domenica 3 ottobre 2010

l’Unità oggi è in sciopero

il Fatto 3.10.10
Scene del Fascismo che torna
di Furio Colombo


Le parole di Ciarrapico, il pestaggio ai danni di Blanchaert, le freddure del premier sugli ebrei, il determinismo razziale del sindaco di Tradate: fotografie del Ventennio a colori

Sembrava toccato un fondo umiliante con la scuola di Adro, edificio dello Stato vandalizzato dalla Lega. E con il voto di fiducia ottenuto da Berlusconi per forzare a un atto di sottomissione chi ha già detto ad alta voce e in pubblico ciò che pensa di lui.
Ma nelle stesse ore due fatti ci hanno ricordato che, se il presente è squallido, il peggior passato italiano si sta facendo largo tra le rovine di Berlusconi e non ha più vergogna di ciò che è stato.
Fenomenologia dei tempi correnti
ECCO il primo fatto. È mercoledì 29 settembre, siamo a Milano, siamo in via Bagutta, siamo di fronte a una manifestazione di studenti, quasi tutti di scuola media e alcuni universitari che per comodità e per giustificare alcuni eventi, verranno descritti come “centri sociali”. La manifestazione è piccola ma la ragione che porta i ragazzi in strada, di fronte alla sede dell’Unione Ufficiali in congedo, è grande. Il ministro della Difesa La Russa, il sindaco di Milano Moratti e il ministro dell’Istruzione Gelmini hanno deciso che d’ora in poi mille ragazzi delle scuole milanesi parteciperanno ogni anno a un corso che si chiama “allenati per la vita”. Vuol dire armi, esercitazioni, sfide fra pattuglie, esercizio alla “frequentazione di luoghi ostili”. Vuol dire cultura di guerra a scuola. L’affermazione non è eccessiva perché un simile training non è affatto un modo di accostarsi alla vita dei soldati veri. Facile provarlo.
È evidente l’equivoco: gli metti l’arma in mano, lo fai agire come una persona armata, creando una presunzione di razza a parte, di razza superiore. Ed è evidente il pericolo: Impari i gesti ma non il senso, come insegnare a qualcuno ad usare il bisturi, col pretesto che non si sa mai, ma senza la scuola di Medicina.
Ho detto che un simile folle progetto non si ritrova mai nelle scuole del mondo democratico. Ma occorre aggiungere che era tipico del fascismo, che esercitava i ragazzi anche con armi finte (che diventavano vere dopo i 15 anni) su scala di massa. Dunque, senza alcun dubbio, l’iniziativa è fascista, nel senso classico e antico della parola. È il fascismo di Mussolini che voleva indurire gli italiani “molli e pacifisti”.
Tutto ciò per spiegare l’evento di Milano. Questo giornale ne ha parlato accuratamente il primo ottobre. A me preme far notare qualcosa di strano e di pericoloso nella sequenza dei fatti.
Primo, non era una grande manifestazione, i partecipanti erano pochi (pensando all’irresponsabilità di adulti come La Russa, Moratti, Gelmini, titolari del potere, viene voglia di dire “peccato”). Saranno stati rumorosi ma certo non pericolosi. Non risulta che vi siano stati contatti fisici di alcun genere.
Il modello ‘Genova’ per le vie di Milano
SECONDO, i ragazzi hanno avuto l’impressione che vi fosse, oltre alle normali forze dell’ordine (carabinieri) un gruppo di militari diverso e speciale. Non diversa la divisa, ma il comportamento. O (direbbero gli specialisti) la missione.
Qui occorre sentire la voce di Leon Blanchaert, anni 23, corso di laurea in Scienze politiche, Uni-
versità Statale, uno dei pochi adulti nella dimostrazione contro la cultura della guerra degli studenti di scuola media il 29 settembre a Milano.
“Tutto era finito in modo pacifico ma all’improvviso due di noi, io e una ragazza, evidentemente identificati come i capi della dimostrazione, siamo stati bloccati da un gruppo di militari che ci seguiva. Alla ragazza hanno storto il braccio come per romperlo. Io sono stato tenuto fermo mentre uno di loro mi picchiava sulla faccia fino a staccarmi il setto nasale. Sono in ospedale e nei prossimi giorni sarò operato. L’evento è stato terrorizzante per i ragazzi e le ragazze più piccoli (alcuni di 13 e 14 anni). Anche a nome loro chiediamo un intervento parlamentare. Vogliamo sapere chi ha ordinato una simile azione, lungo quale catena di comando, visto che il ministro della Difesa è il promotore dell’iniziativa che noi chiamiamo “la guerra a scuola” e, allo stesso tempo, il comandante in capo di coloro che ci hanno aggredito come per darci una lezione esemplare, benché nessuna misura di ordine pubblico giustificasse una simile spedizione punitiva”.
La mattina del primo ottobre mi sono assunto il compito di intervenire in aula. Era in corso la discussione generale sull’aumento ed estensione dei pedaggi sulle autostrade. Ma proprio in quel momento in Senato era accaduto qualcosa di insolito e grave. L’evento ha indotto la presidente di turno Rosy Bindi a permettere al deputato Fiano (poi a Nirenstein e poi a me) di intervenire. Ecco che cosa era accaduto. Il Senatore Giuseppe Ciarrapico, che si è sempre vantato di essere stato e di essere tuttora fascista, ha detto: “ Vedremo quanti voti prenderà il transfuga Fini. Ma mi domando: i finiani hanno già ordinato la kippah? Perché di questo si tratta. Chi ha tradito una volta tradisce sempre”.
La kippah è il tradizionale copricapo degli ebrei, avvertono le agenzie che hanno diffuso la notizia.
Intervenendo con forza e passione sul senso che hanno quelle parole nell’Italia che stiamo vivendo, Fiano ha aperto la strada che mi ha consentito di raccontare subito all’Assemblea il pestaggio organizzato a Milano contro ragazzi estranei ad ogni azione o organizzazione pericolosa, colpevoli di essersi opposti alla “scuola di guerra”, da parte di un gruppo che forse è un’unità speciale con una missione speciale, qualcosa di separato dalle normali forze dell’ordine. Insomma, assieme alle parole di Ciarrapico si intravede l’altra faccia del fascismo, che si sente libero e anzi voglioso di esserci e di farsi notare, si sente autorizzato di venire sfacciatamente allo scoperto.
Niente scorre, tutto torna
CON IL comportamento del sindaco leghista di Tradate che vieta il pagamento del premio di natalità se i genitori del nuovo nato non sono tutti e due italiani. E spiega senza ritegno che la sua iniziativa ha lo scopo di proteggere “ la nostra cultura”, torna, nella sua tipica forma odiosa, la difesa della razza. Quando il docente del conservatorio di Milano Johanne Maria Pini non esita a raccomandare l’eliminazione dei disabili, il nazismo torna ad insediarsi in Italia senza esitazione e senza pudore. Ecco la nuova Italia di cui ci ha parlato a lungo Berlusconi, prima di addormentarsi in Senato, placato e confortato da se stesso dopo aver annunciato che tutto va bene, dopo essere stato il protagonista di un “fuori onda” in cui ripete di voler dare la caccia ai giudici e racconta le sue umilianti barzellette sugli ebrei.



Repubblica 3.10.10
Il popolo under 20 "Ridateci il futuro"
Il popolo Viola ha meno di vent´anni e sa che il futuro gli è stato rubato. Nel giorno del NoB-Day 2 il corteo è pieno di giovanissimi.
L’onda viola ha meno di vent´anni "Siamo i partigiani del terzo millennio"
"Che ci frega di Montecarlo, a noi interessa chi la casa non ce l´ha"
di Maria Novella De Luca


Gli applausi per Rodotà e il "libretto rosso" di Borsellino sventolato da centi-naia di persone
Tanti gli studenti medi che sfilano, mescolando slogan contro Berlusconi, techno, pop e rock

Quelli che ti aspetti ad un corteo di studenti medi, quelli che hanno fatto forte l´Onda, e invece eccoli che arrivano ballando in piazza San Giovanni, mescolando slogan, techno, pop e rock, tutti dietro due ragazzi di Reggio Emilia che in mancanza di camion e sound system si sono messi le casse sulle spalle, e avanzano eroici e sudati tra gli applausi del corteo. Alla fine piazza San Giovanni è piena a tre quarti, con le bandiere dell´Idv che quasi sovrastano le sciarpe e gli striscioni viola.
Di Pietro in testa alla manifestazione con accanto la moglie e la figlia incamera applausi, si concede, stringe mani su mani e attacca Berlusconi "corruttore e violentatore della democrazia". Anche per Vendola, che appare per un breve saluto, è grande festa, ma l´anima della manifestazione è altrove, è tra i centomila che seduti sul prato davanti al maxi-palco applaudono Stefano Rodotà e Paul Ginsborg, Salvatore Borsellino e Ilaria Cucchi, i partigiani dell´Anpi, i cassintegrati e i parenti dei morti sul lavoro. E ricordano insieme ai martiri di mafia anche Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Gabriele Sandri, tutti giovani e tutti scomparsi in modo violento mentre erano "sotto la tutela dello Stato". "Mio fratello è morto un anno fa - ricorda con la voce incrinata Ilaria Cucchi - ma la verità è sempre più lontana". Oltre le bandiere l´eterogenea folla del No B-Day 2 resta più "liquida" di quanto si pensi, il nemico è lui, Berlusconi, che i Viola vogliono licenziare, dimettere, cacciare, e allora, dicono gli striscioni "svegliati Italia", perché "l´Italia è nostra e non di Cosa Nostra", e dunque, scandisce il movimento delle "Agende rosse", "fuori la mafia dallo Stato", e "Berlusconi a San Vittore". Colpisce sentire docenti universitari, giuristi, giornalisti che parlano di legalità, legge elettorale, senso dello Stato, concetti né semplici né semplificati, applauditi con calore da una folla trasversale alle generazioni. Che punta il dito contro l´assenza il Pd, come ricordano decine di cartelli satirici con Bersani addormentato e la scritta "Non facciamo rumore altrimenti il Pd si sveglia". E in serata Ignazio Marino dice con amarezza: "E´ un errore che il Pd non sia qui".
Dopo qualche goccia di pioggia la serata diventa bella, il cielo senza nubi. Guglielmo e i suoi amici frequentano il terzo anno del liceo "Mamiani" a Roma: "Siamo qui contro Berlusconi che ci toglie il diritto allo studio, che ci toglie il futuro, siamo qui perché il popolo Viola comunica su Internet e la rete è l´unica voce libera rimasta". Parola di adolescenti che tra pochi giorni torneranno a sfilare in una grande manifestazione contro la riforma Gelmini. E infatti tanti e numerosi sono i precari della scuola, molti hanno i capelli bianchi, mentre il Coordinamento Viola di Milano porta uno striscione con una frase di Montanelli: "Il berlusconismo è veramente la feccia che risale dal pozzo".
I gruppi emergenti portano sul palco rock e canzoni di lotta, tammorre e rap napoletani. Ci sono i Rein, c´è Zona Rossa Crew, Le Formiche, Effetti Collaterali, la piazza assomiglia a quella del concerto del Primo maggio, ma esplode in un applauso quando il rappresentante dei partigiani dell´Anpi grida: "Politici, basta, ma che ci frega a noi della casa di Montercarlo, a noi interessa chi la casa non ce l´ha, chi non ha un tetto sulla testa...". Vanno a ruba le magliette con la scritta: "Partigiani del terzo millennio". In uno spicchio dell´immenso sagrato ci sono i comitati dei senzacasa, i coordinamenti dei senza tetto, arrivano da Roma, da Napoli, "da vent´anni siamo in lista - dice Salvatore Augelli, 50 anni, disoccupato - ma l´assessore ha venduto gli elenchi alla Camorra, chi ha pagato il pizzo è entrato, gli altri via, in fondo alla graduatoria, e non importa se avevamo il punteggio per arrivare primi".
E´ la disperazione del paese reale, che chiede soprattutto legalità. "La società italiana si sta decomponendo - dice Stefano Rodotà dal palco - c´è stata una pianificazione legislativa del degrado, una regressione culturale, c´è un attacco alla scuola, al futuro dei ragazzi, restiamo uniti, non dividiamoci, questo è il momento del tutti con tutti". "Grazie professore", gridano dal prato. Le divisioni tra l´ala dura dei Viola che contesta l´irruzione dei simboli politici, e chi invece allarga le maglie, sembra distante da qui, roba sterile. E tocca poi a Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, assassinato dalla mafia, accendere il pathos del popolo delle "Agende Rosse". Centinaia di giovani che sventolano un libretto rosso a ricordo della famoso diario da cui il giudice Borsellino non si separava mai, agenda scomparsa (o fatta scomparire) dopo l´attentato. "Siamo nel fondo del baratro, la corruzione è la regola, Berlusconi che offende la Costituzione non può citare il nome di Calamandrei, stanno vincendo la mafia, la n´drangheta, il Premier si è alleato con Gheddafi per lasciar morire centinaia di disperati nel canale di Sicilia...". Un´invettiva durissima, che finisce con il grido, "Resistenza", moltiplicato per centomila voci. Molti hanno gli occhi lucidi. Per fortuna la musica ricomincia, ed è festa fino a notte.

il Riformista 3.10.10
No B-Day 2 Vendola fa show Il corteo fa flop
Opposizione. Pesano le divisioni nel popolo viola: insuccesso di partecipazione alla manifestazione anti-Silvio. Nichi si prende la scena. E tesse la tela dei rapporti con la Cgil in vista delle primarie.
di Ettore Colmbo

qui
http://www.scribd.com/doc/38620536

Corriere della Sera 3.10.10
Urne anticipate, un elettore su tre verso l’astensione
di Renato Mannheimer


Il 56% ha un’opinione negativa della politica, il 28 prova addirittura «disgusto»

Come ogni settimana, abbiamo effettuato nei giorni scorsi un sondaggio sulle intenzioni di voto degli italiani. La distribuzione delle preferenze non differisce molto dalle ricerche precedenti, salvo la conferma della tendenza ad abbandonare il consenso per i due partiti maggiori (sia il Pdl, sia il Pd) per dirigerlo verso le forze più piccole. Ma l’esito più significativo non riguarda tanto il voto, quanto il non voto. Rispetto al passato, infatti, si sono di molto accresciute le risposte «non so cosa votare», «non so se andare a votare» e similari. L’insieme di queste espressioni di indecisione, se non di rifiuto dell’intera offerta elettorale attuale, si avvicina oggi al 33% (era il 25% prima dell’estate). Insomma, più di un italiano su tre non vuole o non riesce a prendere posizione sul partito da votare.
È un altro indicatore del processo di sfiducia verso la politica e le sue istituzioni che, di nuovo, si sta manifestando nel nostro Paese. Gli avvenimenti che hanno connotato lo scenario politico di questi ultimi mesi hanno rafforzato questo andamento. I litigi interni, sia nel centrodestra, sia nel centrosinistra, l’attenzione talvolta esagerata a tematiche che poco riguardano gli interessi reali dei cittadini (ad esempio, la vicenda della casa di Montecarlo) hanno favorito l’allargarsi degli atteggiamenti di disaffezione.
Se ne ha conferma anche dai dati di molte altre ricerche di questo periodo. Ad esempio, dai risultati dell’osservatorio trimestrale che Ispo conduce per Confesercenti, si rileva come la percentuale di chi ritiene che le principali istituzioni (il governo, l’opposizione, ma anche i sindacati) «abbiano promosso misure concrete per aiutare le famiglie italiane in questi mesi di crisi economica» sia assai poco elevata e, per di più, in forte diminuzione. Oggi, solo il 23% (era il 31 l’anno scorso) pensa che l’esecutivo abbia agito in tal senso. E solo l’11% (era il 21 sei mesi fa) attribuisce questi comportamenti all’opposizione.
Tutto ciò si traduce in un ancor più accentuato distacco dalla politica nel suo insieme e dalle sue vicende quotidiane. Interrogata sulla «prima espressione che viene in mente pensando alla politica», la maggioranza relativa degli italiani (27,8%) dice, senza esitazione, «disgusto». Una quota sostanzial menteanaloga (27,6%) dichiara «noia» o «indifferenza». Tra gli altri, prevalgono le risposte «rabbia» (20,7%) o «diffidenza» (8,1%). Solo il 6,3% esprime «interesse» e una percentuale ancora inferiore (2,4%) manifesta «passione». Nel loro insieme, gli atteggiamenti positivi verso la politica coinvolgono il 16% del campione, quelli negativi il 56%, quelli di indifferenza il 28%.
Ma il risultato più interessante si rileva dal confronto col passato. Rispetto al 2007, quando fu posta agli italiani la stessa domanda, infatti, calano significativamente le risposte che mostrano un qualche coinvolgimento, positivo o negativo, e si accrescono notevolmente le manifestazioni di noia e di indifferenza. Insomma, si accentua, in misura ancora maggiore del passato, il distacco dalla politica, specie nell’elettorato di centrosinistra. «Affari loro», sembrano dire gli italiani, di fronte al penoso scenario offerto dai partiti in questi mesi.
In questa situazione, se permane l’attuale offerta da parte delle forze politiche, è ragionevole pensare, in caso di nuove elezioni, ad un ulteriore aumento delle astensioni, accompagnato forse da un incremento dei voti per le forze che più si lanciano sui temi dell’antipolitica (dalla Lega a Grillo, a Di Pietro). Tutti indicatori della crescente distanza del dibattito politico attuale dalla vita e dai problemi più sentiti del Paese.




