giovedì 30 settembre 2010

l’Unità 30.9.10
Il discorso del segretario del Pd
Bersani: «Qui si chiude una pagina vecchia. Apriamo noi la nuova»
Dieci minuti di intervento per demolire il fantastico mondo berlusconiano. «Chieda il Nobel per la pace», ironizza Bersani. Berlusconi ascolta e scuote la testa, sorride, cerca la complicità di Tremonti.
di Simone Collini


Compiono tutti e due gli anni ma è Bersani a fare la festa al premier. Il leader del Pd interviene in aula per le dichiarazioni di voto e in una decina di minuti demolisce il favoloso mondo di Berlusconi, «l’epoca gloriosa del ghe pensi mi» che doveva portare crescita economica e ha invece prodotto maggiore disoccupazione, «i cinque punti di ribollita» che dovrebbero rilanciare l’azione di governo ma neanche lambiscono «l’Italia, quella vera», «le promesse che marciano sulla Salerno-Reggio Calabria» e le «rivendicazioni di un ruolo internazionale»: «Chieda il Nobel per la pace!», ironizza alla fine Bersani tra gli applausi dei deputati dell’opposizione. E Berlusconi per tutto il tempo annuisce ridendo, oppure scuote la testa, o sorride, dà di gomito al vicino di banco Tremonti e con le mani giunte fa come per dire: ma che va dicendo?
«Voi oggi mettete una fiducia per debolezza, perché nessuno vuole in mano il cerino acceso della crisi. Questa è la fiducia del cerino, parliamoci chiaro», attacca Bersani che ormai con i suoi ragiona su come prepararsi per un voto che potrebbe arrivare in primavera. E che anzi sfida la maggioranza a dire apertamente quello che il ministro leghista Maroni (col quale Bersani si ferma a parlare in Transatlantico) va dicendo riservatamente (nel caso specifico, ieri intercettato dai microfoni di La7, a Vendola), e cioè che tra sei mesi si andrà alle urne. «Non veniteci a dire che abbiamo paura delle elezioni, ve le siete rimesse in tasca voi le elezioni, non noi, attenzione», dice Bersani puntando il dito contro i banchi del centrodestra. «Oggi qui non si apre una pagina nuova, qui si comincia a chiudere una pagina vecchia. La pagina nuova la apriamo noi».
Berlusconi gesticola, Tremonti lo asseconda, Bersani va avanti. «Il Paese ha bisogno di fatti veri e non di propagande di miracoli. Mi spieghi il misterioso motivo per cui lei, signor presidente del Consiglio, non va a Napoli o non lo cita neanche. Io ci vado domani. Vogliamo andare insieme a vedere dove è il miracolo dei rifiuti? Vogliamo andare insieme a L’Aquila per vedere a che punto si trova il programma di ricostruzione? Adesso ci stiamo andando noi. Venga anche lei a farsi un giro».
PARADISI FISCALI DELLA POLITICA
Applausi di qua, contestazioni di là, e Berlusconi in mezzo seduto al banco del governo che si liscia la cravatta, sorride, si sistema il nodo alla gola, scuote la testa, sospira e non sta fermo un attimo. Bersani parla di «un sogno» che poi si è rivelato «una favola» che si è poi «dispersa in mille bolle di sapone». Attacca la Lega «volete spiegarmi per quale diavolo di motivo avete votato tutte le leggi che hanno favorito la cricca?» denuncia la compravendita dei parlamentari «i deputati vanno e vengono, viviamo nei paradisi fiscali della politica, le carriere sono al portatore, le leggi sono al portatore» e difende Fini («non si deve dimettere»)
incassando l’applauso anche di Italo Bocchino quando dice rivolto a Berlusconi: «Lei fa dire ai suoi telegiornali che è l’uomo del fare e non del teatrino della politica. Guardi, lei è l’impresario di questo teatrino qui. La politica da quindici anni sta facendo il girotondo attorno a lei, alle sue questioni, e se lei, come si è visto questa estate, indica con il dito un malcapitato, quello lì va alla gogna per colpe che a lei sarebbero, e sono, mille e diecimila volte perdonate».
Alla fine tutti i deputati Pd sono in piedi ad applaudire. Walter Veltroni (citato dal premier nel suo intervento) si avvicina al segretario per stringergli la mano. Berlusconi aspetta che si spengano gli applausi per ascoltare le dichiarazioni di voto di Fabrizio Cicchitto, al quale intanto il premier ha inviato qualche “pizzino” («Dì che è la Iervolino che non fa la raccolta differenziata»). Il capogruppo del Pdl comincia a parlare e il premier finalmente si rilassa sulla poltrona. Ma ormai è andata, e mentre Bersani più tardi si dice certo che «è stato meglio il mio compleanno del suo», Berlusconi confessa al capogruppo dell’Idv Massimo Donadi, che incrocia in aula: «Sto passando un compleanno di m...».

Repubblica 30.9.10
Il segretario parla di "fiducia del cerino". Casini: Berlusconi non faccia Alice nel paese delle meraviglie
Bersani attacca e scalda i Democratici "Dal premier 15 anni di favole, a casa"
di Giovanna Casadio


Anche Veltroni si complimenta col leader, poi riunisce "Movimento democratico"

ROMA «Un buon compleanno il mio, di certo meglio del suo. Comunque gli faccio gli auguri». Appena apprende i numeri della fiducia che consegnano Berlusconi nelle mani dei "futuristi" di Fini e dell´Mpa di Lombardo Pier Luigi Bersani ripete che sì, «qui si chiude una pagina vecchia». Quella nuova aveva concluso il suo intervento in aula la apriamo noi. I Democratici sono rinfrancati. Il segretario del Pd giudica il governo «ulteriormente indebolito, con una difficoltà vera ad andare avanti; articolato in quattro componenti che neppure sono riuscite a firmare la stessa mozione di fiducia», ma hanno avuto bisogno di presentarne quattro uguali. «Dovrebbero andarsene a casa. Questa è la fiducia del cerino acceso, perché nessuno di voi vuole rimanere con in mano il cerino della crisi. Berlusconi ha deciso di pattinare, galleggiare denuncia Andrà sempre peggio, non ci credono neanche loro, si apre un periodo di instabilità». Perciò, nel giorno del compleanno di entrambi 59 anni per Bersani, 74 per Berlusconi il leader democratico è soddisfatto.
Per lui standing ovation dei suoi, alla fine di un discorso che mira a smascherare il premier-illusionista. Concreto: «Sapete com´è messa la scuola? Quanti servizi salteranno per i tagli agli enti locali? C´è un paese in carne ed ossa...». Incalza, Bersani: «Lei fa dire ai tg che è l´uomo del fare e non del teatrino della politica, ma è l´impresario del teatrino della politica. Sono 15 anni che la politica fa girotondo intorno ai suoi affari. Invece di cinque punti di ribollita servono 3 punti (fisco, burocrazia, lavoro) da realizzare. Servono fatti, non propaganda». Con la propaganda, Berlusconi sembra essere pronto a chiedere «il Nobel per la pace». Lo applaude il capogruppo dei finiani, Italo Bocchino quando il segretario Pd difende Fini e accusa: «Se Berlusconi indica col dito un malcapitato, quello lì va alla gogna». E poi: «Viviamo nel paradiso fiscale della politica, i deputati vanno e vengono, le carriere sono al portatore». Veltroni, l´avversario interno, va a complimentarsi: «Ha svelato le illusioni di Berlusconi».
E se dai banchi del Pdl le contestazioni per Bersani sono contenute, poco prima l´emiciclo è esploso, si è diviso e svuotato per Di Pietro. Il leader di Idv pronuncia una requisitoria anti Berlusconi aspra: «Lei è uno stupratore della democrazia. Un pregiudicato illusionista; è bravo solo a comprare il consenso dei parlamentari; fa come il suo predecessore Nerone; sa fare dossieraggio e killeraggio; i suoi maestri sono quelli della massoneria deviata». Ingiurie che vanno fermate, gridano a Fini i deputati Pdl, battendo oggetti sugli scranni e lasciando l´aula. Il presidente della Camera interviene quattro volte; chiede a Di Pietro di usare un linguaggio «più consono». Ma a Berlusconi non basta. Perde la pazienza il premier e rivolto a Fini chiede di fermarlo. A gesti dà del matto a Di Pietro. L´ex pm non si scompone, però raccoglie gli applausi solo dell´Idv.
Lo attacca Casini l´ex alleato a cui Berlusconi volentieri avrebbe offerto l´agnello grasso purché tornasse da figliol prodigo nella maggioranza: «Lei non faccia Alice, non ci sono neppure le meraviglie. Questa giornata segna l´epilogo di una stagione di ricatti, dossier e odio». Un j´accuse sul «trasformismo cancro della democrazia». No alla fiducia annunciato anche da Tabacci per l´Api: «Lei ha galleggiato su Tangentopoli...». Per l´opposizione è però anche l´ora di essere pronti al "dopo Berlusconi". E ieri sera nasce il "Movimento democratico", la minoranza di Veltroni, Gentiloni, Fioroni. Oggi riunita Areadem. Nichi Vendola, il leader di Sel, in Trasatlantico commenta: «Berlusconi è la Vanna Marchi della politica». E Anna Finocchiaro a Repubblica tv definisce Berlusconi «imbarazzante e senza progetto». E non è nell´opposizione alla Di Pietro «ma nell´alternativa nel paese» che si costruisce la svolta.

l’Unità 30.9.10
La dichiarazione Onu dei diritti dell’uomo
Vecchie idee (ancora nuove) per la sinistra
di Francesco Lenci


Con fatica e con un senso di disperazione cerco di seguire la discussione che oggi si va svolgendo nel Pd e nella “sinistra” sulla necessità di “nuove idee”. Personalmente non
sento alcuna necessità di “nuove idee”. Ne ho presenti di “vecchie” (ma “come nuove”, forse perché poco o mai usate) che se costituissero patrimonio culturale e ideale da non tradire e fossero trasformate in guide di intervento non rinunciabili e non negoziabili permetterebbero di cambiare davvero il quadro politico di questo nostro povero Paese.
Mi limito a fare un paio di esempi di “idee vecchie”, prendendo come riferimento un testo che dovrebbe essere conosciuto da tutti: la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite del 1948 (la trovate su Internet all’indirizzo http://www. unhchr.ch/udhr/lang/itn.htm) i cui punti fondanti si trovano, chiarissimi, anche nella Costituzione della Repubblica italiana.
«Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza... (Art.1); ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione... (Art.18); ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; e ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà... (Art. 25); l’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi... (Art. 26)».
È troppo auspicare che chiunque pensi di poter “guidare” il Paese, qualunque sia la sua età anagrafica, consideri irrinunciabile e non negoziabile il non accettare mai, senza se e senza ma, forme di accanimento “istituzionale” e “popolare” a fare la guerra, non alla povertà, ma ai poveri, ad emarginare chi avrebbe bisogno di accoglienza, a praticare ottusamente intolleranza e fondamentalismo, a perseguitare immigrati alla ricerca disperata di fonti di sopravvivenza? È troppo chiedere che un lavoro dignitoso venga riconosciuto come un diritto inalienabile per ogni cittadino e che venga rifiutata un’organizzazione del lavoro che combina forme di “dispotismo” arrogante (“se vuoi lavorare, queste sono le condizioni”) a mantenimento di sacche di disoccupazione e sofferenza? È troppo augurarsi che abbiano fine le squallide querelles tra i vari Renzi e Veltroni e si cominci a lavorare per il bene comune?

l’Unità 30.9.10
Intervista a Ignazio Marino
«È a rischio l’incolumità delle persone tutelata dalla nostra Costituzione»
di Mariagrazia Gerina


Non è più questione di singoli casi. C’è una vera e propria emergenza, in Italia. Riguarda ciò che accade nelle sale parto. La commissione sull’efficienza del Servizio sanitario presieduta Ignazio Marino ha già aperto una inchiesta. Cosa sta succedendo nelle sale parto? «Il governo dice che il parto in Italia è un evento sicuro. Ma è egualmente sicuro in ogni luogo del paese? La risposta è no. La mortalità materna al momento del parto varia dal 3,9 per centomila delle strutture d’eccellenza del Nord fino a un massimo di 22 per centomila in Sicilia. Se c’è una parte d’Italia dove il rischio è sei volte superiore, qualcosa non va. E siccome qui è “a rischio l’incolumità delle persone”, secondo il titolo V della Costituzione, il governo ha il dovere di intervenire in sostituzione».
Ma l’ultimo episodio si è verificato a Bergamo. «È chiaro che l’attenzione deve essere alta su tutto il territorio. Ma i numeri dicono che la situazione è molto più grave nel Sud, per mortalità al momento del parto che per numero di cesarei. Erano il 10% nel 1980, oggi è il 39%, tre volte di più del teto fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità al 13,7%. Nel cesareo il rischio è tre volte superiore: va eseguito se necessario, altrimenti no».
Una decisione delicata. Ma come è possibile che si litighi in sala parto? «Una lite non dovrebbe mai esplodere in un luogo di cura. Su Bergamo, per ora, abbiamo solo le notizie di stampa. Ma a Messina, invece, abbiamo documentazione che sia andata proprio così. E certo chi non è in grado di concentrarsi sul paziente dovrebbe stare lontano dai luoghi di cura. C’è un punto di metodo però. È normale che la donna al momento del parto voglia avere al proprio fianco il ginecolo che l’ha seguita. Però spesso il medico di guardia è un altro. In Toscana questo problema è stato risolto: il medico di fiducia può assistere la donna ma indossa un camice di carta per ribadire anche simbolicamente che la responsabilità è del medico di guardia. Al Sud ci si mette d’accordo e non sempre funziona. Un numero dà l’idea di quanto sia importante la professionalità del medico. In Campania il 62% dei parti sono cesarei. Però quel numero che è il più alto d’Italia, a Castellammare scende al 16,6%. In passato era al 53% anche lì».
Per altri interventi si può anche decidere di operarsi altrove. Ma di solito si partorisce nel posto più vicino. «Questo è un punto critico. La nostra rete dei punti nascita è stata disegnata negli anni del baby boom. Ed è capillare. Nel frattempo sono diminuiti i parti ed è cambiata la percentuale di donne che partoriscono dopo i 35 anni (meno del 10% prima dell’80, oggi oltre il 30%). Molti punti nascita oggi andrebbero chiusi. Almeno quelli con meno di 500 parti l’anno. Lo ha stabilito il ministero nel 2000. Meglio percorrere venti chilometri di più ma partorire in un luogo si è garantita maggiore sicurezza alla madre e al nascituro».

l’Unità 30.9.10
La protesta dell’Europa sociale
Sciopero e scontri in Spagna
Migliaia di lavoratori europei in corteo a Bruxelles contro le misure di austerity varate dai governi Tafferugli a Madrid e Barcellona, Grecia di nuovo paralizzata. La Cgil in piazza a Roma
Migliaia in piazza a Bruxelles, sciopero in Spagna, il primo dell’era Zapatero. Scontri con la polizia: 30 feriti, 80 fermati, auto e megozi presi a sassate. A Roma, Epifani chiede un «cambiamento della politica».
di Laura Matteucci


Decine di voli cancellati, servizi minimi per treni, metrò, autobus, ospedali e scuole, traffico stradale interrotto dai picchetti: la Spagna gira al rallentatore nella giornata del primo sciopero generale del governo Zapatero, nel giorno della mobilitazione indetta dalla Confederazione europea dei sindacati (Ces) contro le misure anti-crisi introdotte dai governi, e per rivendicare misure in favore del lavoro e della giustizia sociale. Centommila persone da 30 Paesi diversi, soprattutto belgi, tedeschi e francesi, ma anche polacchi e slovacchi, si sono riversate oggi nelle strade di Bruxelles al suono delle «vuvuzela». La marcia era aperta simbolicamente da falsi «businessman» con manifesti dell’« Associazione europea imprese fraudolente» e dell’«Unione europea degli speculatori». «I lavoratori spiega il segretario generale della Ces John Monks hanno un messaggio chiaro per i dirigenti dell’Europa: siete ancora in tempo a cambiare strada. Perchè questi piani avranno un effetto disastroso sulle persone e sull’economia».
Protesta anche a Roma, con la Cgil (ma non Cisl e Uil) in piazza e il leader Gulielmo Epifani che lancia l’affondo contro il governo: «Con un esecutivo che affronta la crisi attaccando i diritti, lasciando solo il Mezzogiorno, non affrontando i problemi della competitività, non ci può essere nessun patto per la crescita del Paese, che reclama invece un cambio radicale delle politiche», scandisce. «Il patto sociale presuppone la condivisione delle scelte continua Io chiedo un radicale cambiamento delle politiche. Ecco perchè questo rende non possibile un patto sociale con tutti, mentre è possibile un cammino su singoli temi nell’interesse dei lavoratori».
FERITI E FERMATI
In Spagna, intanto, la protesta promossa dai sindacati Ugt e Ccoo attacca la riforma del mercato del lavoro, che diminuisce le indennità di licenziamento, congela le pensioni e gli stipendi pubblici. Le manifestazioni più importanti a Madrid e Barcellona, teatri anche di disordini, scontri con la polizia, con un bilancio di una trentina di feriti e 80 arresti, auto e negozi presi a sassate. Lo sciopero generale è arrivato alla vigilia della presentazione in Parlamento della Finanziaria per il 2011, in un Paese strangolato dal debito e dove il tasso di disoccupazione è al 20%, il più alto dell’Ue.
Manifestazioni e scioperi di trasporti e personale sanitario ospedaliero hanno creato molti disagi anche in Grecia. Ad Atene si sono fermati i mezzi pubblici, in tutto il paese hanno incrociato le braccia i ferrovieri. In sciopero anche i medici ospedalieri, cui si aggiunge la mobilitazione dei farmacisti contro i piani del governo di liberalizzazione.
Le proteste giungono mentre il paese si trova alle prese con il blocco degli autotrasportatori, che ha lasciato vuoti i supermercati delle principali città e isole. La Grecia deve ottemperare agli obblighi di austerity e riforme economiche imposte dall’Unione e dal Fondo Monetario internazionale in cambio di un megaprestito di 110 miliardi, che ha per ora evitato al Paese la bancarotta.

