domenica 31 ottobre 2010

Repubblica 31.10.10
Bersani: "Il premier si dimetta mette a rischio la dignità del Paese"
di Alberto D’Argenio


ROMA - Opposizione compatta nel chiedere le dimissioni del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Motivazione: la telefonata del premier alla questura milanese per far rilasciare la minorenne Ruby costituisce un «intollerabile abuso di potere». Non usa mezzi termini il segretario del Partito democratico Pierluigi Bersani, secondo il quale «le notizie che emergono da Milano ci dicono una cosa chiara: Berlusconi non può stare un minuto di più in un ruolo pubblico che ha indecorosamente tradito». Il numero uno del Pd sottolinea che «l´Italia ha una dignità che non può essere messa a repentaglio davanti al mondo» dai comportamenti del suo primo ministro. E poi, aggiunge, il Paese ha una serie di problemi che «devono essere finalmente affrontati in un clima di serietà e di impegno. Ormai il tempo è finito. Bisogna aprire una fase nuova».
Il vice segretario Enrico Letta guarda al gruppo dei finiani quando dice: «Ci aspettiamo che gli alleati stessi del presidente del Consiglio vadano a voltare pagina perché dopo questa vicenda le cose non possono restare così». Anche se, aggiunge, le dimissioni «dovrebbero essere una cosa naturale» per chi telefona alla questura chiedendo il rilascio di una persona fermata per furto e oltretutto espone il Paese «al ludibrio globale». E a chi gli chiede se il Pd presenterà una mozione di sfiducia, Letta risponde: «Ragioneremo sul da farsi». Il capogruppo democratico, Enrico Franceschini, bolla la vicenda della telefonata a via Fatebenefratelli come «un intollerabile miscuglio di menzogne e reati inconciliabili con il ruolo di premier». Quindi chiede al ministro dell´Interno, il leghista Roberto Maroni, di «riferire immediatamente al Parlamento» su quanto successo la notte del 27 maggio. Per il numero due dei senatori pd Luigi Zanda, Berlusconi ha commesso un «abuso di potere». Riferendosi poi al fatto che il Cavaliere abbia giustificato la necessità del rilascio della giovanissima Ruby dicendo alla questura che si trattava della nipote del presidente egiziano Mubarak osserva: «Una menzogna, aggravata dall´averla detta alla polizia e dal fatto che coinvolge un capo di Stato di un grande Paese come l´Egitto, è assolutamente intollerabile e da sola costituisce un motivo per richiedere le dimissioni immediate di Berlusconi».
E come il Pd la vedono i centristi di Pier Ferdinando Casini. Come il Pd anche l´Udc non appoggia la mozione di sfiducia al premier dell´Idv, ma come il Pd anche l´Udc attende le mosse del Fli e intanto ritiene che il Cavaliere debba lasciare Palazzo Chigi. Lo dice il suo segretario Lorenzo Cesa per il quale «le vicende degli ultimi giorni» legate al "Rubygate" dimostrano che «il governo ormai naviga al buio e si occupa di tutto tranne dei problemi degli italiani». Ecco perché occorre aprire al più presto «una fase politica nuova» e per questo chiediamo «le dimissioni del governo». Nell´interesse del Paese e dello stesso centrodestra, aggiunge Cesa, che da questa situazione di «paralisi» non può che uscirne con le ossa rotte. Attacca anche l´Idv quando Antonio Di Pietro dice: «Berlusconi è umiliante, si dimetta. E se non vuole farlo per gli italiani, lo faccia per se stesso, ha bisogno di curarsi prima che sia troppo tardi».

Corriere della Sera 31.10.10
Malessere dei radicali verso gli alleati. L’attacco a D’Alema


ROMA — «Complimenti Massimo D’Alema: hai ordinato e subito ti hanno risposto. Compagno Massimo sei potente, anche il Papa si pronuncia su una tua imbeccata». Marco Pannella, al nono Congresso dei Radicali a Chianciano, attacca l’ex ministro degli Esteri. Ma chiarisce: «Criticare D’Alema non è andare contro il Pd, dal quale non mi voglio staccare». Pannella è al ventottesimo giorno di sciopero della fame e al quarto della sete, un satyagraha per protestare contro la condanna a morte di Tarek Aziz. Ma sono anche altre le «urgenze» radicali: Stato di diritto, anagrafe degli eletti e ripristino delle regole democratiche. Pannella parla di Silvio Berlusconi: «Sta andando verso il baratro, la forza di gravità lo sta portando al disastro finale». La situazione è grave: «Bisognerà salvarlo da piazzale Loreto». Ma è il Pd il centro del discorso. Molti radicali, a cominciare da Marco Cappato, sono insoddisfatti di quelle che Mario Staderini ha definito «pratiche antiradicali». Pannella chiarisce che non vuole la rottura con il Pd, «perché è una vita che ne stiamo parlando». Ma i motivi di insoddisfazione sono molti. Simboleggiati nella figura di D’Alema, criticato per aver chiesto «l’ingerenza della Chiesa, per ottenere una scomunica». E accusato di «inciucio»: «Massimo non è lo stesso nominato tre volte da Berlusconi? Ma lui è sopra tutto».

l’Unità 31.10.10
Caso Ior, quel flusso di milioni spostato da Italia a Germania
di Angela Camuso


Ma dove vanno a finire, da dieci mesi a questa parte, tutti i soldi della Chiesa cattolica, compresi quelli dell’otto per mille? E per quale motivo, a partire da una data, gennaio 2010, cioè da quando Banca d’Italia ha intensificato i controlli antiriciclaggio, nè la farmacia del Vaticano e neppure i celebri Musei depositano più i loro incassi presso i conti aperti dalla Santa Sede nelle banche italiane, soprattutto presso il mega-conto Ior dell’agenzia Unicredit all’ombra del Cupolone, quella di via della Conciliazione, che invece fino al 2009 movimentava qualcosa come 50 milioni di euro in tre giorni? A Paolo Cipriani, il direttore dell’Istituto opere religiose indagato a Roma, com’è noto, insieme al presidente Gotti Tedeschi per violazione delle norme antiriciclaggio, queste domande hanno posto, ripetutamente, durante l’interrogatorio del 30 settembre scorso, il procuratore aggiunto Nello Rossi e il pm Rocco Fava. La guardia di finanza ha scoperto infatti che lo Ior una banca che conta circa 45.000 clienti – ha bruscamente ridotto le sue movimentazioni in Italia, dall’inizio dell’anno, nell’ordine del 90%. E la circostanza è stata confermata dallo stesso Cipriani, che ai pm ha detto che recentemente lo Ior preferisce utilizzare, in luogo delle banche italiane, due istituti di credito di Francoforte (la Deutsche Bank per le rimesse assegni e la Jp Morgan per la liquidità) adducendo motivi strategici ed economici, quali le esose commissioni richieste dalle banche nostrane. Ora, è sulla consistenza o meno di tali motivazioni che gli inquirenti hanno intenzione di vedere chiaro. Anche perché, dalla lettura delle carte finora inedite, c’è un altro dettaglio che rischia di ingarbugliare la posizione di Cipriani. Si è scoperto infatti che fu lo stesso direttore generale dello Ior a comunicare formalmente, con tanto di firma, a Unicredit la falsa identificazione della sedicente signora Maria Rossi.
La donna nel 2009 ha incassato una quarantina assegni provenienti da fondi di San Marino a loro volta movimentati da un avvocato-imprenditore, il tutto su conto intestato a un reverendo cliente Ior che ora si scopre essere monsignor Emilio Messina, nato nel 1940 e residente a Roma, capo dell’Arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche, nonché cappellano presso tre case di cura gestite da religiosi, tutte con sede nella capitale. «Senta, tornando al contante voi ora perché non depositate come prima presso le banche italiane.... Com’è che improvvisamente, da gennaio 2010, non versate più quel contante che invece versavate sempre tutti i mesi presso quella banca?», chiede il pm Fava a Cipriani come si legge sul foglio 43 e seguenti della trascrizione dell’interrogatorio, lunga 88 pagine. «Perché prima c’era molto più contante rispetto adesso, non so come spiegarmi», risponde il banchiere. Il pm incalza: «Ma che cosa è cambiato, dico nelle attività commerciali, istituzionali..avete chiuso gli esercizi, il supermercato?». Ciprani: «No no, io non ho chiuso nessun esercizio, ma ad esempio i musei ricevono molti pagamenti per l’ingresso in via informatica, quindi non c’è più la gente che va lì a versare il contante». Pm: «Ma come si spiega che la farmacia non versa più i 600mila euro in contanti al mese? Oppure li continua a versare e va da un’altra parte?». Cipriani: «No, se versano... portano il contante, noi facciamo la documentazione valutaria, vanno in dogana». Pm: «Dunque lei mi dice che i soldi arrivano con i corrieri direttamente alle missioni. Ma non sarebbe stato più semplice continuare a versare il denaro contante presso Unicredit.... invece voi avete preferito fare un’altra strada, per non fornire informazioni». «No, no, perché per non fornire?... Abbiamo fatto una scelta diversa, questo fa parte anche un po’ della strategia dell’azienda». Pm: «Perché? Perché? Lei non risponde, diciamo, alle domande...». Gli inquirenti stanno cercando di scoprire la provenienza dei soldi movimentati sul conto del monsignore Emilio Messina da Enrico Pennaforti, avvocato civilista di Roma, che sul conto del prelato ha incassato 300mila euro di assegni in un’unica trance. «Il reverendo Messina ha dichiarato che Maria Rossi è madre del signor Pennaforti», è scritto nella nota a firma di Cipriani inviata a Unicredit, dopo che la finanza aveva chiesto alla banca a quale titolo la misteriosa signora, che in realtà si chiama Anna Maria Brunozzi e di Pennaforti non è parente, incassasse assegni Ior. Cipriani ai pm ha ribadito di aver sempre agito in buona fede. Tant’è che lo Ior, appena accortosi di quelle irregolarità sul conto corrente del reverendo, avrebbe avviato un monitoraggio su tutti i clienti: per capire, ha detto Cipriani, «quante fossero le posizioni rischiose come quelle del monsignore».

l’Unità 31.10.10
Una grande corteo di protesta contro la riforma della scuola
Ha percorso le vie di Napoli mettendo insieme docenti, studenti e amministrativi. Alla fine liberati centinaia di palloncini con la scritta “Gelmini vola via”.
di Marco Ventimiglia


La protesta, se non la rabbia, contro una riforma della scuola che appare piuttosto come una procedura fallimentare, ma anche la fantasia, una materia prima che per fortuna a Napoli non è mai mancata. E così, alla fine della manifestazione a cui hanno partecipato in migliaia, si sono liberati verso il cielo centinaia di palloncini colorati, con una scritta eloquente: “Gelmini vola via”. Si è conclusa così nel capoluogo campano, in piazza del Gesù, la manifestazione nazionale dei precari della scuola, che alla prova dei fatti ha raccolto tutte le categorie toccate dal provvedimento governativo, docenti, studenti, personale amministrativo e “semplici” genitori. Un lungo corteo che ha attraversato la città, scandendo slogan contro il ministro dell’Istruzione e contro l’esecutivo. In testa c'erano i disabili dell'associazione napoletana «Tutti a scuola», che a loro volta rivendicano più insegnanti di sostegno.
DA TUTTO IL PAESE
Gli insegnanti sono arrivati a Napoli dalla Sicilia, dalla Puglia, dalle regioni del Nord Italia, oltre che naturalmente dalla Campania, per protestare contro i tagli alla scuola pubblica. «Sono 270 mila i precari iscritti nelle liste a scorrimento delle graduatorie in Italia ha spiegato il segretario nazionale precari della Cgil, Luigi Rossi -. Quest'anno sono stati tagliati 40 mila docenti e 15.600 Ata (acronimo che sta per personale amministrativo, tecnico e ausiliario, ndr). I tagli hanno interessato maggiormente il Sud, ed è per questo che oggi siamo a Napoli, perché proprio in Campania la situazione è complessa».
In totale, hanno aggiunto i rappresentati della Cgil, sarebbero circa 400mila i precari della scuola nel Paese, divisi tra graduatorie docenti e Ata, e considerando anche quelle di istituto sulle quali è impossibile fare un conteggio preciso. «Questa è una battaglia per la liberazione del precariato hanno spiegato i rappresentanti dei docenti precari nella scuola si toccano con mano i risultati della politica irresponsabile del governo che sta distruggendo il sistema pubblico della conoscenza».
RECLUTAMENTO E FORMAZIONE
«Il fatto grave ha aggiunto Rossi è che la media dei neo assunti è di 45 anni, ciò significa che queste persone sono vicine alla pensione. E nei prossimi anni ci aspettiamo gli stessi tagli». Al centro della protesta anche il sistema di reclutamento, non ancora chiarito dal ministero dell' Istruzione, e la formazione per i docenti sulla quale non c'è alcuna risorsa a disposizione. Al centro del corteo, a rivendicare una scuola pubblica senza tagli, c'erano gli studenti. I ragazzi chiedono aule, docenti, istituti a norma, e soprattutto continuità didattica, insomma una scuola di qualità. «Non è solo solidarietà la nostra hanno spiegato gli studenti di UdS e Link siamo consapevoli di combattere la stessa battaglia. Siamo insieme ai precari per il diritto allo studio, il diritto alla continuità didattica, ad un'educazione di qualità».
Una manifestazione di grande protesta e coivolgimento, che però si è svolta in modo tranquillo, senza il minimo incidente, con i partecipanti che una volta giunti in piazza del Gesù hanno ascoltato alcuni rappresentanti dei sindacati Flc Cgil e Fiom, nonché i precari dei coordinamenti.

Repubblica 31.10.10
Se l’insegnante è scelto dal vescovo
risponde Corrado Augias


Caro Augias, sono un insegnante di religione cattolica, colpito dalla scarsa conoscenza che alcuni insegnanti hanno delle norme che regolano questa disciplina scolastica. Gli insegnanti di religione cattolica non sono mai stati pagati dalla Chiesa fin dalla riforma Gentile, perché già da allora si riconosceva a tale disciplina dignità di materia scolastica. Non si capisce perché dalla formazione dell'uomo e del cittadino deve essere esclusa la formazione religiosa, in nome di quale sublime concezione della persona o di quale particolare idea di istruzione. Obietto anche a quanto da lei scritto sull'inutilità di questo insegnamento " spreco di tempo e di danaro ". Uno studioso fuori discussione, Mircea Eliade, annoverava il linguaggio religioso tra quelli fondamentali che, tra l'altro, non vanno confusi con la formazione catechistica o dottrinale, imputabile ad altre agenzie educative. Lei ha trascurato i risultati formativi, non solo cognitivi, che tale disciplina permette di realizzare nella scuola, educando coloro che la scelgono ad essere uomini liberi da qualsiasi concezione fondamentalista ed integralista. I miei alunni la "religione" la studiano ricavandone ampi risultati formativi e didattici. Gli allievi sono numerosi, di variegata provenienza sociale, interessati alla disciplina.
Angelo Michele Pappagallo bivimichele@libero.it

La rubrica sull'insegnamento della religione cattolica ha suscitato qualche dissenso di cui è esempio la lettera del prof Pappagallo. Un altro insegnante, Corrado Stillo ( corradostillo@tiscali.it ), dopo aver reclamato 'maggiore rispetto' per gli insegnanti di religione, scrive: «La religione a scuola non è il catechismo. È cultura necessaria in questa epoca di globalizzazione. L'ignoranza di cui lei parla si può solo colmare con la cultura. Io insegno da 32 anni, il 14 novembre partirò con i miei alunni per Auschwitz. Ci saranno alunni cattolici, mussulmani, ebrei e non credenti». Ho il massimo rispetto (vorrei essere creduto) per chiunque insegni con competenza qualunque materia. La questione infatti riguarda l'istituto non i singoli insegnanti. In primis trovo improprio che la 'religione' venga considerata 'materia scolastica' come la matematica o il latino. Più grave il fatto che lo Stato abbia appaltato alla Chiesa un insegnamento. Non importa che si tratti o no di catechismo, importa che gli insegnanti sono scelti dal vescovo e che dal suo gradimento, dal suo controllo perfino sulla loro vita privata, dipenda la conservazione della cattedra. L'insegnamento diventa in pratica l'estensione della catechesi, comunque non può discostarsi dal dogma; la Costituzione garantisce invece (art. 33) che "l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento". Lì è il punto.

Repubblica 31.10.10
Immigrati, corteo per i permessi scontri a Brescia con la polizia


MILANO - Un corteo a sostegno degli immigrati finito con qualche scontro, un arresto e con alcuni manifestanti saliti su una gru, a 25 metri d´altezza, per issare uno striscione con la scritta "sanatoria", per chiedere la regolarizzazione di chi ha fatto domanda lo scorso anno. Ieri pomeriggio a Brescia ci sono stati momenti di tensione per una manifestazione non autorizzata, formata da un centinaio di persone, partita durante le celebrazioni del 90esimo anniversario degli Alpini. Per due volte la polizia ha tentato di fermare il corteo, mentre la gente gridava "permesso per tutti". Il corteo è riuscito ad entrare nel cantiere della metropolitana, in piazza Battisti, e un cassonetto è stato incendiato. Alla fine un uomo, bresciano, tra i protagonisti degli scontri, è stato arrestato.

