mercoledì 10 novembre 2010

Il Messaggero 10.11.10
Bersani: «Pronti al nuovo governo ma deve segnare una ripartenza»
di Claudio Sardo

ROMA - «Non c’è spazio per i traccheggiamenti. Il Paese non può sopportarli. La maggioranza non c’è più e dobbiamo fare il possibile per formalizzare la crisi di governo». Pier Luigi Bersani ha riunito ieri sera il vertice del partito e ha affidato ai capigruppo il compito di disseminare il terreno parlamentare di ostacoli per ottenere, prima possibile, la caduta del governo. Tra gli strumenti a disposizione del Pd c’è anche la mozione di sfiducia. Sulla mozione, reclamata da Antonio Di Pietro ma considerata da Pier Ferdinando Casini «un favore a Berlusconi», è emerso tuttavia un imbarazzo tattico. I finiani non potrebbero voterla e dunque, se il documento andasse presto al voto, potrebbe trasformarsi in un vantaggio per il Cavaliere. Per questo non sono mancate le riserve nel gruppo dirigente Pd. Dario Franceschini ha annunciato al termine del vertice al Nazareno: «Presenteremo la mozione dopo la legge di stabilità».
La mozione insomma arriverà fra qualche settimana e ora sarà usata più che altro come strumento di pressione. È probabile che il Pd preferisca persino anticipare la mozione di sfiducia al ministro Bondi (su cui più facilmente potrebbe convergere il Fli). Tuttavia, Bersani ha voluto ugualmente lanciare un messaggio di mobilitazione al partito: «Dobbiamo mettere in campo tutte le iniziative per fare in modo che, quando si aprirà la crisi, il Pd si troverà nel posto di combattimento». Ovviamente c’è un messaggio rassicurante anche per Udc e Fli: «Porteremo avanti le nostre battaglie sempre tenendo i collegamenti con le forze di opposizione». Il Pd, insomma, scommette che Fli e Udc non torneranno al tavolo con Berlusconi, almeno prima di una crisi formale, e per questo continuerà a giocare di sponda, come ieri a Montecitorio dove il governo è stato tre volte battuto.
Ieri comunque Bersani ha insistito sul rafforzamento del profilo del Pd. Il 16 novembre il Pd presenterà «alle forze sociali un nuovo patto per la crescita». L’11 dicembre ci sarà poi la manifestazione di piazza. Nichi Vendola aveva chiesto ieri di trasformarla in un’iniziativa comune del centrosinistra. Bersani ha risposto: «Sarà aperta a tutti, ma presenteremo lì la nostra piattaforma».
La proposta del Pd è un «governo di transizione» che «dià il senso della ripartenza del Paese». Un governo per fare la legge elettorale e alcuni provvedimenti per il lavoro. Ma non un governo qualunque: «Il Pd non ci starà a un Berlusconi-bis, né a un governo di ricomposizione del centrodestra» (quindi no a un governo Tremonti). Prima del vertice Walter Veltroni ha annunciato per il 15 gennaio il «Lingotto due», assemblea del suo Movimento democratico nella quale intende rilanciare «la sfida riformista». «L’anomalia di oggi - ha detto Veltroni - è che la maggioranza è in crisi, ma non esiste ancora un’alternativa credibile». Nella riunione comunque la linea del governo di transizione è stata largamente condivisa, mentre un problema si è aperto sulla Sicilia (dopo le accuse a Lombardo). Beppe Fioroni, a nome della minoranza, ha chiesto la gestione unitaria. Bersani gli ha risposto, assicurando che «ci sarà una gestione condivisa della crisi». Marco Follini ha proposto invece che, in caso di elezioni anticipate, le alleanze del Pd vengano comunque decise «con un voto» negli organi di partito.

Repubblica 10.11.10
Il Pd valuta la sfiducia dopo la Finanziaria
I dubbi di Bersani sui finiani
di Giovanna Casadio


ROMA In contatto anche con il Quirinale. Pier Luigi Bersani prima di convocare la segreteria, l´assemblea dei coordinatori regionali e, in serata, il vertice dei big del Pd valuta come prioritario l´appello del presidente Napolitano, ovvero che la crisi politica non intralci l´approvazione «improrogabile» della manovra finanziaria. Perciò, i Democratici pensano sia più opportuno presentare la mozione di sfiducia a Berlusconi dopo l´ok alla legge di bilancio. Non tutti la vedono così nel partito, c´è chi vuole accelerare. Comunque, saranno i capigruppo Dario Franceschini e Anna Finocchiaro a valutare, con le altre opposizioni. Ma il "piano A" che il segretario ha proposto è: «Puntare a un governo di transizione, della durata di un anno, per fare legge elettorale, riforma del fisco e misure di aiuto ai giovani». No a «un Berlusconi bis», che sarebbe «un delirio» o a una semplice riorganizzazione del centrodestra che si trasformerebbe in un «campo d´Agramante». Insomma non ci sarà un sì a ogni ipotesi di governo tecnico, dal momento che ci vuole «discontinuità». Se si va alle elezioni lo schema bersaniano è: Pd forte, nuovo Ulivo e dialogo con l´Udc. A proposito di Vendola che chiede al Pd di fare della manifestazione dell´11 dicembre un appuntamento comune, risponde: «I nostri amici ci danno sempre un sacco di buoni consigli. Ma le decisioni le prendiamo noi». In pratica, sì a una manifestazione aperta a tutti ma la organizza il Pd con una sua piattaforma. In forse l´Assemblea nazionale di Napoli. Infine il 16 novembre nell´incontro con le parti sociali sarà presentato il «nuovo patto» per il paese.
Qualche timore che, dopo l´incontro con Bossi, Fini possa ricucire, i Democratici ce l´hanno. Il segretario ne parla più volte ieri con Di Pietro e Casini. «Lo showdown del governo è una previsione facile, ma l´invito di Napolitano e il buonsenso afferma Marco Follini devono garantire l´approvazione della legge di bilancio per senso di responsabilità istituzionale».
C´è per Bersani la spina nel fianco dei "Modem", il movimento di Veltroni, Fioroni e Gentiloni. Si riuniscono, ieri. Veltroni annuncia un nuovo Lingotto (il 15 gennaio, invitati il "rottamatore" Matteo Renzi, il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino e Bersani), e va all´attacco: «L´anomalia di questa situazione è che la maggioranza è in crisi ma non esiste ancora un´alternativa credibile». Lancia l´allarme: «Il rischio è che per l´elettorato in fuga dalla destra siano Casini e Fini a rappresentare l´alternativa. Il Pd deve riprendere il cammino originario, senza vocazione maggioritaria non ha identità». Non risparmia critiche, anche se, dice, sono «per sostenere il partito»: «Dobbiamo fare il partito dove si possa parlare senza aspettare quello che dice il capocorrente», e sottolinea la «scissione silenziosa» che c´è stata tra gli elettori e il Pd. Nel coordinamento poi, i veltroniani sollevano anche il "caso Sicilia", ovvero l´appoggio a Lombardo. «La situazione è insostenibile, la moralità viene al primo posto», osserva Walter Verini. Gentiloni parla del Pd come «promessa non mantenuta»; Fioroni chiede a Bersani una gestione unitaria e «un gabinetto di crisi».Pressing di Di Pietro: «Sfiduciamo Berlusconi», senza aspettare l´Udc, «amante infedele». In serata nuovo colloquio tra Bersani e Casini. Per il leader dell´Udc, «via Berlusconi il galleggiatore; no a elezioni anticipate; quindi un esecutivo di spessore che raccolga le forze migliori del paese».

come mettere a posto una "mosca cocchiera":
«A proposito di Vendola che chiede al Pd di fare della manifestazione dell´11 dicembre un appuntamento comune, risponde: «I nostri amici ci danno sempre un sacco di buoni consigli. Ma le decisioni le prendiamo noi». In pratica, sì a una manifestazione aperta a tutti ma la organizza il Pd con una sua piattaforma»
estratto dall'articolo di Casadio qui sopra. Vendola all'annuncio della manifestazione fatto da Bersani aveva subito bizzosamente detto "Io non ci vengo!" La cosa, come le sue politiche sanitarie in Puglia in favore di don Verzè, l'amicone del premier del "bunga bunga" era subito piaciuta ai siti berlusconiani. Poi, evidenziatasi una freddezza nella sua stessa base - manifestando una davvero particolare percezione della propria realtà, non ha neanche un seggio in Parlamento - aveva arrogantemente lanciato la propria "offerta" di una manifestazione che non avrebbe dovuto più essere del Pd che l'aveva lanciata ma di una fantomatica "Sinistra delle Alternative" (notare il plurale!). Anche questa uscita ieri era stata subito con favore evidente rilanciata dai siti berlusconiani e in particolare da TgCom, diretto da Liguri... ex sessantottino e fedelissimo maggiordomo di Berlusconi. Vedi qui

http://www.tgcom.mediaset.it/politica/articoli/articolo495426.shtml

l’Unità 10.11.10
Gruppo Everyone
La persecuzione dei Rom


Il Gruppo EveryOne e le ong italiane che si occupano di diritti umani promuovono un appello urgente presso le Istituzioni dell’Unione europea e le Nazioni Unite contro un nuovo provvedimento xenofobo e razziale già varato dal Consiglio dei ministri italiano. Si tratta di un altro pacchetto-sicurezza (decreto legge), preparato dal ministro degli Interni e approvato da un governo ormai in crisi e sempre più ostaggio della Lega Nord. Il pacchetto-sicurezza contiene provvedimenti xenofobi e contrari allo spirito e alle norme dell’Unione europea, in particolare laddove prevede di allontanare i cittadini comunitari (soprattutto quelli Rom) colpiti da discriminazione sociale e razziale e di conseguenza in stato di povertà, costretti a sopravvivere mendicando. Questo progetto di espulsioni di massa viola sia la Direttiva 2004/38/CE (libera circolazione) sia la Direttiva europea 2000/43/CE (non discriminazione) sia la Carta dei diritti fondamentali nella Ue, che protegge i cittadini poveri e appartenenti a minoranze etniche discriminate. Il progetto di repressione xenofoba viola inoltre i diritti delle famiglie, dei fanciulli e degli individui malati o vulnerabili bollati quali “problemi di sicurezza”. Nuovi provvedimenti contro i Rom costituirebbero gravi e intollerabili abusi.

l’Unità 10.11.10
Telelombardia pronta a mandarlo in onda a gennaio. Il Pdl si appella all’Autorità garante
Censurato in Australia Nella versione nostrana spiega che il 67% degli italiani è favorevole
«Ho fatto la mia scelta finale» Spot radicale sull’eutanasia
Ignazio Marino (Pd) «Meglio dare battaglia sul testamento biologico»
di Mariagrazia Gerina


La campagna l’ha lanciata Exit International.Ora i radicali vogliono portarla anche in Italia. Dove però lo stesso testamento biologico è ancora tabù. L’ultracattolica Eugenia Roccella: «Morire non è un diritto».

Immaginate la scena. La tv accesa. E dal piccolo schermo, improvvisamente, un uomo, un po’ dimesso, seduto su un letto con una maglietta bianca che sa di convalescenza. Ha gli occhi cerchiati di nero, la voce didascalica da «pubblicità progresso». «Ho fatto la mia scelta finale, ho solo bisogno che il governo mi ascolti», spiega. Sta parlando di eutanasia. «La vita è questione di scelte dice -, io ho scelto di studiare ingegneria, ho scelto di sposare Tina e di avere due figli splendidi, ho scelto questa maglietta, il taglio di capelli... quello che non ho scelto è di diventare malato terminale, non ho scelto di patire la fame per il fatto che mangiare mi fa male come ingoiare lamette da barba e certamente non scelto che la mia famiglia debba vivere questo inferno assieme a me». Poi ricordatevi che siamo in Italia. E immaginatevi le difficoltà che uno spot del genere, che fa parte di una campagna lanciata da Exit International, potrà incontrare.
Ecco, mandare in onda questo spot, trasmesso in Canada ma censurato in Australia, è la nuova sfida lanciata dai radicali italiani. Per ora, la versione italiana, è visibile solo in re-
te (il video lo trovante anche sul sito de l’Unità). A metterlo online è stata l’associazione Luca Coscioni. Ma Telelombardia ha dato la sua disponibilità a trasmetterlo anche sul piccolo schermo. Sempre che l’Autorità garante delle comunicazioni dia il suo via libera.
L’ambizione spiega Marco Cappato è quella di «sbarcare anche su emittenti nazionali» e dare alla campagna la più ampia diffusione possibile. La raccolta fondi per finanziare, attraverso l’associazione Luca Coscioni, i costi della eventuale messa in onda è già partita. E «se l’Authority dirà no, noi useremo tutti i canali per raggiungere con il video i cittadini italiani, anche a costo di trasmetterlo dall’estero», annuncia Cappato che dell’associazione è segretario. D’altra parte lo spot fa notare Capato «chiede solo che il Governo faccia il suo dovere e ascolti».
Il fatto è che siamo in Italia. E sarà pure il paese in cui, come recita lo spot adattato al pubblico italiano, il 67% degli intervistati nell’ultimo Rapporto Eurispes ha risposto che è favorevole alla legalizzazione dell’eutanasia. Ma per la storia, almeno per ora, resta il paese in cui Beppino Englaro per far morire in pace sua figlia Eluana, in coma irreversibile dal 1992, vinta una battaglia legale estenuante, ha dovuto sfidare anche il governo. La sentenza attesa per quasi vent’anni glielo permetteva, il governo ha cercato di impedirglielo fino all’ultimo con un decreto che imponesse ai medici di proseguire l’alimentazione artificiale. C’è voluto il rifiuto di Napolitano a firmarlo. E la morte di Eluana per convincere l’esecutivo ad accantonare anche il ddl nel frattempo proposto in tutta fretta all’esame del Senato. E tuttavia, un anno e nove mesi dopo, il testamento biologico, in parlamento, è ancora un tabù.
TABÙ ANCHE IL TESTAMENTO
Secondo il Pd Ignazio Marino, spiazzato dallo spot radicale, la frontiera su cui battere resta quella. Dopo aver accantonato il suo ddl, l’attuale maggioranza ha affossato anche il ddl sempre sul testamento biologico presentato dall’ultracattolica Eugenia Roccella: perché Fini, crisi di governo a parte, non lo calendarizza?
Lo spot sull’eutanasia «rischia di diventare uno strumento utilizzato impropriamente da questa maggioranza per dire “noi siamo pro vita, loro pro morte”»
«La scelta tra la vita e la morte non è accostabile alla scelta di un taglio di capelli o altro», tuona immediatamente Eugenia Roccella. Mentre la vice capogruppo del Pdl al senato Laura Bianconi lancia un «accorato appello all’autorità garante». E anche secondo il vicepresidente della Società europea di cure palliative, il video è «fuorviante» ed è a rischio di «strumentalizzazione e confusione». Insomma, lo spot non è ancora andato in onda ma il muro di no è già alto.

