venerdì 8 ottobre 2010

Apcom e Virgilio Notizie 7.10.10
Editoria/ Asino d'oro e Stroemfeld pubblicano Fagioli in tedesco
L'edizione per la Germania verrà presentata a marzo 2011 a Lipsia
Milano, 7 ott. (Apcom) - La casa editrice Asino d'oro e l'editore Stroemfeld pubblicano un'edizione in tedesco di "Istinto di morte e conoscenza", opera prima dello psichiatra Massimo Fagioli. La casa editrice romana presente alla "Buchmesse" del libro di Francoforte, presenterà il libro di Fagioli alla fiera di Lipsia, che si terrà il marzo prossimo.
Dal 2009 a oggi l'Asino d'Oro ha pubblicato libri sul tema della bioetica come "Ru 486, non tutte le streghe sono state bruciate" e "La pillola del giorno dopo" di Carlo Flamigni, altri di tema filosofico-psicologico come l'identità umana" di Livia Profeti o "Il ritorno di Lilith" di Joumana Haddad. Entro la fine del 2010 è prevista l'uscita di "Chiesa e Pedofilia", inchiesta del giornalista Federico Tulli. Nel 2011 verranno inaugurate le collane di psichiatria, letteratura,cultura araba e una di saggistica cinese intitolata "Cina".

Adnkronos 7.10.10
Fiera Francoforte: In Germania L’Asino d’oro con “Istinto di morte e conoscenza”: L’opera di Massimo Fagioli esce a Marzo 2011


Francoforte, 7 ott. (Adnkronos) - La casa editrice romana l'Asino d'oro approda alla Fiera del libro di Francoforte con undici titoli pubblicati nell'ultimo anno e mezzo. E annuncia l'uscita in Germania, nei primi mesi del nuovo anno, con lo storico editore Stroemfeld, della traduzione in lingua tedesca di 'Istinto di morte e conoscenza', prima e fondamentale opera di Massimo Fagioli. Il volume verra' presentato nel marzo 2011 alla Fiera di Lipsia. Nel 2011, inoltre, L'Asino d'oro inaugurera' una nuova collana di letteratura ed una nuova collana di psichiatria.
La giovane casa editrice fondata a Roma nel 2009, che deve il suo nome alle 'Metamorfosi' di Apuleio del II secolo d. C., presenta come asse portante i libri di dello psichiatra dell'Analisi Collettiva Massimo Fagioli, ai quali si affiancano nel catalogo un'ampia collana di saggistica (storia, politica, societa'), una collana di poesia letteratura e saggistica cinese, intitolata ''Cina'' ed un'altra dedicata alla cultura araba.
'Istinto di morte e conoscenza', scritto dallo psichiatra romano quaranta anni fa e pubblicato in una nuova edizione italiana da L'Asino d'oro nel 2010, contiene i fondamenti della teoria della nascita, nota ormai a livello internazionale ed espressione di un nuovo movimento culturale, scientifico e umanistico. Oltre ai nuovi libro di Fagioli ('Fantasia di sparizione', 'Left 2006' e 'Left 2007'), dal marzo 2009 ad oggi, L'Asino d'oro ha gia' pubblicato: 'Il ritorno di Lilith' di Joumana Haddad, 'Lombardi e il Fenicottero' di Carlo Patrignani, 'L'identita' umana' di Livia Profeti, 'RU 486, non tutte le streghe sono state bruciate' e 'La pillola del giorno dopo' di Carlo Flamigni e Corrado Melega, 'La rosa e la peonia' di Valentina Pedone, 'Italia a lume di candela' di Marzio Bellacci.

Agi 7.10.10
Buchmesse: L’Asino d’oro, “Istinto di morte e conoscenza in tedesco


Roma, 7 ott. - 'Istinto di morte e conoscenza' l'opera fondamentale dello psichiatra Massimo Fagioli uscira' anche in Germania, quindi in tedesco, per l'editore Stroemfeld: e verra' presentato alla Fiera di Lipsia di marzo 2011. Lo si legge in una nota della casa editrice 'L'Asino d'oro' - undici i titoli pubblicati nell'ultimo anno e mezzo - presente alla Buchmesse di Francoforte e che di recente ha ristampato Istinto in una nuova edizione a 40 anni da quando e' stato scritto. Nel 2010 la casa editrice, fondata nel 2009 da Matteo Fago e Lorenzo Fagioli, prevede una nuova collana di letteratura ed un'altra di psichiatria. "L'asse portante - precisa la nota della casa editrice italiana, che deve il suo nome alle Metamorfosi di Apuleio, romanzo del II secolo d. C., che a sua volta contiene la favola di 'Amore e Psiche' - sono i libri dello psichiatra dell'Analisi Collettiva Massimo Fagioli, ai quali si affiancano nel catalogo un'ampia collana di saggistica (storia, politica, societa'), una collana di poesia letteratura e saggistica cinese, intitolata "Cina" ed un'altra dedicata alla cultura araba. "Istinto di morte e conoscenza", che reca in effige sulla copertina rossa l'immagine di "Amore e Psiche", contiene i fondamenti della teoria della nascita, nota ormai a livello internazionale ed espressione di un nuovo movimento culturale, scientifico e umanistico. Oltre ai nuovi libri del professore Fagioli ("Fantasia di sparizione", "Left 2006" e "Left 2007"), dal marzo 2009 ad oggi, L'Asino d'oro - prosegue la nota - ha gia' pubblicato: "Il ritorno di Lilith" di Joumana Haddad, "Lombardi e il Fenicottero" di Carlo Patrignani, "L'identita' umana" di Livia Profeti, "RU 486, non tutte le streghe sono state bruciate" e "La pillola del giorno dopo" di Carlo Flamigni e Corrado Melega, "La rosa e la peonia" di Valentina Pedone, "Italia a lume di candela" di Marzio Bellacci. Entro la fine del 2010, e' prevista l'uscita di "Chiesa e Pedofilia", sconvolgente saggio- inchiesta del giornalista Federico Tulli e una raccolta delle Storie di Amore e Psiche, sull'origine e diffusione della favola "in ogni parte del mondo", dall'India al Mediterraneo, fino ai mari del Nord, di Annamaria Zesi". In fase di pubblicazione, conclude la nota, "L'Asino d'oro ha una serie di biografie parallele tra figure di letterati, pensatori e artisti vissuti nella stessa epoca (Dante e Cavalcanti, di Noemi Ghetti; Caravaggio e Giordano Bruno, di Annamaria Panzera), la cui vita ed opera hanno avuto sviluppi e fortuna completamente diversi".


l’Unità 8.10.10
Cortei degli studenti in sessanta città italiane, con loro anche i ricercatori delle università
Ddl Gelmini in aula alla Camera il 14 ottobre. Non c’è copertura finanziaria per la riforma
In piazza per difendere scuola e atenei pubblici
Le manifestazioni indette per difendere il diritto allo studio e all’offerta formativa. Pantaleo (Cgil): «Lo studio sta diventando un diritto per pochi, il sistema dell’istruzione al centro del modello per uscire dalla crisi».
di Iolanda Bufalini


Macerie: è quel che resta della scuola pubblica dopo i tagli che hanno riportato il numero degli studenti per aula a cifre da dopoguerra, abolito laboratori anche nei professionali e la possibilità di studiare due lingue, cancellato l’informatica e ridotto le ore di italiano. Caschetti gialli in testa, dunque, gli studenti delle superiori saranno oggi in 80 cortei annunciati dall’Uds, nelle strade e nelle piazze di 60 città italiane. Ma non saranno soli. Ci saranno anche gli universitari, perché il disegno di legge del ministro Gelmini, in discussione alla Camera, mina anziché riformare le fondamenta dell’università pubblica. l’Unione degli universitari ha lanciato sul sito costruttori di sapere (costruttoridisapere.it) una foto-petizione: 1600 fotografie con caschetto giallo in testa. Anche Roberto Saviano raccontano gli studenti dell’Udu di Pavia ha solidarizzato, accettando una maglietta con la scritta «costruttori di sapere», dopo una conferenza sulla lotta alle mafie.
Insieme a ragazze e ragazzi che hanno coniato lo slogan «chi apre una scuola chiude una prigione», ci saranno i sindacati e la rete dei ricercatori e dei precari delle università.
Sciopera Unicobas mentre l’indicazione della Flc-Cgil, è di scioperare alla prima ora (all’ultima nei turni pomeridiani o serali). «Saremo in tanti alle manifestazioni studentesche», spiega il segretario Domenico Pantaleo, perché saranno tanti «i precari licenziati, i ricercatori, le rappresentanze delle Rsu». Quella di oggi, secondo il sindacalista, «è solo una prima tappa di una mobilitazione che non deve spegnersi con un unico grande fuoco». Mobilitazione che vedrà un altro momento importante il 14 ottobre (e un altro sciopero di un’ora), quando alla Camera si discuterà il Ddl Gelmini. «Il baratto accettato dai rettori sostiene Pantaleo e scandaloso, si sono accontentati di briciole, anzi di promesse vuote». Finanziamenti, superamento della precarietà e diritto allo studio sono gli obiettivi della mobilitazione nelle università. Offerta formativa che «è sempre più povera, particolarmente nel Mezzogiorno» e lavoro per «le migliaia di precari licenziati», gli obiettivi per la scuola. E poi il pericolo che accomuna i diversi gradi: «la privatizzazione del sistema dell’apprendimento, che sta diventando un diritto per pochi». È, sostiene Pantaleo, «un arretramento culturale simboleggiato dalla farsa degli sponsor privati, leghisti a Adro, da supermercato nella provincia Andria Trani Barletta».
14 OTTOBRE
L’assenza di risorse nella riforma dell’università ha avuto, ieri, la prova del nove in commissione cultura alla Camera. Nella discussione alcuni emendamenti delle opposizioni sono stati accolti ma «nulla di sostanziale», precisa Manuela Ghizzoni, capogruppo Pd. L’unico emendamento presentato dalla maggioranza per 1500 concorsi ad associato, «meno di un terzo sostiene Giovanni Bachelet del necessario», non ha copertura finanziaria, la commissione bilancio si pronuncerà mercoledì. Riformulato, su indicazione dell’opposizione, l’articolo che avrebbe consentito ai rettori di restare in carica fino a 78 anni, «una vera gerontocrazia», secondo Manuela Ghizzoni.
Il Ddl Gelmini andrà, dunque, alla discussione in Assemblea, immutato nei punti sostanziali del centralismo e del reclutamento dei docenti. La maggioranza (compresa la componente Fli che chiede il ripristino degli scatti di anzianità), chiederà probabilmente alla conferenza dei capigruppo, lunedì, di anticipare la discussione prevista per il 14. Ma, a parte obiezioni di tipo regolamentare, sostiene Manuela Ghizzoni che «è giusto giocare a carte scoperte», sapendo, cioè, «cosa si prevede nella sessione di Bilancio per la riforma universitaria, a cominciare dal maltolto, un milirado e mezzo di tagli».


Repubblica 8.10.10
"Bersani più adatto di Vendola per sfidare Silvio alle elezioni"     


In un sondaggio di Ipr Marketing viene valutata la fiducia nei leader che possono sfidare Silvio Berlusconi. Al primo posto si piazza il segretario del Pd Pier Luigi Bersani con 47 punti, seguito da Nichi Vendola (45). È stato chiesto un giudizio su Montezemolo e Profumo. Il presidente Ferrari è al terzo posto, dietro di lui Gianfranco Fini. Un risultato simile emerge anche dallo studio sul profilo d´immagine: Bersani è sempre avanti, alle sue spalle Vendola e Montezemolo.


Repubblica 8.10.10
Pre-intesa sulla legge elettorale Fini, Bersani e Casini accelerano
Ma è già lite coi fan dell´uninominale. Schifani cauto
di Giovanna Casadio


ROMA - Cancellazione o modifica del premio di maggioranza. Soglia di sbarramento. Nuovo rapporto tra eletto e elettore attraverso i collegi uninominali o ripristinando le preferenze. La pre-intesa tra Bersani, Casini e Fini sulla legge elettorale c´è già, anche se per ora sono stati fissati solo i principi-base e su molte questioni - come l´indicazione del premier - la distanza tra democratici e centristi resta. Ci sono stati due incontri tra i leader e altrettanti tra gli "ambasciatori" per giungere a un "modello" elettorale di massima. Fini ribadisce che la riforma elettorale è indispensabile: «È un´eresia dire che la democrazia è restituire all´elettore la possibilità di scegliere i suoi rappresentanti? Ho votato questa legge, ho fatto autocritica. D´altronde se chi l´ha formulata la chiama Porcellum un motivo ci sarà». Insomma, discutere di legge elettorale «non è una provocazione, né un tentativo di minare una solida maggioranza ma un elemento di discussione che in tanti, anche nel Pdl, dovrebbero fare».
Frena invece il presidente del Senato, Renato Schifani sostenendo che una riforma della legge elettorale va vista «all´interno di un pacchetto complessivo di riforme del funzionamento del nostro paese». Anche perché, ragiona la seconda carica dello Stato, «se si dovesse passare al Senato federale, non v´è dubbio che occorrerebbe approvare una legge elettorale diversa rispetto a quella della Camera che dà la fiducia al premier». Comunque, a Palazzo Madama in commissione Affari costituzionali l´iter per la legge elettorale è già cominciato. Anche se a Montecitorio Pd, Udc, Fli, Idv e Api reclamano di potersene occupare. Chi la spunterà? Difficilmente la Camera. Schifani minimizza: «Sono fattori procedurali che valuteremo. Col presidente Fini mi sento quotidianamente. Quindi sicuramente non sarà necessario un incontro formale».
Nella Lega l´unico spiraglio al cambiamento della legge viene dal ministro Roberto Calderoli, l´ideatore del Porcellum, ma solo per affermare che, una volta approvato il Senato federale, allora «la riforma elettorale sarà obbligata». Intanto si costituisce ieri formalmente la "lega per l´uninominale" maggioritario. A darle vita un gruppo bipartisan che raccoglie i democratici più convinti del bipolarismo e del maggioritario (Ceccanti, Ichino, Chiti, Gentiloni, Marino, Verini), Emma Bonino, Marco Pannella e i radicali, i finiani Urso, Viespoli, Baldassarri (presso il suo centro studi avrà sede il comitato), Germontani. I fan dell´uninominale pensano anche a un referendum di consultazione per capire verso quale riforma si orienterebbero gli elettori. Evidente che la "lega per l´uninominale" va nel senso opposto rispetto ai tentativi di intesa che si stanno facendo tra i leader di Pd, Fli e Udc. Dario Franceschini, il capogruppo dei Democratici, parla dello sforzo per tessere un patto e cambiare davvero la legge. Gianclaudio Bressa (che è il "tecnico" del Pd in commissione affari costituzionali alla Camera) non apprezza l´insistenza sull´uninominale: «È il narcisismo della politica italiana: se fai un´azione blindandoti su un modello preciso, è difficile arrivare a un risultato». Il "futurista" Carmelo Briguglio in un´intervista all´Unità, ritiene che dovrebbe essere Berlusconi stesso a dare il via per cambiare la legge elettorale, «se non lo fa, sappia che potrebbe nascere un governo di transizione per farlo». Alla vigilia dell´assemblea nazionale del Pd a Varese (oggi e domani), Walter Veltroni avverte: «Il maggioritario non va messo in discussione».


l’Unità 8.10.10
Intervista a Michael H. Gerdts
«Rom e immigrati? In Europa vogliamo società aperte»
Il nuovo ambasciatore tedesco riflette sui 20 anni dalla riunificazione: «L’integrazione è il tema centrale le spinte localiste non freneranno la corsa europea»
di Roberto Brunelli


Lui c’era, lì a Praga, quando il ministro degli Esteri della Repubblica federale Genscher pronunciò il fatidico discorso dal balcone dell’ambasciata: c’erano migliaia di tedeschi dell’Est accalcati sotto quel balcone, e Genscher disse loro cose fino a quel momento inconcepibili: «Siete liberi». Disse loro che la Ddr aveva ceduto, che aveva dovuto accettare di farli transitare verso l’Ovest. Era il 30 settembre 1989: dopo poche settimane cadde il muro di Berlino e poco più di un anno dopo, il 3 ottobre 1990, la Germania divenne un Paese solo. Oggi Gerdts, all’epoca vice capo gabinetto del ministro, è il nuovo ambasciatore tedesco a Roma. Ruolo che aveva ricoperto già dal 2004 al 2007. Il suo ritorno avviene nel pieno di un ventennale che vede la Germania porsi sempre di più come baricentro politico ed economico dell’Europa.
Signor ambasciatore, grazie ai dati economici e alla sua forza politica, spesso la Germania viene definita un gigante, un gigante oramai soprattutto centro-europeo che guarda a Est... «Quella tedesca è stata un’unificazione nel cuore d’Europa. La Germania è circondata, per la prima volta nella sua storia, solo da Paesi amici: la priorità primaria è quella di contribuire a formare un’Unione europea sempre più stretta. A questa si aggancia l’esigenza di porsi sempre di più come grande soggetto di stabilizzazione nei confronti sia di quei Paesi che ancora devono entrare nell’Unione, sia nella capacità di sviluppare l’amicizia transatlantica e di costruire una partnership sempre più stabile nei confronti della Russia, che è il più grande dei nostri vicini, sia di sapersi confrontare con le potenze emergenti politicamente ed economicamente come la Cina, l’India, anche l’America latina. Il nostro punto di vista, ripeto, è esclusivamente la prospettiva europea, che è l’unica che ci permette di essere incisivi a livello globale». Lo ha detto, qualche sera fa proprio qui a Roma, anche l’ex ministro Genscher: con la riunificazione tedesca i popoli si unirono «con un’unico sentimento». Oggi però vi sono sintomi di crescenti egoismi nazionali e locali... «Vede, in passato, la storia europea è stata caratterizzata da guerre, da conflittualità sulle linee di frontiera. Oggi per la prima volta vi è grande stabilità politica, armonia economica e culturale, sicurezza comune. Lo spazio di questa stabilità si è espansa anche nei confronti dei vicini europei che non sono componenti dell’Unione grazie anche alla nostra politica di buon vicinato. Singoli movimenti o determinate realtà importanti sotto il profilo regionale non incideranno più di tanto».
Qualcuno pensa che ci possa essere il rischio che il gigante tedesco possa diventare troppo ingombrante... «Quella di “gigante” è un’espressione sbagliata. L’Europa è il lavoro comune di quasi 500 milioni di persone, l’euro è la moneta comune di 16 Paesi, per ora, altri ancora intendono entrare nel sistema dell’euro: è una zona monetaria che già di per sé produce stabilità. Quello che vedo è il comune sforzo di uscire insieme dalla crisi economica attraverso la solidarietà degli Stati, attraverso il lavoro comune volto ad impedire che crisi di questo genere possano ripetersi. È questo l’unico modo di essere politicamente ed economicamente un attore centrale di un mondo globalizzato».
Di recente c’è stata la vicenda francese che ha visto al centro le popolazioni rom. Che ruolo intende giocare la Germania in questo tipo di contrapposizioni?
«Il nostro è un Paese con otto milioni di stranieri, circa il 10% della popolazione. Abbiamo un approccio molto aperto nei confronti dei temi dell’immigrazione e dell’integrazione, nonché molta esperienza: basti pensare ai 2,2 milioni di turchi che vivono in Germania. Oggigiorno quello dell’integrazione è il tema centrale in Europa. Anche considerando la sempre minori crescita demografica ed il calo delle nascite, pensiamo che gli stranieri rappresentino una realtà imprescindibile se vogliamo mantenere i nostri standard di benessere: le nostre società devono essere aperte per le persone che condividono i nostri valori e che vogliono lavorare insieme a noi per un futuro migliore. Riteniamo che una concezione moderna di mobilità non possa prescindere dall’arricchimento di persone derivanti da altre realtà culturali».
Quant’è cambiata la Germania in questi ultimi vent’anni? «La Germania è stata capace di prendere in mano degli importanti processi, e di liberarsi anche dalle ferite psicologiche legate alla divisione del paese. Abbiamo assistito alla crescita comune delle due Germanie, ci siamo impegnati a far sviluppare la Germania dell’est, la cui economia era stata letteralmente distrutta dal socialismo reale. Le persone sono davvero “cresciute insieme” in questi anni. Oggi siamo orgogliosi di una nuova normalità che la Germania ha saputo riconquistare. Un Paese che in questi anni ha dimostrato un grande dinamismo nelle riforme, nel mercato del lavoro, nelle sue strutture sociali. Il simbolo più bello di questo dinamismo è Berlino, una realtà pulsante che rappresenta un’indicazione importante per il futuro».