Repubblica 31.10.10
“Il gene umano non si può brevettare"
L´annuncio del Dipartimento di giustizia Usa. Insorgono le aziende biotech
"Non invenzioni ma patrimonio dell´umanità" Ma già piovono i ricorsi
di Angelo Aquaro


NEW YORK - Quei gran geni del Dipartimento di giustizia americana si sono accorti dopo decine di anni e 40mila brevetti concessi che i geni dell´uomo non sono brevettabili. Per il mondo delle biotecnologie è una rivoluzione che fa esultare i propugnatori del brevetto libero e gridare allo scandalo le grandi compagnie che nella ricerca genetica a scopo di lucro hanno speso milioni di dollari. Adesso toccherà all´Ufficio brevetti federale decidere se accogliere o meno la decisione del ministero. Presa seguendo la procedura dell´amicus brief: che in giurisprudenza è l´intervento di una corte super partes cioè non chiamata direttamente in causa. La lite infatti è quella tra due non profit - l´American Civil Liberties Union e la Public Patent Foundation - e quella Myriad Genetics che con l´Università dell´Utah ha brevettato due geni chiamati BRCA1 e BRAC2. L´obiettivo della compagnia e dei ricercatori è scoprire se questi geni predispongono al tumore alle ovaie e al seno. Ma per farlo hanno proprio bisogno di brevettare le due "scoperte"? Un tribunale ha già decretato di no ma Myriad si è appellata e la causa continua.
Dice però adesso il documento del ministero Usa che «la struttura chimica dei geni umani è un prodotto della natura»: i geni non sono "invenzioni" e dovrebbero quindi essere patrimonio dell´umanità intera. I propugnatori del brevetto non ci stanno: i geni isolati dal corpo sono strutture chimiche differenti da quelle che si trovano nel corpo e quindi si possono brevettare. Ma gli esperti del governo ri-ribattono: anche quando la struttura è "isolata" dal suo ambiente naturale resta prodotto della natura. Né più né meno «delle fibre di cotone che vengono separate dai semi del cotone. O del carbone che viene estratto dalla terra».
Detto così sembra lapalissiano. Ma il New York Times che ha svelato la decisione del ministero il professor James Evans dell´Università della Carolina del Nord parla di «tappa importante: una linea tracciata nella sabbia». Le sabbie però sono mobili per definizione e il pressing delle grandi compagnie sull´Ufficio brevetti è appena cominciato.
Il venti per cento del genoma umano è già stato brevettato. L´iniziativa più nota è quella dell´Human Genome Project lanciato proprio dal governo degli Stati Uniti negli Anni ‘90 che però è stato subito surclassato dagli sforzi privati della Celera di Craig Venter. Proprio nei giorni scorsi la creatura dello scienziato-imprenditore ha fatto registrare un boom del 30 per cento dei guadagni e il business delle biotecnologie è uno dei più floridi del momento passato praticamente indenne attraverso la recessione.
Il ministero della giustizia adesso riconosce che la decisione non solo è un vero e proprio cambio di rotta rispetto alla linea fin qui suggerita ma contrasta con la politica di altre strutture pubbliche: dall´Ufficio brevetti fino addirittura al National Institute of Heath che negli ultimi anni ha chiesto e ottenuto direttamente brevetti per l´isolamento del Dna. Ma gli esperti della giustizia sostengono che l´impatto sull´industria biotecnologica non sarebbe così grave: le manipolazioni del Dna - tipo quelle usate per creare i transgenici o particolari terapie genetiche - possono continuare a essere brevettate perché appunto «prodotte dell´ingegno dell´uomo». Sempre che la linea tracciata nella sabbia non si sposti ancora un po´.

Repubblica 31.10.10
Giovanni Neri, direttore dell´Istituto di genetica medica della Cattolica
"È una decisione corretta ma la ricerca ne soffrirà"
C’è il rischio che da ora in poi i lavori scientifici siano pubblicati con più cautela


ROMA - Professore Giovanni Neri, lei dirige l´Istituto di genetica medica dell´Università Cattolica. Come giudica lo stop ai brevetti sui geni umani?
«Mi sembra una decisione giusta, anche se vorrei capire meglio se non brevettabilità riguarda soltanto il gene in sé, o anche i metodi per analizzare questo gene. La brevettabilità di un test genetico mi sembra infatti cosa ragionevole e ammissibile. Diversa è la brevettabilità di un gene in sé, che credo non abbia fondamento, poiché un gene è di tutti».
Questo divieto potrebbe avere delle ripercussioni negative sulla ricerca?
«Sì, la ricerca potrebbe soffrirne. Tuttavia, una volta determinati i limiti e l´estensione di questo divieto, non credo che paralizzerà. Potrà però rendere i gruppi di ricerca più cauti nel pubblicare i loro lavori perché si cercherà di farlo solo dopo aver avviato un procedimento per la brevettabilità».
Quali altre conseguenze potrebbe comportare questa decisione?
«Nella peggiore delle ipotesi potrebbe impedire che si stabilisca una sana concorrenza tra gruppi di ricerca per dare degli apporti sempre maggiori rispetto allo studio di determinata malattia connessa con un determinato gene. È infatti improbabile che un solo team di scienziati possa scoprire qualcosa di così miracoloso da poter risolvere tutti i problemi in una volta. C´è quindi il rischio di escludere contributi molti utili che vengono da team di ricerca non sono inclusi nel brevetto».
(p.d.r.)

l’Unità 31.10.10
L’autismo e la Regione Lazio
risponde Luigi cancrini


La Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile nelle proprie linee guida per l'autismo stabilisce che un intervento riabilitativo va quantificato in 25/30 ore di terapia settimanale. La Regione Lazio fornisce, nel mio caso personale (ho una figlia autistica di 12 anni) 4 ore settimanali di terapia che io, pagando 330 euro al mese, porto a 10.
Sergio Carbonari
RISPOSTA. Il bambino autistico e la sua famiglia hanno bisogni lontanissimi da quelli previsti dalla sanità di molte regioni italiane. La ricerca dei perché chiama in causa i politici e gli amministratori perché la povertà dei fondi stanziati dipende da loro. Quella su cui dobbiamo riflettere di più, tuttavia, è la responsabilità d’una cultura sanitaria ancora dominata dal sapere medico e dal paradigma della malattia del corpo. L’atteggiamento di sufficienza che tanti medici e dirigenti sanitarii troppo esposti alle promesse dell’ industria farmaceutica continuano ad avere nei confronti delle risposte basate sull’integrazione psicologica e sociale e sul sostegno psicoterapeutico delle famiglie e dei care-givers ha un’importanza decisiva, infatti, nel definirsi del vero e proprio stato d’abbandono in cui questi pazienti così spesso vengono lasciati. Quando il problema sanitario ha connotazioni chiaramente mediche, il nostro sistema spende con molta, a volte troppa, facilità. Quando il problema è la persona i cordoni della borsa si stringono. Per un difetto, ripeto, che è culturale prima che politico.

il Fatto 31.10.10
“Malato di mente”, morto di carcere
Il 13 dicembre potrebbero essere rinviate a giudizio le due professioniste milanesi che avevano in cura Luca
di Silvia D’Onghia


Luca Campanale aveva 28 anni, da undici – subito dopo un grave incidente stradale – soffriva di problemi psichici. Il 12 agosto 2009 si è ucciso impiccandosi nel bagno della sua cella del carcere milanese di San Vittore, dove era recluso dopo due sentenze di condanna. “Non ha più retto”, denuncia ora il padre, Michele, che è in attesa – il prossimo 13 dicembre – di guardare negli occhi la psichiatra del penitenziario e la psicologa della Asl che avevano in cura suo figlio e per le quali il pm ha chiesto il rinvio a giudizio. Abbandono di persona incapace aggravato da morte, è l’accusa nei loro confronti. Il gip dovrà decidere se archiviare o rinviare a giudizio. “Dopo l’incidente – racconta Michele Campanale – Luca è entrato in coma, poi è rimasto sei mesi su una sedia a rotelle. Ha dovuto reimparare a leggere e scrivere, poi ha frequentato un corso di telelavoro. Ed è stato assunto, come invalido, dalla Coca Cola. Io e mia moglie pensavamo si stesse riprendendo”. E invece Luca, a detta dei suoi genitori, ha incontrato “cattive compagnie”, ha cominciato a far uso di alcool e cocaina, “saltuariamente. In casa eravamo costretti a nascondere tutto, perché spariva tutto. Nel 2000 è stato condannato per direttissima per uno scippo. Poi, per cinque anni, è stato tranquillo”. Ma la mente di Luca non era più la stessa.
“NEL 2008 è stato arrestato per aver scippato e tirato un pugno a una donna – ancora Michele –. Non era una persona normale, perchè una persona normale non picchia una donna. E poi, se uno ha in mente di compiere uno scippo, sa che deve poter scappare; e lui non riusciva a correre. Lo hanno arrestato, speravo che lo avrebbero curato. Invece il pm ha chiesto 11 mesi di carcere e 6 di ospedale psichiatrico giudiziario. Gliele hanno dati due di reclusione e sei di Opg”. E questo nonostante una perizia psichiatrica presentata dal legale della famiglia sostenesse che Luca era incapace di intendere e di volere. “Nessuno ha capito il dramma di questo ragazzo”, insiste il padre. Subito dopo un’altra donna lo ha riconosciuto come autore di un’aggressione, avvenuta cinque minuti prima dello scippo, e Luca si è beccato un’altra condanna. “Mi hanno accusato di una cosa che non ho fatto”, ha scritto sul suo diario dal carcere, mentre iniziava a deperire.
LA SUA FAMIGLIA ha tentato in tutti i modi di tirarlo fuori dal carcere, e invece Luca è passato da San Vittore a Pavia e di nuovo a San Vittore. Inutili le lettere inviate alle direzioni sanitarie dei penitenziari e le istanze presentate per “l’immediato ricovero in idonee strutture sanitarie”. Era destinato al Centro di osservazione neuro-psichiatrico interno, e invece non c’erano posti. “Mio figlio ha tentato due volte il suicidio, ha ingoiato una lametta, si è provocato 80 lesioni – racconta ancora Michele –. Una volta siamo andati a trovarlo a Pavia, si è presentato al colloquio con mezz’ora di ritardo, vestito al contrario e con la barba incolta perchè gli avevano tolto il rasoio. A Milano l’ho visto più volte fuori di testa. L’ultima volta che l’ho visto mi ha detto: ‘Papà, stasera torno a casa’. Poi ha abbracciato sua madre ma non ha avuto il coraggio di guardarla negli occhi”. Luca non ce l’ha fatta. Il regime carcerario l’ha ucciso. E la sua famiglia ha trovato il coraggio di denunciare la propria tragedia: il giorno dopo la sua morte, il padre ha scritto alla senatrice radicale Poretti, che ha presentato un’interrogazione parlamentare. Poi si è rivolto all’associazione “Il detenuto ignoto”. “Nella condizione di illegalità sistematica e di sempre più drammatico tradimento dello Stato di Diritto che qualificano il nostro sistema penale e spesso quello sanitario ad esso collegato – il commento della segretaria, Irene Testa – è sempre più facile che anche il peggio possa sempre più spesso accadere. Credo che si debba aprire subito una commissione parlamentare d’inchiesta”.

Repubblica 31.10.10
Matteo Ricci. L’uomo che scoprì lla Cina
Le celebrazioni per i quattrocento anni dalla morte del gesuita, che in Oriente preferì l´integrazione alla conquista, invitano a riflettere sui tanti aspetti non solo economici ma anche culturali di un rapporto complesso
di Renata Pisu


Li Madou è uomo davvero di grande pregio e cultura ma non capisco cosa sia venuto a fare qui. Penso che se volesse sostituire i suoi insegnamenti a quelli di Confucio sarebbe cosa troppo stupida». Così scriveva nel 1589 il letterato Li Zhi che, a Nanchino, aveva frequentato padre Matteo Ricci, il missionario gesuita di Macerata il quale aveva scelto un nome cinese, appunto Li Madou, e si era fatto "cinese tra i cinesi", vestendo come i mandarini confuciani, dopo aver tentato di predicare il vangelo camuffato da bonzo buddista, con il cranio rasato, il saio lacero, per "andare verso il popolo"; ma il popolo che gli si accalcava attorno non ascoltava i suoi sermoni, limitandosi a far gran meraviglia dei suoi occhi chiari, del suo naso aquilino, dei lunghi peli che gli spuntavano su gambe e braccia.
Così Ricci aveva infine deciso di vestire i panni dei letterati e di guadagnarsi il rispetto dei notabili del grande Paese perché riteneva che «piuttosto boni cristiani che molta turba». E buoni cristiani, gente convinta e convertita alla fede con senno e ragionamento, avrebbero potuto essere in primis i letterati di alto rango che, con la loro autorità, avrebbero rassicurato coloro che temevano la novità della religione dell´Occidente, come scriveva in una lettera del febbraio 1609, quando ormai da otto anni risiedeva a Pechino, la capitale della corte dei Ming che aveva anelato di raggiungere sin da quando, nel 1582, era sbarcato a Macao.
Nei lunghi anni che trascorse in Cina, Ricci ebbe modo di incontrare molti letterati e di stupirli con le sue conoscenze. Sapeva infatti di matematica, di astronomia, di geografia, di scienze, della misurazione del tempo e dello spazio: aveva studiato tutte queste discipline al noviziato dei gesuiti, poi al Collegio romano, approfondendo anche la conoscenza di altre discipline considerate minori come il teatro, la musica, la pittura, la danza. Era insomma il compendio vivente della civiltà europea nel suo complesso, classica e cristiana. Ma con tenacia e passione era riuscito anche a impadronirsi della lingua e della cultura della Cina, spinto dall´osservazione che «qui si fa più con i libri che con le parole», e affascinava i letterati con i quali scambiava frequenti visite, sia con la sua conversazione in cinese fluente condita con dotte citazioni dai loro classici, i Quattro libri della scuola confuciana, sia con le sue opere, come il De amicitia, in cui presentava in lingua cinese dotta il pensiero dei maggiori autori dell´Occidente su quel nobile tema.
Fu però la traduzione in cinese dei testi illustrativi che accompagnavano la carta geografica del mondo così come era visto dagli europei, a suscitare l´interesse dei mandarini. Infatti, come scrive Matteo Ricci «i cinesi fino allora avevano stampato molti mappamondi i quali erano tutti, occupando il campo con le quindici provincie della Cina et all´intorno pingevano un puoco di mare nel quale facevano certe isolette , nelle quali scrivevano i nomi di tutti i Regni (stranieri)».
Tale fu il successo del suo Mappamondo che ne fece parecchie edizioni e pubblicò opere di teologia e filosofia, tradusse in cinese i primi sei libri della geometria di Euclide, avviò la riforma del calendario, incantò la corte con i suoi orologi meccanici, gli astrolabi, le sfere armillari e con altri doni provenienti dall´Europa come prismi di Venezia, pitture a olio, stoffe.
Sulla sua opera di evangelizzatore non è il caso di soffermarsi in questa sede, basta comunque ricordare che quattrocento anni fa, con la sua adesione alla cultura e alla civiltà della Cina, Ricci aveva aperto la porta non tanto alla fede cristiana ma al dialogo tra le due culture. Aveva riconosciuto nella Cina un mondo totalmente "altro" e vi si era accostato con rispetto e considerazione. Mai avrebbe tentato di cancellare gli insegnamenti di Confucio, come temeva Li Zhi, sarebbe stato "troppo stupido" davvero. E fu proprio la sua convinzione che le cerimonie in onore di Confucio non fossero contrarie alla fede cristiana, essendo onoranze di genere civile, a scatenare la "questione dei riti", la diatriba teologica che portò il papato a proibire, per i cinesi convertiti, qualsiasi cerimonia in onore del Saggio. Soltanto nel 1939 Pio XII riconobbe che di cerimonie civili si trattava. Il danno comunque era stato fatto, il dialogo avviato magistralmente da Ricci era stato interrotto e ancora fatica a essere correttamente ripreso da entrambe le parti.