da Repubblica
Da senatori del Pd come il professor Ignazio Marino, latore del disegno di legge sul testamento biologico, e Augusto Caraceni dell´Associazione europea cure palliative, che giudica lo spot «fuorviante». «Rischia infatti di diventare uno strumento utilizzato dalla maggioranza per dire "noi siamo pro vita, loro pro morte" rendendo ancora più difficile il percorso della legge sul testamento biologico che attende di essere messa in discussione alla Camera. Io sono contrario all´eutanasia, ovvero a somministrare un veleno per fermare in un momento predeterminato la vita di un´altra persona», ha detto Marino, «va risolta però non solo la questione della libertà di autodeterminazione della scelta delle terapie, ma anche quella del finanziamento offensivo della legge sulle cure palliative: solo un milione e mezzo di euro l´anno».

l’Unità 10.11.10
Addio a Natoli, comunista a sinistra di Togliatti e maoista libertario
Se ne è andato a 97anni uno degli animatori del gruppo romano clandestino del Pci, che fu segretario della federazione romana nonché fondatore del Manifesto. Dirigente degli edili, studioso di Gramsci e dello stalinismo.
di Bruno Gravagnuolo


Un intellettuale poliedrico, completo: medico, urbanista, storico, giornalista, consigliere comunale, deputato. E militante comunista infaticabile, soprattutto fino alla radiazione dal Pci nel 1969, allorquando con Rossanda e Pintor fu una delle anime costitutive e fondatrici del Manifesto. Questo era Aldo Natoli, scomparso ieri l’altro a 97 anni nella sua casa romana. Uomo dal tratto umano vigoroso e aperto, colloquale e intenso, così come ha ricordato Giorgio Napolitano, oggi Presidente della Repubblica e al tempo del Manifesto suo radicale avversario politico. Che oggi rievoca con affetto le sue nozze civili celebrate in Campiodoglio proprio dall’allora consigliere comunista Aldo Natoli.
Nato a Messina il 20 settembre 1913, Natoli diviene medico e inviato all’Institut du Cancer parigino. Da Parigi tesse le fila della clandestinità comunista antifascista con il fratello maggiore Glauco, che all’epoca era incaricato all’Università di Strasburgo. Attività decisiva nella storia dei comunisti romani, che vede coinvolti tra gli altri Pietro Ingrao, Alicata, Bufalini, Trombadori e che gli procura una condanna a cinque anni di carcere scontata nel carcere di Civitavecchia, e abbreviata nel 1942 per indulto. Rientrato in clandestinità Natoli entra nel gruppo dirigente militare del Cln e dà impulso alla rifondazione de l’Unità. In seguito sarà segretario del Pci romano e deputato per quattro legislature. Centrali nell’attività di Natoli furono le lotte degli edili e la battaglia per la riforma urbanistica. Siamo negli anni del «sacco» di Roma e delle giunte Cioccetti, che trovano in Natoli un formidabile oppositore, popolarissimo tra gli operai romani.
Collocato alla sinistra di Togliatti, pur nel solco del «partito nuovo» togliattiano, Natoli è schierato su posizioni ingraiane. Sostiene il «nuovo modello di sviluppo» economico anti-capitalistico, nel solco delle analisi ingraiane attente alla modernità
L’antifascista Aldo Natoli
neocapitalistica degli anni 60. Ed è lungo questa strada, dopo il X e l’XI Congresso Pci, che vedono battuta la sinistra del partito, che Natoli diventa uno dei protagonisti dell’eresia del Manifesto. Una vicenda che nel 1969 si concluderà con la radiazione del gruppo e la nascita del Quotidiano comunista, dopo l’iniziale fase «frazionista» della rivista.
Sull’onda del 1968 e delle lotte operaie, ma soprattutto sull’onda dei fatti di Praga e della Rivoluzione culturale maoista, Natoli teorizza una transizione democratica e di massa al socialismo. In nome di un’utopia marxista radicale, profondamente rivisitata. Anche del maoismo, specie in collaborazione con Lisa Foa, Natoli offre un’interpretazione non marxista-leninista e ortodossa. Ma conflittualista e libertaria, interessata alla specificità cinese e confortata dagli scritti del Mao inedito che con Lisa Foa contribuirà a diffondere. L’altro versante dell’impegno di Natoli fu la storia. Gramsci, e la storia dello stalinismo innanzitutto. Al primo dedica il suo lavoro più imporatante: Antigone e il prigioniero. Tania Schucht lotta per la vita di Gramsci (Editori Riuniti, 1991). Mentre con Chiara Daniele pubblica per Einaudi nel 1997 le Lettere 1926-35. Altro libro importante: Sulle origini dello stalinismo, Vallecchi, 1979. E dentro quei libri un unico rovello: la giustezza del comunismo e il suo ruolo emancipatorio nella storia. Malgrado le degenerazioni e le repliche della storia.
   
Susanna Camusso (Magazine novembre 2008)
una intervista di Vittorio Zincone
http://www.vittoriozincone.it/interviste/susanna-camusso-magazine-novembre-2008/

Anche lei era coi comunisti italiani?
«No».
Come mai?
«Per spirito laico e libertario. Ero socialista».
Craxiana?
«No. Lombardiana».

l'Unità 10.11.10

I metalmeccanici chiedono a Corso d’Italia di sospendere la trattativa con Confindustria
Susanna Camusso replica: «Sottovalutano le possibilità di discussione con le imprese»
Sul tavolo della produttività nuovo scontro Fiom-Cgil
All’indomani del passaggio di consegne tra Epifani e Camusso, continua lo scontro interno tra la Cgil e la Fiom, che chiede alla confederazione di sospendere il tavolo con Confindustria sulla produttività.
di Luigina Venturelli


Il braccio di ferro tra Fiom e Cgil non si ferma per il passaggio di consegne tra Guglielmo Epifani e Susanna Camusso. Nessuna sospensione di cortesia per la nuova segretaria generale di Corso d’Italia, che a pochi giorni dall’insediamento deve rispondere alle tute blu sulle attuali strategie del sindacato. In particolare, sull’opportunità di sospendere il tavolo di confronto con Confindustria sulla produttività e di proclamare uno sciopero generale dei lavoratori di tutte le categorie.
Queste sono le due richieste messe nero su bianco dal Comitato centrale della Fiom di lunedì scorso. E già declinate dalla Cgil. «Susanna Camusso sta proseguendo quanto definito da Gugliemo Epifani, non mi sembra che ci siano elementi di particolare diversità. Noi invece abbiamo chiesto discontinuità» ha infatti commentato il leader dei metalmeccanici Maurizio Landini, rompendo ieri il silenzio sulla sua elezione.
IL TAVOLO SULLA PRODUTTIVITÀ
A riaccendere la dialettica interna è soprattutto la trattativa in corso sulla produttività, praticamente l’unica in cui si stia discutendo unitariamente su salari e organizzazione del lavoro. «Credo che la Fiom sottovaluti le possibilità di discussione con il complesso del sistema delle imprese» ha spiegato Camusso, ieri a Bologna per un’assemblea dei delegati, parlando delle attese deluse delle aziende che «man mano si sono disamorate per l’assenza di risposte del governo». Per questo «vediamo, misuriamo i contenuti, non abbiamo paura di confrontarci con gli altri».
Ma le tute blu insistono nel chiedere che la confederazione si alzi dal tavolo. Per una ragione di metodo: «Le posizioni della Cgil non sono state discusse in nessuna sede e non mi risulta che ci siano appuntamenti di discussione interna». E una di merito: «Materie quali gli orari non sono di competenza della confederazione ma delle categorie, non c’è titolarità della confederazione a trattare» ha sottolineato Landini. «Quella di cui si parla non è produttività, non raccontiamo balle».
LO SCIOPERO GENERALE
Anche per questo i metalmeccanici continuano a premere perché Corso d’Italia proclami uno sciopero generale. «È la normale conseguenza di quanto avviene» afferma l’organizzazione, citando tra le tante ragioni della protesta le deroghe al contratto nazionale, il nuovo statuto dei lavori e il collegato lavoro.
Ma anche su questo punto Susanna Camusso ha preso tempo: «Lo valuteremo, come abbiamo detto in più occasioni». Per il momento la Cgil è impegnata nell’organizzazione della manifestazione nazionale del 27 novembre, per cui la leader ha chiesto a tutte le strutture «uno sforzo eccezionale, politico e organizzativo, perché a Roma convergano centinaia di migliaia di giovani, lavoratori e pensionati». Per lo sciopero generale, invece, bisognerà attendere: «Noi vorremmo che nella Finanziaria comincino a esserci le risposte che stiamo chiedendo. A quel punto faremo una valutazione: se non ci saranno, dovremo ovviamente aumentare la qualità e l’intensità dell’iniziativa». Anche perché «abbiamo alle spalle tre scioperi generali» e «continueremo a utilizzare questo strumento, ma misurando man mano come e se muterà la situazione politica».

Maurizio Landini è un uomo di Sel, cioè di Nichi Vendola...
il Fatto 10.11.10
Fiom contro Camusso: dialoghi troppo con Confindustria
È già scontro tra Landini e il nuovo segretario della Cgil
Il problema sono le trattative con imprese e governo
di Salvatore Cannavò


A pochi giorni dalla sua elezione alla segreteria generale della Cgil, Susanna Camusso si trova a dover fare i conti con un'offensiva esplicita che le viene lanciata dalla Fiom di Maurizio Landini il quale, consapevole che l'effetto della grande manifestazione del 16 ottobre non durerà in eterno, decide di mettere la Cgil alle strette. Lunedì un Comitato centrale della Fiom, eieri una conferenza stampa.
Il nodo è il tavolo per il nuovo Patto sociale avviato da Confindustria con la partecipazione convinta di Guglielmo Epifani prima e della Camusso poi. Quel tavolo ha finora partorito quattro accordi su "emergenza sociale, mezzogiorno, ricerca e innovazione, semplificazione burocratica" già consegnati al governo. E ora sta per affrontare punti più delicati come fisco, federalismo e produttività. E' su questo punto che la Fiom invita la Cgil a “sospendere il negoziato” per consentire a tutta la Cgil di “poter conoscere e discutere preventivamente le scelte negoziali”. Nessun mandato in bianco, dice la Fiom, soprattutto visto che già ora sono stati consegnati al governo documenti in cui si dice “di incrementare e rendere strutturali tutte le scelte normative che incentivano la contrattazione di secondo livello, che collegano aumenti salariali variabili all'andamento delle imprese”. Una formula che, secondo Landini, mette in discussione il contratto nazionale. Queste posizioni sono state approvate, l'altro ieri, dal Comitato centrale della Fiom dopo uno con la minoranza interna di Fausto Durante, sulle posizioni della Camusso. Ieri, intervenendo a una riunione di delegati a Bologna, Susanna Camusso ha ribadito la distanza da Landini: “Credo che la Fiom sottovaluti una contingenza nella quale si sono aperte delle possibilità di discussione con il sistema delle imprese”. Il punto è tutto qui. La Cgil vuole approfittare della nuova linea della della Confindustria di Emma Marcegaglia che punta a tenere insieme due esigenze: tenere in piedi un tavolo di "concertazione" e continuare a denunciare l'inattività del governo Berlusconi. Venendo meno l'asse degli industriali con il governo – che ha sempre lavorato all'esclusione del primo sindacato italiano – si apre una nuova opportunità per la Cgil di tornare a un tavolo di trattativa e chiudere accordi. Landini però teme che, a fronte di un’evidente crisi del governo, l'ansia di liberarsi di Berlusconi possa indurre la Cgil ad accettare un Patto dalle ricadute negative per il mondo del lavoro. Del resto, lo stesso Gianfranco Fini nel suo discorso di domenica a Bastia Umbria, ha utilizzato come base programmatica di un eventuale nuovo esecutivo i punti individuati da imprese e sindacati, compreso quello sulla produttività che va ancora perfezionato. E la Fiom inizia a preoccuparsi di un governo di responsabilità nazionale come quello di Ciampi del 1993. Così come teme il consenso che ha riscosso a sinistra l'insediamento di Susanna Camusso, che potrebbe portare a una "normalizzazione" della Cgil, riducendo il peso della linea dura della Fiom. Ecco perché Landini è passato all'offensiva, organizzando anche un'assemblea dei delegati Fiat il prossimo 18 novembre alla presenza del segretario Cgil – e la campagna "Io sto con la Fiom" per sostenere il tesseramento, oltre a rilanciare ma anche rilanciando sulla legge per la democrazia sindacale. La Fiom ha raccolto centomila firme su una legge di iniziativa popolare che la Cgil non apprezza perché renderebbe più difficile i rapporti con Cisl e Uil (che non amano molto l'idea del voto diretto dei lavoratori sugli accordi). Questa proposta, però, oggi avrà un momento di visibilità perché l'Italia dei Valori ha deciso di farla propria e di portarla in Parlamento e lo spiegherà oggi in una conferenza stampa in cui, a fianco di Antonio Di Pietro e Maurizio Zipponi (responsabile Lavoro del partito) ci sarà proprio Landini.