il Fatto 3.10.10
Germania Anno Venti, quel divario così difficile da cancellare
A due decenni dalla riunificazione torna la “nostalgia dell’Est”
di Paolo Carlo Soldini


Nell’ex Ddr stipendi più bassi, molta disoccupazione e 4 milioni di “transfughi” verso l’Ovest
C’era un vecchio signore, vent’anni fa, che seguiva come un’ombra Helmut Kohl ogni volta che il Cancelliere si presentava in pubblico in una città dell’Est. Il vecchio signore indossava una specie di pettorale, in cui polemizzava con uno slogan che il cancelliere dell’unità tedesca amava molto ripetere. I nuovi Länder – diceva Kohl – saranno in breve tempo “blühende Landschaften”: panorami fiorenti, ricchi e belli come quelli dell’Ovest. Il vecchio signore probabilmente non c’è più, ma l’ex Cancelliere, diventato vecchio com’era all’epoca il suo contestatore, deve aver pensato proprio a quell’antica sfida quando nell’aprile scorso, compiendo 80 anni, ha voluto dire ai tedeschi che dopo tutto aveva avuto ragione lui: quello che fu il triste “primo Stato degli operai e dei contadini sul suolo tedesco”, la Germania in bianco e nero delle Trabant e delle fabbriche puzzolenti, del Muro e della Stasi, è diventata un pezzo della Germania a colori, quella che macina successi economici, condiziona più d’ogni altro paese l’Unione europea e rivendica un posto e un voto permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu.
MA SON FIORITI davvero, i Länder dell’ex Rdt? Bella domanda: ognuno, in Germania, ha la sua personale risposta. Che dipende dalla condizione sociale, dall’età, dalle esperienze di vita e, soprattutto, dalla provenienza regionale: gli Ossis, quelli dell’Est, tendono in generale ad essere molto più pessimisti dei Wessis, quelli dell’Ovest. Insomma, vent’anni dopo il Grande Abbraccio tra i fratelli separati, è ancora in piedi quel “Muro nelle teste” che – si disse subito – aveva preso il posto del Muro di cemento appena abbattuto. I dati delle analisi economiche e dei sondaggi nel ventennale della proclamazione dell’unità tedesca (avvenuta il 3 ottobre 1990), non aiutano molto. Certo, le regioni orientali hanno conosciuto un certo sviluppo, ma il gap resta. Il contributo medio dell’est al Pil della Repubblica federale è cresciuto molto dal 43% del ’91, ma è ancora sotto i tre quarti di quello dell’Ovest. Nei Länder orientali sono fluiti più di 30 miliardi di euro di investimenti e più di 25 di aiuti diretti, ma accanto a isole di benessere ai livelli dell’ovest c’è anche una penosa arretratezza con redditi del 20% più bassi, più disoccupati – soprattutto tra i giovani – mancanza di infrastrutture moderne. Le retribuzioni medie dei lavoratori all’Est sono ancora all’83% di quelle all’Ovest. Così continua l’esodo verso l’eldorado occidentale: al momento dell’unificazione i tedeschi Germania orientale erano 17 milioni, oggi sono 13 milioni; nel 2020 potrebbero scendere a 11 milioni.
CERTO, IL DIVARIO è spiegabile alla luce delle condizioni di partenza. Ma ciò non toglie che sia pesante per chi lo vive sulla propria pelle e non ha più vivida nella memoria la dura realtà di vent’anni fa. O la memoria non l’ha affatto perché, magari, è nato o cresciuto dopo il 3 ottobre del 1990. Ecco allora che nelle difficoltà dell’oggi molti tendono a mitizzare un passato dei cui aspetti bui si stempera il ricordo. Dice l’ufficialissimo “Sozialreport” del 2010 che il 49% dei tedeschi orientali ritengono che la Rdt abbia avuto “più aspetti positivi che negativi”. Via la memoria del Muro, delle proibizioni ad espatriare, della repressione della libertà di opinione, della Stasi, l’apparato spionistico che controllava tutto e tutti, delle vessazioni imposte da un regime autoritario fino al grottesco. Ciò che viene conservata è l’immaginedi un paese in cui era più “facile” vivere, in cui non c’erano disoccupazione e durezze sociali, in cui la cultura (se non era dissidente) veniva rispettata, in cui i rapporti umani erano meno alienati. Da un altro sondaggio si ricava addirittura che un 10% degli Ossis, se potesse, ricostruirebbe il Muro. Per nascondercisi dietro, evidentemente, con le proprie debolezze e le proprie insicurezze.
Non è un fenomeno nuovo. La Ostalgie (la nostalgia dell’Est) è una componente ormai consolidata nella cultura della Repubblica federale e non è solo passatismo, ma anche ricerca, sincera, di stili di vita meno alienati di quelli imposti dal capitalismo rampante. Il successo della Linke – il partito della sinistra radicale
nato dal matrimonio tra gli ex comunisti dell’Est e i socialdemocratici dissidenti dell’Ovest – è largamente (anche se non del tutto) spiegabile in questa chiave. A vent’anni dalla sua formalizzazione istituzionale, mentre alla guida del governo c’è una cancelliera nata e cresciuta all’Est, l’unificazione tedesca è ancora incompleta. Una incompletezza dovuta certo ai tempi lunghi con cui la storia macina la realtà, ma anche alle debolezze della classe dirigente tedesca ed europea.
In ogni caso, ieri sono iniziati i festeggiamenti ufficiali per il ventennale della riunificazione, quest’anno ospitati a Brema, dove oggi interverranno il presidente federale Christian Wulff e il Cancelliere Angela Merkel.

Corriere della Sera 3.10.10
Ricerca, farmaci, medici
Ricette e business
di Giuseppe Remuzzi


Di questi tempi la gente si chiede se quelli che scelgono di fare il medico lo facciano davvero per essere di aiuto agli ammalati. Per la maggior parte dei nostri medici è certamente così tanto che il nostro servizio sanitario è uno dei primi al mondo per qualità delle cure e risultati. Ma c’è anche la medicina degli affari: quella di appalti e nomine per esempio, ma anche quella dei medici che prescrivono un farmaco in cambio di regali o di soldi e quella di chi produce i farmaci e vuole soprattutto venderli. L’industria del farmaco ha grandi meriti — i vaccini, i farmaci per il cuore e per certi tumori e per il diabete e tanti altri hanno salvato milioni di vite —, ma deve fare profitto, non può essere altrimenti.
Ogni giorno in Italia 25.000 «informatori» incontrano ciascuno diversi medici e devono fare di tutto per convincerli della bontà dei propri farmaci (e qualcuno è pagato tanto di più quanto più i medici che incontra prescrivono). Ça va sans dire che più il farmaco è nuovo e più costa, più i collaboratori dell’industria hanno margini per essere convincenti. C’è niente che si possa fare dato che gli interessi in gioco sono davvero rilevanti? Come minimo intensificare i controlli e assicurarsi che non ci siano deviazioni in numero e tipologia di prescrizioni rispetto a quelle che ci si può aspettare in una certa zona in base agli ammalati che si curano. Ma i controlli non bastano, meglio darsi delle regole e sarebbe bello che lo facessero i medici come hanno fatto negli Stati Uniti. Basta attenersi all’evidenza scientifica, si dà un farmaco solo se è efficace e fra due farmaci uguali si sceglie quello che costa meno (e se c’è il generico si usa il generico); lo stesso si dovrebbe poter fare per i diagnostici e per tutto ciò che ruota intorno alla medicina.
Anche noi possiamo contribuire con tante piccole cose in occasioni diverse che aiuteranno certamente i medici a essere più accorti. C’è il caso che il dottore vi dica «ecco un farmaco nuovo, proprio quello che fa per lei». Chiedetegli «dottore, lei come lo sa?». Se la risposta vi convince prendete la medicina nuova, se no meglio quella vecchia, costa meno ed è quasi sempre più sicura.

Corriere della Sera 3.10.10
Calogero spiega il suo «teorema»: Toni Negri coperto dai Servizi
di Giovanni Bianconi


Dopo trent’anni parla il sostituto procuratore di Padova che nel 1979 legò il proprio nome all’operazione «7 aprile»

A più di trent’anni dall’operazione giudiziaria a cui ha legato il suo nome — il «7 aprile», inteso del 1979, quando fece arrestare Toni Negri con altri capi e gregari di Autonomia operaia, accusati di associazione sovversiva, banda armata e complicità con le Brigate rosse — il pubblico ministero Pietro Calogero difende ancora il suo «teorema», come venne definito. Mentre per lui fu solo un’indagine dagli alterni esiti processuali che riuscì a fermare l’ulteriore espansione di progetti eversivi, come rivendica ancora oggi. Aggiungendo un particolare: se il professor Negri non avesse goduto di qualche protezione o occhio di riguardo all’interno dei servizi segreti e degli organismi di polizia, la storia avrebbe potuto essere diversa.
Pietro Calogero, all’epoca sostituto procuratore a Padova e oggi procuratore generale di Venezia, lo confida in un’intervista pubblicata insieme ad altri contributi in Terrore rosso. Dall’Autonomia al partito armato, (Laterza, pp. 229, 16). A interpellare il magistrato è Silvia Giralucci, figlia del militante missino Graziano Giralucci, ucciso a Padova insieme a Giuseppe Mazzola nel giugno 1974, prime due vittime delle Brigate rosse. Gli chiede dei contatti con i servizi di sicurezza, e Calogero racconta di quando un colonnello del Sismi si presentò a casa sua un paio di mesi dopo l’arresto di Negri e compagni. Gli mostrò dei fogli le informazioni raccolte dagli infiltrati negli ambienti di Autonomia operaia, comprese quelle sugli incontri tra il professore e Renato Curcio, fondatore delle Br.
Gli appunti riservati riferivano «della collaborazione per il comune progetto di insurrezione armata», ricorda oggi Calogero. Il quale domandò all’ufficiale come mai non fossero stati trasmessi. Risposta: «Abbiamo sempre riferito agli organi di polizia giudiziaria». Ma il pubblico ministero che indagava su Negri non ne sapeva nulla, come i suoi colleghi che in passato avevano già inquisito e prosciolto il professore. «La mancata comunicazione delle notizie contenute in quelle carte non era stata solo una leggerezza, ma qualcosa di più grave: una copertura», dice oggi Calogero.
Quando il magistrato si interessò per acquisire i documenti del Sismi, il colonnello gli confidò che non li avrebbe trovati nemmeno con una perquisizione nell’archivio del Servizio: quelli che gli aveva mostrato erano «una raccolta informale che non le posso lasciare neppure in fotocopia, perché rischierei di essere scoperto». In sostanza, ricostruisce oggi Calogero, la Divisione antiterrorismo del servizio segreto militare aveva tenuto nascoste informazioni sui contatti eversivi di Negri che avrebbero potuto far fare un salto di qualità alle sue indagini (e a quelle che c’erano state in precedenza) sul teorico dell’Autonomia operaia. E continuava ufficialmente a negarle.
Calogero ricorda altri episodi di indagini arenatesi dopo aver sfiorato altri ambienti ritenuti vicini ad apparati di intelligence, come la scuola di lingue Hypérion di Parigi, dove s’erano radunati alcuni esponenti della sinistra extraparlamentare italiana vicini ai futuri brigatisti. Sostiene il magistrato che «ragionevolmente» la Cia utilizzò quella struttura per «esercitare un controllo non formale su personaggi e itinerari del terrorismo di sinistra in Italia».
Quando suo padre fu ucciso dalle Br, Silvia Giralucci era una bambina di 3 anni. Oggi cerca ancora eventuali verità nascoste dietro la sua storia di vittima. Vuole sapere da Calogero quale ruolo hanno avuto i servizi segreti nelle trame eversive, e l’intervistato risponde che il terrorismo italiano ha avuto cause e ragioni genuine.
Ma poi aggiunge: «Le indagini hanno messo in evidenza interventi di apparati pubblici che hanno cercato, con comportamenti ora ostruzionistici, ora omissivi, ora di aperto favoreggiamento e copertura, di orientare la lotta armata sia di destra che di sinistra in direzione di assetti politici diversi da quelli a cui miravano i terroristi. Precisamente in direzione non del sovvertimento, ma dello spostamento dell’asse della politica italiana dall’area di sinistra verso quella di centro o di centrodestra».

