lunedì 29 novembre 2010

l’Unità 29.11.10
Favoreggiamento Nei guai il medico salito sulla torre per l’immigrato


Saranno denunciati per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina «il medico curante e persone esterne» all'ospedale San Paolo di Milano, da dove è stato dimesso ieri l'immigrato che sabato pomeriggio è sceso dalla torre della ex «Carlo Erba» di via Imbonati a causa delle sue gravi condizioni di salute. Lo rende noto la Questura di Milano, la quale aggiunge che l'immigrato è stato dimesso nella prima mattinata da parte di personale medico di quell'ospedale. Nel comunicato non è spiegato quali sia il medico che sarà denunciato: se quello appartenente a Emergency che l'ha curato sulla torre oppure un medico che l'abbia curato in seguito. «In merito ai fatti sono in corso indagini da parte della Questura di Milano spiega la Questura per accertare la correttezza delle procedure adottate, essendo emersi da parte del medico curante e di altre persone estranee alla struttura sanitaria comportamenti che configurano l'ipotesi di reato di favoreggiamento all'immigrazione clandestina». «I fatti costituenti reato spiega la Questura saranno oggetto di denuncia all'autorità giudiziaria». Emergency ha fornito due medici per il soccorso a uno degli immigrati sulla torre in via Imbonati. Uno dei due è stato portato dai Vigili del fuoco fino a 45 metri d'altezza, dove si trova la balconata ad anello sulla quale si erano accampati i tre immigrati. L'altro a terra coordinava i soccorsi con la Questura e i Vigili del Fuoco. Il giovane egiziano ha cominciato a sentirsi male l’altra mattina, quando ha manifestato difficoltà a svegliarsi e a muoversi. Nel pomeriggio è peggiorato e questo ha convinto gli altri due suoi compagni a chiedere aiuto.

Repubblica 29.11.10
Aveva soccorso uno degli immigrati in protesta sulla torre di una fabbrica. Nel mirino le procedure di dimissione
Milano, medico cura un clandestino rischia l´accusa di favoreggiamento
di Tiziana De Giorgio e Massimo Pisa


MILANO - Lo avevano lasciato su un letto dell´ospedale San Paolo, viola di freddo e con dolori al petto, con in tasca un invito a comparire in questura a metà settimana e il tacito accordo che non lo avrebbero piantonato, ma solo «vigilato». Ieri mattina, quando gli agenti della digos sono andati in ospedale a verificare le sue condizioni, hanno trovato la sorpresa. Mahmoud, l´immigrato egiziano 23enne sceso da una ciminiera di via Imbonati dopo 23 giorni di protesta per ottenere il permesso di soggiorno, non c´era più. Dimesso alle 7.42 dal dottor Andrea Crosignani, lo stesso che lo aveva convinto a venire giù dalla torre, abbandonando gli altri due compagni di lotta perché il freddo e la fame avevano presentato il conto. Ricoverato in codice giallo, con l´assicurazione verbale alla polizia che il ragazzo sarebbe rimasto in corsia per tutto il giorno, Mahmoud si è invece volatilizzato. E la questura non l´ha presa bene, annunciando provvedimenti attraverso un inusuale comunicato: «Sono in corso indagini per accertare la correttezza delle procedure adottate, essendo emersi da parte del medico curante e di altre persone estranee alla struttura sanitaria comportamenti che configurano l´ipotesi di reato di favoreggiamento all´immigrazione clandestina».
Nel mirino non ci sono tanto Crosignani («Ho semplicemente fatto il mio lavoro», spiega) e nemmeno la direzione sanitaria del San Paolo, che ha ribadito nel pomeriggio in una nota («Non c´erano motivi per trattenerlo») la correttezza delle procedure, quanto «altre persone - aggiungono da via Fatebenefratelli - non appartenenti alla struttura sanitaria, che avrebbero aiutato lo straniero a lasciare l´ospedale, al momento della sua dimissione, eludendo anche la sorveglianza degli organi di polizia». La vivono come una beffa in questura, dov´erano ancora in corso accertamenti sull´identità di Mahmoud, sui suoi eventuali precedenti, alias e istanza di permesso, essendo il ragazzo privo di passaporto al momento del ricovero. «Denuncia sconcertante, violenza senza precedenti», lamenta il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli, che annuncia esposto in procura e alla Corte Europea: «Evidentemente l´immigrato curato non era il nipote di Mubarak». Sulla torre, in via Imbonati, restano un argentino e un marocchino a protestare.

Repubblica 29.11.10
La giornata dei malati in coma nell’anniversario di Eluana Marino e i radicali: provocazione


ROMA - Polemiche sulla decisione del Consiglio dei ministri d´istituire il 9 febbraio la «giornata degli stati vegetativi», per celebrare tutti i malati terminali e i loro familiari. «Giusta la giornata, sbagliata la data perché è quella della morte di Eluana Englaro», dice il direttore di Bioetica della Cattolica, Adriano Pessina. Il senatore Pd Ignazio Marino, per motivi diversi, parla invece «d´inutile provocazione». Contro la scelta della data anche Maria Antonietta Farina Coscioni secondo la quale «aver indicato questa data è una vergogna». La sottosegretaria alla Salute, Eugenia Roccella, difende invece il governo: «Con questa giornata il ricordo di Eluana non sarà più una memoria che divide».

l’Unità 29.11.10
Ma il racconto laico non è «contro»
di Francesco Piccolo


T utti hanno detto agli autori di Vieni via con me (di cui faccio parte), con molta facilità: cosa vi costa dare voce a un punto di vista in più esibendo con questa affermazione una presunta e più ampia laicità. La questione però è mal posta, ed è mal posta in modo tendenzioso. La questione non è quella di ospitare un punto di vista in più; ma che, facendolo, accetteremmo la tesi che abbiamo parlato contro qualcuno. La domanda quindi dovrebbe essere non: perché non date la parola a un punto di vista in più? Ma: avete parlato contro qualcuno?
Quello che i movimenti pro-vita, e molti cattolici poco generosi non capiscono, è che non abbiamo parlato contro nessuno per un motivo semplice: noi siamo totalmente d’accordo con le loro te-
si. Abbiamo già accettato le loro ragioni, a priori. Sono loro a non ammettere le ragioni degli altri. Un laico vero ritiene che bisogna accettare tutt’e due le possibilità di scelta davanti a una tragedia umana così incomprensibile per chi la vive, figuriamoci per chi non la vive. Un cattolico invece ritiene che ci sia solo una possibilità, e l'altra è sacrilega. In uno stato laico, però, dovrebbe prevalere il pensiero laico che, ripeto, comprende quello cattolico. Se prevale il pensiero cattolico che non comprende quello laico c’è qualcosa che non va. E questo va raccontato. E a questo racconto non si può affiancare un altro che si definisce opposto, perché nel racconto laico sono già compresi tutti e due i punti di vista; quindi un raccon-
to opposto non c’è.

Repubblica 29.11.10
Gelmini: sì a riforma entro l´anno atenei in fermento, domani il corteo
Settimana decisiva, studenti sui tetti in 19 città
di Corrado Zunino


Il decreto arriva alla Camera, potrebbe approdare al Senato il 9 dicembre. Il ministro: sarà la fine della cultura egualitaria del ‘68

ROMA - Rinfrancata dalle parole di Gianfranco Fini, che ha assicurato il voto favorevole alla riforma dell´università, domani mattina alla Camera, dei 36 deputati di Futuro e Libertà, il ministro dell´Istruzione Mariastella Gelmini ritrova il coraggio e assicura: «Prima della metà di dicembre la riforma sarà legge». La Gelmini, convinta dell´approvazione alla Camera già domani sera, chiederà infatti di mettere il decreto legge in calendario al Senato il 9 dicembre, certa di un passaggio definitivo rapido. «È una riforma epocale sul piano culturale: spazza via la cultura egualitaria del ‘68», dice il ministro. «I ragazzi li hanno convinti che il governo gli ruba il futuro, ma illuderli che mettendo più soldi si risolve tutto è demagogia». Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, si mostra critico sulla politica dei tagli: «La riforma può essere discussa e migliorata. I tagli devono essere annullati. Sono stati commessi alcuni errori: ci volevano più risorse per dare il segno dell´intenzione di investire sull´università».
In un video rintracciabile sul sito della rete dei ricercatori 29 Aprile, che giovedì hanno filmato la salita sui tetti romani di Architettura di quattro deputati finiani, si ascoltano Fabio Granata e Benedetto Della Vedova dire: «Abbiamo detto sì alla riforma perché ci sono state forti pressioni del capo dello Stato». E poi, visto che «intendiamo votare la sfiducia a Berlusconi, vogliamo arrivare al 14 dicembre compatti». Fughe in avanti - come il "no" al decreto Gelmini -potrebbero mettere a rischio il gruppo parlamentare.
La protesta degli studenti, però, non si ferma. Fin qui sono state coinvolte 38 città, mentre 51 facoltà e rettorati sono occupati e in 19 università studenti e ricercatori sono sui tetti. Oggi in tutta Italia sono previste assemblee per preparare il presidio a Montecitorio di domani mattina e nuove iniziative. Sulle terrazze di Architettura, ormai luogo simbolo della rivolta giovanile, sono attesi il musicista Nicola Piovani e l´attore Ascanio Celestini. E i superstiti di Architettura - due piccole tende americane in queste notti li hanno difesi dalla pioggia - hanno ottenuto che il Manifesto trasferisse in Fontanella Borghese la riunione di redazione. All´Aquila sit-in in piazza Duomo, zona agibile nel cuore del centro storico devastato. E da piazza della Costituzione a Cagliari, oggi pomeriggio, partirà una fiaccolata. Dopo la contestata partecipazione a "L´ultima parola" di Gianluigi Paragone, questa sera i ricercatori di Architettura si collegheranno dal tetto di Architettura con l´"Infedele" di Gad Lerner (La7) e la ricercatrice Francesca Coin sarà ospite dell´ultima puntata di "Vieni via con me" di Fabio Fazio e Roberto Saviano (RaiTre).
Al ministero, in viale Trastevere a Roma, è previsto l´arrivo di quattro pullman: scaricheranno centinaia di bambini del VII circolo Montessori di Roma. Con loro un asino alto quattro metri costruito con bottiglie di plastica: "Taglia e ritaglia alla fine l´alunno raglia".

Repubblica 29.11.10
La ricercatrice Francesca Coin questa sera a "Vieni via con me"
"No, non torno negli Usa è il momento di lottare"


ROMA - Con una lettera a "Repubblica" Francesca Coin, 34 anni, illustrò lo shock del rientro in un´università italiana dopo otto anni di vita accademica in America: «Negli Usa era venuto a prendermi all´aeroporto il capo dipartimento dell´ateneo, come ricercatrice guadagnavo il triplo, essere giovani là è una risorsa non un problema». Ora è sui tetti di Architettura, a Roma, e questa sera leggerà nello studio di Fazio e Saviano un elenco di cose per lei necessarie all´università italiana.
Sono passati 45 giorni da quella lettera, che è successo nel frattempo?
«Il ministro Gelmini non mi ha mai risposto e io, da ricercatrice, ho dichiarato l´indisponibilità a insegnare alla Ca´ Foscari. E con l´avvicinarsi del voto parlamentare è cresciuta la necessità di bloccare una riforma sbagliata».
Perché sbagliata?
«Per tre motivi, fra i tanti. Non trova un posto per i ricercatori precari, saranno precari per sempre. L´autonomia di pensiero che da secoli nutre le università viene compromessa dall´arrivo di un cda con poteri vincolanti. E poi hanno tagliato del 90% le borse di studio: il diritto a studiare sarà solo dei ricchi».
Nonostante l´Italia bloccata, è probabile che la riforma passi.
«Lo temiamo. C´è stato uno scambio: la sfiducia al governo ha prevalso sull´università».
Che fa, torna in America?
«Là sarei comunque straniera. In Italia posso dare tutto quello che ho imparato negli Usa per un fine più grande. Oggi nel mio paese c´è l´humus per creare qualcosa di nuovo».
(c.z.)

Corriere della Sera 29.11.10
Su Latorre il gelo di Bersani Vendola incassa l’apertura
Il leader: solo un contributo personale. Veltroni: partito-babele
di Maria Teresa Meli


ROMA — Brutto risveglio domenicale per il segretario del Partito Democratico Pier Luigi Bersani. Sul Corriere della Sera il vice capogruppo del Senato Nicola Latorre propone di rifondare il Pd, invita Nichi Vendola a partecipare a questa nuova avventura politica e propone a Matteo Renzi e a Nicola Zingaretti di correre per la leadership del nuovo partito.