Repubblica 10.11.10
Cuba, la rivoluzione del mercato
Dopo 13 anni Raúl convoca il Congresso del Pcc: ratificherà l´apertura al privato
Libera impresa e tagli al pubblico impiego, sbloccate le transazioni immobiliari Anche l´Avana contagiata dal modello cinese
di Omero Ciai


Tanti distinguo e molte premesse sul socialismo come «unico sistema capace di vincere le difficoltà e conservare le conquiste della rivoluzione del ‘59», ma il dado è tratto: la rivoluzione di Raúl avrà il battesimo di un Congresso del Partito comunista cubano. Il primo, convocato per il prossimo aprile, dopo 13 anni. Il documento precongressuale si chiama Lineamenti di politica economica e sociale in distribuzione da ieri sull´isola riassume e sviluppa le riforme annunciate dal nuovo presidente cubano che ha sostituito alla guida del paese il fratello Fidel nell´estate del 2006.
Per la prima volta Cuba abbandonerà l´ortodossia economica tanto cara al líder maxímo e tenterà la strada della convivenza fra regime politico a partito unico ed economia di mercato. La chiave di volta delle riforme sarà il taglio di circa mezzo milione di impieghi statali e l´espansione del settore privato con la concessione di circa 250mila licenze per la formazione di nuove imprese e il lavoro in proprio. Scomparirà la "libreta" di razionamento per l´acquisto nei negozi di Stato, verrà liberalizzato il mercato immobiliare (a Cuba oggi le case le assegna lo Stato) e verranno ridotti anche i servizi sociali gratuiti (scuola e sanità). Il documento precisa che «nell´aggiornamento del socialismo la priorità sarà ancora la pianificazione e non il mercato». Quella statale rimarrà «la forma principale dell´economia» ma sarà promosso un sistema imprenditoriale privato con «imprese forti e ben organizzate». Un´altra riforma importante e molto attesa dai cubani sarà quella che eliminerà gradualmente il doppio regime monetario (oggi ci sono il peso che è la moneta con la quale i cubani ricevono lo stipendio e il peso convertibile, che ha un valore pari al dollaro e con il quale si comprano la maggior parte dei prodotti, dalla carne alle verdure).
Non solo: Raúl sembra dare già per scontata la formazione, grazie all´apertura economica, di una classe medio-alta privilegiata quando propone tra l´altro lo sviluppo di una rete importante di campi da golf, spiagge e condomini di lusso. L´intenzione è che il VI Congresso del Pcc si occupi solamente di economia ma sarà inevitabilmente anche l´ultima occasione di discussione pubblica della generazione, ormai ultra ottantenne, che ha partecipato alla rivoluzione del 1959. Al termine dell´assise infatti è previsto un profondo ringiovanimento di tutte le cariche politiche più importanti.
Fedele al calendario rivoluzionario, Raúl ha scelto l´anniversario della Baia dei Porci (17 aprile ´61) come data per il Congresso. Come a dire che il suo non è un salto nel buio e che anche suo fratello condivide la nuova rotta. Con vent´anni di ritardo l´Avana s´avvia, grazie a Raúl, sulla strada che auspicava Gorbaciov nel suo viaggio a Cuba prima che Fidel applaudisse al fallito putsch conservatore che mise fine alla sua leadership e all´Urss.

Corriere della Sera 10.11.10
Le cifre dell’ambiente In tre anni fondi tagliati di più della metà
di Alessandro Arachi


Perso un miliardo di euro, parchi e ricerche a rischio

I bilanci sono decisamente disastrati. Sotto la soglia della sopravvivenza. Dal 2008 a oggi, infatti, è stato tagliato quasi un miliardo di euro, circa i due terzi della somma totale a disposizione del ministero dell’Ambiente. Non solo. Da qui al 2013 sono in previsione ulteriori tagli, oltre 200 milioni di euro nel complesso. Sui parchi l’ultimo allarme è stato lanciato ieri, dal ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo: «Dopo i tagli che sono stati fatti ai fondi per i parchi, sarò costretta a chiuderne almeno la metà».

ROMA Sui parchi l’ultimo allarme è stato lanciato ieri, con disperazione. Ma già più e più volte il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo aveva avvisato, cercando di attirare l’attenzione: dopo i tagli che sono stati fatti ai fondi per i parchi, sarò costretta a chiuderne almeno la metà.
La verità, tuttavia, è che a dare un’occhiata ai bilanci del dicastero dell’Ambiente usciti dalla manovra economica, si può vedere come i parchi siano soltanto la punta dell’iceberg della disperazione.
I bilanci sono decisamente disastrati. Sotto la soglia della sopravvivenza. Dal 2008 ad oggi, infatti, è stato tagliato quasi un miliardo di euro, oltre la metà della somma totale a disposizione del ministero dell’Ambiente. Non solo. Da qui al 2013 sono in previsione ulteriori tagli, oltre 200 milioni di euro nel complesso.
Per capire meglio: si è partiti nel 2008 da un miliardo e 649 milioni si è arrivati oggi a 738 milioni, si punta al 2013 ad un cachet di poco più di 500 milioni. Tradotto: in certi casi non si riesce neanche a pagare le bollette. Il taglio per il 2011 riguarda diverse voci.
Come nel caso dei parchi, sicuramente. Dai 57 milioni di euro a disposizione si è tagliato quasi il 40% arrivando a 35 milioni. I conti sono facili: oltre 29 milioni di euro servono solamente per pagare gli stipendi. Rimangono 7 milioni per tutto. E tutte le bollette non si pagano di certo.
Andando avanti a sbirciare il bilancio, la situazione non è certo più rosea. Avete presente l’Ispra? L’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale? Quello che si occupa un po’ di tutto quanto avviene nel nostro Paese in tema di ambiente dal punto di vista scientifico, dal capodoglio che si spiaggia al fiume che esonda?
Anche per l’Ispra vale il discorso dei parchi: i tagli dei fondi lo portano sotto la soglia di sopravvivenza. Già prima si barcamenava al limite con 87 milioni di euro, di cui 80 andavano tutti a coprire le spese del personale. Ora di milioni gliene sono rimasti solamente 79 e, oltre a non pagare gli stipendi, l’Ispra deve dire addio anche a tutte le convenzioni esterne. Quelle che, alla fine, permettevano di operare più di tutti sul nostro territorio.
Arrivati alla voce dei Fondi Fas (Fondi aree sottosviluppate), bisogna guardarla e riguardarla più volte per credere alle cifre scritte. In bilancio sono rimasti solamente i 900 milioni di euro per il disastro idrogeologico, tagliati comunque di oltre il 20%. Niente altro.
Le bonifiche? C’erano a disposizione 3 miliardi di euro in questa voce. Ora? Zero. Non c’è nemmeno un centesimo. Tradotto, semplicemente: lo Stato non può più pagare bonifiche. Punto. Azzerate anche le risorse per il progetto della Valle del Po (180 milioni) e tutto quello che riguarda le risorse naturali e culturali per lo sviluppo (265 milioni).
E le sorprese non sono finite. Con questi tagli entro due anni viene messa a rischio qualsiasi attività di controllo e di intervento in mare.
Adesso, infatti, sta per entrare in attività il contratto di Castalia, la società preposta a questi controlli. Ma una volta terminato questo i fondi rimasti non lasceranno spazio ad altri contratti.
C’erano, infatti, 23 milioni di euro alla voce di monitoraggio marino costiero. Nel 2011 ce ne saranno 16 milioni. E anche in questo caso: stipendi, bollette, spese correnti. La sopravvivenza non viene garantita.
Il ministero dell’Ambiente, insomma, potrebbe anche chiudere i battenti.

Corriere della Sera 10.11.10
«È triste quel Paese che accusa Galileo» La difesa di Milton
di Nuccio Ordine


La lotta per emancipazione della scienza e tolleranza

«È quasi uguale uccidere un uomo che uccidere un buon libro. Chi uccide un uomo uccide una creatura ragionevole, immagine di Dio; ma chi distrugge un buon libro uccide la ragione stessa»: John Milton (1608-1674) dedica pagine straordinarie in difesa della libertà di stampa, della molteplicità delle opinioni e della tolleranza. La sua Areopagitica (pubblicata nel 1644) si presenta come un grido d’allarme contro ogni forma di censura. Un denso pamphlet che, nonostante il suo forte legame con alcune vicende storiche legate alla presa di potere del Parlamento inglese, conserva un vigore ancora attuale, in grado di smascherare coloro che al servizio di qualsiasi Chiesa (religiosa o laica) si arrogano il diritto di decidere cosa sia meritevole di essere proibito.
Per Milton il controllo della stampa non serve a «sopprimere quei libri scandalosi, sediziosi e diffamatori» ma serve solo «a scoraggiare ogni studio e a soffocare la Verità».
Liquidare, infatti, «le opinioni per la loro novità o perché sgradevoli al comune consenso» significa invitare a diventare «ignorante e indolente». E la tragica esperienza personale di Galileo («invecchiatosi prigioniero dell’Inquisizione perché pensava in astronomia diversamente da quanto i censori francescani e domenicani pensavano») testimonia come le «condizioni servili in cui il sapere era stato ridotto» avessero offuscato l’antica «gloria dell’ingegno italiano». Lo scrittore inglese — che dichiara di aver incontrato lo scienziato pisano nel 1638 in occasione di una sua visita a Firenze e che lo ricorderà successivamente in tre libri del Paradiso perduto — proprio in quel viaggio italiano fu «ritenuto felice», da alcuni dotti, «d’esser nato in un tale posto di libertà del pensiero quale supponevano fosse l’Inghilterra» a differenza, invece, dell’Italia dove «ormai da molti anni» si pubblicavano testi in odore di «adulazione e banalità».
Ecco perché la legge sulla censura, promossa dal Parlamento inglese nel 1643, avrebbe sicuramente frenato la crescita culturale del Paese, come il papismo aveva frenato lo sviluppo scientifico e civile dell’Italia. Per Milton, non si può controllare la conoscenza come si controllano le balle di lana nei mercati, perché il sapere non merita nessun tipo di schiavitù. Non a caso nella Sacra Scrittura la «verità è paragonata a una fonte che scorre». E «se le sue acque non fluiscono in perfetta continuità, imputridiscono in uno stagno melmoso di conformismo e di tradizione». Non solo. La verità è anche lacerata «in mille pezzi» che «mai troveremo».
Bisogna combattere «questa tradizione pretesca di ammassare libere coscienze e libertà cristiane in canoni e precetti umani»: basterebbe «un po’ di generosa prudenza, un po’ di tolleranza reciproca» per tentare di «collegarsi e unirsi in una comune e fraterna ricerca della Verità». La verità, infatti, «non ha bisogno di censure per vincere»: essa, al contrario, ha bisogno del dissenso, del confronto, della plurivocità, della molteplicità, della diversità. Solo attraverso il dialogo tra i più differenti punti di vista sarà possibile «unire quei pezzi separati ancora mancanti». I veri nemici della verità, infatti, sono coloro che, in nome della propria verità, impediscono agli altri di cercare.
Milton ne è sicuro: «Prima di ogni altra libertà, datemi la libertà di conoscere, di esprimermi e discutere liberamente secondo coscienza». I libri e la cultura non sono «per nulla cose morte» ma contengono «in sé una potenza di vita che li rende» straordinariamente attivi. Difendere i libri e la cultura significa difendere la libertà e la crescita civile e sociale di un Paese. Una lezione ancora viva per politici e ministri che, dietro ai cespugli, assistono incuranti allo sgretolarsi della nostra memoria storica (si veda la tragedia di Pompei), al degradarsi delle scuole, delle università e della ricerca. Solo nell’ignoranza, come suggerisce bene Milton, prospera un’umanità docile e conformista, ossequiosa del potere. La cultura, invece, è pericolosa e sovversiva. Come ricorderà, due secoli dopo, anche l’anonimo prete della Roma belliana: «Li libbri nun zò robba da cristiano: fiji, pe carità, nu li leggete».

il Fatto 10.11.10
La sfida disperata del “manifesto”
Rischio chiusura. Lutto per la morte del fondatore Aldo Natoli
di Beatrice Borromeo


