completamente dalla «carriera» religiosa. Gli apostoli, di cui i sacerdoti sono eredi, erano tutti maschi, anche se sotto la croce di Cristo morente c´erano solo donne, e i suoi seguaci fedeli si erano dileguati (...).
Infine, a frenare la conquista femminile della società, c´è forse un residuo senso di colpa nella coscienza delle donne, che faticano a trovare un equilibrio fra ruolo pubblico-professionale e ruolo materno-familiare (...).
Quando chiedo alle pazienti o alle mie collaboratrici se hanno mai provato ad alleviare l´affanno in cui le vedo dibattersi, mi sento dire: «Sa, professore, faccio prima a fare io (...)». È una frase, questa, dal forte potere rivelatore: esplicita la percezione che tutto quell´affollarsi di compiti – e allo stesso tempo ognuno di questi compiti – sia un elemento importante dell´essere donna, e dunque un aspetto irrinunciabile quanto è ormai irrinunciabile il ruolo lavorativo. Sono convinto che progressivamente la donna smetterà di percepire la «liberazione» da alcuni ruoli come una minaccia alla propria femminilità: è un processo che vedo già in atto nelle ragazze che si affacciano oggi al mondo del lavoro, e credo che l´ambiente sociale debba contribuire a questa evoluzione, infrangendo quel che resta dei tabù culturali che impediscono alle donne una partecipazione attiva.
Ma come? Entriamo qui nel capitolo delicatissimo del «che fare» per le nostre donne. E io, su questo tema, ho le idee molto chiare. La conduzione del paese dovrebbe essere per il 50 per cento in mani femminili. Metà dei parlamentari, cioè, dovrebbero essere donne, e la stessa partizione dovrebbe essere garantita per legge nelle regioni, nelle province e nei comuni nella composizione delle giunte, dei comitati e di ogni organo decisionale. È necessario che la presenza delle donne raggiunga la parità numerica ai vertici delle carriere universitarie, e nel sistema ospedaliero e assistenziale metà delle cariche di direzione generale e scientifica dovrebbero essere ricoperte da donne (...). Se solo ci soffermassimo a riflettere con più attenzione, non sarebbe difficile individuare gli incredibili punti di forza femminili che potrebbero migliorare sensibilmente le sorti della società odierna. Io ci ho provato, e ne ho individuato almeno dieci.
Il primo è biologico: alle donne è affidata la responsabilità della sopravvivenza della specie umana sul pianeta, attraverso la procreazione e l´accudimento della prole. Non dimentichiamo che i bambini sono esposti prima di tutto all´influenza materna, che ne determina prioritariamente l´educazione e la mentalità: il mondo dell´infanzia è un mondo femminile.
Il secondo unisce questa capacità procreativa con quella lavorativa: la sintesi di ruolo sociale e ruolo materno resta una fra le più importanti conquiste femminili recenti, dotata di un grande potenziale rivoluzionario.
Il terzo è la resistenza al dolore e alla fatica. Sono stato tante volte testimone dell´eccezionale capacità femminile di accettare e affrontare la malattia – e molte altre tragedie – fino a trasformarla in un pretesto per fare ordine nella propria vita, o persino in un´occasione di rinascita personale.
Il quarto punto è la motivazione che caratterizza il loro lavoro e l´attaccamento all´istituzione che rappresentano (...).
A questo è indirettamente collegato il quinto punto, che è il senso della giustizia. Metà dei nostri magistrati è donna e molte si distinguono e si trovano alla ribalta delle cronache per la loro integrità e fermezza nel giudizio.
Del sesto punto ho già parlato più volte: è la tendenza all´armonia, che enfatizza il senso femminile per la disciplina, l´organizzazione e l´ordine.
Il settimo è la maggiore sensibilità artistica e culturale. Basta guardarsi intorno nella sala di un cinema, a teatro, a un incontro letterario, a un concerto, a una mostra di pittura, scultura o fotografia, per rendersi conto che la maggioranza del pubblico è composta da donne.
L´ottavo è la capacità intellettuale di ragionamento e concentrazione. Per secoli si è detto che la donna non era adatta alle attività scientifiche, ma è vero il contrario: più della metà dei miei ricercatori è di sesso femminile, e la loro produttività e il loro ingegno sono straordinari.