L’intervista fa arrabbiare il leader, che in questo periodo si sente minacciato non solo dalla minoranza interna. Non è sfuggito a nessuno il fatto che ultimamente alcuni autorevoli dirigenti del Pd abbiano assunto posizioni non perfettamente collimanti con quelle del leader. Il suo vice Enrico Letta non nasconde di non vedere di buon occhio la rincorsa a sinistra di Bersani, che sembra essersi gettato all’inseguimento di Vendola. Massimo D’Alema è apparso alquanto freddo nei confronti del segretario che scala i tetti per manifestare insieme agli studenti. Filippo Penati ha preferito dimettersi e allontanarsi dal suo staff. Marco Follini si sta addirittura avvicinando a Walter Veltroni. E Sergio Chiamparino non nasconde più la sua insofferenza verso l’attuale gestione del Pd: «È paradossale che non sia il primo partito dell’opposizione a chiedere di andare alle urne, in una situazione di ingovernabilità del Paese. Questa situazione è dovuta alla mancanza di una leadership forte e credibile: utilizziamo tutte le risorse che abbiamo per identificare un vero leader». Gli unici che in questa fase sembrano condividere in tutto e per tutto le posizioni di Bersani sono Rosy Bindi e Dario Franceschini.
La sortita del vice capogruppo del Pd a palazzo Madama non ha quindi fatto piacere al numero uno del partito. Che ha chiesto al fedele Maurizio Migliavacca, coordinatore della sua segreteria, di diramare una nota in cui cerca di limitare la portata delle affermazioni del braccio destro di D’Alema: «Il Pd è un partito aperto in cui ciascuno porta liberamente il proprio contributo personale. È in questo contesto che va inquadrata anche la proposta odierna del senatore Latorre». Tace, per ora, Vendola. Nel senso che non rilascia dichiarazioni ufficiali. Ma il governatore della Puglia ha deciso di incassare la «parte positiva» dell’intervista di Latorre: «E’ un’apertura». Walter Veltroni, ieri, con gli amici con cui ha parlato è stato invece abbastanza critico: «E’ la prova della Babele che c’è nella maggioranza del Pd». Prende le distanze anche Enrico Letta, che ha il dente avvelenato contro Vendola: «Quella di Latorre è una forzatura». E poi: «Il presidente della regione Puglia deve comunque capire che senza il Partito Democratico non va da nessuna parte».
Ma al di là dei commenti, c’è un punto su cui ieri si interrogavano il segretario e i suoi uomini. Per quale ragione Latorre e D’Alema abbiano deciso di uscire nello stesso giorno con due interviste diverse. Sì, perché se Latorre apre a Vendola, il presidente del Copasir, invece, gli sbatte la porta in faccia — o poco ci manca — e propone una Santa Alleanza con l’Udc e Futuro e libertà. Il fatto è che dietro le ricette politiche diverse c’è una preoccupazione comune, una preoccupazione che unisce la maggior parte dei dirigenti del Pd. Cioè che alla fine Bersani voglia andare veramente al duello con Vendola alle primarie, con tutto il rischio che questo comporta. Già, perché anche se il segretario riuscisse a sconfiggere il presidente della regione Puglia, la sua sarebbe comunque una vittoria di misura, il che condizionerebbe inevitabilmente la linea del Pd.
Per questa ragione Latorre tenta di trovare un accordo con Vendola. Mentre D’Alema spera ancora che alla fine Pier Ferdinando Casini accetti di guidare una coalizione di centrosinistra, con buona pace delle primarie e dei suoi sostenitori. L’intento è lo stesso: neutralizzare la forza di Vendola che per il Pd può essere dirompente. Per questo motivo alcuni ambasciatori delle diverse aree in cui ormai è diviso il Partito Democratico hanno provato a capire se personaggi nuovi per quel che riguarda la ribalta della politica nazionale siano disposti a scendere in campo. Matteo Renzi e Nicola Zingaretti, tanto per fare dei nomi, non si sono mostrati affatto interessati. Ma Chiamparino ha fatto sapere di essere pronto al grande passo.

Corriere della Sera 29.11.10
«Vogliono sfrattare noi ex popolari»
Fioroni: con Sel ci rinchiudiamo in un recinto di sinistra, ma così salta tutto
di M.T.M.


“Se la gente non ci vota, alle primarie e alle elezioni, non si può far finta che non sia colpa nostra”

ROMA — «Non ho parole: nella nostra manifestazione dell’Eliseo, venerdì, abbiamo lanciato il Pd pride, e invece quello che pensano di fare alcuni nostri compagni di partito, a cominciare da Nicola Latorre, è esattamente il contrario: vogliono archiviare il Pd». Beppe Fioroni, uno dei leader, insieme a Walter Veltroni e Paolo Gentiloni, della minoranza del Partito Democratico, è su tutte le furie.
Onorevole, Latorre non dice archiviare, ma rifondare. Perché è così ostile all’ipotesi avanzata dal vice capogruppo del Pd al Senato?
«La sua è una soluzione da azzeccagarbugli: vuole allargare il Pd a Nichi Vendola per farlo diventare un partito solo di sinistra, e magari vuole cacciare anche noi cattolici che non veniamo dal Pci».
Non lo ha detto. In compenso Massimo D’Alema ha dichiarato al Messaggero che si può fare una Santa Alleanza elettorale con Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini, su questo almeno sarà d’accordo.
«Il combinato disposto dell’intervista di Latorre e di quella di D’Alema è devastante per il Partito Democratico. Partono entrambi dal presupposto che il Pd deve delegare la "copertura" dei moderati ad altri soggetti politici, rinchiudendosi in un recinto di sinistra. E’ incredibile, si preferisce regalare voti agli altri partiti. Ciò detto, non sono contrario ad andare alle elezioni con un’alleanza con Casini. E se la maggioranza del mio partito sarà favorevole, accetto anche l’accordo elettorale con Fini. Però voglio fare una precisazione: noi possiamo pure allearci con altri soggetti politici, senza però svenderci».
Quindi lei non accetta l’idea che il Pd si sposti a sinistra. Eppure negli ultimi tempi anche il segretario Bersani sembra propenso ad andare verso quella direzione.
«Latorre abbraccia Vendola ed espelle noi ex popolari. Non credo che questo faccia piacere a Bersani. Anzi».
Non le sembra di esagerare, onorevole Fioroni?
«Nient’affatto, Latorre sostiene che il Pd non può più essere fondato sull’unione tra gli eredi del Pci e gli eredi del cattolicesimo moderato e lancia anche un amo a Vendola: che cosa significa tutto ciò? Significa una sola cosa: che si mira a sfrattare noi e a fare un’aggregazione tra tutti gli ex pci. Ma se dovesse veramente accadere una cosa del genere, allora salterebbe tutto».
C’è chi sostiene che in realtà l’obiettivo dei dalemiani sia quello di evitare le primarie. Latorre dice che non devono essere fatte quelle di coalizione. D’Alema lascia capire che se fosse per lui non andrebbero fatte punto e basta.
«Vogliono esorcizzare le primarie. Questo mi sembra chiaro. Ma non funziona così. Il problema non sono quelle consultazioni, il problema è il Pd che non riesce a vincerle. E non è che per questo dobbiamo affossarle. Se la gente non ci vota, alle primarie come alle elezioni, ci sarà un motivo, smettiamola di far finta di niente, di far finta che non sia colpa nostra».
Latorre sostiene anche che il Partito democratico, dalla vicenda di Pomigliano d’Arco non ha riflettuto abbastanza sulla vicenda Fiat e sull’atteggiamento di Sergio Marchionne.
«Sì, secondo lui Marchionne è un capitalista autoritario. E questa è una critica, neanche tanto implicita al leader della Cisl Raffaele Bonanni».
Che nella vicenda Fiat si è schierato con Marchionne.

Repubblica 29.11.10
Nel Pd bufera su Latorre che vuole Vendola "socio fondatore"
"Al voto con Udc e Fli" stop dei finiani a D´Alema
Bocchino apre invece al governo di transizione proposto dal presidente Copasir
di Antonio Fraschilla


ROMA - Governo di transizione, ma se si va al voto occorre varare una grande coalizione «con Fli, Udc e Pd e, perché no, anche Sel di Vendola». La proposta arriva da Massimo D´Alema in un´intervista al Messaggero e trova i finiani favorevoli a un esecutivo di transizione ma contrari a «sante alleanze elettorali». Tra i democratici, invece, il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, chiede a D´Alema «di non fare proposte da ridere».
Sul governo di transizione sono però tutti d´accordo. «Berlusconi dovrà convincersi della necessità di un governo di responsabilità nazionale», dice il capogruppo alla Camera di Fli, Italo Bocchino. Un altro colonnello finiano, Adolfo Urso, distingue invece tra le due proposte di D´Alema: «Sì a un governo di responsabilità nazionale, ma non c´interessa una santa alleanza in caso di elezioni». L´unico tra i finiani che apre ad andare al voto con i democratici è Carmelo Briguglio: «Ma patto che sia Gianfranco Fini il candidato premier», dice.
La proposta di D´Alema scuote anche i democratici: «Con uno schieramento che vede insieme Vendola, Casini e persino Fini, non si va da nessuna parte», dice Renzi. A tenere banco nel Pd è comunque anche la proposta del dalemiano Nicola Latorre, che vorrebbe far fondere i democratici con Sel: «Sarebbe uno snaturamento del partito», dice il democratico Marco Meloni. «Aprire a Sel? È una forzatura», aggiunge Enrico Letta. «È una ricetta ridicola» la stronca il deputato Giorgio Merlo.

l’Unità 29.11.10
Quasi il 53% approva la legge per l’espulsione automatica degli immigrati condannati

Negato il diritto all’esame individuale dei casi. Un anno fa passò il divieto a costruire minareti
Referendum anti-stranieri In Svizzera vince il sì
Gli svizzeri dicono sì (quasi il 53%) nel referendum sulla legge di iniziativa popolare che prevede l’immediata espulsione senza diritto di appello per gli stranieri che commettono reati.
di Gabriel Bertinetto


Una legge per cacciare gli stranieri che commettono i reati in Svizzera già c’era. Non contenti, gli xenofobi del Partito popolare ne hanno proposta un’altra ancora più dura, che nega alla persona espulsa il diritto a far valere le
proprie ragioni davanti ad un giudice. La maggioranza dei cittadini (52,9%), chiamata ad esprimersi con un referendum, ha approvato. Da ieri la Svizzera, dal punto di vista dei diritti umani e civili, è molto meno europea di quanto appaia sulle mappe.
SQUILIBRIO PERCENTUALE
La campagna del Partito popolare ha battuto sul tasto dello squilibrio fra due percentuali, entrambe riguardanti gli immigrati: rispetto al totale dei residenti in Svizzera e rispetto alla popolazione carceraria complessiva.
Statistiche alla mano, i suoi mili-
tanti hanno ripetuto sino alla noia che gli stranieri sono solo il 23% nel primo caso, ma arrivano al 70% nel secondo. Conclusione suggerita implicitamente o esplici-
Distribuzione del voto
Nei cantoni di lingua romanda hanno prevalso i contrari
tamente all’elettore: attento, è evidente la propensione dell’immigrato a delinquere. Quando certe considerazioni li esponevano all’inevitabile accusa di razzismo, i
promotori del referendum replicavano con gli argomenti di tal Patrick Freudiger, membro dell’ala giovanile del partito: «Ci sono due tipi di stranieri da noi. Quelli che vogliono lavorare e rispettare le nostre leggi sono benvenuti».
Fin troppo ovvio. Assai meno ovvio, negare a chiunque il diritto all’autodifesa, come prevede la legge che entrerà in vigore grazie alla vittoria dei sì.
Se sarà applicata alla lettera, l’allontanamento degli stranieri colpevoli di reati che vanno dall’assassinio allo stupro, dal narcotraffico alla truffa, sino al semplice ingresso clandestino nel Paese, scatterà automaticamente. Si vedranno costretti a varcare la frontiera anche individui nati e cresciuti in Svizzera, che spesso hanno reciso ogni legame con il Paese da cui vennero i loro genitori o nonni.
ASSURDITÀ GIURIDICHE
Un insieme di assurdita giuridiche che rischiano di mettere in grave imbarazzo le autorità federali. Palesi sono le violazioni della Convenzione europea sui diritti umani. Per questa ragione il governo aveva esortato i concittadini a votare no.
Ma gli appelli alla ragione ed alla civiltà non hanno fatto sufficientemente presa, così come già accadde un anno fa, quando la stessa formazione politica propose una legge per vietare la costruzione di minareti.
Anche allora, seppure con un tasso di affluenza alle urne inferiore al solito, gli svizzeri approvarono. La scarsa partecipazione del resto ridimensiona solo parzialmen-
te il significato del voto. Sull’altro piatto della bilancia infatti pesa il fatto che tante persone potenzialmente ostili a certi provvedimenti non sentano il bisogno di mobilitarsi per impedirne l’approvazione. D’ora in poi chiunque sia espulso dalla Svizzera non potrà ritornarvi per un periodo che varia dai cinque ai quindici anni a seconda del reato commesso. I tempi si allungano sino a venti anni per i recidivi.
MONOTEMATICI
Georg Lutz, politologo dell’Università di Losanna, afferma che «il Partito popolare negli ultimi 20 anni non ha fatto sostanzialmente che parlare di un solo argomento, schierandosi contro tutto ciò che è estero: qualche volta le Nazioni Unite, altre l’Unione europea, stavolta gli stranieri. È un pò difficile pensare che una legge così possa ridurre in qualche modo il livello della criminalità».
La distribuzione geografica del voto mostra una netta prevalenza dei sì nei cantoni di lingua tedesca, mentre il no prevale nella Svizzera romanda.

Repubblica 29.11.10
Militante Fli aggredita soccorsa dalla Cgil


ROMA - Insultata e spintonata in metropolitana a Roma da tre ragazzi perché sulla giacca aveva appuntata una spilletta di Futuro e Libertà, è stata soccorsa da alcuni manifestanti di ritorno dalla sciopero della Cgil. L´episodio, accaduto sabato a una militante di Fli, è stato denunciato ieri dal magazine on line di Farefuturo, la fondazione vicina al presidente della Camera: «Ma quali traditori, qui sta tornando il fanatismo», scrive Ffwebmagazine. «Ecco dove porta la propaganda, l´esasperazione dei toni. Ecco il partito dell´amore, della solidarietà, dell´accoglienza», conclude l´articolo.