il Fatto (da The Guardian) 30.9.10
Rosa è il colore della rivoluzione
Carcere, torture e calunnie contro la rete delle attiviste iraniane
il Movimento Verde nato dopo il voto del 2009 ha messo al centro della protesta i diritti delle donne
di Peter Beaumont e Saeed Kamali Dehghan


Shahrzad Kariman è riuscita finalmente a vedere sua figlia Shiva Nazar Ahari per pochi minuti nel Tribunale di Teheran dove la 26enne attivista dei diritti umani era stata condotta per essere processata. “L’abbiamo appena vista”, ha detto Kariman. “Solo il tempo di abbracciarla. Ma non abbiamo nemmeno potuto chiederle come era andato il processo”.
I capi d’imputazione sono gravissimi per l’Iran: muharebeh (guerra contro Dio). In teoria un reato punibile con la pena capitale, mai contestato prima ai dissidenti politici. Ma l’accusa forse più grave – negata sia dalla sua famiglia che dalla sua organizzazione – è quella di collusione con il gruppo Mujaheddin-e Khalq ritenuto dal regime un’organizzazione terroristica. Secondo la sua famiglia Shiva Nazar Ahari condanna questo gruppo e il terrorismo. Arrestata due volte dopo le elezioni del giugno 2009 e detenuta nella famigerata prigione di Evin, Nazar Ahari, dal dicembre scorso non ha potuto comunicare con l’esterno.
I loro volti visti da mezzo mondo
ASSIEME A LEI è stata arrestata Mahboubeh Abbasgholizadeh, attivista e cineasta che successivamente è riuscita a lasciare il Paese ed è stata condannata in contumacia a due anni e mezzo di reclusione. Nei 15 mesi trascorsi dalle elezioni-truffa, i volti di queste e di altre donne sono stati visti in tutto il mondo. Accanto ai loro ci sono i volti delle donne morte, come Neda Agha-Soltan, assassinata il 20 giugno 2009 durante una manifestazione di protesta. Oltre alle attiviste, altre donne iraniane sono diventate tristemente famose per-
ché minacciate di essere giustiziate. Emblematico il caso di Sakineh Ashtiani, la 43enne madre di due figli condannata alla lapidazione per adulterio. È semplice la ragione per cui c’è uno stretto legame tra le donne che si battono per i diritti e Sakineh Ashtiani. Le loro storie riflettono aspetti diversi della tragedia iraniana: il ruolo delle donne e la reazione del regime pronto ad accusarle dei reati più inverosimili e a processarle senza garanzie.
Una cosa è certa: il Movimento Verde nato sull’onda delle elezioni del 2009 ha messo al centro della sua protesta i diritti delle donne. La dottoressa Ziba Mir-Hosseini, un’attivista che vive e insegna a Cambridge, sostiene che, considerata la storia dei diritti delle donne in Iran, era inevitabile che le donne fossero in prima linea nella lotta tra “dispotismo e democrazia. È una tensione esacerbata dal contraddittorio atteggiamento della Rivoluzione islamica del 1979 nei confronti dei diritti politici delle donne. Le leggi sulla parità di diritti in seno alla famiglia e in materia di divorzio introdotte dallo scià, furono abrogate dopo la sua caduta. La Rivoluzione islamica permise alle donne di continuare a votare, ma gradualmente tolse loro diritti con il pretesto di difendere il loro onore’”. “Mohammad Khatami durante gli 8 anni di presidenza e di governo riformista istituì un ‘Centro per la partecipazione femminile’ grazie al quale il numero delle Ong femminili passò in Iran da 45 a oltre 500”, aggiunge Ziba Mir-Hoseini. “E si andò affermando nelle giovani generazioni il femminismo, parola che nei primi anni ’80 non poteva essere nemmeno bisbigliata. Nel 2006, un anno dopo l’elezione di Ahmadinejad, sebbene la campagna tutta al femminile “Un milione di firme” fosse riuscita a bloccare temporaneamente la riforma del diritto di famiglia voluta dal nuovo presidente che avrebbe reso la poligamia più facile per gli uomini e il divorzio più difficile per le donne, il ruolo sempre più attivo delle donne nelle manifestazioni di protesta finì per mettere le attiviste in rotta di collisione con i falchi del governo.
“Le donne erano in prima fila ed è anche per questo che tra i principali obiettivi del governo c’è l’attacco ai diritti delle donne”, dice Maryam Namazie dell’organizzazione ‘Solidarietà con l’Iran’.
Ma, con l’eccezione del premio Nobel Shirin Ebadi, l’attivismo delle donne in Iran era praticamente ignorato dagli organi di informazione internazionali prima del 2009. Poi c’è stato il cosiddetto “effetto Neda” e il mondo ha cominciato a occuparsi delle donne che in Iran si battono per la democrazia. Un ultimo elemento è la condanna a morte per lapidazione di Sakineh. La vicenda ha dimostrato al mondo quanto le attiviste iraniane andavano dicendo da tempo, vale a dire che era in atto il tentativo di azzerare completamente i diritti delle donne.
Arrestata a luglio 2009 mentre stava andando all’Università di Teheran, Shadi Sadr, avvocato, è stata rinchiusa nel carcere di Evin in isolamento e interrogata sulle attività dei movimenti femminili e sulle elezioni per poi essere incriminata di attentato alla sicurezza nazionale. Due giorni dopo l’inizio del processo Shadi Sadr è fuggita in Turchia. Parlando Shadi Sadr dice: “Non mi è mai stato permesso di vedere Shiva. Poi sono stata arrestata e, per ironia del destino, sono finita nella stessa cella dove era stata rinchiusa. Sul muro della cella c’erano ancora i messaggi scritti di suo pugno. Un avvocato e la sua cliente nella stessa cella. Una cosa impensabile. Non mi era stato permesso di ascoltare cosa aveva da dire, ma l’ho letto sul muro della cella. L’arresto di Shiva e in particolare l’accusa di muharebeh, sono un messaggio chiaro alle attiviste: smettetela se non volete essere uccise”.
Le vicende di Shadi Sadr, Shiva Nazar Ahari e Mahboubeh Abbasgholizadeh sono quanto mai istruttive. I loro casi sono stati utilizzati come pretesto per smantellare il movimento dei diritti delle donne e per ridurre al silenzio le donne agitando la questione della sicurezza nazionale. Il regime ha parlato di legami con il “terrorismo” o di collaborazione con Paesi stranieri allo scopo. Lo scopo, dice Parisa Kakaee, veterana del movimento dei diritti delle donne, è quello d’offrire alle attiviste 3 alternative: “Stare zitte, andare in prigione o lasciare il Paese”.
Sempre meno, e meno libere
IL MESE SCORSO è stata la volta di Nasrin Sotoudeh, 45 anni, avvocata e collega di Shirin Ebadi che nella sua carriera ha difeso molte attiviste. Nasrin è stata avvicinata da agenti dei servizi e minacciata di essere arrestata se avesse continuato a patrocinare la premio Nobel che è riuscita a lasciare il Paese un giorno prima delle elezioni. Qualche giorno dopo Nasrin Sotoudeh è stata arrestata.
Commentando il suo arresto, Shirin Ebadi dice: “La sola ragione per cui è stata arrestata è perché difende senza paura le attiviste incriminate per la loro azione politica. Dopo le elezioni si è intensificata l’azione di intimidazione nei confronti degli avvocati, in particolare delle donne. Molte sono state costrette a lasciare l’Iran e alcune sono in prigione. Nasrin era tra le poche avvocate e attiviste ancora a piede libero”. Shirin Ebadi è sicura delle ragioni per cui il regime ha paura delle donne: “Ricordate bene le mie parole: saranno le donne a portare la democrazia in Iran”.
Copyright The Guardian Traduzione di Carlo Antonio Biscotto

Repubblica 30.9.10
Un saggio sulle rivoluzioni grafiche da Diocleziano a Gutenberg
Come la scrittura cambiò il mondo
Il modo di confezionare i libri era spesso il risultato di giochi di potere
di Agostino Paravicini Bagliani


Più di cinquecento anni fa, l´invenzione della stampa ad opera di Gutenberg inaugurò una fase nuova nella storia della cultura occidentale, sostituendo al libro manoscritto, di per sé unico, la possibilità di riprodurre un libro simultaneamente per un numero di copie potenzialmente illimitato. La stampa con caratteri mobili aveva così posto le premesse di una sempre maggiore democratizzazione del sapere. Nei secoli precedenti, il libro e la scrittura erano stati monopolio delle classi sociali elevate, religiose e aristocratiche, e persino le forme grafiche di scrittura erano il risultato di giochi di potere. È questa una delle linee di fondo dell´aggiornata e brillante storia delle scritture antiche e medievali a cura di Paolo Cherubini e di Alessandro Pratesi (Paleografia latina. L´avventura grafica del mondo occidentale, Scuola Vaticana di Paleografia, pagg. 785, euro 50).
Già il III secolo aveva conosciuto una rivoluzione grafica con la nascita di una scrittura latina vergata con lettere minuscole. La nascita del doppio binario grafico, maiuscolo e minuscolo, di cui ci serviamo ancora oggi aveva cause sociali e politiche. Nell´impero di Diocleziano, l´alfabetizzazione aveva raggiunto tassi elevatissimi, esigendo forme di scrittura capaci di assicurare una maggiore leggibilità.
L´alta cultura classica e la religione cristiana che si stava sempre più affermando volevano però disporre anche di libri di prestigio, un desiderio così profondo da far nascere una nuova scrittura, l´onciale, che per cinque secoli (dal quarto al nono) fu il principale vettore della nuova cristianità, da Costantinopoli alla Spagna, dall´Egitto all´Inghilterra. I codici che Gregorio Magno (590-604) affidò al monaco Agostino quando lo inviò in Inghilterra per convertire gli Angli erano stupendi codici scritti in onciale.
Gregorio Magno viveva in una nuova Europa, governata dai Visigoti in Spagna, dai Longobardi in Italia, dai Franchi in Gallia. In questa Europa, nata dalle spoglie dell´Impero romano, l´uniforme scrittura minuscola latina finì per lasciare il passo a scritture nazionali, insulari (Irlanda, Inghilterra), merovingiche, visogotiche e così via.
Intorno all´anno 800, l´affermazione dell´impero di Carlomagno produsse una nuova uniformizzazione della scrittura. Il rinnovamento degli studi voluto dal nuovo imperatore aveva bisogno di un supporto grafico chiaro, ordinato, elegante, per diffondere gli autori classici e le imponenti glosse dei loro commentatori oltre che la letteratura biblica e cristiana. Non a caso, a creare la scrittura carolina fu il consigliere culturale di Carlomagno, il monaco Alcuino, uno dei più alti intellettuali dell´epoca.
Anche le università di Bologna e di Parigi dominarono per almeno due secoli il panorama grafico europeo, imponendo una nuova scrittura, la minuscola gotica, capace di accelerare la lettura di testi sempre più numerosi (sono ben più di 13.000 gli autori medievali stando al recente repertorio – Bislam – pubblicato dalle Edizioni del Galluzzo www.sismel.it), grazie anche alle numerose abbreviazioni, veri e propri ideogrammi indispensabili a una rapida assimilazione mnemonica. Insomma, anche le forme grafiche di scrittura hanno contribuito a costruire negli ultimi secoli del Medioevo un´Europa universitaria omogenea.
Verso la metà del Trecento, Petrarca, Boccaccio ed altri preumanisti si dissero però insoddisfatti delle litterae scholasticae, perché troppo ricercate e poco leggibili, e incominciarono a sognare una scrittura più adatta a sostenere la nuova cultura cui aspiravano. La realizzazione di questo sogno avverrà all´inizio del Quattrocento a Firenze, per opera di uno dei primi umanisti, Poggio Bracciolini, il quale, nel tentare di ritrovare la scrittura dell´antichità romana creò la scrittura umanistica che è di fatto un´imitazione geniale della carolina del dodicesimo secolo... Come già la riforma scolastica di Carlomagno o le nascenti università medievali, anche l´umanesimo ebbe dunque bisogno di un supporto grafico uniforme quale veicolo di comunicazione di profonde idealità culturali.

Repubblica 30.9.10
Marilyn quella bambina che guarda nell'abisso
Così Norma Jeane sognava di essere una farfalla
di Antonio Tabucchi


Anticipiamo un brano dello scrittore che introduce le riflessioni inedite dell´attrice americana
Questi testi rivelano l´altra faccia della luna C´è l´anima di una donna colta e poetica

Se fosse un film sarebbe un flashback. Si vedrebbe una bambina dal viso dolce e gli occhi grandi che si chiama Norma Jeane, indossa una calzamaglia con due alucce trasparenti sulle spalle che la fa sembrare una creatura uscita dal mondo di Peter Pan, cammina su un cavo teso in alto, molto in alto, come un´acrobata, con le braccia che fanno da bilanciere, avanza in precario equilibrio, eppure sembra sicura di sé, con la sicurezza inconsapevole dei sonnambuli. Ma non dorme, è ben sveglia; che strano, non è un cavo d´acciaio, l´obiettivo si avvicina, è un filo di seta che oscilla pericolosamente nell´aria. Come può un filo così sottile reggere una bambina sospesa nel vuoto?
La bambina guarda in basso, verso l´abisso. Da una parte, c´è una casetta modesta a cui il misterioso regista del film ha fatto togliere il tetto affinché si possa vedere l´interno come nelle maquettes delle agenzie immobiliari.Dentro c´è una donna dall´aria disperata, indossa una vestaglia, ha una bottiglia di liquore sul comodino, il letto è disfatto, accanto a lei c´è un marinaio dall´aria rozza che ride, ma senza che si possa udire, e che tende le mani verso la bambina per afferrarla. Ha braccia mostruosamente lunghe, anzi, che si stanno allungando fino a sfiorare i piedi della bambina. Ma lei avanza senza paura e guarda dall´altra parte del filo, verso la parete di un grattacielo di New York; allora appoggia i gomiti nell´aria come se si affacciasse a un balcone. In fondo all´abisso, sul marciapiede di una strada percorsa dalle automobili, c´è una folla che la invoca con ampi gesti, la acclama, tende le braccia verso di lei, e tutte quelle braccia di tutta quella folla cominciano ad allungarsi mostruosamente fino a sfiorarle i piedi. La vogliono, la reclamano, urlano. Ma si vedono solo bocche spalancate, perché il film è muto e in bianco e nero. Da quale parte scendere?
A questo punto nel film irrompe una voce off. Viene dalla bambina, ma lei non apre bocca: dolce e un po´ nasale, infantile ma adulta, sembra implorare la vita di guidare i suoi passi.

Vita –
Ho in me entrambe le tue direzioni
Restando come appesa all´ingiù
più spesso
ma forte come la tela di un ragno al
vento – esisto di più nella fredda brina scintillante.
Ma i miei raggi perlati hanno i colori che ho
visto in un quadro – ah vita ti hanno
imbrogliata

La voce off sta recitando una poesia di Marilyn Monroe. Non è più un flashback, è un flashforward. Non è più un film, è la vita vera, siamo a questo libro. Un libro che ci rivela a posteriori una personalità intellettuale e artistica che i più non potevano sospettare, neppure i biografi e gli esegeti più attenti. I documenti che questo volume ci consegna rivelano un´altra Marilyn rispetto all´immagine che il cinema ha lasciato di lei: un´immagine in cui prevale, al di là di quella di registi come Huston e Hathaway che l´hanno chiamata per ruoli complessi come la sua personalità meritava, la figura di una bellissima donna bionda, all´occorrenza candida, o comunque dotata di un´intelligenza che non disturbi l´intelligenza maschile, una donna affascinante, quella del cinema, affascinante e nata con la funzione di sedurre gli uomini: la donna che ogni uomo sognerebbe di avere soprattutto "quando la moglie è in vacanza".
Questo libro è l´altra faccia della luna, e tuttavia non nega l´immagine-icona della Marilyn cinematografica, quel meraviglioso naturale involucro del quale la natura dotò Marilyn, anzi lo anima di un´energia incredibile. Dentro quel corpo, che in certi momenti della sua vita Marilyn portò come si porta una valigia, viveva l´anima di un´intellettuale e di un poeta che nessuno sospettava.
Come sarebbe stata la storia se Marilyn, invece di avere quella straordinaria bellezza che la rese celebre per il cinema, fosse stata una donna dall´aspetto comune? Avrebbe pubblicato in vita quello che noi leggiamo ora e probabilmente si sarebbe suicidata come si è suicidata Sylvia Plath. E forse si sarebbe detto che come Sylvia Plath si era suicidata perché era troppo sensibile e troppo intelligente, e le persone troppo sensibili e troppo intelligenti soffrono di più delle persone poco sensibili e poco intelligenti e tendenzialmente si suicidano (questo lo sostengono gli psichiatri e le statistiche). Se le persone scarsamente sensibili e intelligenti tendono a far del male agli altri, le persone troppo sensibili e troppo intelligenti tendono a fare del male a se stesse: chi è troppo sensibile e intelligente conosce i rischi che comporta la complessità di ciò che la vita sceglie per noi o ci consente di scegliere, è consapevole della pluralità di cui siamo fatti non solo con una natura doppia, ma tripla, quadrupla, con le mille ipotesi dell´esistenza.
Questo è il grande problema di coloro che sentono troppo e capiscono troppo: che potremmo essere tante cose, ma la vita è una sola e ci obbliga a essere solo una cosa, quella che gli altri pensano che noi siamo.
***
Idolo nel senso etimologico della parola (greco eidolon, il doppio "aereo" di un vero corpo), Marilyn sembra fuori da se stessa, o accanto a se stessa, come se avesse un´aura a lei identica ma imprendibile, e lei coincidesse più con quest´aura che con il suo corpo.
Una donna di una carnalità così gioiosa, con un doppio fatto d´aria per la malinconia. È mai possibile?
Siamo sulla spiaggia di Long Island. È il 1949, e André de Dienes la sta fotografando. È la fine della seduta fotografica, Marilyn per tutto il pomeriggio ha prestato il suo corpo all´obiettivo, ora stanno parlando, come si può parlare sulla spiaggia: ipotesi, sciocchezze, cose astruse, altre vite possibili dopo questa vita terrena. Tutti noi, lo ricordiamo, una volta abbiamo parlato di cose così, d´estate, sulla spiaggia, cose tipo reincarnazioni ed altre metafisiche tascabili. All´improvviso Marilyn ha un´idea. È allo stesso tempo una premonizione e una inconsapevole presa di coscienza, come può succedere solo a coloro che riescono a vedersi dal di fuori. Sibilla di se stessa, Marilyn si vede come farfalla: «Un giorno, mentre la stavo fotografando, ci avventurammo in una lunga discussione sulla reincarnazione. Eravamo all´aperto, sotto un bel cielo dove correvano le nuvole. Marilyn era contenta e rideva. Mi confessò che nella sua prossima vita avrebbe voluto essere una farfalla. Inseguendo le nuvole le dissi: "Guarda, Norma Jeane, intorno a noi c´è una forma di reincarnazione palese. Una buona parte del nostro corpo è fatta di acqua. Quando moriamo, quest´acqua evapora e si trasforma in nuvole. Le nuvole diventano pioggia e la pioggia fertilizza la terra, dove crescono le piante che gli animali e gli uomini mangeranno. È così che il ciclo della vita si ripete di continuo". Marilyn mi rispose: "Vuoi che diventi una nuvola? E allora fotografala!". Spalancando le braccia mi corse incontro, il viso rivolto al cielo, i capelli al vento...». (André de Dienes, Marilyn, Taschen, 2004).
Marilyn non è solo un mito o un´icona (pare che l´immagine del suo volto sia conosciuta nel mondo quanto La Gioconda di Leonardo). Forse, mentre André de Dienes la sta fotografando Marilyn ha visto la propria "essenza", e ha pensato di offrirla all´obiettivo. Ma l´aura non può restare impressa nella pellicola, sarebbe come fotografare una cefalea – e infatti André de Dienes cercherà di fare un montaggio infilando Marilyn fra le nuvole.
Marilyn non lo sa, ma il suo è già un commiato, quasi una psicoanalisi "selvaggia" di se stessa, il desiderio di staccarsi dalla vita corporea per volare come farfalla verso il suo Nonsodove. Sta guardando il suo Phantasma. (...)
© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano
© Antonio Tabucchi 2010