Il nono punto è che le donne, contrariamente a quanto si crede, sono più brave degli uomini a decidere nei momenti critici. Quando un matrimonio fallisce, ad esempio, in molti casi è la donna che prende in mano la situazione e fa il passo di chiedere il divorzio (...).
Il decimo è che la donna è naturalmente meno aggressiva dell´uomo, non ama la violenza ed è portata a cercare soluzioni diplomatiche. E l´assenza di conflitti è la condizione imprescindibile per il moderno progresso della civiltà.

Corriere della Sera 27.9.10
Veronesi, la vita in rosa
«Presto il mondo vedrà una supremazia al femminile»
di Isabella Bossi Fedrigotti


Di uomini che odiano le donne, stando, almeno, oltre ai romanzi e alle cupe voci rancorose che salgono dalla rete, alle cronache che riportano di ammazzamenti, di violenze e di molestie di cui sono vittime mogli, compagne, fidanzate e amanti, sia in carica che ex, ce ne sono parecchi e forse anche in aumento, mano a mano che aumenta l’autonomia femminile. Nulla, ovviamente, di fronte alla massa di uomini che le donne continuano, bene o male, ad amarle, solo che questi ultimi sono per lo più silenziosi, non si dichiarano, forse, chissà, timorosi di mostrare il fianco e di concedere troppo vantaggio alla controparte con una precisa presa di posizione.
Nella lista dei coraggiosi si può, per contro, annoverare un grande uomo di scienza, Umberto Veronesi, che ha scritto un intero libro, Dell’amore e del dolore delle donne (Editore Einaudi, in libreria da domani), per spiegare come e perché lui le donne le ama senza riserve. Il che non è poco, soprattutto perché non soltanto gli piacciono nel modo in cui piacciono alla maggioranza, possibilmente belle, possibilmente sorridenti, seducenti e affettuose ma anche perché le stima, le ammira, è curioso dei loro pensieri e sentimenti, cerca di conoscerle nel profondo e volentieri fa tesoro di certe loro parole, di certi loro ragionamenti.
Oltre alle «sue» donne, madre, moglie, sorella, figlie, parenti e amiche, egli ci racconta delle innumerevoli pazienti — il professore è, infatti, un medico delle donne per eccellenza — molte delle quali sono diventate in un certo modo «sue» al pari di quelle altre. La prima della lista non può che essere la mamma che egli ricorda con tenerezza infinita, sapiente e amorosa signora della cascina nella periferia milanese dove viveva con marito e sei figli che le ubbidivano — quasi — a bacchetta. E ottanta o più anni dopo, Veronesi ancora conserva memoria del magico momento in cui, nella stagione fredda, ella passava lo scaldino sotto le coperte dei bambini, di modo che al momento andare a letto i piedi freddi trovavano tra le lenzuola il beato, accogliente tepore.
Seconda viene Angelina, l’indimenticabile portinaia del palazzo milanese dove la famiglia si trasferì dopo la morte prematura del papà, donna geniale e coraggiosa che, una mattina di fine ’43, fece salire in ascensore gli uomini delle SS venuti a cercare il diciottenne Umberto, nascosto in casa convalescente, dopo essere saltato su di una mina. Ma quando i militari furono a metà piano, Angelina chiamò su al citofono: «Umbertino, fai svelto, scappa!» e subito dopo tolse la corrente bloccando l’ascensore a mezza corsa. E grazie a lei Umbertino si salvò la vita.
Vengono poi, in ordine sparso, pazienti, colleghe, ricercatrici, infermiere, suore, donne in carriera, imprenditrici e politiche, anche di altissimo grado, come, per esempio, Margaret Thatcher. Molte hanno nome e cognome, moltissime sono anonime, però tutte quante ben presenti, anche tanto tempo dopo, nella mente del professore. Di loro Veronesi ricorda e riporta una frase, un atteggiamento, una conversazione, una confessione; oppure nessun parola in particolare però la forza di volontà, la passione, il dolore, l’intraprendenza, la dolcezza, la fantasia, la pietà: è un coro variopinto di donne che egli porta con sé, del quale si ha l’impressione che gli sia prezioso, una specie di tesoro accumulato nei suoi ottantacinque anni, che gli fa compagnia, che lo rasserena anche.