Repubblica 31.10.10
Sacro e osceno, dialogo per organi
di Dario Fo


"...Fanno uso di me come manco fossi ´na pantofola, ´na sciavatta! Avànte me se fanno moine e serenate, il sangue scorre come impazzito e po´ quando me se son goduti ce se deméntica della infiòrita mia..."
"Ciollo", "spacchiusu", "parpaja". Da Nord a Sud, dalla Lombardia alla Sicilia, dall´Atlantico all´India le espressioni triviali e il linguaggio sconcio sono strumenti di sberleffo di ogni potere costituito. Con il suo nuovo libro il premio Nobel torna al suo primo comandamento: il giullare è il vero volto di Dio e Dio si presta al gioco

Per gli abitanti della Trinacria Cerere, Dea Madre presso i romani, chiamata Demetra dalle popolazioni di origine greca, aveva un grande valore mitico. A questo proposito ricordo di aver ammirato nello straordinario museo di Gela una scultura di grande potenza raffigurante la dea seduta in trono nel gesto di offrire ai fedeli un melograno: è risaputo che quel frutto raffigurava, e lo raffigura ancora, l´utero della donna e quindi anche della Grande Madre. Nello stesso museo è esposta una tavola medioevale dove è rappresentata la Madonna, nell´atto di offrire a sua volta il melograno da cui era nato il proprio figliolo.
Questa è di certo la ragione per cui in Sicilia è impossibile trovare qualcuno che si permetta di fare commenti osceni sul sesso femminile. È un fenomeno parallelo a quello di cui abbiamo trattato riguardo all´atteggiamento rispettoso verso la parpàja, e gli altri termini collegati, in quasi tutto il Nord Italia. Anche in Sicilia troviamo poi un lemma che indica la fortuna e la bellezza analogo a figo: spacchiùsu, col quale si allude a un uomo o a una femmina attraente e affascinante. La radice è quella di pàcchio: pacchiùzza, cioè appunto il sesso femminile chiamato anche stìcchiu, di genere stranamente maschile. Il termine stìcchiu trova la sua etimologia nel latino osticulum ovvero piccola bocca (da os) con evidente riferimento alla forma dei genitali femminili.
Un altro valore etimologico importante lo rinveniamo nella lingua portoghese, dove per tradurre «fortuna» si usa il termine figa con tutti i derivati enfigao, enfigu, figant eccetera.
A sostegno del rispetto di cui gode, nella tradizione dell´isola a tre punte, l´organo femminile, ci permettiamo di scomodare uno dei più grandi interpreti della tradizione popolare siciliana. Si tratta di Giuseppe Pitrè, che nella sua raccolta di conte popolari accenna a un dibattito davvero surreale di cui sono protagonisti gli organi che compongono il corpo umano, in particolare quello femminile. Giudice di questa specie di processo è addirittura il Padreterno.
I convenuti, cuore, cervello eccetera, si rivolgono al Creatore denunciando disperati la protesta di uno di loro.
«Si rischia la paralisi! Se tu, Santissimo Signore, non intervieni immediatamente, qui si schiatta…»
«Di che si tratta? Chi protesta?» chiede l´Altissimo.
«Lo sticchio!»
E tutti gli organi si fanno in là per mostrare al centro della scena «u´ pàcchio femmenóso» che ritto su uno sgabello urla: «Chiamo te, o Segnore. Tu hai fatto ‘nu capolavoro: ogni organo è essenziale alla vita delle creature, masculi e fèmmene. Io che sto sita in la fèmmena, ho deciso di non compiere più né un gesto né un respiro, tutta bloccata mi costringo a stare».
«E perché? Per protestare contro chi?» chiede il Creatore.
«Contro tutti l´altri organi».
«E per quale raggióne?»
«Per lo fatto che me se manca de réspecto! Fanno uso di me come manco fossi ‘na pantofola, peggio, ‘na sciavàtta! Avànte me se fanno moine e serenate, il cuore sbatte, il cervello va in stràmbola, il sangue scorre come impazzùto, non vi dico che succede allu màsculo col só spetàcchio rizzo… frémiti e po´ quando me se son goduti ce se deméntica della infiorìta mia come fussi l´ultimo dell´organi… e dire che so´ quella che dà la vita e per fa´ ‘sto miracolo tutta me struzzo e spalanco urlando de dolore, attraverso l´ammore che do, se ‘ngravida lu ventre e nàscheno le creature».
Il Padreterno si alza e dice: «Issa infiorìta ha raggióne, tutte le raggióni! E, cari organi, ve voglio dire che anch´io so´ imbestialito come a chidda, ve ce ho creati tutti iguàli senza darve ‘nu numero de emportànza assoluta; ognuno è pe´ me assoluto, se a stu corpo che tenete ce manca l´uòcchi va a sbatte contro ogni albero o parete. Senza l´orecchi, sordi come pétre divenite… E desgraziàti séte, senza la bocca e co´ lu core spento mala vita tenete! E così pe´ tutti l´altri mancamenti, ma se ve´ canzèlla lu stìcchiu fiorito, filli mei, séte perduti! Che illa è la fenèstra de llu sentimento. Nullo se mòve se issa no´ respira… lu pallore allo viso e lu russore non véne, lo còre no´ sbatte… lu fiato no´ se fa fitto… lu ventre no´ freme… lu occhi no´ sbatteno, no´ chiàgneno e no´ rideno co´ la bocca assieme! Morte v´attende zacché col vostro ‘spezzamento serrate a vite lo pertùso da che sorte ogne dolzore».
(Tratto da L´osceno è sacro di . Testo e traduzioni
a cura di Franca Rame © 2010 Ugo Guanda Editore)

Repubblica 31.10.10
Lo scurrile poetico da Ruzzante a Bataille
di Valerio Magrelli


«Un grande libro dello scurrile poetico». A questo mira Dario Fo nel suo ultimo lavoro, L´osceno è sacro, curato da Franca Rame per Guanda e arricchito da centotrentatré disegni dell´autore. Spaziando dalla letteratura classica a Shakespeare, da Ruzzante a Molière, dalla tradizione giullaresca medievale al Le mille e una notte, questo bel volume multicolore rivendica una visione giocosa e solare della sessualità. I veri protagonisti del testo e delle sue illustrazioni sono infatti gli organi maschili e femminili, intesi però come pura fonte di piacere, e non come strumenti riproduttivi.
Sotto il segno del critico russo Michail Bachtin (non a caso studioso del Gargantua di Rabelais), Fo si dedica a una sorta di "carnevalizzazione" dell´esistente, lottando contro i poteri che da sempre censurano la libertà dei sensi. «È un filone continuo», ha dichiarato: «C´è il rito della religione e c´è uno spingere verso l´osceno, verso l´orgia, che è una costante sia fra i greci sia nelle antiche manifestazioni religiose popolari italiane, che esaltano gioia e sessualità con l´arrivo della primavera e la rinascita di Cristo».
Ma questo festoso elogio del turpiloquio, questo ricondurre le pulsioni erotiche nella sfera del sacro hanno i loro presupposti in un´illustre famiglia di pensatori. Con il Saggio sulla natura e sulla funzione del sacrificio (1899) Marcel Mauss e Henri Hubert furono tra i primi a indagare tale dimensione, lo stesso anno in cui usciva L´interpretazione dei sogni di Freud. Le loro tesi furono riprese da Emile Durkheim, con Le forme elementari della vita religiosa (1912), e soprattutto da Rudolf Otto, con Il Sacro (1917). Sotto il profilo antropologico, le ricerche proseguiranno con Claude Lévi-Strauss ed Ernesto De Martino, mentre più tardi gli stessi temi porteranno a Il sacro e il profano (1956) del rumeno Mircea Eliade, e a Homo Sacer (1995), di Giorgio Agamben. Tuttavia, per individuare il laboratorio più estremo di simili indagini bisogna rivolgersi a Parigi.
Qui, verso gli anni Trenta, Roger Caillois assiste alle conferenze di Marcel Mauss, oltre che dello storico delle religioni Georges Dumézil. Da questi incontri nascerà il suo L´uomo e il sacro (1939). L´evento più importante è però un altro: la fondazione, nel 1938, del cosiddetto Collegio di Sociologia ("sociologia sacra" era il titolo completo). Vi partecipano, con Caillois, l´etnografo e scrittore Michel Leiris e Georges Bataille. Siamo così arrivati all´autore che forse più di ogni altro ha sondato gli inestricabili rapporti fra sacralità ed erotismo.
Il Collegio, che indagava il sacrificio cruento inteso come base dell´aggregazione sociale, si sciolse poco tempo dopo, ma Bataille proseguì lo scavo dei rapporti fra eros e thanatos. Lo dimostra il racconto Madame Edwarda (1941), il cui protagonista viene sconvolto da una prostituta che gli si presenta come Dio in persona. Siamo di fronte alla vertigine della blasfemia. Adesso Dario Fo è davvero lontano, anche se il titolo del suo libro, L´osceno e il sacro, presenta più di un legame con Bataille. Potremmo allora dire che il maestro francese costituisce lo sfondo oscuro su cui l´attore italiano tesse le sue riflessioni, proponendo l´idea di una sessualità ridente e liberata.

Corriere della Sera 31.10.10
Fede e ragione, la guerra è finita Ma la pace resta difficile
di Alberto Melloni


La Chiesa a confronto con il pensiero moderno: le condanne passate, l’accettazione dei diritti umani, le prospettive future Dal cattolicesimo liberale a Teilhard de Chardin Il naufragio dell’eurocentrismo apre nuove sfide
Da subito e da sempre il cristianesimo vive misurandosi con ciò che gli è estraneo. Qualcosa che è altro perché o gli pre-esiste o gli resiste. È un rapporto nel quale ogni interlocutore fa ricorso a diversi registri. Quello della condanna, che mette in dubbio la possibilità che si possa incontrare la stessa verità muovendo da principi diversi dai propri. Quello dell’incorporazione, che intende assorbire la diversità dentro le proprie categorie. Quello del rispetto, che assume la complessità come sfondo: sfondo dell’annuncio evangelico che esiste solo nella libertà o sfondo di una ricerca che da niente, tanto meno da una fede, deve difendersi. È un dato storico corposo che val la pena di ricordare quando si riprendono in mano i classici del «pensiero libero» che il «Corriere» offre ai suoi lettori. Perché è ben noto che su molti autori oggi sfogliati come classici sono cadute condanne, per quanto revocate dal tempo o cassate dalla desuetudine.
Misurarsi con culture «altre», infatti, non è stato una particolarità della modernità e non si è sempre risolto in modo univoco. La cultura ellenistica, che il cristianesimo primitivo riteneva coessenziale alla idolatria e alle sue teologie politiche dell’impero, entra nella dottrina cristiana al punto che il pensiero greco — secondo una famosa espressione dell’allora professor Joseph Ratzinger del 1969 — ha acquisito un «diritto di cittadinanza perpetuo e irrevocabile» nella espressione della fede. La cultura mandarina, che fin dal Seicento i gesuiti avevano imparato a rispettare per costruire una inculturazione non meno originale e decisiva di quella greca, non trovò la sua strada: e ancora oggi, al di là delle tecnicalità politico-diplomatiche, è il disinteresse per questo aspetto il problema del cristianesimo in Cina. Si potrebbe andare avanti con altri esempi ed evocare il neoplatonismo, il diritto romano, la cultura politica dell’impero cristiano, l’aristotelismo appreso dai filosofi arabi grazie al quale un fraticello dell’Italia centrale diventerà san Tommaso d’Aquino. Tutte vicende nelle quali quei tre tasti — condannare, inglobare, comprendere — sono stati suonati formando temi ben noti.
Anche il rapporto che è intercorso fra esperienze religiose e pensiero «libero» è passato da tutti questi registri. È stato un rapporto, e anche un conflitto, su cui s’è ripetuto molto a lungo il luogo comune dell’antagonismo fra assoluto e relativo, fra autonomia e vincolo, fra verità e ricerca. Da un lato della barricata una visione illuminata dell’uomo e dall’altra l’oscurantismo come fatto connaturale ad una fede religiosa che, dato che dipende da una verità rivelata, non può che essere intollerante e chiusa, come pretendono anticlericali e tradizionalisti. O viceversa l’idea che solo con un po’ di religiosità, al limite affettata o ipotetica, si possa costruire una buona società, mentre la passione che induce a «seguir virtute e canoscenza», porta al sonno della «vera» ragione e fatalmente produce mostri.
Certo: la modernità ha spezzato per sempre l’illusione ecclesiastica di coincidere con la società. La ricerca scientifica con Galileo, la filosofia con l’illuminismo, la politica con le rivoluzioni marcano una svolta decisiva. In questa stagione si affilano le condanne (quelle dei Papi «Pio» più familiari in Italia, ma anche quelle del calvinismo olandese del partito antirivoluzionario di Kuypers); e si elabora l’idea che la decristianizzazione, la secolarizzazione, la laicizzazione del potere formino una catena di errori, connessi l’uno all’altro, iniziati con l’individualismo immaginario di Lutero e giunti, attraverso l’illuminismo e la rivoluzione, al socialismo, al comunismo, ai totalitarismi, al laicismo e via dicendo.
In questa visione, ovviamente, il pensiero moderno è un bersaglio: per polemizzare in nome di una esaltazione del passato, specie di quello «medievale», che un uomo come padre Agostino Gemelli trasformerà in ideologia; per colpire con gli strumenti canonici, come capiterà con la messa all’indice dei libri proibiti delle opere ritenute pericolose nella filosofia moderna, marxista e perfino idealista — come accadde all’Opera omnia di Benedetto Croce e di Giovanni Gentile, la cui condanna è oggetto d’un importante libro di Guido Verucci. Una tale strategia viene ricambiata dalla peggior apologetica agnostica, che negli stessi decenni pretende di dimostrare l’irragionevolezza di qualunque credenza e l’ammette solo o come religione civile o come tranquillante sociale. Ma l’una e l’altra retorica lasciano il tempo che trovano.
D’altronde i tentativi dal basso di incorporare un pensiero che si voleva non religioso nella comprensione fondamentale dell’atto di fede non hanno avuto grandi successi. L’espressione «cattolico liberale», non è mai diventata un complimento nell’Europa dell’Otto-Novecento. La fatica di un grande teologo come Teilhard de Chardin, che cercava di parlare la lingua della scienza e di trovare una «spiritualità» della ricerca scientifica, è stata oggetto di una condanna piena di rancore. O ancora più vicino a noi l’uso di un marxismo minimale nella «teologia della liberazione» ha meritato una sanzione senza appello: anche a costo di consegnare, come è accaduto, l’America Latina a un protestantesimo evangelico fondamentalista che ha eroso un cattolicesimo tradizionale e popolare. E dall’alto, per dir così, lo stesso magistero ecclesiastico non ha avuto miglior fortuna: ha incorporato il dato scientifico nel proprio magistero morale, ha argomentato sull’armonizzazione fra fede e ragione, ha accettato la democrazia non solo come metodo ma come espressione di una visione dell’essere umano, ha fatto suoi, dalla Pacem in terris in poi, i diritti dell’uomo e il valore delle organizzazioni internazionali. Ma questo non ha reso più comprensibile o eloquente né la sua dottrina morale, né la sua teologia, né la sua politica e ha perfino finito per eroderne il prestigio spirituale.
Così, fra condanne e mediazioni, fra tensioni ed eroismi individuali, la storia è arrivata in una nuova terra, davanti a nuove differenze, collocate al di là delle colonne d’Ercole della modernità culturale e politica. L’utopia che la libertà coincida con l’autodeterminazione dell’individuo in senso borghese nello Stato è finita prima sotto il peso dei razzismi totalitari, contro i quali si sono fissati principi costituzionali non più negoziabili, poi sotto la frana della stessa forma moderna di Stato. La speranza che l’assunzione di una generica ipotesi di Dio garantisse una sociabilità più umana, s’è scontrata con la vampata fondamentalista: che ha mostrato come la malvagità umana non abbia bisogno dell’ateismo per dispiegarsi, ma se la possa cavare benissimo col «Dio lo vuole». L’intuizione di Charles Taylor sulla società postsecolare ha infine reso tutti consapevoli che il ritorno del sacro nella forma di religione civile può dar momentaneo sollievo a società frantumate, ma minaccia da dentro il cuore d’ogni autenticità contemplativa.
Tutti dunque navigano il mare aperto. Un mare aperto nel quale la differenza non passa fra il pensare «libero» e il pensare la rivelazione, quasi che uno fosse una rotta e l’altro una deriva o viceversa. La differenza passa fra chi cerca i freni della barca della storia e chi punta al largo — duc in altum, diceva la lettera apostolica Tertio millennio di Papa Wojtyla — sapendo che la perdita di centralità di quell’euromondo di credenti ed ex credenti è un’opportunità per cercare una «concordia» più grande, più profonda, sotto la quale le pietre miliari d’ogni pensiero sono preziose, perché sono pensiero che combatte la sirena della superficialità.

Il Sole 24 Ore 25.10.10
Marco Belpoliti
Pasolini, l'attrazione fatale

Saggista e docente. Ha studiato lo scrittore friulano ano affrontando il tema dell'omosessualità
di Stefano Salis


Pasolini si aggira come uno spettro sulla cultura italiana. Non cessa di essere presente nel dibattito, spesso citato a sproposito, spesso visto come un martire, in ogni caso ancora saldamente al centro del panorama intellettuale, il 2 novembre ricorreranno i 35 anni dalla sua scomparsa tragica nella spiaggia di Ostia. Un assassinio che ha segnato un'epoca, anche culturale, della nostra nazione. E per quella data uscirà un libro destinato a far discutere: Pasolini in salsa piccante (Guanda) di Marco Belpoliti, autore che ha studiato a fondo il poeta friulano.

Belpoliti, perché occuparsi ancora di Pasolini? Cosa c'è di ancora non detto?

Si tratta di riportare il discorso su un aspetto che viene sostanzialmente rimosso nella critica a Pasolini: la sua omosessualità. Che è la radice prima della sua attività letteraria. Non è solo fatto umano. Era differente da tutti gli altri intellettuali.

Questa sua diversità si riverbera ancora sulla cultura italiana. Come?

La sua diversità è ancora un problema serio. E la cultura italiana, soprattutto quella di sinistra, non lo ammette. L'aspetto dell'omosessualità di Pasolini è stato indagato solo all'interno del movimento omosessuale, ma non nell'ambito della critica letteraria e sociale. E tra l’altro il movimento gay ha respinto Pasolini. Lui, per esempio, non sarebbe stato a favore del i matrimonio gay. Per lui essere omosessuale significava essenzialmente essere un adulto che va con dei ragazzi eterosessuali non con gli omosessuali per fare sesso.

Questo cosa cambia?

Moltissimo. Le famose «lucciole», infatti, sono proprio loro, i ragazzi di vita. La sua etica della mutazione antropologica si fonda sulla sua visione omosessuale. Sono cose delicate: Pasolini è diventato un martire, una sorta di profeta dei tempi che cambiano. Ma viene rimosso il fatto che il più grande intellettuale italiano, poeta, cineasta, romanziere, giornalista, editorialista, è stato anche, in qualche modo, un pedofilo: un tema tabù. A maggior ragione se questo fatto è la radice stessa del suo poetare.

Chi ha interesse a rimuovere questo problema?

La pruderie intellettuale ne ha fatto un martire politico. Scrittori come Nico Naldini o Walter Siti hanno in parte affrontato questo problema, ma siamo ben lontani dal prenderne coscienza.

Perché parlarne proprio ora?

Perché è tornata fuori la tesi del suo omicidio come un omicidio politico. Facendolo entrate nel gioco dei "complotti" italiani. Lui è stato ucciso perché da intellettuale "sapeva" cose proibita, come la verità sul caso Mattei e altro. Non è così. E ora di prenderne atto.