Repubblica 29.11.10
La strategia “complotto e tradimento”
di Carlo Galli


Complotto e tradimento. Con questa ultima accoppiata - coronamento del pensiero politico megalomane e paranoide - l´identificazione dell´Io col Tutto, del privato col pubblico, con la conseguente negazione della consistenza oggettiva di ciò che nella realtà non si piega alla "grande visione" del Soggetto, trova il suo prevedibile compimento. Sarà anche propaganda - come sostiene Fini, che dall´infamia del tradimento dovrebbe rimanere macchiato per sempre. Ma lo stile di questa propaganda rivela tutto il personaggio-Berlusconi, e ne fa un "tipo" politico che raggiunge quasi una perfezione da manuale.
Per un´analisi politica radicata nella storia delle idee tutto ciò è una vera ghiottoneria, e anche un´autentica emergenza (come su queste colonne è già stato autorevolmente spiegato). Questa ultima teoria del complotto - come sempre derubricata, dopo il primo impatto comunicativo, che è appunto quello che conta, a un meno impresentabile ‘disegno´, a un accumularsi sospetto di coincidenze - è infatti una vecchia conoscenza della letteratura e della pratica politica.
Questo collaudatissimo stratagemma consiste nello spiegare col ricorso a un´unica causa semplice, soggettiva e malvagia (falsa, inventata), un insieme oggettivo di processi (reali, veri), dalle origini diverse e complesse. Che la rivoluzione francese sia parsa all´abate Barruel, e poi ai controrivoluzionari cattolici, un complotto massonico e protestante; che la rivoluzione russa sia stata interpretata come l´esito di una congiura ebraica già "smascherata" in un falso della polizia segreta zarista, i Protocolli dei Savi anziani di Sion; che fascismo e nazismo si siano trovati di fronte, a sentire le rispettive propagande, le potenze demo-plutocratiche e bolsceviche, sobillate dal giudaismo internazionale; che insomma vi sia sempre una Spektre a manovrare nell´ombra, dietro le quinte della storia; significa che la personalizzazione del Nemico come un soggetto (o un´ideologia, o una razza) ben individuato è una mossa logica e retorica a cui spesso si ricorre proprio perché, grazie alla sua forza semplificatoria, assicura in un primo tempo un grande vantaggio all´Io narrante, soprattutto se ha il monopolio dell´informazione e dell´interpretazione.
E´ chiaro che al nemico esterno deve corrispondere il nemico interno, la Quinta Colonna, il traditore; colui che sta fra noi, che si finge uno di noi, ma non lo è, e va quindi smascherato e liquidato senza pietà dagli organi di vigilanza.
Ma quella del complotto e del tradimento è una strategia che non è esente da gravi controindicazioni. La prima delle quali è che la suggestione delle masse spesso si accompagna all´autosuggestione; che l´ipnotizzatore ipnotizza anche se stesso e finisce in preda alla "pseudologia fantastica", all´allucinazione paranoica di credere alle proprie fandonie. Il che comporta esiti rovinosissimi per gli stessi ‘narratori´ - oltre che per chi ha loro prestato fede - i quali, chiusi nei loro bunker (reali o mentali) vedono i propri sogni di grandezza e di gloria frustrati da forze esterne che di fatto non sono più in grado neppure di comprendere e di analizzare correttamente.
Nel caso italiano l´Io smisurato che da privato si è fatto pubblico, che ha preteso di cancellare la complessa dimensione dialettica della realtà, e dell´azione politica che la modifica, che si è vantato di risolvere da solo tutti i problemi (ghe pensi mi), ora che la realtà, nella sua complessità ignorata prima ancora che mal governata, si vendica con un susseguirsi di crisi - dal crollo di Paestum al crollo della credibilità internazionale dell´Italia, da uno scandalo con minorenni allo scandalo di una condanna per mafia che coinvolge un suo collaboratore, dalla sollevazione degli studenti disperati a quella dei terremotati ingannati, dai rifiuti di Napoli alla necessità di acquistare i voti in Parlamento per riavere la maggioranza - ricorre all´ultima manipolazione. Cioè alla spiegazione dei nostri problemi - che per lui sono sempre solo i suoi: ‘vogliono farmi fuori´ è il suo timore, proclamato ai quattro venti - in chiave di complotto. Naturalmente internazionale, con tanto di Quinta Colonna al nostro interno (i traditori e sabotatori che godono dei guai della nazione).
Tutti i conti tornano: l´allucinazione non è totalitaria - ci mancherebbe! - ma il meccanismo è lo stesso: fare cose - negare la realtà - con le parole, o meglio con il loro uso a dir poco creativo. L´elemento pericoloso di tutto ciò sta da una parte nell´evidenza che con questi presupposti mai nessun problema verrà compreso e tantomeno risolto; e dall´altra nel fatto che moltissimi saranno disposti a credere a questa fantasia piuttosto che convincersi dell´inadeguatezza non solo di Berlusconi e del suo governo, ma anche della cultura politica (si fa per dire) che l´ha mandato già per tre volte a palazzo Chigi. Dato poi che il complotto è declinato in termini pseudo-patriottici, lo scivolamento nel populismo nazionalistico "sudamericano" è quasi garantito.
Contro questa eventualità si impone, eticamente e civilmente, prima ancora che politicamente, una battaglia di verità e di responsabilità, europea, moderna, realistica e illuministica. Una battaglia che sappia mostrare che non ci sono complotti né traditori, e che i nostri problemi non si spiegano col melodramma o con le favole, ma hanno cause oggettive, che stanno primariamente nelle colpe di chi non sa governare; e che sappia ricordare che, come diceva nel XVIII secolo il dottor Johnson, il patriottismo è, spesso, l´ultimo rifugio dei mascalzoni.

Repubblica 29.11.10
Farmaci, meno ricerca e niente concorrenza
di Mario Pirani


Qualche nostro lettore ricorderà la campagna condotta alcuni anni orsono, al fine di liberalizzare l´apertura delle farmacie a tutti i laureati nella disciplina abolendo il numero chiuso vigente. Trattandosi di un´aspirazione liberista, la lobby corporativa trasversale ebbe la meglio e ancora oggi vi sono 18.000 farmacisti titolari del proprio esercizio e 79.000 che, pur professionalmente abilitati, non hanno la possibilità di accedervi. L´inserzione di una minima pressione concorrenziale si è avuta con l´apertura di circa 3300 parafarmacie e punti vendita per prodotti da banco, sanitari senza obbligo di prescrizione e similari che hanno portato a 7000 posti di lavoro, una riduzione dei prezzi di vendita con un risparmio nel 2009 di 24 milioni a favore dei consumatori e nessun onere per lo Stato.
Il valore dell´esperienza induce a proseguire nella strada intrapresa. Se ne torna a parlare nell´ultimo rapporto di Antonio Catricalà rivolto alla Commissione Sanità del Senato, dove sono in discussione ben dieci disegni di legge sul riordino dell´esercizio farmaceutico. E´ sintomatico che questo "grand commis" non solo ribadisca gli argomenti a favore della liberalizzazione ma denunci come in molti disegni di legge presentati si tenda invece ad ampliare le esclusive, aumentando il potere di mercato delle farmacie, senza vantaggi per i consumatori. Per contro "consentire l´accesso alla titolarità di farmacia ai farmacisti abilitati, senza l´attuale limite numerico, aprirebbe spazi importanti per promuovere l´iniziativa economica".
Catricalà si sforza altresì di rispondere al principale degli argomenti del protezionismo corporativo secondo cui senza un numero chiuso e una rete obbligatoria di siti autorizzati, sussisterebbe il pericolo che le zone a scarso sviluppo economico o troppo isolate, finiscano senza copertura. La risposta è a un tempo storica ed economica: «All´origine il sistema era concepito - e si giustificava - per consentire, in un Paese essenzialmente agricolo e poco sviluppato, la presenza capillare sul territorio delle farmacie. La garanzia legale di una sicura fonte di reddito per il titolare era funzionale a che il servizio di distribuzione dei farmaci potesse essere effettivamente prestato. Oggi tutto ciò non appare giustificato con riferimento alla maggior parte del territorio «mentre nelle zone residuali il problema potrebbe essere risolto sussidiando le sedi periferiche con un fondo alimentato da risorse provenienti dalle imprese operanti in regime di concorrenza. Il rapporto di Catricalà affronta poi per la prima volta alcuni risvolti negativi che si stanno rivelando col ricorso troppo spinto a favore dei generici (i farmaci non più coperti da brevetto venduti a prezzo più basso di quelli «firmati» con un netto risparmio per il Ssn).
Se è vero che il sistema si sta estendendo nel mondo a causa dei deficit di bilancio del sistema sanitario, esso sta anche allontanando le grandi aziende dalla ricerca farmacologica soprattutto nelle patologie ad alta mortalità. In Italia già si assiste alla chiusura di centri di ricerca di grandi gruppi internazionali e alla contrazione delle ricerche nei gruppi minori. «Il tema della costituzione di un clima favorevole alla ricerca», sostiene Catricalà, impone, quindi, «una nuova regolazione dei margini di settore» (un prolungamento del periodo coperto da brevetto?) che permettano di remunerare gli ingenti costi della ricerca attuata dai produttori originari. Inoltre la cosiddetta «bioequivalenza» tra prodotti generici e originali, contenenti lo stesso principio attivo non significa affatto «equivalenza terapeutica». E´ infatti ammessa una soglia dall´80% in meno al 125% in più di «intervallo di equivalenza», il che può portare a seri inconvenienti terapeutici. Solo il medico dovrebbe, quindi, essere autorizzato alla prescrizione. Il protezionismo colpisce anche dove meno te lo aspetti.

Repubblica 29.11.10
Così i padri della Chiesa raccontano Dio
di Pietro Citati


Olivier Clément ha raccolto le voci più preziose della letteratura patristica Da Agostino ad Ambrogio, da Gregorio Magno a Origene e Tertulliano
L´edizione è patrocinata dalla Comunità di Bose e la prefazione è di Enzo Bianchi
I testi giungono dall´Occidente romano, dall´Africa dalla Siria e dalla Dalmazia
La loro scrittura si basa su sentenze e aforismi. Amano il bagliore e la violenza dello stile