il Fatto 8.10.10
Rom in Francia: schedati su base etnica
Rivelazione imbarazzante alla vigilia dell’incontro di Sarkozy con il Papa
di Alessandro Oppes


Non si poteva presentare con un biglietto da visita peggiore. Nicolas Sarkozy arriva oggi in Vaticano per un’udienza con papa Benedetto XVI sulla scia dell’ultima polemica provocata dalla rivelazione del quotidiano Le Monde: la gendarmeria francese utilizza un database “illegale e clandestino” per colpire i rom e i nomadi. Un file della vergogna battezzato “Mens” (minoranze etniche non sedentarie), costituito presso l’Ufficio centrale per la lotta contro la “delinquenza itinerante”, secondo la denuncia presentata dagli avvocati di quattro associazioni che protestano per la schedatura realizzata in base alle origini razziali ed etniche.
UN NUOVO SCHIAFFO alla credibilità del capo dell’Eliseo proprio nel giorno in cui Sarkozy dovrebbe tentare, attraverso il suo incontro con il Pontefice, una difficile ricucitura con la Chiesa e, quel che più gli sta a cuore, l’elettorato cattolico francese che non ha ancora digerito la politica del pugno di ferro imposta con l’espulsione di massa dei rom dall’agosto scorso. Con l’articolo pubblicato ieri in prima pagina, Le Monde smentisce anche la dichiarazione rilasciata nelle scorse settimane ai microfoni di Rtl dal ministro dell’Interno Brice Hortefeux, secondo il quale “non esistono statistiche su comunità specifiche”.
E mentre da Bruxelles, la polemica commissaria alla Giustizia – la lussemburghese Vivian Reding – ricordava ancora in questi giorni che “il caso non è chiuso” (la Francia ha tempo fino al 15 ottobre per adattarsi alla legislazione europea, in caso contrario potrebbe incorrere nei fulmini della Corte di giustizia), contro l’Eliseo si levano voci critiche sempre più autorevoli. Come quella del grande storico e sociologo Émile Poulat, uno dei maggiori esperti sulla questione religiosa nell’Europa contemporanea. “I rom in Francia? Non sono un grande problema, ma vengono utilizzaticome pretesto per una politica della mano dura”, dice lo studioso al Fatto Quotidiano nella hall di un grande albergo di Barcellona, dove ha partecipato al Meeting internazionale per la pace della Comunità di Sant’Egidio. “Siamo alla politica spettacolo e alla politica elettorale. Del resto, se c’è un problema rom, esistono soluzioni diverse da quella dell’espulsione che, tra l’altro, non è accompagnata da un divieto di ritorno. Il fatto è che in un momento in cui abbiamo più povertà, più scontento e più problemi non risolti, si cerca sempre un capro espiatorio. Si impone la politica muscolosa del governo, pensando che attiri nuovi elettori”.
VITTIME DESIGNATE per sviare l’attenzione in tempo di crisi? Ne è convinto anche il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo: “In altre epoche, furono altri popoli: pensiamo a quel che accadde dopo la crisi del ’29, quando gli ebrei vennero indicati come una delle cause. Gli zingari sono una popolazione che sembra tanto diversa dagli europei, che non ha un nazionalismo, che non sa difendersi. Quale minoranza in Europa sopporta in silenzio come loro? Però noi non possiamo approfittarci del fatto che non sono organizzati. Certe posizioni che stanno emergen-
do sono frutto di una politica gridata e non pensata”. E allora, conta più il pregiudizio esistente nelle nostre società o la politica di alcuni governi? Secondo Impagliazzo, “la cosa più grave è che i politici alimentino il pregiudizio. È una questione centrale per la coscienza europea. Non abbiamo ancora fatto i conti con lo sterminio avvenuto durante il nazismo: su questo restiamo colpevolmente in silenzio. E allora, noi diciamo: come è esistito ed esiste l’antisemitismo, oggi denunciamo l’anti-gitanismo”.
Una soluzione? Intanto fare in modo che si imponga la volontà dell’Unione europea, “che ha leggi molto più avanzate rispetto a quelle nazionali”. Ma anche guardare a casi concreti di integrazione che hanno avuto successo, come quello di Barcellona. Qui negli anni ’60 e ’70 esistevano molti campi nomadi. Poi il Comune decise di costruire un nuovo quartiere, La Mina: 15mila abitanti, molti di loro sono rom. Non un ghetto, ma un esperimento vincente per l’inserimento.


l’Unità 8.10.10
Via libera del premier Netanyahu al progetto di legge caldeggiato dal falco Lieberman
Laburisti contro. L’ira del ministro Barak. Gli arabi-israeliani: quelle sono norme razziste
Israele, nazionalità a chi giura fedeltà allo Stato ebraico
Il premier israeliano ha detto ancora una volta sì alla destra nazionalista che condiziona il suo governo. Ha dato il via libera al progetto di legge sulla nazionalità israeliana. Polemica sul giuramento di fedeltà.
di Umberto De Giovannangeli


Una vittoria della destra religiosa. Uno schiaffo in faccia all'Israele che prova a difendere ciò che resta della laicità statuale. In chiave politica, è il successo del ministro degli Esteri e leader di Yisrael Beitenu (destra nazionalista) Avigdor Lieberman, e l'ennesima debacle del ministro della Difesa e segretario generale del Labour, Ehud Barak. Esulta Avigdor il falco per il progetto di legge del primo ministro Benjamin Netanyahu che obbligherà i candidati alla cittadinanza a prestare giuramento a «Israele, Stato ebraico e democratico». Il progetto, che sarà presentato domenica al Consiglio dei ministri, modifica l'attuale legge sulla cittadinanza e introduce il seguente paragrafo:«Giuro di rispettare le leggi dello Stato d'Israele come Stato ebraico e democratico», riferisce un comunicato dell'ufficio di Netanyahu. L'emendamento è stato proposto dal ministro della Giustizia, Yaakov Neeman.
BUFERA POLITICA
Di segno opposto è la reazione di alcuni ministri laburisti. «Si tratta di una decisione scandalosa e irresponsabile», dichiara a l'Unità il titolare per gli Affari delle minoranze, Avishai Breverman. «Chiedo a Ehud Barak – aggiunge – una riunione urgente del gruppo parlamentare e della direzione del partito per decidere come contrastare questa deriva fondamentalista». A fianco di Braverman si schiera un altro ministro laburista, Yitzhak Herzog, titolare del dicastero del Welfare. «Spero che il sostegno di Netanyahu sia il rimborso a Lieberman, così il primo ministro potrà estendere il congelamento (delle costruzioni) senza rompere la sua coalizione», azzarda un terzo ministro laburista parlando in condizione di anonimato. Ma a gelare le aspettative è il numero due di Yisrael Beiteiu, il ministro della Sicurezza interna, Yitzhak Aharanovitch: «Non c'è stato nessuno scambio – taglia corto Aharanovitch – la nostra posizione sulla moratoria non è cambiata: siamo contrari». Per Ehud Barak è un doppio affronto: Netanyahu ha deciso senza consultare i laburisti, e ora i partiti religiosi e ultranazionalisti cantano vittoria. In serata Barak convoca gli altri ministri del Labour. È una riunione tesissima. C'è chi chiede l'uscita da un Governo «ostaggio dei fondamentalisti». Barak propone di votare contro nella riunione di domenica dell'esecutivo. Ma Netanyahu insiste. E rilancia: «Israele – afferma il primo ministro – è la patria del popolo ebraico. Lo è nella sua essenza, nei suoi simboli, nelle sue feste, nel suo governo e ciò si deve riflettere nella legge sulla cittadinanza». Secondo diversi commentatori in Israele, l'emendamento che dopo il placet del Governo dovrà essere sottoposto al voto della Knesset è rivolto soprattutto contro quei palestinesi che, avendo sposato arabi israeliani, mirano a ottenere la cittadinanza o almeno la residenza permanente nel Paese.
GRIDO D'ALLARME
«Il presente d'Israele è nelle mani di fanatici oltranzisti che stanno smantellando le fondamenta stesse di uno Stato plurale. Lo stravolgimento della legge sulla cittadinanza ne è una riprova», dice a l'Unità Yael Dayan, scrittrice, paladina dei diritti delle donne , più volte parlamentare laburista. «La logica che sottende questa decisione è la stessa che anima i coloni oltranzisti: è la logica del più forte che, come tale, considera l'altro da sé come un'anomalia da emarginare se non come una minaccia da estirpare. Questa logica si fa Stato e crea leggi che ipotecano il futuro d'Israele», aggiunge la figlia dell'eroe della Guerra dei Sei giorni, il generale Moshe Dayan. «Lieberman si muove come fosse il padrone d'Israele. Fosse per lui, noi arabi israeliani saremmo deportati a forza, ci considera razza inferiore, pensa e agisce come un razzista», denuncia il parlamentare arabo-israeliano Ahmed Tibi, raggiunto telefonicamente dall'Unità. E di razzismo parla anche il deputato Mohammed Barakeh, leader del partito Hadash( sinistra comunista, i cui elettori sono in prevalenza arabi) Non si mostra sorpreso Zeev Sternhell, tra i più autorevoli storici israeliani. «Da tempo – ci dice – ho espresso pubblicamente ciò che penso di Lieberman: si tratta dell'uomo politico più pericoloso della storia d'Israele perché rappresenta un insieme di nazionalismo, autoritarismo e mentalità dittatoriale. La realtà ha confermato questo giudizio. E ciò non induce certo all'ottimismo sia per le nostre vicende interne che per il proseguo del negoziato con i palestinesi». A protestare è anche Kadima, il partito centrista guidato da Tzipi Livni.
Durissima è la presa di posizione dell'Associazione per i Diritti Civili in Israele, secondo cui l'emendamento «è' fondamentalmente antidemocratico, discrimina su basi religiose tra aspiranti cittadini e chiede a una minoranza etnica di aderire a un principio al quale si ancora la discriminazione nei suoi confronti».


Repubblica 8.10.10
Cittadinanza, svolta a Gerusalemme si dovrà giurare sullo "Stato ebraico"
Netanyahu cede a Lieberman per salvare i negoziati
di Alberto Stabile

GERUSALEMME - «Niente giuramento di fedeltà, niente cittadinanza». Alla fine, Benyamin Netanyahu è capitolato davanti al discusso slogan lanciato mesi fa dal più scomodo dei suoi alleati di governo, l´ultra conservatore ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, e, domenica prossima, proporrà al Consiglio dei ministri di approvare un emendamento alla Legge sulla cittadinanza che impone agli stranieri che aspirano a diventare cittadini israeliani di giurare fedeltà a Israele in quanto «stato ebraico e democratico». Quest´obbligo, e qui si nasconde l´aspetto discriminante dell´emendamento, si applica ai non ebrei, mentre non vale per quanti chiedono la cittadinanza in base alla Legge del ritorno, vale a dire per gli ebrei.
Il giuramento di fedeltà ad uno stato del quale si voglia acquisire la cittadinanza, di per sé non deve scandalizzare. Basta citare la promessa di fedeltà che viene imposta dagli Stati Uniti e da molti altri paesi democratici. Una promessa molto semplice, del resto, è stata finora richiesta anche in Israele: «Prometto di essere leale allo stato d´Israele e alle sue leggi».
Ma non è parsa sufficiente. L´intento di Lieberman era originariamente quello di costringere tutti i cittadini, e soprattutto gli arabi-israeliani sulla cui lealtà il ministro degli Esteri nutre sospetti e pregiudizi, a proclamare la loro fedeltà allo stato ebraico come precondizione per acquisire i diritti di cittadinanza. Sta di fatto che l´emendamento sulle naturalizzazioni era, ed è, parte di un complessa normativa che ha sollevato le ire della minoranza araba, di buona parte della sinistra e delle organizzazioni israeliane di difesa dei diritti umani.
Come sempre quando si trova davanti ad una questione spinose, Netanyahu ha preso tempo. L´estate scorsa ha persino preparato un suo emendamento, in cui Israele veniva definito «lo stato nazione del popolo ebraico che garantisce piena uguaglianza a tutti i suoi cittadini». Ma ieri il premier ha deciso di dare il via libera al testo formulato dal ministro della Giustizia Neeman, un religioso oltranzista in sintonia con Lieberman.
Perché proprio adesso? Il motivo è semplice, dicono gli avversari di Netanyahu, fra i quali nelle ultime ore si rivedono quei laburisti che pure fanno parte della coalizione di governo. L´emendamento sulla cittadinanza sarebbe la contropartita offerta dal premier a Lieberman in cambio del tacito consenso del ministro degli Esteri al nuovo, temporaneo congelamento degli insediamenti (due mesi) richiesto dagli americani per salvare il negoziato di pace.
Il sì, o "ni" di Lieberman, consentirebbe a Netanyahu di salvaguardare la coalizione e mantenere buoni rapporti con Obama. Al quale Netanyahui avrebbe chiesto, in cambio del mini congelamento, la conferma degli impegni presi da Bush con la lettera a Sharon dell´aprile del 2004, nella quale il presidente americano affermava che un accordo sui confini con i palestinesi avrebbe dovuto tener conto dei mutamenti demografici intervenuti nei territori, vale a dire i grandi insediamenti ebraici che dovrebbero essere assorbiti da Israele. Principio che Obama finora non ha mostrato di condividere.

il Fatto 8.10.10
E il governo lanciò il master “W Hitler”
Il professor Moffa nega la Shoah nel corso presentato a Palazzo Chigi
di Giampiero Calapà


Un master dedicato a “Enrico Mattei” e alle politiche dell’Eni in Medio Oriente, in realtà libero sfogo del negazionismo (della negazione della Shoah: 6 milioni di ebrei sterminati dal nazifascismo) professato da Claudio Moffa dell’Università di Teramo e presentato in pompa magna addirittura a Palazzo Chigi, sede del governo italiano.
Il caso scoppia ieri. Repubblica racconta una lezione del 25 settembre scorso – finita online su YouTube – in cui il professore si spinge a giustificare il capo del nazismo Adolf Hitler: “Non c’è alcun documento di Hitler che dicesse di sterminare tutti gli ebrei”. Moffa, però, non è nuovo a episodi di questo tipo, tanto che nel 2007 l’Ateneo di Teramo chiuse le porte al master “Enrico Mattei”, per prendere le distanze dall’invito in aula a uno dei capi del “negazionismo” mondiale, Robert Faurisson, docente di Letteratura (non di storia). Nonostante questo precedente, grande come una trave in un occhio, l’Università di Teramo e la Facoltà di Scienze politiche – che nel frattempo hanno cambiato rettore e preside – ha riaccolto il master di Moffa.
Le scuse del ministro
MA IL GOVERNO, soprattutto, ha ospitato nella “sala polifunzionale” di Palazzo Chigi la presentazione del master, il 6 maggio scorso, alla presenza di Moffa, del rettore di Teramo Rita Tranquilli Leali e dello storico Franco Cardini. Tardiva, quindi, la condanna del ministro Maria Stella Gelmini, in un intervento di ieri al Tg5: “Le parole pronunciate sono inaccettabili, offendono profondamente la memoria degli ebrei morti nelle camere a gas. Non è possibile che nelle università italiane insegnino professori che seminano odio”. Già, perché in quella lezione del 25 settembre il professor Moffa, cita proprio il docente francese di letteratura Faurisson: “L’edificio che viene mostrato ad Auschwitz è un edificio che non ha nessuna delle caratteristiche tecniche atte ad essere stato una camera a gas. Il Zyklon B veniva usato per disinfestare gli abiti dei reclusi”.
La posizione della Facoltà
IL PRESIDE di Scienze politiche, Enrico Del Colle (succeduto a Adolfo Pepe che si spese contro il master di Moffa nel 2007) si giustifica: “Sul tema e ovviamente non sulla persona, la posizione dell’Università è chiara, ed è la stessa di tre anni fa quando già si era pronunciata ufficialmente in una occasione simile”. Appunto. Peccato che il master sia poi ricominciato. Il 13 ottobre è in calendario un Consiglio di Facoltà, ma il preside precisa subito che “non è organo competente per simili azioni”, in riferimento a un possibile provvedimento contro il professor Moffa, ma almeno ammette “una posizione di disagio gravissimo”. Nel 2007 in seguito al caso Fourisson, contro Moffa presero posizione numerosi storici dell’Ateneo di Teramo: “Abbiamo lavorato e continueremo a lavorare, nella ricerca e nella didattica, sui temi dell’antisemitismo, dei sistemi concentrazionari, della Shoah e della trasmissione della sua memoria”. Alla fine Faurisson non parlò in aula, l’università quel giorno venne addirittura chiusa dal rettore di allora, Mauro Mattioli. In quei giorni il ministro dell’Istruzione era Fabio Mussi (Sinistra e libertà): “All’Università di Teramo un professore, organizza un corso per negare l’Olocausto, presentandolo a Palazzo Chigi nel maggio scorso. Ci aveva già provato nel 2007, invitando a tenere una lezione il noto negazionista Faurisson. Il ministro di allora sollecitò e sostenne il rettore di allora, che giustamente la impedì, chiudendo l’ateneo abruzzese. Qui non c’entra niente la libertà d’espressione: c’entra l’odio razziale e l’apologia del nazismo, che fino a prova contraria sono reati. Quanto ci metterà il ministro Gelmini a capire che è un suo dovere intervenire a nome del governo con una chiara posizione?”.