Pasolini in salsa piccante, di Marco Belpoliti. In libreria. L'uscita è prevista per il 2 novembre, a 35 anni dalla morte

sabato 30 ottobre 2010

l’Unità 30.10.10
Alternativa «per la democrazia costituzionale e un progetto economico e sociale nuovo»
«Premier al tramonto» Pd, campagna d’autunno
Il 6 novembre l’assemblea nazionale dei circoli Pd lancerà la mobilitazione che impegnerà parlamentari, iscritti e elettori delle primarie «La crisi politica e quella sociale si stanno avvitando e escludono i cittadini».
di Jolanda Bufalini


Un berlusconismo al tramonto ma che può essere aggressivo e pericolosoUna crisi politica e sociale che produce anche rabbia e disaffezione, sfiducia nella politica e nella sua capacità di affrontare i problemi che attanagliano la vita delle persone normali, dei cittadiniPier Luigi Bersani, nella lettera con cui si rivolge ai democratici, segnala i rischi del tempo e dell’avvitamento in cui Berlusconi ha fatto precipitare la vita pubblicaPresentare in Parlamento una mozione di sfiducia sarebbe un boomerang, poiché si rischierebbe di non avere i numeri per mandare a casa il premier ma stare fermi non si deveBersani ripete lo slogan che campeggia nei manifesti del Pd: «la pazienza è finita»E lancia la campagna d’autunno con il viatico che gli viene anche da Romano Prodi: il segretario del Pd ha i numeri per essere il candidato dell’alternativaProdi apprezza, anche, «la disciplina in più» che nota nella vita del partito, «quando non c’è disciplina non hai forza, lo dico per esperienza diretta».
Il partito democratico, spiega Bersani, «ha critiche chiare e forti da fare alla destra»Vuole parlare al paese dei problemi che lo travagliano e dei rischi che corre «l’assetto costituzionale» ma, soprattutto vuole ascoltarePerché «i problemi reali dei cittadini non trovano voce».
Le anticipazioni del libro di Bruno Vespa danno, intanto, alimentano la discussione del PdIl segretario aveva risposto, nel libro, alla domanda se si possa creare un gruppo unico fra Pd, Idv e Sel, senza chiudere«Verificheremo», indicando la via «non di un patto occasionale ma di un percorso strutturale»Idea che non piace a Marco Follini«Una follia che snaturerebbe il Pd», dice Follini mentre per Beppe Fioroni «è ora di finirla con l’angoscia di perdere voti a sinistra»Da Parma il segretario risponde: «È una questione seria, non voglio fare l’Unione ma, una volta che c’è un patto di governo, non voglio un liberi tutti».
Bersani rivendica, nella lettera all’elettorato democratico, «l’impegno per un progetto economico e sociale nuovo, una alternativa che rinsaldi la democrazia costituzionale»E chiama quello stesso popolo che si è messo in fila per votare alle primarie ad essere presente nei fine settimana di novembre per ritirare e far circolare il materiale con le proposte del PdNon c’è una data per le elezioni, spiega il responsabile dell’organizzazione Pd Nico Stumpo, è, dunque, il tempo giusto, «per ragionare con i cittadini, metabolizzare e organizzare ciò loro stessi ci dirannoVogliamo raccogliere la volontà di cambiamento che c’è nel paese»Non c’è tempo da perdere nel costruire le risposte ai disagi, alla precarietà, alle piccole imprese che soffrono, allo smantellamento delle politiche sociali, ai problemi delle scuole e delle università.

l’Unità 30.10.10
Confronto e unità
I fuochi fatui tra i democratici
di Vittorio Emiliani


Dalla base del Pd monta una sorta di impotente disperazione per l’incapacità del partito di trovare, ai suoi vertici, nazionali, regionali (per non parlare di Roma), un minimo decente di collante unitario nel momento in cui il Pdl appare più che incrinato, specie in alcune regioni dove sta smottandoSarebbe il momento di provare ad essere uniti, ad approfondire i problemi reali del Paese, a fissare su quelli critiche e consensiFaccio un esempio: il forum organizzato sulla Rai martedì 26 dal Pd e per esso dal coordinatore Carlo Rognoni ha detto, per la prima volta dopo anni, cose nuove, interessanti, calate nella realtà del servizio pubblico in Europa (relazione di Claudio Cappon), insomma non ripetitive né velleitarie o facilmente provocatorie (come la privatizzazione integrale – per disperazione? per irritare Berlusconi? – proposta dai finiani)È stata ridata, dopo anni, la parola alla radio, a RadioRai, con una stimolantissima e ben fondata relazione di Marino SinibaldiLe conclusioni di Rognoni nascevano da gruppi di lavoro di esperti veri, lo si capiva, pur nella sintesi, dalla specificità di alcune proposteDopo anni e anni di chiacchiere a vuoto – lasciatelo dire a chi in Rai ha lavorato a lungo – una serie organica di indicazioni utili per una piattaforma su cui costruireNel momento più drammaticamente basso di Viale Mazzini: un passivo ormai strutturale, un’evasione al canone spaventosa incoraggiata da Berlusconi stesso, un direttore generale vocato al peggio«Un servizio pubblico da rilegittimare», come ha giustamente notato Pier Luigi Bersani.
Così credo che dovrebbe lavorare, su tutti i temi strategici, un partito nato da poco, se vuole accrescere la propria credibilità generaleUn partito che oggi ha una base “calda”, disperata per le continue lacerazioni interne di tipo generazionale (ma non era una pseudo-categoria per Gramsci?), con richieste di rottamazione in nome di un giovanilismo che poi pone questioni «formidabili» quale il cambio del simbolo, un’idea che qualunque esperto di marketing boccerebbe come errore di grammaticaCon personaggi stradatati che insorgono al primo sondaggio con uno zero virgola qualcosa in meno per reclamare il taglio del vertice del Pd, subito, oggi, al massimo domattina prestoE c’è chi insegue il “popolo viola”, chi Di Pietro, chi Vendola e chi i grillini, e subito si alzano gli altri a dire “Ah, con quelli mai, piuttosto ce ne andiamo”Scusate, questa non è politica, non è neppure cattiva politica, è un nulla fatuo crudele e ridicolo al tempo stesso un vuoto riversato nel vuoto tipico di chi non studia, non approfondisce, non discute dei problemi di struttura, ma nuota da tempo in una sorta di emulsione tutta sua, remota dai problemi autentici.

il Fatto 30.10.10
Radicali, rischio rottura col Pd
critiche a Di Pietro e Vedola
di Giampiero Calapà


I Radicali aprono il congresso subito con il botto: “C’è un rischio di rottura con il Pd, perché da parte dei democratici vengono poste in essere pratiche anti-radicali”'Così ha esordito il segretario uscente Mario Staderini (pronto alla ricandidatura), che in realtà sulla questione ha un atteggiamento di prudenza, così come Emma Bonino e Marco Pannella, mentre Marco Cappato vorrebbe arrivare il più velocemente possibile all'uscita dei parlamentari radicali dai gruppi del Pd Per Cappato, infatti, non ci sono più le condizioni: "Non solo abbiamo accettato unilateralmente di subire la violazione degli accordi pre-elettorali: all'Italia dei valori veniva concesso il simbolo perché Di Pietro avrebbe addirittura dovuto sciogliere il suo partito per confluire nel Pd Inoltre è venuto completamente meno quell'impegno alla vocazione maggioritaria che rendeva sensata la cosa" Quella di Cappato non è una contrapposizione che si concretizzerà in una candidatura contro Staderini per realizzare una linea più "radicale" L'unità "del gruppo dirigente è totale" E lo stesso Staderini, durante la relazione, ha elencato "tutte le difficoltà documentate che ledono la nostra dignità di interlocutori politici", rispetto al Partito democratico, accusando: "Il nostro ruolo non viene riconosciuto ed è intollerabile che i partiti di centrosinistra abbiano impedito l'adozione di un provvedimento per alleggerire la condizione di tortura che c'è nelle carceri''.
Un atteggiamento, quello del Pd, che "può essere motivo di rottura con i gruppi parlamentari'', ma "non compete al congresso prendere eventuali decisioni politiche".
EPPURE all'ultima riunione del comitato politico, proprio Cappato aveva parlato di congresso come occasione da non perdere per salutare i gruppi parlamentari del Pd, anche se adesso cerca di stemperare i toni del confronto con il segretario: "I nostri parlamentari sono senza vincolo di mandato, decidono in autonomia Però questa è una sede politica e sono contento che Mario abbia chiesto un dibattito anche su questo problema, riconoscendolo quindi come un problema".
Il centrosinistra stesso, per i Radicali, è un luogo politico superato: "Non esiste più" E dal gruppo dirigente come dai congressisti piovono critiche, aspre e feroci, su Vendola come su Di Pietro" In Vendola c'è una grande capacità – spiega Cappato – di descrivere una visione del mondo, di narrazione come la chiama lui Noi siamo più portati a ragionare per obiettivi concreti Detto questo, stupisce che quando parla di temi come le carceri, la non-violenza, la legalità, non menzioni neppure le battaglie dei Radicali Eppure elenca gli interlocutori, guarda al centro, parla all'Udc Noi siamo disponibili a parlare con tutti, ma lui lo è con noi?".
Poi, c'è il capitolo Di Pietro, e da questo congresso l'ex pm non riceverà grandi attestati di stima, tanto che Cappato lo definisce “interlocutore di comodo del regime radio-televisivo: perché? Non sposta un voto da una coalizione all'altra”I voti dei Radicali, "come spiegano i flussi elettorali – conclude Cappato – rivelano la nostra capacità di intercettare anche l'elettorato di centrodestra, l'Idv invece sceglie la strada dello sputtanamento dell'indulto, senza parlare delle 130 mila prescrizioni che ci sono ogni anno, scegliendo di parlare soltanto di quelle di Berlusconi: il premier è un grande protagonista del marcio della politica italiana, ma le responsabilità sono molto più ampie".

l’Unità 30.10.10
“Pio XII santo? La Chiesa pensi alla pedofilia
«Ci sono cose più urgenti della santificazione di papa Pacelli», dice l’attore americano protagonista di «Sotto il cielo di Roma», domani su Rai1. «Per esempio gli abusi sessuali, su cui la Chiesa è stata deplorevole»
di Francesca Gentile


Posso parlare liberamente? Perchè in questo caso, secondo me, il papa, nei confronti del nazismo, ha agito come ha agito per una ragione ben precisa: il Vaticano aveva interesse a recuperare le terre e le chiese perse sul territorio tedesco».
James Cromwell non le manda a dire quando si tratta di fare un' analisi storica del pontificato di Pio XII, il papa che si accinge ad interpretare sul piccolo schermo nella fiction Sotto il cielo di Roma, in onda su Rai Uno, domenica 31 ottobre e il primo novembre«Nei paesi dove il protestantesimo si radicò, il Vaticano perse moltissimi beni e la Chiesa si allineò con il partito nazional socialista per cercare di recuperare, attraverso un concordato, quanto perso».
Cromwell sarà Papa Pio XII nel progetto della cattolica Lux Vide di Ettore Bernabei, teso a sponsorizzare la causa di beatificazione di papa Pacelli«Sono comunque innegabili i tanti sforzi fatti da parte della Chiesa cattolica per salvare gli ebrei– prosegue l'attore americano che è stato George Bush sr in Wdi Oliver Stone e il Principe Filippo in The Queen La Regina, valso il premio Oscar a Helen Mirren – Ci sono sempre due parti da ascoltare quando si tratta di fare un'analisi storica, e bisogna tenere in considerazione quali sono gli obiettivi delle istituzioni nazionali e quanto invece riguarda la sfera della coscienza morale degli individuiProbabilmente papa Pacelli ha sottomesso la propria coscienza agli obiettivi superiori delle istituzioni».
Un comportamento da politico più che da santoChe ne pensa della causa di beatificazione? «Questa è una questione che riguarda la Chiesa cattolica ed i fedeliPosso comprendere che per i cattolici la beatificazione sia un qualcosa di molto importante, ma per me, non cattolico, individuo che ha un credo spirituale proprio e personale, il concetto di beatificazione è un po’ un mistero, qualcosa che non comprendo benissimo».
Insomma, secondo lei, la chiesa sulla terra è composta da uomini, non da santi..«E in quanto uomini, capaci di fallire e sbagliareCi sono problemi molto più importanti della santificazione di papa Pacelli che la Chiesa dovrebbe affrontare».
Mi faccia un esempio.
«Dovrebbe prima di tutto riconoscere le proprie responsabilità in merito agli abusi compiuti sui bambini, per esempioQuella questione è stata gestita in maniera assolutamente deplorevole».
Sarebbe diverso, secondo lei, protestante, se i preti cattolici potessero sposarsi? «Ritengo che la base sulla quale si esclude la presenza delle donne dalla vita ecclesiastica e dalla vita dei preti sia assolutamente assurda, dannosa e controproducenteLe donne sono coloro che trasmettono e danno vita alle comunità, portano in grembo le nuove viteCome diavolo è possibile che vengano escluse dalla vita ecclesiastica? È qualcosa che assolutamente non comprendo, è inaccettabile e mi fa arrabbiare, tanto quanto il mancato sostegno al clero indigeno in Africa e Sudamerica, a quella gente che lavora con le popolazioni, con i poveri, spesso in contrasto con i governi locali ai quali la Chiesa si è allineata per mantenere la propria presenza e il proprio potere nel Paese».
La Chiesa non ha speso molte parole neppure nei confronti delle guerre intraprese dagli Stati Uniti, in Afghanistan e Iraq.
«Queste guerre sono immorali e fondamentalmente sbagliateSì, anche in questo caso avrei voluto che la Chiesa avesse preso posizione in merito e invece è rimasta passiva, esattamente come in passato aveva fatto con Hitler».
Corsi e ricorsi storici, dunque.
«Esatto, perché gli uomini non hanno imparato la lezione e forse perché non è mai stata detta la verità sulla storia, se fosse la verità non si chiamerebbe “history “,.. “his story”...ovvero la storia di uno, del vincitore».
Chi sono i responsabili di questa storia a senso unico? «Sicuramente le persone al potere che lo vogliono mantenere a tutti i costi e che quindi controllano la verità e manipolano la storia perché sia utile ai propri scopi e poi ovviamente le persone che la dovrebbero divulgare: gli insegnanti, gli intellettuali, i liberali e i progressistiNoi abbiamo la responsabilità di trasmettere la verità e lo dico con umiltà, anch’io ho fatto o detto cose di cui non vado fiero, facciamo quello che possiamo, considerata la condizione del mondo in cui viviamo e la debolezza umana».
Se lei potesse essere papa davvero, di cosa vorrebbe occuparsi? «Del divario fra ricchezza e povertàPrendiamo gli Stati Uniti: questo divario continua a crescere, a fronte di pochi, estremamente ricchi, c'è una stragrande maggioranza di popolazione al limite della povertà, popolazione che cresce ogni giorno, e cresce al costo di ogni istituzione che consideriamo necessaria per il mantenimento di una vita dignitosa: la sanità, l’educazione, l’organizzazione familiare, l’edilizia, l’ambienteUn brillante economista cileno, Manfred Max-Neef, una volta disse: non c’è una sola persona a Washington che non sappia cosa non bisogna fareSappiamo benissimo quali sono le cose non funzionano, perché abbiamo continuato a farle per 200 anniLa prima cosa da fare sarebbe smettere di fare le cose sbagliate e provare a fare, una volta, la cosa giusta»C'è una figura religiosa che ammira?
«Giovanni Paolo IHo sempre creduto che, se il suo pontificato non fosse stato stroncato sul nascere, avrebbe messo fine al celibato dei preti e avrebbe permesso l'utilizzo dei mezzi di contraccezione, ad esempioCredo che avrebbe analizzato tutte le questioni odierne in modo onesto, empatico, vero, per essere utile al maggior numero di persone possibileLa mia personale opinione è che sia stato ucciso e che i responsabili facciano capo alla banca Vaticana e agli interessi legati al riciclaggio di centinaia di milioni di dollari destinati alla banca VaticanaÈ la mia opinione, ma credo che non sia possibile un'esistenza “etica” di una grande organizzazioneGli interessi prevalgono sempre sulla moralità».
Anche Papa Pacelli si piegò a questo dettato.