Repubblica 3.10.10
L’amore romantico e quello libertino
di Eugenio Scalfari


FINALMENTE un felice giorno di tregua politica. Il governo ha incassato un voto di fiducia sui cinque titoli del suo programma; i finiani sono determinanti alla Camera; Berlusconi continua a lanciare insulti alla magistratura, a collezionare barzellette sconce da ogni punto di vista e a magnificare il suo ruolo di demiurgo della politica mondiale; l´opposizione è unita e aggressiva.
Insomma, soddisfazione per tutti e avanti finché durerà. Durerà poco, penso io, ma forse mi sbaglio. Il solo legittimamente preoccupato è Belpietro, direttore di Libero, che ancora non conosce la verità sulla causa delle sue preoccupazioni. Gli invio la mia convinta e doverosa solidarietà.
Posso dunque dedicarmi oggi al tema dell´amore, come avevo promesso ai nostri lettori. Non è un tema peregrino. In una società agitata da guerre, terrorismo, crisi economica, egoismi feroci, l´amore sembra un sentimento quasi scomparso. Le donne, che dell´amore rappresentano l´elemento cardine, sono vilipese e usate come è sempre accaduto; la loro emancipazione che sembrava ormai conquistata anche se ancora parziale e imperfetta, sta regredendo e molte di loro non si oppongono più, anzi sembrano felici di collaborare a questo «richiamo all´ordine» che va tutto a loro detrimento. Perciò riflettere sull´amore è un tema di stretta attualità. Umberto Veronesi, in un bel libro uscito in questi giorni, è del mio stesso avviso ed arriva addirittura ad augurarsi una qualche forma di matriarcato.
Sostiene che la famiglia a direzione maschile diseduca le donne. Proprio perché sono l´elemento debole di fronte alla cultura maschile tuttora dominante, l´educazione che ricevono le sospinge a far propri i valori di competizione che sono tipici del maschio. Quelle che riescono ad emanciparsi e a raggiungere posizioni di spicco hanno introitato l´immagine della virago e fanno concorrenza agli uomini sul loro stesso terreno.
Bisognerebbe dunque – scrive Veronesi – che la loro educazione avvenisse in famiglie culturalmente orientate da valori femminili: l´amore – appunto – la pace, la solidarietà, la comprensione. Non ha torto, Veronesi, anche se l´attuale temperie in tutto il mondo sta procedendo nella direzione opposta.
L´amore però è una parola che esprime una quantità di sentimenti. Ha una sua mitologia, un suo approccio religioso, una sua poetica ed anche una sua storia. Di tempo in tempo e di luogo in luogo, quella parola ha avuto significati diversi e spesso opposti l´uno all´altro.
Questo è dunque il tema sul quale mi sembra opportuno fare chiarezza per poter meglio colmare un´evidente lacuna che affligge le nostre società, quelle ricche e quelle povere, ad Occidente e a Oriente del mondo.
* * *
Le civiltà antiche – e qui mi limito a parlare di quelle mediterranee che più da vicino ci riguardano – non conoscevano il «privato». Gli uomini si realizzavano nella «polis» della quale la famiglia e la tribù costituivano le cellule. L´amore faceva parte dei valori familiari, incoraggiati e protetti dagli dei del luogo. Si amavano i genitori, si amavano i fratelli e le sorelle, si amava la sposa, fonte di procreatività. Le tavole mosaiche contengono la normativa più antica dell´amore familiare: «Onora il padre e la madre. Non commettere atti impuri. Non desiderare la donna d´altri». Il destinatario di queste norme è il maschio, la donna resta in una zona d´ombra ma è anch´essa colpevole dell´eventuale trasgressione.
Naturalmente i sentimenti amorosi finivano, allora come oggi e come sempre, anche al di fuori del recettacolo familiare, ma era un fatto privato e quindi del tutto irrilevante. Se però diventavano una sfida contro la famiglia l´irrilevanza diventava colpevolezza e veniva repressa con la massima severità.
Non è un caso che la guerra delle guerre, quella di Troia, scoppia a causa del tradimento di Elena e della sua fuga con Paride. È un pretesto, si sa. Simboleggiò lo scontro tra la civiltà achea e quella medio-orientale. Ma il pretesto dello scontro è la violazione dell´amore familiare e il ritorno di Elena a casa con il marito Menelao sancisce che l´ordine violato è stato ripristinato.
Nello stesso ambito leggendario il teatro greco racconta la vendetta di Elettra e di Oreste contro l´uccisore del loro padre e contro la loro madre che ne era stata l´amante durante la sua assenza da Argo.
C´è, al fondo di questa tragedia, l´ombra d´un sentimento incestuoso che si coglie nell´amore quasi morboso tra il fratello e la sorella vendicatori. L´incesto del resto rappresenta un elemento spesso presente nell´amore familiare; Edipo e il suo destino ne costituiscono il fondamento, non a caso recuperato da Freud come uno degli elementi fondanti della psicologia del profondo.
* * *
Il carattere «pubblico» e familiare dell´amore dura molto a lungo e scavalca i secoli. Neppure il Cristianesimo riesce ad intaccarlo.
La predicazione di Gesù tramandataci dai Vangeli è intrisa di amore e questa è la grande innovazione rispetto al monoteismo ebraico che descrive il dio biblico come il condottiero del suo popolo, ancorato alla severità della Legge.
Il dio dei Vangeli è giusto ma soprattutto misericordioso e non si identifica con un popolo. Si rivolge a tutte le persone, ne riscatta la dignità, esalta i deboli e i poveri che saranno i primi a varcare la soglia della beatitudine. Parifica tutte le persone quando entreranno nel regno dei cieli, le donne come gli uomini, gli schiavi come i loro padroni. Ma sulla terra le istituzioni restano quelle che sono. I cristiani sono animati dalla fede e dalla speranza; il male e l´odio vanno ripagati dall´amore. E l´amore è la «caritas», indirizzata verso tutti, verso il prossimo, verso i nemici.
L´amore tra uomo e donna dà luogo alla famiglia, viene santificato nel sacramento del matrimonio, indissolubile con i vincoli della fedeltà e l´obiettivo della procreazione.
Si tratta dunque d´un amore che sale dai coniugi verso Dio e si santifica attraverso i figli e la loro educazione cristiana. La «pubblicità» dell´amore rimane dunque intatta, con una differenza essenziale rispetto al politeismo pagano: la «caritas» diventa il fondamento della religione. Paolo e Agostino arrivano a farne un valore addirittura più importante della stessa fede.
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La cultura medievale inventa un altro tipo di amore: l´amore cortese, cantato dai trovatori nei castelli e portato in giro per l´Europa della lingua occitana e dell´italiano volgare.
Lo «stil novo» vagheggia amori immaginari e figure di amati e di amanti stereotipi. Di qui sorge la malinconia che occhieggia nei versi del Guinizelli e diventa sostanza poetica nel Cavalcanti, nel Dante della "Vita Nova" e nel Petrarca.
Ma accanto all´amore cortese si affaccia quello licenzioso del Boccaccio e più tardi di Machiavelli della "Mandragola" e dell´Aretino. Sono i primi segnali del "privato" ma ci vorranno ancora due secoli perché il "privato" si affermi nelle società dell´Europa moderna.
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Il «privato» nasce con l´Illuminismo con l´abolizione degli assoluti e dell´assoluto come concetto. Trasforma l´economia e la politica. Poteva il sentimento amoroso sottrarsi all´irruenza di questa rivoluzione?
Nasce infatti l´amore libertino, l´amore individuale, il «privato» dell´amore e nasce nei salotti gestiti da donne emancipate da una prima sembianza di femminismo. Diderot teorizza l´amore per l´amore che prevede la libertà di amori molteplici in nome, appunto, di amare l´amore.
Dura un secolo questa forma amorosa. Se si vuol chiedere alla letteratura, alla poesia e alla musica la chiave di un nuovo mutamento, la si trova nel Werther di Goethe, nelle "Affinità elettive", nella poesia di Leopardi e in quella di Baudelaire. L´amore romantico, la poesia e la musica romantiche.
L´Ottocento è intriso di amore romantico, dove si uniscono i sentimenti e i sensi ed è questo l´amore «privato» che diventa costume pubblico e che tuttora rappresenta uno dei cardini della società moderna.
Quell´amore tuttavia contiene le spore d´un mutamento ulteriore che emerge nella seconda metà del secolo scorso ed è ora nel pieno del suo svolgimento. Deriva proprio dal «privato», dalla sopravvenuta libertà sessuale, dall´accentuarsi dell´elemento sessuale e dalla liberazione della donna e del suo accesso al lavoro fuori casa.
L´amore romantico non è scomparso ma è divenuto mobile. Sempre più raramente dura per tutta la vita. Si realizza nella fase iniziale dell´innamoramento, si trasforma dopo qualche tempo in affetto e poi in amicizia. Infine la coppia si scompone e si ricompone con altri soggetti e altri innamoramenti. Sono segmenti di amore romantico al posto della linea retta dell´amore ottocentesco.
È a questo punto che l´amore verso l´amore riacquista peso e può – potrebbe – intrecciarsi alla solidarietà laica e alla «caritas» cristiana verso il prossimo, con uno spessore sociale in grado di soverchiare l´egoismo esasperato e l´amore egolatrico verso il proprio ombelico.
Questa è la scommessa affidata al futuro: un mondo dove l´essere assume una curvatura erotica capace di avere la meglio sull´istinto del potere.

Repubblica 3.10.10
Organizzazioni estremiste: provvedimenti più "morbidi"
Il nuovo codice militare salva le camicie verdi


VERONA - «Gli inquirenti che devono colpire organizzazioni estremiste ora hanno una freccia in meno nel loro arco». Così Guido Papalia, l´ex procuratore di Verona che nel 1996 avviò l´inchiesta sulle camicie verdi, commenta la notizia dell´imminente assoluzione di tutti i 36 imputati, tra i quali il sindaco di Treviso Giampaolo Gobbo e il deputato Matteo Bragantini, entrambi della Lega. A far "morire" il processo è una modifica al codice militare approvata a maggio che entra in vigore il 9 ottobre: non è più punibile, con una pena fino a dieci anni, «chiunque promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni di carattere militare, le quali perseguono, anche indirettamente, scopi politici». E così gli imputati saranno assolti: «perché il fatto non è più previsto come reato».
(da.c.)

sabato 2 ottobre 2010

l’Unità Firenze 2.10.10
L’INTERVISTA
«Il genio dell’anima, della politica e delle istituzioni salverà il mondo»
Massimo Fagioli presenta stasera a Firenze il suo ultimo libro “Left 2007” «Con Bertinotti il legame è finito quando ha abbandonato la via della laicità»
di Valentina Buti


La chiama irrazionalità ancestrale, fantasia invisibile, in una parola: genio. Sarà lui a salvare il mondo, quello più nascosto dell’animo umano, e quello più tangibile, che dal primo direttamente consegue, della politica e delle istituzioni. «Ribellatevi alla ragione, scoprite una nuova fantasia». Con tale monito lo psichiatra dell’analisi collettiva Massimo Fagioli si presenterà al pubblico fiorentino della libreria Melbookstore (oggi alle 18.30), pronto a svelare i segreti del suo ultimo libro,
Left 2007, edito da L’asino d’oro.
Professor Fagioli, il libro raccoglie 49 articoli da lei pubblicati sul settimanale Left dal 2006. Erano gli anni in cui cercava un moderno socialismo delle idee insieme a Bertinotti. Com’è andata a finire?
«Il legame con Bertinotti finì quando lui abbandonò la laicità che lo aveva contraddistinto fino ad allora. Quando, con la scissione di Rifondazione nel 2008, appoggiò come suo successore Nichi Vendola, fervente cattolico e comunista: una contraddizione inconciliabile. O quando definì i Vangeli libri guida. Per un socialismo moderno ci si deve liberare dall’ideologia cattolica»
La laicità come faro per una moderna sinistra: questo il messaggio di Left 2007?
«Serve una nuova idea di realtà umana, di un’umanità libera dal peccato originale imposto dal cristianesimo. L’alleanza mostruosa tra religione cattolica e razionalità greca, negando la libertà, ha esercitato sull’uomo una violenza mentale fortissima. Solo la laicità porta a capire che tutti siamo uguali dalla nascita».
La religione era l'oppio dei popoli anche per Marx.
«Sì, ma il comunismo fallì pensando di raggiungere l'uguaglianza garantendo a tutti la soddisfazione dei bisogni essenziali. Non tenne conto delle esigenze umane, mentre c’è da provvedere all’istinto e alla fantasia invisibile, al genio dei poeti e degli artisti. Il socialismo garantisca il libero sviluppo della personalità e allora funzionerà. La razionalità è fallace, non capisce niente di realtà umana».
Questo come diviene prassi politica?
«A questo penseranno i politici. Gli intellettuali devono suonare la sirena. Ribellatevi alla ragione, l’intelligenza aumenterà e a quel punto anche i problemi pratici si affronteranno meglio».
Chi, nell’attuale panorama politico, le dà più fiducia in tal senso?
«Bersani, di cui apprezzo lo spirito laico e l’idea di sinistra improntata all’unitarietà».

Ansa 1.10.10
Pd: Fagioli, l'ex consigliere di Bertinotti sta con Bersani
'Attualmente la simpatia e' per Bersani''. Lo afferma Massimo Fagioli, per anni consigliere di Fausto Bertinotti, alla vigilia della presentazione a Firenze, domani alle 18 a Melbookstore, del suo decimo libro, 'Left 2007' (L'Asino d'oro edizioni), nel quale viene affrontato il rapporto con l'ex presidente della Camera ed ex leader di Rifondazione comunista, concluso, si spiega in una nota, dopo tre anni di ''intensa e passionale elaborazione teorica'' sui temi della sinistra e del socialismo del XXI secolo. Al professore, 79 anni, da oltre cinquanta psichiatra e ricercatore sulla mente umana, ''Bersani (e non il Pd) non dispiace per niente, in particolare, per il suo tentativo di ricostruire questa sinistra, che poi e' quello che aveva fatto a suo tempo Bertinotti''. Per Fagioli oggi Bersani e' ''il solo in grado di provare sul serio a rimettere insieme la sinistra'' e inoltre lo definisce ''l'unico che ancora mantiene un po' di laicita' e un po' di saggezza, rispetto a Vendola che invece straparla''. ''Superamento del comunismo ortodosso e del materialismo storico'', erano state queste, si legge ancora nella nota, le proposizioni di Bertinotti che avevano ''entusiasmato'' Fagioli almeno ''fino alla rottura'', giunta al culmine nell'estate del 2008, soprattutto a seguito della ''scissione'' di Rifondazione che il professore definisce ''una catastrofe''. (ANSA).

venerdì 1 ottobre 2010

Agi 30.9.10
Libri: Il 2 ottobre a Firenze Massimo Fagioli con Left 2007
(AGI) - Firenze, 30 set. - "I partiti devono essere rifondati, alla politica servono volti ma soprattutto idee nuove. Il monito del sindaco Matteo Renzi, rilanciato dal primo cittadino di Firenze anche in queste ore, sembra quasi riecheggiare la ricerca di Fausto Bertinotti e il suo tentativo di superare il comunismo verso quello che l'ex segretario di Rifondazione aveva definito il Socialismo del XXI secolo". Di quel comune e difficile percorso, che ha visto vicini nella ricerca di nuove strade per la sinistra Fausto Bertinotti e lo psichiatra Massimo Fagioli, si racconta in "Left 2007", il nuovo libro del professore pubblicato da L'Asino d'oro edizioni che verra' presentato, per la prima volta dalla uscita nelle librerie il 16 settembre scorso, a Firenze sabato 2 ottobre 2010 presso la libreria Melbookstore. Il libro raccoglie 49 articoli apparsi nella rubrica che lo psichiatra dell'Analisi Collettiva firma sul settimanale "Left" dal 2006, intitolata "Trasformazione", e narra tra l'altro l'evoluzione, fino alla separazione definitiva, del rapporto che dal 2004 al 2007 lo ha visto al fianco di Bertinotti impegnato nella ricerca di una nuova teoria per un moderno socialismo delle idee. Negli inusuali "excursus", tra filosofia storia e poesia, corredati dalle illustrazioni di Alessandro Ferraro, Fagioli non perde mai di vista la concretezza del dibattito politico e l'attualita' in cui versa la realta' umana e sociale del nostro Paese. "La ragione rende depressi e stupidi", scrive Fagioli, quasi fotografando le cause della crisi della politica e delle idee. In alternativa, propone, le idealita' del socialismo delle origini potrebbero dare a uguaglianza e liberta' un senso piu' profondo, se si legano le due parole a una nuova concezione della nascita umana ("quando tutti siamo uguali a tutti?") e del rapporto tra l'uomo e la donna. In "Left 2007" Fagioli non lesina le critiche a quella parte politica, alla quale riconosce l'esclusiva storica dell'utopia del cambiamento, ma a cui contesta, allo stesso tempo, di non essere riuscita ad andare oltre l'idea di "trasformazione del mondo". Marx, il comunismo; ma e' soprattutto ad Heidegger e a Spinoza, prima di lui, che lo psichiatra dedica molte righe (la premessa e i sommari dei "capitoli" del libro sono stampati nella sua calligrafia originale), individuandone una grave responsabilita' culturale, quasi da "cattivi maestri", nel diffondere idee religiose che negano l'identita', la liberta' e la sessualita' degli esseri umani. E' "la scoperta di una intelligenza nuova oltre la ragione" che Fagioli rivendica in "Left 2007" - "quella fantasia invisibile della mente, deformata dal '68 e sempre sottovalutata dalla sinistra, sin dall'Illuminismo, nemico giurato dell'irrazionale -, rinnovando l'elaborazione di ricerche maturate in una prassi ultra quarantennale di confronto con la malattia mentale". (AGI) Sep


il manifesto 1.10.10
Porte girevoli
Caso Arlacchi Pd attento a chi esce e a chi entra
di Daniela Preziosi

È cronaca di questi giorni l'allungarsi dell'elenco delle fuoriuscite dal Rd. La teodem Paola Binetti, l'ex dc Enzo Carra e l'ex prefetto Serra (approdati nell’Udc), Francesco Rutelli con un gruppetto dei suoi (nell'Api), il federmeccanico Massimo Calearo (gruppo misto tendente al Pdl, dopo uno scalo nell'Api). Perdite, non necessariamente sinonimo di sconfitte, visto che queste uscite fanno appena meno affollata l'offerta delle di linee politiche nel supermarket Pd. La cronaca deve annotare ora alcune richieste di ingresso. E il caso del professore Massimo Fagioli, il pensatore psico‑politico già vicino al Bertinotti della Rifondazione con il vento in poppa, e poi a Marco Pannella. Lo psichiatra due settimane fa ha fatto un endorsément per Bersani. Ieri è stata la volta di Pino Arlacchi, ineffabile ex direttore dell'ufficio Onu per il controllo e la prevenzione delle droghe, il cui bilancio di mandato è discutibile, e infatti discusso da non pochi osservatori internazionali. Arlacchi ha lasciato furibondamente l'ldv e chiede la tessera a Bersani. Il guaio è che Bersani ha risposto sì, per il momento solo a lui, il suo 'rientro' è un fatto «positivo e incoraggiante». d.p.