mercoledì 29 settembre 2010

l’Unità 29.9.10
Bersani attacca: «È corruzione la compravendita di deputati»
«Se uno promette la rinomina o comunque uno stipendio è corruzione, roba da magistratura», dice Bersani. Per il quale il ricorso al voto di fiducia è «segno di debolezza e paura»: «È una crisi non rimediabile».
di Simone Collini


«Corruzione». Per Pier Luigi Bersani c’è poco da scherzare sulla compravendita di parlamentari, c’è poco da ironizzare sul fatto che a Berlusconi questa faccenda sarà costata più della campagna acquisti del Milan, come si fa in qualche capannello che si forma e si disfa in Transatlantico aspettando il voto di oggi. «È in corso un’operazione che prelude all’ipotesi del governo Berlusconi-Bossi-Cuffaro», dice il leader del Pd attaccando l’asse Pdl-Lega a cui si vanno ad aggiungere i transfughi siciliani dell’Udc. «Ma poi sono in corso altre manovre, già successe in passato e che si ripetono», aggiunge Bersani parlando della compravendita di cui si parla sui giornali: «Se uno promette la rinomina o comunque uno stipendio è corruzione, roba da magistratura». Parole dure, che preannunciano per oggi un intervento in aula tutto all’attacco.
Sarà Bersani a prendere in aula la parola per le dichiarazioni di voto. Il leader del Pd dirà che il governo ha «fallito» da qualunque punto di vista lo si guardi farà riferimento all’incapacità di far fronte alla crisi economica, al «più grande licenziamento di massa» ai danni dei precari della scuola, allo «scandalo» dell’assenza di un ministro dello Sviluppo e alle leggi ad personam nel campo giustizia chiederà a Berlusconi di farsi da parte e lasciare che sia il Quirinale a decidere gli ulteriori passi: «La maggioranza è in crisi politica, una crisi non rimediabile che può preludere a tentativi di aggiustamenti poco credibili. Ma il paese non ha tempo di aspettare. Il governo prenda atto della crisi, se ne vada e si rimetta alle decisioni del Capo dello Stato».
Bersani ha riunito nel suo ufficio alla Camera una sorta di cabina di regia pre-crisi: la presidente del Pd Rosy Bindi, i capigruppo di Camera e Senato Dario Franceschini e Anna Finocchiaro, il vicesegretario Enrico Letta e il coordinatore della segreteria Maurizio Migliavacca. E l’esortazione ai vertici del suo partito è stata questa: «Dobbiamo stare pronti in caso di caduta».
FIDUCIA COME DEBOLEZZA
Ma nel Pd non si fanno troppe illusioni su come finirà oggi. Se da un lato Bersani dice che l’aver posto la fiducia «è un evidente segno di debolezza e paura» da parte di Berlusconi («perché uno si fa un recinto, se non perché ha paura?») dall’altro questa mossa consente al premier di mettere i finiani di fronte a un aut-aut complicato: votare la fiducia o prendersi la responsabilità della crisi, con quel che comporta di penalizzante in caso di elezioni anticipate. Per questo nella riunione serale che Bersani fa con i deputati del Pd si fanno calcoli che non lasciano ben sperare, in nessun caso. Oggi, spiega di fronte al gruppo il “mago dei numeri” Rolando Nannicini, il governo potrebbe incassare la fiducia con circa 350 sì, compresi i 35 di Futuro e libertà e i 5 dell’Mpa. Una situazione negativa, perché il governo avrebbe i numeri per andare avanti ma senza avere veramente una maggioranza politica che gli consenta di governare. Dice Anna Finocchiaro: «Mi chiedo che valore possa avere il via libera che la Camera potrebbe dare a Berlusconi quando gli italiani ormai sanno, con tutta evidenza, che una parte dei quei voti è figlio indecente di una compravendita, con moneta sonante, delle coscienze e del voto di alcuni parlamentari».
Durante la riunione dei deputati Pd si è parlato anche della disponibilità annunciata da Calearo di votare sì («se il discorso di Berlusconi che ascolterò domani mi convincerà gli darò il mio appoggio»). Una decisione che ha generato non poca irritazione tra le fila del Pd. Tant’è che lo stesso Veltroni, che alle politiche decise di candidarlo capolista nel Veneto, per poi vederlo passare con l’Api, fa sapere di averci parlato e di avergli ricordato «l’impegno da lui assunto a sostegno del centrosinistra e in opposizione al centrodestra». Dice Veltroni: «Calearo, pur ribadendo le ragioni di un disagio politico, mi ha confermato nettamente la sua volontà di attenersi all’impegno assunto davanti agli elettori. Sono certo che sarà coerente con se stesso». Bersani a sera conferma il pressing, rispondendo così ai cronisti che gli chiedono cosa pensi del fatto che Calearo votare la fiducia a Berlusconi: «Vediamo se lo farà. Finché le cose non succedono, è meglio non darle per fatte».

il Fatto 29.9.10
“Gli intellettuali sono assopiti, è l’ora della sveglia”
Flores D’Arcais: due manifestazioni per scelta del Popolo viola. In piazza per difendere libertà e costituzione


Sta per arrivare un     autunno caldo e denso di manifestazioni. Separate. Le piazze contro Berlusconi e il governo, infatti, saranno due: una sabato, quando si mobiliterà il Popolo viola, l’altra il 16 ottobre, che vedrà marciare insieme la Fiom e la società civile. Quest’ultima è stata lanciata dalla colonne di MicroMega da Paolo Flores d’Arcais, Andrea Camilleri, Margherita Hack e don Gallo.
Professore, due manifestazioni danno la pessima impressione di un’opposizione sfasciata.
Prima di agosto in un editoriale su Il Fatto quotidiano avevo espresso la necessità che la società civile tornasse in piazza “al più presto”. In meno di un paio di settimane siamo riusciti con Camilleri, la Hack e don Gallo a metterci in comunicazione, concordare un testo e lanciare un appello per una giornata che non fosse la ripetizione del “No B. Day” ma andasse oltre, e proponevamo 5 “parole d'ordine”.
Quali?
Fuori Berlusconi, realizziamo la Costituzione, via i criminali dal potere, restituire le televisioni al pluralismo ed elezioni democratiche.
Poi che è successo?
La data non era definita. Dicevamo “al più presto”, se possibile addirittura a fine settembre. Quest’appello, pubblica-
to sul sito di MicroMega e su quello del Fatto Quotidiano, in due o tre giorni ha raccolto 25 mila adesioni oltre a una quantità di associazioni, Popolo viola e personalità, tra i primi Antonio Tabucchi e Fiorella Mannoia. Ai quali si sono aggiunti Sabina Guzzanti, Ascanio Celestini, Moni Ovadia, Corrado Stajano, Luigi De Magistris, Gianni Vattimo, Sonia Alfano e molti altri.
Poi le cose sono cambiate.
Nel frattempo la pagina viola nazionale aveva lanciato dal suo sito il “No B. day bis” e tra varie tendenze viola erano iniziati scambi di accuse feroci. Per questa ragione noi quattro promotori pubblicammo su Il Fatto quotidiano un articolo in cui dicevamo che “due manifestazioni sarebbero meno di zero: un regalo a Berlusconi” e invitavamo tutte le realtà che volevano quel giorno manifestare a realizzare la giornata insieme. Ma non ci siete riusciti.
La pagina viola nazionale ha tenacemente voluto fare il suo “No B. day bis” rinfocolando la polemica con tutti gli altri gruppi – se non capisco male dai loro siti le tendenze viola che si scontrano sembrano addirittura quattro – comunque a qualsiasi manifestazione contro Berlusconi, anche se guastata dal settarismo, si fanno i migliori auguri.
Quindi avete scelto il 16 ottobre, con la Fiom. Quello che abbiamo definito “settarismo autoreferenziale” stava distruggendo la giornata del 2 ottobre. Per fortuna sono intervenuti due fatti nuovi: uno “soggettivo”, cioè il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini e i maggiori dirigenti regionali avevano aderito al nostro appello con tutta la radicalità politica che conteneva. Un secondo “oggettivo”: l’offensiva anticostituzionale e antioperaia di Marchionne a Pomigliano era diventata la linea di Federmeccanica e di Confindustria, col sostegno smaccato del governo. A quel punto ci è sembrato logico e doveroso impegnare tutte le nostre energie perché la giornata del 16 attorno alla Fiom diventi “una indimenticabile giornata di passione di civile”.
La borghesia scende in piazza con gli operai. Significa essere rimasti fermi agli anni ‘70 o ci sono nuove necessità?
I diritti civili e i diritti sociali sono due facce della stessa medaglia. Il fatto che oggi per una serie di circostanze la Fiom autonomamente indica una manifestazione non solo sui temi sindacali, ma sui diritti in generale, e che la società civile dei “ceti medi riflessivi” e dei giovani del Web autonomamente, mantenendo le parole d’ordine del nostro appello, si organizzi per fare sinergia con la manifestazione dei lavoratori metalmeccanici, da sempre punta avanzata dello schieramento sindacale, mi sembra apra una prospettiva nuova e positiva, spero entusiasmante per un radicale rinnovamento della vita civile del paese. Allora perché non scendere in piazza con i precari? L’obiettivo del nostro appello è di coinvolgere tutte le situazioni di lotta sociale, di protesta e di rivolta morale. Dai precari della scuola e della ricerca, alle manifestazioni anti ‘ndrangheta della Calabria. L’elenco, che non continuo, è lungo perché sono moltissime le situazioni di disagio nonostante la tv le censuri sistematicamente.
Siete riusciti a mettere insieme gli anticlericali dell’associazione “Giordano Bruno” con i cattolici. C’è la partecipazione inedita di un mondo cattolico di base in evidente rotta di collisione con il fiancheggiamento ruiniano al regime. Ci saranno don Enzo Mazzi, don Paolo Farinella, don Franco Barbero, don Ferdinando Sudati, don Walter Fiocchi, e altri esponenti del mondo cattolico a partire dall’agenzia Adista.
Le adesioni di personalità si notano ma il mondo intellettuale non le sembra ancora un po’ assopito? Penso che di fronte alla volontà dichiarata di Berlusconi di assassinare la Costituzione, in effetti la sollevazione morale e politica degli intellettuali dovrebbe essere unanime, attiva e intransigente. Gli intellettuali sono due volte privilegiati perché hanno scelto liberamente il lavoro che fanno, cosa che capita solo ai manager e ai preti, e perché hanno il privilegio inestimabile della voce pubblica, di essere ascoltati. Ecco perché credo abbiano il dovere stringente di impegnar-
si personalmente. È ormai una battaglia finale in difesa delle libertà più elementari. Ho l’impressione che questo sentimento, in vista del 16 ottobre, si stia diffondendo e che quindi la partecipazione degli intellettuali, delle associazioni e delle situazioni di lotta sarà tale da poter il 16 dire: finalmente l’Italia s’è desta (c.pe.)

l’Unità 29.9.10
Contro le donne
Consultori. La controriforma parte dal Lazio
di Giulia Rodano


Il Consiglio regionale del Lazio ha avviato l’iter di discussione della proposta di controriforma della legge istitutiva dei consultori familiari, presentata da Olimpia Tarzia, presidente del Movimento per la vita del Lazio e consigliere regionale della lista Polverini. Se la legge fosse approvata, i consultori familiari nel Lazio scomparirebbero, per essere sostituiti da confuse, non solo private ma confessionali strutture di consulenza alla famiglia, naturalmente solo quella fondata sul matrimonio.
Il patrimonio costruito in trent’anni che ha fatto del consultorio un esempio di lavoro d’équipe per prendere in carico le donne, le coppie, gli adolescenti per tutelarne la salute riproduttiva, renderne consapevoli e libere le scelte verrebbe cancellato. Il lavoro compiuto per promuovere la procreazione responsabile, contribuendo, come dimostrato, a far diminuire il numero degli aborti, verrebbe bruscamente interrotto. La porta aperta libera, gratuita, esente da ticket per tante donne, sole, deboli, oggi per tante immigrate, verrebbe chiusa.
Cosa verrebbe creato al posto dei consultori pubblici, liberi e gratuiti? Basta leggere la presentazione della legge: «Non più strutture deputate a fornire una serie di servizi sanitari e parasanitari alle famiglie, bensì istituzioni vocate a sostenere e promuovere la famiglia ed i valori etici di cui essa è portatrice». Verrebbero create strutture controllate da un comitato di bioetica che dovrebbe verificare il comportamento “etico” degli operatori, solo quelli pubblici naturalmente. Quelli privati, se riconosciuti da questa legge, non potrebbero che essere di per sé coerenti con i valori propugnati dalla legge. Nei nuovi consultori le donne verrebbero costrette a un calvario aggiuntivo, illegittimo, crudele e inutile, per accedere alla interruzione di gravidanza, durante il quale gli operatori dovrebbero ricordare alla donna «il suo dovere morale di collaborare nel tentativo di superare le difficoltà che l’hanno indotta a chiedere l’interruzione volontaria di gravidanza», e indurla a firmare una sorta (del tutto illegale) di consenso informato.
Si tratta di un percorso a ostacoli, una vera e propria “lapidazione psicologica della donna”.
È evidente dunque lo scopo della proposta, iniziare cioè a scardinare il sistema di diritti e dignità costruito nel nostro Paese attraverso tanti anni di battaglie di civiltà. Un rischio che non possiamo permetterci.
Molte associazioni e molti cittadini, non solo donne, si sono già mobilitate, nelle piazze e sulla rete. Si tratta di una battaglia difficile, anche per i numeri espressi nel Consiglio regionale. Abbiamo bisogno di uscire dal silenzio. Per questo chiediamo aiuto a quanti, uomini e donne, possano aiutarci a farlo.

l’Unità 29.9.10
Intervista a Miriam Lamizana
«Quando le mutilazioni s’annunciavano alla radio»
La presidente del Comitato interafricano contro l’escissione dei genitali femminili: «Una risoluzione delle Nazioni Unite può aiutare le donne»
di Marina Mastroluca