In questi giorni la comunità di Bose pubblica la Nuova Filocalia: testi spirituali d´oriente e d´occidente a cura di Olivier Clément (edizioni Qiqajon, con prefazione di Enzo Bianchi, pagg. 514, euro 40). Filocalia significa amore del bello; e sotto questo termine Olivier Clément raccoglie le pagine più preziose dei Padri della Chiesa, occidentali ed orientali, fino al VI-VII secolo. Qui appaiono Agostino ed Ambrogio, Atanasio di Alessandria e Basilio di Cesarea, Benedetto, Cirillo di Gerusalemme, Clemente di Alessandria, Diadoco di Fotica, Dionigi l´Areopagita, Efrem il Siro, Erma, Evagrio Pontico, Giacomo di Sarug, Giovanni Cassiano, Giovanni Climaco, Giovanni Crisostomo, Girolamo, Gregorio di Nazianzo, Gregorio di Nissa, Gregorio Magno, Ilario di Poitiers, Ireneo di Lione, Isacco di Ninive, Massimo il Confessore, Origene, Pacomio, lo Pseudo-Macario, Sinerio di Cirene, Teodoro di Mopsuestia, Tertulliano.
Il metodo antologico della Filocalia offre un rischio: quello di avvicinare e di assimilare testi di tradizioni diverse o opposte; un allievo di Paolo e un teologo neoplatonico, Agostino e Dionigi l´Areopagita. Ma è solo un rischio? Chi conosca i Padri, si rende conto che queste voci, che giungono a noi dall´occidente romano, dall´Africa latina, dalla Cappadocia, dall´Egitto, dalla Siria, dal Ponto, dal Sinai, dalla Scizia, dalla Dalmazia, formano un immenso edificio musicale che obbedisce ad alcune armoniche fondamentali. Malgrado qualsiasi differenza, il Cristianesimo è uno. La scelta dei brani, l´incastro dei frammenti esalta il grandissimo dono letterario dei Padri. La loro scrittura si basa su sentenze e aforismi: sia i Vangeli che San Paolo si esprimono in forme rapidissime; e i loro eredi amano il bagliore, la violenza dello stile, la sintesi, lo scorcio, l´invenzione del paradosso.
* * *
Leggendo il Pater Noster, apprendiamo che la nostra vita è fatta di assoluto presente: attimo effimero dopo attimo effimero, momento dopo momento, istante dopo istante, ora dopo ora, punto dopo punto, ognuno sufficiente a sé stesso e benedetto da Dio: «dacci oggi il nostro pane quotidiano». Qualche secolo dopo, in Agostino, questa idea è capovolta. L´effimero non è più una condizione beata ma negativa. I nostri anni, dice Agostino, si disfanno giorno dopo giorno. Quelli che erano non sono più, quelli che verranno non sono ancora. Gli uni sono passati, gli altri arrivano per passare a loro volta. L´oggi non esiste se non nell´istante in cui parliamo. Nessun uomo ha stabilità in sé stesso. Il corpo non possiede l´essere. Cambia con l´età, con il tempo e con i luoghi, con le malattie e gli incidenti. Neppure il cuore è stabile. Quanti pensieri, quanti slanci lo agitano: quanti piaceri lo traggono di qua e di là e lo lacerano. La mente vuole e non vuole, sa e ignora, ricorda e dimentica. Solo dopo la morte, dopo tante sofferenze e malattie, difficoltà e fatiche, torniamo umilmente all´Uno. Entriamo nella città i cui abitanti partecipano all´Essere.
In primo luogo Dio ci appare sotto una grandiosa forma naturale. È la sorgente dell´acqua, che non può mai inaridire: noi la beviamo, e via via che la beviamo, la sete interiore non si placa ma diventa più ardente. Cristo è un ruscello che sgorga, un torrente che inonda l´universo, travolge ostacoli e dighe, invade tutta la superficie della terra. Il Dio-acqua, il Cristo-torrente è luce; e nel cuore di questa luce esiste una luce che nulla potrà mai oscurare. Noi la vediamo, la contempliamo: qualche volta essa ci oscura; ma mentre la fissiamo sempre più acutamente, il nostro occhio interiore si aguzza, finché la luce diventa un abisso di fuoco: una sorgente di fuoco, che cresce in eterno; e il nostro cuore si accende e sfavilla come un carbone.
Se nominiamo l´acqua, la luce e il fuoco, non possiamo nominare né esprimere il nome di Dio: ci avviciniamo al suo nome solo quando, vagamente e oscuramente, affermiamo che egli è "l´aldilà di tutto" oppure, come corregge Dionigi, è «tutto ciò che è e niente di ciò che è». Desideriamo infinitamente conoscerlo. Ma, se non lo nominiamo, non possiamo conoscerlo: egli resta al di là di ogni comprensione; e appena pensiamo di vedere Dio e di capire ciò che vediamo, non vediamo Dio, ma soltanto una delle cose conoscibili che egli ha creato. Dio non è anima né intelligenza: non ha numero, né ordine, né grandezza, né piccolezza, né uguaglianza, né diseguaglianza, né somiglianza, né dissomiglianza: non resta immobile e non si muove: non è potenza né luce: non è vita: non è sostanza, né eternità né tempo: non è scienza né verità, né legalità, né sapienza; né unità, né divinità, né bene; non appartiene al non-essere e nemmeno all´essere. Così egli sfugge ad ogni denominazione e ragionamento.
Forse dovremo accontentarci di questo rincorrersi vertiginoso di negazioni, e toccare ciò che Dionigi l´Areopagita chiamava la "perfetta inconoscenza", sorpassando ogni intelligenza, distaccandoci da tutti gli esseri, abbandonando noi stessi e unendoci ai raggi più luminosi della luce. Ma nemmeno l´inconoscenza ci basta. La Trinità sovrastanziale, di cui parla Dionigi, ci guida non solo al di là di ogni luce ma anche al di là dell´inconoscenza, fino alle cime più alte delle Scritture mistiche, là dove i misteri semplici, assoluti e incorruttibili si rivelano nell´oscurità luminosa del silenzio.
Come il Dio della Bibbia, quello di Plotino e dell´Islam, il Dio dei Padri è l´Uno. «Vedo una sola grande fiamma – dice Gregorio di Nazianzo - senza poter dividere o analizzare l´unica luce». Quest´Uno non sta fermo: la sua pienezza gli impone di mettersi in movimento; questo movimento non può arrestarsi nel Due, perché la divinità sta al di là di ogni opposizione; la perfezione di Dio si compie nel Tre. «Non ho ancora pensato a pensare all´Unità, che la Trinità mi immerge nel suo splendore. Non ho ancora cominciato a pensare alla Trinità, che già l´Unità mi riafferra». Le persone divine non si sommano: esistono l´una nell´altra: il Padre è nel Figlio e il Figlio nel Padre, lo Spirito si unisce al Padre insieme con il Figlio assicurando la circolazione dell´amore. L´Uno si specchia tre volte in sé stesso, diventando Padre, Figlio, Spirito; e le tre persone non sono confuse né separate tra loro. In nessun´altra religione (se non, in parte, nel Tao) l´Uno si esprime così nella molteplicità e nel movimento; e il movimento è la forma prediletta dell´Uno.
Infine, Dio si manifesta. L´immateriale si incarna, l´invisibile diventa visibile, l´intangibile si può toccare, l´intemporale ha un inizio, colui che è entra nel divenire, l´increato è messo al mondo, la ricchezza divina assume il volto della povertà umana, il Figlio di Dio diventa figlio dell´uomo. Cristo si umilia, si annichilisce, abita in noi: se non si umiliasse, la realtà si dissolverebbe al suo contatto. Soffre per le nostre sofferenze prima di salire sulla croce. Se si manifesta, dovrebbe essere visibile. Eppure il suo mistero continua ad essere nascosto, anche quando nasce nella grotta, vive la sua esistenza di bambino, predica, entra in Gerusalemme, viene appeso alla croce. «In qualunque modo lo si comprenda rimane inconoscibile», dice Dionigi. «Dio non si fa comprendere se non apparendo ancora più incomprensibile», ripete Massimo il Confessore, perché «Cristo è il mistero che avvolge tutte le cose».
In realtà Gesù, il mistero nascosto, si era già manifestato. La Scrittura era una forma di incarnazione: la lettura della Bibbia una specie di eucarestia. Mentre leggiamo i Vangeli, ci cibiamo di Dio e beviamo il sangue di Cristo. Così ci introduciamo nel midollo e nell´intimo delle parole celesti. Poi giunge l´eucarestia. Dio è il pane della vita, e chi mangia la vita non può morire. Dio è la sorgente della vita, e se beviamo dalla sorgente non avremo più sete o una sete eterna. In quel momento il nostro corpo diventa quello di Cristo e viene trasformato nel corpo divino. Se finora eravamo soltanto l´immagine di Dio, ora ne diventiamo la somiglianza, secondo le parole pronunciate nella Genesi. Come in un primo momento i pittori tracciano lo schizzo di una figura umana con un solo colore e poi, facendo fiorire a poco a poco un colore sull´altro, ripetono l´aspetto del modello sino alle sfumature dei capelli, così la grazia di Dio segna in ognuno di noi l´impronta della somiglianza. Il Cristo è tutto in tutti, come un centro nel quale tutte le linee convergono.
Allora veniamo divinizzati: abbiamo in noi soltanto energia divina; mentre scompare ogni differenza tra Dio e i fedeli. Come dice Gregorio Magno, «l´uomo è un animale che ha ricevuto la vocazione di diventare Dio». Mentre mangiamo il corpo di Dio e beviamo il sangue dello spirito, anticipiamo il ritorno di Cristo alla fine dei tempi. L´evento dell´eucarestia avviene ogni giorno e in ogni giorno è presente l´ultimo giorno.
* * *
Giovanni Climaco pronuncia parole che hanno sconvolto qualcuno. «Beato colui il cui desiderio di Dio è divenuto simile alla passione dell´amante per la persona amata». L´uomo allontana i suoi pensieri, pota la loro esuberanza, non cede ai loro voleri, fugge ogni agitazione, abolisce ogni dispersione, chiude le porte della stanza della sua mente. Si rifugia nel deserto dove conosce una quiete profondissima. Soltanto allora, chiuso dietro la sua porta, l´uomo può pregare. Egli è solo con Dio. La preghiera è un rapporto personale col Dio vivente, una conversazione con lui, senza intermediari. Chi prega, non cerca di attirare Dio verso di lui, giacché, come dice Agostino, egli è più intimo a noi di noi stessi. Dobbiamo invece avvicinarci a lui, sebbene Dio doni la preghiera a chi prega pregando sé stesso nelle profondità del nostro cuore.
La preghiera sale verso Dio dalle profondità del cuore: soltanto le preghiere radicate negli abissi dell´io ascendono al cielo. Ma lassù il cuore non trova il Dio inaccessibile; e si dispera apprendendo di essere innamorato di chi non ha nome. Malgrado la disperazione il cuore continua a progredire nella ricerca, senza smettere mai di salire, fino a quando viene colto dalla punta dell´amorosa freccia divina. Verso mezzanotte, il fedele si alza, si lava le mani con l´acqua e prega. In quel momento tutta la creazione si riposa un istante per lodare il Signore: le stelle, gli alberi e le acque si fermano; e insieme al coro degli angeli e delle anime cantano le lodi di Dio.
Quando preghiamo, a volte un versetto si ferma sulla nostra lingua, un salmo ci appare dolcissimo, lo ripetiamo, e questa ripetizione ci impedisce di passare a un altro versetto, tanto quelle prime righe sono inesauribili. La nostra anima si immobilizza nel silenzio ed entriamo nella pace. Se ci accorgiamo che le lacrime riempiono i nostri occhi e corrono senza sforzo lungo le guance, dobbiamo comprendere che il muro celeste si è aperto davanti a noi. E se sentiamo che le nostre membra sono prese da una grande debolezza, allora la nube di Dio ha cominciato a coprire con la sua ombra la nostra dimora.
Nel corso di quest´estasi esiste un punto ancora più alto: un luogo nel quale la preghiera ci abbandona e scompare. Entriamo nel Tesoro. Tace ogni bocca e ogni lingua, tace il cuore che raccoglie i pensieri, e la mente che governa i sensi e il lavoro scrupoloso della meditazione. Tutto si arresta. In noi, è entrato il Padrone di Casa. Tutti i moti del nostro cuore diventano un´unica ininterrotta preghiera, che non si allontana mai dalla nostra anima. Sia che mangiamo, beviamo, dormiamo, e persino se abitiamo il sonno più profondo, il profumo della preghiera si effonde senza fatica in noi. Non ci abbandona più. Come dice Origene: «Tutta l´esistenza cristiana può essere considerata un´unica grande preghiera, della quale ciò che siamo abituati a chiamare preghiera è solo una piccola parte».
Torniamo a guardare la natura creata, sia buona sia malvagia. Il nostro spirito arde per tutta la realtà, per gli uomini, per gli uccelli, per gli animali, per i dèmoni. Quando pensiamo a loro e li vediamo, gli occhi versano lacrime. La nostra compassione è così forte che il cuore si spezza quando vede il male e il dolore che torturano le creature. Eleviamo la preghiera versando lacrime per tutti i nemici della verità e per tutti quelli che ci fanno del male, affinché siano protetti e perdonati. Quando doniamo, doniamo generosamente con il viso rischiarato dalla gioia. Diamo più di quanto ci è chiesto. Non facciamo differenze tra il ricco e il povero. Non cerchiamo di sapere chi è degno e chi è indegno. Davanti a noi tutti gli uomini sono eguali. Ognuno è nostro fratello, sebbene, senza saperlo, qualcuno si sia smarrito lontano dalla strada della verità.
La natura del cristiano non è né la virtù, né la misura, né l´ascesi, né la pazienza, né la discrezione, sebbene possa assumere questi aspetti. Un giorno, Abba Lot venne a trovare Abba Giuseppe e gli disse: «Padre, secondo le mie possibilità io osservo la mia piccola regola, il mio modesto digiuno, il mio silenzio contemplativo. Faccio le mie preghiere e la mia meditazione, mi sforzo come posso di cacciare dal mio cuore i pensieri inutili. Cosa posso fare di più?» Abba Giuseppe si alzò per rispondere e levò le mani al cielo. Le sue dita sembravano dieci ceri accesi, e disse: «Perché non diventi tutto fuoco?».

domenica 28 novembre 2010

l’Unità 28.11.10
Padri e figli, la nuova Cgil: i giovani aprono il corteo
Prima volta, svolta storica
Il segno voluto dalla leader Camusso. Non c’è il movimentismo di un tempo intorno ad operai e studenti. Ma c’è un tema comune: la lotta alla precarietà
Sciopero generale. Una scelta impegnativa che va preparata bene Non si può sbagliare
L’esame. Il sapere e gli operai Una opzione che parte da lontano


La grinta, la passione politica, il coraggio della proposta, la forza dell’analisi. Con questi elementi Susanna Camusso si è presentata agli esami della sua prima piazza da segretario generale. Anche facendo leva su una cultura acquisita in una lunga attività sindacale, fin dai tempi delle 150 ore a Milano. Era la scelta, in quel periodo, di portare gli operai al «sapere», alla «conoscenza». Un’idea molto cara a Bruno Trentin, a capo dei metalmeccanici Cgil.
Così nei cortei fiammeggianti di bandiere rosse, in questo sabato romano allietato da un sole benedetto, sembra tornare l’eco di anni lontani, di una nuova possibile alleanza tra operai e studenti. Anche se non c’è oggi, bisogna pur dirlo, come c’era all’epoca, un possente e radicato movimento autonomo di studenti e di operai, portatore di obiettivi vincenti. Avanza però, nelle scuole una ribellione di massa. E i segnali di questa rivolta sono tutti presenti, attorno alla Cgil.
A cominciare dal fatto che il corteo principale mostra alla testa, per la prima volta nella storia sindacale, proprio i giovani. Giovani lavoratori e giovani studenti. Un segnale importante. emblematico, voluto dal nuovo segretario generale. Innalzano gli striscioni di una campagna aperta su nuovi strumenti di comunicazione come Facebook, per denunciare il diffondersi di offerte di lavoro vergognose.
Ora eccoli a ripetere che i giovani «non sono più disposti a tutto», a ripetere che il futuro deve essere dei giovani e del Paese. Sono ragazze e ragazzi abituati a essere ultimi non solo nei cortei ma anche nelle trattative, anche nelle contrattazioni sindacali. Prima vengono quelli del posto fisso poi, se avanza qualche risorsa, tocca a loro. Ora sono riconosciuti, con la Camusso che invita i tanti dirigenti sindacali ad aprire le sedi, a darsi da fare. Magari cominciando dalla raccolta di adesioni per evitare quella trappola dei 60 giorni posta in essere dal governo col suo collegato lavoro. È la norma, voluta dal ministro Maurizio Sacconi, che «concede», senza far troppo chiasso, 60 giorni di tempo, dopo i quali i precari non potranno mai più ricorrere a un giudice per far valere i propri diritti.
La Cgil così tratteggia meglio la propria identità attorniando i «padri» dai «figli», senza mettere gli uni contro gli altri. È proprio ancora lei, la Camusso, a ricordare quelli che vorrebbero aumentare l’età pensionabile degli anziani mentre si lasciano i giovani agli ingressi dei cancelli delle imprese. Così Piazza San Giovanni prende le fattezze di un coro fatti di mille voci: metalmeccanici, impiegati pubblici, insegnanti, immigrati. Una piazza ribollente ma in parte diversa da quella di poche settimane fa, organizzata dalla Fiom-Cgil. L’incontro di questo sabato ha una predominanza assoluta di vessilli Cgil e non partitici. Certo è una manifestazione politica ma per i suoi contenuti sindacali (che chiamano in causa la politica e soprattutto il centrodestra) e non per gli emblemi di partito.
C’è chi alla fine vorrebbe una proclamazione, dal palco di piazza San Giovanni, di uno sciopero generale. La Camusso si limita a dire «Abbiamo scioperato e continueremo a scioperare». Ricordando, così, gli scioperi generali già fatti. C’è chi interpreterà tali parole come una presa di distanza dalla Fiom. A chi scrive appare soprattutto come la consapevolezza che una scelta impegnativa come questa ha bisogno di preparazione, e se possibile di unità, di un movimento già in piedi. Perché è utile riflettere su quale danno insopportabile provocherebbe, in queste condizioni politico-sociali, un flop dello sciopero generale. Le spallate, se si vogliono dare, non possono tradursi in spallatine. Occorre saper indicare un «paese diverso», anche attraverso un «sussulto etico» (parole della Camusso). Un «sussulto democratico», come si diceva un tempo.

il Fatto 28.11.10
La nuova Cgil della Camusso si mette la felpa
Prima manifestazione a Roma tutta dedicata ai giovani precari
di Stefano Feltri