Difficile dire se di un libro di narrativa oppure di saggistica si tratta. I due generi sembrano, infatti, costantemente presenti e ora prevale l’uno, ora l’altro: memoria e riflessione si mescolano, insomma, e si alternano in modo armonioso. Del resto, cos’altro ci si può aspettare da un uomo di scienza che, segretamente, a volte, butta giù versi (salvo poi gettarli via subito dopo)?
Non sarebbe comunque da lui scrivere un libro fatto soltanto di amabili ricordi di sia pure straordinarie figure femminili: ed ecco allora i ragionamenti — sempre particolarmente lucidi e proiettati nel futuro, da uomo di scienza, appunto — sull’amore, sul dolore, sulla malattia, sulla religione, sulla famiglia, sul sesso. Azzarda, per esempio, Veronesi o, anzi, più che azzardare, profetizza, sulla base della crescente mascolinizzazione della donne e della contemporanea femminilizzazione degli uomini, per cui abbiamo per un verso soldatesse e anche generalesse e per l’altro sempre più numerosi «mammi», che la reciproca attrazione è destinata a calare ulteriormente (già adesso — sostiene — scarseggia, altrimenti non saremmo invasi da tanta pornografia finalizzata a risvegliare il desiderio stanco) tanto che la sessualità si esprimerà in molti modi diversi.
E profetizza anche, per esempio, che il mondo, domani — sempre meno bisognoso di forza fisica — vedrà una supremazia femminile. Per la ragione biologica della riproduzione, ovviamente, prima di tutto, ma subito dopo perché le donne non sono più così lontane da una svolta epocale, di riuscire, cioè, la sintesi del ruolo sociale e professionale con quello materno; ma anche perché sono più resistenti al dolore e alla fatica e perché hanno maggiore sensibilità artistica e culturale (e basta guardarsi intorno in libreria, al cinema, a teatro e ai concerti per rendersene conto). Infine, perché sono più brave a prendere una decisione nei momenti critici e perché sono meno aggressive e più portate a cercare soluzioni diplomatiche ai conflitti, attitudine indispensabile al progresso della civiltà.
Il professore — di questi tempi una vera rarità — è sicuramente di manica abbastanza larga con le donne, però il suo autentico, profondo femminismo non può che edificare le sue lettrici.

Repubblica 27.9.10
Cent'anni fa moriva il filosofo. Un libro di Campailla svela un segreto nella sua vita
Carlo Michelstaedter e il mistero di Nadia B.
Il giovane studioso goriziano s'innamorò della donna. Lei si uccise nel 1907 a Firenze, anticipando di tre anni il suicidio dell´autore di "La persuasione e la rettorica"
di Paolo Mauri


Il 17 ottobre saranno esattamente cent´anni che Carlo Michelstaedter s´è tolto la vita sparandosi alla tempia destra. Era il giorno del compleanno della madre Emma. Il sangue di Carlo schizzò anche sui fogli che stava riempiendo per la sua tesi di laurea, poi divenuta la sua opera più importante, La persuasione e la rettorica.
Carlo, goriziano, aveva studiato a Firenze e qui aveva incontrato una giovane russa, Nadia Baraden. Le aveva dato qualche lezione di italiano. Aveva tentato un approccio. Ma lei, bella e bionda, ufficialmente studentessa di belle arti, lo aveva tenuto a bada. Una storia come tante, se non fosse per il fatto che Nadia, l´11 aprile del 1907 si spara in piazza Vittorio Emanuele II a Firenze (oggi piazza della Repubblica). Carlo è a Gorizia: manda un telegramma alla padrona di casa di Nadia chiedendo notizie.
Ma chi era veramente Nadia Baraden? Lo racconta ora Sergio Campailla, studioso ed editore dell´opera di Michelstaedter, in un libro che ripercorre con passione tutte le sue puntigliose ricerche sulla ragazza e comincia con una confessione (Il segreto di Nadia B, Marsilio, pagg. 248, euro 19.50). Quando aveva ventisei anni Campailla si trovò ad assistere al trasloco delle carte di Carlo, destinate alla Biblioteca Civica di Gorizia. Era il 4 marzo 1973. La sorella di Carlo, Paula, era morta nel giugno dell´anno precedente e l´esecutore testamentario era ora suo figlio, Carlo Winteler. Prima d´ogni altra cosa l´ingegner Winteler annunciò di voler distruggere qualche foglio che riguardava terze persone. In breve si trattava di due lettere in tedesco di Nadia Baraden al giovane amico filosofo: nella prima, senza firma, lo invitava a tenere le mani a posto. Nella seconda, ben più importante e drammatica, annunciava d´aver deciso di morire, assumendo del veleno (cosa appena fatta) e poi sparandosi per essere certa dell´esito. La donna lo invitava però ad affrontare la vita e a non rinunciare mai a se stesso e gli rivelava la tragedia della propria esistenza: a 11 anni uno zio l´aveva "violée", distruggendola.