Miriam Lamizana ricorda ancora quando in Ciad si usava annunciare via radio la mutilazione sessuale delle proprie figlie. «Era una grande festa. Fuori c’era gente che ballava e cantava, dentro si sentivano gli strilli delle ragazzine. Se accadesse ora, se qualcuno provasse ora a dare un simile annuncio per radio, beh credo proprio che arriverebbe la polizia». Miriam Lamizana, già ministro degli Affari sociali del Burkina Faso, è presidente del Comitato interafricano contro le mutilazioni genitali femminili, in questi giorni a Roma dopo essere stata a New York per sostenere l’approvazione di una risoluzione Onu contro questa pratica che ha sfregiato 150 milioni di donne nel mondo. In Italia ha trovato una sponda nell’associazione «Non c’è pace senza giustizia», che con Emma Bonino e il ministero degli Esteri sostiene la campagna perché si arrivi ad una risoluzione delle Nazioni Unite. «Sarebbe il coronamento di tutto il lavoro fatto in questi decenni e lo strumento per andare avanti», dice Miriam. Il «lavoro» di cui parla è quello che oggi le consente di ridere, quando racconta degli annunci alla radio del Ciad. «Se lo immagina lei, un annuncio per dire: venite tutti alla mutilazione di mia figlia?». Perché non importa che sia parziale, non importa che il taglio preveda o meno l’amputazione completa dei genitali esterni. Non importa se sia infibulazione o escissione, o come la si voglia chiamare. Quello che è in gioco è il diritto delle donne a veder rispettata l’integrità del proprio corpo, un diritto umano, questo dice la bozza di risoluzione.
Come è nata questa campagna?
«All’inizio è stata soprattutto l’iniziativa di singoli attivisti, che sono riusciti nel tempo ad allargare la loro presa fino a coinvolgere i governi e istituzioni internazionali. Se proprio vogliamo indicare una data, è il decennio che parte dal 1975, quando si sono moltiplicate le iniziative contro la violenza sulle donne. Nel 1984 è nato il Comitato interafricano, che ha deciso di creare una propria struttura in ognuno dei 28 Paesi in cui si praticava l’escissione, in gran parte paesi dell’Africa occidentale e specialmente sub-sahariana, oltre al Corno d’Africa».
Una risoluzione Onu può cambiare davvero il ricorso ad una pratica che spesso è già vietata? «Bisogna capire che noi lavoriamo per tappe. Abbiamo cominciato a livello nazionale, per vedere quali fossero gli ostacoli. Abbiamo fatto un’azione di sensibilizzazione, cominciando a parlare dei problemi che l’escissione provoca per la salute della donna e del bambino. Poi abbiamo cominciato a ragionare sull’educazione e sull’autonomia economica delle donne: sono tutti aspetti dello stesso problema. Ci sono resistenze socio-culturali che non si possono rimuovere dall’oggi al domani. Ma con l’azione dal basso abbiamo spinto il governo a prendere coscienza del problema e a riconoscere le associazioni che vi si dedicavano. Poi siamo passati su una scala regionale. Con la ratifica nel 2005 del protocollo di Maputo,che vieta tra l’altro le mutilazioni genitali femminili siamo riuscite a fare un altro passo: il protocollo ha spinto molti Paesi che non l’avevano a dotarsi di una legge specifica a questo proprosito. Oggi gli Stati che vietano l’escissione sono diventati 15 su 28, prima erano otto o nove. Per questo credo che la risoluzione Onu avrebbe un grande valore politico, perché spingerebbe i governi ad assumere politiche sempre più chiare e decise sulle mutilazioni genitali. E c’è poi un altro punto: servirebbe ad innescare la solidarietà di quei Paesi dove questa pratica non esiste, che potrebbero però dare un aiuto». Che tipo di risposta avete trovato nei Paesi africani? Che cosa è cambiato? «Il cambiamento si vede soprattutto nelle nuove generazioni. Nel mio Paese, per esempio, la percentuale di mutilazioni inflitte alle bambine è scesa dal 75 al 38%, con un processo cominciato dagli anni ‘70. In tutto questo tempo è caduto un tabù, che in Africa è molto forte quando si fa riferimento al sesso, e si è cominciato a parlare dell’escissione come di un problema, quanto meno di salute se non di diritti umani. C’è stata una presa di coscienza. In Mauritania, per esempio, i leader religiosi hanno emesso una fatwa contro le mutilazioni genitali. Ci sono programmi statali di informazione, che si preoccupano anche di trovare un lavoro alternativo alle donne che fino a questo momento hanno praticato l’escissione. Bisogna procedere per gradi, ma il segno del cambiamento c’è».
Come riuscite a convincere le comunità locali, dove si esercita materialmente la pressione sulle donne, a cambiare atteggiamento?
«Il mezzo principale è l’informazione. Cominciamo con le ostetriche. Una volta durante il parto si preoccupavano di riaprire le donne escisse, per far nascere il bambino, ma non dicevano nulla. Oggi invece spiegano alla nuova madre e alla sua famiglia perché devono procedere in questo modo, spiegano il danno prodotto dall’escissione e i rischi che comporta. Vengono affrontati anche problemi sessuali. Spesso capita infatti che la mutilazione dei genitali esterni, soprattutto quando è praticata in bambine molto piccole, cicatrizzi quasi completamente rendendo impossibile il rapporto sessuale. Facciamo vedere foto, video o manichini. E mostrare che cosa sia davvero un’escissione è molto più efficace di tante parole». L’escissione è stata spesso considerata una cerimonia di iniziazione. Come si supera questo scoglio? «Questo è sempre meno vero. L’introduzioni di leggi che la vietano, ha spinto a ricorrere a questa pratica in clandestinità, anticipando molto i tempi. Quando arriva il momento della cerimonia di iniziazione all’età adultà, le ragazze hanno spesso già subito la mutilazione. Le due cose quindi si sono separate. Noi cerchiamo di conservare la festa e cancellare il danno».
In Africa c’è una crescente presenza politica della donne. È questo che ha fatto la differenza? «Potrei dire che è vero il contrario. C’è stata la generazione nata negli anni 50 che è stata molto attiva a livello di base, anche sul tema delle mutilazioni genitali, e da questa generazione sono emerse figure politiche. Ma è un processo che è cominciato dal basso, non viceversa».

l’Unità 29.9.10
La missione Irene. Il catamarano portava aiuti umanitari e giocattoli per la Striscia
Il falco Lieberman gela Obama: ci vorranno decenni per arrivare alla pace con i palestinesi
Israele blocca nave per Gaza. A bordo nove pacifisti ebrei
A bordo della nave della pace anche un sopravvissuto all’Olocausto e il padre di una ragazza uccisa in un attentato a Gerusalemme: «Un vero eroe è colui che cerca di trasformare un nemico in amico».
di Umberto De Giovannangeli


Reuven Moshkovitz, 82 anni, sopravvissuto alla Shoah. Rami Elhan, un padre che ha perso la figlia di 14 anni in un attentato suicida in un centro commerciale di Gerusalemme nel 1997. Reuven e Rami hanno saputo trasformare il loro dolore in energia positiva. In determinazione ad agire contro i soprusi perpetrati da Israele contro la popolazione della Striscia. Una determinazione che li ha spinti a far parte della spedizione dell’ «Irene», il catamarano con a bordo nove pacifisti ebrei, tra i quali anche israeliani, che ieri ha cercato di forzare il blocco navale israeliano per raggiungere Gaza City, con un piccolo carico di medicinali, giocattoli e apparecchiature per la purificazione dell’acqua. «È un dovere sacro per me, come sopravvissuto all’Olocausto – dice Reuven Moshkovitz quello di protestare contro la persecuzione, l’oppressione e la carcerazione del popolo di Gaza, compresi 800.000 bambini». Grazie al prezioso contributo della Rete romana di solidarietà con il popolo palestinese, riusciamo a metterci in contatto telefonico con gli uomini a bordo dell’«Irene». «Vogliamo dire al mondo che in Israele ci sono anche tante persone che giudicano un crimine contro l’umanità il blocco a Gaza. Non è opprimendo un altro popolo, negandogli libertà di movimento, e il diritto ad uno Stato indipendente, che garantiremo la nostra stessa sicurezza», afferma Rami Elhan. «La nostra aggiunge – vuol essere una protesta non violenta e per questo ancora più forte». La linea cade. Un momento prima, sentiamo voci concitate: «Stanno arrivando», riesce a dire Rami. È l’avvisaglia di ciò che da lì a qualche minuto accadrà. Le ultime parole danno conto di un momento drammatico: «Un cacciatorpediniere israeliano ci taglia la strada...Un’altra piccola imbarcazione si avvicina...Il cacciatorpediniere si sta avvicinando ed anche le piccole barche stanno intralciando al nostra rotta...Hanno mitragliatrici a poppa e prua...Il cacciatorpediniere sta bloccando a prua la nostra rotta mentre il naviglio minore ci sta circondando». Poi, il silenzio.
Un commando della marina israeliana prende il controllo della imbarcazione, battente bandiera britannica. L’azione è confermata da una portavoce militare, secondo la quale l’equipaggio dell’«Irene» è stato contattato mentre si avvicinava alla Striscia di Gaza e sollecitato a cambiare rotta poiché secondo Israele stava «violando la legge israeliana e quella internazionale»’. Ma ha opposto un rifiuto. Di qui l’abbordaggio, conclusosi in ogni caso «senza violenze da una parte o dall’altra», «La sorte di questa barca simboleggia il destino delle speranze di pace in questa regione», rimarca da Londra Richard Kuper della Jews for Justice for Palestinians e del Comitato organizzatore della nave «Irene».
NEL PORTO DI ASHDOD
Nel primo pomeriggio l’«Irene» ha fatto il suo ingresso forzato nel porto israeliano di Ashdod. Il ministero degli Esteri israeliano ha accusato i pacifisti di aver attuato una deliberata «provocazione» e «di versare deliberatamente benzina sul fuoco dell’odio verso Israele nel mondo». Ma per Reuven Moshkovitz, 82 anni, sopravvissuto alla Shoah, «vero eroe è colui che cerca di trasformare un nemico in un amico» . I pacifisti israeliani sono stati fermati dalla polizia per interrogatori, quelli stranieri saranno espulsi.
Dalle acque agitate di Gaza a quelle, non meno tempestose, di un negoziato in bilico. Il presidente palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen) chiede che Israele rispetti una moratoria sulla colonizzazione «fino a quando vi saranno negoziati» di pace. «Chiediamo la moratoria fin quando vi saranno negoziati di pace perché, finché vi saranno nego-
ziati di pace, vi sarà speranza», dice da Parigi il presidente dell’Anp, ai microfoni di Radio Europe. Una risposta, indiretta, viene da New York. Ed è una risposta raggelante. Ad offrirla è il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman. Pochi giorni fa dalla tribuna dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Barack Obama aveva affermato che è possibile, entro un anno, raggiungere una pace fondata su «due popoli, due Stati».
Dalla stessa tribuna, Lieberman, capofila dei falchi israeliani, avverte: c’è’ il rischio che ci vogliano decenni per un accordo tra israeliani e palestinesi, perché occorre risolvere prima la questione iraniana. E da Gerusalemme l’ufficio del premier licenzia una nota ufficiale fortemente irritata: le affermazioni del ministro degli Esteri sul conflitto israelo-palestinese «non rappresentano la posizione del Governo israeliano».

l’Unità 29.9.10
A Bruxelles manifestazione di 50 sindacati da 30 paesi diversi. Sono attese 100mila persone
A Roma si mobilita la Cgil. Non Cisl e Uil, che invieranno solo delegazioni nella capitale belga
Lavoratori europei in corteo contro le misure d’austerity
Oggi la Confederazione europea dei sindacati (Ces) si mobilita a Bruxelles e nei vari paesi contro le misure di austerity varate da molti governi Ue. Anche la Cgil organizza una manifestazione a Roma.
di Luigina Venturelli


Insieme oltre frontiera, divisi in patria. Le organizzazioni sindacali italiane si presentano così, in ordine sparso, alla giornata di azione europea promossa per oggi dalla Confederazione Europea dei Sindacati (Ces). Per dire no alle misure d’austerità introdotte da molti governi nelle finanze pubbliche contro la crisi economica e per rivendicare misure che favoriscano lavoro, giustizia sociale e solidarietà, circa cinquanta sigle provenienti da trenta diversi paesi sfileranno in giornata a Bruxelles e nei rispettivi paesi d’origine.
Così anche la Cgil, che parteciperà al corteo nella capitale belga con una delegazione guidata dal segretario confederale, Fulvio Fammoni e contestualmente organizzerà una manifestazione a Roma, in Piazza Farnese a partire dalle ore 16.30. Diversamente hanno deciso Cisl e Uil, che invieranno delegazioni in terra straniera, ma che in Italia eviteranno di scendere in piazza in attesa della propria manifestazione del 9 ottobre per chiedere meno imposizione fiscale sul lavoro. Sono ancora troppo profonde le fratture tra le tre confederazioni perchè sfilino fianco a fianco.
LA CGIL IN PIAZZA A ROMA
Da diversi mesi il sindacato di Corso d’Italia insiste sulle parole d’ordine della mobilitazione Ces di oggi: «In quasi tutti i paesi europei i tagli hanno colpito il lavoro, lo sviluppo e l’occupazione. Per questo la Ces ha immaginato una grande giornata di lotta che in Italia terremo a Roma per dare dimostrazione dell’unità d’azione delle nostre battaglie con quelle della Confederazione europea» ha spiegato il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, che concluderà la manifestazione romana, a cui ha aderito anche l’Arci, dopo gli interventi dei colleghi stranieri Sehrbrock (Germania), Doz (Spagna), Dassis (Grecia) ed Aubin (Francia).
LA MOBILITAZIONE EUROPEA
Ma la mobilitazione promossa dalla Ces investirà tante altre capitali del continente europeo, oltre al suo epicentro a Bruxelles dove, in concomitanza dell’incontro dei ministri europei delle finanze, sono attese circa 100mila persone, rappresentanti e militanti di cinquanta organizzazioni sindacali provenienti da circa trenta paesi diversi. Anche nelle alre nazioni si terranno scioperi e manifestazioni: ci sarà lo sciopero generale in Spagna, continueranno le proteste unitarie in Francia, mobilitazioni sono in programma in Portogallo, Irlanda, Lettonia, Polonia, Cipro, Romania, Repubblica Ceca, Lituania e Serbia. In Italia inoltre, parallelamente a quella di Roma, sono previste manifestazioni anche Napoli e a Venezia. Ovunque lo slogan dell’«Action day», nel giorno in cui la Commissione Ue presenterà nuove misure per stringere sui conti pubblici, sarà lo stesso: «No all’austerity. Priorità all’occupazione e alla crescita».
«Daremo voce alle preoccupazioni circa il contesto economico e sociale» ha affermato il segretario generale della Ces, John Monks. «Siamo particolarmente preoccupati per l’aumento disoccupazione, che oramai si attesta intorno al 10%, e per la crescita delle diseguaglianze». Insomma, i lavoratori dipendenti non possono essere gli unici a pagare per la speculazione messa in atto da alcune istituzioni finanziarie irresponsabili. A preoccupare è soprattutto la piaga della precarietà, che rischia di segnare il destino di gran parte delle generazioni future.
La ricetta non può essere che una: «Puntare a un lavoro di qualità». È questo il messaggio che la Confederazione europea vuole trasmettere all’esecutivo di Bruxelles, in particolare al presidente della Commissione Jose Manuel Barroso e all’attuale presidente del Consiglio europeo, il premier belga Yves Leterme, che i sindacati incontreranno oggi al termine della manifestazione.

il Fatto 29.9.10
Non la lapidano ma la impiccano
Dopo le proteste internazionali l’Iran “occidentalizza” la pena per Sakineh
di Giampiero Gramaglia


Qual    ‘è il problema? La lapidazione? E allora, niente lapidazione. O la condanna per adulterio? E allora, niente adulterio. L’Iran integralista di Mahmud Ahmadinejad “accontenta” l’Occidente che protesta per la condanna a morte inflitta a Sakineh Mohammadi-Ashtiani, la donna di 43 anni, madre di due figli, moglie infedele, la cui vicenda suscita emozioni e polemiche forti in Italia e in Francia e – meno – nel resto del Mondo. Sakineh morirà impiccata, colpevole di avere complottato per fare uccidere il marito dall’amante. Proprio come Teresa Lewis, la donna americana di 41 anni, con un quoziente intellettivo poco al di sopra della soglia dell’handicap mentale, la cui condanna è stata eseguita nel carcere di Jarratt, in Virginia, Stati Uniti, la settimana scorsa: due storie parallele, l’iniezione letale da una parte, la forca dall’altra. Che differenza c’è, in fondo? Certo, il sistema giudiziario iraniano è meno trasparente di quello americano. Ma, di fatto, il regime di Teheran “de-islamizza” e “occidentalizza” il reato e la pena e “mette il silenziatore” alle proteste, o almeno ne delegittima molte, specie quelle – già flebili – statunitensi.
PER SAKINEH la sentenza di condanna a morte per adulterio tramite lapidazione era stata sospesa fin da luglio. A far ora sapere che la donna è stata condannata all’impiccagione è stato il procuratore generale iraniano Gholamhossein Mohseni-Ejei, citato dal Teheran Times. Poco dopo, il ministero degli esteri affermava che “il procedimento giudiziario non s’è ancora concluso” e che “il verdetto sarà pronunciato in via definitiva quando l’iter sarà finito”. Il figlio di Sakineh mediaticamente più attivo, Sajjad Ghadarzadeh, chiede in lacrime all’Italia “d’intervenire “. E la Farnesina auspica “fortemente che la condanna possa essere rivista”, aggrappandosi allo spiraglio di speranza lasciato dal ministero degli esteri iraniano e assicurando che il governo italiano “continua ad adoperarsi con la massima determinazione, come ha finora fatto”. L’Italia è e resta contraria alla pena di morte “ovunque e in qualsiasi modo venga eseguita”. La vicenda umana e giudiziaria, che si trascina da quattro anni, resta intrisa di contraddizioni e zeppa di punti oscuri. Sakineh, di etnia azera, subisce, nel maggio del 2006, 99 frustate: lo dispone un tribunale di Tabriz, perché la donna è rea confessa di adulterio (lei dirà di averlo ammesso sotto tortura).
NEL SETTEMBRE del 2006, un altro tribunale la condanna per l’omicidio del marito: morte per lapidazione, è la sentenza, confermata l’anno dopo dalla Corte Suprema. Non accade nulla per tre anni, quando l’esecuzione della sentenza pare vicina. Innescata dai figli, Sajjad e una ragazza, scatta la mobilitazione internazionale. L’esecuzione è sospesa. Ma, in agosto, Sakineh confessa in tv l’adulterio e la complicità nell’omicidio (dichiarazioni forse estorte). Il caso diventa uno dei tasselli del confronto tra l’Iran e l’Occidente. La scorsa settimana, a New York, il presidente iraniano nega che la sentenza di lapidazione sia mai stata pronunciata. E la mancanza di trasparenza del sistema giudiziario iraniano non consente di fare chiarezza. Ora, il procuratore generale dice che le sentenze sono due, ma che quella per omicidio “ha la precedenza” su quella per adulterio. Il figlio, di cui si ignora quali siano le fonti, afferma che la condanna a morte sarà “annunciata ufficialmente fra due settimane”. L’avvocato Javid Hutan Kian cercherà, nei prossimi giorni, di bloccare l’esecuzione e di ottenere una revisione del verdetto.
In Italia, le notizia da Teheran suscitano reazioni a raffica. Il presidente dei Verdi Angelo Monelli chiede che “l’Italia ritiri immediatamente l’ambasciatore a Teheran” (e quello a Washington?), accusando Ahmadinejad “di stare facendo un uso politico della vita di Sakineh per alzare il livello dello scontro”. Ma l’attenzione dei media occidentali è molto diversificata: alle 15.00 di ieri, la Reuters non aveva dedicato a Sakineh una riga nel notiziario generale, l’Afp un dispaccio e l’Ansa almeno 15 notizie. Segno d’una diversa sensibilità delle opinioni pubbliche.