La novità è anche nella forma: Susanna Camusso sale sul suo primo palco da segretario della Cgil con una felpa nera col cappuccio, una di quelle distribuite ieri con lo slogan “Giovani non + disposti a tutto”, si mette in un angolo del palco a piazza San Giovanni ad ascoltare (e ballare) la taranta. Ha ancora addosso la stessa felpa quando prende il micorfono per il suo discorso, conclusione di una manifestazione partecipata anche se non oceanica (ma il nuovo corso sindacale, di Fiom e Cgil, prevede di sottrarsi alle scaramucce sui numeri di partecipanti).
LO SLOGAN è abbastanza tradizionale: “Il futuro è dei giovani e del lavoro”. Ma fin dalle prime parole del suo discorso, la Camusso cerca di chiarirne la traduzione molto concreta: “Bisogna dire a tutti che ci sono solo 60 giorni, anzi, sono già 57, per impugnare i licenziamenti, per chiedere giustizia”, colpa di una “legge ingiusta e crudele nota come colllegato lavoro” che ha esteso ai precari il limite dei due mesi per ricorrere in tribunale e farsi riconoscere che a un contratto a progetto o di collaborazione corrispondeva in realtà un lavoro da dipendente, con le tutele e i diritti che ne dovrebbero derivare. Prima il termine era di cinque anni. “Sappiamo che è una scelta difficile, tra la possibilità di ottenere un nuovo contratto dallo stesso datore di lavoro e quella di chiedere giustizia, ma sappiate che le nostre sedi sono aperte, i nostri uffici sono aperti per tutti quelli che vogliono discutere la loro situazione”, dice il segretario .
La composizione del corteo e della piazza è la stessa di sempre, si regge più sui militanti dello Spi (i pensionati) che sugli universitari, come tradizionale è gran parte delle parole d’ordine dal palco. E’ troppo presto per registrare un cambiamento, per misurare se stia funzionando il tentativo della Camus-so di parlare agli esclusi dal sindacato, quei precari che finora avevano come unico riferimento il sindacato Nidil (sempre della Cgil). Ma la manovra di avvicinamento è evidente, non solo nella partecipazione di alcuni (non tantissimi) studenti, quanto nella presenza capillare del logo e dei gadget della campagna “Giovani non + disposti a tutto”. Culmine di un’iniziativa di marketing virale sviluppata su Internet a partire dal sito gio  vanidispostiatutto.com   (di cui, in una prima fase, non si sapeva neppure che fosse responsabile la Cgil), un finto portale di annunci di lavoro del tipo “gruppo bancario cerca laureati con master in ingegneria finanziaria capaci di campare senza soldi”. Il messaggio, quindi, è chiaro: la Cgil della Camusso punta sui giovani in maniera strategica, non soltanto tattica. A forzare un po’, si può quasi vedere una separazione dei compiti: mentre i metalmeccanici della Fiom guidata da Maurizio Landini combattono in prima linea con Fiat e Federmeccanica a difesa dei diritti storici conquistati nel Novecento, la Camusso e la Cgil confederale si occupa di costruirne di nuovi per i lavoratori che quei diritti non li hanno mai conosciuti.
SI INTRAVEDE un ragionamento di politica economica molto pragmatico dietro questa scelta: “Nessun Paese può permettersi di avere intere generazioni senza reddito, stanno costruendo un debito enorme sul futuro dei nostri ragazzi”, dice la Camusso. E spiega: i giovani precari possono sopravvivere senza reddito e senza tutele soltanto perché ci sono le risorse accumulate dalle famiglie , che però vengono gradualmente erose. Quando questo equilibrio provvisorio non reggerà più, la politica sarà costretta a intervenire, “e più si rimanda il momento, più costoso sarà il conto da pagare”.
Susanna Camusso è arrivata al vertice della Cgil a 55 anni preceduta da una fama di moderata e riformista, che nel gergo sindacale sono sinonimo di scarsa incisività. Durante il corteo i più duri mugugnano, non sprizzano entusiasmo per un segretario che continua a non proclamare lo sciopero generale, come vorrebbe la Fiom. Lei risponde dal palco dicendo che se le cose non cambiano “continueremo a scioperare come abbiamo fatto in passato”, manda messaggi alla Fiom chiedendo democrazia “prima e dopo le trattative” (cioè facendo votare ai lavoratori gli accordi presi con le associazioni datoriali, anche prima che arrivi la legge sulla rappresentanza, se Cisl e Uil sono d’accordo) e lancia la sfida anche agli altri sindacati: “Siamo pronti a contare e certificare i nostri iscritti, non abbiamo paura”, rompendo così un tacito accordo di non belligeranza che ha sempre permesso a tutte le sigle di fare stime generose della propria forza numerica.

Corriere della Sera 28.11.10
Camusso in piazza «Ora basta machismo»
Cgil, debutta Camusso «Serve un sussulto etico noi pronti allo sciopero»
di Fabrizio Caccia


ROMA — Ora c’è una donna al timone della Cgil: «Il Paese non merita questa classe politica, serve un sussulto etico, basta con la giustizia dei potenti e le esibizioni di machismo». Susanna Camusso debutta da segretario generale in piazza San Giovanni e canta «Bella ciao» davanti a un mare di persone (150 mila solo quelli venuti da fuori, dalla Sicilia al Sud Tirolo). È un sabato di sole, con un tepore quasi da primo maggio. Due imponenti cortei: bandiere rosse, operai, precari, pensionati, edili col casco giallo e medici in camice bianco, insegnanti arrabbiati («Taglia taglia la scuola raglia») e studenti che bruciano un manichino con la faccia del premier. Lavoratori sui tetti, sulle gru, sulle torce di Porto Marghera e cassintegrati da 327 giorni per protesta sull’Asinara. L’Italia è anche questa e la Camusso avverte: «Il Paese non ha futuro senza una politica del lavoro. Se la Cgil non avrà risposte dal governo, si arriverà allo sciopero generale». Ecco le due paroline che in tanti volevano ascoltare da subito, ma lei (che ha accanto Epifani) preferisce aspettare. Dal palco garantisce: «Questo è il Paese per cui abbiamo scioperato e continueremo a scioperare». Però la sua, per ora, vuol essere una linea dialogante con tutti: governo e Confindustria, Cisl e Uil, perfino Marchionne. E infatti più di qualcuno, come Giorgio Cremaschi, all’interno della Cgil resta deluso dal primo comizio. E così il leader della Fiom, Maurizio Landini: «La prossima settimana c’è il direttivo della Cgil, tutto quello che resta da fare è indicare una data». Ci sono anche i politici, Bersani e Vendola si stringono la mano. La Camusso definisce il «collegato al lavoro» approvato dal Parlamento «legge ingiusta e crudele». E invita «la ministra» (Gelmini) a ritirare la riforma. Sulla Fiat è preoccupata: «Abbiamo la sensazione che progressivamente la testa dell'azienda stia andando negli Stati Uniti. E’ importante che a Mirafiori ci saranno produzioni, ma vogliamo conoscere le produzioni in tutti gli stabilimenti». Perentoria sui contratti: «Continueremo a dire no alle deroghe». Alla fine don Fabio Corazzina, il prete che ha assistito gli immigrati di Brescia saliti su una gru, cita Sepúlveda: «Io ammiro chi resiste».


il Fatto 28.11.10
La piazza: studenti universitari e lavoratori
Prova diintesa tra due proteste
di Silvia D’Onghia


Antonio e Gianfranco arrivano da Grumo Appula, in provincia di Bari, hanno 32 e 23 anni, sono saldatori specializzati. Ma non lavorano: vengono chiamati dalle agenzie interinali per frequentare corsi di una settimana, poi restano a casa. Così le agenzie intascano i finanziamenti per la formazione e loro hanno paura del futuro. Mara e Francesca sono musiciste, suonano un po’ dove capita e molto spesso gratis, perché ormai neanche i locali pagano più. Vivono in uno stabile occupato, perché “niente soldi, niente affitto”.
Lucia frequenta il terzo anno del liceo classico e non è disposta a scommettere neanche più sull’università. Indossa un cartello con un annuncio di lavoro: segretaria personale, bella presenza, anche senza esperienza, disposta a fare il caffè al capo. Sono loro i nuovi volti della Cgil, quella che Susanna Camusso vuole aperta ad ogni lavoratore in difficoltà. Vengono da ogni angolo d’Italia, invadono le strade di Roma già dalle prime ore del giorno, sfilano formando due cortei, che poi confluiscono in piazza San Giovanni. Studenti medi, universitari, ricercatori, operai, pensionati e partigiani: tutti a braccetto per chiedere all’Italia di svegliarsi. Qualcuno esagera e brucia un pupazzo di Silvio Berlusconi, seguono le inevitabili polemiche.
E mentre nelle altre città la protesta sui tetti continua (a Firenze viene “occupata” la Cupola del Brunelleschi), il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini si stupisce nel vedere insieme studenti e pensionati, come se i diritti si dividano in compartimenti stagni. Gli studenti in mattinata ancora non lo sanno, ma il “tradimento” arriverà anche da Gianfranco Fini, che martedì voterà la riforma, “una delle cose migliori della legislatura”. Nando ha fatto la guerra: “Abbiamo imbracciato le armi per cacciare l’invasore e abbiamo seminato bene. Ora tocca alla gioventù, perché questa è una dittatura senza armi, ma sempre dittatura è”. Ci sono anche i genitori e i nonni di quei ragazzi appollaiati sui tetti. “Mia figlia si è laureata in architettura un anno e mezzo fa col massimo dei voti – racconta Pietro, che viene da Torino – peccato che non sia parente di Bondi, è ancora disoccupata. Oggi bisognerebbe fare come nel ’68: gli studenti dovrebbero aiutarci a bloccare le fabbriche. I diritti sono conquiste del passato, bisogna lottare ogni giorno per man-tenerli”.
La convinzione generale è che si voglia adottare il modello Fiat anche per le piccole e medie imprese. E forse è per questo che i volti non sono allegri: serpeggia un’amarezza profonda, quasi una stanchezza nel dover ripetere che “il futuro è dei giovani e del lavoro”, come recita lo slogan della giornata. La piazza è comunque un bel colpo d’occhio, bandiere rosse e palloncini colorati. La Cgil non vuole dare i numeri, ma l’elicottero della polizia che sorvola San Giovanni sa che è piena. I ragazzi hanno sulla giacca l’adesivo “Non +disposti a tutto”. Tra loro, ci sono anche i nuovi italiani. Abdul è arrivato due anni fa dal Burkina Faso, ha 20 anni e un diploma da perito elettrotecnico. Sperava in un’accoglienza diversa, e invece si ritrova a fare lavoretti saltuari e poco retribuiti e a lottare per il permesso di soggiorno. Arjan è albanese, vive a Roma da sette anni con la moglie, fa il muratore, ma da maggio è disoccupato perché la ditta per cui lavorava è fallita: “Il principale è irreperibile, non abbiamo avuto né gli ultimi stipendi nè la liquidazione . Due settimane fa è nato mio figlio: mi hanno dato un libretto sanitario valido tre mesi, se non trovo un lavoro in tempo non me lo rinnoveranno e a mio figlio verrà negato anche il diritto alla salute”. Ci sono due signore anziane che applaudono al passaggio dei più giovani: “Sono troppo buoni, dovrebbero fare la rivoluzione. Quasi quasi la facciamo noi”. Una di loro ha una figlia insegnante, non più precaria, e ringrazia che il problema principale sia il doversi portare a scuola la carta igienica.

il Fatto 28.11.10
La scuola salvadanaio
di Marina Boscaino


Progetto preciso, prove tecniche di devoluzione del futuro: creazione di consumatori acritici, con lo smantellamento della scuola pubblica che, da luogo di investimento economico e culturale, diviene fonte di risparmio arrembante, nascosto da rassicuranti etichette, “semplificazione e razionalizzazione”; preventiva creazione di schiere di “yes men”, gli insegnanti, che possano essere interlocutori (in)validi per futuri plaudenti non-cittadini. Se dovessero fallire le apocalittiche previsioni secessionistiche della Lega (ddl Goisis) e restare progetto le linee guida della frantumazione della scuola pubblica targata Aprea, rimarrebbe il duo Gelmini-Brunetta a narrare (e indirizzare) una scuola che – nel tragico combinato delle loro disposizioni – rinuncia alla sua specificità, per appiattirsi alla logica del pubblico impiego e delle sue parole d’ordine: premio, meritocrazia, efficientismo, gerarchia.
UN LUOGO di apprendimento non può funzionare così, e solo l’ignoranza può imporgli condizioni così improprie. Asservire al pensiero unico 1 milione di lavoratori (non sempre vigili, è vero; ma talvolta sì) è arduo: ecco allora il consueto bando che innesca la consueta “guerra tra poveri”. Prima i precari, decimati con arrogante noncuranza. La rinuncia – nelle nuove prerogative del dirigente scolastico – alla funzione di primus inter pares, e l’assegnazione di funzioni sanzionatorie a cui la maggior parte non è preparata, con snaturamento dell’idea che animava l’autonomia scolastica. D’altra parte, per eventuali dirigenti criticamente indipendenti, ecco le sanzioni alla libera espressione di dissenso nei confronti dell’amministrazione. I “dirigenti-diligenti” hanno poi ruoli di primo piano come valutatori nella nebulosa progettualità gelminiana sul merito, di cui i media hanno dibattuto in questi giorni: criteri ed indici di valutazione potenzialmente oggettivi, ma evidentemente iniqui e di parte (considerando anche l’impreparazione generalizzata del nostro Paese sulla strategica valutazione di sistema, istituti, singoli insegnanti, su cui l’Europa spende risorse economiche e culturali dagli anni ‘80). Nelle città scelte per la sperimentazione, già circolano proposte di delibere di collegi docenti per rifiutarla. In nome della volontarietà dell’adesione all’improvvisata messinscena che rischia di seppellire la già traballante autorevolezza ed autonomia professionale della categoria e la credibilità della scuola, di accrescere smisuratamente il potere dei dirigenti più autoritari, di creare fratture e iniquità tra insegnanti.
TORINO : città pilota del progetto per attribuire il “premio produzione” agli insegnanti delle superiori più meritevoli secondo i vaghi criteri ministeriali. Il 30 p.v. il progetto sarà presentato – alla sola presenza dei dirigenti – presso lo storico Liceo D’Azeglio. Flc Cgil ha sottolineato l’esclusione (strategia praticata spesso dal Miur, ascolto solo di chi si vuole ascoltare) di rappresentanti dei lavoratori e sindacati. “Il ricorso a sistemi di valorizzazione della professionalità sganciati dal rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro comporta la fine del contratto stesso, delle tutele e dei diritti uguali per tutti”. Autoritarismo, esclusione, arbitrarietà, improvvisazione: segni di come chi ci governa non ha perseguito e non persegue l’interesse generale.

l’Unità 28.11.10
Nella data della morte della ragazza il governo indice la giornata degli stati vegetativi
Vespa li ospiterà dopo il no di Fazio. «Un’offesa», protestano Marino e comitato di Bioetica
L’ultimo oltraggio a Eluana: 9 febbraio giornata pro-life
Il Cdm ha indetto per il 9 febbraio la giornata nazionale degli stati vegetativi. Protestano la Consulta di Bioetica e Ignazio Marino. Vespa e Domenica In invitano i pro-life, l’Anci difende i registri dei biotestamenti.
di A. C.