Campailla dice d´essersi deciso solo ora, quando i fatti sono ormai storia e non più cronaca indiscreta, a far chiarezza sulla figura di Nadia Baraden, già però citata nell´epistolario di Michelstaedter uscito a sua cura nel 1983. Comincia dunque così l´indagine dello studioso, che essendo anche romanziere non rinuncia alla narrazione, anzi vi indugia con piacere seguendo l´ordine cronologico degli eventi e vagliando e citando tutte le fonti (italiane ma anche russe) che riesce ad individuare.
Il suicidio nella celebre piazza fiorentina, quella dei grandi caffè letterari Paszkowski e Giubbe Rosse, naturalmente suscita un´attenzione morbosa e i cronisti per diversi giorni seguono la vicenda, dolorosa e misteriosa insieme. Chi è Nadia B.? Una terrorista russa (siamo a ridosso della rivoluzione del 1905) uscita da una ricca famiglia ebrea, incarcerata e condannata alla Siberia e poi salvata con l´esilio. Baraden è il nome di un marito subito abbandonato: era un agente doppiogiochista. Come in un romanzo dell´Ottocento a tinte fosche la suicida ha lasciato detto che si avverta della sua morte non il padre, ma lo zio: si presume lo stupratore. Pagherà lui le esequie. Intanto si viene a sapere che la ragazza è tutt´altro che passata inosservata a Firenze: un suo ritratto, fatto dal pittore Passigli, è stato addirittura esposto in Accademia ed è stata anche fotografata. Lo stesso Carlo, che ha una buona mano come pittore e disegnatore, le ha fatto un altro ritratto ad olio, in cui figura con una rosa sul seno.
Dai giornali fiorentini la notizia del suicidio rimbalza anche fuori e se ne occupa il Corriere della Sera a Milano. Molto si scrive sul funerale, un trasporto che passando per Vienna dovrà raggiungere Pietroburgo. Sfogliando i giornali d´epoca Campailla nota un affollarsi di suicidi. Un segno dei tempi? Difficile dirlo: Nadia veniva da un altro mondo, titolare di un nichilismo furioso alimentato da una biografia pesante.
Nella famiglia di Carlo c´era già stato il suicidio, tenuto nascosto, del fratello Gino emigrato in America. La ricerca dell´autentico in un groviglio di finzioni spinge Carlo più a cercare la vera vita che non la morte. Il 10 settembre del 1910 scrive alla madre una lettera che è, in questo senso, quasi un solenne manifesto. Poi tutto precipita. La scelta finale non è filosofica e resta insondabile. Non saprà mai di Nadia B. tutta la verità. Campailla aggiunge sorprese fino alla fine. Non le guasterò anticipandole. La sorte della breve vita di Carlo Michelstaedter è quella di far nascere libri. Suoi, come La melodia del giovane divino appena uscito da Adelphi (è una antologia di scritti, curata sempre da Campailla) o altrui. Come questo su Nadia B. O come quello, intenso e doloroso, di Claudio Magris, Un altro mare, dedicato alla vicenda di un intimo amico di Carlo, Enrico Mreule. Che partì per la Patagonia e lasciò a lui, fatalmente, la sua pistola.

Repubblica 27.9.10
Perché difendo l’uso del burqua
Nella nostra società non è certamente l´unico simbolo della supremazia maschile
di Martha Nussbaum


Ai primi di luglio, in Spagna, il parlamento catalano ha respinto per pochissimi voti una proposta di legge che avrebbe vietato il burqa musulmano in tutti gli spazi pubblici, capovolgendo l´esito del voto espresso una settimana prima dal Senato a favore del divieto. Proposte analoghe potrebbero diventare presto legge in Francia e in Belgio. Perfino il foulard è spesso fonte di problemi. In Francia, le ragazze non possono indossarlo a scuola. In Germania (così come in alcune zone del Belgio e dell´Olanda) in diverse regioni alle insegnanti di scuola pubblica è proibito portarlo in classe, malgrado a preti e suore sia consentito insegnare con l´abito talare. (...)