Repubblica 29.9.10
La macchina della paura
di Roberto Saviano


Ho detto ieri, dialogando con i lettori e gli spettatori di Repubblica Tv, che ormai la politica in Italia è una cosa buia, che non appassiona più nessuno, né chi la fa, né chi la segue. Su questa affermazione mi hanno scritto in tanti, che credo abbiano condiviso con me questo sentimento di impotenza, avvertito talvolta come un impedimento, la denuncia di qualcosa che ostruisce la partecipazione, il normale rapporto che un cittadino deve avere con la vita pubblica del suo Paese. E insieme, c´è un altro sentimento in chi mi scrive: rabbia e ribellione per sentirsi espropriati dalla politica come strumento di impegno e di cambiamento, rifiuto di accettare che questa stagnazione prevalga.
Chi analizza fatti, episodi e metodi della politica italiana, in questo momento, non può che avere una reazione di spavento e pensare: non è per me. Ricatti, timori, intimidazioni. Tutti hanno paura. Anche io ho paura: non ho nulla da nascondere, con la vita ridotta e ipercontrollata cui sono costretto, ma sento questo clima di straordinaria ostilità, e vedo l´interesse a raccoglierlo, eccitarlo, utilizzarlo. Mi guardo intorno e penso: come deve sentirsi un giovane italiano che voglia usare in politica la sua passione civile, il suo talento? La politica di oggi lo incoraggia o lo spaventa?
E qual è il prezzo che tutti paghiamo per questa esclusione e per questa diffidenza? Qual è il costo sociale della paura? Chi fa già parte del sistema politico nel senso più largo del termine, o ha comunque una responsabilità pubblica e sociale, sa che oggi in Italia qualsiasi sua fragilità può essere scandagliata, esibita, denunciata ed enfatizzata. Non importa che non sia un reato, non importa quasi nemmeno che sia vera. Basta che faccia notizia, che abbia un costo, che faccia pagare un prezzo, e che dunque serva come arma di ammonimento preventivo, di minaccia permanente, di regolamento dei conti successivo. Ma la libertà politica, come la libertà di stampa, si fonda sulla possibilità di esprimere le proprie idee senza ritorsioni di tipo personale. Se sai che esprimendo quell´opinione, o scrivendola, tu pagherai con un dossier su qualche vicenda irrilevante penalmente, magari addirittura falsa, ma capace di rovinare la tua vita privata, allora sei condizionato, non sei più libero.
Siamo dunque davanti a un problema di libertà, o meglio di mancanza di libertà. Siamo davanti a uno strano congegno fatto di interessi precisi, di persone, di giornalisti, di mezzi, di strumenti mediatici, che tenta di costruire un vestito mediaticamente diffamatorio; ha i mezzi per farlo, ha l´egemonia culturale per imporlo, ha la cornice politica per utilizzarlo.
Nella società del gossip si viene colpiti uno per volta, e noi siamo spettatori spesso incapaci di decodificare gli interessi costituiti che stanno dietro l´operazione, i mandanti, il movente. Eppure la questione riguarda tutti, perché mentre la macchina infanga una persona denudandola in una sua debolezza e colpendola nel suo isolamento, parla agli altri, sussurrando il messaggio peggiore, antipolitico per eccellenza: siamo tutti uguali, dice questo messaggio, non alzare la testa, non cercare speranze, perché siamo tutti sporchi e tutti abbiamo qualcosa da nascondere. Dunque abbassa lo sguardo, ritraiti, rinuncia.
Come si può spezzare questo meccanismo infernale, pericoloso per la democrazia, e non solo per le singole persone coinvolte? L´antidoto è in noi, in noi lettori, spettatori e cittadini, se preserviamo la nostra autonomia culturale, se recuperiamo la nostra capacità di giudizio. L´antidoto è nel non recepire il pettegolezzo, nel non riproporlo, nel non reiterarlo. Nel capire che ci si sta servendo di noi, dei nostri occhi, delle nostre bocche come megafoni di pensieri che non sono i nostri. Nel non passare, come fanno molti addetti ai lavori, le loro giornate su siti di gossip che mentono a pagamento, che costruiscono con tono scherzoso la delegittimazione, che usano informazioni personali soltanto per metterti in difficoltà. È il metodo dei vecchi regimi comunisti, delle tirannie dei paesi socialisti che volevano far passare i dissidenti per viziosi, ladri, nullafacenti, gentaglia che si opponeva solo per basso interesse. Mai come nell´Italia di oggi si trova realizzato nuovamente, anche se con metodi differenti, quel meccanismo delegittimante.
Dobbiamo capire che siamo davanti a un metodo, che lega Fini a Boffo e a Caldoro nella campagna di screditamento. Dobbiamo ripeterci che in un Paese normale non si comperano deputati a blocchi, giurando intanto fedeltà al responso degli elettori. Dobbiamo sapere che la legge bavaglio non tutela la privacy ma limita la libertà di conoscere e di informare. Dobbiamo sapere che le norme del privilegio, gli scudi dal processo, le leggi ad personam sono i veri polmoni che danno aria a questo governo in affanno, perché altrimenti cade l´impero.
Dobbiamo semplicemente pretendere, come fanno migliaia di cittadini, che la legge sia uguale per tutti, un diritto costituzionale, che è anche un dovere per chi ha le più alte responsabilità. Non dobbiamo farci deviare da falsi scandali ingigantiti ad arte. Ogni essere umano fa errori ed ha debolezze. Ogni politica, ogni scelta ha in se delle contraddizioni. E si può sbagliare sempre. Ma oggi bisogna affermare con forza che se ogni essere umano sbaglia e ha debolezze non tutti gli errori e non tutte le debolezze sono uguali. Una cosa è l´errore, altro è il crimine. Una cosa è la debolezza umana, un´altra il vizio che diviene potere in mano ad estorsori. Comprendendo e smontando la diffamazione che viene costruita su chiunque decida di criticare o opporsi a questo potere, si può resistere, si può persino difendere la libertà, la giustizia, la legalità. Non dichiarandoci migliori, ma semplicemente diversi. Rifiutando l´omologazione al ribasso, per salvare invece le ragioni della politica e le sue speranze: salvarle dal buio in cui oggi affondano, con le nostre paure.
©2010Roberto Saviano/Agenzia Santachiara

Corriere della Sera 29.9.10
Nella tana delle parole
Come si forma il linguaggio? La risposta va cercata nell’architettura del cervello
di Andrea Moro


In laboratorio Il fattore considerato determinante è la struttura dei neuroni. I progressi compiuti grazie alla collaborazione tra la linguistica e la neurobiologia

C’è una domanda che per certi versi costituisce la prima e più radicale questione che l’uomo ha posto sulla natura del linguaggio: la struttura di questo codice è in qualche modo influenzata dalla struttura del mondo o si forma in modo indipendente? Come tutte le grandi domande è facile formularla, meno facile capirne tutte le implicazioni, praticamente impossibile trovare una risposta esauriente; ma la scienza non è scienza se non riconosce il mistero, dunque non è certo questa consapevolezza a fermare il desiderio di conoscere uno dei fenomeni che più ci caratterizza, se non addirittura quello che ci caratterizza totalmente. Per capire quanto complessa sia la questione, basti pensare che certamente il linguaggio è prodotto dal nostro cervello, che è a sua volta parte del mondo, e che dunque, in un certo senso, è scontato dire che il nostro linguaggio è in qualche modo sottoposto alle leggi fisiche e biologiche che permettono lo sviluppo del cervello sia nell’individuo che nella specie. Ma ovviamente ciò che non è affatto scontato è se la struttura del codice, cioè, per esempio, le regole che a partire dalle parole danno le frasi, dipende o meno dalla struttura del cervello. È questa domanda che oggi per certi versi è ritornata ad essere al centro dell’arena, sotto i nuovi e potenti riflettori della linguistica moderna e della neuropsicologia.
Certamente nel corso dei secoli la riflessione sul linguaggio ha oscillato più volte tra le due polarizzazioni possibili. Cosa mai può aggiungere la scienza moderna rispetto a questa domanda così ingombrante ma pure così importante? La prima novità è che le nuove risposte possono solo nascere dalla collaborazione tra scienze indipendenti, in questo caso dalla linguistica e dalla neuropsicologia. Oggi possiamo contare su almeno un risultato di forte convergenza tra queste due discipline, nate con metodi e scopi diversi, ormai consolidato. E stato dimostrato, infatti, che la capacità di produrre un numero potenzialmente infinito di frasi a partire da un insieme finito di parole — capacità che possiedono tutti e solo gli esseri umani — dipende in qualche modo dalla struttura del cervello. Non solo: il fatto che tutte le lingue del mondo abbiano un nucleo di regole comuni e che alcuni tipi di regole, pur concepibili a tavolino, non si trovino mai in nessuna lingua non è più visto come un accidente storico o il risultato di una convenzione culturale ma come l’espressione dell’architettura neurobiologica del cervello.
Questo risultato, che fornisce nuovi supporti alle intuizioni maturate in seno alla linguistica nella seconda metà del novecento a partire dai lavori di Noam Chomsky, non sarebbe stato neppure immaginabile se non avessimo avuto accesso, sia pure indiretto, ad alcuni aspetti dei meccanismi neuropsicologici come ad esempio quelli misurabili con le tecniche delle neuroimmagini. Ed è proprio dalle neuroimmagini che arrivano due risultati che ripropongono la polarizzazione della quale stiamo parlando in modo inedito e affascinante. Entrambi si basano su una delle scoperte dominanti della fine del secolo scorso: l’esistenza nel cervello delle scimmie di neuroni specchio, cioè una popolazione di neuroni che si attiva sia quando si compie un’azione di tipo motorio secondo una certa intenzione (ad esempio afferrare una mela e portarsela alla bocca) sia quando la si vede (o la si sente) compiere. Questa scoperta, che fa capo al gruppo di ricerca coordinato da Giacomo Rizzolatti ha ormai dati empirici forti a favore dell’ipotesi che un sistema sostanzialmente simile a quello dei neuroni specchio delle scimmie sia presente nell’uomo.
Paradossalmente, malgrado il grandissimo interesse, da un certo punto di vista questa scoperta ci lascia, per così dire, equidistanti rispetto al problema generale della natura del linguaggio umano. Da una parte, infatti, si è capito che per comprendere frasi che esprimono azioni come afferro un coltello il cervello attiva una rete che si sovrappone sostanzialmente a quella del sistema dei neuroni specchio degli animali, suggerendo che il linguaggio si possa essere parzialmente evoluto a partire da meccanismi che sono cooptati da sistemi diversi, come appunto quello motorio e che dunque si correli in modo diretto alla struttura del mondo. Dall’altra, proprio un esame dello stesso sistema di neuroni in un recente esperimento sulla comprensione delle frasi negative porta dati nuovi a favore dell’idea che esista invece un residuo del linguaggio che non possa intrinsecamente essere ricondotto a nessuno stimolo del mondo fisico. Si è infatti osservato che quando si interpretano frasi di azione negative del tipo non afferro un coltello il sistema dei neuroni specchio viene parzialmente inibito. Ora, siccome nel mondo non esistono «fatti negativi», questo risultato conduce necessariamente ad ammettere che esistono aspetti centrali del linguaggio — e certamente la negazione, legata alla capacità di giudicare il vero o il falso è centralissima — che non possono essere derivati dalla struttura del mondo.
Siamo daccapo; anzi no. Non abbiamo risposto alla domanda centrale sulla relazione tra struttura del mondo e struttura del linguaggio ma siamo riusciti a riformularla secondo prospettive inedite e possiamo ragionevolmente aspettarci che nei prossimi anni la ricerca si concentri proprio su questi temi. Come la tartaruga per Achille, il linguaggio umano sembra inafferrabile nella sua interezza ma, lentamente, con passione, si ha l’impressione che ci si possa avvicinare almeno tanto da riuscire a guardarla negli occhi, la nostra tartaruga.

Repubblica Firenze 29.9.10
Nazionale, la replica a Bondi "Quei fondi sono già impegnati"
La direttrice: ci serve un milione. Tagli, sos dagli archivi
Ida Fontana: "Personale, spazi, soldi per le bollette: mancano impegni precisi"
di Mara Amorevoli


Non basta la soluzione Bondi, ovvero «rimodulare i fondi in giacenza e non utilizzati pari a 5.650.000 euro» per garantire il futuro e stabilità alla Biblioteca nazionale. La direttrice Ida Fontana risponde al ministro e precisa: «Non ci sono fondi in giacenza, poiché si tratta di somme già impegnate per lavori di ristrutturazione». Tuttavia si può ricorrere ad un escamotage. Dichiara la direttrice: «Su quei fondi si possono fare piccole economie. Ad esempio i bandi di gara si fanno al ribasso e questo permette dei risparmi. Ovvero di accumulare risorse che da spendere nell´immediato, se il ministro ci autorizza, per scongiurare la chiusura della Biblioteca». Una cifra che in totale, osserva Fontana, si dovrebbe aggirare sui 200-300 mila euro, un espediente per far fronte ai pagamenti e alla gestione ordinaria dei servizi dell´istituto e la suo funzionamento «Ma il nostro problema ora - prosegue - è legato ai tempi lunghi, per garantire il funzionamento delle Biblioteca ci serve un milione di euro all´anno».
Insomma per ora si tampona la falla con un provvedimento di emergenza. Ma sul futuro, «sulla mancanza assoluta di personale, di spazi e di fondi per pagare 250 mila euro l´anno di energia elettrica o 93 mila euro di tassa sui rifiuti - precisa la direttrice - mancano impegni precisi». «Una crisi che non si risolvere con continui provvedimenti tampone. Il Governo deve riconoscere le priorità rappresentate da alcune grandi istituzioni ed assicurare finanziamenti stabili» incalza il senatore Andrea Marcucci, responsabile cultura per il Pd della Toscana, rimarcando la necessità di investimenti sul patrimonio librario toscano.
Un patrimonio che è in sofferenza anche per quanto riguarda i beni archivistici toscani. Domenica prossima si terrà la giornata nazionale degli archivi aperti al pubblico, con iniziative anche in tutte le sedi toscane. L´Archivio di Stato di Firenze «è nella stessa situazione della Biblioteca nazionale - spiega una funzionaria - in questi ultimi anni ci sono stati tagli al bilancio sempre più alti e consistenti. Per l´anno prossimo si parla di un ulteriore 40% in meno che ci metterà in ginocchio. Non ci piangiamo addosso, vogliamo reagire positivamente chiedendo aiuto e partecipazione alla nostra iniziativa a tutti i cittadini». Una stessa situazione tocca la Soprintendenza archivistica regionale. «Ogni anno il budget si assottiglia. Anche per il prossimo anno si prospetta un taglio del 30% ai fondi - spiega la soprintendente Diana Toccafondi - ci difendiamo attivando rapporti con banche ed enti pubblici. Tra 5 anni, su 21 dipendenti 20 andranno in pensione: non c´è ricambio e ci chiediamo che fine faranno tutte le professionalità messe in campo fino ad oggi».

martedì 28 settembre 2010

l’Unità 28.9.10
Nel suo intervento Bersani chiederà le dimissioni di Berlusconi
Bersani domani interverrà alla Camera per chiedere le dimissioni di Berlusconi e coerenza ai finiani. «Il parlamento deve chiarire se la legge è uguale per tutti, come prevede la Costituzione».
di Maria Zegarelli


L’unico vero interesse del presidente del Consiglio dei Ministri è il tema della giustizia. Ma non le riforme che servono a tutto il paese, soltanto le legge che salvano lui. Secondo il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, è questa la vera preoccupazione del premier: «Dalle parole dell’avvocato Ghedini e del ministro Alfano si capisce benissimo quale, tra i cinque punti di programma di cui parlerà il presidente del Consiglio, sia quello fondamentale e che più interessa Berlusconi e il Pdl.
Inutile che usino tanti giri di parole, che si citino le grandi riforme, che si mettano insieme tutti gli altri punti: da mesi il Paese è bloccato attorno al problema personale del capo del governo». Bersani guardano a domani e al discorso del premier dice: «È ora che le Camere dicano se i cittadini sono ancora o no tutti uguali davanti alla legge, come prevede la Costituzione. È su questo punto che il Parlamento si deve esprimere con chiarezza». Secondo Bersani lo snodo sarà questo, «è bene che ci si chiarisca subito sul tema giustizia e sul significato concreto che dovrà avere la riforma, perché è chiaro che ciò condizionerà la situazione politica e legislativa». E proprio su questo punto il segretario domani quando interverrà in aula chiederà un atto di coerenza a Fini e ai finiani, «soprattutto
dopo quello che è successo nelle ultime settimane». Al presidente del Consiglio chiederà di riconoscere che il governo è arrivato al capolinea e di rimettere quindi il mandato nelle mani del presidente della Repubblica. «Non può venirci a dire che è tutto a posto e sono in grado di governare per altri tre anni», ha ripetuto ieri Bersani ai suoi.
Nessuno spiraglio per riaprire quel dialogo di cui si parlava mesi fa per le riforme, oggi non ci sono più le condizioni. «L’unica cosa che ci unirà mercoledì sarà il compleanno», ha scherzato Bersani. 59 primavere lui, 74 quelle del premier che ormai, dopo le tensioni di questi ultimi mesi e il rischio implosione della maggioranza si vedono tutte. Lontani i tempi delle feste a Villa La Certosa e i festini a Palazzo Grazioli, quello appena iniziato potrebbe essere l’autunno più difficile del premier. Le sue scadenze in tribunale sono pressanti se non si fa presto con lo scudo giudiziario. «La ricreazione è finita davvero dice Maurizio Migliavacca. La crisi economica sta presentando il conto, ma l'unica cosa che interessa Berlusconi è lo scudo per i suoi processi». Il Pd, intanto, si prepara alla campagna elettorale, la prova generale il penultimo week-end di novembre, quando allestirà 10mila gazebo in tutto il paese per «il porta porta» a cui saranno chiamati tutti i votanti delle scorse primarie.