l’Unità 1.10.10
«Noi ebrei pacifisti in rotta per Gaza picchiati dagli israeliani»
Il racconto del comandante del catamarano Irene bloccato in mare: «Sono stato colpito con una pistola laser». Una testimone: presi a calci e insultati
di Umberto De Giovannangeli


Il commando. In azione lo stesso gruppo che fece il blitz sulla Mavi Marmara
La denuncia. Nurit Peled, premio Sakharov: vi racconto quelle violenze
L’accusa. «L’assedio della Striscia è un crimine e chi tace diventa complice»
Il diario di bordo. «Non vogliamo combattere l’esercito Siamo non violenti»

Questa è la bella storia di eroi di pace. Yonatan, Reuben, Rami. La storia di un «capitano coraggioso» e del suo straordinario «equipaggio». L'«equipaggio dell'Irene». Ma questa è anche la brutta storia di soldati privi di umanità, che affrontano Yonatan, Reuben, Rami e gli altri loro sei compagni di avventura con lo stesso disprezzo riservato ai Nemici d'Israele. Grazie al prezioso contributo di Luisa Morgantini, già vice presidente del Parlamento Europeo e infaticabile animatrice dell'Associazione per la pace, e di Cecilia Dalla Negra, l'Unità può ricostruire ciò che è avvenuto dopo l'abbordaggio dell'«Irene» a largo delle coste di Gaza. E lo fa partendo da una testimonianza eccezionale: quella di Nurit Peled, accademica, Premio Sakharov del Parlamento Europeo. Nurit , è madre di Smadar, uccisa a 13 anni in un attacco suicida a Gerusalemme, ed è moglie di Rami El Hanan, uno dei passeggeri sull'«Irene» dell'organizzazione «Jewish for Justice for the Palestinians», che hanno cercato di rompere l'assedio di Gaza ma sono stati sequestrati dalle navi israeliane,
Ecco il suo racconto. «Uscendo dall'interrogatorio, Yonatan sembrava come qualcuno appena uscito da un campo di prigionia: un lungo volto pallido e distorto. Erano gli stessi, feroci soldati che hanno attaccato la Mavi Marmara (nove attivisti uccisi, ndr). Erano tutti dietro di lui. Lo hanno picchiato, preso a calci, provocato. Gli altri passeggeri hanno detto che urlava e palpitava come un animale ferito, ma il mostro non ha voluto fermarsi. Quando Rami ha chiesto il nome al soldato, lui ha risposto: Geppetto. Adesso Rami è accusato di aver minacciato un soldato perché gli ha detto che avrebbe scoperto ugualmente il suo nome e lo avrebbe denunciato. Yonatan e Itamar (fratelli), che sono stati ammanettati e trascinati, e poi gettati violentemente a bordo di un' altra barca, sono adesso accusati di aver aggredito i soldati e di aver opposto resistenza all'arresto.. C'erano dozzine di commando completamente armati che li hanno assaltati a bordo della nave, 4 imbarcazioni da guerra. Un ufficiale dello Stato maggiore, Amidror, capo dell'Unità di ricerca della Israeli Defence Force (Idf) ha detto alla radio due giorni fa che Yonatan Shapira, un ex pilota dell'Air force, è « psicopatico e deve essere rinchiuso». Nurit prosegue il suo racconto: «Ho reagito a questa affermazione, quindi mi hanno intervistata il giorno seguente. Ho detto loro che questo è quello che i russi hanno fatto a Sakharov, e che Yonatan è il figlio migliore di Israele ed un esempio per tutti i giovani di come le cose dovrebbero essere fatte. Molti giornalisti israeliani ci hanno avvicinato mentre aspettavamo che gli altri fossero rilasciati dall'interrogatorio: ma sembrava che ci vedessero più come una curiosità che come un'affidabile fonte di informazioni. «Il mondo intero – conclude Nurit dovrebbe sostenere Yonatan e Itamar Shapira in questo momento, perché le forze di sicurezza sono certamente dietro di loro, e non ci sono limiti a quello che questi soldati potrebbero ordinare».
Yonatan è tornato a casa. Riusciamo a raggiungerlo telefonicamente. «Non ci sono parole per descrivere ciò che abbiamo subito dopo l'abbordaggio», dice Yonatan Shapira, uno dei primi refusnik, i soldati israeliani che
si sono rifiutati di prestare servizio nei Territori occupati. «Alcuni membri del commando – racconta – ci hanno insultato ed io sono stato colpito con una pistola laser». Ma quello che brucia di più non è il dolore fisico subito. Ciò che lascia il segno è l'odio che animava quelli che un tempo erano stati commilitoni di Yonatan. Eli Usharov, reporter di Canale 10, la Tv commerciale israeliana, conferma il racconto di Yonatan. «Contro di lui – afferma – è stata usata una pistola laser». Yonatan dice di essere orgoglioso per ciò che ha fatto. E come lui i suoi compagni. «L'assedio a Gaza è un crimine – dice – e chi, ebreo o non ebreo, tace si fa complice di questo crimine». Yonatan ha tenuto con sé il diario di bordo, dove ha annotato i momenti salienti del viaggio dell'«Irene». L'Unità, con l'aiuto di Luisa Morgantini e Cecilia Dalla Negra, ne pubblica gli ultimi passaggi: «Siamo nella piccola barca dei Jews for Justice for Palestinians. Non abbiamo intenzione di combattere con l'Esercito, anche se ne avremmo tutto il diritto. Abbiamo scelto la nonviolenza come tattica e strategia, ma non intendiamo arrenderci facilmente fin quando non ammanetteranno e arresteranno il sopravvissuto all'Olocausto, il padre in lutto e fino all'ultimo passeggero sulla nave...Alle 6.12 del mattino, quando ci siamo avvicinati alla costa di Cipro con i primi raggi di sole Itamar era al timone, Bruce e Glen stavano dormendo ed io stavo a prua, cercando di respirare aria pulita nonostante il fumo dei motori improvvisamente una barca di media grandezza ci ha superati. Lo ha fatto passandoci piuttosto vicino, e ci è parso strano. Ci ha girato attorno da nord muovendosi verso ovest, ed era simile ad una piccola nave da guerra. Forse eravamo già un po' paranoici o forse no, e forse era semplicemente una barca della guardia costiera turca. In ogni caso, abbiamo iniziato a pensare e a figurarci come sarebbe stato il nostro incontro con la marina dell'Esercito israeliano, una volta arrivati alla costa di Gaza. Che cosa avrebbe fatto ognuno di noi, in che modo ci saremmo presi cura dei passeggeri, come avremmo reagito se la motovedetta Dabur avesse attaccato la nostra piccola imbarcazione, come negli incidenti precedenti». «Allora – prosegue Yonatan abbiamo deciso di scrivere una dichiarazione in ebraico e in inglese, che leggeremo alla radio sul canale delle emergenze nautiche, quando elementi della Marina o dell'Air Force si avvicineranno a noi. Ecco quello che abbiamo scritto: Siamo una nave della organizzazione ebraica europea Jews for Justice for Palestinians. Siamo sulla nostra strada per Gaza. Non siamo armati e crediamo nella nonviolenza, e siamo determinati a procedere verso il porto di Gaza. Voi state imponendo un assedio illegale su Gaza. Queste sono acque internazionali e noi non riconosciamo la vostra autorità qui. Ci sono attivisti di tutte le età a bordo di questa nave. Tra di noi ci sono sopravvissuti all'Olocausto, genitori in lutto ed israeliani che rifiutano di conciliare se stessi con l'occupazione illegale dei Territori palestinesi. Siamo attivisti pacifisti e disarmati, che credono nella nonviolenza, e siamo determinati di andare avanti per la nostra strada verso il porto di Gaza. Facciamo appello a voi, ufficiali e soldati dell'Esercito israeliano, perché rifiutiate di obbedire agli ordini illegali dei vostri superiori. Per vostra informazione, l'assedio di Gaza è illegale secondo il diritto internazionale, e quindi state correndo il rischio di essere portati davanti ad una Corte internazionale di giustizia per crimini di guerra. L'assedio e l'occupazione sono disumani e contrari alla moralità universale ed ai valori dell'ebraismo. Usate le vostre coscienze. Non dite stavo solo obbedendo agli ordini. Ricordate la storia dolorosa del nostro popolo. Rifiutate di dare forza all'assedio. Rifiutate l'occupazione».
Il sopravvissuto ai lager nazisti imbarcato sull'«Irene» è un signore di 82 anni dalla voce calda, decisa. Come la sua determinazione a non mollare quella che Reuben Moskovitch considera una battaglia di civiltà: «Mai – dice a l'Unità – avrei immaginato che soldati israeliani avrebbero potuto trattare in questo modo nove ebrei» . «Come sopravvissuto all'Olocausto afferma – non posso accettare che lo Stato d'Israele imprigioni dietro le recinzioni e il filo spinato un intero popolo». Quello di Reuben è un modo diverso di tenere viva la memoria di quella immane tragedia: fare di tutto, nel limite del possibile, perché un popolo di vittime non si trasformi in carnefice. «Ogni notte – racconta Reuben Moskovitch – mi sveglio ricordando ciò che subii, che subimmo nei lager nazisti. Quei bambini palestinesi imprigionati hanno lo sguardo implorante dei bambini ebrei di allora. Un popolo che è stato vittima di quella barbarie non può accettare un'occupazione immorale. Dobbiamo ribellarci». E a chi lo accusa di «aver versato deliberatamente benzina sul fuoco dell' odio verso Israele nel mondo», Reuben Moskovitch ribatte sereno: «Il vero eroe è colui che cerca di trasformare un nemico in un amico».

l’Unità 1.10.10
L’intervista
Giorello, il senza dio tollerante
Vivere senza un “supremo garante”, il rapporto con la scienza... La parola al filosofo
di Roberto Carnero


L’Italia
«Ha un problema di laicità. Lo diceva già Gramsci: il concordato tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica è un “contratto trappola”»

Mi sono chiesto se e come sia possibile essere atei oggi in Europa e specificamente in Italia, visto che per secoli la nostra cultura è stata segnata dai grandi monoteismi: ebraismo, cristianesimo, islam. La mia risposta è una sfida: oggi abbiamo tutti gli strumenti, culturali e filosofici, per essere membri di una società che funziona anche senza inventarci un supremo garante religioso dell’ordine e della convivenza. Si tratta di un’acquisizione dell’illuminismo, che però mi sembra che oggi serva ribadire».
Così Giulio Giorello, docente di Filosofia della scienza all’Università degli Studi di Milano, spiega l’intento del suo ultimo libro, Senza Dio. Del buon uso dell’ateismo (Longanesi, pagine 240, euro 15,00): un trattato sulla fede, o, meglio, su come si possa vivere senza una fede religiosa.
Giorello vuole però subito sgombrare il campo da un possibile equivoco: «La mia non è la proposta dell’ateismo concepito come una sorta di nuova religione laica. Essere “senza Dio” significa coltivare una visione della realtà aperta e tollerante, inclusiva e non escludente, disponibile e non ostile. Essere “senza Dio” non vuol dire essere “contro Dio”. Non sono nemico delle religioni. Una chiesa, una moschea o una sinagoga arricchiscono il paesaggio fisico e anche culturale in cui viviamo. Mi fa piacere che ci siano. Mi fa meno piacere quando coloro che si autoproclamano rappresentanti terreni della divinità scagliano anatemi contro chi in quegli edifici non vuole entrare». Forse anche per questo il cardinale Carlo Maria Martini ha espresso stima per il metodo intellettuale e i toni di Giorello, seppure, evidentemente, senza condividerne le posizioni.
Professor Giorello, quali aspetti della questione del rapporto tra ateismo e religioni ha voluto affrontare nel suo libro?
«Cinque punti in particolare. Il primo: il tema della “reverenza” pretesa, e spesso attribuita, ai rappresentanti delle religioni e ciò che questo atteggiamento comporti in termini di autonomia e libertà di una società. Secondo: il rifiuto della “rassegnazione”, cioè il rifiuto dell’idea, radicata nel cristianesimo (ma non solo), che il male sia un castigo che l’essere umano si è meritato e attraverso il quale possa espiare una colpa. Terzo: un’analisi di come nella storia l’autorità religiosa si sia spesso opposta alla scienza e alla ricerca: dal caso di Ipazia a quello di Galileo Galilei, fino all’atteggiamento di fronte alle teorie sull’evoluzione di Charles Darwin, le varie “chiese” si sono spesso opposte al libero pensiero e al progresso della scienza. E anche oggi le cose spesso non sono molto diverse. Quarto: contro la proibizione. Sogno una società in cui vengano meno tutta una serie di divieti inutili, che non servono ad altro che a mantenere le persone in una condizione di sudditanza psicologica. Gli individui non sono pecore, e quindi non credo che abbiamo bisogno di un “buon pastore”. Quinto e ultimo punto: un excursus storico sulle prove dell’esistenza di Dio. Da filosofo sono affascinato dall’acutezza argomentativa di queste prove. Il loro problema, però, è che spesso esse muovono da premesse più impegnative (e non verificate) dello stesso assunto che intendono dimostrare».
Si aspettava il cauto apprezzamento di un esponente di spicco del mondo cattolico, come l’ex-arcrivescovo di Milano, Martini?
«Io credo che l’ateismo possa essere un buon compagno di strada anche per un religioso. Martini è una persona di grande intelligenza e ha sempre affermato che la vera distinzione non dovrebbe essere quella tra credenti e non credenti, bensì quella tra persone pensanti e persone non pensanti. Credo che sia lui che io apparteniamo a quest’ultima categoria. Quando guidava la diocesi di Milano, Martini si fece promotore di un’iniziativa illuminata come la ‘cattedra dei non credenti’. Partendo da un dato: in ogni credente alberga un non credente (in termini di dubbi e domande che egli si pone), come in ogni non credente c’è un credente (con alcune domande di senso sull’esistenza). La ragione dovrebbe insegnarci a prendere in considerazione gli argomenti e da nuove prove. Ma lo si fa senza imporre dogmi o reciproche scomuniche. Ma attenzione, non sto proponendo di sostituire alla religione la scienza, facendo di quest’ultima, in qualche modo, un nuovo credo, come fa, ad esempio, un collega, pure simpatico, come Piergiorgio Odifreddi. Abbiamo già quattro vangeli canonici, più quelli apocrifi, non ci serve un nuovo “vangelo della scienza” non siamo più nel secondo Ottocento, nell’età del positivismo. Dico solo che dalla scienza dobbiamo apprendere un metodo di riflessione e di discussione».
Secondo lei oggi in Italia esiste un problema di laicità? «Direi proprio di sì. Lo diceva già Gramsci: il concordato tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica è un “contratto trappola”, perché dà tutti i vantaggi a una sola parte, cioè alla Chiesa. Poi mi sembra grave che, per l’ingerenza del Vaticano negli affari politici nazionali, non si possa discutere serenamente di testamento biologico, regolamentazione giuridica delle convivenze di fatto e di alcuni temi che attengono alla scienza».

il Fatto 1.10.10
Gli xenofobi decidono dell’Olanda: divieto di burqa e via gli stranieri
di Giampiero Gramaglia