Il calabrone non vola più. Diceva Luigi Pintor, uno dei padri fondatori del manifesto, che il suo giornale è come un calabrone, la stessa metafora usata dagli economisti per descrivere l’Italia: ha le ali troppo pesanti per volare, per le
leggi della fisica non dovrebbe stare in aria eppure, da 40 anni, il calabrone comunista sopravvive in edicola.
Solo che, da quando il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha cancellato il diritto soggettivo delle testate ad accedere ai contributi pubblici, nel bilancio del manife-
sto sono venuti a mancare 3 milioni e 700 mila euro all’anno. E tra edicola e abbonamenti vende appena 20 mila copie, zoccolo sempre duro ma insufficiente, mentre dalla pubblicità incassa 1,7 milioni all’anno. Soldi che non bastano a coprire i costi di una redazione di 90 persone, da sei mesi senza stipendio. “C’è un riccone in Italia che può comprare il manifesto per farlo restare così com’è?”, si è chiesto scherzando ma non troppo sulle colonne del Corriere della Sera un altro dei padri del manifesto, Valentino Parlato. Perché l’autotassazione dei lettori che ha salvato il quotidiano fino a oggi (come le vendite a prezzi maggiorati o la richiesta di comprare a 50 euro il best of del giornale) non basta più, e anche le linee di credito dei banchieri simpatizzanti si sono prosciugate.
IL DIRETTORE del manifesto Norma Rangeri non prende sul serio l’ipotesi del cavaliere bianco, anche perché molti in redazione (e tra i lettori) preferirebbero chiudere che consegnarsi a qualcuno che possa dettare la linea politica a un progetto culturale e giornalistico che da sempre si compiace di essere “autonomo, libero e senza padroni”. Il problema è che di soluzione alternative non se ne vedono. La Rangeri fatica a immaginare una via d’uscita dal profondo rosso che vive il quotidiano comunista: “Dobbiamo riuscire a sopravvivere per i prossimi tre mesi e raddoppiare la pubblicità”. Ma anche lei sembra considerarlo più un miracolo che un progetto industriale: per attrarre gli inserzionisti serve una crescita delle vendite, difficile da ottenere senza investire sul prodotto (il manifesto è praticamente l’unica testata ancora in bianco e nero). E i soldi per farlo proprio non ci sono.
“Non vogliamo morire a 40 anni ma in redazione c’è profondo sconforto. Mandare in stampa un giornale che da sei mesi non paga chi ci lavora è difficilissimo. Questa volta la possibilità di chiudere è seria”, dice la Rangeri mentre prepara un paginone per ricordare Aldo Natoli, storico fondatore del quotidiano, scomparso due giorni fa a 97 anni. “Gli volevo bene, ma non lo sentivo da tempo – spiega un altro del gruppo fondatore, Lucio Magri – e poi odio i necrologi, così vincolati a ricordi appiattiti”. Da un autobus di Londra, Luciana Castellina ricorda al telefono che Natoli “diceva che il Partito comunista era una giraffa, perchè si distingueva dagli altri. E Aldo era la giraffa nella giraffa, un intellettuale raffinatissimo e unico”. Per la Castellina la fine del manifesto – fondato nel 1969 da un gruppo di dirigenti del Pci espulsi dal partito perché si rifiutavano di avallare l’invasione sovietica della Cecoslovacchia – è dovuta alla “scomparsa della politica tutta” più che alla sconfitta della sinistra radicale e alla sua assenza in Parlamento.
IL MANIFESTO, sostiene la Castellina, “non può che essere la prima vittima della morte della politica. Era nato legato a un concetto, a un movimento. Non è mai stato un giornale in senso tradizionale, era un vero soggetto politico”. E quindi, lo ammette proprio Valentino Parlato, non ci può essere molta speranza: “Un quotidiano comunista fatica a sopravvivere se i comunisti non esistono più. L’unico che ancora li nomina è Berlusconi”.

neo-leghismo e filo-fascismo, questo è Sansonetti...
il Fatto 10.11.10
Sansonetti riabilita i moti di Reggio
Una Lega del sud al grido di “Boia chi molla”
di Enrico Fierro


Da pupillo di Bertinotti a moderno seguace del Cardinale Ruffo, passando per Ciccio Franco e i suoi “Boia chi molla”. Da quando Piero Sansonetti, ex direttore di “Liberazione”, è “sceso” a Cosenza per dirigere il quotidiano “CalabriaOra”, si è imposto un solo obiettivo: stupire. Effetti speciali a gogò che però non sono riusciti a cancellare la brutta storia del licenziamento di un suo giovane giornalista minacciato dalla ‘ndrangheta. La politica in Calabria è stanca, ecco che Sansonetti la rianima con un colpo di teatro: il leghismo alla ‘nduja. “C’era il vento del Nord, ci sarà il vento del Sud”, è il titolo del convegno che “CalabriaOra” terrà a sabato a Lamezia Terme. “Boia chi molla” è la parola d’ordine. Era lo slogan della “rivolta di Reggio”, una delle pagine più buie della storia italiana, un misto di eversione, interessi politici e mafia, che Sansonetti riabilita. Altro che slogan fascista, scrive in un editoriale, “Boia chi molla lo inventarono gli insorti della Repubblica napoletana e fu ripreso da Carlo Rosselli”. Di quelle parole Sansonetti si riappropria per una sua personalissima riscrittura della storia calabrese. La rivolta di Reggio non fu fascista, come per quarant’anni ha sostenuto la sinistra, ma vera rivolta di popolo. E la manifestazione unitaria dei sindacati del 1972, centinaia di migliaia di lavoratori e studenti da tutta Italia, “fu sbagliata, sbagliatissima” (altro editoriale di fuoco), perché animata da una “logica da occupazione militare”, e poi quello slogan “Nord e Sud uniti nella lotta era insensato”. E ora, a proposito di ribellione del Sud, Sansonetti dice: “È un’esigenza vitale, visto che il partito più potente d’Italia è dichiaratamente nordista. C’è un insopportabile squilibrio di poteri che si può superare solo con la rivolta e la ricostruzione di una classe dirigente del Sud”. Ma il giudizio di Sansonetti su “Boia chi molla” ha smosso le viscere di un personaggio mitico della sinistra calabrese, Peppino Lavorato, amico fraterno di Peppe Valarioti, il segretario del Pci di Rosarno ucciso dalla mafia nel giugno del 1980, sindaco e poi parlamentare. “Sansonetti ha aperto una riflessione sui moti di Reggio che io contesto. Altro che storie, ci sono atti e sentenze che dimostrano come quella rivolta fu un fatto eversivo, si stava preparando il terreno di massa al consenso per una svolta fascista. Non dimentichiamo che poi venne il tentativo di golpe del principe Borghese. Allora Pci e sindacati difesero la democrazia. L’ho scritto in un articolo inviato a CalabriaOra che però non è stato mai pubblicato”. La mafia, qui gli editoriali di Sansonetti sono chiarissimi fin dai titoli: “Antimafia sì, forcaioli no”. E i consensi non sono mancati. “Egregio direttore – scrive il deputato Pdl Giovanni Dima – le truppe del giustizialismo sono già schierate e pronte e dare battaglia...lei sarà accusato del delitto di lesa maestà”. Entusiasmi anche a sinistra. “Se tutto è mafia, niente è mafia”, scrive il consigliere regionale Nicola Adamo (rinviato a giudizio nell’inchiesta “Why Not?”). Insomma, un rimescolare le carte continuo. Se Susanna Camusso, la nuova segretaria della Cgil, si pone come obiettivo una grande manifestazione antimafia in Calabria, Sansonetti la redarguisce duramente. Editoriale: “I calabresi non sono mafiosi, sono disoccupati”. Tesi centrale: “I problemi essenziali di questa regione sono due: il lavoro e il reddito”. La ‘ndrangheta c’è ed è forte, ma nel “benaltrismo” sansonettiano non è il problema dei problemi.
Sergio Genco è il segretario della Cgil calabrese, è in macchina e non ha il tempo per polemizzare: “Sto andando a Locri dove quella mafia che qui non è il problema centrale ha appena sparato a tre lavoratori, vado in ospedale a trovarli, mi scusi”. Infine il convegno, bei nomi. C’è Peppe Bova, consigliere regionale sospeso dal Pd, famoso per aver speso in un anno 211mila euro di benzina prontamente rimborsatigli dalla Regione, un imprenditore come Antonino Gatto, presidente di Despar Italia, la cui ascesa economica è stata ricostruita nella relazione dell’Antimafia sulla ‘ndrangheta, Enza Bruno Bossio, l’imprenditrice del Pd rinviata a giudizio per una storia di finanziamenti della 488 dalla procura di Lecce, più Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno e Nicola La Torre. Conclusioni di Giuseppe Scopelliti, il governatore della Calabria che ai suoi concittadini deve ancora una spiegazione credibile sulla sua partecipazione ad un pranzo organizzato da imprenditori ritenuti legati a cosche importanti della ‘ndrangheta reggina. E’ il “nuovo vento del Sud”.

martedì 9 novembre 2010

Repubblica 9.11.10
L´esperimento nella città di Christchurch, in Nuova Zelanda Gli altoparlanti diffondono le sinfonie e i reati spariscono
Per sconfiggere il crimine basta ascoltare Mozart
di Cristina Nadotti


Il musicologo "Quelle note sono un miracolo di perfezione ed equilibrio che predispone alla tranquillità"
Nell´ottobre 2008 gli agenti avevano rilevato 77 illegalità a settimana. Sono diventate solo due nello stesso periodo di quest´anno

Le mucche fanno più latte, i neonati crescono meglio e le città diventano più sicure. Tutto merito di Mozart, della sua musica serena ed armoniosa. Dopo gli studi scientifici, ad accertare gli effetti benefici e sorprendenti dell´armonia mozartiana ci sono i rapporti sulla sicurezza nelle strade. La polizia di Christchurch, terza città della Nuova Zelanda per numero di abitanti, ha reso note le statistiche su crimini minori commessi nel City Mall, quartiere commerciale dal 2006 al centro di una vasta opera di abbellimento e riqualificazione e dal 2009 allietato dalla musica di Mozart. L´anno scorso, infatti, insieme alla realizzazione di una vasta area pedonale, le autorità municipali hanno deciso di installare nelle vie commerciali del quartiere degli altoparlanti, per diffondere le opere del genio di Salisburgo.
L´effetto-sicurezza è stato immediato, con una drastica diminuzione della microcriminalità. Nell´ottobre 2008 gli agenti municipali della zona avevano rilevato 77 crimini a settimana, diventati soltanto 2 nello stesso periodo di quest´anno. Scomparsi gli incidenti legati al consumo di droghe e alcol: ne erano stati rilevati 16 nel 2008, non ce n´è stato alcuno quest´anno. E Mozart rilassa, questa è la convinzione dei commercianti di Christchurch, che hanno riferito alla polizia di avere molti meno problemi con i clienti grazie alla colonna sonora di musica classica. Nel 2008, prima della diffusione di sonate e sinfonie, i gestori di negozi avevano riferito di 35 casi di clienti rissosi, per allontanare i quali si erano dovuti rivolgere alla sicurezza, mentre dopo la cura Mozart i problemi sono spariti.
Non è la prima volta che la musica classica è utilizzata per tenere lontani ladruncoli e attaccabrighe da alcune zone. All´inizio del 2000 nella cittadina di Tyne and Wear, nel Nord dell´Inghilterra, la musica di Mozart era stata diffusa dagli altoparlanti della stazione ferroviaria locale per tenere alla larga «i giovinastri che bighellonavano lì intorno». I critici avevano parlato di «Mozart usato come un´arma», uno dei tanti esperimenti in cui si «abusa dei capolavori dell´umanità per punire i giovani», mentre i responsabili della ferrovia locale avevano sciorinato con orgoglio i risultati dell´iniziativa, mostrando le immagini di una stazione "liberata" da ospiti indesiderati.
Più che un effetto calmante, confermano anche dalla Nuova Zelanda, la musica classica e in particolare quella di Mozart pare avere il merito di tenere lontani i più giovani, le teste calde, i bighelloni. Non è poi soltanto questione di gusti musicali, almeno secondo il sergente maggiore Gordon Spite, della polizia municipale di Christchurch, che ha spiegato al New Zeland Herald come la diffusione della musica classica dagli altoparlanti dia l´idea di un territorio presidiato, non abbandonato a se stesso. «Se ti trovi in un´area che sembra deserta - ha detto il poliziotto - è un chiaro messaggio che a nessuno importa di quel che succede e puoi far quel che ti pare».
«Posso confermarlo anche io - racconta il compositore italiano Marco Tutino - quando ero direttore del Teatro Comunale di Bologna avevo fatto la stessa cosa, diffondendo musica classica dagli altoparlanti all´esterno. Dai portici si erano allontanati tutti i gruppetti di vagabondi e punkabbestia che stazionavano lì intorno». Mozart usato come sfollagente, dunque? «No - è la convinzione di Tutino - è ormai noto che la musica influisce sulla psiche e quella di Mozart è una tale miracolo di perfezione, di simmetrie ed equilibrio che predispone alla tranquillità». È quel che sosteneva lo studio dell´Università di Tel Aviv nel 2009, secondo il quale i neonati prematuri grazie a Mozart si calmano, si muovono meno e dunque acquistano peso più rapidamente. Non è soltanto l´attività cardiaca dei neonati a rallentare, ma anche quella degli adulti e la musica classica, Mozart su tutti, è usata da tempo per aiutare la normalizzazione del battito cardiaco di pazienti colpiti da ictus. «Non c´è soltanto Mozart - precisa però Tutino - è la musica nel suo insieme ad avere un effetto benefico e sono molte le composizioni ad hoc per rilassare».