l’Unità 28.9.10
Il vero sviluppo si chiama uguaglianza
di Nicola Cacace


I l risultato politico più importante della tre giorni di Assisi dei Cristiano Sociali appena conclusa è la riconferma dell’uguaglianza come fattore di sviluppo, dopo anni di pensiero unico che aveva fatto breccia, anche a sinistra, secondo cui “la crescita economica era favorita dalle disuguaglianze e l’insistenza dell’Europa sulla coesione sociale ne minava la crescita”. Ad Assisi centinaia di donne e uomini dell’associazione fondata negli anni ’90 da Ermanno Gorrieri e Pier Carniti non hanno parlato di alleanze o di leadership. Decine di relatori tra cui Mauro Magatti, Marcella Lucidi, Domenico Chiesa, Valentino Castellani, Laura Pennacchi, Massimo Campedelli, Pierre Carniti, Giorgio Santini, Vittorio Sammarco, Stefano Fassina, don Luigi Ciotti, Pier Luigi Bersani, Dario Franceschini e il cooordinatore dei Cristiano Sociali Mimmo Lucà hanno parlato di economia e lavoro oltre che di valori, dimostrando «come e perché l’uguaglianza, nell’era della conoscenza, non è solo l’etica fondante del movimento e della Costituzione, è molto di più». Tutti i dati delle grandi organizzazioni, dall’Ocse alla Ue, dalla Banca mondiale alla Banca d’Italia, dimostrano che «negli ultimi 30 anni la globalizzazione, che pure ha prodotto effetti positivi come l’apertura del mercato della produzione e del consumo a miliardi di cinesi, indiani, brasiliani, prima esclusi, ha anche prodotto il più scandaloso aumento di diseguaglianze in quasi tutti i Paesi». Il Brasile è citato come una delle eccezioni: con la presidenza di Lula, milioni di poveri sono usciti dall’indigenza, l’inflazione è stata battuta e la crescita è stabilmente alta (Pil +7% nel 2010). Stati Uniti e Italia guidano le classifiche della diseguaglianza: in Italia il 10% delle famiglie possiede il 45% delle ricchezze mentre metà delle famiglie ne possiede meno del 10%. L’indice di Gini, che misura le diseguaglianze di redditi, vede Stati Uniti, Gran Bretagna e Italia in testa sopra la media Ocse, tra i Paesi a più alta diseguaglianza, mentre Francia, Germania, Olanda e Paesi scandinavi figurano sotto la media come Paesi a più bassa diseguaglianza. I Paesi a più alta crescita nel 2010 sono Svezia e Germania (Pil + 3%). L’uguaglianza come fattore di sviluppo è dimostrato anche dalle classifiche della Banca Mondiale sul reddito procapite: tutti i Paesi più egualitari figurano anche tra i più ricchi al mondo per reddito pro capite.
Emergono allora due messaggi e due domande: il primo è che nell’era della conoscenza i valori dell’eguaglianza a cominciare dalla scuola, dall’innovazione e dalla famiglia sono fattori di sviluppo oltre che etici. Il secondo è che l’Italia possiede già tutto il potenziale di cultura e imprenditorialità per arrestare il declino in atto. Le domande: perché perdere ancora tempo? E perché la sinistra non fa di questi argomenti la propria bandiera?

l’Unità 28.9.10
Intervista a Giuseppe Lumia (Pd)
«Portare l’antimafia al governo della Sicilia, la scommessa finale»
Il senatore è stato il regista del nuovo Lombardo quater che ha creato ulteriori tensioni nel Pd. È stato presidente dell’Antimafia e spiega come, con questa scelta, lui ed altri stiano mettendo in gioco tutta la loro storia
di Claudia Fusani


Il puzzle di deleghe e assessorati è completo. Anche l’ultimo tassello di dodici assessorati è andato al posto e saranno due i finiani (Tranchida di Messina e Gianmaria Sparma) nella giunta “caponata” così è stata ribattezzata del governatore Raffaele Lombardo. Oggi è il grande gionro: il governatore presenterà lasua giunta e spiegherà le rispettive deleghe.
Nell’eccentrico ed inedito mix che vede insieme al governo dell’isola Mpa, Fli, Pd, Api e l’Udc senza Cuffaro, per la prima volta dal 1994 sono fuori dalla giunta di palazzo dei Normanni il Pdl nelle sue numerose facce, lealisti, Miccichè, Dell’Utri. E per la prima volta nel governo dell’isola ci sono pezzi importanti dell’antimafia: Caterina Chinnici, magistrato e figlia di Rocco, il giudice che istruì il primo maxi processo a Cosa Nostra e che fu fatto saltare in aria nel 1983; Massimo Russo, ex pm; il profetto Giousuè Marino, prefetto dell’antiracket; Venturi, di quella Confcommercio che esclude chi non denuncia le estorsioni.
Giuseppe Lumia, senatore del Pd, ex presidente dell’antimafia, è il regista palese del nuovo Lombardo quater, operazione che ha creato altre lacerazioni nel già lacerato Pd. Una scelta che è stata prima di tutto «un travaglio lungo e indescrivibile». Quella in campo è una «partita finale». «Mi gioco tutto dice Lumia ma portare l’antimafia al governo e provare a squassare il sistema di potere e di collusione dall’interno è l’unica strada non ancora tentata in questa regione per cambiare». Lumia , ha messo insieme il diavolo con l’acqua santa visto che il governatore Lombardo è indagato per associazione esterna con quella mafia che lei vorrebbe combattere... «Indiscrezioni stampa sempre negate nelle audizioni dei magistrati di Catania in Commissione antimafia di cui sono membro».
Su reati di mafia i magistrati possono negare l’iscrizione. Inevitabile quindi l’imbarazzo nel vedere politici, come lei, e persone come Caterina Chinnici, Massimo Russo, il prefetto Giosuè Marino e poi Venturi siano entrate nel governo in team con Lombardo.
«Comprendo lo stupore. Ma chiedo di aspettare a giudicare. Saremo dieci volte più rigorosi nel controllare. Non faremo sconti a nessuno». Portare l’antimafia dentro il grande sistema dei poteri, sanità, rifiuti, energia, è un buon antidoto contro le collusioni tra mafia e politica?
«È la nostra scommessa, basata sulla considerazione che se l’antimafia resta lontana dai meccanismi di potere resta debole. Il primo obiettivo di questa inedita alleanza direi di persone più che di partiti è proprio quello di scardinare il sistema di potere. L’assemblea regionale è già riuscita a far saltare alcuni tappi».
Ad esempio?
«La sanità, dove l’ex pm Massimo Russo, assessore dal 2008, ha messo la Sicilia fuori dalla lista nera delle regioni a rischio intervenendo su nomine dei primari, clientele, appalti e ha ridotto le Asl sono da 29 a 9. Ha cancellato venti inutili centri di potere».
Sanità, poi?
«I rifiuti. Il governatore Lombardo, sempre con l’appoggio del Pd, ha annullato la gara per i termovalorizzatori, un miliardo e 600 milioni assegnati, ai tempi di Cuffaro, senza bando di gara da quel carrozzone che era l’agenzia regionale per i rifiuti (Arra)».
Sanità e rifiuti, i due tappi che una volta saltati nel 2009 mandano in frantumi il governo di centrodestra con i voti del Pd. E come nasce l’idea di andare al governo?
«Avevamo due opzioni: andare al voto subito e il messaggio in quel caso sarebbe stato che chi riforma va a casa; andare al governo con Lombardo facendo la corsa ad occupare le loro poltrone».
Quello che è accaduto.
«No, la nostra è una terza via, dare a Lombardo un sostegno misurato e rigoroso per andare avanti con le riforme. Le Asl sono già passate da 29 a 9; gli Ato, i consorzi per i rifiuti che avevano accumulato un miliardo di debiti e le strade erano sempre più sporche, sono passati da 27 a 9. La Sicilia aveva privatizzato l’acqua: Lombardo ha bloccato questa deriva. 500 scuole sono aperte anche il pomeriggio. Sul fronte energia è stato bloccato l’eolico, dove si era già infilata la mafia, per puntare sul solare. Adesso andremo avanti con l’abolizione delle province, la scuola a tempo pieno, la semplificazione della macchina amministrativa”.
Pochi gionri fa l’ex assessore Cimino, area Miccichè, è stato raggiunto da avviso di garanzia per mafiosità. Il livello di collusione sembra profondo a livello politico e tecnico. E si sa che basta poco per bloccare il progetto di cui parla.
«Aver costretto all’opposizione il gruppo di Miccichè e Dell’Utri, l’Udc di Romano e Cuffaro, per la prima volta dal 1994, non significa certo aver spezzato le collusioni col sistema mafioso. La nostra scelta, una prima assoluta nella storia della Sicilia, è una strada molto in salita. Il processo si può bloccare da un momento all’altro anche per le furbizie e il cinismo dei partiti nazionali».
Si riferisce al Pd che la critica per aver stretto questa strana e insidiosa alleanza, un po’ blasfema e molto trasformista?
«Parlo a tutti. Quello che sta accadendo qui deve essere tenuto fuori dalle dinamiche nazionali. Qui, adesso e non prima né dopo, intravediamo la possibilità di trasformare la Sicilia in una regione che produce e non solo che consuma e si fa assistere. E’ la nostra sfida alla Lega. Il nostro tentativo di fare l’Unità d’Italia. Un lavoro micidiale e difficile. Ma anche l’ultimo tentativo per provare a cambiare».

Repubblica 28.9.10
L'arte del veleno un'invenzione italiana
di Adriano Prosperi


Una vaga somiglianza: come riconoscere i tratti di una persona conosciuta molti anni fa nel volto del figlio o del nipote. Ecco quello che accade al lettore di libri e documenti del passato quando cerca di capire qualcosa di questo affare che riempie le nostre cronache e che per tutti si chiama «casa di Montecarlo».
La verità, ecco la domanda dell´opinione pubblica: verità sulla casa, verità su chi muove le fila dell´affaire. La aspettiamo dalle parole dei protagonisti, dalle laboriose certificazioni di uno Stato da burla, l´abbiamo attesa invano dalla pubblica dichiarazione del secondo e malcapitato protagonista. Intuiamo confusamente che chi la possiede è il principale e finora silenzioso protagonista: ma abbiamo ragione di credere che non ce la dirà. Eppure la verità è sotto i nostri occhi. Il suo nome è una parola antica, suggerita dalla memoria involontaria a moltissimi commentatori e cronisti, che hanno avuto però il torto di usarla come metafora.
Veleno, ecco la parola. Proviamo a prendere sul serio il senso letterale. Vale la pena di leggere sull´argomento un bel libro recente dello storico Alessandro Pastore (Veleno, Il Mulino, Bologna settembre 2010). Vi si raccontano storie lontane, casi criminali, perizie di tossicologi e di criminalisti. Non vi troverete né il caffè di Pisciotta né quello di Sindona. Ma scoprirete che da secoli l´Italia si è conquistata nel mondo una grande fama come patria dei veleni.
Chiedere per conoscenza all´inventore del Rinascimento italiano, lo storico Jacob Burckhardt, o a Stendahl, quell´Arrigo Beyle milanese appassionato lettore delle antiche cronache italiane. Nell´Italia del Rinascimento, secondo Thomas De Quincey, il veneficio conferì all´assassinio la raffinatezza di un´opera d´arte: da allora in poi chi ricorre al pugnale o alle armi da fuoco è come chi preferisce una rozza riproduzione al capolavoro originale. È un fatto che da noi, in Italia, le lotte per il potere, per l´amore, per la gloria, hanno mostrato una decisa predilezione per le vie sottili e tortuose degli intrighi e dei venefici evitando la prova di forza a viso aperto, la violenza semplice e brutale. È noto che il veleno come opera d´arte conobbe la sua massima raffinatezza e il più intenso uso nella corte papale: celebri fra tutti i casi dei Borgia, che fecero sistematicamente uso di quei mezzi e lasciarono a Lucrezia, che fu in tutti i sensi la donna di famiglia, la discutibile eredità di una fama sinistra, non cancellata dalle tardive pratiche devote.
L´arte del veleno fu dunque una invenzione tutta italiana, una «abominable innovation from Italy», scrisse De Quincey. Strumento prediletto delle congiure, i principi rinascimentali italiani le dedicarono la stessa cura che altri sovrani europei investivano allora nell´organizzazione di eserciti e flotte. E se lo zio di Amleto non era un italiano, William Shakespeare apprese molto dall´Italia, come si conveniva al supremo artista del teatro del potere.
L´arte poi declinò ai tempi dell´incipiente borghesia, involgarendosi a strumento di gelosie d´amore e di inferni domestici. Ma una volta identificati e classificati i preparati mortali nei laboratori di polizia cominciò a languire il fascino sinistro del veleno: quello di una morte che arriva a destinazione, spedita da mano lontana, strisciando come il serpente nascosto nel giardino dell´Eden. La possibilità di sbarazzarsi dell´avversario senza lasciare tracce ha sempre aguzzato gli ingegni. È per questo che, nel declino della morte per veleno (che tuttavia esiste), ne è rimasta immortale l´idea e si è ripresa la ricerca.
C´era bisogno di qualcosa di nuovo. E ancora una volta è stata l´arte italiana a trovare la risposta, rinverdendo la sua antica perizia nelle invenzioni abominevoli, il suo gusto impareggiabile per la scelta di astuzie coperte al posto della violenza palese e dello scontro sul campo. Oggi il veleno che uccide non è un artificio segreto: è una cosa che sta sotto gli occhi di noi tutti, come la lettera smarrita di un celebre racconto di Edgar Allan Poe. Basta una carticella, un documento adeguatamente ritoccato e cucinato, non importa se falso o autentico, meglio se misto di verità e di invenzione: lo si tiene in serbo per usarlo al momento opportuno. Lo si inocula nella forma più pubblica e clamorosa possibile, via Internet, sulla stampa quotidiana, in televisione.
Più si domina il campo dell´informazione meglio è. L´opinione pubblica diventerà il portatore sano del veleno spedito alla vittima designata. Da quel momento in poi basterà aspettare. Il destinatario potrà avere reazioni diverse: accasciarsi e sparire in silenzio, come ha fatto Dino Boffo, reagire con ira e con clamore, come ha fatto Gianfranco Fini. Non importa. L´effetto è sicuro. La vittima designata assorbirà il veleno e subirà gli effetti letali della gogna mediatica rilasciata a dosi quotidiane tanto più rapidamente quanto più rigido sarà il suo senso dell´onore, più forte la sua sensibilità all´esposizione della propria immagine pubblica. Ma prima o poi si leverà di mezzo o altri lo convinceranno a farlo. Questa almeno è ciò che spera il mandante, che intanto si manterrà lontano, silenzioso e apparentemente estraneo alla vicenda.

il Fatto 28.9.10
Pd, Partito Desaparecido
di Marco Travaglio


Il 3 agosto Il Fatto apriva con il titolo “C’è vita nel Pd?”. Due settimane dopo, rientrati con comodo dalle ferie, i dirigenti del “principale partito di opposizione” annunciavano sfracelli per la ripresa. Il segretario Bersani parlò di “una campagna porta a porta, la più grande mobilitazione che un partito abbia mai promosso”, per “raggiungere il più alto numero di italiani casa per casa e lanciare la nostra proposta di governo”. Siamo al 28 settembre e nulla di tutto questo è avvenuto, né se ne intravede la benché minima avvisaglia. A meno che la più grande mobilitazione che un partito abbia mai promosso non sia l’ennesima batracomiomachia fra dalemiani e veltroniani, su un copione che si ripete da una quarantina d’anni fin dai tempi della Fgci. Nel qual caso sì, le avvisaglie si vedono, purtroppo. Veltroni ha inviato una lettera al Corriere, Bersani ha inviato una lettera a Repubblica, allora anche Veltroni ha inviato una lettera a Repubblica, poi ciascuno ha presentato la sua mozione e raccolto le sue firme. Così tutti hanno capito che, nel momento della crisi più drammatica mai vista nel centrodestra, il Pd ha deciso di rispondere con una bella rissa, anche se nessuno ha ancora capito bene su che cosa stia litigando (a parte gli onanismi sul “papa straniero”). Intanto il Pd è entrato nella giunta siciliana Lombardo IV, sostenendo un governatore indagato per mafia: lo stesso che tre anni fa la capogruppo Pd al Senato Anna Finocchiaro, candidata contro di lui, definì “temibilissimo perché ha costruito un sistema di potere clientelare spaventoso che ha riportato la Sicilia al Medioevo”. A Milano, come candidato sindaco, il Pd ha scelto l’archistar Stefano Boeri, stretto collaboratore di Salvatore Ligresti e artefice di opere faraoniche alla Maddalena targate Protezione civile e a prezzi raddoppiati per il celebre G8 fantasma. Un sondaggio di Mannheimer dimostra che il 30% degli elettori del Pd vuole l’alleanza con Di Pietro e il 28% anche con la sinistra radicale, ma i vertici del partito continuano a inseguire l’Udc di Casini, o quel che ne resta dopo la fuga verso B. dell’azionista di maggioranza, Totò Cuffaro. La mozione di sfiducia al premier, più volte ventilata, risulta non pervenuta. Così come le regole per le primarie in caso di elezioni, anche perché i sondaggi danno in testa Vendola (capo di un partito che alle ultime elezioni non raggiunse nemmeno il 4%) su Bersani (capo di un partito che due anni fa prese il 27% e ora naviga intorno al 24). Ma nessuno si domanda il perché: se gli elettori non gradiscono l’attuale gruppo dirigente, è colpa degli elettori, non del gruppo dirigente. L’idea di lanciare un candidato nuovo, possibilmente vivente e contemporaneo, è scartata a priori. Il meglio che si riesce a immaginare è Sergio Chiamparino (62 anni, in politica da 40), da dieci anni sindaco di Torino, il comune più indebitato d’Italia e la città più inquinata d’Europa dopo Plovdiv in Bulgaria (ma non si esclude di candidare direttamente il sindaco di Plovdiv). Occasioni d’oro per la “grande mobilitazione” ne fioccano al ritmo di una dozzina al giorno: dal massacro politico-mediatico di Fini allo scandaloso voto salva-Cosentino, dallo scandalo quotidiano della Rai al fallimento del miracolo della monnezza in Campania. Ma su Fini il Pd balbetta. Su Cosentino non può che balbettare, avendo votato nello stesso modo per salvare D’Alema e Latorre dalle intercettazioni Unipol-Bnl. Sulla Rai non sa che dire, anche perché la parola “conflitto d’interessi” suona fessa in bocca a chi per tre volte poteva risolverlo e per tre volte non ci pensò neppure. E su Napoli il Pd ribalbetta, non avendo rimosso per tempo i corresponsabili dello sfascio, da Bassolino alla Jervolino. Occorrerebbe un leader che, negli ultimi 15 anni di suicidio del centrosinistra, non c’era e dunque possa riprendere in mano quelle questioni cruciali senza sentirsi rinfacciare il passato. Ma forse, se c’è, questo Mister X fa la seconda elementare.