Avvenire 8.10.10
Emilia ’45, caccia al prete
Nell’opera monumentale dello storico Sandro Spreafico, dedicata alle vicende della Chiesa reggiana tra fascismo e dopoguerra, la descrizione dell’impressionante tributo di sangue versato dai cattolici
di Edoardo Tincani


Da tempo le pagine di Avvenire ospitano un interessante dibattito sul ruolo della Chiesa – ministri e popolo di Dio – nei sanguinosi tornanti della prima metà del XX secolo. Un contributo fondamentale viene ora dall’opera dello storico Sandro Spreafico, I cattolici reggiani dallo Stato totalitario alla democrazia. La Resistenza come problema. La monumentale antologia, composta da cinque volumi in sei tomi – quasi seimila pagine di grande formato – e recentemente completata con l’uscita della «Guida alla consultazione», sarà presentata questo sabato, alle ore 16, all’Hotel Posta di Reggio Emilia (piazza del Monte 2), in un incontro pubblico promosso dall’Istituto per la storia della Resistenza e della Società contemporanea (Istoreco) insieme ad altre associazioni civili ed ecclesiali.
Una città di provincia come Reggio Emilia si conferma così osservatorio affatto centrale per chi voglia affrontare in tutte le sue sfaccettature il complesso rapporto tra la coscienza religiosa di un popolo e le lacerazioni del trentennio 1919-1950.
Nell’analisi di Spreafico, capace di accostare centinaia di testimonianze, diari e tavole fotografiche a riflessioni sofferte sulle contrastanti passioni che portarono al rovesciamento del fascismo e alla nascita della Democrazia Cristiana, storia patria e locale s’intrecciano.
Sul finire del secondo conflitto mondiale e nell’immediato dopoguerra il clero reggiano pagò un tributo di sangue altissimo e diversificato, con sacerdoti uccisi dai nazifascisti – don Pasquino Borghi, fucilato a Reggio Emilia il 30 gennaio 1944, don Battista Pigozzi, fucilato dai tedeschi a Cervarolo con 23 suoi parrocchiani il 20 marzo 1944, e don Giuseppe Donadelli, parroco di Vallisnera, assassinato dai fascisti il 2 luglio 1944 – e altri soppressi dai partigiani – don Luigi Manfredi, parroco di Budrio di Correggio, che fu ucciso il 14 dicembre 1944 perché erroneamente ritenuto implicato nella cattura di don Borghi, don Dante Mattioli di Cogruzzo, 11 aprile 1945, e don Carlo Terenziani, parroco di Ca’ de’ Caroli, 29 aprile 1945. Altri presbiteri caddero per mano comunista 'semplicemente' a causa della loro condanna del giustizialismo sanguinario.
Rientrano in questa casistica l’agguato mortale a don Umberto Pessina, parroco di San Martino Piccolo di Correggio, 18 giugno 1946, e i martirii in odio alla fede di don Giuseppe Iemmi, curato di Felina, 19 aprile 1945, e del seminarista quattordicenne Rolando Rivi, ucciso a Piane di Monchio il 13 aprile 1945, per il quale è a buon punto la causa di beatificazione. E in contesti non dissimili persero tragicamente la vita anche i parroci di Garfagnolo di Castelnovo Monti don Luigi Ilariucci, 19 agosto 1944, di Nismozza don Sperindio Bolognesi, a causa di un ordigno il 25 ottobre 1944, e di Grassano don Aldemiro Corsi, 22 novembre 1944.
La lente d’ingrandimento di Spreafico risale però più indietro nel tempo e indaga le cause di quei delitti con grande sforzo di obiettività e con spirito costruttivo, nel tentativo di portare in superficie una memoria il più possibile acclarata e condivisibile, 65 anni dopo la Liberazione. Grazie all’abbondante documentazione pubblicata, raccolta in circa trent’anni di ricerche attraverso la consultazione di decine di archivi parrocchiali e l’intervista a centinaia di protagonisti minori sopravvissuti, lo storico reggiano si spinge oltre il martirologio ufficiale della Chiesa e la doverosa condanna di ogni efferatezza per offrire un panorama veramente popolare e diffuso della Resistenza in territorio emiliano.
Spiccano infatti, nella storia dei cattolici reggiani, elementi di singolarità che fanno ben risaltare le dinamiche resistenziali. Le pagine dell’antologia mostrano la tempra di un cattolicesimo reggiano minoritario che, anziché deprimersi per l’opposizione delle forze antagoniste, reagisce con una vivacità orgogliosa della propria fede, incarnata in una sequela di umili membri e dirigenti di opere cattoliche. La lettura critica si sofferma sulle dialettiche interne alle forze che si confrontarono, dalla minoranza di clero filofascista che pensava a una 'cattolicizzazione' del fascismo dall’interno, alle spinte laiche dell’intransigentismo, con l’Azione Cattolica impegnata a 'salvare' la fede dal socialismo anticlericale e dal massimalismo comunista.
Il principale, vasto nucleo tematico dell’opera consiste proprio nel raccontare le premesse alla scelta resistenziale da parte dei cattolici, la maturazione dapprima di un antifascismo critico e 'coscienziale' e poi militante, fino all’opzione armata, la nascita della Dc clandestina, il rapporto fra i partigiani cristiani e quelli comunisti, in maggior numero e meglio organizzati, sull’asse tracciato da Domenico Piani, Giuseppe Dossetti e Pasquale Marconi. A partire dal comandante delle 'Fiamme Verdi' don Domenico Orlandini, 'Carlo', i nomi di alcuni resistenti cattolici sono noti: Luigi Ferrari, don Angelo Cocconcelli, Ettore Barchi, Lina Cecchini.
Altre storie si sono aggiunte col tempo, con un ritardo a volte sorprendentemente cospicuo, se si pensa – puntualizza Spreafico – che solo a distanza di decenni sono stati pubblicati i memoriali di internati cattolici in Germania, come Alberto Codazzi e Giorgio Gregori, o che ne restano tuttora di inediti, come quello di Mirco Piccinini.
Ancora, solo per citare un paio di altri casi tra i più clamorosi, i quaderni di Deblin-Thorn, scritti di getto nei lager dal medico cattolico Giorgio Emilio Manenti, sono rimasti sigillati per sessant’anni. E il diario di Dante Zobbi 'Rinaldo', collaboratore di don Pasquino Borghi e uno dei primi uomini fidati di 'Carlo', ha atteso per mezzo secolo l’arrivo di uno storico.
I partigiani cattolici diedero un contributo determinante alla 'tenuta' del movimento resistenziale, e non è un caso che 60 di loro figurino nella prima Dc 'ufficiale' all’indomani della Liberazione.
L’opera di Spreafico racconta la fatica di mantenere la lotta armata entro binari minimi di 'legalità', le stragi e le vendette del giustizialismo più sanguinario, i contenziosi causati da 'incidenti' e incomprensioni tanto tra militanti delle Fiamme Verdi e Garibaldini, quanto all’interno delle due formazioni combattenti.
Ecco spiegata la Resistenza come 'problema'. Tra gli estremi di un’apologetica inamovibile e di un frettoloso revisionismo, Spreafico concede l’ultima parola ai morti di tutti gli schieramenti, tanto che se il suo fosse un romanzo, parafrasando Giampaolo Pansa, potrebbe dunque intitolarsi «Il sangue di tutti». La sua speranza, più che mai 'cattolica', è che la ricerca storica possa contribuire ad una grande catarsi collettiva, capace di vincere una volta per sempre i risorgenti rancori. E così lasciare, far 'resistere', solo la memoria dei nostri avi caduti, anche per noi.
Trent’anni di ricerche attraverso la consultazione di decine di archivi parrocchiali e l’intervista a centinaia di protagonisti minori sopravvissuti, andando oltre il martirologio ufficiale Da don Pasquino Borghi e don Battista Pigozzi, fucilati dai nazifascisti, al seminarista quattordicenne Rolando Rivi e don Giuseppe Iemmi, uccisi dai comunisti in odio alla fede


l’Unità 8.10.10
Una giornata tra autorità e incontri con esponenti dell’economia
Napolitano: «Cina e Italia hanno eccellenti relazioni»
Il premier cinese a Roma Accordi per 2,25 miliardi
Prima tappa al Quirinale, poi incontri con le altre alte cariche dello stato. La giornata romana del primo ministro della Repubblica popolare cinese è stata segnata da accordi commerciali per più di due miliardi.
di Marcella Ciarnelli


E’ stata una giornata intensa quella trascorsa a Roma dal primo ministro della Repubblica popolare Cinese, Wen Jiabao, caratterizzata da incontri politici ai massimi livelli e una serie di accordi commerciali per oltre due miliardi di euro. Il primo a ricevere il premier cinese è stato il presidente della Repubblica, atteso a Oporto per la riunione del Cotec, ma che non ha voluto mancare l’incontro col rappresentante di un Paese con cui «l’Italia ha eccellenti relazioni». Napolitano si recherà in Cina nell’ultima settimana di ottobre in visita di Stato. Nel corso del colloquio è stato sottolineato che «l’apertura dell’anno della Cina in Italia costituisce una importante occasione di rafforzamento delle relazioni bilaterali »cominciate quaranta anni fa. Ma si è parlato anche di Europa e dell’importanza che l’Unione, nel suo complesso, diventi un interlocutore del colosso cinese. «L’Italia è in prima fila tra i Paesi dell’Ue nel promuovere energicamente le relazioni Cina-Ue» ha detto Wen Jiabao.
LANTERNE ROSSE
L’incontro con il presidente della Camera, Gianfranco Fini, poi quello con Silvio Berlusconi per firmare una serie di accordi che segnano una sempre più stretta collaborazione economica tra i due Paesi. Per raggiungere le sedi degli incontri, la successiva conferenza stampa a Villa Madama e il Teatro dell’Opera per l’apertura ufficiale dell’anno della cultura con un concerto, il premier cinese ha attraversato una città addobbata per l’occasione con lanterne rosse. Ed anche il Colosseo è stato coinvolto nella scenografia. C’è stato chi non ha gradito la disponibilità. La questione dei diritti civili in quel grande paese è ancora aperta. «Ne parleremo tenendo presente che la Cina è un grande paese» ha detto il ministro Frattini. La Cina è nell’elenco dei 43 Paesi a cui l’Unione europea, con un documento votato a stragrande maggioranza, ha chiesto una moratoria sulla pena di morte. Oggi al dissidente Liu Xiaobo potrebbe essere assegnato il premio Nobel per la pace.
Ma la visita del premier ha avuto più che altro un importante significato economico nell’obbiettivo di portare l’interscambio tra Italia e Cina dagli attuali 40 milioni a 100 miliardi di dollari in cinque anni pari a settantadue miliardi di euro. I rapporti «eccellenti» hanno portato a sottoscrivere accordi per 2,25 miliardi di euro. Porti, alta velocità ferroviaria, aeroporti, autostrade. Ma anche lo sviluppo delle piccole e medie imprese e delle telecomunicazioni. In questo ambito Tiscali e la cinese Zte, leader mondiale, hanno firmato un accordo per accelerare la diffusione della banda ultra larga in Italia. Ogni ramo di impresa è stato coinvolto. Gli imprenditori italiani sono «i Marco Polo di oggi». Definizione di Berlusconi che prevede a breve il sorpasso della Cina sugli Usa.


il Fatto 8.10.10
Anatomia del paese dei record
“Una popolazione immensa, una crescita squilibrata”: parola di Wen Jiabao
di Giuseppe Cassini


Si può scattare un’istantanea della Cina moderna? È difficile, ma ci si può almeno provare. La Cina è un quinto della popolazione mondiale e la seconda potenza economica del pianeta, avendo ora superato anche il Giappone. Al ritmo attuale di crescita sarà quindi normale che, di ogni cinque prodotti fabbricati nel mondo, uno sia Made in China. E la Cina ci riuscirà, grazie a un yuan sottovalutato come a suo tempo faceva l’Italia per conquistare mercati esteri a beneficio delle proprie infant industries. La Cina è il paese dove la nascita di una femmina era accolta come una disgrazia, fino all’arrivo del comunismo. Da quando Mao definì la donna “l’altra metà del cielo”, la liberazione femminile non si è più fermata: oggi sono donne i due terzi dei dirigenti statali, un terzo dei top executives delle società private e un quinto dei parlamentari. Né gli Stati Uniti né l’Europa (salvo la Scandinavia) possono vantare queste percentuali. La Cina è il paese che un tempo mandava migliaia di giovani a studiare in università straniere. Oggi il flusso di stranieri che vanno a studiare in Cina supera quello dei cinesi che studiano all’estero. La Cina è il paese che in un ventennio ha costruito più infrastrutture e manufatti del resto del mondo: le reti metropolitane più estese, il numero più cospicuo di grattacieli, la ferrovia a più alta quota (sopra i 5000 metri), il sommergibile in grado di scendere alle profondità più abissali (e quindi vincere la corsa allo sfruttamento dei preziosi minerali sottomarini).
Produce un quinto di Co2 del pianeta
LA CINA È QUEL PAESE dove 300 milioni di abitanti hanno lasciato le campagne e altri 300 milioni dovranno inurbarsi presto; passeggiando in qualsiasi città si riconoscono a prima vista le facce smunte dei contadini inurbati. Ma è anche il paese dove 100 milioni di persone oggi soffrono di obesità, un tempo appannaggio dei pochi benestanti e delle statue del Buddha. La Cina è il paese che, essendo ancora dipendente dal carbone, sta investendo 750 miliardi (poco meno di quanto stanziato da Washington per salvare gli Usa dalla crisi finanziaria) per avere entro il 2020 il 15% di energia prodotta da fonti rinnovabili. Già oggi è il primo produttore mondiale di energie rinnovabili. La Cina è il paese che emette un quinto della Co2 del pianeta, in linea dunque con la sua popolazione ed esattamente quanto ne produce l’America. Con la differenza, però, che gli americani sono 300 milioni, non un miliardo e 300 milioni.
La Cina è Chongqing. Dov’è Chongqing? È la metropoli situata al centro del paese e siccome Cina si dice in cinese Zhong Guo (che significa Terra di Centro), si potrebbe dire che Chongqing sta al centro del mondo. Vale quindi la pena di visitarla, anche perché – con i suoi 32 milioni di abitanti – è la metropoli di gran lunga più popolosa della terra. Entrando in città si fa fatica a riconoscere le sue colline un tempo verdeggianti, immerse come sono in una nebbia impastata di smog; si fa fatica persino a ritrovare lo Yangtze, il Fiume Azzurro (azzurro forse un tempo) che scendendo dal Tetto del Mondo l’attraversa per poi irrigare le vaste pianure dell’Est. Fino al dopoguerra la città non aveva neppure un milione di abitanti né fabbriche né grattacieli né smog. Ecco perché Chongqing è la Cina.
La Terra di Centro, ombelico del mondo
LA CINA È IL GIGANTE dai piedi d’argilla. Quest’estate Pechino moriva di sete, mentre a sud frane alluvionali provocavano duemila vittime. Lo sversamento di petrolio nel porto di Harbin è stato un disastro senza precedenti, messo in ombra solo da quello contemporaneo nel Golfo del Messico. E tuttavia, nella fantasmagorica Expo di Shanghai, il padiglione più gettonato era l’Oil Pavilion, realizzato dalla maggiore compagnia petrolifera mondiale (che è cinese): erano migliaia i cinesi ad estasiarsi davanti agli spot sul petrolio come elemento base per produrre tutto, dalle auto al cibo. La leadership cinese è comunque cosciente dei costi ambientali che questo sviluppo comporta. Le autorità locali che s’incontrano si dicono preoccupate dell’ambiente urbano e il governo centrale comincia discretamente a frenare l’esuberanza delle imprese private restituendo fondi e potere alle imprese statali. Questa settimana il premier cinese Wen Jiabao è sbarcato in Europa. Intervenendo davanti al Parlamento greco, ha dato del suo paese una definizione lapidaria: “Una popolazione immensa, una base economica debole, una crescita squilibrata: questa è la realtà”. Mi era capitato di accompagnarlo, durante la sua precedente tournée europea, a visitare Firenze, Pisa, la Piaggio a Pontedera e il polo industriale del cuoio sull’Arno. Come tutti gli asiatici si era estasiato davanti alla Torre Pendente, ma da vero ingegnere gli interessava conoscere come se la cavavano i poli industriali toscani, noti per essere composti da una miriade di piccole industrie complementari tra loro. Ne rimase impressionato e i suoi presero molti appunti. A forza di prendere appunti, la Cina è ridiventata un impero.
Chi ha tardato ad accorgersene è rimasto penalizzato. Fra il 2001 e il 2006 – anni cruciali per la conquista del mercato cinese – tutti i governanti europei prendevano la via di Pechino una volta l’anno; Berlusconi si scomodò solo nel 2003, ma in veste di presidente del Consiglio europeo e quindi impossibilitato a tirare la volata all’imprenditoria italiana. Dovette pensarci Prodi, appena tornato al governo nel 2006, a guidare una folta delegazione confindustriale e scusarsi della miserevole battuta con cui il suo predecessore aveva irritato Pechino pochi mesi prima. Ricordate? “I comunisti cinesi non mangiavano i bambini, li bollivano per concimare i campi”.