Repubblica 9.11.10
Bersani punta alla guerriglia in aula "Adesso Fini non traccheggi più"
Di Pietro: subito la sfiducia. Casini: il premier si dimetta
di Giovanna Casadio


ROMA - Di Pietro parte in quarta: «Caro Bersani, dobbiamo stanare Fini, ci deve dimostrare se ci fa o ci è. Il Pd che ha i numeri presenti una mozione di sfiducia a Berlusconi e al governo. Basta con il gioco degli equivoci, non accetteremo che al governo ci vada il solito Casini». Italia dei valori, il partito di Di Pietro, ce l´ha già pronta la mozione. Dopo la polemica, il segretario democratico e Di Pietro si sentono. E Bersani ripete quanto va sostenendo in queste ultime ore: «Accettiamo consigli, ma sappiamo come fare opposizione. È chiaro che si sta perdendo tempo, ci comporteremo con coerenza e con combattività». Oggi il segretario ha riunito la segreteria e i big del partito; lì il Pd decide. «Svilupperemo tutta una serie di iniziative in Parlamento e non, per risolvere la situazione perché la crisi c´è. Non si traccheggi più», dice il leader al Tg3. E il destinatario è Fini.
Insomma, la mozione di sfiducia del Pd è solo in stand by. L´11 dicembre c´è la manifestazione di piazza. Fini, ritengono i Democratici, non aspetterà più di due o tre giorni per fare precipitare la situazione. «Mi aspetto da Fini atti conseguenti, che prenda le sue decisioni - commenta il segretario - Stiamo perdendo tempo in un paese che non può più permettersi di perderne». Bersani telefona ieri anche a Casini: punta a mosse parlamentari di tutta l´opposizione. E «a disseminare il terreno di mine», commentava ieri Dario Franceschini, il capogruppo Pd. La mozione di sfiducia insomma non può essere bruciata, ma va fatta quando si sa l´effetto che ottiene. Intanto ci sono altre occasioni per mettere in difficoltà il governo: la mozione Pd sul fisco; quella di Fli sulla Rai; di Idv su Calderoli e l´altra mozione di sfiducia a Bondi che i Democratici intendono depositare. Una guerriglia parlamentare. «Noi non andiamo a rimorchio di Fini», assicura Rosy Bindi.
Casini liquida l´ipotesi che l´Udc entri nel governo con un «è solo gossip». E dichiara al Tg1: «Chiedo a tutti: serve aggiungere un posto a tavola a una cosa che non funziona? Mi rifiuto per un ministero di vendere le mie idee politiche. Non serve un governicchio, né andare avanti vivacchiando: l´Italia ha problemi drammatici». Serve una fase nuova e questa passa - scandisce il leader centrista - dalle dimissioni di Berlusconi. Bersani insiste per un governo tecnico che affronti il nodo della legge elettorale, anche se, afferma, «il Pd non ha paura delle elezioni». Per Emma Bonino, vice presidente del Senato e leader radicale, andare alle elezioni anticipate sarebbe «da irresponsabili; non si può andare al voto ogni due anni». Nel futuro politico, il segretario Pd vede per il suo partito alleanze sulla base di «un patto vincolante» o se no, «corro da solo». Patto che offrirebbe a Idv, Vendola e socialisti per poi rivolgersi all´Udc. Inoltre, se si andasse malauguratamente al voto con il Porcellum, ecco necessario un meccanismo di partecipazione per scegliere i candidati.

l’Unità 9.11.10
Al Forum delle associazioni il ministro annuncia: «Soldi solo alle coppie sposate», poi si corregge
Giovanardi attacca la scienza. Imbarazzo per il caso Berlusconi-Ruby e per il taglio delle risorse
Famiglia, farsa di governo Sacconi: non sono nazista...
Per Sacconi la famiglia è solo matrimonio con figli, Giovanardi conferma che la tutela dello Stato è rivolta alla coppia che «si assume la responsabilità pubblica». Bufera sul meeting di Milano.
di Laura Matteucci


Nessuna presa di distanza, figurarsi, ma nemmeno un filo di dichiarato imbarazzo. «Assolutamente no», ripete più volte sempre più torvo il ministro Sacconi, «imbarazzo? ma siamo scherzando?». Un pezzo dell’esecutivo è a Milano, alla seconda Conferenza nazionale della famiglia organizzata dal governo, ma il presidente del Consiglio, travolto dallo scandalo escort, ha dovuto restarsene a pochi chilometri di distanza, nella villa di Arcore. Così aprire i lavori tocca al sottosegretario Carlo Giovanardi, con dichiarazioni che dalle prostitute del duemila ci rimbalzano al medioevo dei diritti. «Scienza e biotecnologie attacca possono togliere ai figli il diritto di nascere all’interno di una comunità d’amore con un’identità certa paterna e materna». E la famiglia tradizionale è già in pericolo: «La rottura della diga costituita dalla legge 40 aprirebbe la porta a inquietanti scenari, al Far West della provetta dove fin dal primo momento il concetto costituzionale di famiglia andrebbe irrimediabilmente perduto». Al contrario di quanto dichiarato da Fini e da esponenti di Fli, il ministro al welfare Maurizio Sacconi chiarisce una volta di più: soste-
gni solo alla famiglia “naturale”, con matrimonio e procreazione. «Ho sentito dai cosiddetti futuristi dice Sacconi mettere in discussione il primato della famiglia “naturale”. Una cosa sono le relazioni affettive, che però riguardano una dimensione privatistica, ma le politiche pubbliche (leggi, i benefici fiscali) sono tarate sulla famiglia “naturale”, fondata sul matrimonio e votata alla procreazione». E, mentre Sacconi preciserà poi che gli aiuti andranno anche «ai figli di coppie di fatto», perchè «non sono mica un nazista», Giovanardi confermerà che le misure che il governo starebbe approntando sono rivolte alle coppia che «si assume la responsabilità pubblica». Parlano in due e non sono d’accordo, quindi. Ma quello che proprio non sopportano è l’ufficializzazione delle coppie omosessuali. Una discriminazione che varrà l’epitaffio dell’Arcigay «questa Conferenza è una farsa», e la protesta dei radicali.
«Discorsi violenti da campagna elettorale», mentre «dal governo non arriva alcun impegno serio, solo slogan». La presidente Pd Rosy Bindi, presente a Milano, definisce le parole di Sacconi e Giovanardi «proclami ideologici»: «La famiglia aggiunge Bindi non è un ammortizzatore sociale su cui scaricare i costi dei tagli del governo alle politiche pubbliche». In altri termini: «I fondi per la famiglia sono passati dai 400 milioni che avevamo stanziato noi ai 47 che hanno stanziato loro». Il senatore Pd Ignazio Marino seppellisce il discorso di Giovanardi, il cui intento «è discriminatorio e al limite del razzismo». «Che cosa pensa delle famiglie con figli adottati? Sono vere famiglie o no? Che rischio corrono anche se l’identità dei genitori non è biologicamente trasmessa ai figli? E le famiglie con figli concepiti con la fecondazione assistita?», chiede ricordando che nel mondo sono più di 4 milioni i bambini nati con metodo artificiale.
DIRITTI FRAGILI
La Conferenza era stata aperta da un messaggio del presidente Napolitano, che ha richiamato «i soggetti istituzionali all’esigenza di affrontare i problemi che ostacolano il formarsi delle famiglie: la precarietà, l’instabilità dell’occupazione, la difficoltà di accesso ai servizi e sostegni pubblici e la loro disomogenea distribuzione sul territorio». Poi è stata la volta dell’arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, «i diritti delle famiglie fragili non siano diritti fragili», ammonisce. E poi ancora, la sfilata dei ministri in un’atmosfera di palpabile ipocrisia. L’unico accenno di reazione dalla sala arriva con il passaggio di Mara Carfagna, Pari opportunità, sulle politiche del governo per i minori, contro abusi ed adescamento. «Ma non si vergogna a dire queste cose?», urla per due volte qualcuno degli astanti. Lei tira dritto, e comunque no, non si vergogna per niente. Il vorticoso giro di escort? «Non ci credo riesce a dire È tutto da verificare».

Repubblica 9.11.10
Single, separati, conviventi la carica delle nuove famiglie e la voglia di restaurazione
L´economista Del Boca: "La natalità oggi cresce proprio grazie alle coppie di fatto"
Il senatore del Pd Marino: "Non esistono nuclei puri e impuri né genitori di serie A e B"
di Maria Novella de Luca


MILANO - Coniugati, fedeli, con tanti bambini nati naturalmente e senza l´aiuto delle biotecnologie, lontani dal "tritacarne divorzista" che mina le coppie occidentali, rigorosamente eterosessuali, ovviamente antiabortisti, e mai e poi mai famiglie gay. È questo, secondo i relatori della Conferenza nazionale della Famiglia, in particolare il sottosegretario Carlo Giovanardi e il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, il ritratto della famiglia italiana anno 2010, uno strano ritratto, smentito in realtà nella stessa sede dai dati dell´Istat, che rovesciano, e senza appello, quell´idea di nucleo familiare che il governo vorrebbe sostenere e sponsorizzare. Sì, perché mentre ieri mattina il ministro Sacconi affermava che le uniche coppie legittimate a ricevere aiuti sono «quelle coniugate», e il sottosegretario Giovanardi condannava lo smantellamento della legge 40 e il divorzio che mina «l´alleanza naturale fra uomo e donna», l´Istat affermava che oggi in Italia si separa una coppia su quattro, in 35 anni i matrimoni si sono dimezzati e in cinque anni le unioni regolari sono calate di 17.484 unità. E un rito su tre oggi viene celebrato con rito civile.
Una contraddizione evidente, come se la famiglia evocata dal governo fosse ben diversa e lontana da quella descritta dalle cifre, dai numeri, dalle testimonianze di ogni giorno. «Aumenta il numero delle famiglie - spiega infatti Linda Laura Sabbadini, direttore centrale dell´Istat - ma diminuisce il numero dei componenti, non più di due nel 50% dei casi. Le forme familiari sono sempre più variegate, crescono single, coppie senza figli, monogenitore e coppie non coniugate. Le libere unioni cambiano natura, non più solo convivenze che si concludono con il matrimonio, ma anche coppie che scelgono di non sposarsi e fare figli».
Se però a questo tipo di famiglie, così ha detto il ministro Sacconi (per poi rettificare dopo il diluvio di polemiche) non devono andare gli aiuti perché destinati soltanto alle coppie coniugate, è come se ad un pezzo d´Italia fosse tolto il diritto di essere famiglia. Almeno questo è il pensiero di Daniela Del Boca, docente di Economia politica all´università di Torino, e autrice di un recente quanto amaro volume "Famiglie sole" scritto con Alessandro Rosina. «Oggi il maggior incremento della natalità - dice Daniela Del Boca - arriva proprio dalle coppie di fatto e dagli immigrati. Come si può pensare allora di fare una politica di welfare che escluda chi non è sposato? È la famiglia tradizionale ad essere in declino, è una corrente universale, è antistorico credere che penalizzando chi convive, o chi divorzia, le cose possano cambiare. Mi occupo di questi temi tutti i giorni, li studio da anni, e sentendo le relazioni mi sono resa conto che dietro c´è una enorme ignoranza sullo stato reale della società italiana. E poi, che cosa vuol dire oggi famiglia "naturale", con una sterilità sempre più alta anche nelle giovani coppie? Per non usare le biotecnologie, come dice il sottosegretario Giovanardi, dobbiamo rassegnarci a non avere più bambini? No, questo è il ritratto di una famiglia che non c´è, che forse piacerebbe al Papa, ma non esiste... E nemmeno tra i cattolici - aggiunge Del Boca - che oggi hanno scelto sempre di più una via moderata, più vicina ai loro bisogni che all´integralismo».
Perché ci sono due famiglie che escono dalle parole degli organizzatori della conferenza. Una di serie A, una "happy family", che si sposa, non divorzia e non fa bimbi in provetta, anzi rifugge dai tentacoli di una modernità che, parole di Carlo Giovanardi «mette i due sessi l´uno contro l´altro esaltando le ragioni egoistiche di ciascuno». Poi ci sono gli altri. Single, divorziati, monogenitori, conviventi. Gay nemmeno a prenderli in considerazione. Afferma Ignazio Marino, senatore del Pd: «Il sottosegretario Giovanardi si preoccupa delle famiglie in modo davvero inusuale. Affermando che debba esserci una identità certa, paterna e materna, traccia di fatto una differenza tra famiglie buone e cattive, tra pure e meno pure. L´intento discriminatorio è al limite del razzismo. Vorrei chiedere a Giovanardi - continua Marino - che cosa pensa delle famiglie con figli adottati? Sono vere famiglie o no secondo lui? Che rischio corrono anche se l´identità dei genitori non è biologicamente trasmessa ai figli? E le famiglie in cui i figli sono stati concepiti con la fecondazione assistita? Vorrei rassicurare il ministro: esistono nel mondo più di quattro milioni di bambini, del tutto normali, nati con metodo artificiale...».

l’Unità 9.11.10
Brescia, cariche contro i migranti. I sei sulla gru in sciopero della sete
Hanno pagato italiani per avere un permesso di soggiorno mai avuto
di Giuseppe Vespo


Dopo una giornata di incidenti e tensione rimangono dov’erano i sei immigrati di Brescia che da undici giorni sono su una gru a 30 metri d'altezza. Chiedono la regolarizzazione che non hanno avuto con la sanatoria «truffa».