Partiamo da una considerazione ampiamente condivisa: tutti gli esseri umani sono uguali e hanno la medesima dignità. Pressoché ovunque si concorderà sul fatto che i governi devono rapportarsi a tale dignità con immutato rispetto. Ma cosa vuol dire trattare la gente con lo stesso rispetto in ambiti che hanno a che fare con le credenze e l´osservanza religiosa? Aggiungiamoci allora un´ulteriore premessa: la facoltà attraverso cui l´uomo ricerca il significato ultimo dell´esistenza - facoltà comunemente denominata "coscienza" - è una componente fondamentale della persona, strettamente legata alla sua dignità. E a questo punto possiamo puntualizzare con un´altra premessa ancora, che potremmo chiamare la "premessa della vulnerabilità": tale facoltà, infatti, può essere gravemente compromessa da condizioni ambientali globali ostili. (...).
Generalmente a favore delle proposte di legge che presuppongono il divieto vengono sostenute cinque argomentazioni. Vediamo se esse trattano tutti i cittadini con uguale rispetto. La prima riguarda il fatto che per esigenze di sicurezza gli individui devono mostrare il volto quando frequentano luoghi pubblici. La seconda, strettamente correlata alla prima, sostiene che la trasparenza e reciprocità proprie dei rapporti tra concittadini verrebbe minata dall´abitudine di coprirsi parte della faccia. (...) Il terzo punto, di gran rilievo attualmente, è che il burqa sia un simbolo di dominazione maschile che rappresenta l´oggettivazione della donna (vista non più come persona, ma come mero oggetto). Un legislatore catalano di recente l´ha definito una «prigione degradante». La prima cosa da dire riguardo a tale tesi è che coloro che generalmente la sostengono non sanno molto dell´islam e sicuramente non sono in grado di affermare cosa simboleggi cosa in tale religione. Ma la pecca più lampante consiste nel fatto che la nostra società è piena di simboli della supremazia maschile che trattano la donna come un oggetto. Riviste erotiche, foto di nudo, jeans attillati: tutti questi prodotti possono essere tacciati di ridurre la donna a un oggetto, così come la stessa accusa può essere rivolta a molteplici aspetti della nostra cultura mediatica. Che dire della «degradante prigione» della chirurgia plastica? (...)
Una quarta argomentazione è quella secondo cui le donne indosserebbero il burqa solo perché costrette. È una tesi abbastanza non plausibile da generalizzare. (...) In ultimo, ho sentito anche l´argomentazione secondo cui il burqa sarebbe di per sé non salutare, perché caldo e scomodo (non sorprende che tale tesi sia stata avanzata in Spagna). Mi sembra forse la più stupida di tutte. (...) Tutte e cinque le argomentazioni che ho riassunto sono discriminatorie. Non dobbiamo neanche scomodarci a toccare la delicata questione del compromesso su basi religiose per renderci conto che sono profondamente inaccettabili in una società dedita alla libertà e all´uguaglianza. Il pari rispetto di tutte le coscienze ci impone di rifiutarle.
(Traduzione di Chiara Rizzo)

Corriere della Sera 27.9.10
Sgarbi si difende da Travaglio La disputa sul «pezzo di m...»
Diventa esilarante la battaglia legale sulla parolaccia detta in tv
Gli avvocati del critico: non ci fu offesa, la natura non è volgare


Tutto cambiato: lo dicono gli avvocati di Vittorio Sgarbi. Che per difendere il cliente, sotto processo per aver definito Marco Travaglio «un pezzo di merda tutto intero», hanno scritto una memoria difensiva la cui tesi epocale è che la popò è sana, bella e «fa bene al corpo ed anche all’anima».