il Fatto 8.10.10
Tiro alla Fiom, sport nazionale
Assodato che violenza è sinonimo di demenza, contro il sindacato dei metalmeccanici è in atto una campagna tesa a indicarli come squadristi: un metodo filologico che non rispetta nessun dissenso
di Paolo Flores d’Arcais


La Fiom è sotto tiro, contro l’organizzazione dei metalmeccanici e contro i suoi dirigenti è iniziata una vera e propria campagna di criminalizzazione. Siamo ormai alle velate accuse di proto-terrorismo, mentre quelle di violenza e di squadrismo si sprecano. Il pretesto sono due episodi avvenuti a Roma e a Merate (provincia di Lecco) due giorni fa. Ma il “la” era stato già dato in precedenza dal Corriere della Sera con un articolo in prima pagina di Dario Di Vico (ex dirigente della Uil ed ex vicedirettore del quotidiano) dall’appetitoso titolo “La Fiom e la strategia delle uova”, nel quale si addebitavano senza tante distinzioni a Maurizio Landini e all’organizzazione che dirige la responsabilità di “ripetuti assalti alle sedi della Cisl” (a Treviglio e a Livorno). Ora, è ben noto che “le parole sono pietre” e parlare di “assalti a sedi sindacali” significa rievocare lo squadrismo di Mussolini che devastava con gli opimi finanziamenti degli agrari gli ultimi ridotti delle organizzazioni dei lavoratori. Ma tutto quello che è stato invece imputato ai lavoratori di Treviglio, perfino secondo la ricostruzione unilaterale della Cisl, è un lancio di uova dai trenta metri di “debita distanza” cui li teneva un cordone di polizia. Quale “assalto” si possa compiere in tali condizioni è più enigmatico della sfinge. Stessa storia per l’analogo episodio a Livorno.
Quando la verità raccontata è di parte
QUANTO a Merate, “le cose sono andate in tutt’altro modo” come ha spiegato puntualmente il segretario generale della Fiom Lombardia, Mirco Rota (noto oltretutto come esponente dell’ala più moderata del sindacato): “Fosse vera l’irruzione nella sede Cisl, si tratterebbe di un atto gravissimo. Ma a Merate le cose sono andate in tutt’altro modo. Lo dicono i fatti, non la Fiom. Attorno alle 10, quattro lavoratori – tra i quali due delegati della Fiom – si sono presentati davanti alla sede della Cisl. Dopo aver preavvisato le forze dell’ordine, due di loro – sotto gli occhi della forza pubblica – sono entrati nei locali e hanno consegnato un volantino. Gli altri due sono rimasti all’esterno. La storia è finita. Non abbiamo altro da aggiungere, se non il nostro profondo dissenso verso qualunque forma di protesta non civile, sbagliata e dannosa”.
A Roma, poi, l’estraneità della Fiom alle scritte che hanno imbrattato la sede Cisl è addirittura conclamata, visto che tali scritte sono firmate “Action diritti in movimento” (sigla enigmatica, ma certamente non Fiom) e che Maurizio Landini ha condannato “con la più netta contrarietà gli episodi di intolleranza che hanno interessato sedi della Cisl”. (Poiché, aggiungiamo noi, ogni gesto di violenza è demenza).
Perché allora questa insistenza insensata – attenendosi ai fatti – sul clima di violenza e squadrismo che verrebbe alimentato dalla Fiom? In realtà, il motivo per cui è iniziata la campagna di criminalizzazione contro il sindacato metalmeccanico era stato “confessato” nell’articolo di Di Vito: i dirigenti Fiom sono refrattari a piegarsi alle “relazioni industriali orientate alla collaborazione”,nelsensopreteso da Finmeccanica e Confindustria secondo il ben noto e anticostituzionale diktat Marchionne.
Ecco perché Landini, Cremaschi e gli altri dirigenti Fiom vengono accusati di “surriscaldare la temperatura in fabbrica”, come se non fossero Marchionne e Sacconi e la loro politica selvaggiamente anti-operaia a far salire la tensione. Ecco perché vengono accusati di voler impedire che si firmino i contratti di altre categorie, come se non si trattasse esattamente dell’opposto: la Fiom non rifiuta né la contrattazione né il suo esito positivo (un sindacato fa questo per mestiere), rifiuta invece che l’esito delle prossime vertenze segni un arretramento delle condizioni dei lavoratori di oltre mezzo secolo, arretramento tale da far rimpiangere addirittura la politica anti-sindacale dell’ingegner Valletta. Quanto all’accusa contro la Fiom di “presentare Raffaele Bonanni come il nuovo campione del sindacalismo giallo”, nonsonocertoidirigentimetalmeccanici a farlo, sono semmai molti lavoratori a pensarla così.
La criminalizzazione secondo Di Vico
INFINE la Fiom va criminalizzata perché, come sottolinea Di Vico, sta diventando il punto di riferimento e di aggregazione di altri settori sindacali, anche non operai, quello del pubblico impiego e soprattutto quello della scuola. Insomma, la Fiom va criminalizzata perché potrebbe diventare il modello di un sindacato che lotta, pensate un po’! Eppure proprio di questo hanno bisogno i lavoratori, le cui condizioni salariali e normative hanno conosciuto un peggioramento tragico proprio mentre cricche di grassatori e di evasori prosperano con redditi (illegali) a sei zeri. Proprio di questo, anzi, ha bisogno l’intero Paese.
Infine, non è certamente un caso – anzi è una sincronia evidente – che la campagna di criminalizzazione del sindacato di Maurizio Landini (“che fa rima con la vecchia segreteria di Rinaldini”, accusa Di Vito, come se Rinaldini non fosse ancor oggi il miglior candidato alla segreteria generale della Cgil, come se il passaggio dalla segreteria Fiom a quella Cgil non fosse stata la norma in tutti i decenni della “grandezza” del sindacato fondato da Di Vittorio) si apra quando mancano pochi giorni alla manifestazione Fiom del 16 ottobre a Roma, attorno a cui si sta mobilitando – per la liberazione dal regime di Berlusconi-Marchionne e per la realizzazione della Costituzione – l’intera società civile, dai cristiani di base ai precari della scuola, dalle associazioni antimafia ai gruppi viola. Una manifestazione a cui hanno aderito Altan e Tabucchi, Sabina Guzzanti e Ascanio Celestini, Moni Ovadia e Corrado Stajano, Sonia Alfano e Luigi De Magistris, Furio Colombo e Pancho Pardi, Gianni Vattimo e Lidia Ravera, Giorgio Parisi e Carlo Lizzani, Giuliano Montaldo e Valerio Magrelli, per non parlare di don Mazzi, don Farinella, don Barbero, don Fiocchi, don Sudati, don Fiorini, don Antonelli...
La Fiom non è affatto isolata. Sono anzi certo che la mobilitazione dell’Italia civile accanto e in sinergia con la Fiom crescerà ancora, anche per rispondere alla criminalizzazione di cui viene fatta oggetto.


l’Unità 8.10.10
Martin Lutero, che gettò le basi della laicità
Al padre della Riforma protestante, che visitò Roma nel 1510, la capitale dedica due giornate e forse pure una strada...
di Roberto Monteforte


Celebrare Martin Lutero a Roma, nella città del Papa, la capitale della cattolicità. Quello che forse sino a ieri era impensabile, ora è possibile. Non per provocazione, ma quasi a sottolineare l’apertura al confronto della capitale. L’occasione è un anniversario: i cinquecento anni della visita del padre della Riforma protestante a Roma, avvenuta nel 1510. Due e non a caso distinti i momenti per ricordarlo. Quello «laico», legato all’attualità del suo pensiero, si terrà lunedì 11 ottobre presso la sala della Protomoteca in Campidoglio. Il secondo, invece, religioso, sarà la celebrazione ecumenica e intereligiosa prevista per il 31 ottobre presso il Tempio valdese di piazza Cavour. Data non casuale: è quella in cui Lutero presentò le sue 95 tesi ed è considerata la nascita della Chiesa Luterana.
L’UTILE ERESIA
Non deve stupire che in tempi come questi, in una Europa che ricerca la sua anima, ci si interroghi sul contributo dato dal teologo «eretico» per eccellenza alla costruzione dell’identità dell’uomo contemporaneo. Non si devono forse anche al suo insegnamento quella separazione tra Stato e Chiesa, quell’affermazione della libertà religiosa e di coscienza che è alla base della moderna idea di laicità? Lo chiarisce il teologo e storico valdese Paolo Ricca che ieri con Dora Bognandi della Chiesa Avventista, il pastore luterano Jens-Martin Kruse e la coordinatrice dell’iniziativa «Lutero a Roma», Anne marie Dupré con il direttore della rivista Confronti, Gian Maria Gillio, ha presentato l’iniziativa. La mattina incontro con gli studenti. Nel pomeriggio confronto sull’attualità del suo pensiero.
L’obiettivo è guardare all’oggi. Non solo approfondire il valore storico della proposta di Lutero, che portò «alla frattura della cristianità occidentale», alla nascita delle Chiese riformate e ad una stagione di radicale cambiamenti anche nella Chiesa di Roma, con il Concilio di Trento e con la Controriforma. Il teologo Ricca attualizza la provocazione di Lutero. Invita ad interrogarsi su cosa posa rappresentare oggi «la buona notizia cristiana». Su cosa si costruisce «attorno a questo annuncio di verità e di libertà». È un invito a riavviare il confronto ecumenico osserva fattosi negli ultimi anni più difficile. «Non vi è più alcun tavolo nazionale dove confrontarci con la Chiesa italiana. E non si aiuta l’ecumenismo quando ciascuno pretende di parlare per tutti». I temi da approfondire non mancano dal fine vita, all’aborto, all’educazione religiosasu cui verificare convergenze o dissensi.
L’appuntamento «Lutero a Roma» dovrebbe servire anche a questo. A riconoscere quanto la cultura contemporanea, l’idea stessa di laicità, sia debitrice nei confronti del monaco agostiniano. Per questo le Chiese della Riforma hanno chiesto all’amministrazione capitolina di intitolare una strada a Martin Lutero.


l’Unità 8.10.10
Telecom e Mondadori: ecco la prima libreria digitale
di Maria Serena Palieri


Si chiama «Bibletstore» e, con 1.200 titoli, è da ieri sera la prima libreria digitale italiana online (fatta salva la sperimentazione in chiave gratuita avviata in agosto da BookRepublic). Con una particolarità: parte con 1.200 titoli tutti rigorosamente Mondadori (cioè oltre Mondadori Piemme, Einaudi e Sperling & Kupfer) 800 di catalogo e 400 novità, compreso il neo-uscito ultimo Ken Follett. E un’altra particolarità: a idearla e gestirla è Telecom Italia. L’annuncio ieri, in gran spolvero, alla Buchmesse, presenti per Telecom Franco Bernabè e per il gruppo di Segrate il vice ad Maurizio Costa.
Bibletstore in senso tecnico offre nell’ordine una piattaforma di caricamento, un data-base, un back-office di gestione e un sistema per proteggere i diritti di autori ed editori. In senso gestionale la possibilità di raggiungere i clienti senza passare per librerie stile Amazon e determinando in proprio prezzi e scelte commerciali. E con una facilitazione in più: la possibilità di pagare l’ebook tramite scheda telefonica. Di qui a Natale, poi, il lancio di «canali tematici», prime modalità nuove di coinvolgimento coi lettori-clienti. Tramite lo «store» i libri in formato digitale saranno scaricabili su qualunque «device». Ma qui si fa anche l’annuncio dell’uscita sul mercato, in tempi ravvicinati, di un «tablet» Olivetti, tutto italiano.
L’alleanza strategica Telecom-Mondadori (dobbiamo ricordarlo? Il gruppo editoriale del presidente del Consiglio) alla vigilia dell’annuncio suscita orticaria nella santa alleanza Gems-Rcs-Feltrinelli unita per la piattaforma digitale Edigita. Ma Bernabé butta acqua sul fuoco: «Bibletstore è per tutti, per chi voglia accedere al servizio» dice. Intanto Gems annuncia che già dal prossimo 18 ottobre saranno online i primi titoli (700 entro Natale). Tra gli autori che distribuirà con Edigita Altan, Gianni Biondillo, Catherine Dunne, Nick Hornby, Arundhati Roy.

Corriere della Sera 8.10.10
Se la famiglia diventa una trappola
Di Vittorino Andreoli

La famiglia è diventata il luogo della violenza, dove dominano le pulsioni, gli istinti e non le regole, come se un luogo di pace e persino il nido che i poeti chiamavano dell’amore non ne avessero bisogno. Il pozzo dell’orrore nel quale ci ha portato la triste vicenda di Sarah, la ragazza assassinata dallo zio, riapre una questione cruciale del nostro tempo. Perché la famiglia ha dimenticato regole e riti e si è trasformata in un insieme caotico in cui non ci sono ruoli, ma domina un padrone violento che insidia una nipote, o una figlia, dove la donna è diventata una vittima che deve accettare ogni sopruso per arginare il rischio di farsi preda, colpita sul piano psicologico prima e poi nel corpo dominato dalla violenza che è una forma di potere e di padronato.
Penso sempre all’abitudine che porta a togliersi, appena entrati in casa, la giacca elegante, la cravatta delle occasioni importanti e indossare una casacca qualsiasi, sgualcita e priva di forme, come se il sacerdote salisse l’altare in tuta invece che con la pianeta antica e sacra. I rituali servono a controllare il nostro comportamento. E altrettanto fa la cultura. Aveva ragione Vico quando vedeva lo sviluppo dell’umanità nel passaggio dagli istinti alla cultura che nella sua espressione più semplice percepiva come un insieme di regole per vivere insieme rispettandosi.
Oggi ritorna il selvaggio che gli antropologi pensavano chiuso nell’archeologia e che invece si è rifatto cronaca. E se per diventare persone e formare insiemi civili e animati dal rispetto servono epoche storiche, basta una generazione per regredire, per ritornare a stadi che sanno di primitivo. Non si può non lamentarsi del ruolo che la cultura ha nella nostra società, è vista come qualcosa di inutile poiché il potere sembra non averne bisogno e allora i potenti la deridono e giungono a esibire la propria animalità. E basterebbe valutare con un poco di critica la nostra televisione, la nostra politica e il livello in cui è tenuta la scuola che dovrebbe essere il luogo in cui si insegna a vivere. Non c’è dubbio alcuno che un segno della cultura lo si legge nel significato che una società attribuisce alla donna, tolta dagli oggetti della sessualità e posta nel rango di madre e di educatrice. Mentre oggi viene esibita come corpo e come corpo volgare, usata per la pubblicità dell’auto poiché la si usa e la si guida e poi la si ficca nel garage pronta a partire quando si vuole. Certo l’antropologia è piena di storie di donne ridotte a oggetti del piacere, ma si tratta di una antropologia pulsionale che dovrebbe essere superata dalla conquista culturale. Oggi assistiamo invece ad un aumento di delitti in famiglia che non sono solo da attribuire al bisogno di violenza dei mass media e alla loro spettacolarizzazione. Tra il numero di omicidi che nel nostro Paese sono stabili (intorno a 1400-1500 l’anno) quelli dentro la famiglia sono aumentati di 4-5 volte e mostrano che la famiglia è un luogo di massacro con vittima la donna che diventa ancora una preda delle pulsioni, della sessualità. E in questa prospettiva ogni donna perde tutte le proprie specificazioni e una figlia o una nipote non ha nulla di distinto da una donna di strada, e non di casa, anzi quella che si ha a portata di mano è privilegiata, perché non costa nulla. E il dominio giunge fino a uccidere, segno che l’oggetto appartiene totalmente al padrone e non è altro se non il proprio oggetto di cui si può fare di tutto fino a buttarlo in un pozzo.
La famiglia è agonizzante, non ha più un’anima, manca di quel senso dell’appartenenza che è un legame sentimentale. E i sentimenti danno sicurezza, mentre ormai ci sono figlie che non riescono a stare tranquille proprio a casa loro e temono di venire aggredite, e vogliono scappare e non sanno dove andare. Dove va una adolescente, una madre che subisce violenza con continuità e che sente addosso la paura dentro casa? Tende ad accettare tutto senza opposizione favorendo così la propria condizione di vittima designata che si immola sull’altare della casa.
Il nostro Paese era un esempio della forza dei legami familiari e ora una simile affermazione appare persino paradossale. Quel legame è diventato una trappola poiché abbiamo meno forza di staccarci dalla famiglia anche quando sa di violenza e di pericolo, proprio perché l’abbiamo innalzata a luogo della nostra identità. Siamo il Paese in cui si fanno sacrifici enormi per la casa, perché divenga una proprietà e poi la usiamo come calvario per le donne, poiché occorre dirlo sono le donne a morire di casa e di famiglia. L’asimmetria è netta, è l’uomo selvaggio a uccidere, il cacciatore di prede umane. La casa come serraglio. Lo so bene che ci sono famiglie diverse, per bene, ma non ci si può consolare in nessuna maniera quando le cronache sono piene di donne stuprate e poi buttate via come oggetti consumati. Il consumo dei sentimenti e degli attaccamenti.
È tempo di fare della crisi familiare un tema di cultura, di impegno sociale. Ci troviamo nel corso di una regressione rapidissima in cui si stanno perdendo le conquiste fatte in tempi lunghi. Non sentiamo nemmeno più la Chiesa parlare della famiglia come di un principio che sa persino di cielo, occorre svegliare uno Stato che sta delirando su questioni ridicole mentre nessuno si occupa di emergenze. È difficile quando la violenza sa di morte come in questi giorni, ricordare che oltre ad una violenza del corpo esiste quella della personalità che può ferire senza una goccia di sangue. Ed esiste anche una violenza sociale che impedisce di avere un ruolo e di mostrare una dimensione umana, chiusi o abbandonati nella solitudine dentro il numero sempre più vasto dei «nessuno». La violenza e la paura sono le vere emergenze del tempo presente.