il Fatto 30.10.10
Lo sterco del diavolo abita in Vaticano
di Riccardo Chiaberge


Nell’Europa del Medioevo non esistevano leggi anti-riciclaggio, ma l’Inferno funzionava molto meglio di adesso e il girone degli usurai era affollato di buoni finanzieri cristiani come Ettore Gotti TedeschiFenus pecuniae, funus est animae, “il profitto del denaro è la morte dell’anima”, aveva ammonito a suo tempo papa Leone MagnoChi presta soldi in cambio di interessi, si legge in un manoscritto anonimo del Duecento, commette un peccato gravissimo contro la natura, “pretendendo di generare denaro dal denaro, come un cavallo da un cavallo o un mulo da un mulo”E nel suo manuale per confessori il vescovo inglese Tommaso di Cobham rincara la dose: “L’usuraio punta a guadagnare senza lavorare, addirittura dormendo; ciò va contro il precetto del Signore che ha detto: ‘Con il sudore del tuo volto mangerai il pane’”.
SE LA CHIESA medievale divide la società in tre classi, uomini di preghiera, guerrieri e lavoratori, il predicatore francese Giacomo di Vitry ne aggiunge una quarta: i professionisti dell’usura“Essi non partecipano al lavoro degli altri uomini e perciò non subiranno il castigo degli uomini, ma quello dei diavoliLa quantità di denaro che hanno guadagnato con l’usura corrisponde alla quantità di legna inviata agli Inferi per bruciarli”.
Chissà quanta legna sarebbe necessaria per un Madoff o un TanziCerto, le fiamme eterne per gli strozzini erano di ben scarsa consolazione per le loro vittime, che non potendo contare sulla giustizia degli uomini dovevano affidarsi a quella del PadreternoTalvolta, però, la punizione arrivava in anticipo: si racconta di ricchi prestasoldi privati dell’uso della parola in punto di morte, in modo da non potersi confessare (ma forse si avvalevano della facoltà di non rispondere al sacerdote), o colpiti da infarto senza avere il tempo di pentirsiE un domenicano di Lione narra un episodio spettacolare: “Nell’anno del signore 1240, a Digione, un usuraio volle celebrare le sue nozze con grande sfarzo..Mentre i due promessi sposi felici stavano per entrare in chiesa accadde che una statua di pietra raffigurante un usuraio trascinato all’Inferno dal Diavolo si staccò e cadde con tanto di borsa sulla testa dell’usuraio in carne e ossa, uccidendolo”Tornando al succitato Gotti Tedeschi, attuale capo dello Ior, paragonarlo agli usurai del XIII secolo sarebbe ridicolo prima che ingiustoMa la storia millenaria della Chiesa e del suo rapporto tormentato e ambivalente col mondo dell’economia ci aiuta a capire tante cose anche sulla realtà dei nostri tempiLo stesso giorno in cui il Tribunale del riesame di Roma confermava il sequestro di 23 milioni di euro a carico della banca vaticana per certe movimentazioni sospette, il presidente interveniva a un convegno su etica e finanza promosso dall’Osservatore Romano e puntualmente ripreso dal laico Sole 24 OreE parafrasando il famoso passo del Vangelo di Marco sul cammello e la cruna dell’ago, si lanciava in un’ardita ipotesi teologica: “Il ricco, per entrare nel regno dei cieli deve diventare ancora più ricco, perché se la ricchezza non viene creata il rischio è poi di distribuire la povertà”Anche se la ricchezza è frutto di speculazione, o peggio di frodi ai danni dei risparmiatori? Anche quando la gobba del cammello è gonfia di titoli tossici o di conti correnti intestati a prestanome?
COME RICORDA il grande medievista Jacques Le Goff nel suo Lo sterco del diavoloIl denaro nel Medioevo (Laterza, pagg220, euro 18,00), l’unico modo di evitare l’Inferno, per un usuraio, era la restituzione del maltoltoCosa che non avveniva di frequente, malgrado i fulmini del clero: come diceva re Luigi IX il santo, “è una pessima cosa appropriarsi dei beni altrui perché restituirli è così arduo che la sola pronuncia della parola rende strozza la gola a causa delle r che contiene, le quali rappresentano i rastrelli del demonio che sempre trascinano indietro coloro che hanno deciso di restituire i beni altr ui”Poi con lo sviluppo dei commerci, l’aumento della circolazione monetaria e la crescita dell’indebitamento anche il mondo ultraterreno ebbe bisogno di ampliamenti, sicché fu istituito il Purgatorio, dove pure speculatori e strozzini avevano una chance di redenzioneUn regime di carcere meno duro, con possibilità di riduzione della pena per buona condottaI più abili e meritevoli riescono a strappare un Lodo ad personam e vanno dritti in Paradiso senza fare anticameraBasta qualche opera di bene o un oratorio dedicato alla VergineTipico il caso degli Scrovegni, ricchi mercanti padovani del XIII secoloDante schiaffa il padre, Rainaldo, nel girone degli usurai, ma il figlio Enrico, che consolida il business di famiglia, espia la propria opulenza con un gesto esemplare di caritas: investe un mucchio di quattrini in una cappella affrescata da Giotto, raccomandando che il ciclo dei vizi e delle virtù non appaia punitivo verso la sua categoriaCome biasimarlo? Dopotutto, gli Scrovegni del Duemila non lasciano all’umanità chiese affrescate, ma ville ad Antigua e si comprano la benevolenza del clero vietando le unioni gay.
Peraltro è difficile mandare all’inferno i mercanti se ci si mostra più avidi di loroOltre a dover venire a patti con le leggi dell’economia, fin dal Medioevo la Chiesa diventa essa stessa una potenza
economica che ha sempre più fame di “pecunia” È ancora Le Goff a ricordarci che fu il trasferimento ad Avignone, agli inizi del Trecento, a far impennare le spese della Santa SedeSale il numero dei dignitari della corte (tra 400 e 500, un centinaio in più rispetto all’ultimo papa romano, Bonifacio VIII) e Clemente V arriva a spendere ben 120 mila fiorini all’anno, di cui 30 mila solo “per la gestione domestica del suo palazzo tra stipendi, cibo, cera, legna, bucato, fieno, mantenimento dei cavalli ed elemosine”E le entrate? A parte le somme che vescovi e abati devono pagare al momento della nomina, il grosso proviene dai “censi” corrisposti dal re di Napoli e da altri signori italiani e dall’obolo di San Pietro versato dai regni scandinavi“ Tutte queste imposte – osserva lo storico – vengono saldate di malavoglia dai debitori nonostante il frequente ricorso alla scomunica”Per forza: sai che gusto foraggiare dei papi che pensano solo a costruire palazzi sontuosi e ad armare eserciti per difendere le loro terreIl fisco pontificio è una sanguisuga che ricorre a ogni mezzo per rimpinguarsi, inclusa la Peste nera che si abbatte sull’Europa dal 1348: “I benefici di molti titolari morti durante l’epidemia – ricorda Le Goff – vanno ad alimentare direttamente le finanze della Chiesa”E quando non sanno a cosa appigliarsi, tirano in ballo la lotta alle eresie, spauracchio sempre buono per giustificare confische, procure e gabelleE poi ci lamentiamo dell’otto per mille e dell’esenzione dall’Ici...
OGGI BENEDETTO XVI
tuona giustamente contro il potere distruttore dei “capitali anonimi che pongono l’uomo in schiavitù” e predica l’avvento di un “mercato buono”, una specie di non profit universale che ricongiunga le sfere della giustizia e della carità Ma il suo messaggio perde credibilità se la finanza vaticana, lo Ior o la Propaganda Fide si comportano con la stessa cupidigia e scarsa trasparenza dei capitalisti senza DioCome scrive Monsignor Giuseppe Casale, arcivescovo emerito di Foggia-Bovino, in un suo coraggioso libello (Per riformare la Chiesa, edizioni lLa Meridiana, pagg76, euro 12,00), “la povertà è per la Chiesa un discorso teologico prima che sociologico”Dopo la fine dell’alleanza trono-altare la Chiesa cattolica non ha ritrovato la strada del Vangelo e oggi, “nella opulenta società dell’Occidente aiuta i poveri, ma resta quasi impermeabile alla scelta della povertà per se stessaIl culto a Dio giustifica il barocchismo di vesti liturgiche e di insegne episcopaliLa necessità di sostenere opere pastorali spinge a servirsi dei meccanismi della finanza moderna”A rischio di incappare nelle maglie della giustizia come i tanti peccatori in doppiopetto che maneggiano troppo disinvoltamente lo “sterco del diavolo”.

il Fatto 30.10.10
Ricatti e trappole sexy ai tempi della Ddr
Quando la Stasi spiava le abitudini sessuali dei nemici per rovinarli
di Paolo Soldini


La mattina dell’11 ottobre 1987 nella vasca da bagno della stanza 317 dell’albergo Beaurivage di Ginevra un redattore del settimanale tedesco Stern trova il cadavere di un uomoÈ Uwe Barschel, ex presidente del Land dello Schleswig-Holstein, protagonista, poche settimane prima, di uno degli scandali politici più clamorosi del dopoguerra tedescoIl suo addetto stampa aveva rivelato di aver avuto da lui l’incarico di organizzare una campagna di calunnie contro il socialdemocratico Björn Engholm, suo rivale alle elezioniDopo l’esplosione dello scandalo Barschel si era
dovuto dimettere.
LA SUA MORTE ufficialmente fu attribuita a un suicidio, ma poi un’altra verità cominciò a venire a galla: l’uomo forse era stato ucciso da agenti di un servizio segreto perché sapeva troppo di un traffico d’armi tra l’Iran e Israele (la cosa non stupisca: allora c’era la guerra Iran-Iraq e sia il Mossad israeliano che la Cia americana brigavano per armare sotto banco l’una o l’altra parte)Ma nella stanza 317 era stato trovato un barbiturico che all’epoca era in vendita solo nella DdrQuesto fatto rinfocolò le voci secondo cui si trattava di un omicidio e che in qualche modo c’entrava la Stasi, la famigerata polizia politica della Germania estNel 2007, in effetti, dagli archivi della Stasi uscirono particolari illuminantiBarschel si era recato per ben 19 volte a Warnemünde, all’est, dove nell’hotel Neptun aveva avuto con “personale femminile” frequenti e intimi contatti che venivano accuratamente resocontati e anche filmatiNon esiste alcuna prova che i tedeschi dell’est c’entrino in qualche modo con la sua morte, ma certo Barschel era ricattatoE certo non era l’unicoI ricatti con fondamento sessuale erano pratica corrente per la StasiNella stessa Ddr, ma anche nella Repubblica federale e in altri paesi occidentaliMilitari, funzionari, politici, uomini di governo, parlamentari, giornalistiL’elenco delle vittime è lungo: diverse centinaia di casi accertati e qualche migliaio di casi presuntiE più lungo ancora sarebbe se, nella concitazione seguita alla caduta del muro, i funzionari del ministero della Sicurezza di Berlino est non fossero riusciti a fare a pezzi e a nascondere in 15 mila sacchi milioni di atti che una apposita commissione da più di vent’anni cerca di ricomporre.
Le rivelazioni hanno acceso l’allarme nella Germania post-unificazioneCi si chiede quanti comportamenti di persone, anche molto influenti, siano stati e forse siano ancora condizionati da ricatti di natura sessualeE non a caso il tema è stato sollevato dai media tedeschi in molti commenti alla vicenda di Berlusconi, già al tempo del caso D’Addario.
LE TECNICHE del ricatto erano semplici: o si utilizzavano notizie raccolte con lo spionaggio dei personaggi da “incastrare” oppure si provocavano situazioni in cui le vittime si mettevano nei guai da soleUn esempio classico è quello dell’ultraconservatore Heinrich Lummer, ministro dell’Interno ed ex borgomastro di Berlino, che fu “cucinato” ben bene da una affascinante Susanne, spia della StasiUn importante deputato della Spd, molto addentro alle cose della Nato, ebbe la carriera compromessa per una incauta relazione con una studentessa orientaleProficuo fu poi il lavoro di parecchi “romei” inviati a Bonn con il preciso compito di sedurre impiegate e segretarie dei ministeri federaliAnni fa si mormorava di una vera e propria orgia con deputati e alti funzionari (e ovviamente spioni) che sarebbe stata interrotta dalla polizia nella sede di un ministeroUn bunga bunga alla tedescaParticolarmente odiose le rivelazioni di Wanja Götz, a suo tempo ufficiale di collegamento tra la Stasi e il Kgb, che spiegò come la polizia segreta orientale avesse utilizzato a fini di ricatto i casi di due ragazzi uccisi nell’ambito di pratiche pedofile in cui avrebbero avuto un ruolo “personaggi importanti” della vita politica federalePer fortuna, nella filière sessuale della fu Ddr c’è anche una nota romanticaÈ la storia di una “giulietta” che fu inviata a sedurre un carabiniere in servizio presso l’ambasciata italiana a Berlino estLei si innamorò per davvero e chiese al gran capo in persona, il mitico Mischa Wolf, di lasciare il servizio per sposare il carabiniere che intanto era stato scoperto e scontava una pena in ItaliaWolf, raccontava lui stesso, in un impeto di romanticismo concesse il permesso.

Da Radio Radicale 29.10.10
il file integrale della trasmissione è disponibile qui

dal sito http://www.radioradicale.it/palinsesto/2010/10/28
voce: "martini e seguito della riunione..." a 13.18, dal 10° min. Emma Bonino, dal 38° min. in poi Sergio:

"...sarà che tutti sono molto affascinati da questo suo linguaggio... io, da povera sabauda... invece mi irrita solo questa stupidaggine della poesia, la narrativa, la ..., cose veramente... cioè sono cose inenarrabili... dice delle cose che siccome sono dette in modo poetico, si fa per dire, si fa per dire sto dicendo, passano come... sulla globalizzazione, o sulla crisi europea o sulla crisi... ha detto delle cose che sono.. da internarlo, da internarlo !...in cui l'Albania autarchica è già un progresso rispetto a quello che dice lui...(...) delle cose senza senso che però vengono ritenute affascinanti... dice basta con l'anticlericalismo... perchè, che vuole dire ? forza con il clericalismo ?! non capisco molto bene..."

Parla ancora 'Sergio' (non si capisce il cognome): "lui non è uomo di governo...(...) lui sceglie di andar via dalla Puglia, lui ... lancia la sua candidatura perchè ha fallito la prova del governo, ma non perchè ha fallito, ma perchè lui non riesce a governare (...) la critica che si può fare... non perchè lui non abbia questa forza evocativa, del linguaggio... che ce l'ha, potentissima, è sicuramente la cosa che lo ha fatto vincere contro D'Alema... insomma lo ha fatto diventare molto popolare... il problema quindi non sta tanto... nella poesia, il suo slogan è la 'poesia nei fatti', il problema è che non ci sono i fatti, lui la prova dei fatti non l'ha...io direi che non se ne è neanche curato... oggi non è più ostaggio dei partiti, è ostaggio di potentati economici, finanziari, probabilmente anche, diciamo, non raccomandabili, che stanno facendo i fatti...in Puglia la situazione... io vi invito ad ascoltare del convegno di Melpignano l'intervento di Gianni Lannes e di Carlo Vulpio (...) lì la situazione... da una parte Don Verzè, dall'altra la Marcegaglia (...)
...una cosa che diceva per esempio Vulpio... beh questo è andato da Santoro, no?, e come contraddittorio aveva Alba Parietti (...) perchè il problema di Vendola è anche questo, cioè lui... ci sono degli aneddoti veramente divertenti... prima di fare un'intervista... ad un giornalista, intanto si informa e si chiede se è un giornalista amico o se... ma lo dice esplicitamente "tu sei la stampa amica o la stampa nemica ?"... non regge... lui si riempie di valium, di psicofarmaci prima di sostenere un dibattito... non dorme la notte..."

venerdì 29 ottobre 2010

Repubblica 29.10.10
Bersani: "A casa il Cavaliere e le sue singolari abitudini"
Zanda: su polizia grave ingerenza del governo
D’Alema: c´è uno smarrimento e un involgarimento del discorso pubblico, la Chiesa reagisca


ROMA A casa. Perché il governo non governa, perché è impegnato solo nelle «questioni esoteriche del lodo Alfano». Ma anche perché è travolto da altri «temi che non voglio titolare. Che portano al centro le singolari abitudini del presidente del Consiglio». Pier Luigi Bersani va all´attacco di Berlusconi e cita indirettamente il caso della minorenne marocchina che avrebbe partecipato alle feste di Arcore. «Basta è l´appello del segretario Pd -. Qualcuno stacchi la spina. Il Paese ha problemi seri». Alla Lega, a Fini, allo stesso Pdl il Partito democratico chiede di chiudere il sipario. «Se ha tanto buon cuore, in queste ore ci sono migliaia di persone fermate per furti... Li lascia abbandonati così?», è la sola battuta che si concede il leader. Ma tutto il Pd assedia il premier. Chi con gli strumenti parlamentari, chi parlando di tutt´altro in una sede così lontana dalle stanze arcoriane. Massimo D´Alema partecipa a un convegno con monsignor Rino Fisichella, neopresidente del Pontificio consiglio per la nuova rievangelizzazione. E agli uomini di fede si rivolge così: «C´è uno smarrimento e un involgarimento del discorso pubblico. Altro che chiedere alla Chiesa di non ingerire. Io vorrei dirvi: ingerite! Se non ora, quando?».
Il vicecapogruppo del Senato Luigi Zanda concentra la sua attenzione su un aspetto della vicenda. Preparandosi a chiedere al governo di riferire all´aula di Palazzo Madama. «Tralascio la parte privata della vicenda. Ma se la questura è stata indotta a favorire il rilascio della minorenne su pressioni di Palazzo Chigi allora la vicenda sarebbe incredibile. E avremmo di fronte il segnale di uno spappolamento dello Stato che il potere e la cultura berlusconiani lasceranno all´Italia». Il presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro parla di «grave abuso» per l´intervento sulla Questura milanese. «Deve venire in Parlamento. La sua credibilità personale è quello che è, ma la telefonata alla polizia è istituzionalmente inaccettabile». La richiesta viene confermata dal capogruppo alla Camera Dario Franceschini: «In un altro paese il presidente del Consiglio che telefona alla Questura avrebbe portato alle immediate dimissioni dello stesso. Un intervento che Berlusconi rivendica allegramente». Antonio Di Pietro si occupa di un altro piano: «Sul versante politico-istituzionale io credo che il presidente del Consiglio non debba essere ricattabile. Berlusconi ha questa caratteristica tutta sua: essere allo stesso tempo un ricattatore e un ricattato. Utilizza il sistema di dossieraggio per fermare gli avversari politici, come nel caso Boffo piuttosto che nella vicenda Favata».
(g.d.m.)

il Riformista 29.10.10
Stavolta Bersani salta sul sexgate: «Dimissioni»
Trame. «Abitudini singolari, il governo vada a casa». Il leader sente aria di tracollo, vede più vicina la possibilità di un governo tecnico e assesta subito un colpo al Cavaliere
di Ettore Colombo

qui
 

l’Unità 29.10.10
D’Alema: ingerenza della Chiesa «Se non ora quando?»