Arun, Jimi, Rachid, Sajad, Singh e Papa, adesso rifiutano anche l’acqua e il cibo. È il loro undicesimo giorno a 35 metri d’altezza, su una gru del cantiere della metropolitana di Brescia, in pieno centro, in piazza Cesare Battisti. Protestano per quel permesso di soggiorno che non hanno ancora ottenuto, nonostante avessero i requisiti richiesti dalla sanatoria del 2009 che permetteva di mettere in regola colf e badanti clandestini. Sono il simbolo del popolo migrante che si dice «traffuato» dalle leggi del governo. Dopo di loro, anche a Milano cinque migranti si sono arrampicati su una ciminiera per rivendicare gli stessi diritti.
LE CARICHE
Ieri all’alba polizia e carabinieri hanno sgomberato con due cariche il presidio che da giorni li seguiva. Un tentativo messo in atto per permettere ai pompieri di piazzare delle re-
ti di sicurezza sotto la gru (?), ma che ha avuto come unico effetto quello di spostare di un centinaio di metri i manifestanti: da piazza Battisti a via San Faustino. Con le cariche, la seconda intorno alle dieci e mezza, 24 persone sono state accompagnate in questura. Sei, due immigrati e quattro italiani, sono stati arrestati: cinque per resistenza a pubblico ufficiale e uno per non non aver rispettato l’ordine di espulsione dall’Italia (Bossi-Fini). Per dodici migranti è scattato il decreto di espulsione e alcuni sono già stati accompagnati nei Cie di via Corelli a Milano e Brunelleschi a Torino. Dodici italiani invece sono stati denunciati a piede libero per manifestazione non autorizzata e resistenza a pubblico ufficiale. Tra questi, Umberto Gobbi, presidente dell’associazione “Diritti per tutti”, che segue la protesta dei sei dall’inizio. A carico di Gobbi da ieri pende una denuncia per istigazione alla disobbedienza delle leggi. I processi per direttissima potrebbero partire già oggi.
Tra la folla si incontra anche chi e sfuggito all’arresto ma porta sul corpo i segni delle manganellate. Come Hammed, 26 anni egiziano, da sei anni a Brescia. Alza la camicia per mostrare i lividi. Dice che non andrà in ospedale perché ha paura che il medico lo denunci: è senza permesso di soggiorno, nonostante i sei anni in ditta come saldatore. L’escamotage per uscire dal nero e dalla clandestinità era purtroppo, anche per lui quella sanatoria per colf e badanti.
Hammed racconta di aver incotrato al bar un italiano che si è offerto di denunciarlo come suo badante. In cambio, però, ha dovuto sborsare cinquemila euro. «Poi siamo andati alla Posta dice il 26enne e ho pagato 500 euro per aprire la pratica. Poi duecento euro per l’iscrizione al sindacato. Infine i contributi: trecento euro ogni tre mesi, da un anno». Soldi sudati, che Hammed non vedrà più: «Mi hanno fermato una volta senza documenti e hanno bloccato tutto. A questo punto continua se mi dessero i soldi indietro tornerei in Egitto, tanto qui non c’è più lavoro». Questo ragazzo è l’immagine di un mondo: nelle quasi 300mila richieste di regolarizzazione presentate l’anno scorso ci sono molte storie come la sua. Molti o molte colf e badanti che in realtà fanno un altro lavoro, truffati dagli italiani che si sono fatti pagare per metterli in regola, salvo poi sparire e non presentarsi alla convocazione della Prefettura. Altri invece sono rimasti fregati dalla «circolare Manganelli»: spiega il segretario della Camera del Lavoro di Brescia, Damiano Galletti: «Sono migranti la cui regolarizzazione è stata bloccata perché sono stati fermati dalla polizia e trovati senza permesso di soggiorno». È quello che è accaduto ai sei sulla gru. Loro però sono ostinati e giurano di voler andare avanti fino a quando otterranno i documenti che aspettano. Ieri il prefetto Narcisa Brassesco Pace ha incontrato i sindacati, il Pd e l’Idv, e ha ribadito il suo «no» a qualsiasia regolarizzazione «fuori dalle norme». La Cgil nazionale ha chiesto l’intervento del ministro Maroni, mentre le associazioni e i migranti continuano a protestare. A Brescia ma anche a Milano.

il Fatto 9.11.10
Usano la forza con gli stranieri (e chi li difende)
Brescia, blitz della polizia sotto la gru. L’ultimo atto di una guerra nascosta
di Elisabetta Reguitti


Tutto è iniziato alle 6 di mattina con lo sgombero di quanti, da giorni, sostano ai piedi della gru sulla quale dal 30 ottobre vivono sospesi sei immigrati. Erano venti i primi uomini delle forze dell’ordine impegnati ad allontanare quanti hanno deciso di sostenere quelli che stanno a 35 metri di altezza.
L’alba grigia di Brescia è iniziata con le voci degli uomini che si opponevano alla polizia: un richiamo anche per coloro che stavano dormendo nella stanza messa a disposizione dalla parrocchia di San Faustino a pochi metri dal cantiere. Tutti in strada e sono iniziate a volare le prime botte. Sembra siano stati utilizzati anche gli estintori per tenere alla larga polizia, carabinieri e Guardia di finanza rafforzati nel giro di poco da altri reparti venuti da fuori città. L’ordine era allontanare e identificare. Chi non mostrava i documenti veniva portato in questura.
BRESCIA ieri ha conosciuto una giornata di grande nervosismo e paura. E’ saltato il meccanismo che teneva coperte le tensioni che crescono all’ombra di una politica fatta di accerchiamento degli stranieri, in una realtà in cui la crisi del lavoro diventa uno strumento di selezione. La visione xenofoba del mercato del lavoro, che tende ad rimandare a casa loro gli stranieri che da indispensabili per le fabbriche oggi diventano un fastidioso peso per la città, sta facendo il resto. Ma ciò che è avvenuto inizia ben prima. Basti pensare come nella centrale piazza Rovetta sono state tolte le panchine per impedire il ritrovo degli immigrati. Meglio parcheggi e macchine piuttosto che stranieri. Aggiungi le multe a chi si siede sui monumenti pubblici (la prima fortunata era stata una donna marocchina) o il divieto di praticare il cricket nei parchi. Ma d’altro canto a Brescia si gioca la capacità di dimostrare la forza della “legalità”.
Si misura con il braccio di ferro tra l’amministrazione comunale del sindaco onorevole, Adriano Paroli, ma soprattutto del vice Fabio Rolfi, e l’associazione “Diritti per tutti” che difende gli immigrati.
MA IN MEZZO ci stanno quei sei disgraziati che occupano uno dei cantieri della metropolitana. Lavorano tutti in nero nella operosa Brescia e tra loro ci sono alcuni che hanno già pagato i 500 euro per poter accedere alla sanatoria. Chi aveva ricevuto il foglio di via per clandestinità ha comunque potuto far domanda e ha pagato, per poi ricevere l’esclusione dalla sanatoria. Arun, Papa, Sajad Jimi, Rachid e Singh (dai 20 ai 30 anni) non scendono dalla struttura, hanno iniziato lo sciopero della fame e rimangono sulla piccola piattaforma a 170 pioli di distanza da dove ieri a metà mattina c’è stata anche una carica della polizia per spingere i manifestanti a metà di via San Faustino, uno degli imbocchi al cantiere della metropolitana che dall’alto appare come un’isola circondata da uomini in divisa e vigili del fuoco ai quali era stato detto di montare una rete di protezione. Operazione impossibile visti i lanci di pezzi di ferro e bottiglie contenenti urina. I sei da sopra ritengono che la rete che vuole mettere la prefetta Livia Narcisa Brassesco Pace non sia tanto per la loro sicurezza quanto piuttosto preludio di un’azione di forza per obbligarli a scendere. Magari impegnando reparti speciali inviati dal ministero degli Interni la cui linea è chiara: “Fino a quando quelli non scendono non si tratta. Nessun tavolo di trattativa”.
Il pomeriggio cristallizzato mentre dalla questura uscivano quelli fermati in mattinata. Un bilancio di 25 persone, di cui 14 stranieri; sei di questi accompagnati nei centri di espulsione di Milano e Torino; gli arrestati a fine giornata erano 8, di cui 6 italiani e due immigrati. Una donna colpita ad una spalla mentre stava facendo una diretta radiofonica è finita in ospedale. Maurizio Mura, tra quelli fermati e poi rilasciati, mostra il foglio con la sua imputazione: manifestazione non autorizzata. Piovono dichiarazioni: tra le altre quelle del Pd che parla di “permesso di protezione sociale per quelli che lavorano”. Una cosa è certa: la situazione a Brescia potrebbe avere conseguenza imprevedibili.

l’Unità 9.11.10
Marincola, un eroe italiano dalla pelle nera di razza partigiana
di Iglaba Scego


Giorgio è nato in Somalia ed è caduto a Stramentizzo: era un sognatore dallo sguardo tenero
La sua storia in un libro di Wu Ming 2, «Basta uno sparo» , dove la poesia si mischia alla prosa
La storia di Giorgio Marincola, nato in Somalia nel ‘23, da padre italiano e madre somala. Cresciuto a Roma sotto il fascismo, militante del Partito d’Azione, partigiano nel viterbese, internato a Bolzano.

Chi raccoglie i cocci dell’eroe? Chi gli rammenda i calzini? Chi resta mentre lui va verso la fine che ha scelto? Sono le domande che si è fatto Wu Ming 2 (al secolo Giovanni Cattabriga) nella sua ultima fatica Basta uno sparo (Transeuropa Edizioni). L’eroe di cui ci parla Wu Ming 2 è un ragazzo gracile, con degli occhiali grandi, lo sguardo tenero da cerbiatto. L’eroe è un italiano dalla pelle nera. Un partigiano, un sognatore. L’eroe ha un nome: Giorgio Marincola. E come capita ai veri eroi è stato dimenticato dalla memoria mainstream, quella con la S maiuscola, quella che è inserita nei libri di scuola e nelle giornate della memoria. Giorgio è nato a Mahaddei Uen in Somalia il 23 settembre 1923 ed è caduto a Stramentizzo, presso Castel di Fiemme (Trento) il 4 maggio 1945. 1923....1945...due date, due estremi. Da una parte il colonialismo italiano che tanta gente aveva fatto soffrire e dall’altra l’ultima strage nazista avvenuta quando ufficialmente (ma non concretamente) la guerra era finita. In mezzo Giorgio con il suo sorriso, la sua voglia di libertà, il suo senso spiccato per la giustizia.
In Basta uno sparo Wu ming 2 non ricostruisce solo la vita di Giorgio, ma ci dona frammenti emotivi di lui e di chi gli è stato vicino. C’è l’eco di una madre somala mai conosciuta, di una Somalia sognata (infatti finita la guerra voleva studiare malattie tropicali e tornare in quell'equatore che sentiva come la sua altra casa), di un padre che in fondo lo amava intensamente e di una pelle nera così strana nell’Italia che si avviava verso le leggi razziali. C’è Giorgio a Casal Bertone con gli amici, c’è Giorgio che va al liceo e che conosce quel Pilo Albertelli, che sarà poi trucidato alle Fosse Ardeatine. C’è Giorgio disgustato dall’Italia fascista e che abbraccia inevitabilmente la lotta partigiana.
PIZZO CALABRO, ROMA, BIELLA
Wu Ming 2 ci fa scoprire lentamente questo Giorgio seguendolo nei suoi percorsi «dalla Somalia a Piz-
zo Calabro/poi a Roma, e appena liberata Roma, a Biella/poi a Bolzano, e appena liberato il lager, in Val di Fiemme, e appena liberata l’Italia, morire». La vita di Giorgio continua però anche dopo la morte.WuMing2losaeloscrivein questo suo libro poco etichettabile.
Il merito è soprattutto di Isabella Marincola, la sorella di Giorgio, morta pochi mesi fa all’ombra delle due torri bolognesi. Anche lei era nata in Somalia, nel 1925, anno III dell’era fascista. Attraverso la figura di Isabella Wu Ming 2 ricostruisce le difficoltà che i figli di una coppia mista potevano vivere sia in colonia sia nella cosiddetta madrepatria. La vita di Isabella è
stata dura, il razzismo è stato feroce con lei. Isabella che dopo la guerra ha fatto la modella; Isabella che ha partecipato al film di De Sanctis Riso Amaro; Isabella che per la sua pelle era considerata una donna facile quando non lo era; Isabella che scappa in Somalia; Isabella che scopre che anche lì tra i neri la consideravano straniera e la chiamavano gaal infedele; Isabella che fa un figlio; Isabella che non dimentica Giorgio e fa di tutto affinché non lo dimentichi l’Italia per cui è morto. Wu Ming segue queste vicende con occhio morbido e penna incalzante. Mischia i linguaggi. È un libro mondo, dove la poesia si mischia alla prosa, dove un accurato apparato di note si contamina con la fantasia. Basta uno sparo ha tante connessioni. Ci sono i racconti del nipote di Giorgio Antar, ma c’è anche un libro imprescindibile che Wu Ming ha usato come base: Razza Partigiana di Carlo Costa e Lorenzo Teodonio (con cui l’autore si è molto consultato). Inoltre al lettore è donato anche un inserto sonoro.
RITMI E CHITARRE
Un reading con letture di Wu Ming 2 e musiche di due membri dei Massimo Volume, Stefano Pilia e Egle Sommacal, e due dei Settlefish, Paul Pieretto e Federico Oppi. Le chitarre sono raffinate, i ritmi sono dolci e aspri allo stesso tempo. Amari e struggenti. Il tutto accompagnato da testi inediti di Wu Ming 2 e documenti storici, scritti di Costa e Teodonio. Per il futuro si annuncia un romanzo di Wu Ming 2 su Giorgio, si dice forse scritto a quattro mani con il nipote Antar. Per ora c’è Basta uno sparo. Dopo la lettura le lacrime riempiono gli occhi ignari. Grazie «Giorgio Marincola, nato in Somalia. Pelle nera, cittadinanza italiana. Razza partigiana».