giovedì 7 ottobre 2010

Agi 7.10.10
Sarah: Fagioli, non è un caso speciale, montato per coprire altro

(AGI) - Roma, 7 ott. - Non e' un caso speciale, particolare ed eccezionale: e' diffusissimo da tempo in ambito familiare. C'e' qualcosa di nuovo? Non mi pare, casi del genere accadono spesso e quando non accadano e' perche' la donna tace. Semmai c'e' una montatura di esso, per coprire altre efferatezze: lo scandalo della pedofilia, con gli abusi di tanti bambini anche da parte dei preti. Lo afferma lo psichiatra Massimo Fagioli, per il quale l'assassino della giovane Sarah, il vecchio zio materno, e' tutto sommato "una persona normale, tranquilla, lucida, con un rapporto con la realta' materiale, cose ed oggetti, preciso, ma alterato con la realta' umana". Anzi, per come sono andate le cose, "direi pure intelligente ma - chiosa - criminale per la ferocia dell'atto". Quel che lo psichiatra stigmatizza e' 'l'eccesso di interesse' per un caso, uccidere una donna se si rifiuta, ripetutosi da diversi anni e quasi ogni giorno. "La montatura di questo caso mi pare evidente e serve a nascondere e negare ben altri casi di efferatezza: abusare di bambino per me e' l'atto piu' orrendo che ci sia", conclude.


l’Unità 7.10.10
L’intervista
Marc Augé: «Rendiamo eterno il presente per paura del futuro»
L’antropologo francese parla del «nontempo» che caratterizza la nostra epoca e dei rischi di una società globale divisa in classi che ci porterà verso una pericolosa «oligarchia planetaria» piena di disuguaglianze
di Flore Murard-Yovanovitch


Immigrazione e Rom
«Non esiste una “questione Rom”, ma una cattiva accoglienza dei Rom. Quanto alla multietnicità è un fenomeno naturale»
L’ultimo suo appuntamento italiano è stato il Festival della Filosofia svoltosi il mese scorso a Modena Carpi e Sassuolo. Ma non sono i «luoghi» a interessare Marc Augé, e neanche il tempo... Al «nonluogo», il neologismo da lui coniato nel ’92, ha ora aggiunto il «nontempo», ovverosia il presente eterno che caratterizza questa nostra epoca recente. Abbiamo incontrato il celebre antropologo francese in un nonluogo e nel nontempo per chiedergli uno sguardo sulla costruzione di un’Europa multietnica, sulle attuali reazioni di xenofobia che Francia e Italia hanno in comune e sul tema della diversità.
Professor Augé, cominciando dal presente, che fine ha fatto l’idea di uguaglianza nella società contemporanea?
«A livello globale c’è più ricchezza, ma non funziona il meccanismo di redistribuzione e il divario tra ricchi e poveri sta aumentando in modo vertiginoso. La società globale verso cui andiamo è irriducibilmente divisa in classi. Non puntiamo, perciò, verso una “democrazia planetaria”, come pensa Fukuyama, bensì verso una “oligarchia” planetaria... Con il rischio di una disuguaglianza inimmaginabile oggi, perché riguarda soprattutto la conoscenza, tra quelli che saranno alla punta del sapere e quelli chiusi in una permanenza del non sapere».
Ma c’è ancora un futuro, visto che nel suo recente libro «Che fine ha fatto il futuro?» parla del «nontempo» che sarebbe davanti a noi? «Oggi c’è una sorta di ideologia del presente, si parla molto meno del “tempo”. Siamo accerchiati da strumenti di comunicazione che ci bombardano di messaggi e di immagini. C’è una istantaneità che, combinata alla sovrabbondanza visiva, dà l’impressione di essere rinchiusi dentro una specie di presente “artificiale”, eterno». Dalle sue parole sembra che siamo condannati all’«eterno ritorno dell’uguale» di nietzschiana memoria...
«È solo una impressione, che corrisponde alla nostra paura del futuro. Anche se la storia e la scienza vanno avanti velocemente, c’è come una sorta di rifiuto del presente. Abbiamo la coscienza che il pianeta è fragile, i nostri sogni di benessere non si realizzano, non c’è uguaglianza sociale e la storia è violenta. Ne sembriamo sorpresi,
allorché la storia è sempre stata violenta». Come spiega che, nonostante il suo tragico passato di nazismo e fascismo, in Europa stiano riapparendo discorsi e atti xenofobi?
«C’è una crescita dei movimenti di estrema destra in Europa occidentale e nei paesi ex comunisti, come avevo già segnalato anni fa. L’Occidente ha una sua reazione di paura, ma non è l’unica, anche altri sono violenti. Ci sono ideologie mortifere nell’ombra, situazioni di tensione che purtroppo possono essere facilmente strumentalizzate».
A questo proposito, esiste una reale «questione Rom» o è una costruzione mediatica e politica? «Non c’è un “problema Rom”, ma una questione di cattiva accoglienza dei Rom. Le strutture abitative non sono all’altezza, non hanno nemmeno decenti connessioni energetiche di base. Invece ci sarebbero cospicui finanziamenti europei per creare una degna politica di integrazione, ma essi sono sottoutilizzati e persino non utilizzati dai governi. D’altro canto, è una questione fittizia, dal momento che i rumeni sono comunitari, liberi di tornare quando lo desiderano, e che in Francia, i due terzi della cosiddetta “gente del viaggio” sono cittadini francesi. L’argomento, almeno nel mio Paese, è bassamente elettorale, in vista delle prossime elezioni».
Ma in Europa c’è, in generale, un attacco all’essere umano diverso, all’immigrato... «L’Europa è cambiata molto con l’immigrazione, è in corso un inedito rinnovamento della popolazione. Basta scendere nella metro parigina e la multietnicità salta agli occhi. Ma solo quando ci sono crisi o incidenti, si parla, e in termini negativi, della diversità... Quando invece si potrebbe riconoscere come essa sia “accaduta” in modo del tutto naturale e con una positività dei nuovi rapporti interculturali. Non sono convinto, d’altronde, che il fenomeno di rifiuto del diverso sia maggioritario.
Con questi presupposti, quale rivoluzione culturale e politica è auspicabile? «L’espressione “rivoluzione culturale” è troppo connotata storicamente. Fermo restando che la nozione di cultura e quella di rivoluzione dovrebbero essere sinonimi. La cultura dovrebbe essere sempre critica se non rivoluzionaria. La cultura non è lo specchio dell’esistente ma la sua disamina, la sua messa in causa; dovrebbe essere attenta, vigile. La cultura non è apolitica. E la politica, come la morale, dovrebbe ispirarsi alla scienza, che è il contrario della ideologia: fondarsi sullo stesso spirito della ricerca, prospettare ipotesi, cercare soluzioni anche provvisorie, formulare idee nuove, senza basarsi sui modelli del passato. Per questo faccio anzi l’elogio del futuro».

Chi è. Lo studioso che ha «inventato» il nonluogo
MARC AUGÉ

Già Directeur d’études presso l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, dopo aver contribuito allo sviluppo delle discipline africanistiche ha elaborato un’antropologia della pluralità dei mondi contemporanei attenta alla dimensione rituale del quotidiano e della modernità. Ha inoltre focalizzato la sua attenzione su una serie di esperienze contemporanee che attraversano la progettazione urbanistica, le forme dell’arte contemporanea e l’espressione letteraria. Tra le sue opere tradotte di recente: «Rovine e macerie» (Torino 2004); «Perché viviamo» (Roma 2004); «Tra i confini. Città, luoghi, interazioni» (Milano 2007); «Il mestiere dell’antropologo» (Torino 2007); «Il bello della bicicletta» (Torino 2009); «Il metrò rivisitato» (Milano 2009); «Che fine ha fatto il futuro? Dai non luoghi al nontempo» (Milano 2009). È componente del Comitato Scientifico del Consorzio per il festivalfilosofia.

Un etnologo nel metrò Pensieri sulla mobilità
Tra le ultime pubblicazioni in Italia di Marc Augé, due libri sulla «mobilità»... «Per un’antropologia della mobilità» (pagine 91, euro 12, Jaca Book), nel quale si occupa del concetto di frontiera, da ripensare nel mondo globale restituendone il significato profondo, quello di «passaggio» (e non sbarramento) e, metaforicamente, di avvenire e speranza. «Un etnologo nel metrò» (pagine 108, euro 12, Eleuthera) è uno studio sugli utenti del metro di Parigi: storie individuali (di individui che passano dalla vita familiare alla vita professionale, dal lavoro al tempo libero) e collettive che si sfiorano, si sovrappongono,

l’Unità 7.10.10
Il tribunale di Firenze solleva il dubbio di incostituzionalità dopo il ricorso di due piemontesi
Il governo: difenderemo noi la legge 40. Sacconi cita il premier: «Magistrati ideologizzati»
Fecondazione eterologa «La legge torni alla Consulta»
La legge sulla fecondazione assistita è già stata bocciata dalla Corte sull’impianto di tre embrioni insieme. Il Pd: normativa ideologica e da cambiare. Roccella: vogliono che torni il Far West.
di F. Fan.


La Legge 40 sulla fecondazione assistita torna al vaglio della Corte Costituzionale. Un anno fa la Consulta si era già pronunciata abrogando il divieto di impianto contemporaneo di tre embrioni e di crioconservazione degli stessi. Adesso la prima sezione del tribunale civile di Firenze ha sollevato il dubbio di costituzionalità per la parte che vieta la fecondazione eterologa (con ovuli o seme di donatore esterno alla coppia).
Il governo fa quadrato intorno alla legge 40, voluta e approvata dal centrodestra nel 2004 e sopravvissuta al referendum: «La difenderemo» annuncia il ministro della Salute Fazio, mentre per il titolare del Lavoro Sacconi «c’è il timore che alcuni settori ideologizzati della magistratura cerchino rivalsa». Tesi condivisa dal sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella: «Tribunali invasivi, vogliono smantellare la legge e tornare alla deregulation». Per il ciellino Maurizio Lupi «c’è un giudice a Firenze», ma non è un bene. Per Paola Binetti (Udc) si vuole «sovvertire il sistema delle regole democratiche».
Al contrario, Pd e IdV denunciano una «legge ideologica» e da rivedere. Bersani depreca che l’esecutivo «bastoni» le toghe che si muovono nel solco della Costituzione.
Marino replica alla Roccella che «il Far West c’è già» dato che chi può va all’estero per aggirare i divieti, e invita a riaprire il dialogo «senza tabù». Contrari a revisioni, nel Pd, Grassi, Bosone e Baio. Fiduciosi sull’esito del ricorso sono i medici-pionieri Antinori e Flamigni. E sulla coincidenza con il riconoscimento arrivato al padre della Fivet Robert Edwards scherza Paolo Ferrero: «La decisione fiorentina merita il Nobel».
I ricorrenti sono una coppia piemontese, impiegati di 35 e 37 anni. Lui soffre di azoospermia per terapie ricevute durante l’adolescenza: l’unica chance è offerta dall’utilizzo di materiale genetico altrui. Dopo sei tentativi a Lugano, Praga e Barcellona, hanno deciso di reagire. Si sono rivolti all’Associazione Luca Coscioni che li ha seguiti, tramite gli avvocati Gianni Baldini e Filomena Gallo. I due legali hanno sollevato rilievi accolti dal giudice fiorentino di «manifesta irragionevolezza del divieto assoluto di eterologa per l'evidente sproporzione mezzi-fini» e di «illegittima intromissione del legislatore in aspetti intimi e personali della vita privata».
Il punto di svolta arriva ad aprile di quest’anno. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo accoglie il ricorso di due coppie austriache che lamentavano una discriminazione (rispetto a coppie con sterilità meno gravi e risolvibili all’interno della coppia) e un’intromissione in aspetti fondamentali della vita privata quali le scelte procreative. I giudici lussemburghesi condannano l’Austria ad abrogare il divieto. Il ragionamento degli avvocati, dato che l’Italia ha ratificato la convenzione Ue dei Diritti umani, è che i principi di diritto contenuti nelle sentenze della Corte europea abbiano valore anche nel nostro Paese. Addirittura, fanno notare Baldini e Gallo, secondo il Trattato di Lisbona (anch’esso firmato dall’Italia), tali decisioni sarebbero direttamente applicabili senza bisogno della mediazione di un organo giudiziario nazionale.
Si attende il responso. La Legge 40 è già stata sconfessata in più parti dai magistrati. Dopo l’eliminazione dell’obbligo di impianto di 3 embrioni, considerato pericoloso per la salute della donna e del feto, restano irrisolte altre questioni. La diagnosi preimpianto necessaria per individuare malattie genetiche o ereditarie è stata bocciata ma al riguardo servono nuove linee guida. Se la Consulta confermasse i dubbi rispetto alla fecondazione eterologa, un altro pilastro della legge verrebbe a cadere.

il Fatto 7.10.10
La vita della legge 40 decisa dalla Corte costituzionale
di Wanda Marra


“Abbiamo    tentato per due anni. E per caso abbiamo scoperto che il problema di mio marito la mancanza di spermatozoi ci avrebbe impedito di avere figli”. A parlare è E. G., impiegata piemontese, architetto di 38 anni. È la protagonista, con il marito, M. C. di 34 anni, dell’ultimo, significativo, caso legato alla legge 40, che regola la procreazione assistita, in vigore dal 2004 e tornata in auge dopo le critiche del Vaticano al Nobel per la Medicina Edwards.
I DUE PIEMONTESI dopo aver percorso il “calvario” ormai condiviso da molte coppie sterili italiane, con i viaggi della speranza all’estero (sei i tentativi falliti in Svizzera e a Praga) e dopo essersi visti negare la fecondazione eterologa da un centro fiorentino, si sono rivolti all’Associazione Luca Coscioni, e agli avvocati Filomena Gallo e Gianni Baldini, che hanno presentato ricorso al Tribunale di Firenze. Con sentenza depositata ieri i giudici hanno deciso di sollevare il caso di fronte alla Corte costituzionale, che a questo punto dovrà riesaminare il testo.
Una legge controversa, la 40, che ha resistito anche a un referendum abrogativo con 4 quesiti e che è oggetto di una guerra giuridica, a colpi di ricorsi e sentenze della Corte costituzionale. Considerata da molti una “legge ideologica” (come ha ribadito ieri la piddina Livia Turco), anticostituzionale, oscurantista e di fatto lesiva della salute della donna, ha tra i punti cardine, il fatto che il ricorso alla procreazione assistita è consentito solo “qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità”. Proibisce, oltre alla fecondazione eterologa (cioè quella ottenuta con ovuli o seme non appartenenti alla coppia), “qualsiasi forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti” (passaggio tra più dibattuti dell’intero provvedimento, poiché vieta alle coppie, comprese quelle con malattie genetiche ereditarie, la diagnosi pre-impianto per stanare eventuali problemi del nascituro) e il congelamento degli embrioni. E imporre che gli embrioni prodotti (fino a un massimo di 3) vengano impiantati contemporaneamente, anche se malati.
“Violazione degli articoli 3 e 11 della Costituzione italiana, relativi rispettivamente al diritto di non discriminazione e all'obbligo di recepire il diritto comunitario”, le motivazioni della sentenza del Tribunale di Firenze. Ha spiegato Baldini: “Il giudice ha riconosciuto le istanze mosse dalla coppia, dopo aver rilevato profili di manifesta irragionevolezza del divieto assoluto di Pma eterologa per l’evidente sproporzione mezzi-fini; e di illegittima intromissione del legislatore in aspetti intimi e personali della vita privata. Questo pronunciamento, inoltre, ha a che fare anche con il Trattato di Lisbona, nel quale si afferma che le decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo sono direttamente applicabili nel nostro ordinamento”.
IN REALTÀ, LA LEGGE 40 da quando è entrata in vigore è stata messa in discussione da ricorsi e sentenze pezzo per pezzo. In particolare, quello di ieri è il secondo rinvio alla Consulta, sempre del Tribunale di Firenze, che già due anni fa si rivolse ai giudici costituzionali i quali accolsero il rilievo eliminando l’obbligo di produzione di soli tre embrioni in ogni ciclo di fecondazione, l’obbligo del loro contemporaneo impianto, e annullando anche il divieto di congelamento degli embrioni in sovrannumero.
La sentenza ha riaperto anche il dibattito politico. Il Pdl ha parlato addirittura di tradi “disprezzo della volontà popolare”, facendo riferimento al fallimento dei referendum. Sulla procreazione "c’è una legge e va rispettata", ha affermato il ministro della Salute Ferruccio Fazio, mentre il sottosegretario Eugenia Roccella parla di rischio di “deregulation” e di un “ritorno al Far West” della procreazione. Rincara il ministro del Welfare Maurizio Sacconi per il quale “non si può entrare nella logica della selezione della specie”. L'Osservatore Romano, poi, interviene affermando il no alla “corsa al ribasso” innescata dalle tecniche di fecondazione artificiale, e indica il vero problema nella “prevenzione della sterilità”, spesso dovuta a un errato stile di vita e all’aumento dell’età media in cui le donne fanno figli.
Di segno opposto le reazioni del centrosinistra: La presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro, rileva che “il Far West c’è già ed è causato proprio dalla legge 40”. Ignazio Marino (Pd) e Ignazio Palagiano (Idv) chiedono un cambiamento urgente delle legge. E intanto altre 5 coppie hanno annunciato il ricorso in Tribunale contro il divieto dell’eterologa.

Repubblica 7.10.10
Umberto Veronesi, oncologo e senatore Pd: tutelare la capacità di autodeterminazione
"Per un figlio è giusto avere la libertà di ricorrere a tutti i mezzi disponibili"
Un bambino è tuo in quanto lo hai desiderato è allevato, il patrimonio genetico non c´entra con l´amore
di Carlo Brambilla


MILANO - «Penso che un figlio sia tuo figlio in quanto lo hai desiderato e lo hai allevato. Il patrimonio genetico non è rilevante ai fini dell´amore genitoriale» Umberto Veronesi, oncologo e senatore del Pd, impegnato da anni sui temi della laicità della scienza, commenta favorevolmente la decisione del Tribunale di Firenze che ha sollevato il dubbio di costituzionalità sulla norma della legge sulla fecondazione artificiale con la quale si vieta la fecondazione eterologa.
Nel caso di cui si è occupato il Tribunale di Firenze, i coniugi chiedevano una fecondazione eterologa, perché l´uomo soffre di mancanza di spermatozoi.
«Nel caso specifico della coppia di Firenze ci troviamo di fronte a una condizione umana obiettivamente drammatica perché il compagno è un uomo perfettamente sano a cui alcune cure nell´infanzia hanno bloccato la spermatogenesi, cioè la capacità di produrre spermatozoi. Penso sia giusto che, in mancanza di una capacità procreativa si possa ovviare al problema con una fecondazione eterologa. Anche perché con una fecondazione di questo tipo il 50% del dna appartiene comunque a uno dei genitori».
Il divieto di fecondazione eterologa è una invasione della legge nella sfera delle libertà personali?
«Sì. La Corte Europea dei Diritti dell´Uomo si è espressa in questo senso. Prima di tutto il legislatore europeo difende l´autonomia decisionale della coppia e la capacità di autodeterminazione delle persone. Se una coppia lo vuole deve poter ricorrere ai mezzi disponibili. E sicuri per la salute della mamma e del bambino».
Cosa pensa delle prese di posizione contrarie del Vaticano?
«Che il Vaticano abbia sollevato polemiche è comprensibile e legittimo, perché il loro obiettivo è diffondere il credo cristiano. E chi crede che la vita sia dono e proprietà di Dio non può ricorrere a metodi anticoncezionali né a metodi di procreazione assistita. Ma questo riguarda, appunto, i fedeli. Chi non crede o aderisce ad altre religioni o anche chi ritiene in coscienza di non infrangere alcuna regola ricorrendo alla donazione di ovuli dovrebbe avere il diritto di poterlo fare».