Cerchiamo di capirci: non è la prima volta che un difensore, costretto a difendere l’indifendibile, si arrampica sugli specchi. Resta indimenticabile, ad esempio, l’arringa fenomenale con cui Ippolita Ghedini, sorella del più cel e br e Niccol ò « Ma-va-l à » Ghedini, tentò di minimizzare le parole di Giancarlo Galan, che aveva bollato come comunisti dei giornalisti Rai di Venezia. A dispetto del Cavaliere e delle sue fobie anticomuniste, scrisse l’Ippolita, il soviet non era che un «organo elettivo e dunque espressione di quella democrazia reale che ancora oggi viene rimpianta da molti e l’aggettivo sovietico non ha certo valenza diffamatoria intrinseca». Spasibo tovarisha Ghedinova! Decisi a umiliare la collega nel campionato mondiale d’arrampicata sugli specchi, l’avvocato Giampaolo Cicconi e Fabrizio Maffiodo sono andati oltre. Scrivendo che Sgarbi con «la frase "è un pezzo di merda tutto intero" non ha comunque diffamato il dottor Travaglio, atteso che la frase non ha alcuna valenza offensiva».
Va detto che i due professionisti avevano un compito 2007, quando a Montecitorio si discusse fino a notte se dare o no l’autorizzazione a procedere: urlare a dei poliziotti «mi avete rotto i coglioni!» come aveva fatto Sgarbi rientrava nell’insindacabile esercizio delle funzioni parlamentari? Un dibattito unico al mondo.
Che vide il leghista Rizzi sbottare: «Sono due ore che si parla dei coglioni di Sgarbi, sinceramente ne ho pieni i coglioni». Il capolavoro fu di Filippo Mancuso, che invitò il collega, d’ora in poi, a chiamare i cosiddetti «tommasei», come faceva Leopardi per disprezzo verso l’autore del celebre dizionario. Totale degli interventi a favore e contro: 56.
La passione del critico d’arte, però, è sempre stata quella che i latini chiamavano stercus (genitivo: stercoris). Tra i tanti esempi, ne citiamo uno. Al dibattito parlamentare alla nascita del governo D’Alema, quando il nostro z a z z e r ut o mise a ver bal e : «Onorevole D’Alema, le darei volentieri il mio voto; sono molto tentato di farlo, per aggiungere la mia corruzione alla vostra, aggiungere merda a merda». Insomma, se non temessimo d’essere equivocati diremmo che ce l’ha sempre in bocca.
All’idea di perdere l’immunità, aveva confidato ad Aldo Cazzullo di non avere troppi timori: «Vinco una causa al giorno. Finora, 190 su 270; le altre sono in corso». Spiegò anzi di avere «pronto un libro: Le mie querele. L’editore non lo pubblica per paura di altre querele». In ogni caso sospirò quando fu chiaro che non fosse stato rieletto, avrebbe dovuto per sicurezza contenersi: «Mi toccherà diventare buono e insipido come Prodi». Macché: gli è impossibile.
Era appena stato condannato a pagare 30mila euro (più le spese) a Travaglio per essersi dilungato su questo genere di insulto ad AnnoZero quando, alla trasmissione domenicale su Canale 5 con Barbara D’Urso, rincarò appunto: Travaglio «è un pezzo di merda tutto intero». A quel punto i suoi due legali, presumibilmente su ispirazione «artistica» del loro stesso cliente, hanno steso una memoria difensiva che resterà negli annali. Per loro, infatti, quella lì non è un’offesa. Può essere mai volgare la natura? «Se in un agriturismo ci forniscono prodotti dell’agricoltura biologica significa che essi sono fatti con la merda nel senso che l’agricoltura biologica vuol dire coltivazioni in terreni concimati non con prodotti industriali ma con letame, con la merda, appunto, la quale serve a fertilizzare i terreni». Bucolici.
Inoltre «giova osservare che, un tempo, il letame accumulatosi per tutto l’anno veniva, con la zappa (in genere nel mese di settembre), rivoltato, sbriciolato, miscelato, messo sul carro e sparso nel campo ove si seminavano le fave ed in cui, l’anno appresso, si sarebbe piantato di grano. Le merde, invece, che le mucche depositavano nei campi durante il periodo estivo ed essiccate dal sole formavano delle dense "torte" che venivano raccolte ed immagazzinate e poi usate come combustibile per cucinare la minestra di fave...
(il seguito dell’articolo è disponibile nelle edicole)