Corriere della Sera 9.11.10
Roma, allo stremo il Museo della Resistenza
Scongiurata la chiusura, resta in difficoltà la struttura di via Tasso, dove le SS torturavano
di R. C.


L’ allarme sembra rientrato, ma solo provvisoriamente. Il Museo storico della Liberazione di Roma, situato nel famoso edificio di via Tasso dove venivano incarcerati i prigionieri dei nazisti, non chiuderà il 2 gennaio 2011, come paventato domenica scorsa dal suo presidente Antonio Parisella. Ma la situazione resta precaria, nonostante il discreto successo della sottoscrizione popolare avviata mesi fa.
«Oggi ho ricevuto dal ministero dei Beni culturali importanti rassicurazioni — dichiara Parisella — circa i fondi che ci spettano nel 2010. Il contributo statale di 50 mila euro sarà tagliato del 15 per cento, come previsto, per cui potremo contare solo su 42.500 euro. Ma con i circa 10 mila euro raccolti dalla sottoscrizione e le quote pagate dalle scuole che mandano gli alunni in visita, possiamo andare avanti».
La denuncia di due giorni fa derivava dal fatto che finora, a novembre inoltrato, il Museo di via Tasso ha ricevuto soltanto 15.500 euro: con una cifra del genere si andrebbe verso il commissariamento e la sospensione di ogni attività. Per questo la notizia ha suscitato diverse reazioni a livello politico, in quanto la struttura rappresenta un pezzo fondamentale di storia della Resistenza. Qui spadroneggiava l’ufficiale delle SS Herbert Kappler, principale responsabile della feroce rappresaglia delle Fosse Ardeatine. Qui furono rinchiusi e torturati un gran numero di resistenti e di ebrei, che lasciarono i loro graffiti sulle pareti delle celle. Tra loro, anche il futuro ministro e presidente della Corte costituzionale Giuliano Vassalli, la cui firma è tuttora visibile su un muro.
Il sindaco di Roma Gianni Alemanno (Pdl) ha dichiarato che si tratta di «un patrimonio da preservare ad ogni costo», chiedendo un emendamento parlamentare al decreto cosiddetto «milleproroghe» e preannunciando un suo prossimo incontro con Parisella. I consiglieri comunali del Partito Democratico hanno presentato una mozione in Campidoglio. Il presidente della Provincia Nicola Zingaretti (Pd) si è messo «a disposizione per mantenere in vita il Museo». La presidente del Lazio Renata Polverini (Pdl) ha fatto sapere che «non mancherà l’impegno da parte della Regione».
Interventi che Parisella accoglie con soddisfazione: «I finanziamenti del ministero sono incerti e tendono a diminuire, per cui solo il sostengo degli enti locali ci può consentire un minimo di respiro. Sono ormai alcuni anni che possiamo provvedere solo all’ordinaria amministrazione: nel 2000 il contributo era di 100 milioni all’anno, ora tra inflazione e tagli siamo veramente con l’acqua alla gola».
Eppure l’interesse verso il Museo aumenta, le prenotazioni crescono: «In un decennio — nota Parisella — i visitatori sono raddoppiati, fino a raggiungere la quota di 15 mila in un anno. Sono sempre di più gli stranieri. Purtroppo noi, nelle condizioni attuali, non possiamo realizzare investimenti e neppure lavori di restauro».





Repubblica 9.11.10
I bambini puniti
Un disegno di legge delega sui diritti dei figli naturali e i legittimi
di Chiara Saraceno


Atteggiamenti ideologici sulla famiglia fanno brutti scherzi e ci vanno di mezzo i bambini. Qualche giorno fa il governo ha annunciato con grande dispiego di enfasi la presentazione di un disegno di legge delega sui diritti dei figli naturali e i legittimi.
Con la delega l´esecutivo intende eliminare, a oltre cinquantanni dall´approvazione dell´articolo 30 della Costituzione ogni residua distinzione tra figli naturali (ovvero nati fuori dal matrimonio) e figli legittimi (ovvero nati in costanza di matrimonio). Meglio tardi che mai. Nel frattempo, in occasione della Conferenza Nazionale sulla Famiglia di questi giorni, lo stesso governo smentisce se stesso. Il Piano nazionale della Famiglia presentato in quella sede non solo smentisce di fatto l´equiparazione tra figli naturali e legittimi, ma si mette proprio contro la Costituzione e il diritto civile. Nel Piano Nazionale per la Famiglia, infatti, si legge che, mentre l´accesso ai servizi per i bambini non richiede (e chi lo avrebbe mai dubitato) «il requisito del matrimonio dei genitori… Altri interventi, invece, riguardanti l´imposizione fiscale sul reddito familiare complessivo, ossia benefici o vantaggi concessi sulla base del reddito familiare totale, a legislazione vigente, richiedono il riferimento all´esistenza di un vincolo legale nella coppia di riferimento, perché, in assenza di tale vincolo e degli obblighi reciproci di coppia che esso comporta, sarebbero possibili comportamenti di cheating o darebbero per presupposte delle assunzioni di responsabilità che, di fatto, potrebbero non avere luogo».
A fugare ogni dubbio sulla interpretazione di questo passaggio, è intervenuto Sacconi ribadendo che le politiche sociali riguardano "la famiglia naturale basata sul matrimonio e orientata alla procreazione". Niente "famiglie innaturali" non orientate alla procreazione, ma anche niente figli naturali, ma i cui genitori non siano sposati. Sorvoliamo sulla presunzione che là dove c´è matrimonio c´è automaticamente condivisione. Qui interessa rilevare che, poiché le proposte di riforma fiscale e dei trasferimenti monetari riguardano pressoché esclusivamente le famiglie con figli a carico, questa esclusione delle "famiglie naturali" è illegale e anticostituzionale. Il sottosegretario con delega alla famiglia Carlo Giovanardi e i "consulenti tecnico-scientifici" che gli hanno preparato il piano evidentemente – tutti presi dalla "difesa della vita nascente", la difesa della legge 40 sulla fecondazione assistita nonostante essa sia stata bocciata da medici e giudici in più punti, la difesa del matrimonio come unico fondamento della "famiglia naturale" - ignorano l´articolo 30 della Costituzione che equipara nei diritti (e nei doveri dei genitori) i figli naturali e legittimi. Ignorano anche gli articoli del codice civile che stabiliscono i doveri di mantenimento dei figli da parte dei genitori, a prescindere dal vincolo coniugale ed anche a prescindere dal fatto di vivere assieme o meno, dall´orientamento sessuale e dal modo in cui i figli sono stati procreati. Bisogna che il sottosegretario, i suoi consulenti e il ministro del lavoro si rassegnino: nella Costituzione e nella legge vigente non è solo il matrimonio a dare luogo ad una famiglia e a obbligazioni famigliari. Anche la filiazione, a prescindere dal matrimonio, dà luogo a una famiglia e ai connessi diritti e doveri.

Repubblica
il leader di Sinistra e Libertà legge  le classificazioni dell´omosessualità nella vita pubblica: «crimine», «disordine», «pulsione di morte», «sporcizia», «peccato».

Repubblica 9.11.10
Nuovi insediamenti a Gerusalemme "Così Israele distrugge i negoziati"
Sì a 1.300 alloggi mentre Netanyahu è negli Usa. Protestano i palestinesi
L´irritazione del dipartimento di Stato americano: "Profondamente delusi"
di Fabio Scuto


GERUSALEMME - Con un tempismo destinato a mettere ancora più in chiaro qual è lo stato delle relazioni fra Stati Uniti e Israele, ieri la commissione per l´edilizia del ministero dell´Interno ha pubblicato il bando per la costruzione di mille e trecento nuove abitazioni a Gerusalemme Est, contravvenendo alla esplicita richiesta di Washington di congelare i nuovi insediamenti per favorire il riavvio dei negoziati di pace con l´Anp. L´annuncio è venuto proprio mentre il premier israeliano Benjamin Netanyahu è in visita in America ed è subito stato bollato come «molto deludente» dal dipartimento di Stato Usa. Immediata anche la reazione dei palestinesi, che, per bocca del negoziatore Saeb Erekat, hanno accusato Netanyahu di voler «distruggere» i colloqui.
La politica coloniale israeliana rappresenta, al momento, la principale ragione dello stop forzato ai negoziati di pace tra israeliani e palestinesi che non riprenderanno la trattativa se prima non ci sarà il blocco delle nuove costruzioni. E lo stallo del negoziato - dopo tante energie spese - è frustrante per l´Amministrazione Obama. Il programma approvato ieri dal comitato per l´edilizia della municipalità di Gerusalemme prevede la costruzione di 978 appartamenti a Har Homa e di altre 320 unità a Ramot, quartiere ebraico sempre nel settore est della città.
Nei primi mesi dell´anno la pubblicazione di un altro piano per la costruzione di 1.600 alloggi a Gerusalemme est, avvenne durante una visita del vice presidente Usa Joe Biden che aveva l´intento di ricucire i tesi rapporti tra Israele e Stati Uniti per il rifiuto israeliano di attuare una moratoria degli insediamenti. Il fatto fu giudicato uno sgarbo diplomatico e causò una seria crisi nelle relazioni tra i due paesi. Anche questa volta la pubblicazione del piano ha di fatto coinciso con l´incontro che Netanyahu ha avuto domenica sera con Biden a New Orleans. Incontro nel quale il premier è tornato a incalzare l´Amministrazione Usa per una posizione più dura contro l´Iran e il suo programma nucleare. Per Netanyahu «l´unico modo per assicurarsi che l´Iran non ottenga armi nucleari è una credibile minaccia militare», affermazione sulla quale Biden ha glissato limitandosi a sottolineare che le attuali sanzioni contro Teheran hanno un «impatto misurabile», diversamente da un´azione militare che potrebbe avere esiti devastanti in tutto il Medio Oriente.

Repubblica 9.11.10
La Cina sotto la lente del regime il censimento che allarma Pechino
In 10 giorni oltre 6 milioni e mezzo di addetti hanno contato un quinto della popolazione mondiale Il governo teme di scoprire un Paese sconosciuto, dove molti nascondono figli e proprietà
di Giampaolo Visetti


Dopo dieci anni la Cina, in dieci giorni, si conta. È la fotografia sociale più impressionate della storia e il potere, quando in aprile i dati saranno pubblicati, teme di scoprire un Paese irriconoscibile e ignoto. Teme però in particolare, per la prima volta, che i cinesi rifiutino di rivelare chi sono allo Stato-partito. Per questo il sesto censimento della repubblica popolare, che si chiude domani, corrisponde anche alla più vasta mobilitazione umana in un tempo di pace. Dal primo novembre 6,5 milioni di addetti, il triplo dell´esercito di liberazione, battono metropoli e villaggi abitati da 53 gruppi etnici in 31 regioni. Per evitare che il censimento si trasformi in un pericoloso fallimento politico, Pechino ha stanziato 105 milioni di dollari e la popolazione è tempestata di sms, e-mail, e spot che invitano alla collaborazione.
Le prove generali, tra agosto e settembre, hanno destato allarme. Meno del 30% dei cinesi ha accettato di compilare i moduli e oltre la metà si è rifiutata di aprire la porta di casa ai funzionari. I toni delle autorità, nelle ultime ore, sono stati minacciosi: sottrarsi al censimento sarà considerato un reato e impedire l´accesso della propria abitazione agli addetti farà scattare l´uso della forza. Il censimento cinese, che avrà un margine d´errore del 2%, è decisivo per tutto il mondo. Conoscere il profilo contemporaneo di un quinto della popolazione della terra determinerà la direzione dei piani economici e politici globali dei prossimi dieci anni. Nel 1953, quando Mao indisse il primo censimento dell´era moderna, i cinesi erano 594 milioni. Nel 2000 erano saliti a 1,29 miliardi e oggi dovrebbero essere circa 1,34 miliardi, con 420 milioni di famiglie. La crescita demografica, grazie alla legge del figlio unico del 1979, è ufficialmente crollata allo 0,48% annuo: il tasso di natalità è dell´1,2%, quello di mortalità dello 0,69%. Se la tendenza non sarà invertita, nel 2020 oltre un quinto dei cinesi avrà più di 65 anni: sanità, assistenza e pensioni diventeranno problemi esplosivi. Più della quantità è però la qualità della popolazione ad essere cambiata. In dieci anni è nata un´altra Cina, misteriosa anche per il potere che la domina. Per questo il censimento, per la prima volta, non si limita a identificare e contare gli abitanti. Tre generi di questionario pongono otto, diciotto, o quaranticinque domande a livelli sociali diversi, stranieri compresi. E´ la ricerca più approfondita mai condotta sul pianeta. Il governo punta a sapere dove realmente vive la gente, qual è l´effettivo tenore di vita, quale la composizione esatta di nuclei famigliari ed etnie.
L´urbanizzazione sta muovendo tra i 215 e 300 milioni di migranti, ma nessuno sa dove questa massa risieda. Intere regioni si svuotano, le megalopoli scoppiano. Oltre a schedare migranti interni e stranieri, le autorità vogliono avere il quadro, delicatissimo, di nascite e patrimoni. Con il tempo, e con il benessere, il contenimento forzato è sfuggito di mano.
Milioni di cinesi dichiarano di avere un solo figlio, consegnando alla clandestinità il resto della prole. Selezione sessuale e aborti forzati innescano una drammatica carenza di femmine. Licenza di proprietà privata e boom economico allargano poi il divario sociale. La Cina resta uno dei Paesi del mondo con il reddito medio più basso, ma è seconda per numero di miliardari e prima per milionari. L´odio dei poveri verso i ricchi, accentuato dalla corruzione dei dirigenti comunisti, è l´incubo del regime.
Tale volto inedito della nazione, fino ad oggi relegato in una zona grigia, è la ragione che rischia di far saltare il censimento, nucleo della stabilità. Chi si è arricchito, ha sviluppato il concetto di privacy, non si sente più «proprietà dell´imperatore» ed è deciso a sottrarsi ad ogni tentativo di controllo.
Milioni di cinesi in queste ore sfidano il potere e non consentono agli addetti di entrare a curiosare nelle loro case, o disertano gli uffici che mettono i moduli a disposizione. I poveri, per non perdere alloggi clandestini e lavori in nero, si rendono irreperibili. Gli altri nascondono figli, animali, elettrodomestici, auto, soldi, beni di lusso e proprietà immobiliari.
La seconda potenza del mondo scopre che capire cos´è diventata con la crescita è sempre più difficile. Ma ad allarmare Pechino è il test dell´obbedienza. Fallire il censimento, per la prima volta, sarebbe uno scricchiolio-shock: l´annuncio di una rivoluzione senza più rivoluzionari, sessant´anni dopo Mao.