Repubblica 7.10.10
Sei anni di battaglie e sentenze così la legge è stata smantellata
Dalla diagnosi pre-impianto agli embrioni congelati, quanti pezzi persi per strada
di Maria Novella De Luca


ROMA - Sei anni di battaglie e di ricorsi. Di bimbi nati e di altri attesi invano. Di coppie con la valigia sempre pronta per viaggi della speranza nelle cliniche della fertilità. Di donne e uomini affetti da malattie genetiche esclusi dalla possibilità di diventare genitori. Ora che il divieto di fecondazione eterologa, ultimo cardine della legge 40 sulla procreazione assistita approvata il 19 febbraio del 2004, verrà sottoposto alla Consulta, l´intera legge appare come bombardata, di fatto priva di senso e di autorità. A forza di sentenze di tribunali civili, tribunali regionali, e soprattutto di pronunciamenti della Consulta, tutti gli articoli più contestati sono stati via via smantellati.
Approvata dopo una battaglia più politica e ideologica che scientifica, la legge è stata poi confermata dal referendum del 2005, che doveva abrogarne alcuni articoli, ma non è riuscito a raggiungere il quorum. Ed è iniziata allora, nel 2005, la battaglia legale, così come avevano promesso le associazioni. «Faremo una valanga di ricorsi in nome di tutte le coppie sterili, discriminate da questa legge». Sia nelle aule dei tribunali che con atti di vera e propria disubbidienza civile. Ed è stata una donna sarda, Simona, affetta da talassemia, a compiere nella primavera del 2005 la prima azione di resistenza. Simona rifiuta di farsi impiantare gli embrioni che aveva prodotto con una fecondazione assistita, violando l´articolo della legge che prevedeva l´obbligatorietà. «Chiedo di fare la diagnosi pre-impianto, altrimenti rischio di mettere al mondo un bimbo malato». I ginecologi dell´ospedale Microcitremico di Cagliari sono costretti a congelare gli embrioni. Nel settembre del 2007 Simona vince la sua battaglia, e il tribunale del capoluogo sardo ammette la diagnosi pre-impianto sugli embrioni, pur in presenza del divieto della legge 40.
Migliaia di coppie intanto "migrano" ovunque nel mondo pur di riuscire ad avere un bambino. La Spagna è la meta preferita, ma i paesi dell´Est inaugurano il low cost della fecondazione, in una corsa, spesso pericolosa, al ricchissimo business della procreazione. Intanto aumentano i ricorsi di coppie che chiedono di poter congelare gli embrioni, di non doverli impiantare tutti e tre, e di accedere alla fecondazione eterologa. Nel 2008 il ministro della Salute Livia Turco vara delle nuove linee guida: è una piccola rivoluzione. Pur nelle strettissime maglie della legge 40 la Turco introduce un´apertura alla diagnosi pre-impianto e ammette il ricorso alle tecniche per le persone affette da Hiv o epatite C. Avvocati e coppie, medici e costituzionalisti, insieme ad associazioni come Hera di Catania, Amica Cicogna e Luca Coscioni, si costituiscono in vere e proprie class action contro la legge.
Nell´aprile del 2009 arriva la spallata più forte: la Consulta dichiara incostituzionali gli articoli che riguardano il divieto di crioconservazione degli embrioni, il divieto di congelarli, e la diagnosi pre-impianto. In moltissimi centri si ricominciano ad eseguire le tecniche vietate da oltre 5 anni. Un anno dopo, siamo ormai allo scorso inverno, si ricostituisce la class action contro l´articolo 4, ossia il divieto di fecondazione eterologa. Il 21 maggio del 2010 è tribunale di Strasburgo a pronunciarsi: «La fecondazione eterologa è un diritto», dicono i giudici europei. Poi le date incalzano: pochi giorni fa Robert Edwards, inventore della fecondazione in vitro riceve il Nobel per la Medicina. La Chiesa insorge, tuona contro l´etica violata. Ieri infine il tribunale di Firenze che rinvia la parola alla Consulta. Che dovrà ora pronunciarsi sull´articolo 4, il più difficile, il più controverso.

l’Unità 7.10.10
Sui temi etici il Pd cominci a dire dei sì e dei no chiari
Testamento biologico e legge 40 da rivedere. Non si possono avere esitazioni, saranno entrambi temi della campagna elettorale. E i cittadini attendono posizioni non equivoche
di Ignazio Marino


Decidere presto
Evitiamo che si arrivi ancora una volta al parere dirimente della magistratura per risolvere il conflitto tra le leggi e tra queste e i progressi della conoscenza

Louise Brown, 32 anni, mamma di un bambino di 4. La storia di una donna che ha cambiato la storia di milioni di altre è tornata in questi giorni all’attenzione del mondo, con l’assegnazione del premio Nobel per la medicina a Robert Edwards, padre della fecondazione assistita.
Louise il 25 luglio 1978 divenne infatti la prima bambina al mondo nata dopo un concepimento in provetta. Oggi alla fecondazione assistita si ricorre non solo per problemi di infertilità all'interno di una coppia, ma anche per evitare la trasmissione di malattie genetiche dai genitori al figlio.
Nel 2010 Edwards è dunque il papà scientifico di oltre 4 milioni di persone, ma purtroppo sono relativamente pochi gli italiani nati in Italia, che a lui devono la vita: il nostro paese, imbrigliato dalla legge 40, costringe infatti migliaia di coppie con problemi di fertilità a rivolgersi all’estero.
Eppure, proviamo a ragionare: se consideriamo normale e responsabile eseguire dei controlli prima di una gravidanza, con lo scopo di individuare eventuali malattie, allora perché in uno Stato laico non dovrebbe essere normale, avendo lo stesso obiettivo, la diagnosi preimpianto? Perché la legge dovrebbe obbligare una donna all'impianto anche di un embrione con una gravissima malattia genetica e poi consentire di interrompere la gravidanza con l'aborto?
A rispondere la Corte Costituzionale, che due anni fa eliminò l'obbligo di produzione di soli tre embrioni in ogni ciclo di fecondazione e l'obbligo del loro contemporaneo impianto. La Consulta è adesso nuovamente chiamata a rispondere dal tribunale civile di Firenze, questa volta sulla costituzionalità della norma che vieta alle coppie sterili di accedere alla fecondazione eterologa, con ovuli e seme donati da altri. Il sottosegretario alla salute Roccella teme il ritorno al far west, ma il far west è già qui, con la confusione che regna nei centri per la riproduzione assistita e tra le coppie, costrette al turismo riproduttivo.
L’impostazione generale della legge 40 è ideologica, dunque sbagliata: articolo per articolo, il testo viene sostanzialmente modificato, dovendo fare i conti con le evidenze scientifiche e il dettato costituzionale. Eppure sarebbe bastato, sei anni fa, gettare uno sguardo al resto d’Europa e magari fare anche un salto oltreoceano.
Nel Regno Unito, che vede il Prof. Edwards insegnare a Cambridge, nel 2006 è stata autorizzata per la prima volta la selezione embrionale in una coppia che non aveva problemi di fertilità. Lì a decidere è l'Authority per l'embriologia e la fecondazione assistita. In Spagna vi è un’analoga commissione speciale. E la selezione embrionale, negli Stati Uniti, viene autorizzata anche nel caso di rischio di una mutazione di un gene responsabile, per esempio, di un tumore al colon, sebbene non sia certa l’insorgenza della malattia.
L’America è lontana, purtroppo, anche sul fronte della ricerca: una delle prime decisioni del Presidente Obama fu quella di eliminare le restrizioni alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, che non potevano disporre dei finanziamenti pubblici. D’altro canto, nel 2008, Obama fece della ricerca uno dei punti centrali della sua campagna elettorale. E vinse le elezioni.
Allora lancio un appello al Pd. Dalla legge 40 a quella sul testamento biologico, alla ricerca sulle staminali, i temi etici entreranno con forza nella campagna elettorale e noi dobbiamo essere capaci di dire quei sì e no chiari che tante persone che guardano al Pd con fiducia, si aspettano. Rispetto alla legge sulla riproduzione medicalmente assistita, avanziamo proposte concrete di riforma: prendiamo esempio da paesi che hanno legislazioni coerenti con la conoscenza scientifica e lasciamo che sia un organismo appunto scientifico a fornire linee guida, autorizzare trattamenti e codici di comportamento. Lo stesso vale per la legge sul testamento biologico: non permettiamo che sia approvata alla Camera una legge contro le evidenze scientifiche e le libertà individuali, ma non consentiamo neppure che ci si continui a muovere in quella zona grigia che non tutela né le volontà del malato, né le decisioni del medico. Evitiamo che si arrivi ancora una volta al parere dirimente della magistratura per risolvere il conflitto tra le leggi e tra queste e i progressi della conoscenza. Facciamoci trovare pronti a parlare con una voce sola.

Corriere della Sera 7.10.10
«Bene, quel testo viola la privacy. La Corte lo sta affondando»


ROMA — «La decisione del Tribunale di Firenze mi fa dire: finalmente si fa un po’ di giustizia», sostiene il ginecologo Nino Guglielmino, responsabile del centro Hera di Catania.
«Perché secondo lei la legge 40 è incostituzionale?»
«Perché come ha detto la Corte di Strasburgo il divieto della fecondazione eterologa viola la privacy della coppia e il suo diritto di costruire una famiglia come crede. La fecondazione eterologa è un problema privato della coppia, dice l’Europa. Se qui in Italia non vogliono adeguarsi all’Europa vadano a vivere in Afghanistan. Ma intanto aumenta la ribellione dei cittadini. La legge 40 ha messo il bavaglio: ma ormai questa storia è finita e la Corte costituzionale ci darà ragione come già ha fatto nella sentenza del maggio 2009, quando ha dichiarato incostituzionale l’obbligo dell’«unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre embrioni». La Corte ha dichiarato illegittima la legge anche nella parte in cui non prevedeva «che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, debba essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna».
Fare un figlio comunque ha un rilievo «pubblico» e non meramente privato, da tantissimi punti di vista...
«Bisogna smetterla di intrufolarsi sotto le lenzuola: la riproduzione assistita è ormai a tutti gli effetti una branca della medicina». Quali malattie cura? «La mancanza di spermatozoi negli uomini, dopo una chemioterapia ad esempio. O la menopausa precoce o la perdita delle ovaie nelle donne»
Quale è stata la sua esperienza con le coppie che sono ricorse al vostro centro prima che la legge 40 dichiarasse illegale l’eterologa?
«Che si trattava di coppie felici, e che prima che scattasse il divieto della legge votata nel 2004, tornavano da noi dopo il primo figlio, e ne volevano un altro. C’era una sola cosa che ci chiedevano...» Quale? «Che se fosse stato possibile avrebbero desiderato lo stesso donatore».

l’Unità 7.10.10
Asse trasversale anti «Porcellum». Nasce un gruppo per l’uninominale con elementi del Pdl
Finiani, Pd, Idv, Udc hanno chiesto che la proposta di legge sia discussa alla Camera
Legge elettorale Prove pratiche per un’altra maggioranza
Prove pratiche di governo tecnico: una maggioranza diversa si sta aggregando sul cambiamento della legge elettorale. Su più fronti, infatti, si sta creando un asse trasversale anti «Porcellum».
di Natalia Lombardo


Prove pratiche di governo tecnico: una maggioranza diversa si sta aggregando sul cambiamento della legge elettorale. Su più fronti, infatti, si sta creando un asse trasversale anti «Porcellum»: Pd, Italia dei Valori, Udc e i finiani di Futuro e Libertà, ieri hanno chiesto compatti che delle proposte di legge siano affrontate in commissione alla Camera (al momento si discute al Senato, dove nella Affari Costituzionali c’è solo il finiano Saia). Ed è nato anche un gruppo trasversale di parlamentari per una legge che torni al sistema uninominale maggioritario.
L’importante è il segnale politico che questo fronte manda a Berlusconi, nel caso voglia davvero «staccare la spina», sulla possibilità che nasca un governo tecnico temporaneo che elimini il «Porcellum» come prima cosa. Da Bossi arriva un secco «no» e si permette di lanciare avvertimenti al presidente Napolitano: «Un governo tecnico sarebbe un azzardo».
I «futuristi» di Fini invece aumentano le prove del loro essere determinanti nello spostamento della maggioranza; realtà che ha convinto il Pdl alla conferma delle presidenze di commissione, e ieri la «terza gamba» di Fli è stata riconosciuta nella riunione dei capigruppo di maggioranza (a cinque zampe, se si considerano Mpa e Noi Sud).
Un primo segnale arriva da Montecitorio, dove ieri in commissione Affari Costituzionali il presidente Donato Bruno ha sondato l’orientamento dei gruppi, dopo aver ricevuto il primo ottobre dal presidente Fini una lettera nella quale riportava la richiesta fatta dall’Udc in capigruppo per avviare «sollecitatamente» l’esame alla Camera della legge elettorale. Subito contrari Pdl e Lega, mentre Pd, Udc, Idv e Fli si sono espressi a favore. Ora dovrà vedersela Fini con il presidente del Senato, Schifani, per un eventuale spostamento alla Camera dei disegni di legge. Che un testo sia esaminato in contemporanea dalle due Camere non è possibile, spiega l’ex forzista Bruno ma, secondo il Pd Violante, un doppio incardinanento è possibile solo se si dimostra che l’esame di un testo in un ramo del Parlamento è «puramente ostativo».
COPASIR: BRACCIO DI FERRO INUTILE
E, sempre tra i presidenti delle Camere, dovrà essere risolta la questione del Copasir, bloccato da Pdl e Lega per togliere di mezzo il finiano Carmelo Briguglio e Francesco Rutelli. Partita persa per i berlusconiani: Fini chiarirà che al comitato per la sicurezza non vale la norma delle sostituzioni per ogni gruppo che nasce, perché la composizione del Copasir si basa su 5 membri della maggioranza e 5 dell’opposizione.
Stamattina inoltre si riunisce al Teatro dei Comici a Roma la prima assemblea di un gruppo di parlamentari uniti dalla voglia di «uninominale»: tra i firmatari di un documento ci sono, per il Pdl, Martino, De Angelis, Fleres, Germontani, Gramazio, per il Pd Ceccanti, Chiti, Gentiloni, Ichino, Marino,Morando, Negri, Tonini, e per Fli Baldassarri, Urso, Viespoli.
L’autore della «porcata», il leghista Roberto Calderoli. sbeffeggia: «Non può scrivere la legge elettorale chi ha perso le elezioni contro chi le elezioni le ha vinte. Al ministro, che sostiene come il «Porcellum» sia figlio «della riforma di 55 articoli della Costituzione», il Pd Bressa ricorda che «è figlia di un colpo di mano dell’allora maggioranza che l’ha dettata con un sub-emendamento».

l’Unità 7.10.10
Il barometro di Bersani segna bel tempo «Si apra una stagione breve di transizione»
Il segretario del Partito democratico ieri a Viareggio ha parlato anche della candidatura di Montezemolo. «La legge elettorale non la fa un partito da solo, bisogna discutere con gli altri. E noi siamo disponibili».
di Vladimiro Frullatti


Rifiuta di rispondere per le rime al Vendola che descrive (anche se poi fa un mezzo passo indietro) i dirigenti Pd come «anime morte»: «non userò mai – spiega Bersani una parola meno che amichevole o amorevole verso tutti quelli, Vendola compreso, che devono dare una mano a una battaglia comune», cioè costruire l’alternativa all’attuale governo. Non boccia l'idea (di Bettini) di Montezemolo come «Papa straniero» per il centrosinistra: «Qualsiasi cosa, anche la più fantasiosa – dice con un mezzo sorriso – ve bene pur di battere Berlusconi». Ma, soprattutto, appare fiducioso sulle possibilità che venga cambiata la legge elettorale. Le preoccupazioni del segretario Pd riguardano il Paese. Il non governo di Berlusconi con la continua altalena tregua-scontro con i finiani e lo «spettacolo disdicevole» della pace fra Bossi e Alemanno a polenta e pajata. E gli assalti alle sedi Cisl, atti che Bersani condanna avvertendo che «stiamo arrivando a un livello di guardia» e che «tira una brutta aria».
Il barometro segna bel tempo, secondo Bersani, invece sulla possibilità che in Parlamento si possa mettere insieme una maggioranza per cancellare la «porcata». Le nuvole del resto hanno abbandonato il cielo di Viareggio quando, nel primo pomeriggio il segretario del Pd arriva al convegno della Legautonomie sul federalismo fiscale. Davanti ai tanti sindaci e amministratori (in prima fila il presidente della Toscana Enrico Rossi e il sindaco di Pisa, nonché presidente di Legautonomia, Marco Filippeschi e il segretario del Pd toscano Andrea Manciulli) attacca il «federalismo delle chiacchiere» e annuncia una proposta Pd per una vera riforma federale e fiscale che metta al centro la lotta all’evasione («niente ambulanza a chi non paga le tasse»). Coi giornalisti invece Bersani mostra la propria soddisfazione perché il tema «legge elettorale» ora finalmente è iscritto nell'agenda della politica italiana. «Dopo mesi che lavoriamo perché il tema venga fuori e cominci a camminare – spiega Bersani , mi pare che stia succedendo qualcosa». Un gruppo trasversale (Pd, Pdl e Fli) di parlamentari ad esempio propone il sistema maggioritario uninominale. Bersani dice che il Pd la sua proposta l’ha decisa in assemblea nazionale (maggioritario uninominale a doppio turno), ma aggiunge che «la legge elettorale non la fa un partito da solo, bisogna discutere con gli altri. E noi siamo assolutamente disponibili».
Del resto l’obiettivo è evitare di andare a votare col Porcellum, una legge «vergognosa» che consente a chi prende solo il 34% dei voti di poter eleggere il Capo dello Stato. «Va cambiata prima delle prossime elezioni» scandisce Bersani, che sulla data del voto non si lascia andare a previsioni, ma ripropone l’idea che il dopo Berlusconi possa essere affrontato con una breve stagione di transizione che metta al primo posto, appunto, la riforma della legge elettorale.

l’Unità 7.10.10
Sinistra, il partito che non c’è
di Lidia Ravera


Un fantasma si aggira per l’Europa: lo sconfittismo di sinistra. Non si tratta soltanto di un calo generalizzato dei consensi(sono in perdita i partiti europei del PSE, salvo poche eccezioni. È eroso dalle risse interne e fragile il centrosinistra italiano), quanto di una persistente malinconia politica. Come se certi princìpi, eguaglianza solidarietà centralità del lavoro eccetera, fossero da archiviare come modelli buoni per le passerelle del passato. Strano, no? Voglio dire: la crisi economica e finanziaria, l’aumento della disoccupazione, la precarietà, i tagli al wellfare, la crescita delle diseguaglianze, l’aumento delle povertà e l’assenza di mobilità sociale dovrebbero portare, a un rilancio degli “ideali” della sinistra, più per necessità che per virtù. Mai come in questo momento s’avrebbe bisogno di un solido robusto e coeso grande partito di opposizione alle derive e ai guasti del sistema capitalistico. Non tanto per dare ricovero agli orfani degli antichi ideali, gente non più giovane (e quindi da rottamare secondo l’etica consumista), quanto per dare una speranza a disoccupati, maloccupati, cassintegrati, precari della scuola del terziario e dell’industria, operai ricattati da Marchionne, insegnanti malpagati, donne costrette al ruolo di ammortizzatori sociali, mamme senza servizi e quindi senza diritto al lavoro, risparmiatori fregati dai giocolieri della finanza, cittadini oberati dal costo dell’economia illegale (appalti truccati, sprechi lottizzati..), migranti sfruttati & perseguitati. Avrebbe una base davvero estesa, un ipotetico Grande Partito di Sinistra. Potrebbe lottare perché l’acqua resti un bene comune e non si buttino soldi nel rischioso nucleare... potrebbe, se nascesse...Invece, nella Modesta Sala Parto della Storia, è nato, con violenza, con taglio cesareo (e sappiamo tutti Cesare chi è), un altro par-
tito di destra. Il Fli.