Il governo torna a offendere la memoria di Eluana Englaro. Venerdì infatti il Consiglio dei ministri ha approvato l’istituzione per il 9 febbraio, data della morte di Eluana, della «giornata nazionale degli stati vegetativi». Due anni dopo la scomparsa della giovane, il prossimo 9 febbraio si terrà dunque la prima giornata dedicata ai malati e alla famiglie che, legittimamente, scelgono il percorso opposto rispetto a quello della famiglia Englaro. Ed è proprio nella scelta di quella data che si coglie lo spirito ideologico, e offensivo, del governo. Che già era entrato a gamba tesa nella vicenda con il decreto con cui palazzo Chigi cercò di fermare la decisione della magistratura, fermato solo dalla saggezza del Quirinale che negò la propria firma.
«Ora il ricordo di Eluana non sarà più una memoria che divide ma un momento di condivisione per un obiettivo che ci unisce tutti», ha spiegato il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella, che ha definito Eluana «una ragazza affetta da disabilità grave la cui vita è stata interrotta per decisione della magistratura». «La giornata sarà un’occasione preziosa in più per ricordare a tutti noi quanto è degna l’esistenza di tutti coloro che vivono in stato vegetativo e non hanno voce per raccontare il loro attaccamento alla vita». Nel ragionamento della Roccella, che proprio ieri ha incontrato il Papa durante una veglia per la vita a San Pietro (e ha fatto sapere che il Pontefice l’ha «incoraggiata» ad «andare avanti nell’azione politica di difesa della vita sui temi della bioetica») spicca dunque il senso di ritorsione contro la scelta della famiglia Englaro. E persino di rivincita contro la decisione di Fazio e Saviano di non ospitare le associazioni pro-life. «La giornata potrà rappresentare una finestra di visibilità per queste persone e le famiglie che le accudiscono dice Roccellatroppo spesso coscientemente accantonate dai media, come ha dimostrato la vicenda della trasmissione “Vieni via con me”».
LA PROTESTA DI MARINO (PD)
La decisione del governo ha provocato l’indignazione della Consulta di bioetica. «È l’ultima offesa del governo alla memoria di Eluana, nel tentativo di acquisire il sostegno della Chiesa cattolica», dice il presidente Maurizio Mori. «Si usa l’anniversario per espropriare il messaggio lasciato da Eluana, affermando che il 9 febbraio deve essere una giornata capace di unire tutti sull’unico obiettivo di difesa a oltranza della vita, diametralmente opposto a quello voluto da Eluana». Ancora più netto il senatore Pd Ignazio Marino: «Il sottosegretario Roccella non ha la delicatezza neppure di rispettare il dolore di una famiglia in un’anniversario così importante. La strumentalizzazione che viene fatta dimostra la mancanza di sensibilità e rigore istituzionale da parte di persone che, ci auguriamo, dal 15 dicembre torneranno a fare altri mestieri».
VESPA INVITA I PRO-LIFE
In Rai intanto è partita la gara a invitare esponenti pro-life, vinta naturalmente da Porta a Porta, che questa settimana dedicherà una puntata speciale alle famiglie di malati in stato vegetativo. Stamattina sarà sul tema anche «A sua immagine» su Raiuno, ospite il direttore di Avvenire, e nel pomeriggio pure Domenica In parlerà dell’argomento. Intanto l’Anci replica ai ministri Maroni, Sacconi e Fazio, che in una circolare avevano definito illegittimi i registri con i biotestamenti realizzati da circa 70 Comuni: «Quei registri sono legittimi e rispondono a una diffusa domanda sociale».

l’Unità 28.11.10
Il Papa in campo: «Politici e media, promuovete la vita»


È dedicata alla «vita nascente» la veglia di preghiera organizzata dal Pontificio Consiglio della Famiglia ai vespri della prima domenica di Avvento e nella basilica di san Pietro vi interviene Papa Benedetto XVI. Recita una preghiera dedicata alla vita e al rispetto dell’uomo e della sua dignità. Si appella alle assemblee legislative, perché i popoli e le nazioni «riconoscano e rispettino la sacralità della vita, di ogni vita umana». Agli scienziati e ai medici «perché il progresso contribuisca al bene integrale della persona e nessuno patisca soppressione o ingiustizia». Per gli amministratori ed economisti chiede il dono del-
la «carità e creatività» «perché sappiano intuire e promuovere condizioni sufficienti affinché le giovani coppie possano serenamente aprirsi alla nascita di nuovi figli».
Ai protagonisti della politica, dell`economia e della comunicazione sociale rivolge l’invito «a fare quanto è nelle loro possibilità, per promuovere una cultura sempre rispettosa della vita umana, per procurare condizioni favorevoli e reti di sostegno all’accoglienza e allo sviluppo di essa». «Purtroppo, anche dopo la nascita, la vita dei bambini continua ad essere esposta all`abbandono, alla fame, alla miseria, alla malattia, agli abusi, alla violenza, allo sfruttamentoafferma dopo nella sua omelia-. Le molteplici violazioni dei loro diritti feriscono dolorosamente la coscienza di ogni uomo». «Davanti al triste panorama delle ingiustizie commesse contro la vita duellammo, prima e dopo la nascita» ha concluso facendo suo l'appello di Giovanni Paolo II: «Rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita umana! Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà vera, pace e felicità».Quindi contro «tendenze culturali che cercano di anestetizzare le coscienze con motivazioni pretestuose», ha richiamato la dignità dell’embrione. «Non si tratta di un cumulo di materiale biologico, ma di un nuovo essere vivente, dinamico e meravigliosamente ordinato, un nuovo individuo della specie umana». Ha ribadito con forza il no della Chiesa all’aborto. R.M

l’Unità 28.11.10
Sia libera e dignitosa: siamo noi il vero partito della vita
La deputata radicale all’Unità: «Facciamo un dibattito con chi si arroga di difendere la vita e addita gli altri di essere per la morte»
di Maria Antonietta Farina Coscioni


Spazio, voce, visibilità a chi si batte per il diritto alla vita? Certo. Ma se qualcuno ha diritto di essere ospitato dalla trasmissione di Fazio e Saviano (e non solo quella) non sono tanto le sedicenti associazioni «per la vita», piuttosto chi, come l’Associazione Luca Coscioni, e io stessa in questi anni si batte non per accaparrarsi finanziamenti pubblici per associazioni private, quanto per consentire a tutti ripeto tutti i malati e i disabili pari opportunità nell’ottenere cura ed assistenza, ausili, e migliorare la qualità della vita dal momento della diagnosi al momento della morte, consentendo loro di scegliere.
Questa è la differenza che voglio sia conosciuta. Perché far emergere la verità sulla mancata approvazione da parte del Governo dei nuovi Livelli Essenziali di Assistenza e l'aggiornamento del Nomenclatore degli ausili e delle protesi ho dovuto digiunare e a lungo. Una lotta, elusa, ignorata. Forse perché non chiedevo e non chiedo nulla per noi radicali, per le associazioni; e pongo “solo” il problema del diritto del malato ad avere gli strumenti adeguati per decidere. Perché chiedo che con i nuovi Lea siano assicurati i fondi necessari per la qualità della vita del malato e del disabile, e che siano accreditati a questi ultimi senza mediazioni e condizioni: c’è infatti chi vorrebbe destinare milioni di euro non nella diretta disponibilità dell’interessato, ma a questa o quell’associazione, così da assicurare clientele e gestioni “amicali”.
Sia piuttosto l’interessato, o chi da lui delegato in caso di sua impossibilità, a decidere dove e come vuole vivere la malattia: in ospedale, o a casa nel caso ciò sia possibile. Il malato deve essere informato ed disporre di mezzi adeguati per scegliere: nulla di più e nulla di meno.
È poi inaccettabile che chi vuole obbligarli a fare una scelta si definisca «per la vita», e chi li vuole liberi di scegliere sia additato come «contro la vita», se non «per la morte». Mina Welby, Beppino Englaro, io stessa, saremmo il «partito della morte»? Siamo e rivendichiamo di essere il partito della vita: un’altra vita, dignitosa e rispettosa dei diritti di tutti e di ciascuno, anche di chi a un certo punto ritiene che si debba accettare che non c’è possibilità di opporsi alla morte, e chiede di essere «lasciati andare». Come papa Giovanni Paolo II, quando invocò: «Lasciatemi andare alla casa del Padre».
Ci sono, sì, due “partiti”: chi crede che una persona sia libera di disporre del proprio destino, possa decidere quando la vita non è più degna d’essere vissuta, la sofferenza senza speranza non è più tollerabile; e chi questo diritto, lo nega. Su questo a quando un confronto, un dibattito?

l’Unità 28.11.10
Essere bambini e crescere in un carcere
di Andrea Boraschi


Negli istituti di pena italiani vivono oggi, con le loro madri, 57 bambini sotto i 3 anni. Alcuni di loro hanno accesso, per poche ore al giorno, ad asili nido e strutture alternative al carcere; altri trascorrono la loro intera giornata dietro le sbarre, in ambienti spesso malsani, privi di quasi tutto ciò che ciascuno di noi prevede come diritto fondamentale e non come opzione voluttuaria per un minore di quella età. Invero esiste una legge, la 40 del 2001, prima firmataria Anna Finocchiaro, che prevedeva una serie di misure alternative alla detenzione per le madri recluse. Tuttavia questa norma si è rivelata inapplicabile in numerosi casi: per le detenute recidive, per quelle in custodia cautelare e per quante hanno pene lunghe da scontare. Ancor più, essa è stata largamente disattesa dai giudici; e si dimostra sovente inefficace per quelle madri (spesso straniere) che non hanno un’abitazione dove scontare gli arresti domiciliari.
La “reclusione” di bambini sotto i 3 anni è conseguenza penosa di una legislazione che vuole evitare una barbarie, ovvero la separazione tra madre e prole nel primo periodo di vita. La situazione che si determina, tuttavia (quei 57 bimbi oggi in carcere, i molti altri “detenuti” in passato e gli altri ancora che, nei prossimi anni, avranno il carcere come prima casa) richiede soluzioni urgenti, radicali.
A tal riguardo sono stati elaborati, negli anni, diversi disegni di legge. Le soluzioni individuate tendono da un lato a rafforzare il ricorso alle misure alternative; dall’altro prevedono la costruzione o l’approntamento di strutture specifiche, nuove case famiglia, dove le detenute possano crescere i figli in regimi di vigilanza attenuata; e, più in generale, una serie di norme aggiuntive a tutela della crescita dei minori. Un lungo lavoro di sintesi, in questa legislatura, ha portato alla redazione di un testo unico in materia. Non ne discuterò qui pregi e difetti ma ne richiamo l’importanza, pensando che la sua traduzione in legge contribuirebbe certo a migliorare la situazione. L’inizio della discussione di quel testo era stato calendarizzato dal Pd per il 29 novembre, domani, alla Camera nello spazio riservato alle opposizioni. Non si terrà, invece, perché i democratici hanno ritirato il testo per avanzare la mozione di sfiducia al ministro Bondi.
Comprensibile? Forse. Doveroso? Non direi. Di certo, per alcuni aspetti, fisiologico, se è vero che ogni crisi politica finisce per mutilare lavori assembleari talvolta preziosi, talaltra irrinunciabili. Ho l’impressione assai amara che le macerie di Pompei macchieranno anche la dignità delle istituzioni dinanzi a 57 piccolissimi innocenti. E che sui criteri che inducono a una scelta simile si potrebbe aprire un confronto davvero non banale.

l’Unità 28.11.10
Intervista a Giorgio Tonini
«Stop alle primarie. Il Pd smetta di inseguire Sel e Udc»
Modem «Gli altri devono seguire le nostre proposte e non il contrario: così selezioneremo gli alleati Con i gazebo Nichi vuole inchiodarci a sinistra»