Repubblica 9.11.10
Ma l'Italia non è un paese per giovani
di Massimo Giannini


Esce "La generazione tradita" di Pier Luigi Celli. Riprende le riflessioni della lettera di un anno fa a "Repubblica", intitolata "Figlio mio lascia questo paese"
Tre su dieci sono senza lavoro E per gli altri vige la religione del precariato
Partiti e sindacati non li rappresentano Le imprese predicano bene ma razzolano malissimo

«Forever young», cantavano Bob Dylan nel ‘74 e gli Alphaville nell´84, in quello che suonava come un inno romantico alle sfide in campo aperto, alla voglia di cambiare il mondo, alla capacità di sognare e di costruire il futuro. «Non è un paese per giovani», cantiamo noi oggi, in questa Italia costretta a rideclinare così il titolo del magnifico romanzo di Cormac McCarthy. E abituata a ingabbiare i giovani dentro uno schema collaudato ma corrivo. Da una parte i «bamboccioni», inchiodati a casa con mamma e papà per non assumersi una responsabilità. Dall´altra parte gli «invisibili», condannati a marcire nel precariato a vita per non morire di fame. Nella terra di mezzo, tutti gli altri. Pochi «fortunati», figli di potenti che scalano per diritto acquisito la piramide sociale. Tanti «sfigati», figli di nessuno che non hanno altra via che scappare all´estero, a cercare altrove la fortuna che gli è negata qui.
Lo schema è rozzo, e difficile da rompere. Se non al prezzo di destare un po´ di scandalo. Pier Luigi Celli ci ha provato giusto un anno fa. Era la fine di novembre, e su questo giornale pubblicava una «lettera aperta a suo figlio» nella quale, dopo aver descritto lo sfascio etico e politico, morale e sociale di questo sciagurato Paese, lo invitava con la morte nel cuore a fare i bagagli, e ad andarsene dall´Italia. Perché «dammi retta - scriveva l´ex direttore generale della Rai, ora direttore generale della Luiss - questo è un Paese che non ti merita». Non l´avesse mai scritto. Si scatenò un putiferio. Anche qui, secondo uno schema ancora una volta collaudato ma corrivo. Da una parte i «critici del partito preso» (fondamentalmente, il Pdl): «vergognati a suggerire la fuga», l´Italia è il migliore dei mondi possibili, è la terra delle grandi opportunità. Dall´altra parte gli «a-critici della causa persa»: ma di che parla Celli, proprio lui che è stato sempre nella stanza dei bottoni e che in fondo appartiene pur sempre a una «casta»? Nella terra di mezzo, quasi nessuno che si sia sforzato di cogliere il nodo vero della questione, sia pure travestita da provocazione: che ne sarà dei nostri giovani, che finiti gli studi si affacciano ai bordi della vita adulta senza soldi, senza risorse e senza speranze, ma non sono affatto gli uomini più felici del mondo, come scriveva l´Henry Miller di Tropico del cancro?
Forse ancora scottato da quell´azzardo, Celli torna sul luogo del delitto con un bel libro, che nel titolo dice già molto, se non tutto. La generazione tradita (Mondadori, pagg. 144, euro 17) è prima di tutto la storia di un fallimento, generale e (pro-quota) anche personale. Il fallimento di un establishment politico e cattedratico, economico e tecnocratico (al quale anche Celli dichiara onestamente di appartenere, senza cercare alibi o scuse) che non è riuscito a costruire un sistema nel quale, secondo il titolo felice di un altro buon libro scritto qualche anno fa da Nicola Rossi, si dà «meno ai padri, più ai figli». E che ha invece assemblato, e alla fine consolidato, una struttura sociale che vede i padri contro i figli, «gli adulti contro i giovani». Non è una novità. La denunciano tutti, e non da oggi, le istituzioni più prestigiose, le classi dirigenti più autorevoli. Dalla Banca d´Italia alla Confindustria, dall´Istat al Censis.
Ma leggere i numeri che Celli rimette in fila fa sempre impressione. Oggi circa un terzo della popolazione giovanile compresa tra i 15 e i 29 anni è senza lavoro, con un aumento del 4,9% sul 2009. Nel 2009 le assunzioni a tempo indeterminato sono calate del 30%, mentre le poche assunzioni fatte sono quasi tutte regolate da contratti temporanei: stage, tirocini, inserimenti a progetto, finte partite Iva. È il disperato «culto» moderno di San Precario: esige che un lavoro qualsiasi, malpagato e senza uno straccio di garanzia, sia comunque meglio di nessun lavoro. La beffa, oltre al danno, è che neanche questa nuova «religione» del mercato giuslavoristica salva l´anima dei suoi «cultori» involontari: il 90% dei posti bruciati da questa crisi è infatti lavoro a tempo determinato. Risultato: il 60% dei 2 milioni e mezzo di disoccupati italiani ha oggi meno di 34 anni.
Eccola, la «generazione tradita». Gli abbiamo «intossicato il futuro», come dice Zygmunt Bauman. E quello che è peggio, denuncia Celli, dopo avergli rubato la speranza gli abbiamo anche tolto la voce. Questo «popolo», oggi, è forse l´unico a non avere una rappresentanza. Né sociale, né tanto meno politica. Il sindacato pensa ai già garantiti e ai pensionati, lo zoccolo duro della sua costituency. Le imprese predicano bene ma razzolano malissimo, perché hanno perso «l´anima» e al dunque preferiscono dissestare i loro criteri di approvvigionamento delle risorse, rendendo opachi i modelli di impiego e di remunerazione adottati, e riducendo l´analisi delle condotte umane secondo «i meccanismi di adesione formale» a un modello di business o «di devianza».
Resta il Palazzo. Cioè la politica. Della «generazione tradita» si occupa o con le consuete, agghiaccianti generalizzazioni, disquisendo a sproposito di ragazzi neo-diplomati e neo-lauerati di cui non conosce nulla, perso com´è nell´«usura del linguaggio» imposta dalla modernità. Oppure non si occupa affatto, preferendo il silenzio assordante tipico delle nomenklature che «non si sporcano le mani». I giovani sono tutt´al più materia da «speculazione» propagandistica, meglio se nel rituale convegno di studio o nella ricorrente campagna elettorale. In questi casi il mantra, che accomuna falsi liberali e finti riformisti, è sempre il solito: «meritocrazia»! «La logica del merito - scrive Celli - gode di un consenso persino imbarazzante, talmente generalizzato da divenire una sorta di giaculatoria stucchevole. Ne parlano i politici, che si guardano bene dall´applicarlo nella scelta di collaboratori e di futuri colleghi. Ne fa uso abbondante la logica parlata della pratica manageriale, salvo poi convenire che è forse più utile selezionare sulla base delle fedeltà esibite di quanto non serva puntare su competenza e affidabilità».
Ma questo è tutto. Non si va oltre, a creare le reali condizioni di parità di partenza per i giovani che cercano di salire sull´ascensore sociale. La morale di Celli non è disperante. Ci sarebbe un enorme lavoro, e un´enorme opportunità, per chi volesse affrontare il problema con umiltà e con coraggio. Ma al dunque, alla fine di queste 134 pagine belle ed intense, resta la sensazione frustrante di una battaglia purtroppo già persa, insieme alla generazione che, per una accanita crudeltà del destino, non ha potuto neanche combatterla. Per i giovani vale la mesta «disperanza» raccontata in un vecchio romanzo di José Donoso. Per gli adulti vale l´amara sentenza pronunciata a suo tempo da Cioran: «Perché ritirarsi e abbandonare la partita, quando restano ancora tante persone da deludere?». Celli non lo dice, ma lo diciamo noi: se ci fosse una sinistra, più audace dei conservatori e meno qualunquista dei rottamatori, forse saprebbe come rispondere.

Corriere della Sera 9.11.10
WoldeGabriel: l’emozione di cambiare la storia
Etiopia, il nostro più antico antenato di 4,2 milioni di anni fa
La scoperta di Ardi è partita da un dito
di Giday WoldeGabriel,  Traduzione di Maria Sepa


Giday WoldeGabriel, geologo del Los Alamos National Laboratory americano, ha scoperto con Tim White (Università di California) i resti fossili di Ardi nella depressione di Afar in Etiopia, il nostro più antico antenato di 4,2 milioni di anni fa. WoldeGabriel è stato ospite di BergamoScienza e della Fondazione Corriere della Sera. Ora racconta per i lettori del Corriere come ha vissuto la scoperta che ha segnato la sua carriera di studioso e la storia della scienza.
La caccia ai nostri remoti antenati è una magnifica avventura. Dal 1981 a oggi, il progetto «Medio Awash» ha consentito la scoperta di una quantità enorme di fossili di ominide superiore a qualsiasi altro progetto del passato. Nei 18 anni in cui sono stato alla guida come responsabile geologo è emerso anche il ritrovamento più importante, quello di Ardi, la nostra più lontana antenata.
La ricerca è sempre ardua. Ecco come lavoriamo. Quando si arriva sul luogo da indagare c’è sempre un grande entusiasmo e tutti sognano di conquistare un ritrovamento straordinario capace di segnare la storia della scienza. Ogni volta che un frammento o un dente fossile di ominide viene alla luce, gli scienziati lo esaminano con cura e valutano rapidamente se sia o meno autentico. Se il reperto appartiene a un ominide, lo scopritore è fotografato sul luogo del ritrovamento, che è contrassegnato con una bandierina. Il resto del personale assiste all’ evento e nell’aria si percepisce l’ansia di chi vorrebbe essere il prossimo a poter fare una scoperta significativa. Dopo una breve pausa si torna disciplinatamente al lavoro e la zona del rinvenimento viene setacciata effettuando ulteriori scavi per assicurarsi che tutti i frammenti presenti e utili siano raccolti. Non ci sono, comunque, particolari festeggiamenti per i resti umani che emergono dal suolo.
Il primo reperto che nel 1994 ha portato alla ricostruzione dello scheletro di Ardi è stato il minuscolo osso di un dito. Nessuno, allora, sapeva o si aspettava di trovare una parte cospicua dello scheletro, come poi è invece avvenuto. Ci sono voluti quasi tre anni per recuperare tutte le ossa. E in questo periodo c’era, naturalmente, molta soddisfazione ma nessuno aveva l’esatta idea dell’importanza del ritrovamento fin quando non si completarono gli esami sul campo e quelli ancora più lunghi in laboratorio.
Tutti i risultati ottenuti negli ultimi 30 anni, riguardanti ominidi e altri fossili, hanno convinto i ricercatori della validità del progetto «Medio Awash» e della necessità di proseguirlo.
La certificazione delle nostre scoperte è quindi avvenuta con la pubblicazione dei risultati su importanti riviste scientifiche, come Science e Nature, e con la loro successiva diffusione sui media internazionali. Come conseguenza ci troviamo poi impegnati in conferenze intorno al mondo, come quelle che ho tenuto a Bergamo e a Milano.
Spero che queste note diano un’idea di quel che accade quando un ominide appare davanti ai nostri occhi durante uno scavo. E Ardi è stato il più importante. Fino ad ora, lo stadio più antico dell’evoluzione umana che conoscevamo era l’ Aus t r a l o p i t h e c u s , «l’uomo-scimmia» dal cervello piccolo, ma pienamente bipede. L’Australopithecus è noto grazie al ritrovamento di diverse specie che vissero tra quattro milioni e un milione di anni fa.
Il fossile più famoso di questo tipo era lo scheletro parziale di una donna di Australopi
thecus afarensis, soprannominata «Lucy» vissuta 3,2 milioni di anni fa, e scoperto nel 1974. Il nuovo scheletro di Ardipithecus ramidus individuato vent’anni dopo e i reperti a lui associati sono più antichi e più primitivi dell’Australopithecus di un milione di anni. La somiglianza genetica tra umani e scimpanzé aveva portato a credere che se si fossero trovati degli ominidi più antichi di Lucy questi avrebbero avuto un’anatomia molto più vicina a quella dello scimpanzé. I fossili di Ardipithecus ramidus, cioè Ardi, fanno pensare che non sia proprio così. E ciò apre un territorio di studi che riserverà sorprese importanti.