Corriere della Sera 7.10.10
Il «manifesto futurista» piace a sinistra Firmano Cacciari, Marramao e Borgna
Iniziativa a Milano il 25 ottobre. Granata: Fini attrae gli intellettuali
di Alessandro Trocino


ROMA — Citazioni di Hannah Arendt, Nietzsche, Spinoza, Pintor e Calamandrei. Gnosticismo diffuso, in passaggi come «arteriosclerosi ideologica della ripetizione infeconda», «metamorfosi come patire attivo», «investimento sulla paideia». Ecco il «Manifesto di Ottobre», rivoluzione «futurista» che vuole spezzare «il grande silenzio» evocato da Alberto Asor Rosa e rianimare gli intellettuali per rendere «irreversibile la formazione di un nuovo soggetto pericoloso». Il manifesto-appello sarà presentato a Milano il 25 ottobre. Tra chi è stato chiamato nel gruppo (anche se non tutti hanno lavorato al manifesto) ci sono vecchie conoscenze della destra — come Franco Cardini, Peppe Nanni, Umberto Crotti e Angelo Mellone —, ma anche insospettabili esponenti dell’intellighentzia di sinistra: dal già ultra veltroniano Gianni Borgna all’irrequieto Massimo Cacciari, dall’antropologo Franco La Cecla al filosofo Giacomo Marramao.
Tutti insieme appassionatamente e trasversalmente, compresa la storica del teatro Monica Centanni e Costanza Messina, giovane direttrice del festival del Paesaggio, chiamata forse a decrittare «il sommovimento geologico delle categorie». Il manifesto non sarà quello ufficiale del partito, ma uno sforzo voluto dal Forum delle Idee, da FareFuturo e Libertiamo, le tre fondazioni di impronta finiana. Fabio Granata — presente al seminario di ieri insieme a Flavia Perina e Benedetto Della Vedova — è entusiasta: «Sarà un manifesto del patriottismo repubblicano. Un appello trasversale che unisce chi è affascinato da Fini».
Giacomo Marramao, studioso del marxismo, era assente però ci sta: «Ho sempre militato a sinistra, ma sono attento verso quello che avviene nell’area finiana. Lavorare al di là degli schieramenti tradizionali è un modo per lasciarsi alle spalle un passato tragico di divisioni». Nella fascinazione per la «rivoluzione futurista», c’è anche la delusione verso «la sinistra»: «I partiti a un certo punto hanno ritenuto di essere autosufficienti: gli intellettuali, ritenuti non controllabili, sono stati guardati con sospetto». Massimo Cacciari — che non ha visto il manifesto, ma solo accolto l’invito al convegno milanese — è d’accordo: «Tutte le iniziative che rompono gli steccati sono utili. Vedo un positivo rinnovamento negli equilibri politici. Nel ’900 c’è stata una grande cultura di destra. E poi sarebbe una novità che un partito tenesse in considerazione quel che dicono gli intellettuali e non li usasse solo per la propaganda». La Cecla spera che questo «think tank rimanga indipendente da Futuro e libertà»: «Io ho rischiato la galera e la carriera universitaria e non sono mai stato difeso né a destra né a sinistra. È la cultura che cambia un Paese. Speriamo che la politica finalmente se ne accorga».

Corriere della Sera 7.10.10
Frenata sulla crisi e nuovi scenari I Democratici riallacciano il dialogo
Bersani e D’Alema vedono Gianni Letta. Ipotesi Camera per l’ex premier
Montezemolo? Tutte le idee, anche le più fantasiose, per battere il Cavaliere hanno cittadinanza
di Maria Teresa Meli


ROMA — Mattina del 5 ottobre, l’auto di Massimo D’Alema scalda i motori sotto l’abitazione del presidente del Copasir nel quartiere romano di Prati. Una decina di minuti e la macchina arriva sotto la sede del Pd, a via sant’Andrea delle Fratte. Al partito c’è Pier Luigi Bersani, reduce da un «tour» siciliano. Poco dopo i due entrano in un palazzo di largo del Nazareno, dove ci sono alcuni uffici della Mediaset e dove è solito fare tappa, quando è nella Capitale, Fedele Confalonieri. Varca quel portone anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. L’incontro dura quanto basta per un giro d’orizzonte sui temi oggi sul tappeto.
Il barometro della politica italiana da un paio di giorni indica che la legislatura potrebbe durare: normale, quindi, che maggioranza e opposizione si confrontino. Letta, mediatore per vocazione, è contrario al voto. I dirigenti del Pd non hanno mai nascosto la loro opinione sull’opportunità di andare subito alle elezioni anticipate. Bisogna prima cambiare la legge elettorale. E comunque, più si va avanti, più si allontana l’ipotesi della candidatura alla premiership del centrosinistra di Nichi Vendola. Ipotesi che i big del Pd vedono come fumo agli occhi anche perché, inevitabilmente, spaccherebbe il partito tra i contrari e i favorevoli.
Di carne al fuoco ce n’è tanta. C’è la questione del lodo Alfano. L’Udc, a determinate condizioni, potrebbe votarlo. E il Partito democratico, pur non dando il suo assenso, potrebbe non alzare le barricate contro una simile riforma costituzionale? E ancora, c’è il problema della presidenza della Camera. Silvio Berlusconi, nonostante i toni più concilianti, punta ancora alle dimissioni di Gianfranco Fini. Lo stesso leader di Futuro e libertà, del resto, sta meditando questa scelta, come gli ha consigliato uno degli intellettuali a lui vicino, Alessandro Campi. Il capo dello Stato, qualche giorno fa, ha definito «una novazione» quella di un presidente della Camera che fa un partito durante il suo mandato. Ma Giorgio Napolitano, com’è nel suo stile, non fa pressioni e non interviene in alcun modo: si affida alla sensibilità di Fini. In caso di dimissioni quella poltrona potrebbe andare a un esponente dell’opposizione. «Dall’altro ieri — racconta il "democrat" Beppe Fioroni — in molti mi dicono che D’Alema potrebbe succedere a Fini, ma io oltre a questo non so altro».
 Infine, il nodo della legge elettorale, che sta a cuore in modo particolare al tandem Bersani-D’Alema. Ma in questo caso la questione si fa più complessa. Infatti all’interno dello stesso Pd ci sono opinioni diverse. E anche una certa confusione: proliferano sistemi di ogni tipo. In auge, ultimamente, l’ungherese e l’australiano (il primo piace più ai proporzionalisti, il secondo ai bipolaristi): la cosa, com’è naturale, provoca frizzi e lazzi tra i parlamentari del centrosinistra. I veltroniani, comunque, su questo punto sono irremovibili, come spiega Stefano Ceccanti: «Noi siamo indisponibili a votare una riforma che ci riporti al proporzionale». È un messaggio chiaro all’attuale dirigenza del partito. Un messaggio che difficilmente potrà prendersi sotto gamba, visto che la minoranza del Pd ha più di settanta parlamentari. E il loro leader, Walter Veltroni, non crede che alla fine si cambierà il sistema elettorale: «Secondo me finché non c’è una crisi di governo non si muoverà nulla in questo campo, e a me pare proprio che non sia aria di crisi».
Sfumano le possibilità di andare alle elezioni anticipate, ma la situazione è tutt’altro che stabile e potrebbe precipitare. Per questa ragione l’ex braccio destro di Veltroni, Goffredo Bettini, lancia dalle colonne del Riformista questa proposta a titolo personale: Luca di Montezemolo candidato premier di una grande coalizione che vada da Fli al Pd per riportare l’Italia alla normalità dopo l’era berlusconiana. Un’ipotesi che lascia freddo Bersani: «Tutte le idee, anche le più fantasiose, per battere il Cavaliere hanno cittadinanza», taglia corto il segretario del Partito democratico.

Corriere della Sera 7.10.10
Il Vendola privato che conquista (quasi) tutti
Il governatore della Puglia e i suoi coming out
di Maria Laura Rodotà


Nichi Vendola contestualizza meglio di altri. Gay dichiarato da sempre, governa al secondo mandato una regione del Sud. Postcomunista amato dai giovani di sinistra e da vari anziani di destra, vuol fare il candidato premier dell’opposizione ma scapperebbe subito «per adottare un piccolo abbandonato in Kosovo». Cattolico con abitudini antiche (tiene in tasca un rosario di legno e dice «manco Casini»), convive col fidanzato italo-canadese Ed, giovane, bello, metropolitano e creativo, e l’ha portato nella natia Terlizzi, trenta chilometri da Bari. Queste tre coppie di elementi contrapposti possono essere rimescolate: cattolico ma che vuole adottare fuori dal matrimonio, postcomunista nella complessa e apparentemente destrorsa Puglia, aspirante presidente del Consiglio che però fa coming out sulla sua unione di fatto. Anzi no: aspirante presidente del Consiglio che perciò — per presentarsi, tutto intero — fa il suo coming out. E dice: «Viviamo insieme da anni. Siamo una coppia morigerata e tranquilla. Ci piace ricevere amici a cena». Come buona parte delle coppie italiane, di qualsiasi orientamento sessuale, in effetti. Benvenuti a Casa Vendola.
Il padrone di casa ha raccontato il tutto sull’ultimo numero di Chi. «E ha fatto bene, può raggiungere a un sacco di gente e far capire che noi omosessuali facciamo vite normalissime. In Italia ci descrivono sempre come figure borderline, instabili con vite spericolate. Se si parla di omosessuali, si mette sempre accanto una foto di tizi seminudi e truccati al Gay Pride», dice Paola Concia del Pd, unica parlamentare lesbica, anche lei tempo fa intervistata su Chi, e fotografata con la sua fidanzata. Il compagno di Vendola, nel servizio, non appare, e pare non aspiri a fare il First Gay Partner. È attivo nella Fabbrica di Nichi, il comitato elettorale vendoliano; era sul palco con molti altri la sera della vittoria alle regionali. D’estate vanno al mare in Salento, a volte cenano con Pier Ferdinando Casini e sua moglie Azzurra Caltagirone. «Azzurra stravede per Nichi», racconta un amico.
Non è l’unica. Nel settimanale Mondadori, Vendola viene definito «l’esponente della sinistra più simile al presidente del Consiglio. Per la sua umanità». E l’intervista non è aggressiva: «Governatore, lei scrive poesie e canzoni, vince sul web, confessa la sua omosessualità, trascina i giovani. Presto uscirà anche un film a lei dedicato, Sposerò Nichi Vendola. Insomma, rappresenta il "nuovo"... Chi ha paura di Nichi Vendola?». Quelle che lui chiama le «anime morte» del Pd, probabilmente. In realtà vivi, solo colpiti dall’abilità del presunto ineleggibile (gay, comunista, ecc.) nello sparigliare. Mentre a Roma si parla di elezioni, tra Bari e Terlizzi il presunto di cui sopra espone e disinnesca una per una le cause di i neleggibil i t à. Mostra l’orecchino, parla del «mio amore» che gliel’ha regalato, racconta che vorrebbe adottare, parla di «parità tra uomini e donne nei luoghi di rappresentanza politica». E si fa fotografare in cucina con la mamma (deve essere una cattiveria di Chi, contrapporre in modo subliminale la pacifica cucina Vendola a Terlizzi ai controversi componibili Fini-Tulliani a Montecarlo; poi chissà). Tutto normale, rasserenante; una perfetta ostensione pop del sincretismo vendoliano. Forse un po’ oscurata dal coming out contemporaneo di Tiziano Ferro. Ovviamente seguita da battutacce sul web (l’unica pubblicabile: «Un canadese? Allora sta con Marchionne», ma non è così). Poco notato invece il vero potenziale divo di Casa Vendola, il cane meticcio Fidel, ma potrebbe essere decisivo alle primarie di coalizione, vai a sapere.

l’Unità 7.10.10
I parlamentari Pd a Soru: «Insieme salviamo l’Unità»


Qualcosa di più di un appello per salvare l’Unità. Una lettera rivolta all’editore Renato Soru. Sotto ci sono le firme di oltre cento parlamentari, i capigruppo e i vicecapogruppo del Pd di Camera e Senato. Anna Finocchiaro e Dario Franceschini. E poi tanti altri, deputati e senatori democratici, che ancora si stanno aggiungendo. «Abbiamo appreso con preoccupazione dell’intenzione di chiudere dal prossimo 15 ottobre le cronache locali della Toscana e dell’Emilia Romagna», scrivono i parlamentari
del Pd. «Oltre che mettere a rischio tredici posti di lavoro, abbiamo il timore che tale decisione possa rendere incerto lo stesso futuro de l’Unità, al di là delle stesse intenzioni dell’editore», avvertono: «Ci risulta infatti che Toscana ed Emilia sono le regioni in cui l’Unità ha la maggior parte delle vendite, degli abbonamenti e della pubblicità».
Il contenuto del loro messaggio è molto chiaro: «Chiediamo all’editore Renato Soru la sospensione della decisione annunciata, anche di fronte all’impegno concreto e immediato a sostegno del quotidiano che si è registrato in Toscana e in Emilia Romagna da diversi soggetti sociali e politici. Il mantenimento di una data così prossima prevista per la chiusura delle due redazioni regionali, com’è il 15 ottobre, oltre a rendere vano lo sforzo di coinvolgere altri soggetti nel sostegno al giornale, impedisce di cercare soluzioni che consentano la continuità del lavoro delle redazioni». Un intervento il loro sottolineano «dettato unicamente dalla consapevolezza dell’importanza che rappresenta una testata storica come l’Unità», e dalla preoccupazione che «un suo ridimensionamento possa privare di una voce importante il dibattito politico» nel Pd e nel centrosinistra».

Repubblica 7.10.10
Il prof dell’Università che nega le camere a gas
di Marco Pasqua


Il negazionismo sulla Shoah torna in cattedra. Una delle pagine più buie della storia dell´Uomo, riscritta seguendo le orme di chi nega l´esistenza delle camere a gas o chi contesta i dati dello sterminio messo in atto dai nazisti. Tocca a Claudio Moffa, professore ordinario presso la Facoltà di Scienze politiche dell´università di Teramo, dare spazio alle tesi revisionistiche durante una lezione choc.
«Non c´è alcun documento di Hitler che dicesse di sterminare tutti gli ebrei», dice Moffa, parlando agli studenti dell´università abruzzese.
È il 25 settembre scorso, e nell´aula 12 della Facoltà di scienze politiche, Moffa tiene l´ultima lezione del master "Enrico Mattei in vicino e Medio Oriente", di cui è coordinatore. L´ora e mezza di lezione viene ripresa con una telecamera, e il video è pubblicato sulle pagine web del docente, sulle quali appaiono frequentemente articoli in difesa della libertà di espressione, fatta coincidere con la libertà di negare l´Olocausto. Tra i professori del suo master figurano anche famosi storici negazionisti: è il caso di Serge Thion e di Robert Faurisson. Quest´ultimo venne invitato da Moffa a tenere una lezione all´università abruzzese già nel 2007, tra le proteste della comunità ebraica, e dello stesso Rettore dell´epoca. Lezione cancellata, polemiche, e una petizione-appello contro la presenza dei negazionisti nelle università italiane. Moffa, però, non si è fermato e ha continuato a divulgare le sue tesi.
Il titolo della lezione del 25 settembre lascia chiaramente intuire come verrà sviluppato l´argomento: «Il tema-tabù del mondo accademico, la questione della Shoah, della difesa del suo dogma da parte della Inquisizione del III millennio». Quanto alle camere a gas, il docente cita un´intervista videoregistrata a Faurisson, in cui il negazionista arriva a contestare l´uso del Zyklon B per sterminare gli ebrei: «L´edificio che viene mostrato ad Auschwitz è un edificio che non ha nessuna delle caratteristiche tecniche atte ad essere stato una camera a gas. Il Zyklon B veniva usato per disinfestare gli abiti dei reclusi». Moffa nega anche il dato dei sei milioni di ebrei sterminati, un «numero con una valenza cabalistica. Non si capisce perché lo si debba sempre ripetere. Una cifra ormai ampiamente messa in discussione».
Il professore si spende anche per la difesa dei colleghi accusati di revisionismo. A cominciare dal professor Roberto Valvo, del liceo di via di Ripetta (accusato di aver detto che «la Shoah è stata una montatura»): «Come ai tempi dell´Inquisizione, non è concepibile che chi, argomentando o comunque parlando al bar o facendo una battuta in un consiglio di classe dice "non credo a questa cosa" venga sanzionato. Questo tipo di linciaggio e persecuzione è qualcosa di assolutamente inconcepibile».
Duro il giudizio dell´Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, tramite il presidente, Renzo Gattegna: «Mettere in dubbio o negare la Shoah significa offendere la memoria delle vittime. Invito queste persone a visitare lo Yad Vashem e a studiare la documentazione che là è depositata».