Dentro il nocciolo duro dell’integrazione europea, il Benelux. Proprio in quell’Olanda che esplorò l’integrazione nel calcio con antillesi e molucchesi nella nazionale oranje. Lì nasce un governo di minoranza di centro-destra con l’appoggio esterno, determinante, di un partito xenofobo anti-Islam, il Pvv. Geert Wilders, il suo leader, detta le condizioni, accettate per sostenere la coalizione senza farne parte: il divieto di indossare il burqa e restrizioni al'utilizzo del velo da parte di alcuni settori del pubblico impiego. Ci sono voluti quasi quattro mesi, 112 giorni esatti, per concordare – dopo le elezioni di giugno – composizione e programma del nuovo governo olandese. Mark Rutte, leader dei liberali del Vvd, il maggiore partito )31 seggi su 150), e Maxime Verhagen, negoziatore dei cristiano-democratici del Cda, il partito sconfitto, 21 seggi, hanno concordato con Wilders il sostegno esterno del Pvv, 23 seggi.
PER LA PRIMA VOLTA nella storia olandese, un partito d’estrema destra è parte di un’intesa di governo; e, per la prima volta da oltre 70 anni, dal lugubre 1939 pre-bellico, c’è una coalizione di minoranza di destra al potere. L’Olanda si scopre laboratorio di compromessi in un’Europa battuta dal vento della xenofobia e del razzismo. La buona notizia è che liberali, cristiano-democratici e anti-Islam, insieme, hanno una maggioranza risicata, un solo seggio: il governo nasce instabile e molti pensano che, nella primavera prossima, o al massimo fra un anno, si tornerà a votare. Fuori dall’inciucio xenofobo-conservatore, restano i socialisti, la seconda forza politica olandese, con 30 seggi: l’accordo con loro avrebbe reso superfluo l’appoggio dell’estrema destra e più robusta la coalizione, ma la distanza tra il rigore dei liberale e la politica della spesa socialista era troppo grande per essere colmata. Wilders gongola (“È un grande giorno per il nostro Paese, ci saranno grandi cambiamenti: faremo sentire il nostro peso perché abbiamo molto da dire”); Rutte prevede “un’Olanda più forte”; i cristiano-democratici sono perplessi: domani, un congresso valuterà l’intesa (e potrebbero esserci sviluppi a sorpresa). Wilders, che vuole cacciare gli immigrati e chiudere le moschee (ieri ha annunciato che l’immigrazione extra Ue verrà ridotta del 50%) dovrà presentarsi in tribunale lunedì e difendersi dalle accuse di incitazione all’odio razziale e alla discriminazione. C’è chi pensa che coinvolgere gli xenofobi permetta di moderarli e persino neutralizzarli. Per ora, dà loro potere e visibilità.

il Fatto 1.10.10
Leggere davvero Calamandrei
di Gian Carlo Caselli


Nel suo discorso alla Camera dei deputati il premier ha citato Piero Calamandrei, padre costituente fra i più autorevoli, sui cui scritti, generazioni di giuristi si sono formati. Citazione per citazione, poiché nel suo discorso il premier ha ripetuto per l’ennesima volta lo stanco refrain dell’uso politico della giustizia, accusando i magistrati di aver alterato – negli ultimi 15 anni – l’equilibrio fra giurisdizione e politica (“l’ever green di una pedata alla magistratura”, ha commentato Mattia Feltri su La Stampa), vorrei fare appello a un passo di Calamandrei che si legge nel suo celebre Elogio dei giudici scritto da un avvocato, reperibile – nell’indice alfabetico-analitico dei nomi, degli aforismi e degli argomenti – sotto la voce “Criptocomunista (giudice considerato tale)”.
CALAMANDREI narra di quel miliardario il cui figlio, guidando a velocità pazzesca, aveva sfracellato contro il muro un passante che andava per i fatti suoi sul marciapiede. Il padre corre dal primo avvocato della città, tacita con un forte indennizzo la famiglia dell’ucciso, ma c’è quel fastidio dell’istruttoria penale che continua ad andare avanti: uno sconcio che l’avvocato deve far finire senza badare a spese. Alla spiegazione dell’avvocato, che la giustizia non è una merce in vendita, il miliardario – sdegnato – reagisce infine con la frase “ho capito, lei non me lo vuole confessare: abbiamo avuto la sfortuna di cadere in mano di un giudice criptocomunista”.
ROBA di settant’anni fa, ma da rileggere oggi per constatare come sia decisamente vecchia e sorpassata l’ossessione vittimistica di chi tende a buttare “in politica” i propri guai giudiziari, esibendosi in offese senza l’ombra di una prova e in gratuiti attacchi all’autonomia della funzione giurisdizionale; offese e attacchi che fanno temere la propensione per un sistema (poco rispettoso dell’ordine costituzionale dei poteri) dove le sentenze ‘giuste’ sono soltanto quelle gradite “in alto loco” e dove si aprono ampie piste a riforme lesive del principio dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.Chissà mai. Forse una rilettura di Calamandrei potrebbe riportare il dibattito sui problemi della giustizia nel perimetro degli interessi generali, abbandonando finalmente la logica degli interventi pensati con un occhio di riguardo a certi particolari interessi. Sperare che ciò avvenga può essere da ingenui, ma è anche fiducia in un futuro possibile, che riparta dalla Costituzione per lavorare a una comunità più capace di rompere le ingiustizie.

l’Unità 1.10.10
Il manicomio elettrico e il suo cantastorie
di Alberto Crespi


Aconferma che i festival fanno male alla salute, siamo rimasti sorpresi dalle reazioni veneziane a La pecora nera, esordio nella regia cinematografica di Ascanio Celestini. Diversi recensori hanno rimarcato la natura «teatrale» del film (e qui ha sbagliato Ascanio: non doveva dirlo in giro, che La pecora nera è anche uno spettacolo teatrale, e nessuno se ne sarebbe accorto...). Dal canto suo, si dice che la giuria abbia per qualche istante pensato di premiarlo come attore, che sarebbe stata una scelta buffa: Celestini è un incredibile performer, una forte presenza scenica, ma è difficile pensarlo come «attore» in film altrui, alla fine fa sempre... Celestini, sia pur declinato nei vari personaggi modellati su se stesso.
Proviamo quindi a far finta che Venezia non ci sia stata (non è difficile, dai!). Signore e signori, benvenuti al primo bellissimo film di Ascanio Celestini, autore teatrale musicale e radiofonico, attore e cantante, scrittore di romanzi, documentarista, custode della memoria romana e non solo, in una parola: cantastorie, nel senso più nobile del termine. Sì, Ascanio Celestini è un uomo che racconta delle storie, e il cinema era l’unico strumento che ancora non aveva utilizzato. Nello spettacolo al quale La pecora nera si ispira è in scena da solo, con pochissimi arredi e l’unica forza della sua voce e della sua faccia barbuta. Il film riprende fedelmente le situazioni dello spettacolo, non rinunciando alla voce fuori campo, ma le «apre» e le ambienta in periferie dal sapore pasoliniano e in un manicomio che restituisce tutto l’orrore dell’Istituzione con la «I» maiuscola. Nicola ci vive da quando è bambino, nel «manicomio elettrico» (ovvero, dove si pratica l’elettroshock). La pecora nera è la storia di come ci è arrivato e di come ha costruito, in questa via crucis, un modus vivendi che tutto sommato lo rassicura e gli permette di andare avanti. Il senso tragico della Pecora nera è proprio questo: come la chiesa e la famiglia e la caserma e tanti altri universi concentrazionari, il manicomio è rassicurante. La paura sta fuori. Per questo, nella barzelletta che apre il film, i matti in fuga scavalcano 99 cancelli e, arrivati al centesimo  e ultimo, si stufa- no. E tornano indietro.

L’espresso 40.2010
A Freud piace l'e-book
di Antonella Fiori


La rivoluzione del libro digitale arruola il padre della psicoanalisi, ma anche García Márquez, Sepúlveda, Safran Foer, Pennac... È il nuovo business dell'editoria. Ecco autori, titoli, cifre e i rischi della prossima stagione

Molti anni dopo, davanti al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendìa si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio... La storia dell'e-book italiano potrebbe iniziare così: da un incipit epico come quello di "Cent'anni di solitudine" di Gabriel García Márquez, che ha ceduto i diritti digitali dei suoi romanzi in esclusiva mondiale a Mondadori e avrà una versione in e-book solo in italiano. La smaterializzazione del libro è cominciata. Impalpabili, con volta pagina fruscianti, su sfondi color seppia sfumati, gli e-book stanno per arrivare sui nostri reader lanciati in Rete dalle nuove piattaforme digitali realizzate dagli editori italiani. La battaglia si scatenerà alla vigilia di Natale, quando è previsto un boom nella vendita dei supporti, dall'i-Pad al Kindle al nuovissimo Samsung. Ma le case editrici stanno già cominciando a presentare i pezzi da novanta. E alla Buchmesse di Francoforte, dal 6 ottobre, non si parlerà d'altro: l'e-book farà scintille con "Frankfurt Sparks".
Intanto, cosa fanno i giganti? Ecco qualche nome e titolo. Mondadori parte con Ken Follet: "La caduta dei giganti", appena uscito in cartaceo, sarà disponibile in digitale nei prossimi giorni. Rizzoli darà battaglia con gli italiani: Gianrico Carofiglio "La manomissione delle parole", Dacia Maraini "La seduzione dell'altrove" e Giampaolo Pansa "I vinti non dimenticano". Ciliegine sulla torta (per Rizzoli): un esordiente d'eccezione, il direttore d'orchestra Riccardo Muti e il catalogo a fumetti con tutta l'opera di Hugo Pratt. Il Gruppo Gems (Guanda, Longanesi, Bollati Boringhieri, Garzanti tra i suoi marchi) risponde con James Patterson, tra i più richiesti al mondo in digitale, Wilbur Smith e Massimo Gramellini (tutti Longanesi), ma anche con il meglio del raffinato catalogo Guanda: da Jonathan Safran Foer a Luis Sepúlveda. E poi l'"Interpretazione dei sogni" di Freud (Bollati Boringhieri). Si potrà leggere in e-book il nuovo libro per ragazzi di Susanna Tamaro (Giunti), tutta l'opera di Pennac (Feltrinelli), e, sempre per Feltrinelli, autori come Jonathan Coe, Galimberti, Saramago. Infine Marsilio lancia la trilogia di Stieg Larsson, caso emblematico: i libri dello scrittore svedese negli Stati Uniti hanno venduto quasi il doppio in versione e-book rispetto al cartaceo.
Confortati dalle notizie Usa dove il mercato del libro elettronico non ha eroso quello tradizionale, gli editori italiani hanno vinto le loro paure: "L'offerta sarà di sette-ottomila titoli scaricabili entro Natale. La previsione è quella di un mercato che arriverà a coprire, entro dicembre, l'1,5 per cento del catalogo e l'8-9 per cento delle novità", dice Cristina Mussinelli, consulente per l'editoria digitale dell'Aie, Associazione italiana editori. A prima vista sembra poco, in realtà è l'inizio di una rivoluzione, soprattutto per l'investimento nelle novità.
E già in molti si pongono la domanda: riusciranno le star della carta da Stephenie Meyer a Erri De Luca, a Nick Hornby (tutti quanti tra gli autori di libri che saranno scaricabili) a scalare anche le classifiche digitali? Il mercato italiano, si sa, è piccolo, ragione per cui la nostra editoria ha ripiegato (si fa per dire) su prodotti di altissima qualità. O se vogliamo: l'editore italiano si rivolge a lettori forti, spesso diffidenti a leggere su schermi digitali, anche se si tratta di un'abitudine che, secondo le ultime rilevazioni, si è triplicata in tre anni e riguarda quasi due milioni di italiani. Gli editori rispondono così: scaricare un romanzo su e-reader ha dei vantaggi. Velocità, possibilità di passare alla soddisfazione immediata del desiderio di lettura, senza aspettare l'ordine via Internet, o andare in libreria. Ma anche "ritrovare libri spariti troppo in fretta dagli scaffali, che grazie al formato elettronico, potranno avere nuove fortune", come dice Claudia Tarolo di Marcos y Marcos. Lo stesso editore proporrà titoli fuori catalogo. Libri che in cartaceo non sarebbero mai stati ristampati: troppo alto il divario tra l'investimento e i possibili guadagni. Diverso il discorso sul destino dei classici, che ormai in rete si scaricano gratis. Paolo Zaninoni, direttore editoriale di Rizzoli, è certo: "Resisteranno collane come la Bur, con apparati e commenti necessari per chi studia".
E così si arriva alla questione dei costi: ovviamente fondamentale. Molto del destino della nuova industria editoriale si giocherà sul prezzo del libro. Oggi si parla del 20-30 per cento in meno rispetto al cartaceo. Ma per Francesco Cataluccio, veterano dell'editoria (ha diretto Bruno Mondadori e Bollati Boringhieri) e autore di "Che fine faranno i libri?", uscito pochi mesi fa con Nottetempo, il prezzo del libro digitale dovrebbe arrivare almeno alla metà di quello tradizionale dato che "l'e-book riduce del 46 per cento le spese". Più cauto Gianluca Foglia, direttore editoriale di Feltrinelli, che proporrà in digitale circa 800 titoli, ossia un terzo di quelli attualmente in commercio: "I libri costeranno meno ma non troppo di meno". E spiega qual è il vero pericolo: "Dobbiamo stare attenti a non mandare all'aria l'industria editoriale come è successo nel caso della musica". Il pericolo pirateria è evidente. Ma intanto con l'e-book moltissimi costi si azzerano: basta carta, inchiostro, magazzini, rese. E anche benzina, camion. La distribuzione sarà affidata a piattaforme digitali. Un'occasione per rendere l'editoria più democratica? Forse, ma siamo in Italia, e come nelle altre industrie culturali (tv, cinema) anche qui avremo a che fare con un duopolio (con un piccolo terzo polo): da una parte Mondadori, dall'altro Edigita, nata dalla partnership di RCS Libri, GeMS, Feltrinelli, Messaggerie italiane. Il meccanismo prevede che possano distribuirsi in vendita attraverso siti di e-commerce italiani (Bol, IBS e Feltrinelli) e stranieri (Amazon e iBookstore) tutti gli e-book. "Il modello italiano comunque è più pluralista di quello americano dove Amazon e Google agiscono come unici operatori", dice Foglia, "per quel che riguarda le strategie di promozione il processo naturale è che quando i libri cartacei saranno messi in vendita sugli scaffali lo saranno anche in e-book".
E il terzo polo? Si chiama Book Republic, è stato fondato da Marco Ghezzi e Marco Ferrario (16 anni in Mondadori), e unisce una cordata di piccoli e medi editori di qualità: Codice, Saggiatore, Minimum Fax, Iperborea, Nottetempo, Maestrale. Book Republic oltre a essere il distributore è anche uno store già attivo come altre librerie virtuali. "Sta cambiando tutto e i libri si potranno acquistare anche da Facebook o da altri social network", spiega Ferrario, e scommette che l'e-book arriverà a una quota del 10 per cento nei principali mercati europei nel giro di tre anni. Intanto ha dato vita a 40K, casa editrice di soli e-book che lancia a Francoforte in prima mondiale "Il bisturi partenopeo" di Bruce Sterling, romanzo ambientato nell'Italia ottocentesca. Un modello, quello di 40 K che prevede anche innovazioni contrattuali. In sostanza: i diritti mondiali varranno solo tre anni (e non più sette o dieci come è nel mondo del cartaceo) con autori che sono interessati al formato di short stories e saggi brevi, e alla pubblicazione in contemporanea in tutto il mondo e in più lingue. Perché, appunto, è nel settore delle royalties che stanno mutando gli equilibri. Non tutti gli autori sono pronti a cederli. Tanto che un agente di primo piano come Roberto Santachiara, ha messo in guardia gli autori che rappresenta, da Roberto Saviano a Simona Vinci a Wu Ming dal vendere le royalties delle versioni digitali delle proprie opere. Il ragionamento è semplice e richiama a quanto detto da Cataluccio e Foglia: poiché un e-book ha costi minori, le percentuali dell'editoria tradizionale (dall'8 e fino al 15 per cento sul venduto) non sono più applicabili. Quello di Santachiara è solo un ragionamento ed è piuttosto logico: la vera prima guerra dell'e-book è stata invece quella tra il potentissimo agente Andrew Wylie e il colosso americano Random House. È finita con un accordo. Ma nel frattempo si è capita una cosa semplice: qualcuno (Wylie) sta ipotizzando un mondo senza più editori tradizionali. Wylie (prima dell'accordo raggiunto, e vedremo quanto tempo terrà) aveva annunciato una partnership con Amazon per la pubblicazione e la vendita di una dozzina di libri degli autori che rappresenta: da Nabokov e Updike in formato e-book, senza l'intermediazione appunto dell'editore.
Ma allora, quanto valgono i diritti? Dipende. Il fatto è che nessun editore oggi è disposto a dare a un autore che offre un romanzo fruibile solo su un altro supporto elettronico lo stesso anticipo di un'opera in cartaceo. Tutti sono certi però che il mercato esploderà. E che cambierà la natura del prodotto. "Se avete visto "Alice in Wonderland" per iPad e iPhone non potrete che rimanere affascinati dall'idea di giocare con il testo, con la storia, come se il libro si fosse trasformato, ma mi verrebbe da dire fosse diventato un oggetto ludico", dice Elisabetta Sgarbi, direttore editoriale Bompiani. In Mondadori, intanto, dal primo settembre è nata la Direzione digital, una nuova area, diretta da Vittorio Veltroni. E Riccardo Cavallero, direttore generale Libri Trade della stessa casa torna alla questione delle questioni, il prezzo: "Che nell'e-book, al contrario del cartaceo dove cambia solo se muta il formato, può variare velocemente, e diventa uno strumento di marketing". Un problema è quello dell'Iva, che non è la stessa nei vari paesi europei. "Prevedo che gli store che venderanno i libri con sede legale in Italia, Germania, Inghilterra, con l'Iva al 20 per cento praticheranno prezzi più alti di quelli dove l'Iva è più bassa". La galassia Mondadori, da parte sua, metterà in commercio entro fine anno oltre 1.400 titoli digitali, tra cui il nuovo romanzo di Alessandro Piperno, "Persecuzione" e uscirà a Natale con una ventina di titoli con apparato multimediale: dal romanzo "Alexandros "di Valerio Massimo Manfredi a Geronimo Stilton per Piemme. La rivoluzione è cominciata davvero. Ed è curioso che il suo primo simbolo sarà uno scrittore come García Márquez che, come pochi altri, ha saputo giocare con la magia e l'immaginazione per raccontare un altro mondo: eroico, romantico, nostalgico, ma proiettato nel futuro.