Nessuno di noi mette in discussione l’impegno di Bersani, ma sulle alleanze bisogna capovolgere l’impostazione, sono
gli altri a doversi misurare con le nostre proposte, non noi a dover scegliere tra Casini e Vendola». Il giorno dopo la prima assemblea del Movimento democratico di Veltroni, Giorgio Tonini, uno dei parlamentari più vicini all’ex leader Pd, spiega a l’Unità che cos’è il «Pd pride» lanciato da Veltroni. «Sulla richiesta di dimissioni di Berlusconi e sull’idea di un governo di transizione alla Ciampi tutto il partito è unito. Ci divide invece la prospettiva di fondo per il dopo Berlusconi. “Pd pride” vuol dire tornare a essere al centro della scena politica, con le nostre proposte per il Paese».
Come si traduce in concreto?
«È il Pd che deve selezionare gli alleati sulla base di chi aderisce alle nostre proposte. Faccio un esempio: sull’Università non basta confondersi con la protesta. Mannheimer ci dice che il nostro elettorato potenziale arriva al 42%, eppure secondo i sondaggi siamo al 24%. Cosa manca? Secondo noi mancano proposte di governo con un profilo netto».
Stefano Fassina, autorevole membro della segreteria Bersani, dice che da voi non arrivano proposte concrete.
«Le nostre proposte le faremo a gennaio con il Lingotto 2. Volevamo farlo l’11 dicembre, ma abbiamo rinviato perché quel giorno c’è la manifestazione del Pd a Roma in cui siamo tutti impegnati. All’assemblea di Varese abbiamo lanciato la proposta di permesso di soggiorno a punti per gli immigrati: la strada è quella». Come valuta l’opa di Vendola sull’elettorato Pd?
«Se il Pd compete con Vendola sullo stesso vecchio terreno dell’egemonia a sinistra rischia di essere perdente. Come dice Follini, se noi traduciamo in prosa la poesia di Vendola, alla fine vince lui. Noi abbiamo una funzione diversa: conquistare il centro del Paese, l’Italia profonda, quella maggioranza silenziosa ormai disincantata da Berlusconi. L’errore più grave di Bersani è stato mettere in palio la leadership del centrosinistra, che spetta al Pd. Quando fu eletto Veltroni nessuno mise in discussione la sua leadership, neppure Di Pietro».
Vi potrebbero obiettare: finì male...
«Sì, ma ora rischia di andare pure peggio. Come dice Fioroni, rischiamo di perdere pure le primarie». Che fare con le primarie?
«Vanno congelate fino a quando il Pd non riprende il filo della sua proposta. Poi si vedrà». E Vendola che dirà?
«Lui vuole accelerare con le primarie e incastrarci in uno schema inaccettabile. Ma noi dobbiamo dire no: non possiamo né rinchiuderci a sinistra, a contenderci la guida di uno schieramento perdente, e neppure inseguire alleanze guidate da Fini e Casini».
E se si vota a primavera, niente primarie? «Se non usciamo da questo schema siamo già morti. Dobbiamo cambiare il quadro politico con la nostra iniziativa, non possiamo subire le primarie. La poesia di Vendola non ci porta al governo, può essere utile solo se c’è l’architrave del Pd. Siamo noi l’unico cambiamento possibile». E Montezemolo?
«Spero che sia un interlocutore, ma il punto è che anche lui rischia di intercettare una voglia di cambiamento reale, che noi dobbiamo interpretare».
Se Veltroni non si fosse dimesso ora le carte le darebbe lui... «Lo pensano in tanti tra noi. Si è dimesso perché il grosso del partito contestava la vocazione maggioritaria. Ma oggi il problema non è rimettere Veltroni alla guida del Pd. Neppure lui pensa a questo. Il punto è correggere la rotta».

Corriere della Sera 28.11.10
Nicola Latorre: «Pd, ora bisogna cambiare tutto Vendola nuovo socio fondatore»
Il senatore: c’è incertezza sulla politica delle alleanze, siamo in affanno. Renzi e Zingaretti? Partecipino anche loro alla sfida
Il dalemiano Latorre: sì alle primarie sulla leadership del partito
di Maria Teresa Meli

ROMA — «Va riscritto l'atto fondativo del Partito democratico»: parola del vice capogruppo del Pd al Senato, Nicola Latorre. Può spiegarsi meglio? «Il Pd nasce come l'atto finale di un lungo processo politico che origina nel compromesso storico. Il progetto politico dell'Ulivo prima, e del Pd, poi, aveva come obiettivo quello di realizzare la democrazia dell'alternanza e concludere la transizione italiana. Il primo obiettivo è stato raggiunto, il secondo no. Le sfide di oggi ci impongono una svolta profonda» . Ma che senso ha abbandonare il Pd? «Non si tratta di abbandonarlo. L’intuizione di Veltroni, che al Lingotto propone il Pd come forza di cambiamento, è importante. Ma poi deve fare i conti con due problemi: la politica italiana non si rivela riducibile a un sistema bipartitico. E nella prova elettorale del 2008 la scelta tattica dell'alleanza con Di Pietro si rivelerà fatale e ne comprometterà il cammino perché in netto contrasto con la vocazione maggioritaria. Quindi arriva Bersani, che colloca il Pd al centro di una strategia di alleanze e punta molto sulla costruzione del partito. Ma le difficoltà emergono sia per l'incertezza nella politica delle alleanze, sia perché il modello organizzativo tradizionale non produce gli effetti sperati. In entrambi i casi l’unica cosa mai messa in discussione è il carattere dell'atto fondativo tra ex Dc e ex Pci. Rileggere queste scelte che, sia chiaro, ci hanno visto tutti compartecipi, può aiutarci a capire le ragioni delle difficoltà e dell’affanno di oggi».
Quindi, senatore Latorre, lei ritiene che occorra superare quella "vecchia" concezione del partito. Pensa a un Pd allargato ad altri soggetti?
«No. Il nuovo atto fondativo richiede la partecipazione di nuovi soci fondatori ai quali noi non possiamo chiedere di aggregarsi al Pd. Essi devono sentirsi protagonisti di questo nuovo atto fondativo».
E chi sarebbero, oltre a voi, i soci fondatori?
«La Sel di Vendola e le espressioni di quei movimenti, anche cattolici, che stanno emergendo in nome di una domanda di giustizia e di cambiamento».
Il Pd pensa all'ennesimo partito e intanto la situazione socio-economica è esplosiva. Non la state sottovalutando?
«No, il tema alla base del nostro progetto politico non può più essere quello di come si tengono insieme gli eredi del Partito comunista italiano e quelli del cattolicesimo democratico. Oggi semmai si tratta di tenere insieme le ragioni di un radicalismo che nasce dalla natura del conflitto sociale in atto e quelle di un progetto credibile di cambiamento possibile. Noi siamo dinanzi a uno di quei passaggi cruciali che fa impallidire la sfida affrontata per entrare nell'euro. Dovremo ridurre il debito entro il parametro del 60% del Pil che oggi è al 118%. Si può perseguire questo obiettivo con una svolta nel senso di un capitalismo autoritario, oppure con una tenuta della democrazia intesa come attiva partecipazione delle diverse forze sociali. Tertium non datur».
Svolta autoritaria, non sta esagerando?
«No. La mia sensazione è che noi abbiamo archiviato in tutta fretta la vicenda Fiat. In quel modo di pensare le relazioni industriali possono esserci i germi di un'dea più complessiva di governo delle nostre società. Ci siamo divisi tra chi sta con questo e chi con quello, ma non ci siamo soffermati sul significato profondo di quel passaggio. E cosa è stato se non una risposta in chiave autoritaria alla sfida della competitività nell'era della globalizzazione? E' urgente tornare a riflettere su tutto questo. Ma c'è un altro aspetto su cui non stiamo ragionando molto. Quello della tenuta dell'unità nazionale. Non illudiamoci, non sarà più proponibile il modo di stare insieme degli italiani che abbiamo fin qui conosciuto».
Il nuovo atto fondativo è un escamotage per impedire le primarie?
«No. E' mia convinzione che siano da eliminare le primarie di coalizione. Ma è utile mantenerle per scegliere la leadership del partito».
Primarie a cui potranno partecipare tutti i soci fondatori: Vendola, Renzi, Zingaretti...
«Certo. E' esattamente quello che auspico. Così le primarie sono utili e rafforzano il partito nel rapporto con la società e i possibili alleati. Così saremo più forti anche nel proporre all' Udc un'alleanza elettorale per governare insieme questo passaggio e Casini dovrà scegliere senza alibi».
Bersani può guidare questo processo?
«Bersani ha tutte le qualità e la forza per promuoverlo».
Se si va subito al voto non c'è il tempo per fare tutto quello che lei propone.
«Se di qui alle elezioni ci sarà il tempo per fare le primarie vuol dire che ci sarà tutto il tempo per portare a compimento questa svolta. Se non ci sarà tempo per concluderla, tantomeno ci sarà il tempo per le primarie e allora in situazioni di emergenza si adottano misure di emergenza e quelle possono valutarsi solo al momento. Ma sono certo che questo tempo ci sarà».

Repubblica 28.11.10
Dio nel terzo millennio Blair sfida Hitchens
di Enrico Franceschini


Un EX primo ministro convertito al cattolicesimo e uno scrittore che predica l´ateismo. Tony Blair, premier britannico per un decennio, oggi impegnato tra le altre cose a dirigere una fondazione per il dialogo tra le fedi. E Cristopher Hitchens, giornalista, intellettuale.

Per l´ex primo ministro bisogna "badare all´essenza del messaggio di Gesù"
Al giornalista "non dispiace nemmeno il messaggio di Medici senza frontiere"
Alla base di ogni religione, c´è l´amore per il prossimo, l´altruismo, l´umiltà. Senza fede il mondo sarebbe vuoto
Possiamo chiamare Dio chi sfrutta la credulità umana? La religione spinge persone intelligenti a fare sciocchezze

Autore del recente bestseller God is not great: how religion poisons everything (Dio non è grande: come la religione avvelena ogni cosa). Due formidabili oratori inglesi si affrontano in un teatro di Toronto su uno dei temi più discussi del nostro tempo: «La religione è una forza per il bene o per il male?» Un dibattito reso ancora più appassionato dalla malattia che ha colpito Hitchens, in cura per un tumore che, secondo la sua stessa previsione, non gli lascerà molto da vivere. Eccone un estratto.

Hitchens : «La religione offre all´uomo la salvezza, al piccolo prezzo di rinunciare a tutte le sue facoltà critiche. Possiamo chiamare Dio chi sfrutta la credulità umana? Chi alimenta la fede attraverso la nostra paura della morte? Chi ci condanna alla vergogna per gli atti sessuali? Chi terrorizza i bambini con le fiamme dell´inferno? Chi considera le donne come una specie inferiore? Chi vuole farci credere che l´uomo è stato creato invece che essersi evoluto? La religione spinge persone intelligenti a fare stupidaggini".
Blair: «Lo ammetto senza problemi: molto male viene fatto nel mondo in nome della religione. Ma in nome della religione viene fatto anche del bene. Metà degli aiuti che giungono all´Africa provengono da organizzazioni religiose: cristiane, musulmane, ebraiche. Ospizi, ostelli, mense per i poveri, sono gestiti in tutto il mondo da enti religiosi. Sicché diciamo che la religione può essere distruttiva, ma anche sospingere ad atti di grande compassione. E poi quale è il concetto fondamentale alla base di ogni religione, del cristianesimo come dell´ebraismo e dell´islam, del buddismo come dell´induismo? E´ l´amore per il prossimo, l´altruismo, l´umiltà».
Hitchens: «Il signor Blair fa attualmente il mediatore di pace in Medio Oriente. Ebbene perché non si è ancora riusciti a fare un accordo sul concetto che tutti individuano come la soluzione del conflitto israeliano-palestinese, due stati per due popoli? Perché ciascuna delle due parti cita a proprio favore le promesse divine, e sulla base di quelle promesse uccide i bambini dell´altra parte. E questa sarebbe una forza che agisce per il bene nel mondo?»
Blair: «Posso assicurare, per esperienza personale, che purtroppo non solo la religione è un ostacolo alla pace tra israeliani e palestinesi. Proviamo a immaginare un mondo senza religione: d´accordo, tutti i fanatismi religiosi sarebbero scomparsi. Ma credete forse che in tal modo scomparirebbe il fanatismo? Le due più grandi tragedie del ventesimo secolo, fascismo e comunismo, sono venute da movimenti che negavano la religione».
Hitchens: «Certo che il fanatismo non scomparirebbe con la religione. Ma aspettiamo che qualche fanatico religioso metta le mani su un´arma nucleare, come succederà presto in Iran, e poi vedremo quali danni può fare il connubio fanatismo-religione».
Blair: «Ripeto, so benissimo che la religione può essere usata per azioni terribili. Ma vi chiedo di non giudicare la religione sulla base di chi ne fa un uso perverso, così come non bisognerebbe giudicare la politica attraverso i cattivi politici o il giornalismo attraverso i cattivi giornalisti. Il mondo sarebbe spiritualmente vuoto senza la religione».
Hitchens: «Ma perché? Chi lo ha detto? Socrate e i filosofi greci ci hanno dato una morale con cui riempire il nostro spirito, senza bisogno di ricorrere alla religione, che peraltro ha copiato proprio dai filosofi greci non pochi dei suoi precetti morali. È un insulto all´intelligenza sostenere che l´uomo non saprebbe distinguere tra bene e male senza la religione».
Blair: «Per te l´umanesimo è una sufficiente base morale di rettitudine. Ma per certa gente non basta. Per la maggior parte dell´umanità, la religione è una spinta fondamentale a operare per il bene».
Hitchens: «Non mi dà mica fastidio che i sinceri credenti operino per il bene. Sarei anche disposto ad accettare la religione, se si limitassero a questo. Quello che non sopporto è tutto ciò che viene costruito intorno: l´esistenza di un essere sopranaturale, i miracoli, il paradiso, l´inferno. Insomma, andiamo, siamo nel ventunesimo secolo, sappiamo cosa dice la scienza!».
Blair: «Ma nelle religioni c´è spazio per diverse interpretazioni. Non badare all´inferno e al paradiso, alle tradizioni che accompagnano le manifestazioni e i riti della fede. Bada all´essenza di quel che dicono le sacre scritture. All´essenza del messaggio di un uomo chiamato Gesù».
Hitchens: «A me non dispiace neanche il messaggio di Medici senza Frontiere».
Blair: «Comunque penso che un confronto come questo sia positivo, per i credenti come per chi non crede».

l’Unità 28.11.10
False notizie
Se il mondo diventa il paradiso delle balle
Disinformazione La criminalità declina da vent’anni ma nessuno lo dice. La Cina è una paese pacifico ma viene definito aggressivo. L’Europa non vuole soluzioni violente, si dice. E allora come si spiegano le crescenti spese militari?
di Pino Arlacchi