Repubblica 28.9.10
Depressione
"Male oscuro", cure difficili
di Carla Etzo


Ne soffrono sei milioni di italiani. E ora la Società di neuropsicofarmacologia lancia l´allarme: "Diagnosi sottostimate e guarigioni sotto il 40%"
La patologia è in continua crescita: non diagnosticata nel 50% dei casi

CAGLIARI. La depressione è una patologia in crescita: colpisce sei milioni di italiani. Un male che viene diagnosticato in misura inferiore al 50 per cento dei casi, ma solo il 15 per cento dei pazienti riconosciuti come depressi riceve cure adeguate. Nel 2020, secondo l´Organizzazione mondiale della sanità, la depressione sarà la seconda causa di disabilità nel mondo dopo le patologie cardiache. Sono solo alcuni dei dati illustrati nei giorni scorsi a Cagliari durante il XVII congresso nazionale della Società italiana di neuropsicofarmacologia. Numeri che gli esperti non esitano a definire allarmanti e che trovano conferma in uno studio realizzato dalla Società italiana di farmacologia con le società italiane di psichiatria e di medicina generale: centosessanta medici di base hanno somministrato un questionario teso a valutare la percezione della qualità della vita di 1600 assistiti a rischio. È emersa la necessità di elaborare strategie di prevenzione, anche insieme ai medici di medicina generale perché, ha chiarito il professor Giovanni Biggio, presidente della Sinpf, «la diagnosi precoce permette di proteggere il cervello da gravi danni, come l´atrofizzazione dei neuroni, difficilmente recuperabile». È poi importante riconoscere quei disturbi che non sono altro che una somatizzazione del male di vivere come quelli di tipo gastrointestinale, neurologico, cardiologico, reumatologico e ortopedico.
Diffidenza nei confronti delle terapie farmacologiche, scarsa prevenzione e percezione della malattia come difficilmente curabile sono alla base degli insuccessi nella lotta al "male oscuro". Un dato per tutti: per l´Osservatorio nazionale della salute femminile, Onda, l´83 per cento delle donne ritiene la depressione meno curabile del tumore al seno. «Per evitare ricadute occorrono almeno tre mesi di cura con gli antidepressivi chiarisce il professor Eugenio Aguglia, docente di Psichiatria all´Università di Catania la terapia dovrebbe essere portata avanti per almeno altri otto mesi. Molti però interrompono prima perché sentono di stare meglio oppure perché temono gli effetti collaterali dei medicinali». Aggiunge Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Neuroscienze al Fatebenefratelli di Milano: «Si guarisce nel 40 per cento dei casi». La ricerca è orientata a trovare soluzioni farmacologiche sempre più adatte alle esigenze dei pazienti: «Dai primi di settembre è disponibile in Italia l´Agomelatina, farmaco approvato per la depressione degli adulti (inserito in fascia C e dunque a pagamento, ndr) aggiunge Biggio capostipite di una nuova classe di antidepressivi, i melatoninonergici, ha tra i suoi vantaggi quello di dare miglioramenti dopo una settimana, essere efficace sui principali sintomi: migliora l´umore, riduce l´ansia e i disturbi del sonno».

Repubblica 28.9.10
Attese e timori così cala il desiderio


Le donne hanno acquistato tante identità nuove, si muovono nello spazio e nel potere, ma nella dimensione in cui si confrontano con il proprio corpo sessuato e il maschio è presente un conflitto tra modernità e pensiero antico. Una donna cerca sicurezza nel maschio in due territori diversi: nel sociale e nella sessualità. Le donne delle generazioni precedenti temevano il tratto impulsivo della sessualità maschile, oggi temono la mancanza del desiderio e la riduzione della richiesta di fare sesso. L´autostima femminile si nutre ancora della competenza del proprio partner, che deve mostrare sicurezza, curiosità, attrazione. Nelle coppie si registra una oscillazione del desiderio sessuale maschile e una moda coatta, condivisa tra i sessi, che se si pensa di fare sesso, si deve realizzare l´atto. Scompare così l´attesa e il piacere dei gesti di prova. Scompare la modalità del maschio tradizionale che esprime il desiderio regalando alla donna la possibilità di sentirsi attraente e di esprimere il potere del "no". Nella consultazione si osserva che la crisi della libido maschile nasce dalla riduzione del tratto impulsivo buono della sessualità. La sessualità diventa accessibile, si può iniziare presto, è percorribile con più persone, ma è diventata affaticata dall´obbligo maschile di fare sesso sempre bene e al femminile il doversi attivare per fare sesso riduce l´autostima di essere desiderate. Nella consultazione si riproporre la gioia del contatto e il gioco corporeo, la curiosità, la capacità di conosce i propri gusti e desideri.
* www.irf-sessuologia.org

Repubblica 28.9.10
Che intelligente quel Neanderthal
di Pietro Del Re


Che l´uomo di Neanderthal fosse tarchiato e fasciato da muscoli d´acciaio è cosa nota. Sappiamo anche che apparve in Europa circa 400mila anni fa e che si estinse, per ragioni ancora ignote, 35mila anni orsono. La grande novità su questo nostro lontano cugino riguarda la sua intelligenza, che i paleontologi valutavano fino a oggi piuttosto limitata. E invece no. Contrordine. Sul Journal of archaeological method and theory un team di scienziati ne riabilita le capacità mentali, sostenendo che il primitivo era in grado di costruire utensili e di dimostrare spirito d´iniziativa. Questo postulato complica, se possibile, il mistero sulla sua scomparsa. Come è potuto soccombere un essere sociale e abbastanza robusto da sopravvivere a diverse glaciazioni? È verosimile che l´Homo neanderthalensis si sia arreso di fronte ai vantaggi culturali di una razza più evoluta. Quella dei Cro-Magnon. Ovvero della nostra. Che attraverso tanti piccoli massacri perpetrò forse il primo genocidio della storia dell´umanità.

Repubblica 28.9.10
Misteri, segreti e bellezza della metafisica delle particelle
L’ultimo libro di Frank Close, professore ad Oxford, racconta l´infinitamente piccolo e le origini dell’universo
di Pietro Citati


Siamo nati da una Grande Distruzione Quella che creò il nostro mondo
I testi di scienza, non solo quelli divulgativi, sono appassionanti come romanzi

Temo che, in Italia, gli amatori di romanzi e di poesia non leggano volentieri i libri di fisica teorica. Mi sembra doloroso e penoso: non solo perché i nostri letterati rinunciano a conoscere importantissime leggi di fisica, con le loro affermazioni, contraddizioni, scandali, strani contrasti con l´esperienza e la ricerca. C´è qualcosa di più grave. La passione metafisica, il gioco puro delle idee – tutto quanto, una volta, eravamo abituati a trovare nei libri di filosofia – , lo ritroviamo, oggi, nei libri di fisica teorica. Se leggiamo Einstein, o Heisenberg, od Hawking, – vi respiriamo quell´atmosfera di assoluto, quella luce di indimostrabile e incontrovertibile, che, alle origini della cultura europea, abbiamo conosciuto in Parmenide, Platone e, poi, in Plotino. Di questo respiro di assoluto noi abbiamo bisogno.
Nei libri di fisica teorica, la mente insegue il doppio infinito: oscilla tra l´infinitamente grande e l´infinitamente piccolo. La passione per l´infinitamente grande risale a Pascal e a Leopardi:
«e quando miro
Quegli ancor più senz´alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle
Ch´a noi paion qual nebbia…».
Oggi siamo abituati all´immensamente vasto: ciò che ci affascina è soprattutto l´infinitamente piccolo. I libri ci parlano, per esempio, del nanosecondo: vale a dire di un miliardesimo di secondo; tempo in cui la luce velocissima percorre trentatre centimetri e trentatre millimetri – niente.
Contro i libri di fisica moderna, i cultori di letteratura obiettano, di solito, che sono difficili: quel guazzabuglio di frasi e di numeri è incomprensibile. Non è vero. Tra i libri di fisica che oggi vengono pubblicati, sia tra quelli creativi sia tra quelli divulgativi, moltissimi sono estremamente facili: si leggono con un piacere quasi romanzesco, saltando di teoria in teoria, partecipando con passione alle discussioni tra grandi scienziati, insinuandoci come formiche tra gli enigmi. Vorremmo conoscere Dirac, o Touscheck o Ernest Rutherford, o il misteriosissimo Majorana, che ha lasciato il suo nome ai neutrini di Majorana; e ascoltarli discutere nel silenzio dell´universo. In questi giorni, per esempio, la casa editrice Einaudi pubblica un lucidissimo libro di Frank Close, professore ad Oxford: Antimateria (traduzione di Giorgio P. Panini, pagg. 204, euro 24), al quale auguro molti lettori felici.
***
Quattordici miliardi di anni fa, avvenne il cosiddetto Big Bang, prima del quale niente esisteva: un improvviso, violentissimo scoppio d´energia, di cui ignoriamo la fonte. Come dice la Genesi: «Sia la luce. E la luce fu». Le ricerche moderne e modernissime riescono a risalire a un attimo dopo lo scoppio: un miliardesimo di secondo. Allora si rivelò quale è il numero, e il ritmo fondamentale, dell´universo. Non l´Uno della filosofia platonica, e della religione cristiana ed islamica, ma il Due. Di qua la materia, di là il suo opposto, l´antimateria: di qua l´elettrone, con cariche elettriche negative, di là il suo opposto, il positrone, con cariche elettriche positive, lo specchio rovesciato del primo. Per un tempo esilissimo, le due forze si equilibrarono e si bilanciarono. E, per un istante, l´osservatore (se fosse esistito un occhio nel fuoco e nella tenebra) non avrebbe saputo prevedere il futuro dell´universo. Siamo diventati materia, e ne sopportiamo il peso: ma forse avremmo potuto diventare antimateria, la forza che domina nel cuore della nostra Galassia
La fantasia del lettore moderno ritorna, senza fine, a quel miliardesimo di secondo dopo il Big Bang, che gli scienziati hanno fatto rinascere negli anelli cavi del Cern di Ginevra. Di alcune cose siamo certi. Sappiamo che l´energia originaria si convertì, nel giovanissimo universo, in primordiali frammenti di materia (elettroni), da cui siamo discesi. E sappiamo che, di fronte alla materia, si estendeva una quantità quasi eguale di antimateria (positroni), la quale, forse, non era soggetta alla forza di gravitazione, e quindi si levava verso l´alto. Tra materia e antimateria (dotata di un immenso potere distruttivo), avvenivano collisioni frequentissime: elettroni e positroni si annichilivano in un lampo di luce; e gli oggetti appena nati duravano pochissimo. Se questa condizione di equilibrio e di simmetria tra i due poli fosse continuata, la vita non sarebbe mai apparsa nel mondo.
Se noi oggi viviamo, ciò dipende da due cause. La prima, l´ho già detta: nell´universo esistevano due forze, che lottavano l´una contro l´altra; non una sola forza, incapace di movimento. La seconda causa è probabile: allora esisteva un leggero squilibrio a favore della materia; uno squilibrio forse lievissimo, qualcosa di minimo e quasi inesistente come un nanosecondo, ma che bastò a produrre quella che viene chiamata la Grande Annichilazione. Nell´universo, il minimo genera, o può generare, l´immenso. Almeno nel nostro mondo, l´antimateria scomparve, come una furtiva ombra spettrale. E la materia cominciò a costruire i suoi innumerevoli edifici: tanto che oggi, per molte centinaia di milioni di anni-luce attorno a noi, tutte le cose sono costituite esclusivamente da materia.
Dove si è nascosta quell´immensa quantità di positroni, che esisteva dopo il Big Bang? Per loro, il mondo che noi abitiamo è alieno ed ostile, e li distrugge rapidamente. Ma, circa centomila anni fa, nel cuore del sole si formarono nubi di positroni, che sono stati quasi subito annichiliti, emettendo raggi gamma. Questi raggi tentarono di fuggire alla velocità della luce, ma vennero ostacolati da una folla di elettroni e protoni, che formano la massa ribollente del sole. Dopo un certo periodo di tempo, sebbene respinti in una direzione o un´altra, assorbiti e riemersi, riuscirono a raggiungere la superficie dell´astro; persero energia, cambiarono frequenza e lunghezza d´onda, diventarono prima raggi X, poi raggi ultravioletti, e percorsero tutti i colori dell´arcobaleno. La luce del sole, che ogni mattina appare ai nostri occhi, condivide dunque in piccola parte l´energia distruttiva dei positroni originari.
Con ogni probabilità, i positroni hanno trionfato altrove, lontanissimi dal sistema solare. Nel centro della nostra Galassia, esistono nubi di positroni: essi si trovano presso stelle binarie che emettono raggi X, e vengono attratte da stelle che producono neutrini e da buchi neri. Ma conosciamo positroni molto più prossimi a noi: quelli che hanno creato in laboratorio, per decenni, gli scienziati che lavorano al Cern presso Ginevra. I fisici del Cern hanno disposto un´immensa macchina, il Lep (Large Electron Positron collider) a una cinquantina di metri di profondità nel sottosuolo, in una galleria di 27 km, lunga come la Circle Line della metropolitana di Londra.
Il Lep è un anello cavo, dove viene fatto il vuoto. Una fitta serie di elettromagneti, disposti lungo la circonferenza del cavo, guida fasci di elettroni e di positroni, facendoli girare per settimane e settimane, a una velocità prossima a quella della luce. Le particelle rapidissime attraversano il confine tra Svizzera e Francia undicimila volte al secondo, passano sotto la statua di Voltaire a Ferney, sotto campi coltivati, villaggi ai piedi del Giura, dove un tempo Rousseau passeggiava ed erborizzava. I percorsi degli elettroni e dei positroni sono mantenuti a lieve distanza gli uni dagli altri: ma in quattro punti della grande circonferenza il loro cammino si incrocia. Qualche volta si verifica la collisione di un elettrone e di un positrone; ed entrambi si annichilano in un lampo incandescente di energia. Questo evento minimissimo nel sottosuolo di Ginevra riproduce quello che accadde, un istante dopo il Big Bang. Noi siamo vivi e attivi: cresciamo, abbiamo un corpo, mangiamo, parliamo, pensiamo, camminiamo, generiamo altra materia, che genererà altra materia; eppure siamo nati dalla Grande Distruzione che creò il nostro mondo.

Repubblica 28.9.10
Dalla Sassonia a Torino, passando per Sorrento. Le peregrinazioni del filosofo
Se L´opera di Nietzsche è lunga 4000 chilometri
di Maurizio Ferraris


La salute e la malattia sono le categorie attraverso le quali legge il mondo. Ed è uno dei protagonisti del libro "I viaggi dei filosofi"