L’espresso 40.2010
Resurrezioni
Verdiglione spa
dI Gianfrancesco Turano


Psicoanalista e craxiano d'assalto negli anni d'oro, il filosofo torna in pista alla guida di un impero economico. Che va dalla cultura ai matrimoni a feste alla "Eyes Wide Shut"

Cantaci, o Diva, Armando Verdiglione, filosofo, psicoanalista, immobiliarista. Imprenditore con oltre un miliardo di patrimonio ma con denaro insufficiente a pagare i dipendenti, che devono rivolgersi al giudice. Craxiano con un passaggio alla casella prigione, resuscitato durante il berlusconismo, capace di accogliere a villa San Carlo Borromeo, la sua umile dimora trecentesca di Senago in bassa Brianza (300 milioni di euro di valore), intellettuali come Edgar Morin, Alain Finkielkraut e, in passato, Eugène Ionesco, Jorge Luís Borges, Jacques Lacan. L'emigrante di Agromastelli, frazione di Caulonia nella Locride, ha saputo diventare amico del bibliofilo Marcello Dell'Utri. Ha ricevuto il governatùr lombardo Roberto Formigoni, il ministro dei Beni culturali Sandro Bondi, il potente Gaetano Miccichè di Banca Intesa. Insieme alla moglie Cristina Frua De Angeli, erede di un'antica famiglia meneghina, ha costruito una galassia di società che ha la stessa trasparenza del periodare verdiglioniano, condensato nel Dizionario di cifrematica.
Esempio. "Duello: le cose procedono dal due. Corpo e scena. Corpo immortale e scena originaria. Non il corpo mortale e sacrificabile o sacrificale. Non la scena del negativo, del male, della corruzione, del peccato. Duello, ironia: il modo del due. La speranza, il futuro, la preghiera, l'eucaristia: è questa l'ironia, il modo dell'inconciliabile. Il modo del due, corpo e scena. L'inconciliabile. Leonardo da Vinci dice chiaroscuro. Nel contrasto chiaroscuro si tratta dell'inconciliabile. Né tutto chiaro né tutto scuro. Chiaroscuro: l'inconciliabile".
Verdiglione, 66 anni a novembre, persiste a conciliare l'inconciliabile. Di qua, i maestri russi dell'Ottocento. Di là, i matrimoni nel nuovo gazebo da mille posti inaugurato in settembre nei 10 ettari del parco di Villa Borromeo. Da una parte, la festa della filosofia (marzo 2010) e l'annuale festival della modernità. Dall'altra, l'evento molto speciale del Capodanno 2010, quando l'ex dimora del cardinale Federigo Borromeo è stata data in affitto alla Castle Events, società dello svizzero Andrej Lorenc che organizza party per scambisti mascherati nello stile di "Eyes Wide Shut" di Stanley Kubrick. Niente pubblicità, si intende. Solo qualche foto e una sobria descrizione della festa nel sito della Castle events, a ricordare le 75 coppie presenti e la cena da cinque portate seguita da un "unrestrained party" proseguito fino alle sette di mattina nella stanza 115.
Tempi difficili, d'altronde. Bisogna prendere quello che viene. Anche se il calendario delle manifestazioni aziendali a villa Borromeo continua ad essere affollato. Soltanto per fare qualche nome, hanno affittato le strutture della residenza per i loro eventi società come Mazda, Bp, Fastweb, Intesa Sanpaolo. I vertici di Mediaset si sono riuniti a Senago per definire la stagione 2010-2011 dei canali in chiaro e della piattaforma criptata di Premium.
Terminati matrimoni e convention, il sabato ruota attorno alla cultura. Verdiglione, che trascorre la settimana negli uffici-residenza di via Gabba, dietro via Montenapoleone, apre il ricevimento alle 9 di mattina. Accoglie i suoi collaboratori principali: Fabiola Giancotti, il responsabile finanza Rino Poli, Anna Gloria Mariano, che segue i grandi eventi, e un personaggio quasi altrettanto flamboyant quanto il guru calabrese. Si tratta di Guido Crapanzano, ex cantante anni Sessanta con il nome di Guidone, tra i fondatori del clan Celentano, presente come gruppo d'appoggio al concerto milanese dei Beatles, e oggi consulente filatelico di Bankitalia su nomina dell'ex governatore Antonio Fazio, dopo avere partecipato all'ideazione dell'euro con il gruppo di esperti della Bce. L'atmosfera sembra diversa da quella degli anni Ottanta, quando il filosofo venne arrestato, poi condannato a quattro anni per truffa e circonvenzione di incapace, nonché apparentato a un santone che si approfittava di seguaci troppo creduli.
Molti dei manager di oggi sono anche soci delle fondazioni, movimenti e università che controllano le società di capitali dove ogni anno entrano, all'incirca, 320 milioni di euro di ricavi. A giudicare dai conti, sono attività in ottima salute, con debiti lordi di gruppo di poco superiori ai 100 milioni di euro, cioè nulla rispetto al patrimonio dichiarato. Anche a fare la tara alle perizie sulle opere d'arte, realizzate da sodali del filosofo per un valore di molti milioni di euro, gli immobili sono più che sufficienti a tenere tranquille le banche finanziatrici.
La gallina dalle uova d'oro è villa Borromeo. Acquistata nel 1983, la residenza fattura da sola quasi 150 milioni di euro. La sua posizione è altamente strategica, visto che si trova a sette chilometri dalla nuova Fiera di Milano di Rho-Pero e a dieci chilometri dall'area espositiva di Fiera Milanocity, nell'area del Portello. Questo significa contiguità con i terreni dove sorgeranno, Formigoni permettendo, i padiglioni dell'Expo milanese del 2015. Di fatto, la struttura di Senago finirà integrata nello spazio dell'esposizione universale a nord-ovest di Milano.
Questo dovrebbe avere conseguenze positive sui profitti da distribuire ai soci. Chi siano i fortunati è difficile dire, considerata la presenza di sigle molto riservate: il Movimento cifrematico, l'Associazione cifrematica e l'Associazione del Museo di villa Borromeo, le fondazioni Modernitas e, la più roboante, la Fondazione Culturale Internazionale Armando Verdiglione Università del Secondo Rinascimento.
A fianco di questi club esclusivi, c'è una batteria di holding estere: le britanniche Coffsharb, Aleph City, Wisden Rock, e la svizzera Geston di Sion, che risulta in liquidazione agli atti del registro elvetico aggiornati al luglio 2010. A disposizione di questa rete oscura, ci sono le italiane Stalo, Zephyros, Events and Hospitality, la cooperativa Sanitas atque salus e la Frua De Angeli Holding, che ha incorporato la più vecchia e la più giovane delle proprietà di Verdiglione.
La prima è Spirali, la casa editrice che ha segnato il debutto del filosofo trent'anni fa e che, a detta del fondatore medesimo, "ha promosso intraprese molteplici dagli effetti incommensurabili" oltre ad avere "acquisito una notorietà immensa tanto da diventare mito e leggenda". Dentro Frua De Angeli Holding c'è anche l'ultimo affare del gruppo Verdiglione, la villa Rasini a Medolago, una frazione del comune brianzolo di Limbiate. Anche questa è una residenza realizzata nel Quattordicesimo secolo. L'acquisto risale a quattro anni fa. La Frua De Angeli holding l'ha comprata dalla famiglia triestina Baldassarre per una valutazione che si aggira attorno ai 16 milioni di euro. In più, va calcolato l'investimento necessario a rendere funzionale l'immobile. La villa ha bisogno di essere completamente restaurata e per questo sono in corso contatti con la giunta comunale amministrata da Antonio Romeo. Fra Verdiglione e il sindaco di Limbiate, rieletto con un tonante 61 per cento alle ultime municipali, ma bocciato come consigliere regionale al voto del 2010, ci sono origini comuni nella provincia di Reggio Calabria. Finora la ristrutturazione di villa Rasini, approvata dalla giunta comunale, stenta a prendere piede, anche se nel 2008 Bondi ha autorizzato i lavori che dovrebbero portare alla realizzazione di un centro congressi, un albergo di 130 stanze, una spa e un ristorante.
Ma il gruppo Verdiglione sembra non disporre dei fondi necessari a realizzare le opere per decine di milioni di euro che avrebbero dovuto concludersi nel 2010 e che sono ancora molto indietro. Il quadro politico locale non aiuta. La Brianza Felix e i suoi amministratori sono finiti coinvolti in pesanti polemiche, dopo che a luglio la Direzione distrettuale antimafia di Milano guidata da Ilda Boccassini ha arrestato 300 esponenti della 'ndrangheta e ha individuato in Limbiate uno dei centri di massima infiltrazione del crimine organizzato calabrese in Lombardia. Le 'ndrine hanno scarsi interessi filosofici ma adorano l'edilizia.

giovedì 30 settembre 2010

l’Unità 30.9.10
Il discorso del segretario del Pd
Bersani: «Qui si chiude una pagina vecchia. Apriamo noi la nuova»
Dieci minuti di intervento per demolire il fantastico mondo berlusconiano. «Chieda il Nobel per la pace», ironizza Bersani. Berlusconi ascolta e scuote la testa, sorride, cerca la complicità di Tremonti.
di Simone Collini


Compiono tutti e due gli anni ma è Bersani a fare la festa al premier. Il leader del Pd interviene in aula per le dichiarazioni di voto e in una decina di minuti demolisce il favoloso mondo di Berlusconi, «l’epoca gloriosa del ghe pensi mi» che doveva portare crescita economica e ha invece prodotto maggiore disoccupazione, «i cinque punti di ribollita» che dovrebbero rilanciare l’azione di governo ma neanche lambiscono «l’Italia, quella vera», «le promesse che marciano sulla Salerno-Reggio Calabria» e le «rivendicazioni di un ruolo internazionale»: «Chieda il Nobel per la pace!», ironizza alla fine Bersani tra gli applausi dei deputati dell’opposizione. E Berlusconi per tutto il tempo annuisce ridendo, oppure scuote la testa, o sorride, dà di gomito al vicino di banco Tremonti e con le mani giunte fa come per dire: ma che va dicendo?
«Voi oggi mettete una fiducia per debolezza, perché nessuno vuole in mano il cerino acceso della crisi. Questa è la fiducia del cerino, parliamoci chiaro», attacca Bersani che ormai con i suoi ragiona su come prepararsi per un voto che potrebbe arrivare in primavera. E che anzi sfida la maggioranza a dire apertamente quello che il ministro leghista Maroni (col quale Bersani si ferma a parlare in Transatlantico) va dicendo riservatamente (nel caso specifico, ieri intercettato dai microfoni di La7, a Vendola), e cioè che tra sei mesi si andrà alle urne. «Non veniteci a dire che abbiamo paura delle elezioni, ve le siete rimesse in tasca voi le elezioni, non noi, attenzione», dice Bersani puntando il dito contro i banchi del centrodestra. «Oggi qui non si apre una pagina nuova, qui si comincia a chiudere una pagina vecchia. La pagina nuova la apriamo noi».
Berlusconi gesticola, Tremonti lo asseconda, Bersani va avanti. «Il Paese ha bisogno di fatti veri e non di propagande di miracoli. Mi spieghi il misterioso motivo per cui lei, signor presidente del Consiglio, non va a Napoli o non lo cita neanche. Io ci vado domani. Vogliamo andare insieme a vedere dove è il miracolo dei rifiuti? Vogliamo andare insieme a L’Aquila per vedere a che punto si trova il programma di ricostruzione? Adesso ci stiamo andando noi. Venga anche lei a farsi un giro».
PARADISI FISCALI DELLA POLITICA
Applausi di qua, contestazioni di là, e Berlusconi in mezzo seduto al banco del governo che si liscia la cravatta, sorride, si sistema il nodo alla gola, scuote la testa, sospira e non sta fermo un attimo. Bersani parla di «un sogno» che poi si è rivelato «una favola» che si è poi «dispersa in mille bolle di sapone». Attacca la Lega «volete spiegarmi per quale diavolo di motivo avete votato tutte le leggi che hanno favorito la cricca?» denuncia la compravendita dei parlamentari «i deputati vanno e vengono, viviamo nei paradisi fiscali della politica, le carriere sono al portatore, le leggi sono al portatore» e difende Fini («non si deve dimettere»)
incassando l’applauso anche di Italo Bocchino quando dice rivolto a Berlusconi: «Lei fa dire ai suoi telegiornali che è l’uomo del fare e non del teatrino della politica. Guardi, lei è l’impresario di questo teatrino qui. La politica da quindici anni sta facendo il girotondo attorno a lei, alle sue questioni, e se lei, come si è visto questa estate, indica con il dito un malcapitato, quello lì va alla gogna per colpe che a lei sarebbero, e sono, mille e diecimila volte perdonate».
Alla fine tutti i deputati Pd sono in piedi ad applaudire. Walter Veltroni (citato dal premier nel suo intervento) si avvicina al segretario per stringergli la mano. Berlusconi aspetta che si spengano gli applausi per ascoltare le dichiarazioni di voto di Fabrizio Cicchitto, al quale intanto il premier ha inviato qualche “pizzino” («Dì che è la Iervolino che non fa la raccolta differenziata»). Il capogruppo del Pdl comincia a parlare e il premier finalmente si rilassa sulla poltrona. Ma ormai è andata, e mentre Bersani più tardi si dice certo che «è stato meglio il mio compleanno del suo», Berlusconi confessa al capogruppo dell’Idv Massimo Donadi, che incrocia in aula: «Sto passando un compleanno di m...».