«Altro che chiedere alla Chiesa di non ingerire: fatelo. Se non ora quando?». Lo ha affermato il presidente del Copasir, Massimo D’Alema intervenendo ad un dibattito dal tema «Un’Europa cristiana?» insieme a monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione, in cui ha chiamato la Chiesa e i politici cattolici a dare il loro contributo nel «discorso pubblico» del nostro Paese. D’Alema ha ricordato come «il contributo cattolico alla democrazia in Italia sia stato straordinario». «Mai come in questo momento ha proseguito c’è bisogno che si torni a lavorare insieme». «Davvero si può pensare ha aggiunto che questo nesso tra etica e politica lo si ricostruisca senza la presenza politica dei cattolici italiani? No, sarebbe una illusione. Sentiamo il bisogno ha concluso di un incontro tra politica e fede religiosa».

il Fatto 29.10.10
Radicali a Congresso
Cappato: “Fuori dal Pd”


D a oggi a lunedì (con l’elezione del nuovo segretario) i Radicali saranno a congresso a Chianciano Terme. Al centro del dibattito temi internazionali come la pena di morte inflitta a Tareq Aziz e le strategie di politica estera “del nostro Paese troppo connessa agli affari privati”, come chiesto ufficialmente dal deputato Matteo Mecacci al sottosegretario Carlo Giovanardi rispetto alla cancellazione del debito dell’Italia nei confronti di Antigua. Poi c’è il capitolo del rapporto con il Pd, Marco Cappato che chiede “autonomia politica” totale e l’uscita dai gruppi parlamentari democratici: “In queste condizioni mantenere una sorta di interlocuzione privilegiata è assurdo, perché la presenza nel gruppo politicamente qualcosa significa, e mi pare non abbia più senso”. Altrimenti “cosa vuol dire essere alternativi a tutto e tutti se poi stiamo dentro i gruppi del Pd? Raggiunto un limite dopo il quale qualcosa di intollerabile non va più tollerato e la nostra condizione lì dentro non ha più senso. Dobbiamo cogliere l’occasione del congresso per riconquistare anche sul piano della forma parlamentare un’assoluta autonomia”. Contrari Marco Pannella e Emma Bonino: siccome mai “illusa, neppure delusa, già all’epoca dell’accordo sapevamo il prezzo che avremmo pagato”.

l’Unità 29.10.10
Morbosi indifferenti e pure ipocriti
Dall’abbuffata mediatica (con sensi di colpa) sul caso di Sarah Scazzi fino all’omicidio di Maricica nella città dei pregiudizi
di Luigi Manconi


La battuta più efferata e irresistibile da me ascoltata in età adulta, le ferocie dell’adolescenza si disperdono più facilmente nella memoria, è quella pronunciata da Stefano Ricucci: “sta a fa’ er frocio cor culo de ‘n antro”. Tradotta in italiano, quella frase evoca la sindrome del FARSI BELLI a SPESE degli ALTRI. Due sublimi manifestazioni di quella sindrome si sono palesate recentemente intorno a due categorie esibite come morali, ma che rimandano in realtà a radici materiali e a comportamenti sociali. Mi riferisco a quell’insieme di atteggiamenti e pulsioni che ricadono sotto la classificazione di Morbosità e a quell’altro insieme, ancora più complicato, di gesti e sentimenti definibili come Indifferenza. In proposito, il motto cui ha dato nuova linfa Stefano Ricucci è assai pertinente perché morbosità e indifferenza, nei casi in questione, vengono attribuite agli altri, a tutti gli altri, da chi ne è complice determinante, al fine di acquisire credito morale e di menarne, appunto, vanto. Cosicché chi ha contribuito in maniera decisiva, a produrre Morbosità e Indifferenza, può rapido come un furetto spostarsi di lato per sottrarsi alle proprie responsabilità e per meglio moraleggiare.
Nell’ultimo mese, infatti, è accaduto che un’indignazione grande come una casa ha attraversato le nostre chiacchiere sussiegose, riempendo trasmissioni televisive e articoli di giornali. Titolo: Uh, come siamo morbosi! Tra i reperti dei Ris e le troppe impronte digitali sull’incavo di quel telefonino, tra facebook e Netlog, il delitto di Avetrana lascia l’eco stridente dell’ultima manifestazione dell’ipocrisia nazionale. L’oggetto è la morbosità: ovvero quella curiosità un po’ umida e un po’ torbida che si concentra su quanto è accaduto a Sarah Scazzi e indugia e indulge in sguardi indiscreti, domande invadenti, ricerche insinuanti. E, dunque, tutti noi grandi moralisti e piccoli peccatori con tono grave e scuotendo malinconicamente il capino, esprimiamo il nostro sdegno in due versioni: a) ma lasciamola finalmente in pace, la povera Sarah; b) ma che scandalo tanta indecente attenzione da parte di giornali e tv! Sono d’accordo a patto di dire onestamente che tutta quella curiosità non è l’esclusivo risultato di un’accorta strategia del mercato dell’informazione. E a patto che si riconosca che lo stesso mercato dell’informazione non blandisce e titilla – come si sente dire – solo “i più bassi umori polari”, ma vezzeggia gli ancestrali sentimenti di ognuno di noi. Ovviamente, io, come milioni di italiani, ho seguito l’intera epica puntata di “Chi l’ha visto?” dove la mamma di Sarah apprese della morte della figlia. Ovviamente sono stato incollato davanti al televisore per tutto il tempo: e trovo tutto ciò, oltre che un po’ vergognoso per me e per milioni di concittadini, “umano troppo umano” . Perché, senza bisogno di evocare la tragedia greca, in quella terribile vicenda c’è qualcosa che richiama elementi fondamentali della nostra antropologia: il sesso nelle sue forme primitive (vere o presunte) e il sangue (versato in famiglia), l’odio torvo e l’omertà più cupa. Ciò non appartiene esclusivamente al passato remoto e a comunità lontane e straniere. Ci riguarda tutti (nella gran parte dei casi, e per fortuna, in maniera incruenta) ed è per questa ragione che tanto ci appassiona. Almeno lo si dica.
In caso contrario, parafrasando Samuel Johnson, si deve proprio pensare che il moralismo sia l’ultimo rifugio dei mascalzoni. Se ne è avuta un’ulteriore prova quando si è assistito, le scorse settimane, allo scatenarsi della grande campagna “contro” l’Indifferenza. Coloro che hanno meticolosamente costruito l’ansia securitaria (ovvero il panico morale per le insidie contro “la sicurezza delle nostre case e delle nostre donne”, a opera degli stranieri), proprio loro hanno lamentato che nessuno si sia chinato sul corpo dell’infermiera romena Maricica Hahaianu uccisa nella metropolitana di Roma.
Prima hanno alacremente lavorato perché qualunque straniero o nomade, vagabondo o infermo di mente, tossicomane o emarginato venisse vissuto come un pericolo pubblico: e, ora, criticano quanti non si chinano misericordiosamente su un corpo che, appunto, potrebbe appartenere a uno straniero o a un nomade, a un vagabondo o a un infermo di mente, a un tossicomane o a un emarginato. Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, minaccia di denunciare per omissione di soccorso coloro che invece di piegarsi su quel corpo a portare conforto sono passati oltre. Ah, come piacerebbe essere Stefano Ricucci per poter replicare: te possino caricatte (vedi il Dizionario romanesco, Newton Compton, 2005).

l’Unità 29.10.10
Vite a perdere nelle carceri italiane La Cgil: «10 proposte contro l’emergenza»
Sit in organizzato dal comparto sicurezza della Funzione Pubblica Cgil per denunciare la grave emergenza carceri del nostro paese e presentare 10 proposte per contribuire a risolvere i problemi di sovraffollamento.
di Massimo Solani


Le carceri italiane esplodono nel disinteresse della politica. La popolazione carceraria aumenta, l’organico degli agenti di polizia penitenziaria è gravemente carente e decessi e suicidi ricordano ogni giorno quanto grave sia il problema negli istituti di pena. Eppure il piano carceri elaborati del ministro della Giustizia Alfano e del capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta sembra sparito, causa assenza di fondi adeguati, da un’agenda politica monopolizzata dai problemi con la giustizia del premier Berlusconi. Per questo ieri la Funzione Pubblica della Cigl ha deciso di portare in piazza i problemi di chi ogni giorno vive il carcerealdiquaealdiladellesbarre.E non in una piazza qualunque, ma in piazza Montecitorio davanti a quella Camera da troppo tempo sorda ai problemi dei detenuti e degli agenti di polizia penitenziaria. Una protesta di grande impatto quella del sindacato (hanno aderito anche il Partito Democratico, i Radicali, Antigone, Radiocarcere, Magistratura Democratica e l’Unione delle Camere Penali) che fin davanti alla Camera ha portato la riproduzione di tre celle e “manichini detenuti”, per raccontare quali siano le condizioni di vita di chi in carcere lavora o sconta la propria pena. «Una emergenza umanitaria fuori controllo ha spiegato il responsabile Nazionale Comparto Sicurezza Fp-Cgil Francesco Quinti soprattutto in assenza di un progetto chiaro per uscire dalla crisi».
Per questo il comparto sicurezza del sindacato di Corso Italia ieri ha rilanciato la propria ricetta per aiutare il sistema carceri ad uscire dall’emergenza sovraffollamento e recuperare la vivibilità necessaria. Dieci proposte, hanno spiegato, che vanno dalla modifica della normativa sulla custodia cautelare alla messa in prova, dalla modifiche alle leggi Fini-Giovanardi (in materia di droga) e Bossi-Fini (contrasto all’immigrazione) all’adeguamento dell’organico della Polizia Penitenziaria con l’assunzione di almeno 6mila agenti. Il tutto, ovviamente, passando per una concreta redistribuzione dei fondi a disposizione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria («riportiamoli almeno ai livelli del 2001», chiedono) e per l’inserimento in Finanziaria di quel miliardo e mezzo di euro necessario al completamento del Piano Carceri. «Le nostre 10 proposte servono a questo ha spiegato Quinti a dare una via d’uscita, proponendo provvedimenti normativi, formule organizzative e strumenti nuovi per rendere il carcere un luogo di recupero e di reinserimento nella società, come garantisce la nostra Costituzione Repubblicana e la legge Gozzini, mai applicate del tutto. Il carcere è divenuto un luogo di reclusione e repressione del disagio sociale, un luogo angusto e malsano, tanto per i poliziotti quanto per i detenuti».

l’Unità 29.10.10
Schiavi di oggi. Cronaca di uno sgombero
Anselmo Botte, sindacalista della Cgil, è il testimone di un giorno da immigrati-braccianti a San Nicola Varco
di Flore Murard-Yovanovitch


Gli schiavi moderni sono braccianti nel Mezzogiorno. Il loro ambiente: la tana. Capanna di lamiera e teli di plastica, quelli usati per le serre, dove nella stagione del raccolto centinaia di migranti si spezzano la schiena per una ventina di euro. Una topaia con qualche coperta che puzza di lercio e un’unica fontanella per 800 persone: ecco il campo di San Nicola Varco. Eppure, per i marocchini che ci sopravvivevano fino a quella notte dell’11 novembre 2009, era un «rifugio», in assenza di altro, di meglio. Graziemila. Eboli, San Nicola Varco: cronaca di uno sgombero è la storia di quell’unica giornata raccontata, passo dopo passo, da un testimone d’eccezione come Anselmo Botte, sindacalista della Cgil.
A questi stagionali che facciamo venire ogni anno con i «decreti-flussi» è data soltanto una branda. E invece di una vera politica di alloggio da parte di imprese e amministrazioni comunali, si preferisce la mano autoritaria. Centinaia di poliziotti in tenuta anti-sommossa e mascherina contro immaginari virus, organizzano una mediatica caccia al clandestino. Quelli scampati, sono oggi sparpagliati nei fondi della Piana del Sele, fino a Rosarno; altri rimpatriati o rinchiusi nei Cie; ma la stragrande maggioranza è tornata nei campi, all’alba dell’indomani stesso: nessuna alternativa di fronte ai caporali. Il ghetto non c’è più, ma i braccianti sì. Ipocrisia di un sistema-mercato a cui questa forza-lavoro è indipensabile, ma che non intende garantirle alcun diritto e dignità. Figuriamoci un contratto e un’abitazione degna.
Anselmo Botte denuncia come i braccianti vengono così lasciati in balia di camorristi e intermediari senza scrupoli, che vanno fin nei Paesi di partenza a organizzare le loro «tratte».
Pagherai 7000 euro per un illusorio «lavoro e alloggio in Italia»; ti ritroverai sfruttato per meno di 25 euro, inclusa la tangente al caporale. Cristo si è fermato qualche chilometro prima di Eboli. Qui non ci è arrivato: ma la tua vita sì. Come in un monologo teatrale, i risvolti del lavoro nero ce li racconta la voce semplice di Dris Quastalani, marocchino quarantenne. Tra i ricordi dell’infanzia al bled e il quotidiano con i connazionali nella tana di San Nicola Varco: una musica berbera e un tè, le discussioni angosciate alla vigilia dello sgombero.
Storia e corpo alla «clandestinità», che è paura e sopravvivenza quotidiana; un’unica busta con i rari stracci sempre pronta e persino la reciproca solidarietà che si sgretola. La vita ridotta ai «bisogni». Randagia. Lo riassume Driss, con la lucidità di chi sa di essere una merce sfruttata: «quel poco di umano che era in me era annientato».
Si esce da «Graziemila» con la sensazione non solo di avere toccato con mano la disuguaglianza contemporanea, ma anche di essersi addentrati nell’annullamento dei nuovi migranti. E molto spiega delle recenti rivolte.
«Graziemila. Eboli, San Nicola Varco: cronaca di uno sgombero» di Anselmo Botte, edizioni Ediesse

l’Unità 29.10.10
Sciopero degli stranieri, «in piazza per la dignità»


Lavoro e dignità. All’insegna di questi due diritti, che dovrebbero essere garantiti a tutti indipendentemente dal colore della pelle e dall’etnia, i lavoratori italiani e migranti scenderanno in piazza oggi pomeriggio in 4 città della penisola, con uno sciopero organizzato dalla Confederazione unitaria di base (Cub) e dal Comitato immigrati in Italia. Insieme a Roma, Bari e Milano, anche Firenze ospiterà la manifestazione, prevista per le 10.00 in via Cavour, davanti alla sede della prefettura. In Toscana, del resto, la manodopera straniera ha un peso molto rilevante, poichè rappresenta oltre il 10% dell’intera forza lavoro. La manifestazione è nata «per rivendicare lavoro, più reddito e dignità» e con l’intento, dicono gli organizzatori, di provare «l'unità dei lavoratori, italiani e migranti» contro «la cosiddetta “cura Marchionne”». L'astensione da lavoro riguarderà anche le Ferrovie dello Stato dalle 10.00 alle 18,00, mentre gli addetti agli impianti fissi (uffici e officine delle Fs) si fermeranno per l'intera giornata. In una nota, anche l'ospedale Le Scotte di Siena annuncia che a causa dello sciopero potrebbero «verificarsi disagi e variazioni nel normale svolgimento delle attività ambulatoriali». V. BUT.

Corriere della Sera  29.10.10
Il diritto dei figli a essere amati (per legge)


Via la distinzione tra naturali e legittimi. Dovranno mantenere i genitori in difficoltà
ROMA — Uguali in tutto e per tutto. Senza più neppure una differenza, anche piccolissima. Non più figli di serie A e di serie B, non più bambini diversi anche se nati da uno stesso genitore. Sarà approvato oggi dal Consiglio dei ministri il disegno di legge delega per l’equiparazione dei figli naturali ai figli legittimi. Un ddl delega che dovrebbe tracciare un percorso veloce per l’approvazione di una legge fortemente sentita dalla gente, ora che in Italia la percentuale dei figli nati fuori dal matrimonio è superiore al 18 per cento, ed è più che raddoppiata in dieci anni; una legge che non incontra più alcun ostacolo culturale; una legge voluta dal ministero delle Pari Opportunità di Mara Carfagna e dal Sottosegretario per la famiglia Carlo Giovanardi. Un disegno di legge che potrebbe finalmente diventare realtà, dopo il tentativo fatto nel 2007 dall’allora ministro per la Famiglia Rosy Bindi, che era riuscita a far approvare dal governo Prodi un provvedimento analogo che però non era mai diventato norma.
Figli uguali, senza differenze: l’ordinamento giuridico non conoscerà più neppure la distinzione linguistica tra figli naturali e figli legittimi, si parlerà solo di figli, con una rivoluzione lessicale che sarà estesa a tutto l’ordinamento giuridico, a cominciare dal codice civile.
Figli uguali senza differenza significa che cadono anche le ultime disparità di trattamento per quanto riguarda i diritti ereditari. E non è cosa da poco. Il figlio naturale, che oggi può essere liquidato dai fratellastri con una somma di denaro, e così escluso dall’asse ereditario, ne entra adesso pienamente a far parte, con piena tutela dei suoi interessi e senza diritti diminuiti in nessun modo. Figli uguali significa anche che sono parenti dei parenti del genitore, come i figli legittimi hanno nonni e zii senza differenze.
Ma non c’è solo l’equiparazione in caso di eredità, che pure è la cosa più importante. In questo ddl c’è anche l’affermazione di un principio fondamentale: tutti i figli, senza alcuna distinzione, hanno diritto ad essere amati e a ricevere dai genitori non solo il sostegno economico ma anche quello morale, un carico affettivo necessario per una crescita armoniosa. E accanto ai diritti, per tutti i figli, anche quelli nati fuori dal matrimonio, si sancisce il dovere di contribuire al reddito familiare, in pratica di mantenere i genitori in difficoltà, con l’evidente intenzione di spingere il figlio ormai grande a cercare concretamente un lavoro per aiutare la famiglia se resta nella casa dei genitori, norma questa che potrebbe modificare molte sentenze della Cassazione che fino ad oggi hanno dato ragione ai figli, obbligando genitori anche anziani a mantenerli oltre ogni ragionevolezza.
C’è poi una rivisitazione della dichiarazione di stato di abbandono, che consentirebbe alla magistratura di interpretare in maniera più ampia la situazione che precede l’adottabilità di un minore. E si stabilisce il diritto dei figli ad essere sempre ascoltati quando si prendono decisioni che li riguardano.