Torino, in Via Carlo Alberto 6, si legge un´epigrafe: «In questa casa/ Federico Nietzsche/ conobbe la pienezza dello spirito che tenta l´ignoto/ la volontà di dominio/ che suscita l´eroe// qui/ ad attestare l´alto destino/ e il genio/ scrisse "Ecce homo"/ libro della sua vita // a ricordo/ delle ore creatrici/ primavera autunno 1888/ nel I centenario della nascita/ la città di Torino/ pose/ 15 ottobre 1944 a. XXII e.f.». La targa fu posta in tempi di volontà di potenza scatenata. Io la vedo almeno due volte all´anno, perché in quella casa c´è lo studio del mio commercialista, e pago le tasse nella stanza di Zarathustra. Lì tra gli ultimi giorni del 1888 e i primi del 1889, aveva luogo il crollo psichico che lo porterà a scrivere i "biglietti della follia" in cui dichiara di essere tutti i nomi della storia e si firma ora "Dioniso" ora "Il Crocifisso". Ma come ci era arrivato, a Torino, e perché quella fine?
Come prima cosa, torniamo indietro a Sils-Maria, dove Nietzsche affittava una stanza in cui, il 26 agosto 1886, compose quello che solitamente viene considerato l´ultimo piano della Volontà di potenza. L´opera non vedrà mai la luce per mano di Nietzsche, e i frammenti postumi saranno variamente organizzati da sua sorella Elisabeth e dal suo allievo Peter Gast, nel 1901 e poi in una nuova e più ampia edizione nel 1906. L´idea di Nietzsche, che incubava sin dai primi studi filologici, e che ora trova una nuova sostanza, è che il mondo sia fatto di atomi dotati di una forza interna, che si scontrano per sopraffarsi, e che la sola cosa che conta, per loro, è per l´appunto la lotta, l´aggressione, l´urto, non la felicità, non l´utile, ed evidentemente nemmeno la morale, dal momento che qui stiamo affrontando livelli di realtà che riguardano atomi, corpuscoli, microrganismi, cellule, amebe. C´è un vulcano che esplode e trascina al di là della vita, con la forza di qualcosa di molto potente e insieme di molto basso e primario.
Ecco dove finiscono le dottrine escogitate nei posti di vacanza. Nietzsche si è molto lamentato, a un certo punto, anche degli anni passati sulla riviera ligure e francese. Stanze fredde, malinconia, l´incapacità (un po´ patologica) di parlare in modo accettabile l´italiano o il francese. In questi anni e in questi luoghi Nietzsche scrive Aurora, gli Idilli di Messina e La Gaia scienza. Ma c´è anche Roma, dove il 26 aprile 1882 conosce Lou Andreas-Salomè, ventunenne figlia di un generale russo, curiosissima di cultura e di intellettuali, che nel 1894 scriverà un bel libro su Nietzsche. Nietzsche progetta subito di sposarla, ma fra i due non succederà niente tranne un bacio (forse) a Orta, dopo una passeggiata al Sacro Monte. Nietzsche e Lou trascorrono insieme il mese di agosto, a Tautenburg, però con Elisabeth, gelosa e aggressiva nei confronti di Lou, e poi cinque settimane, tra ottobre e novembre, a Lipsia, questa volta con Paul Rée, un amico di Nietzsche autore di un libro sull´Origine dei sentimenti morali. I due, Lou e Rée, il 5 novembre partiranno alla volta di Berlino, lasciando Nietzsche nella più completa desolazione, e lui ripiegherà a Rapallo, dove in pochi giorni del gennaio 1883 scrive la prima parte di Così parlò Zarathustra.
La salute e la malattia sono le categorie per il cui tramite Nietzsche legge il mondo. Non c´è da stupirsene, visto che il suo è essenzialmente lo sguardo di un malato. Nell´ottobre 1876 ottiene un anno di congedo da Basilea, prodromo delle dimissioni definitive, nel 1879. Con Rée e con Albert Brenner, un allievo, parte per l´Italia. Il 22 ottobre raggiungono Genova, dove si imbarcano per Napoli; il 27 sono a Sorrento, ospiti di Malwida von Meysenbug che aveva preso in affitto Villa Rubinacci. Oggi la villa è un albergo con pizzeria. È molto probabile che Nietzsche, malandato e depresso, chiedesse all´Italia, specie meridionale, quello che tutti i viaggiatori le domandavano, forse sin dall´epoca di Annibale, di certo dal grand tour settecentesco in avanti: ristoro fisico, riposo, serenità da pensionato. Ma non ci si può sottrarre al proprio destino, ai condizionamenti familiari, ai geni. A ben vedere, la storia è ancora più antica, ed è già presente nell´epoca "romantica", quella dell´insegnamento in Svizzera.
Nietzsche arriva a Basilea nel 1869, giovanissimo professore di filologia, e incomincia un´attività complessa. Quella di docente di greco e di latino, che cerca di avvicinarsi, dalla filologia, alla filosofia. Quella di curioso di cose scientifiche, che cerca di colmare le lacune della sua formazione soltanto umanistica. E quella di fervente wagneriano, che nei fine settimana frequenta il maestro e la moglie Cosima a Tribschen, sul lago di Lucerna. Il simbolo e il sintomo di questa triplice attività e personalità è La nascita della tragedia, concepita più o meno quando Nietzsche arriva a Basilea, cresciuta tra i corsi universitari e gli incontri con Wagner, e uscita all´inizio del 1872. Fra le tappe essenziali del viaggio non resta che Röcken. In Sassonia, la città natale. Secondo la stima Google maps, l´itinerario che abbiamo tracciato partendo da Torino è di 3.761 km – circa 1 giorno 16 ore. Nietzsche ci mise quarantaquattro anni. Leggiamo in un frammento autobiografico di quando aveva diciannove anni: «Come pianta io nacqui presso il camposanto, come uomo in una canonica». Camposanto e canonica sono ancora lì, e nel camposanto è stato sepolto il 28 agosto 1900, tre giorni dopo la morte avvenuta a Weimar.

Repubblica Firenze 28.9.10
Al prestigioso Istituto dovrebbero arrivare tra i 50 e i 100mila euro. L´impegno di Cooplat, Quadrifoglio e Publiacqua
Spiccioli per la Nazionale
Per la Biblioteca fondi fino a marzo. Bondi: "Usate i dipendenti Eti"
di Mara Amorevoli


La direttrice: "Il ministero ci darà 50-100 mila euro poi dovrebbero arrivare altri fondi per garantire il servizio in futuro"
L´invito dal governo: l´istituto ha oltre cinque milioni e mezzo di denari non utilizzati Inizi da quelli
Tante istituzioni culturali toscane sono state rese autonome e poi abbandonate a se stesse. Ma autonomia non vuol dire questo
Perché non si mettono a gara le frequenze del digitale tv come accade nel resto d´Europa? Così i soldi si troverebbero

Allarme senza fine per la Nazionale. Dal ministero dei Beni culturali i fondi per tenere aperta la Biblioteca anche il pomeriggio sono garantiti solo fino a marzo, mentre Bondi propone di coprire i buchi d´organico con gli ex dipendenti dell´Eti, chiuso a luglio. Per Enrico Rossi e Matteo Renzi i provvedimenti tampone del governo non sono sufficienti, mentre dalla Fondazione Kennedy Europea parte un appello internazionale (da oggi sul sito) per salvare la Nazionale.
Chiusura scongiurata. La Biblioteca Nazionale resterà aperta. La notizia arriva da Londra, dove si trova per lavoro la direttrice dell´Istituto Ida Fontana: «Oggi (ieri, ndr) ho parlato con il direttore generale per le Biblioteche Maurizio Fallace che mi ha assicurato che sono stati reperiti i fondi per garantirci la normale apertura almeno fino a marzo. E´ arrivata anche una sua lettera alla mia segreteria. Per ora la cifra dovrebbe aggirarsi sui 50-100 mila euro, a cui dovrebbero seguire altri finanziamenti, poiché c´è l´impegno a mantenere la Biblioteca aperta anche in futuro». L´annuncio arriva prima della riposta del ministro dei Beni culturali Sandro Bondi che, a fine giornata, suggerisce due iniziative per salvare dalla débacle l´istituzione: «Ad oggi la contabilità speciale della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, dotata di autonomia dal gennaio di quest´anno, ha in giacenza quasi 5.650.000 euro: fondi non utilizzati che andrebbero rimodulati per risolvere una situazione d´emergenza». Il ministro aggiunge poi «una sua proposta di buon senso». E aggiunge: «Per far fronte alla carenza di personale si possono utilizzare alcuni bibliotecari che sono compresi tra i 56 dipendenti dell´Eti, soppresso nel luglio scorso, che risiedono a Firenze».
Una razionalizzazione e una boccata di ossigeno per questo istituto d´eccellenza nazionale, che si concretizzerà soprattutto in denaro sonante per assicurare il pagamento delle bollette di gas, luce e pulizie, oltre che per il salario dei giovani della ditta che opera nella movimentazione e distribuzione dei libri, i cui stipendi per ora sembravano garantiti solo fino al 30 novembre, data di scadenza del contratto.
Un provvedimento arrivato davvero in extremis a calmare la drammatica situazione economica in cui versa ormai da mesi la Nazionale. «Ma è anche una riposta all´accorato appello del Comitato dei lettori, a quello lanciato da Repubblica prosegue al telefono Ida Fontana e alla mobilitazione e alle pressioni del mondo della cultura per salvare l´immenso patrimonio di questa importante istituzione che si era vista costretta a ridurre l´orario di apertura al pubblico».
All´appello tuttavia è seguita una gara di solidarietà anche da parte di alcune aziende di servizi cittadini. Una riposta essenziale per ridimensionare le tariffe che l´istituto non era in grado di affrontare e saldare. Prosegue la direttrice: «C´è stato un concorso di prese di posizione e iniziative che apprezziamo molto. Publiacqua ci riduce le tariffe in cambio di una mostra sull´acqua che prossimamente sarà inserita nei nostri programmi. Quadrifoglio ci abbasserà la tassa sui rifiuti e noi concederemo un´aiuola in cui realizzare un cassonetto interrato. Infine Cooplat ci verrà in aiuto, effettuando le pulizie a minor prezzo e in qualche caso anche gratis». Sono piccole sinergie che si muovono in città, risorse che permetteranno alla Biblioteca di tirare il fiato sulle economie quotidiane. Mentre, grazie all´autonomia dell´istituto, potranno andare avanti altre iniziative con i proventi arrivati dagli sponsor. «Ma non possiamo far fronte alla manutenzione ordinaria con i progetti finanziati dagli sponsor prosegue la direttrice Questi esigono un ritorno di immagine, risultati visibili sul piano culturale. Così i 300-400 mila euro che abbiamo guadagnato come risorse da iniziative legate all´autonomia non possiamo stornarli sul pagamento delle bollette».
Stessa storia per i 400 mila euro stanziati a maggio in soccorso alle precarie finanze della Nazionale, dalla Commissione cultura della Camera: denari in arrivo che saranno destinati ai lavori, alla manutenzione dei tetti dei magazzini e agli impianti di sicurezza. Quello che manca è un intervento forte dal ministero dei beni culturali e dallo Stato. In clima di tagli ai bilanci e di giri di vite sui fondi, si procede via via con interventi sulle emergenze.
«Ma il direttore generale Fallace mi ha garantito che per il futuro non dovremo correre più rischi. E me lo auguro poiché nel 2011 si celebreranno i 150 anni della Biblioteca nazionale, nata appunto dalla fusione della Biblioteca Magliabechiana con la Biblioteca Palatina nel 1861. Questo evento sarà celebrato come si deve, non certo con la preoccupazione di chiusure per mancanze di fondi» conclude Ida Fontana, certa ormai che qualsiasi pericolo sia scongiurato e che le soluzioni messe in cantiere funzionino davvero.

Repubblica Firenze 28.9.10
Il governatore aveva lanciato due proposte: "Non possiamo permetterci di assistere a questo sfascio"
Rossi e l´impotenza della Regione "Stanno smantellando lo Stato"
E Renzi attacca il ministro "Basta figurucce nel mondo"
di Simona Poli


Prima l´allarme per l´Accademia della Crusca, ora quello per la Nazionale. Beni dello Stato, patrimonio culturale dell´Italia, che non hanno più neppure i soldi per pagare gli stipendi o saldare le bollette. Che ne pensa presidente Rossi?
«Che non possiamo permetterci di assistere a questo sfascio. Quello che sta accadendo sotto i nostri occhi non saprei definirlo in altro modo che un progressivo e inarrestabile svuotamento dello Stato. Vado al ministero dell´Industria e non trovo un ministro, vado all´Anas e mi dicono che non ci sono i soldi per fare le strade, vado ai Beni culturali per farmi tramite di appelli disperati e anche lì allargano le braccia impotenti».
A Ida Fontana, direttrice della Nazionale, il ministero avrebbe garantito i fondi per l´apertura pomeridiana delle sale almeno fino a marzo. E Bondi propone un piano d´emergenza per integrare lo scarso personale utilizzando come bibliotecari ex dipendenti dell´Eti, l´Ente teatrale chiuso da luglio.
«Ma non è in questo modo che uno Stato provvede a una delle sue istituzioni più importanti. La Nazionale è un bene fondamentale, servono fondi veri per tenerla in vita e permetterle di funzionare a pieno ritmo. Come si può pensare che il pomeriggio sia chiusa? Sarebbe normale che stesse sempre aperta piuttosto, quale altro luogo sennò andrebbe reso accessibile a tutti a qualsiasi ora? Mi chiedo perché di fronte a questo nessuno s´indigni. Secondo me le coscienze dovrebbero ribellarsi».
Il governo taglia su tutto, dove trovare i soldi?
«Perché l´Italia non mette a gara le frequenze del digitale come hanno fatto gli altri paesi? Forse perché quelle frequenze fanno comodo al signore che ci governa e che invece di preoccuparsi di finanziare la Nazionale sta smantellando lo Stato?».
Ida Fontana è venuta a parlare anche con lei, però.
«E io l´ho ricevuta e le ho detto che faremo tutto il possibile per aiutarla, anche se la Regione sta scontando le enormi difficoltà imposte dai tagli del governo. Abbiamo anche parlato di un paio di proposte che, mi rendo conto solo a parlarne, sono del tutto inadeguate ai bisogni. La prima è quella di supportare associazioni di volontariato che formino giovani in biblioteconomia, potrebbero imparare sul campo e dare una mano al personale, una sorta di servizio civile insomma. L´altra idea è di chiedere a qualche nostro custode, su base volontaria, di spostarsi alla Nazionale, senza sguarnire la Regione naturalmente. Si tratterebbe di qualche unità, vedremo».
Crusca e Nazionale fanno parte del patrimonio dello Stato. Secondo Schiavone e Primicerio la loro gestione non si può "delegare" e neppure pensare che concedere l´autonomia sia sufficiente.
«Anche questo è paradossale. Lo Stato dà l´autonomia a Nazionale, Riccardiana, Marucelliana, Medicea Laurenziana, Governativa di Lucca, Universitaria di Pisa. Per cosa? Per poi abbandonarle a se stesse. Autonomia non vuol dire abbandono».
Il sistema Italia può reggere ancora in queste condizioni?
«Non credo proprio. Questo smantellamento dello Stato sta modificando nel profondo la struttura materiale del paese. Non importa fare colpi di Stato per ottenere effetti devastanti sulla tenuta democratica e civile, per cambiare le cose è sufficiente che lo Stato perda le sue funzioni primarie. E tutto questo a fronte di capitali che vengono importati dall´estero pagando appena il 5 per cento di tasse e di liquidazioni milionarie che, certamente, vanno ad importanti personalità ma che evidenziano sempre di più la gigantesca sperequazione sociale».
Cosa risponde a Bondi?
«A lui bisogna rivolgere la famosa battuta usata nella contestazione studentesca: "Una risata vi seppellirà"».
«Apprezzo la buona volontà del ministro Sandro Bondi di trovare una soluzione in calcio d´angolo, ma finchè il ministro non tratterà le questioni di Firenze in modo unitario e organico, il governo sarà esposto, giorno dopo giorno, a figurucce sulla stampa». Il sindaco Matteo Renzi reagisce così le iniziative prese dal ministro per «salvare» la Nazionale. Come dire, quello che serve alla città è ben altro.
«Una volta il David, una volta il Maggio, una volta è la Nazionale, una volta sono le scritte sui muri dell´Accademia e degli Uffizi. Noi siamo pronti a collaborare, ma loro devono smetterla di inseguire i problemi senza trovare soluzioni definitive», dice il sindaco. Uno scontro Firenze-Roma? Lo vedremo l´8 ottobre, quando Renzi incontrerà proprio il ministro Bondi. Un incontro già fissato da qualche giorno per discutere di tutte le questioni aperte: dalla legge speciale al teatro della musica. Adesso anche della biblioteca.
Renzi ricorda di aver già fatto presente al sottosegretario Bonaiuti il caso della biblioteca: «Riproporrò l´argomento a Bondi: purtroppo il Comune non è proprietario dell´immobile né della biblioteca: possiamo solo fare una pressione politica». Del resto, «la biblioteca rientra nel pacchetto della specialità di Firenze, di quelle cose cioè che rendono Firenze una realtà eccezionale. Lo hanno capito tutti, speriamo lo abbiano capito anche i ministri del governo che avevano promesso a Firenze una legge speciale».

Corriere della Sera 28.9.10
Una macchia nera sui dipinti di Lascaux
E’ polemica sui sistemi di conservazione
di Viviano Domenici


I dipinti preistorici della grotta di Lascaux, in Dordogna (Francia), antichi di 17.000 anni, stanno male e non si trova la cura per debellare la lebbra che li sta deturpando. Il male comparve la prima volta cinquant’anni fa e periodicamente torna a insidiare, sia pure in forme diverse, le 900 figure di questo straordinario bestiario dell’uomo paleolitico.
Stavolta sono macchie nerastre a crescere sul muso della «grande vacca», tra le corna delle renne, sulle zampe dei cavallini neri, e finora tutti i tentativi di annientare quell’impasto micidiale di microscopici funghi, muffe e calcite non sono stati risolutivi.
L'allarme è stato rilanciato nei giorni scorsi, in occasione della visita del presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy e di sua moglie Carla Bruni, che sono entrati nella grotta indossando tute bianche sterili. Così la notizia del cattivo stato di salute di Lascaux ha fatto il giro del mondo, insieme all’eco delle polemiche suscitate dall’iniziativa del Comitato internazionale per la Conservazione di Lascaux che ha chiesto all’Unesco di iscrivere la grotta nella lista dei beni patrimonio dell'Umanità a rischio di di struzione. Una richiest a eclatante che di fatto mette sotto accusa l’attuale Commissione ministeriale da cui dipende la conservazione dei dipinti.
Principale imputato è il particolare sistema di condizionamento dell’aria, fatto installare dall’attuale Commissione, che avrebbe innescato lo sviluppo incontrollato di funghi (Fusarium solani), muffe e batteri contro i quali sono state impiegate massicce dosi di antibiotici e antifungini, applicati sotto forma di impacchi, che non hanno dato i risultati sperati.
Anzi, secondo i critici alcuni interventi — come quello di spargere quattro tonnellate di calce viva nella cavità per combattere i batteri introdotti dagli stessi tecnici addetti alle operazioni di disinfestazione — hanno creato più problemi che altro.
Il Comitato internazionale ha anche denunciato il rifiuto della Commissione ministeriale di mettere a disposizione degli scienziati di tutto il mondo la «cartella clinica» semestrale dei dati rilevati dalla rete di sensori presente nella grotta.
Di fronte alle pesanti critiche, la conservatrice di Lascaux, Muriel Mauriac, ha replicato affermando che lo stato di salute e i livelli di contaminazione della grotta sono stabili e tra pochi giorni saranno disponibili gli studi sul metabolismo del fungo aggressore. Insomma, due verità contrapposte. Forse sapremo qualcosa di più in occasione della conferenza stampa annunciata per la metà di ottobre. E’ evidente, però, che la prima minaccia ai celebri dipinti di Lascaux viene dalla presenza dell’uomo che altera il microclima nell’ipogeo; tutti gli altri problemi sono solo conseguenti.

La Stampa 28.9.10
Saramago mio marito occhi pieni di Portogallo
La vedova racconta l'ultimo viaggio dello scrittore nel suo Paese poco prima di morire: «Finiamo sempre per tornare dove ci aspettano»
di Pilar Saramago

qui
http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/339532/