Repubblica 30.9.10
Il segretario parla di "fiducia del cerino". Casini: Berlusconi non faccia Alice nel paese delle meraviglie
Bersani attacca e scalda i Democratici "Dal premier 15 anni di favole, a casa"
di Giovanna Casadio


Anche Veltroni si complimenta col leader, poi riunisce "Movimento democratico"

ROMA «Un buon compleanno il mio, di certo meglio del suo. Comunque gli faccio gli auguri». Appena apprende i numeri della fiducia che consegnano Berlusconi nelle mani dei "futuristi" di Fini e dell´Mpa di Lombardo Pier Luigi Bersani ripete che sì, «qui si chiude una pagina vecchia». Quella nuova aveva concluso il suo intervento in aula la apriamo noi. I Democratici sono rinfrancati. Il segretario del Pd giudica il governo «ulteriormente indebolito, con una difficoltà vera ad andare avanti; articolato in quattro componenti che neppure sono riuscite a firmare la stessa mozione di fiducia», ma hanno avuto bisogno di presentarne quattro uguali. «Dovrebbero andarsene a casa. Questa è la fiducia del cerino acceso, perché nessuno di voi vuole rimanere con in mano il cerino della crisi. Berlusconi ha deciso di pattinare, galleggiare denuncia Andrà sempre peggio, non ci credono neanche loro, si apre un periodo di instabilità». Perciò, nel giorno del compleanno di entrambi 59 anni per Bersani, 74 per Berlusconi il leader democratico è soddisfatto.
Per lui standing ovation dei suoi, alla fine di un discorso che mira a smascherare il premier-illusionista. Concreto: «Sapete com´è messa la scuola? Quanti servizi salteranno per i tagli agli enti locali? C´è un paese in carne ed ossa...». Incalza, Bersani: «Lei fa dire ai tg che è l´uomo del fare e non del teatrino della politica, ma è l´impresario del teatrino della politica. Sono 15 anni che la politica fa girotondo intorno ai suoi affari. Invece di cinque punti di ribollita servono 3 punti (fisco, burocrazia, lavoro) da realizzare. Servono fatti, non propaganda». Con la propaganda, Berlusconi sembra essere pronto a chiedere «il Nobel per la pace». Lo applaude il capogruppo dei finiani, Italo Bocchino quando il segretario Pd difende Fini e accusa: «Se Berlusconi indica col dito un malcapitato, quello lì va alla gogna». E poi: «Viviamo nel paradiso fiscale della politica, i deputati vanno e vengono, le carriere sono al portatore». Veltroni, l´avversario interno, va a complimentarsi: «Ha svelato le illusioni di Berlusconi».
E se dai banchi del Pdl le contestazioni per Bersani sono contenute, poco prima l´emiciclo è esploso, si è diviso e svuotato per Di Pietro. Il leader di Idv pronuncia una requisitoria anti Berlusconi aspra: «Lei è uno stupratore della democrazia. Un pregiudicato illusionista; è bravo solo a comprare il consenso dei parlamentari; fa come il suo predecessore Nerone; sa fare dossieraggio e killeraggio; i suoi maestri sono quelli della massoneria deviata». Ingiurie che vanno fermate, gridano a Fini i deputati Pdl, battendo oggetti sugli scranni e lasciando l´aula. Il presidente della Camera interviene quattro volte; chiede a Di Pietro di usare un linguaggio «più consono». Ma a Berlusconi non basta. Perde la pazienza il premier e rivolto a Fini chiede di fermarlo. A gesti dà del matto a Di Pietro. L´ex pm non si scompone, però raccoglie gli applausi solo dell´Idv.
Lo attacca Casini l´ex alleato a cui Berlusconi volentieri avrebbe offerto l´agnello grasso purché tornasse da figliol prodigo nella maggioranza: «Lei non faccia Alice, non ci sono neppure le meraviglie. Questa giornata segna l´epilogo di una stagione di ricatti, dossier e odio». Un j´accuse sul «trasformismo cancro della democrazia». No alla fiducia annunciato anche da Tabacci per l´Api: «Lei ha galleggiato su Tangentopoli...». Per l´opposizione è però anche l´ora di essere pronti al "dopo Berlusconi". E ieri sera nasce il "Movimento democratico", la minoranza di Veltroni, Gentiloni, Fioroni. Oggi riunita Areadem. Nichi Vendola, il leader di Sel, in Trasatlantico commenta: «Berlusconi è la Vanna Marchi della politica». E Anna Finocchiaro a Repubblica tv definisce Berlusconi «imbarazzante e senza progetto». E non è nell´opposizione alla Di Pietro «ma nell´alternativa nel paese» che si costruisce la svolta.

l’Unità 30.9.10
La dichiarazione Onu dei diritti dell’uomo
Vecchie idee (ancora nuove) per la sinistra
di Francesco Lenci


Con fatica e con un senso di disperazione cerco di seguire la discussione che oggi si va svolgendo nel Pd e nella “sinistra” sulla necessità di “nuove idee”. Personalmente non
sento alcuna necessità di “nuove idee”. Ne ho presenti di “vecchie” (ma “come nuove”, forse perché poco o mai usate) che se costituissero patrimonio culturale e ideale da non tradire e fossero trasformate in guide di intervento non rinunciabili e non negoziabili permetterebbero di cambiare davvero il quadro politico di questo nostro povero Paese.
Mi limito a fare un paio di esempi di “idee vecchie”, prendendo come riferimento un testo che dovrebbe essere conosciuto da tutti: la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite del 1948 (la trovate su Internet all’indirizzo http://www. unhchr.ch/udhr/lang/itn.htm) i cui punti fondanti si trovano, chiarissimi, anche nella Costituzione della Repubblica italiana.
«Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza... (Art.1); ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione... (Art.18); ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; e ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà... (Art. 25); l’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi... (Art. 26)».
È troppo auspicare che chiunque pensi di poter “guidare” il Paese, qualunque sia la sua età anagrafica, consideri irrinunciabile e non negoziabile il non accettare mai, senza se e senza ma, forme di accanimento “istituzionale” e “popolare” a fare la guerra, non alla povertà, ma ai poveri, ad emarginare chi avrebbe bisogno di accoglienza, a praticare ottusamente intolleranza e fondamentalismo, a perseguitare immigrati alla ricerca disperata di fonti di sopravvivenza? È troppo chiedere che un lavoro dignitoso venga riconosciuto come un diritto inalienabile per ogni cittadino e che venga rifiutata un’organizzazione del lavoro che combina forme di “dispotismo” arrogante (“se vuoi lavorare, queste sono le condizioni”) a mantenimento di sacche di disoccupazione e sofferenza? È troppo augurarsi che abbiano fine le squallide querelles tra i vari Renzi e Veltroni e si cominci a lavorare per il bene comune?

l’Unità 30.9.10
Intervista a Ignazio Marino
«È a rischio l’incolumità delle persone tutelata dalla nostra Costituzione»
di Mariagrazia Gerina


Non è più questione di singoli casi. C’è una vera e propria emergenza, in Italia. Riguarda ciò che accade nelle sale parto. La commissione sull’efficienza del Servizio sanitario presieduta Ignazio Marino ha già aperto una inchiesta. Cosa sta succedendo nelle sale parto? «Il governo dice che il parto in Italia è un evento sicuro. Ma è egualmente sicuro in ogni luogo del paese? La risposta è no. La mortalità materna al momento del parto varia dal 3,9 per centomila delle strutture d’eccellenza del Nord fino a un massimo di 22 per centomila in Sicilia. Se c’è una parte d’Italia dove il rischio è sei volte superiore, qualcosa non va. E siccome qui è “a rischio l’incolumità delle persone”, secondo il titolo V della Costituzione, il governo ha il dovere di intervenire in sostituzione».
Ma l’ultimo episodio si è verificato a Bergamo. «È chiaro che l’attenzione deve essere alta su tutto il territorio. Ma i numeri dicono che la situazione è molto più grave nel Sud, per mortalità al momento del parto che per numero di cesarei. Erano il 10% nel 1980, oggi è il 39%, tre volte di più del teto fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità al 13,7%. Nel cesareo il rischio è tre volte superiore: va eseguito se necessario, altrimenti no».
Una decisione delicata. Ma come è possibile che si litighi in sala parto? «Una lite non dovrebbe mai esplodere in un luogo di cura. Su Bergamo, per ora, abbiamo solo le notizie di stampa. Ma a Messina, invece, abbiamo documentazione che sia andata proprio così. E certo chi non è in grado di concentrarsi sul paziente dovrebbe stare lontano dai luoghi di cura. C’è un punto di metodo però. È normale che la donna al momento del parto voglia avere al proprio fianco il ginecolo che l’ha seguita. Però spesso il medico di guardia è un altro. In Toscana questo problema è stato risolto: il medico di fiducia può assistere la donna ma indossa un camice di carta per ribadire anche simbolicamente che la responsabilità è del medico di guardia. Al Sud ci si mette d’accordo e non sempre funziona. Un numero dà l’idea di quanto sia importante la professionalità del medico. In Campania il 62% dei parti sono cesarei. Però quel numero che è il più alto d’Italia, a Castellammare scende al 16,6%. In passato era al 53% anche lì».
Per altri interventi si può anche decidere di operarsi altrove. Ma di solito si partorisce nel posto più vicino. «Questo è un punto critico. La nostra rete dei punti nascita è stata disegnata negli anni del baby boom. Ed è capillare. Nel frattempo sono diminuiti i parti ed è cambiata la percentuale di donne che partoriscono dopo i 35 anni (meno del 10% prima dell’80, oggi oltre il 30%). Molti punti nascita oggi andrebbero chiusi. Almeno quelli con meno di 500 parti l’anno. Lo ha stabilito il ministero nel 2000. Meglio percorrere venti chilometri di più ma partorire in un luogo si è garantita maggiore sicurezza alla madre e al nascituro».

l’Unità 30.9.10
La protesta dell’Europa sociale
Sciopero e scontri in Spagna
Migliaia di lavoratori europei in corteo a Bruxelles contro le misure di austerity varate dai governi Tafferugli a Madrid e Barcellona, Grecia di nuovo paralizzata. La Cgil in piazza a Roma
Migliaia in piazza a Bruxelles, sciopero in Spagna, il primo dell’era Zapatero. Scontri con la polizia: 30 feriti, 80 fermati, auto e megozi presi a sassate. A Roma, Epifani chiede un «cambiamento della politica».
di Laura Matteucci


Decine di voli cancellati, servizi minimi per treni, metrò, autobus, ospedali e scuole, traffico stradale interrotto dai picchetti: la Spagna gira al rallentatore nella giornata del primo sciopero generale del governo Zapatero, nel giorno della mobilitazione indetta dalla Confederazione europea dei sindacati (Ces) contro le misure anti-crisi introdotte dai governi, e per rivendicare misure in favore del lavoro e della giustizia sociale. Centommila persone da 30 Paesi diversi, soprattutto belgi, tedeschi e francesi, ma anche polacchi e slovacchi, si sono riversate oggi nelle strade di Bruxelles al suono delle «vuvuzela». La marcia era aperta simbolicamente da falsi «businessman» con manifesti dell’« Associazione europea imprese fraudolente» e dell’«Unione europea degli speculatori». «I lavoratori spiega il segretario generale della Ces John Monks hanno un messaggio chiaro per i dirigenti dell’Europa: siete ancora in tempo a cambiare strada. Perchè questi piani avranno un effetto disastroso sulle persone e sull’economia».
Protesta anche a Roma, con la Cgil (ma non Cisl e Uil) in piazza e il leader Gulielmo Epifani che lancia l’affondo contro il governo: «Con un esecutivo che affronta la crisi attaccando i diritti, lasciando solo il Mezzogiorno, non affrontando i problemi della competitività, non ci può essere nessun patto per la crescita del Paese, che reclama invece un cambio radicale delle politiche», scandisce. «Il patto sociale presuppone la condivisione delle scelte continua Io chiedo un radicale cambiamento delle politiche. Ecco perchè questo rende non possibile un patto sociale con tutti, mentre è possibile un cammino su singoli temi nell’interesse dei lavoratori».
FERITI E FERMATI
In Spagna, intanto, la protesta promossa dai sindacati Ugt e Ccoo attacca la riforma del mercato del lavoro, che diminuisce le indennità di licenziamento, congela le pensioni e gli stipendi pubblici. Le manifestazioni più importanti a Madrid e Barcellona, teatri anche di disordini, scontri con la polizia, con un bilancio di una trentina di feriti e 80 arresti, auto e negozi presi a sassate. Lo sciopero generale è arrivato alla vigilia della presentazione in Parlamento della Finanziaria per il 2011, in un Paese strangolato dal debito e dove il tasso di disoccupazione è al 20%, il più alto dell’Ue.
Manifestazioni e scioperi di trasporti e personale sanitario ospedaliero hanno creato molti disagi anche in Grecia. Ad Atene si sono fermati i mezzi pubblici, in tutto il paese hanno incrociato le braccia i ferrovieri. In sciopero anche i medici ospedalieri, cui si aggiunge la mobilitazione dei farmacisti contro i piani del governo di liberalizzazione.
Le proteste giungono mentre il paese si trova alle prese con il blocco degli autotrasportatori, che ha lasciato vuoti i supermercati delle principali città e isole. La Grecia deve ottemperare agli obblighi di austerity e riforme economiche imposte dall’Unione e dal Fondo Monetario internazionale in cambio di un megaprestito di 110 miliardi, che ha per ora evitato al Paese la bancarotta.

il Fatto (da The Guardian) 30.9.10
Rosa è il colore della rivoluzione
Carcere, torture e calunnie contro la rete delle attiviste iraniane
il Movimento Verde nato dopo il voto del 2009 ha messo al centro della protesta i diritti delle donne
di Peter Beaumont e Saeed Kamali Dehghan


Shahrzad Kariman è riuscita finalmente a vedere sua figlia Shiva Nazar Ahari per pochi minuti nel Tribunale di Teheran dove la 26enne attivista dei diritti umani era stata condotta per essere processata. “L’abbiamo appena vista”, ha detto Kariman. “Solo il tempo di abbracciarla. Ma non abbiamo nemmeno potuto chiederle come era andato il processo”.
I capi d’imputazione sono gravissimi per l’Iran: muharebeh (guerra contro Dio). In teoria un reato punibile con la pena capitale, mai contestato prima ai dissidenti politici. Ma l’accusa forse più grave – negata sia dalla sua famiglia che dalla sua organizzazione – è quella di collusione con il gruppo Mujaheddin-e Khalq ritenuto dal regime un’organizzazione terroristica. Secondo la sua famiglia Shiva Nazar Ahari condanna questo gruppo e il terrorismo. Arrestata due volte dopo le elezioni del giugno 2009 e detenuta nella famigerata prigione di Evin, Nazar Ahari, dal dicembre scorso non ha potuto comunicare con l’esterno.
I loro volti visti da mezzo mondo
ASSIEME A LEI è stata arrestata Mahboubeh Abbasgholizadeh, attivista e cineasta che successivamente è riuscita a lasciare il Paese ed è stata condannata in contumacia a due anni e mezzo di reclusione. Nei 15 mesi trascorsi dalle elezioni-truffa, i volti di queste e di altre donne sono stati visti in tutto il mondo. Accanto ai loro ci sono i volti delle donne morte, come Neda Agha-Soltan, assassinata il 20 giugno 2009 durante una manifestazione di protesta. Oltre alle attiviste, altre donne iraniane sono diventate tristemente famose per-
ché minacciate di essere giustiziate. Emblematico il caso di Sakineh Ashtiani, la 43enne madre di due figli condannata alla lapidazione per adulterio. È semplice la ragione per cui c’è uno stretto legame tra le donne che si battono per i diritti e Sakineh Ashtiani. Le loro storie riflettono aspetti diversi della tragedia iraniana: il ruolo delle donne e la reazione del regime pronto ad accusarle dei reati più inverosimili e a processarle senza garanzie.
Una cosa è certa: il Movimento Verde nato sull’onda delle elezioni del 2009 ha messo al centro della sua protesta i diritti delle donne. La dottoressa Ziba Mir-Hosseini, un’attivista che vive e insegna a Cambridge, sostiene che, considerata la storia dei diritti delle donne in Iran, era inevitabile che le donne fossero in prima linea nella lotta tra “dispotismo e democrazia. È una tensione esacerbata dal contraddittorio atteggiamento della Rivoluzione islamica del 1979 nei confronti dei diritti politici delle donne. Le leggi sulla parità di diritti in seno alla famiglia e in materia di divorzio introdotte dallo scià, furono abrogate dopo la sua caduta. La Rivoluzione islamica permise alle donne di continuare a votare, ma gradualmente tolse loro diritti con il pretesto di difendere il loro onore’”. “Mohammad Khatami durante gli 8 anni di presidenza e di governo riformista istituì un ‘Centro per la partecipazione femminile’ grazie al quale il numero delle Ong femminili passò in Iran da 45 a oltre 500”, aggiunge Ziba Mir-Hoseini. “E si andò affermando nelle giovani generazioni il femminismo, parola che nei primi anni ’80 non poteva essere nemmeno bisbigliata. Nel 2006, un anno dopo l’elezione di Ahmadinejad, sebbene la campagna tutta al femminile “Un milione di firme” fosse riuscita a bloccare temporaneamente la riforma del diritto di famiglia voluta dal nuovo presidente che avrebbe reso la poligamia più facile per gli uomini e il divorzio più difficile per le donne, il ruolo sempre più attivo delle donne nelle manifestazioni di protesta finì per mettere le attiviste in rotta di collisione con i falchi del governo.
“Le donne erano in prima fila ed è anche per questo che tra i principali obiettivi del governo c’è l’attacco ai diritti delle donne”, dice Maryam Namazie dell’organizzazione ‘Solidarietà con l’Iran’.
Ma, con l’eccezione del premio Nobel Shirin Ebadi, l’attivismo delle donne in Iran era praticamente ignorato dagli organi di informazione internazionali prima del 2009. Poi c’è stato il cosiddetto “effetto Neda” e il mondo ha cominciato a occuparsi delle donne che in Iran si battono per la democrazia. Un ultimo elemento è la condanna a morte per lapidazione di Sakineh. La vicenda ha dimostrato al mondo quanto le attiviste iraniane andavano dicendo da tempo, vale a dire che era in atto il tentativo di azzerare completamente i diritti delle donne.
Arrestata a luglio 2009 mentre stava andando all’Università di Teheran, Shadi Sadr, avvocato, è stata rinchiusa nel carcere di Evin in isolamento e interrogata sulle attività dei movimenti femminili e sulle elezioni per poi essere incriminata di attentato alla sicurezza nazionale. Due giorni dopo l’inizio del processo Shadi Sadr è fuggita in Turchia. Parlando Shadi Sadr dice: “Non mi è mai stato permesso di vedere Shiva. Poi sono stata arrestata e, per ironia del destino, sono finita nella stessa cella dove era stata rinchiusa. Sul muro della cella c’erano ancora i messaggi scritti di suo pugno. Un avvocato e la sua cliente nella stessa cella. Una cosa impensabile. Non mi era stato permesso di ascoltare cosa aveva da dire, ma l’ho letto sul muro della cella. L’arresto di Shiva e in particolare l’accusa di muharebeh, sono un messaggio chiaro alle attiviste: smettetela se non volete essere uccise”.
Le vicende di Shadi Sadr, Shiva Nazar Ahari e Mahboubeh Abbasgholizadeh sono quanto mai istruttive. I loro casi sono stati utilizzati come pretesto per smantellare il movimento dei diritti delle donne e per ridurre al silenzio le donne agitando la questione della sicurezza nazionale. Il regime ha parlato di legami con il “terrorismo” o di collaborazione con Paesi stranieri allo scopo. Lo scopo, dice Parisa Kakaee, veterana del movimento dei diritti delle donne, è quello d’offrire alle attiviste 3 alternative: “Stare zitte, andare in prigione o lasciare il Paese”.
Sempre meno, e meno libere
IL MESE SCORSO è stata la volta di Nasrin Sotoudeh, 45 anni, avvocata e collega di Shirin Ebadi che nella sua carriera ha difeso molte attiviste. Nasrin è stata avvicinata da agenti dei servizi e minacciata di essere arrestata se avesse continuato a patrocinare la premio Nobel che è riuscita a lasciare il Paese un giorno prima delle elezioni. Qualche giorno dopo Nasrin Sotoudeh è stata arrestata.
Commentando il suo arresto, Shirin Ebadi dice: “La sola ragione per cui è stata arrestata è perché difende senza paura le attiviste incriminate per la loro azione politica. Dopo le elezioni si è intensificata l’azione di intimidazione nei confronti degli avvocati, in particolare delle donne. Molte sono state costrette a lasciare l’Iran e alcune sono in prigione. Nasrin era tra le poche avvocate e attiviste ancora a piede libero”. Shirin Ebadi è sicura delle ragioni per cui il regime ha paura delle donne: “Ricordate bene le mie parole: saranno le donne a portare la democrazia in Iran”.
Copyright The Guardian Traduzione di Carlo Antonio Biscotto