Corriere della Sera 29.10.10
Naturali o no, i figli vanno amati per istinto e d’ora in poi per legge
di Isabella Bossi Fedrigotti


Sempre più figli nascono fuori dal matrimonio e vengono concepiti artificialmente. La società cambia e i codici si adeguano. Dispone un nuovo disegno di legge che i figli sono uguali in ogni senso, non più distinti in legittimi e naturali, i quali finora erano parificati come figli, ma non come nipoti e cugini. D’ora in poi, invece, saranno per diritto parenti dei parenti di entrambi i loro genitori e dovranno poterli frequentare. Per la gioia dei nonni «illegittimi» che da tempo lamentavano l’ingiustizia reclamando questo riconoscimento.
La suggestiva e abbastanza inattesa novità consiste, tuttavia, nel fatto che gli articoli del disegno di legge parlano di amore. Amore e assistenza che ai figli — tutti i tipi di figli — spetteranno per diritto, esattamente come già spettavano loro l’educazione e il mantenimento. Il che non è un fatto così ovvio come potrebbe sembrare, visto che esistono non pochi genitori, in genere padri ma non mancano nemmeno le madri, che, rifattasi altrove una vita sentimentale, magari lontano e con nuovi figli, provvedono al mantenimento e all’educazione (scolastica) dei loro bambini e ragazzi di primo letto, assai meno, però, all’assistenza e all’amore. Sempre ammesso che una legge, peraltro in tutto e per tutto coincidente con quella istintiva e naturale, esistente fin dalla notte dei tempi, riesca davvero a insegnare l’amore o, in mancanza, a imporlo a certi, malauguratamente recalcitranti, genitori.
Il disegno di legge prevede però anche — di nuovo adeguandosi ai mutamenti della società — che i figli abbiano a loro volta dei doveri: dovranno, cioè, se già hanno un lavoro e ancora vivono in famiglia, contribuire al suo mantenimento. Come dire, insomma, che i bamboccioni — là dove esistano — saranno d’ora in poi obbligati a darsi una mossa, a non più considerare la casa famigliare come una pensione gratuita, la mamma come una governante tuttofare e il papà magari, alternativamente, ora come fattorino ora come bancomat.

l’Unità Firenze 29.10.10
Biblioteca Nazionale dal governo nessuna certezza
Interrogazione del deputato fiorentino Ventura al sottosegretario Giro. Blocco-turnover: in arrivo personale di altri enti per aprire il pomeriggio
di Tommaso Galgani


Il pomeriggio si chiude. E dall’anno prossimo servizi ridotti. Per la Biblioteca Nazionale di Firenze, grazie ai tagli del governo alla cultura, sono due rischi che restano concreti. Il tema ieri è stato affrontato alla Camera, con un’interrogazione del deputato fiorentino del Pd Michele Ventura al sottosegretario ai Beni Culturali Francesco Giro. Tra le questioni posta da Ventura, il tema del turnover («abbiamo un blocco del turnover, che è stato particolarmente pesante e grave; il personale è di circa 190 unità, a fronte delle 2.500 di Parigi e delle 1.200 di Londra. L’età media di questo personale è di 55 anni e non vi è stata immissione di nessuna forza con competenze particolari, soprattutto del mondo giovanile»), la mancanza di certezze sull’espletamento dei concorsi e sulle assunzioni straordinarie, l’ipotesi di nuovi spazi: «Sarebbe interessante sapere come il governo intenda intervenire per la ristrutturazione e il completamento, dopo l'accordo con il demanio, per assegnare alla biblioteca l'ex caserma Curtatone e Montanara, in via Tripoli, che dovrebbe costituire un volano per consentire la conservazione e la catalogazione nei prossimi anni», ha detto Ventura. Giro ha risposto sciorinando numeri e qualche promessa. Senza soddisfare l’interrogante.
Viene descritto uno scenario: «Per la carenza di personale, problema di carattere generale per il settore e legato al blocco del turnover in tutto il comparto, si sta valutando la possibilità di transiti alla biblioteca di personale appartenente ad enti disciolti, possibilmente già presenti sul territorio fiorentino. Va altresì ricordato che il processo di autonomia non solo scientifica ma anche amministrativa, gestionale e finanziaria della biblioteca è ancora in una fase fisiologica di transizione. A pieno regime, tale autonomia consentirà di attingere a varie altre forme di finanziamento», ha spiegato Giro. Ha replicato Ventura: «Ci hanno risposto in maniera ragioneristica dimostrando ancora una volta come sia profondamente sbagliata l’idea dei tagli lineari. Alla Biblioteca di Firenze, il principale centro bibliografico d’Italia, non si può contrapporre la ragionieristica e generalizzata riduzione del 30% delle risorse. Vista la risposta burocratica del sottosegretario, in attesa di leggi speciali e di interventi aggiuntivi di cui ho sentito parlare, mi accontenterei di interventi ordinari». Intanto, martedì ci sarà il concerto del Maggio davanti alla biblioteca.

il Fatto 29.10.10
“Eravamo a un passo dal salvare Saddam, poi Bush rovinò tutto”
Pannella ricorda Tareq Aziz e i giorni dell’operazione-esilio
di Stefano Citati


“Caino al cento per cento”. Così Marco Pannella definisce Tareq Aziz: e proprio come il primo assassino della storia (biblica) l’ex vice primo ministro iracheno ha il diritto di avere salva la vita. Dunque “nessuno tocchi Caino” (associazione contro la pena di morte affiliata al Partito radicale). Al terzo piano del palazzo di via di Torre Argentina, centro storico di Roma, con sopra e sotto i locali delle suore benedettine, il leader storico dei radicali racconta l’impegno preso per Aziz, sciopero della fame (dal 2 ottobre, per la situazione nelle carceri italiane) e della sete (deciso dopo l’annuncio della condanna a morte dell’ex ministro iracheno) e soprattutto ricorda come nell’inverno 2003 si fu a un passo dal salvare Saddam Hussein permetendogli l’esilio dall’Iraq.
“COME HA ricordato Furio Colombo (articolo su il Fatto di mercoledì, ndr) si era creata la straordinaria possibilità di risolvere altrimenti la situazione, non con le armi, ma attraverso l’esilio del dittatore: per noi era essenziale che Saddam se ne andasse per smettere la guerra civile contro il suo popolo. Non era un atteggiamento pacifista; sono sempre stato considerato un amerikano (sì, con il kappa), e mi sono sempre definito anche un uomo della Cia, in modo fosse chiaro che per noi il punto-chiave era la cacciata di Saddam. È successo tutto molto in fretta, parallelamente alla creazione del consenso bellico: il 10 dicembre Io, Emma e i nostri 7 parlamentari europei decidemmo di porre la questione dell’esilio; il 19 gennaio presentammo il progetto alla Camera dei deputati e solo un mese dopo, il 19 febbraio il Parlamento vota la proposta radicale (345 sì, 38 no, 52 astenuti), che impegna il governo Berlusconi a ‘sostenere presso tutti gli organismi internazionali, a iniziare dal Consiglio di sicurezza Onu l’ipotesi dell’esilio del dittatore iracheno’. I nostri tempi erano perfetti: le manifestazioni pro-Saddam (e anti-americane) si moltiplicavano non solo nel mondo arabo ma anche nell’Occidente. Avevamo precedenti illustri, come Bokassa (ex dittatore del centrafrica rifugiato in Costa d’Avorio); avevamo preso contatti con chi si stava impegnando nelle mediazioni (il greco Papandreou era presidente di turno della Ue, molti paesi arabi stavano cercando di convincere il presidente iracheno e abbiamo avuto contatti anche con Blair, che era indeciso sul da farsi). Insomma per noi il momento e l’opinione pubblica erano propizi (il 19 marzo, solo dopo l’ultimatum di 48 ore di Bush a Saddam, fu reso pubblico un sondaggio del 25 gennaio in cui il 62% degli americani si diceva favorevole all’esilio): ma a questo punto tutto è stato fatto naufragare dal ‘vertice della fattoria’. Il 22 febbraio a Crawford (il ranch dei Bush in Texas), il presidente americano respinse e affossò i tentativi del premier spagnolo Aznar di spingere per l’esilio: ‘Potrebbe essere ucciso entro due mesi; è un ladro, terrorista, criminale di guerra, al cui confronto Milosevic sarebbe Madre Teresa’, risponde il capo delle truppe americane.
BUSH TEMEVA che se fosse stato fatto fuori Saddam sarebbe caduto il motivo e la scusa per l’attacco. A precedente, ma ulteriore, conferma l’8 febbraio Bush ‘incarica’ Gheddafi, attraverso la mediazione di Berlusconi, ad andare da Saddam per convincerlo all’esilio; è la posizione della Lega Araba; ma il 1° marzo alla riunione del Cairo
(era presente Emma Bonino), il leader libico ruba la scena a tutti e di fatto blocca la discussione sul possibile esilio del dittatore che pure gli aveva dato la sua disponibilità: poco dopo la Libia verrà tolta dalla lista nera degli americani. Insomma, la possibilità di esilio di Saddam è stato fatto fallire e adesso ci ritroviamo con la condanna a morte del suo più vicino collaboratore (che tra il 13 e il 15 febbraio fu a Roma, incontrò il Papa, ma non fu forse ‘usato’ efficacemente per convincere Saddam) che sa tutto questo e potrebbe raccontare dell’“opzione impossibile” fatta saltare da chi non poteva fare a meno della guerra”.

Corriere della Sera 29.10.10
Ateismo, materialismo, rivoluzione Michel Onfray pasdaran dei Lumi
«Voltaire e Kant ipocriti bigotti. Meglio Meslier, d’Holbach, Sade»
di Pierluigi Panza


Ai radicalismi che si fronteggiano su scala planetaria dall’inizio del secolo (religiosi, etnici, economici), il filosofo francese anti-salotto buono parigino, Michel Onfray, ne vuole aggiungere un altro: l’Illuminismo radicale. È una posizione che rivendica come caratteristica dell’Europa nel saggio Illuminismo estremo (traduzione di Gregorio de Paola, Ponte alle Grazie, pp. 302, €20)
e che si fonda su almeno quattro aspetti: un marcato e netto ateismo; il riconoscimento del fondamento materialistico e meccanicistico delle cose e degli esseri viventi; la libertà di espressione per ogni forma di piaceri e l’elemento rivoluzionario come azione politica — essendo la rivoluzione francese l’atto caratterizzante l’Europa moderna.
Onfray è un coraggioso filosofo antiaccademico di estrazione popolare, ma che scrive davvero troppi libri perché siano tutti «importanti»: nel suo precedente a questo — una severa critica a Sigmund Freud fondata sul confronto tra pensiero e biografia — si è attirato numerose critiche dall’establishment dei maîtres à penser transalpini, i quali si sono dimenticati nell’occasione che pure il «guru» Michel Foucault era arrivato a interpretare il pensiero di Freud come estrema eredità del pensiero cattolico.
Forse sarà così anche questa volta, visto che Onfray — pur non invitando gli illuministi radicali a fare guerriglia o attentati nelle strade in nome della Ragione — mette sotto accusa i «padri nobili» dei Lumi: Diderot, d’Alembert, Voltaire e Kant. I quali sono colpevoli di insufficiente radicalismo, più spesso di ipocrisia, come minimo di non aver saputo tagliare i legami con il deismo e la religione o di esser stati quello che oggi si direbbe «politicamente scorretti». Dunque, gli avversari dello sviluppo dei Lumi non sarebbero stati solo gli ultimi occultisti alla Cagliostro, i mesmeristi che guarivano con la calamita, i frenologi che studiavano il bernoccolo della matematica, i seguaci della fisiognomica come Johann Kaspar Lavater o i settari e i dogmatici rifugiati nelle confraternite. No, anche loro, i Kant e i Voltaire, alla fin fine, lasciarono prosperare le due ossessioni di Onfray: il cattolicesimo e le monarchie.
Su che basi giunge a queste condanne? Come per Freud, Onfray procede mostrando la discrasia tra pensiero e comportamento individuale (popolarmente si direbbe «predicano bene e razzolano male»), ovvero comparando teoresi e buco della serratura — o quasi. Diderot è «assai acuto sui popoli dell’altro capo del mondo nel suo Supplemento al viaggio di Bougainville, ma un po’ meno eloquente quando incassa i benefici del suo capitale impegnato nella tratta dei negri». Stessa osservazione per Condorcet: «Pronto a condannare la schiavitù nelle Riflessioni sulla schiavitù dei negri, ma anche a chiedere una moratoria di ottant’anni per non danneggiare i proprietari». Quanto a Kant, la colpa è quella di aver classificato «le donne nella casella dei minorenni di fatto». Accuse anche al naturalista Buffon per l’affermazione che «i negri puzzano di porro» e a Montesquieu perché «difende la pena di morte».
Non si salva nessuno? Europa, ancora una volta, con il capo cosparso di cenere? No; si salvano gli ultrà dei Lumi, che rispondono ai quattro requisiti sopra enunciati. Sono: La Mettrie, Meslier, Helvétius, d’Holbach e il marchese de Sade.
Quello di Onfray è più un coraggioso manifesto per l’oggi che una controstoria. È vero che la storia delle idee si fa con «gli occhi del presente», e che qualsiasi storia è interpretazione; ma qui la volontà di non calare il pensiero nell’epoca della sua formulazione appare troppo evidente per parlare di «storia».
Lo registrano anche due osservatori italiani. L’epistemologo Giulio Giorello ritiene infatti che Onfray sia «un po’ offuscato da ossessioni personali, come fare i conti con il cristianesimo», e che la sua sia «un’utile provocazione intellettuale che dà voce al materialismo radicale di d’Holbach o Le Mettrie». Ma — e questa è una critica anche di altri — «non vorrei che si sostituisse l’idea di filosofia come ricerca di Dio, con la tesi opposta», dice Giorello. «Voltaire è un deista e ritiene necessaria una religione civile, ma smonta con ironia ogni fanatismo. Diderot ha sarcasmo; dire che possedeva degli schiavi è un gioco vecchio. Anche Thomas Jefferson e George Washington erano teisti e schiavisti: ma ciò toglie veridicità alla dichiarazione che tutti gli uomini sono nati liberi? Direi di no. Toglie valore all’esperimento democratico di Washington?». Il caso de Sade, poi, è curioso. In un libretto dove tracciava l’elogio di Charlotte Corday, l’assassina di Marat, Onfray esaltava la donna e stigmatizzava de Sade. «Sono contento — conclude Giorello — che ora lo rivaluti; Charlotte ammazzava e Sade no. Il marchese si esprime contro la pena di morte, nella sua Filosofia nel boudoir presenta un’idea di Stato minimo e dice che la rivoluzione non deve essere imposta. Se vale esportare la rivoluzione, come vorrebbe Onfray, allora vale anche esportare la democrazia! A Sade avrebbe fatto orrore la guerra in Iraq; a Onfray non so».
Per il filosofo cattolico Giovanni Reale, poi, Onfray prende proprio l’Illuminismo dalla parte sbagliata. «L’Illuminismo ha avuto una validità fondamentale, ma il suo nucleo pericoloso è proprio l’estremismo integralista, il radicalismo della Ragione che diventa dea al posto di Dio. L’Europa non è nata con l’Illuminismo, come pensano i neoilluministi anche di Bruxelles; ma con la cristianità. L’errore che compie l’Illuminismo radicale è negare la portata conoscitiva della fede. Persino epistemologi come Thomas Kuhn hanno mostrato che i passaggi di paradigmi scientifici avvengono per atti di fede». E conclude: «L’Illuminismo che combatte l’integralismo religioso non è un buon Illuminismo se diventa, a sua volta, integralista, come è Onfray».
L’Illuminismo dovrebbe presentarsi come anticorpo al radicalismo. «Senza ignorare», come scriveva Edgar Morin, «le ombre della Ragione». E senza trasformarsi in «contro-prassi», come si diceva ai tempi della Scuola di Francoforte. Visto che già Horkheimer e Adorno, con Dialettica dell’Illuminismo (1947), avevano mostrato i limiti e i rivolgimenti di una ragione radicale che diventa il suo opposto: la meccanizzazione che porta allo smog, la promozione che conduce alla sudditanza pubblicitaria… Se in Onfray va apprezzata la radicale guerra a ogni ipocrisia e a ogni falsa coscienza (e ce n’è bisogno), va però evidenziata anche l’ingenuità filosofica nel ritenere che il «pensiero» davvero possa partire da una tabula rasa e procedere senza «pre-giudizi».