Repubblica 7.10.10
La solitudine degli editori italiani "Nessun aiuto, ci hanno abbandonato"
Alla Buchmesse presentati i dati del nostro Paese "La gente legge ma compra meno e il Governo non ci aiuta"


Ultime voci sul toto Nobel: favoriti McCarthy e Ngugi L´ungherese Nádas possibile outsider

FRANCOFORTE. Gli editori italiani si sentono abbandonati, addirittura "borseggiati" dal governo. Non era mai successo alla tradizionale conferenza stampa d´apertura della Buchmesse che gli italiani criticassero i responsabili del governo con tanta durezza come ha fatto ieri Marco Polillo, presidente dell´Aie, l´associazione degli editori. «Non posso che denunciare una totale indifferenza», ha detto. Polillo è persona mite e di gran tatto, come gli ha riconosciuto subito dopo il sottosegretario alla Cultura Francesco Maria Giro, e tanto più eclatanti sono apparse le sue accuse. Il momento è difficile: nel 2009, il giro d´affari dell´editoria ha registrato un calo del 4,3 per cento. Un dato grave, in un mercato librario che vale 3,4 milioni di euro. Sono crollate le vendite di libri in edicola (- 30%) e quelle rateali (- 20). E l´aumento del 2% delle vendite in libreria non è certo bastato a compensarle. Invece di dare una mano, il governo ha preparato agli editori un catastrofico pesce d´aprile: così fu definito dallo stesso premier agli editori sbalorditi che avevano chiesto un incontro dopo che un decreto inaspettato il primo aprile aveva abolito le tariffe postali agevolate per gli editori. La spedizione di un pacco era salita da 1 euro a 7, con un aggravio totale di 40 milioni. Il governo promise di porre immediatamente riparo. Ma le cose sono rimaste com´erano.
L´elenco delle doléances degli editori è lungo: si va dagli intoppi burocratici che hanno bloccato un progetto di 3 milioni di euro per rendere il libro più accessibile ai non vedenti. Per non parlare del "silenzio inerte" del nostro governo a Bruxelles su un punto cruciale come quello dell´Iva sugli e-book, tassati al 20% come qualsiasi prodotto elettronico, mentre l´Iva sui cartacei in Italia è al 4 (lo 0 % in Gran Bretagna e in Polonia, il 7 in Germania). La questione dell´Iva sugli e-book è "scandalosa", conferma Riccardo Cavallero, direttore generale di Libri Trade Mondadori. E pazienza se di Mondadori il premier Berlusconi è l´editore (non "editore", "proprietario", precisa Cavallero). Scandalosa, dice, perché permette la concorrenza sleale sugli e-book a società come Amazon o Apple che hanno messo le loro sedi in Lussemburgo dove pagano un´Iva al 12 per cento. Per ora il giro di affari in Italia non supera il milione di euro ma entro Natale Cavallero prevede una esplosione e a quel punto, se la distorsione non sarà sanata, converrà non solo a Apple e Amazon spostarsi in Lussemburgo. Sugli e-book gli editori italiani puntano come sullo strumento che salverà la lettura. Un terzo ha già cominciato a offrire i suoi testi, che al momento sono 3200 (in Germania 30.000) e i titoli si moltiplicheranno nei prossimi mesi. La passione per i gadget elettronici farà sì che gli italiani leggeranno più libri, sostiene, o spera, Alessandro Bompieri, nuovo amministratore delegato della Rcs libri. E se servissero solo a guardare i cartoon o le guide di viaggio, un genere particolarmente adatto agli e-book? Ma forse i giovani salveranno il mercato. Quello che succede negli Usa finisce sempre per ripetersi da noi, dice Bompieri, e lì già il 25 per cento dei ragazzi tra i 6 e i 16 anni ha letto un libro digitale.
La lieve ripresa del mercato editoriale nei primi mesi del 2010 dà comunque qualche speranza anche per i cartacei; e nonostante i minori libri venduti, nel 2009 ci sono stati 800mila nuovi lettori. E dà speranza anche l´accresciuto interesse per i nostri titoli all´estero testimoniato a Francoforte. Bompiani esulta non solo per il successo di Eco, il cui nuovo romanzo è stato venduto in 30 paesi, dal Brasile alla Turchia agli Usa, ma anche per Acciaio dell´Avallone (Penguin Usa e altri 8 paesi), De Carlo, Carofiglio, Cotroneo. Anche Pennacchi e il nuovo Piperno (Persecuzione, uscirà a fine mese) sono stati acquistati con entusiasmo. E Newton Compton, a due ore dalla presentazione del romanzo dell´esordiente non ancora trentenne Lorenza Ghinelli, Il Divoratore, che la casa editrice definisce un miracolo di lingua e efficacia stilistica, lo ha venduto in Francia, in Inghilterra e in America Latina. Intanto anche qui arriva l´ultima eco del toto Nobel. Il premio, che sarà annunciato oggi, vede ancora super favoriti dai bookmaker McCarthy e Ngugi. Con l´incognita dell´outsider ungherese Péter Nádas.

Corriere della Sera 7.10.10
L’attenzione di Pechino per Roma (distratta)
di Marco Del Corona


La visita in Italia Oggi il premier cinese Wen Jiabao è a Roma per la sua seconda visita ufficiale in Italia: incontra Napolitano e Berlusconi

I leader cinesi cominciano a dimostrarsi degli habitué dell’Italia. Oggi il premier Wen Jiabao sbarca a Roma (secondo viaggio dopo quello del 2004), l’anno scorso era toccato al numero due della gerarchia di Pechino, il presidente del parlamento Wu Bangguo, e quindi al capo del Partito comunista (e dello Stato) Hu Jintao. La frequenza dei viaggi è un segno dell’attenzione che la seconda economia del mondo riserva all’Italia, e ci sono ricorrenze da celebrare. È il 40° anniversario delle relazioni diplomatiche fra i due Paesi e si apre l’anno della Cina in Italia. A fine mese, poi, sarà il presidente Giorgio Napolitano a visitare la Repubblica Popolare, Expo di Shanghai inclusa.
Si parlerà di economia, oggi. Si firmerà un accordo strategico triennale per dare un nuovo impulso al Comitato governativo bilaterale. Si discuterà — a maggior ragione dopo le tre vittime nell’alluvione — anche di Prato, come aveva anticipato la scorsa settimana la viceministro degli Esteri, Fu Yin, rispondendo al Corriere: una città le cui tensioni sono ben presenti alla diplomazia cinese, anche se «noi raccomandiamo ai nostri connazionali di rispettare le leggi e adeguarsi ai costumi locali». Soprattutto l’Italia con la visita di Wen può provare a far fruttare sul piano politico la simpatia nei confronti del nostro Paese che la dirigenza cinese non manca di sottolineare. Qualche margine per capitalizzare l’occasione c’è, secondo Zhang Pei, del Centro di Studi Europei dello Shanghai Institute of International Studies: «Coltivando il rapporto con la Cina — dice — l’Italia può guadagnarci anche incrementando la sua influenza e il suo peso nella Ue. Provando, tra i partner europei, a farsi ponte con la Cina e portare valore aggiunto a tutti i Ventisette».
Per ora il rapporto pare asimmetrico. Diplomazia e investimenti: Pechino sembra riservare a Roma più cura di quella che Roma riserva a Pechino. «La Cina ha le forze e, forse contrariamente a noi, la determinazione per concretizzare la sua attenzione sul piano pratico. Sa molto bene — spiega Franco Cutrupia, presidente della Camera di Commercio italiana in Cina — quale sia il nostro peso al centro del Mediterraneo e come accesso alla Ue». Come prova dell’asimmetria si può leggere il fatto che alle visite dei numeri uno, due e tre del Politburo in meno di due anni l’Italia contrappone una presenza meno intensa. In questa legislatura Silvio Berlusconi è stato sì a Pechino due anni fa, ma nel contesto del summit Asem (anche se ha avuto incontri con i vertici); il ministro degli Esteri, Franco Frattini, è stato soltanto presente all’apertura dell’Olimpiade (l’ultimo titolare della Farnesina in visita di Stato fu Massimo D’Alema nel 2006, dopo il viaggio del premier Romano Prodi); il sottosegretario competente per l’Asia, Stefania Craxi, e i presidenti dei due rami del Parlamento non sono mai venuti. Tuttavia non sono mancate missioni di altri membri del governo e comunque, rassicura Zhang Pei, «l’importanza dei rapporti bilaterali non si giudica dalla frequenza delle visite».
La asimmetria, e quindi la necessità di risistemare gli equilibri, appare anche a chi in Cina investe e lavora. «Si assiste a un’inversione di tendenza», riconosce Massimo Roj, amministratore delegato dello studio di architettura Progetto Cmr (e presidente di una società cinese collegata) che nel 2010 ha raggiunto il milione di metri quadri edificati in Cina: «Dieci anni fa l’Italia era attratta da questo Paese, 5 anni fa s’è toccato il picco. Adesso, dopo qualche batosta, stiamo tornando indietro e sono i cinesi che vengono da noi. Noi scontiamo una visione limitata e italocentrica, loro hanno uno sguardo globale, si muovono su più Paesi. Però anche se non abbiamo la massa critica di Francia e Germania, possediamo fantasia, e nicchie da allargare».
I dati economici mostrano un interscambio sui 31 miliardi di dollari nel 2009, per due terzi dato dall’import dalla Cina. L’Italia è il 15° partner commerciale della Repubblica Popolare che è, dopo gli Usa, il secondo Paese non europeo in cui sono più presenti imprese italiane (sul migliaio). E nella Ue, nessuno ha rilasciato più visti turistici a cinesi (125 mila, stima per il 2010). Ma l’asimmetria strategica emerge persino qui, se gli unici collegamenti aerei diretti sono assicurati non da Alitalia ma da Air China. L’Italia sconta uno scarto mentale che inibisce scelte politiche coraggiose, suggerisce Airaldo Piva, amministratore delegato di Hg Europe, società che fa capo alla holding cinese Hengdian, con interessi dal tessile agli ospedali agli studios cinematografici. Premiato come «amico della Cina» per la festa nazionale del 1° ottobre, Piva ammette che «la Cina cerca di conoscere l’Italia, mentre noi vediamo la Cina come via Paolo Sarpi, Prato, il Paese che copia. Rispetto ai politici di altri Paesi, i nostri viaggiano poco qui; gli imprenditori, invece, capiscono presto che la Cina va oltre gli stereotipi, ma spesso non sono attrezzati, perché questo Paese obbliga a mettere in discussione il proprio prodotto e la propria organizzazione. La chiave? Scambi culturali, interrelazioni, conoscenza, cominciando dalle nuove generazioni». Può capitare dunque che a cogliere lo spirito del tempo, o del luogo, siano esperienze più piccole. Benetton Group e Fabrica, ad esempio, si sono rivolti a un giovane studio di Milano — AL14 di Giovanna Colombo, Luca Dinelli e Marco Sala — per curare la tecnologia delle vetrine di due negozi a Pechino e Shanghai, lavagne interattive a disposizione del pubblico: «Un progetto nato in Italia — dice Sala — che si è voluto mantenere italiano anche nella realizzazione in Cina. Perché garantiamo una resa e un livello che ancora lì non si trovano».
Altrove restano resistenze che rischiano di compromettere la possibilità di cogliere le chance della visita di Wen Jiabao. Il vicepresidente italiano della Camera di Commercio europea in Cina, Davide Cucino, avverte: «Il nostro Paese continua ad avere interesse per la Cina, però contemporaneamente la teme, e così intraprendiamo spesso strategie sbagliate. La visita di Wen rappresenta soprattutto l’ennesima opportunità che l’Europa ha per incrementare l’armonia tra le due parti. La Cina ha bisogno di una maggiore presenza europea nel Paese e l’Europa ha bisogno di maggiore considerazione da parte della Cina. Purtroppo ragionare in termini di politiche nazionali anziché tracciare una strategia europea penalizza tutti, soprattutto l’Italia che nei rapporti economici con la Cina già rincorre molti dei suoi partner dell’Unione». Arriva Wen, l’Italia alzi lo sguardo.

Avvenire 7.10.10
E Gödel fa i conti con Anselmo
Il grande matematico austriaco riscrisse, con le armi della logica, la prova ontologica dell’esistenza di Dio Una sfida per la teologia
di Roberto Timossi

Una delle più grandi menti del XX secolo è sicuramente quella del moravo Kurt Gödel (1906-1978).
Nato nell’odierna Brno, la vita di Gödel, come per altro quella di molti geni, fu piuttosto tormentata e dominata da quello che è stato chiamato 'il male di vivere'. Fin da giovane si dimostrò brillante negli studi, ma lungo il corso della sua esistenza dovette spesso combattere contro la depressione. Nel 1926 fu tra i frequentatori del Circolo di Vienna e in questo vivace ambiente culturale neopositivista maturò definitivamente la sua vocazione nei confronti della ricerca logico-matematica. Mai scelta risultò più azzeccata visto che già nel 1931, a soli venticinque anni, esponeva in un celebre articolo i presupposti dei suoi teoremi di incompletezza destinati a sconvolgere tutte le teorie logico-matematiche elaborate fino a quel momento. Se di Gödel sono molto noti i rivoluzionari contributi alla teoria logico-matematica, meno noto è il fatto che formulò una sua rielaborazione della prova ontologica di sant’Anselmo di Aosta, ossia di quella dimostrazione logica che ritiene di poter inferire l’esistenza di Dio a priori, partendo dal concetto che abbiamo di lui. Del resto, fino al 1987 la prova ontologica gödeliana era nota esclusivamente a pochi amici dell’autore ed è inoltre rimasta a lungo tra le sue carte inedite. Su questo tema è ritornato di recente David P. Goldman (un redattore capo che dichiara di collocarsi in una prospettiva giudaico-cristiana) sulla prestigiosa rivista First Things, facendo un rapido riassunto del dibattito apertosi in filosofia sulla cosiddetta 'prova a priori' e avanzando alcune osservazioni critiche. Goldman rileva innanzitutto come la scoperta dell’impossibilità di fare della matematica un sistema formale in sé compiuto quale conseguenza dei teoremi di incompletezza conduca lo stesso Gödel a concludere che noi non possiamo conseguire un credibile approccio con la realtà senza la presenza di Dio. Dopo aver infatti tentato nel 1949 di prospettare una soluzione originale delle equazioni della teoria generale della relatività del suo amico Albert Einstein sulla base dell’ipotesi di un universo in rotazione su se stesso, dopo aver cioè proposto una descrizione logica del cosmo, Gödel sancì che pure così al 'sistema' continuava a mancare qualcosa di essenziale: la ragione dell’esistenza del mondo secondo un ordine logico-matematico. E la soluzione di questo problema poteva venire soltanto da una dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio, ossia dalla necessità logica della presenza di un ente che assommi in sé tutte le qualità positive. È dunque da presupposti sia logici sia esistenziali che è scaturita nella mente di Gödel l’esigenza di concepire una nuova prova ontologica modale. Ma, come nota correttamente Goldman, il Dio di Gödel non è né la divinità benevola della vecchia teologia naturale né il perfetto armonizzatore dei seguaci del disegno intelligente, dal momento che egli cela totalmente il proprio volto nel mondo e può essere colto soltanto nel paradosso e nell’intuizione razionale.
Nonostante ciò, Dio non è un’astrazione perché «può agire come una persona» ed è quanto constata facilmente chi come Gödel lo cerca nel paradosso.
Chi si imbatte nella prova ontologica di Gödel difficilmente riesce a non provare nello stesso istante ammirazione e sconcerto: ammirazione per il rigore logico della dimostrazione; sconcerto per l’arditezza della prova. Si tratta, infatti, di un teorema logico costituito da ventotto passaggi e strutturato con formule ben formate di logica simbolica (accompagnate da alcune annotazioni piuttosto scarne dell’autore), la cui conclusione equivale alla seguente perentoria affermazione: «Dio esiste necessariamente, come volevasi dimostrare». La ritrosia dell’autore a renderla nota la dice lunga sui pregiudizi del suo ambiente universitario contro fede religiosa. Come ricorda sempre Goldman riportando le parole di Adele, la moglie di Gödel, «sebbene non andasse in chiesa era religioso e leggeva la Bibbia a letto ogni domenica mattina». Non manifestava pubblicamente le sue convinzioni religiose perché temeva di risultare ridicolo, visto che – come scriveva alla madre nel 1961 – «il novanta percento dei filosofi contemporanei considerava loro principale dovere espellere dalla testa degli uomini la beatitudine religiosa». Trattando della prova a priori dell’esistenza di Dio nel mio libro intitolato Prove logiche dell’esistenza di Dio da Anselmo d’Aosta a Kurt Gödel (Marietti), ho osservato che una dimostrazione di questo tipo può essere accolta se si accetta una qualche forma di platonismo delle idee o delle essenze per cui i concetti sono dotati di una realtà oggettiva.
Con questa tesi pare concordare anche David P. Goldman, il quale lascia intendere che Gödel in matematica era un 'platonista', ovvero aderiva alla posizione di chi ritiene che i numeri e le funzioni matematiche non sono una mera 'costruzione' del nostro intelletto, ma possiedono una realtà propria. A detta di Goldman, tuttavia, la sfida maggiore lanciata dal pensiero religioso di Gödel è rivolta non ai matematici, bensì ai teologi, che lo hanno fino ad ora volutamente evitato forse perché si tratta di una sfida troppo impegnativa.
Il teorema si chiude con un perentorio: «Dio esiste necessariamente, come volevasi dimostrare». Però fu pubblicato postumo, perché il genio di Brno temeva i pregiudizi degli altri scienziati