Repubblica 30.9.10
Un saggio sulle rivoluzioni grafiche da Diocleziano a Gutenberg
Come la scrittura cambiò il mondo
Il modo di confezionare i libri era spesso il risultato di giochi di potere
di Agostino Paravicini Bagliani


Più di cinquecento anni fa, l´invenzione della stampa ad opera di Gutenberg inaugurò una fase nuova nella storia della cultura occidentale, sostituendo al libro manoscritto, di per sé unico, la possibilità di riprodurre un libro simultaneamente per un numero di copie potenzialmente illimitato. La stampa con caratteri mobili aveva così posto le premesse di una sempre maggiore democratizzazione del sapere. Nei secoli precedenti, il libro e la scrittura erano stati monopolio delle classi sociali elevate, religiose e aristocratiche, e persino le forme grafiche di scrittura erano il risultato di giochi di potere. È questa una delle linee di fondo dell´aggiornata e brillante storia delle scritture antiche e medievali a cura di Paolo Cherubini e di Alessandro Pratesi (Paleografia latina. L´avventura grafica del mondo occidentale, Scuola Vaticana di Paleografia, pagg. 785, euro 50).
Già il III secolo aveva conosciuto una rivoluzione grafica con la nascita di una scrittura latina vergata con lettere minuscole. La nascita del doppio binario grafico, maiuscolo e minuscolo, di cui ci serviamo ancora oggi aveva cause sociali e politiche. Nell´impero di Diocleziano, l´alfabetizzazione aveva raggiunto tassi elevatissimi, esigendo forme di scrittura capaci di assicurare una maggiore leggibilità.
L´alta cultura classica e la religione cristiana che si stava sempre più affermando volevano però disporre anche di libri di prestigio, un desiderio così profondo da far nascere una nuova scrittura, l´onciale, che per cinque secoli (dal quarto al nono) fu il principale vettore della nuova cristianità, da Costantinopoli alla Spagna, dall´Egitto all´Inghilterra. I codici che Gregorio Magno (590-604) affidò al monaco Agostino quando lo inviò in Inghilterra per convertire gli Angli erano stupendi codici scritti in onciale.
Gregorio Magno viveva in una nuova Europa, governata dai Visigoti in Spagna, dai Longobardi in Italia, dai Franchi in Gallia. In questa Europa, nata dalle spoglie dell´Impero romano, l´uniforme scrittura minuscola latina finì per lasciare il passo a scritture nazionali, insulari (Irlanda, Inghilterra), merovingiche, visogotiche e così via.
Intorno all´anno 800, l´affermazione dell´impero di Carlomagno produsse una nuova uniformizzazione della scrittura. Il rinnovamento degli studi voluto dal nuovo imperatore aveva bisogno di un supporto grafico chiaro, ordinato, elegante, per diffondere gli autori classici e le imponenti glosse dei loro commentatori oltre che la letteratura biblica e cristiana. Non a caso, a creare la scrittura carolina fu il consigliere culturale di Carlomagno, il monaco Alcuino, uno dei più alti intellettuali dell´epoca.
Anche le università di Bologna e di Parigi dominarono per almeno due secoli il panorama grafico europeo, imponendo una nuova scrittura, la minuscola gotica, capace di accelerare la lettura di testi sempre più numerosi (sono ben più di 13.000 gli autori medievali stando al recente repertorio – Bislam – pubblicato dalle Edizioni del Galluzzo www.sismel.it), grazie anche alle numerose abbreviazioni, veri e propri ideogrammi indispensabili a una rapida assimilazione mnemonica. Insomma, anche le forme grafiche di scrittura hanno contribuito a costruire negli ultimi secoli del Medioevo un´Europa universitaria omogenea.
Verso la metà del Trecento, Petrarca, Boccaccio ed altri preumanisti si dissero però insoddisfatti delle litterae scholasticae, perché troppo ricercate e poco leggibili, e incominciarono a sognare una scrittura più adatta a sostenere la nuova cultura cui aspiravano. La realizzazione di questo sogno avverrà all´inizio del Quattrocento a Firenze, per opera di uno dei primi umanisti, Poggio Bracciolini, il quale, nel tentare di ritrovare la scrittura dell´antichità romana creò la scrittura umanistica che è di fatto un´imitazione geniale della carolina del dodicesimo secolo... Come già la riforma scolastica di Carlomagno o le nascenti università medievali, anche l´umanesimo ebbe dunque bisogno di un supporto grafico uniforme quale veicolo di comunicazione di profonde idealità culturali.

Repubblica 30.9.10
Marilyn quella bambina che guarda nell'abisso
Così Norma Jeane sognava di essere una farfalla
di Antonio Tabucchi


Anticipiamo un brano dello scrittore che introduce le riflessioni inedite dell´attrice americana
Questi testi rivelano l´altra faccia della luna C´è l´anima di una donna colta e poetica

Se fosse un film sarebbe un flashback. Si vedrebbe una bambina dal viso dolce e gli occhi grandi che si chiama Norma Jeane, indossa una calzamaglia con due alucce trasparenti sulle spalle che la fa sembrare una creatura uscita dal mondo di Peter Pan, cammina su un cavo teso in alto, molto in alto, come un´acrobata, con le braccia che fanno da bilanciere, avanza in precario equilibrio, eppure sembra sicura di sé, con la sicurezza inconsapevole dei sonnambuli. Ma non dorme, è ben sveglia; che strano, non è un cavo d´acciaio, l´obiettivo si avvicina, è un filo di seta che oscilla pericolosamente nell´aria. Come può un filo così sottile reggere una bambina sospesa nel vuoto?
La bambina guarda in basso, verso l´abisso. Da una parte, c´è una casetta modesta a cui il misterioso regista del film ha fatto togliere il tetto affinché si possa vedere l´interno come nelle maquettes delle agenzie immobiliari.Dentro c´è una donna dall´aria disperata, indossa una vestaglia, ha una bottiglia di liquore sul comodino, il letto è disfatto, accanto a lei c´è un marinaio dall´aria rozza che ride, ma senza che si possa udire, e che tende le mani verso la bambina per afferrarla. Ha braccia mostruosamente lunghe, anzi, che si stanno allungando fino a sfiorare i piedi della bambina. Ma lei avanza senza paura e guarda dall´altra parte del filo, verso la parete di un grattacielo di New York; allora appoggia i gomiti nell´aria come se si affacciasse a un balcone. In fondo all´abisso, sul marciapiede di una strada percorsa dalle automobili, c´è una folla che la invoca con ampi gesti, la acclama, tende le braccia verso di lei, e tutte quelle braccia di tutta quella folla cominciano ad allungarsi mostruosamente fino a sfiorarle i piedi. La vogliono, la reclamano, urlano. Ma si vedono solo bocche spalancate, perché il film è muto e in bianco e nero. Da quale parte scendere?
A questo punto nel film irrompe una voce off. Viene dalla bambina, ma lei non apre bocca: dolce e un po´ nasale, infantile ma adulta, sembra implorare la vita di guidare i suoi passi.

Vita –
Ho in me entrambe le tue direzioni
Restando come appesa all´ingiù
più spesso
ma forte come la tela di un ragno al
vento – esisto di più nella fredda brina scintillante.
Ma i miei raggi perlati hanno i colori che ho
visto in un quadro – ah vita ti hanno
imbrogliata

La voce off sta recitando una poesia di Marilyn Monroe. Non è più un flashback, è un flashforward. Non è più un film, è la vita vera, siamo a questo libro. Un libro che ci rivela a posteriori una personalità intellettuale e artistica che i più non potevano sospettare, neppure i biografi e gli esegeti più attenti. I documenti che questo volume ci consegna rivelano un´altra Marilyn rispetto all´immagine che il cinema ha lasciato di lei: un´immagine in cui prevale, al di là di quella di registi come Huston e Hathaway che l´hanno chiamata per ruoli complessi come la sua personalità meritava, la figura di una bellissima donna bionda, all´occorrenza candida, o comunque dotata di un´intelligenza che non disturbi l´intelligenza maschile, una donna affascinante, quella del cinema, affascinante e nata con la funzione di sedurre gli uomini: la donna che ogni uomo sognerebbe di avere soprattutto "quando la moglie è in vacanza".
Questo libro è l´altra faccia della luna, e tuttavia non nega l´immagine-icona della Marilyn cinematografica, quel meraviglioso naturale involucro del quale la natura dotò Marilyn, anzi lo anima di un´energia incredibile. Dentro quel corpo, che in certi momenti della sua vita Marilyn portò come si porta una valigia, viveva l´anima di un´intellettuale e di un poeta che nessuno sospettava.
Come sarebbe stata la storia se Marilyn, invece di avere quella straordinaria bellezza che la rese celebre per il cinema, fosse stata una donna dall´aspetto comune? Avrebbe pubblicato in vita quello che noi leggiamo ora e probabilmente si sarebbe suicidata come si è suicidata Sylvia Plath. E forse si sarebbe detto che come Sylvia Plath si era suicidata perché era troppo sensibile e troppo intelligente, e le persone troppo sensibili e troppo intelligenti soffrono di più delle persone poco sensibili e poco intelligenti e tendenzialmente si suicidano (questo lo sostengono gli psichiatri e le statistiche). Se le persone scarsamente sensibili e intelligenti tendono a far del male agli altri, le persone troppo sensibili e troppo intelligenti tendono a fare del male a se stesse: chi è troppo sensibile e intelligente conosce i rischi che comporta la complessità di ciò che la vita sceglie per noi o ci consente di scegliere, è consapevole della pluralità di cui siamo fatti non solo con una natura doppia, ma tripla, quadrupla, con le mille ipotesi dell´esistenza.
Questo è il grande problema di coloro che sentono troppo e capiscono troppo: che potremmo essere tante cose, ma la vita è una sola e ci obbliga a essere solo una cosa, quella che gli altri pensano che noi siamo.
***
Idolo nel senso etimologico della parola (greco eidolon, il doppio "aereo" di un vero corpo), Marilyn sembra fuori da se stessa, o accanto a se stessa, come se avesse un´aura a lei identica ma imprendibile, e lei coincidesse più con quest´aura che con il suo corpo.
Una donna di una carnalità così gioiosa, con un doppio fatto d´aria per la malinconia. È mai possibile?
Siamo sulla spiaggia di Long Island. È il 1949, e André de Dienes la sta fotografando. È la fine della seduta fotografica, Marilyn per tutto il pomeriggio ha prestato il suo corpo all´obiettivo, ora stanno parlando, come si può parlare sulla spiaggia: ipotesi, sciocchezze, cose astruse, altre vite possibili dopo questa vita terrena. Tutti noi, lo ricordiamo, una volta abbiamo parlato di cose così, d´estate, sulla spiaggia, cose tipo reincarnazioni ed altre metafisiche tascabili. All´improvviso Marilyn ha un´idea. È allo stesso tempo una premonizione e una inconsapevole presa di coscienza, come può succedere solo a coloro che riescono a vedersi dal di fuori. Sibilla di se stessa, Marilyn si vede come farfalla: «Un giorno, mentre la stavo fotografando, ci avventurammo in una lunga discussione sulla reincarnazione. Eravamo all´aperto, sotto un bel cielo dove correvano le nuvole. Marilyn era contenta e rideva. Mi confessò che nella sua prossima vita avrebbe voluto essere una farfalla. Inseguendo le nuvole le dissi: "Guarda, Norma Jeane, intorno a noi c´è una forma di reincarnazione palese. Una buona parte del nostro corpo è fatta di acqua. Quando moriamo, quest´acqua evapora e si trasforma in nuvole. Le nuvole diventano pioggia e la pioggia fertilizza la terra, dove crescono le piante che gli animali e gli uomini mangeranno. È così che il ciclo della vita si ripete di continuo". Marilyn mi rispose: "Vuoi che diventi una nuvola? E allora fotografala!". Spalancando le braccia mi corse incontro, il viso rivolto al cielo, i capelli al vento...». (André de Dienes, Marilyn, Taschen, 2004).
Marilyn non è solo un mito o un´icona (pare che l´immagine del suo volto sia conosciuta nel mondo quanto La Gioconda di Leonardo). Forse, mentre André de Dienes la sta fotografando Marilyn ha visto la propria "essenza", e ha pensato di offrirla all´obiettivo. Ma l´aura non può restare impressa nella pellicola, sarebbe come fotografare una cefalea – e infatti André de Dienes cercherà di fare un montaggio infilando Marilyn fra le nuvole.
Marilyn non lo sa, ma il suo è già un commiato, quasi una psicoanalisi "selvaggia" di se stessa, il desiderio di staccarsi dalla vita corporea per volare come farfalla verso il suo Nonsodove. Sta guardando il suo Phantasma. (...)
© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano
© Antonio Tabucchi 2010