Repubblica 29.10.10
Il business delle false malattie ecco i trucchi delle industrie per venderci farmaci inutili
Il costo per sanità pubblica e famiglie: 4 miliardi all’anno
di Michele Bocci


Non ce n´è nemmeno uno. Sul calendario non sono rimasti più mesi, settimane o giorni liberi da malattie. Da prevenire, scoprire prima possibile, sconfiggere, studiare o raccontare a chi sta bene. Cancro, alzheimer, sclerosi multipla, aids sono protagoniste ogni anno di giornate mondiali o italiane, regionali o cittadine. Ma anche la menopausa, l´osteoporosi, l´incontinenza e addirittura la stipsi hanno i loro periodi dedicati, con appuntamenti nelle piazze, davanti ai supermercati, negli ambulatori. Sotto gazebo montati in centro si misurano glicemia e pressione, si fanno valutazioni odontoiatriche e audiometriche ai passanti. C´è un palcoscenico per ogni problema, che sia infettivo e raro come la meningite oppure diffusissimo come l´ipertensione. Molti forse non sanno che in Italia si celebra anche il mese della prevenzione degli attacchi di panico.
Quanti sono gli appuntamenti dedicati alle malattie? Quelli nazionali almeno 60 l´anno, poi ci sono le manifestazioni locali e il numero sale a 300. In molti, tra medici, farmacologi e responsabili di associazioni di malati, sono convinti che sia troppo alto. Spesso l´invito agli screening e il messaggio che molti non sanno di avere una certa patologia, oltre ad avere effetti positivi, creano ansie e timori. E fanno consumare sempre più sanità: esami, visite e medicinali. È ciò che vuole l´industria farmaceutica, che in Italia fattura oltre 25 miliardi di euro all´anno. Lavora per far guarire da problemi seri ma anche per allargare il mercato, un po´ come si fa con i detersivi. Le giornate del malato, normalmente importanti, possono essere un efficace strumento di marketing, e diventare una delle linee di produzione della fabbrica delle malattie.
Quali sono i meccanismi utilizzati per riempire di medicine i nostri armadietti del bagno? Il punto di partenza è la ormai nota frase pronunciata oltre trent´anni fa dal pensionando direttore Merck, Henry Gadsen: «Sognamo di produrre farmaci per le persone sane». Da allora la fabbrica ha scoperto tanti medicinali importanti ma ha anche prodotto nuove patologie e nuovi malati. Eventi naturali della vita come l´invecchiamento e il parto o stati d´animo come la timidezza, oggi, nella grande corsa al benessere assoluto, sono considerati problemi di salute. Così nessuno di noi si sente sano fino in fondo. Probabilmente Gadsen ne sarebbe soddisfatto.

I problemi di salute in piazza
L´idea di partenza è meritoria: portare una patologia in piazza per farla conoscere e magari raccogliere soldi per ricerca e assistenza. Il sistema però è cresciuto a dismisura. «Si rischia di incentivare il consumo di prestazioni sanitarie e di medicine», dice Marco Bobbio, primario di cardiologia a Cuneo e autore per Einaudi del libro "Il malato immaginato". «Tra gli organizzatori delle giornate c´è certamente chi ha uno scopo specultativo. Anche perché nessuno ha mai verificato con studi scientifici se queste iniziative aiutano i pazienti a curarsi meglio o magari spingono qualcuno che ha scoperto i sintomi di un problema ad accentuare artatamente i suoi disturbi, sottoponendosi a esami inutili». E magari a consumare più farmaci. Ma quanti tra coloro che partecipano a una campagna sanno già di avere quel problema di salute?
«L´impressione è che si faccia coinvolgere chi è già seguito per la patologia a cui è dedicata la giornata dice Bobbio Chi fuma non va al banco per la prevenzione del tumore al polmone fuori dal supermarket».
A organizzare questi appuntamenti di solito sono associazioni di malati, con l´appoggio di una società scientifica e il contributo dell´industria. Un evento di medie dimensioni al privato può costare anche 100-150mila euro. Le case farmaceutiche credono in queste iniziative. E non solo loro. Sempre più aziende cercano visibilità per i loro prodotti attraverso i problemi di salute. La giornata dell´osteoporosi oltre a sponsor come Procter & Gamble (che vende un farmaco per questo problema a base di risedronato), o Lilly Italia, quest´anno ha avuto la partnership dell´acqua Sangemini. Sul suo sito la società spiega anche di aver pubblicato un «opuscolo esplicativo sulle proprietà dell´acqua Sangemini, sulla prevenzione e la cura dell´osteoporosi per la donna fashion, ma anche attenta al suo benessere». Il tutto per un problema passato negli ultimi anni da fattore di rischio a malattia, secondo alcuni proprio grazie all´impegno dell´industria. Negli Usa si calcola che le visite per l´osteoporosi siano triplicate dall´introduzione sul mercato del farmaco alendronato della Merck.
Al di là delle normali e lecite sponsorizzazioni, esistono appuntamenti organizzati a tavolino per vendere farmaci? Per dare una risposta basta la storia della "settimana nazionale per la diagnosi e la cura della stitichezza". «In Italia è stata fatta per ben tre anni consecutivi spiega Bobbio Si volevano sensibilizzare medici e cittadini sulla necessità di curare questo problema in previsione dell´arrivo sul mercato di un farmaco». Quel medicinale era a base di tegaserod ed era prodotto dalla Pfizer, che l´ha ritirato dal commercio in Europa nel 2007, perché sono stati segnalati casi di problemi cerebro-vascolari tra chi lo aveva preso. «E dall´anno dopo la settimana della stitichezza è scomparsa dice Bobbio dimostrando che il grande interesse "scientifico" era ingigantito per preparare il lancio commerciale».

Curare malattie che una volta non erano malattie

Le giornate del malato, come certi studi clinici, i convegni e le pubblicità, in alcuni casi possono essere utilizzate per il cosiddetto disease mongering, la creazione a tavolino delle malattie. La stessa osteoporosi, la menopausa, la timidezza, un tempo non erano considerate patologie, ora sì. Una recente ricerca scientifica svolta negli Usa e pubblicata da Social science & medicine, prende in considerazione una decina di situazioni (ansia, deficit di attenzione, insoddisfazione della propria immagine, disfunzione erettile, infertilità, calvizie, menopausa, gravidanza senza complicazioni, tristezza, obesità, disordini del sonno) che sono state medicalizzate, alcune magari anche giustamente, negli ultimi anni e calcola che costino ogni anno alla sanità Usa 77 miliardi di dollari, il 3,9% della spesa. Quanto costa in Italia medicalizzare le patologie che un tempo non esistevano? Rispettando le proporzioni con l´America, circa 4 miliardi di euro. Di recente il British medical journal ha pubblicato il lavoro di un ricercatore australiano, Ray Moynihan, il quale sostiene che il mito della scarsa libido delle donne è stato creato dalle case farmaceutiche, per vendere una versione femminile del Viagra fino ad ora mai scoperta.

Come si aumenta il numero di pazienti
La fabbrica delle malattie non si accontenta mai. Si muove anche per far crescere il numero di persone a rischio. «Basta abbassare il limite della pressione, della glicemia o del colesterolo considerati pericolosi», spiega Roberto Satolli, medico e giornalista dell´agenzia Zadig, che realizza il sito www.partecipasalute.it. «Negli anni Sessanta si era ipertesi con 160-90, negli anni Ottanta e Novanta con 140-90 e adesso con 120-80. Si sposta un po´ la soglia e milioni di persone vengono inserite tra coloro che devono prendere dei farmaci». Il colesterolo un tempo era considerato alto dai 240 in su, adesso anche ben al di sotto dei 200. Un sensibile allargamento del mercato potrebbe essere dovuto proprio in questo periodo al Crestor di AstraZeneca, uno dei medicinali della famiglia delle statine più efficaci per abbassare il colesterolo e quindi prevenire l´infarto. Di recente l´Fda, l´agenzia Usa per il controllo dei farmaci, ha approvato l´estensioni delle indicazioni alle persone senza problemi di colesterolo ma con alti livelli della proteina C-reattiva (un marcatore di infiammazione) e con un fattore di rischio cardiovascolare, come fumo, ipertensione, sovrappeso. Il New York Times ha spiegato come uno studio su larga scala dimostri che, rispetto al placebo, il Crestor per questi soggetti fa scendere la probabilità di un attacco di cuore da 0,37% a 0,17. Il quotidiano fa notare che per prevenire un infarto "a cui normalmente si può sopravvivere" vanno trattate 500 persone. Che magari sono grasse e quindi potrebbero abbassare quel fattore di rischio. Il Nyt calcola che, con l´allargamento dei parametri, 6,5 milioni di americani diventino potenziali utilizzatori del Crestor.
Le statine sono sempre più usate ovunque, da noi il consumo aumenta del 20% all´anno. Si tratta di farmaci che hanno rivoluzionato la cura dei problemi cardiovascolari. Lo sottolinea Sergio Dompé, presidente di Farmindustria: «Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una riduzione di queste patologie senza precedenti. Del resto, più in generale, oggi stiamo meglio di una volta, in 15 anni ne abbiamo guadagnati 3 di vita. Le aziende fanno i loro interessi, ma quando lavorano correttamente perseguono anche il bene della collettività. Certo, alcuni sprechi si possono ridurre. E come dico sempre: il miglior farmaco è avere un bravo medico». Uno dei pilastri della fabbrica delle malattie è il marketing. Ma come si fa a vendere un farmaco?

L´imbuto e il "disease awareness"
Bisogna essere oltre che disinvolti anche scientifici. «I medici sono classificati a seconda della loro capacità di condizionare i colleghi. In cima ci sono gli influenzatori, bravi a parlare in pubblico e seguiti da tanti altri dottori quando si tratta di fare una prescrizione. Poi ci sono gli influenzati ma anche categorie come gli early adopters, gli appassionati delle novità, che amano essere i primi a fare le cose». A parlare è Luca (il nome è finto), che da anni lavora negli uffici marketing del farmaceutico. «A parte l´utilizzo degli informatori, sono importanti i congressi. Si sponsorizzano gli organizzatori e si fanno mettere letture o tavole rotonde incentrate non sul brand del tuo farmaco, cosa vietata, ma sul principio attivo o sulla patologia. Avere questo spazio scientifico costa diverse decine di migliaia di euro. Per il tuo simposio ingaggi i relatori, che paghi tra i mille e 5mila euro, e anche il pubblico, cioè i medici che seguono la patologia di cui si parla e che ospiti al congresso». Il fine è quello di vendere più farmaci. «Si pensi a un imbuto dice Luca Se ho 100 persone che prendono determinati medicinali e la mia azienda copre il 50% del mercato, serve a poco ed è faticoso strappare alla concorrenza il 2 o 3%. A me che sono leader, conviene aumentare i pazienti, farli diventare 200 allargando l´ingresso di quell´imbuto. Si cerca di ridefinire la malattia per poter dire che ne soffre anche chi prima non l´aveva. E partono le campagne di disease awereness, cioè di consapevolezza, fatte un po´ in buona fede e un po´ in malafede. Esiste sempre una quota di persone che non sa di avere una certa malattia: è giusto fargliela scoprire. Così, ad esempio, si organizzano le giornate».

La ricerca in mani private
Le multinazionali hanno in mano la ricerca. Lo spiega Nicola Magrini, farmacologo direttore del Ceveas, che si occupa di valutazione e linee guida sull´uso dei farmaci per la Regione Emilia Romagna e per l´Istituto superiore di sanità. «Negli Usa, pubblico e privato investono nella ricerca il 50% a testa spiega Da noi il pubblico finanzia solo una piccola parte degli studi. Bisognerebbe almeno favorire l´effettuazione di ricerche a cui partecipano più aziende: confrontando più farmaci si bilanciano gli interessi di tutti». Ma cosa sanno i singoli medici dei risultati della ricerca scientifica? «Negli ambulatori arrivano depliant patinati, non informazioni. Il sistema sanitario dovrebbe dare la possibilità a ogni dottore di accedere alle migliori evidenze scientifiche». Crede nelle collaborazioni tra privati per la ricerca anche Dompé. «Capita sempre più spesso che più aziende investano sullo stesso progetto, il nuovo paradigma è collaborare per competere». Il presidente di Farmindustria spiega che nel settore in Italia c´è ancora da fare. «Siamo indietro senza dubbio come struttura industriale, e ancora di più come sistema paese. Ma stiamo crescendo. Il pubblico non può avere i soldi per pagare gli studi sui farmaci, che durano in media 12 anni e mezzo. Allora deve far in modo di individuare centri di eccellenza, e ce ne sono, in grado di competere a livello mondiale e investire solo su quelli».

Siamo tutti doloranti?

Proprio in questo periodo nel nostro paese potrebbe allargarsi il famoso imbuto. Sta partendo la campagna "dolore misterioso", negli studi dei medici di famiglia saranno messi volantini e poster per insegnare a riconoscere il dolore neuropatico e descriverlo (come bruciante, lancinante, formicolante, freddo o folgorante). È stato creato anche un sito www.doloremisterioso.it. L´iniziativa vede impegnate la Fimmg, sindacato dei medici di famiglia, la Simmg, la società scientifica di questi professionisti, e l´associazione Cittadinanzattiva. Sponsor è la Pfizer. Cioè l´azienda farmaceutica che produce il Lyrica, nato quando un prodotto simile della stessa azienda, il Neurontin, è diventato generico (peraltro dopo aver fatto prendere al produttore una multa della Fda da circa 450 milioni di dollari per campagne di marketing scorrette e mancata pubblicazione dei dati di studi negativi). Il Lyrica è a base del principio attivo pregabalin, indicato come terapia aggiuntiva negli adulti con attacchi epilettici, nell´ansia generalizzata ed è l´unico prodotto sul mercato per il trattamento del dolore neuropatico periferico, un problema che con l´approvazione della legge su cure palliative e terapia del dolore è diventato trattabile anche dai medici di famiglia, con gli specialisti. Intanto sul sito tutti possono fare un questionario sul proprio dolore, stamparlo e portarlo ai loro dottori. Se questi prescriveranno il Lyrica lo sapremo nei prossimi mesi. Quando si conosceranno i dati delle vendite.

Avvenire 29.10.10
Il Papa: «La scienza al servizio del bene»
Davanti ai membri della Pontificia Accademia delle scienze il Pontefice ieri si è soffermato sull’eredità lasciata dai progressi e dai fallimenti del ventesimo secolo
di Matteo Liut


I l successo della scienza del ven­tunesimo secolo «dipenderà si­curamente, in grande misura, dalla capacità dello scienziato di ri­cercare la verità e di applicare le scoperte in un modo che va di pa­ri passo con la ricerca di ciò che è giusto e buono». Solo così la scien­za potrà diventare «un luogo di dia­logo, un incontro fra l’uomo e la na­tura e, potenzialmente, anche fra l’uomo e il suo Creatore». Questo l’auspicio espresso ieri mattina da Benedetto XVI che ha ricevuto in udienza i partecipanti all’Assem­blea plenaria della Pontificia Acca­demia delle scienze, dedicata al te­ma «L’eredità scientifica del vente­simo secolo». Due, secondo il Papa, gli «elemen­ti estremi» che caratterizzano la vi­sione popolare della scienza del ventesimo secolo: da una parte es­sa «è considerata da alcuni come una panacea, dimostrata dai risul­tati importanti del secolo scorso», dall’altra «ci sono quelli che temo­no la scienza e se ne allontanano a causa di certi sviluppi che fanno ri­flettere, come la costruzione e l’u­so terrificante di armi nucleari». Due volti che non definiscono la natura più autentica dell’attività scientifica, il cui compito, ha detto Ratzinger, «era e rimane una ricer­ca paziente e tuttavia appassiona­ta della verità sul cosmo, sulla na­tura e sulla costituzione dell’esse­re umano». Un cammino fatto di «molti successi e molti fallimenti» nel quale «anche i risultati provvi­sori sono un contributo reale alla scoperta della corrispondenza fra l’intelletto e le realtà naturali, su cui le generazioni successive potranno basarsi per un ulteriore sviluppo». I progressi compiuti nel ventesimo secolo, inoltre, «hanno portato a u­na consapevolezza decisamente maggiore del posto che l’uomo e questo pianeta occupano nell’uni­verso ». L’uomo ha compiuto «più progressi nello scorso secolo che in tutta la storia precedente dell’u­manità, sebbene non sempre nella conoscenza di sé e di Dio, ma di cer­to in quella dei macro e dei micro­cosmi ». La Chiesa, ha aggiunto Benedetto XVI, ha piena stima «per la costan­te ricerca scientifica» ed è grata «per lo sforzo scientifico che incoraggia e di cui beneficia». D’altra parte og­gi gli scienziati stessi «apprezzano sempre di più la necessità di esse­re aperti alla filosofia per scoprire il fondamento logico ed epistemolo­gico della loro metodologia e delle loro conclusioni». Accogliendo co­sì la convinzione della Chiesa che «l’attività scientifica benefici deci­samente della consapevolezza del­la dimensione spirituale dell’uomo e della sua ricerca di risposte defi­nitive ». Va ricordato, inoltre, che «gli scienziati non creano il mondo – ha sottolineato Ratzinger –. L’espe­rienza dello scienziato quale esse­re umano è quella di percepire una costante, una legge, un logos che e­gli non ha creato, ma che ha inve­ce osservato». Così si arriva «ad am­mettere l’esistenza di una Ragione onnipotente, che è altro da quella dell’uomo e che sostiene il mon­do ». Questo, ha notato il Papa, «è il punto di incontro fra le scienze na­turali e la religione».
Gettando uno sguardo al ventune­simo secolo Benedetto XVI ha vo­luto offrire due ulteriori spunti di riflessione. «In primo luogo – ha sottolineato –, nel momento in cui i risultati sempre più numerosi del­le scienze accrescono la nostra me­raviglia di fronte alla complessità della natura, viene sempre più per­cepita la necessità di un approccio interdisciplinare legato a una ri­flessione filosofica che porti a una sintesi». In questo nuovo secolo, i­noltre, «la conquista scientifica do­vrebbe essere sempre informata dagli imperativi di fraternità e di pa­ce, contribuendo a risolvere i gran­di problemi dell’umanità e orien­tando gli sforzi di ognuno verso l’autentico bene dell’uomo e lo svi­luppo integrale dei popoli del mon­do. L’esito positivo della scienza del ventunesimo secolo – ha concluso il Papa – dipenderà sicuramente, in grande misura, dalla capacità del­lo scienziato di ricercare la verità e di applicare le scoperte in un mo­do che va di pari passo con la ri­cerca di ciò che è giusto e buono».