Inizia oggi un nuovo appuntamento, più o meno regolare, chiamato «Bufale e inganni». Condividerò con i lettori sia riflessioni legate all’attualità della politica soprattutto internazionale, sia argomenti più meditati. Il filo conduttore sarà la critica delle distorsioni informative, delle false notizie e degli stereotipi a senso unico che hanno l’effetto di annebbiare le nostre coscienze. Metterò a disposizione le conoscenze che ho accumulato in decenni di studio e di impegno nella vita pubblica, e che mi hanno portato alla convinzione che siamo vittime di un grande inganno, che ci impedisce di proseguire lungo la strada del progresso e dell’emancipazione.
Il grande inganno è una gigantesca manipolazione delle coscienze, effettuata su una scala mai conosciuta in passato. Viene prodotto dai conglomerati dell’informazione, dai governi, dagli apparati militari e della sicurezza, prevalentemente americani.
Il grande inganno produce senza sosta una delle emozioni più potenti: la paura. Un senso di angoscia che ha finito con l’avvolgere quasi ogni notizia e valutazione sui fatti del mondo. Mi ha molto colpito l’affermazione di un noto giornalista, Giampaolo Pansa, che ha condensato in poche righe il significato peggiore del grande inganno: «Per anni la lettura dei quotidiani, ogni mattina, è stato il rito professionale che dava inizio alla mia giornata e mi spalancava una finestra sul mondo. Oggi la mazzetta della carta stampata mi dà ansia, non vorrei aprirla per non provare nuovi terrori». Ma questo tipo di paura è al tempo stesso un’emozione artificiale, indotta, perché ha solo tenui riscontri con ciò che accade. La produzione del panico implica la diffusione di menzogne che hanno lo scopo di metterci sulla difensiva e farci sentire più fragili di quanto siamo.
Il grande inganno è un’operazione reazionaria. È di destra, nel senso della sfiducia e dell’odio verso il progresso e l’emancipazione umana. Esso costruisce mostri dove esistono solo alterità scomode. Inventa pericoli mortali dove agiscono solo processi di cambiamento che rovesciano vecchi equilibri. Qualche esempio.
Da occasione di crescita della stabilità globale, l’attuale ascesa della Cina viene trasformata in una fonte di apprensione e di conflitto. Le cifre sulla spesa militare cinese vengono inflazionate oltre ogni misura ed il loro significato stravolto per agitare lo spauracchio di una Cina intenta a soverchiare il mondo. Si inventano dal nulla scontri e guerre prossime venture tra India, Cina e Giappone ignorando tutte le evidenze contrarie. E ignorando che la Cina è una potenza essenzialmente pacifica, che ha fatto pochissime guerre, ed i cui filosofi avevano “scoperto” la superiorità della pace e predicato l ́avversione alla guerra 2500 anni prima che l’Occidente pervenisse alla stessa conclusione.
L’emersione dell’Unione Europea come potenza civile, non aggressiva, che preferisce soluzioni non militari alle crisi internazionali, che non si sente attaccata né minacciata da nessuno, viene etichettata nei termini di una “Venere” europea contrapposta a un “Marte” americano. E si invitano gli europei a raddoppiare la loro spesa militare per potersi misurare con i cataclismi incombenti. E che non si materializzano mai.
Il recupero della Russia dopo 10 anni di capitalismo mafioso, e il suo rientro nella scena internazionale con un programma di tranquilla cooperazione multilaterale è stato accolto dai signori del grande inganno come una nuova minaccia posta da un regime tirannico al sistema internazionale.
Posti di fronte al declino del terrorismo internazionale, si rispolvera l ́imbroglio dello scontro di civiltà con l ́Islam. E si amplifica oltre ogni limite un episodio isolato, senza antecedenti né conseguenze catastrofiche, cioé l’attacco terroristico dell ́11 settembre 2001, giungendo a paragonarlo a una quarta o quinta guerra mondiale.
Vari governi europei stanno cavalcando in questi anni il tema dell’emergenza criminale che sarebbe stata creata dall’immigrazione. L’inganno qui consiste nel negare l’evidenza più palmare. La criminalità violenta declina in gran parte del pianeta, e non da oggi, ma da quasi venti anni. Non esiste, inoltre, alcuna correlazione tra aumento della criminalità e immigrazione.
A questa frode si prestano molti media occidentali, che promuovono l’isteria collettiva sui crimini commessi da stranieri. Il silenzio più totale è calato, perciò, sulle ricerche compiute nelle più prestigiose università americane, che dimostrano come l’ultima ondata migratoria abbia addirittura fatto diminuire la criminalità violenta negli Usa (e forse anche in Europa). E se a quanto detto finora aggiungiamo la quasi scomparsa delle guerre internazionali e dei genocidi, il crollo delle guerre civili e dei colpi di stato perfino in Africa, e la parallela espansione dei regimi democratici e degli strumenti della distensione e della cooperazione tra popoli, abbiamo gli elementi per comporre un quadro opposto a quello dipinto dai costruttori di paura.
Nel corso dei prossimi appuntamenti, denunceremo uno per uno gli spettri del disordine e del caos planetario che vogliono derubarci della nostra capacità di progredire, di risolvere i grandi problemi proprio nel momento in cui disponiamo di risorse immense per affrontarli. Sono stato al vertice delle Nazioni Unite, e se c’è una cosa che ho imparato dal trattare i drammi del pianeta, è che non ci sono problemi umani, creati dagli uomini, che gli uomini stessi non siano in grado di risolvere.

Corriere della Sera 28.11.10
Menzogna
Come costruire un falso e diffonderlo nel mondo
Nella storia gli ebrei non sono le uniche, ma le più ricorrenti vittime del pregiudizio
dialogo di Claudio Magris con Umberto Eco


Claudio Magris (Trieste 1939) scrittore
Se una tesi è folle, proprio perché folle, non può essere razionalmente confutata, così come non si può confutare un pazzo. Nella storia si diffondono idee deliranti, o anche solo pregiudizi, resistenti e impermeabili a tutte le smentite da parte della ragione e della realtà
Umberto Eco (Alessandria, 1932) scrittore e semiologo
Quello che il mio romanzo cerca di mostrare è che i dossier, e anche i testi antisemiti, sono composti unicamente da ritagli stampa, e quasi sempre di stampa scandalistica, perché la gente, compresi i capi dei servizi segreti, credono solo a quello che hanno già sentito affabulare

Umberto Eco — I romanzi di avventura non affascinano soltanto noi, che dici, persone dalle letture sofisticate. Quello che il mio romanzo cerca di mostrare è che sono stati usati proprio per la stessa costruzione dei testi antisemiti, perché la gente (compresi i capi dei servizi segreti) credono solo a quello che hanno già sentito affabulare da qualche parte. Per questo, ancora oggi, i dossier segreti sono composti unicamente da ritagli stampa, e quasi sempre di stampa scandalistica, il feuilleton dei giorni nostri.

C’è un sito Internet che farebbe la delizia di Umberto Eco e che, se gli fosse capitato sott’occhio, avrebbe potuto essere incluso in quel Sabba di deliri, falsificazioni, truffe e pasticci granguignoleschi che è il suo ultimo romanzo Il cimi
tero di Praga. Il sito si intitola Nazismo. E’ una setta neopagana di origine manichea e sostiene che il nazismo sia una congiura ebraica, un orrore creato e voluto dagli ebrei; non si nega Auschwitz ma si dice che a commettere quelle efferatezze, poco importa se su propri correligionari, sono stati gli ebrei, che i più nefandi gerarchi nazisti erano ebrei e così via. Il Terzo Reich sarebbe stato dunque uno dei tanti criminosi tentativi ebraici di dominare il mondo.
Questa tesi, proprio perché è folle, non può essere razionalmente confutata, così come non si potrebbe confutare un pazzo il quale sostenesse che siamo tutti pazzi e che ciò che crediamo di vedere — la nostra casa, il Duomo di Milano, il mare di Trieste — non esiste ma è solo il frutto del nostro delirio; se fossimo veramente folli e se quelle fossero veramente solo nostre allucinazioni, non potremmo accorgercene ed esserne consapevoli. Questo è un caso estremo, fortunatamente relativo a pochissime persone o magari a una sola, di un fenomeno sciaguratamente diffuso ossia della terribile forza delle idee deliranti e anche solo del pregiudizio, della loro resistenza e impermeabilità a tutte le smentite da parte della ragione e della realtà.
Nella storia, gli ebrei non sono le uniche, ma sono le più ricorrenti vittime del pregiudizio spinto sino al vaneggiamento e all’atrocità. Chi è convinto a priori che gli ebrei commettano omicidi rituali non si scoraggia se nessuno di questi delitti è stato dimostrato, perché nella sua mente sviata ciò che conta non è il fatto accidentale che tale delitto sia stato o no perpetrato, bensì la criminosa vocazione a commetterlo latente a suo avviso nell’animo dell’ebreo, vocazione che non può essere verificata e dunque nemmeno confutata.
Sia per quel che riguarda tragedie delittuose come l’antisemitismo o la persecuzione di altri popoli, gruppi, classi o religioni, sia per quel che riguarda preconcetti meno feroci ma sempre potenzialmente violenti, siamo quasi tutti inclini a soggiacere al pregiudizio, a vedere ciò che a priori siamo convinti che vedremo. Ho già raccontato come un mio professore di liceo, peraltro ottima persona, raggiunto sulla testa calva da una pallina di carta, si fosse messo ad accusare un allievo innocente e, anche quando il vero colpevole si era alzato dicendo di essere stato lui, avesse continuato a dire che, sì, in quell’occasione le cose si erano svolte in quel modo, ma che l’altro, con la sua prava tendenza a gettare palline (anche se quella volta non l’aveva fatto) era da tenere d’occhio… Leopardi osserva sconsolato che il pregiudizio è più forte della ragione e che spesso la lotta non è tra questi due, bensì fra un pregiudizio e un altro…
Nel Cimitero di Praga non sono solo gli ebrei a essere accusati — in base a documenti falsi o nascosti o inventati o supposti o autentici ma fraintesi — di mirare con tenebrose e turpi trame al dominio sul mondo; insieme ad essi — e quasi interscambiabili pur essendo in molti casi loro avversi — ci sono i gesuiti, i massoni, i garibaldini, i monarchici, mentre anche accusatori, delatori e falsari si scambiano ruoli, nazionalità, appartenenze ideologiche.
«Il fatto che gli ebrei siano al centro di queste macchinazioni — chiedo a Umberto Eco — sta a significare pure che essi sono i perseguitati e calunniati per eccellenza e quindi in tal caso simbolici rappresentanti di tutte le vittime della menzogna, un terribile modo di essere il Popolo Eletto?».
Umberto Eco — Una volta Avraham Yehoshua mi aveva chiesto di partecipare a un libro collettivo (non so se poi l’abbia messo insieme) in cui si domandava praticamente «perché proprio gli ebrei?». Ricordo che allora gli avevo detto di no perché, qualunque cosa avessi detto, ci sarebbe stato un ebreo che si sarebbe arrabbiato — dato che in queste cose i «goym», i gentili, non devono mettere naso. Ora il naso ce l’ho messo ma non ho voluto rispondere a questa domanda. Tu, in particolare in Lontano da dove, hai cercato di capire il mondo ebraico, almeno quello dell’est Europa, dal di dentro, ed è grazie a te se lo abbiamo capito meglio. Io di proposito nel mio romanzo di ebrei non ne ho messi, salvo una ragazzina che appare per mezzo minuto, e un dottor Freud di passaggio. Il mio personaggio, antisemita feroce, di ebrei non ne ha mai incontrati. E’ questo l’aspetto dell’antisemitismo che mi ha sempre colpito. Si può essere antisemita senza aver mai visto un ebreo, come si può essere fondamentalmente pedofilo senza aver mai avuto il coraggio di toccare un bambino. Quello che io metto in scena è il discorso dell’antisemitismo, ed è questo che ossessiona il mio Simonini, che «vende» gli ebrei come fantasma, come un Altro che è necessario immaginare per rinforzarsi nella propria identità nazionale o provinciale. Dice nel romanzo Rachkovskij, il capo dello spionaggio russo, che gli fanno comodo gli ebrei perché ci sono ebrei in Russia, se lui dovesse occuparsi della Turchia se la prenderebbe con gli armeni. Ora, se dovessi adesso rispondere a Yehoshua, direi che tutti gli Altri che sono apparsi nel corso della storia (pensa ai barbari dei Romani o dei Greci, o alla serie degli eretici) hanno avuto vita breve. Gli ebrei, popolo del Libro, a causa della forza della loro cultura e della loro capacità di mantenere intatta la loro identità nei secoli, si sono qualificati come l’Altro più resistente, e quindi su di essi si scarica (quasi per inerzia) l’odio — o almeno la diffidenza — per il diverso.
Claudio Magris — Nel romanzo il personaggio principale, se così si può definirlo, si sdoppia; è una ripresa del grande mito del doppio che si trova in tanta letteratura e anche nella vita concreta, come ad esempio quel caso clinico del carpentiere Ansel Bourne che un bel giorno si convinse di essere, almeno a intervalli, il negoziante Albert Brown; ognuno dei «due», quando era il suo turno, non sapeva di essere stato l’altro. Sembra ci siano stati casi — rarissimi — di un individuo con sedici personalità alternanti; del resto non è stata ancora localizzata, nel cervello, la sede dell’autocoscienza. Ma nel romanzo non solo Simonini e Dalla Piccola, ma quasi tutti sono in qualche modo «altri», fluidi rispetto a se stessi, in una giostra vorticosa in cui i personaggi sono come maschere che ci si toglie e ci si mette, ed esiste forse solo il girotondo farsesco e crudele della vita…
Umberto Eco — Il doppelgänger, il doppio, è fondamentale nella storia della letteratura. Quando ho scritto L’Isola del giorno prima, che era romanzo «in barocco», sono stato obbligato a introdurre un doppio perché i trattatisti dell’epoca lo ritenevano indispensabile in un romanzo. Nel caso di questo ultimo romanzo, ovviamente, la doppiezza faceva parte essenziale del personaggio e del mondo che lo circondava, e sono andato a cercare negli studi sull’isteria di Charcot e compagnia la fenomenologia dell’io diviso. Il dramma si raddoppia quando l’Altro, oltre che davanti a te, è dentro di te.
Claudio Magris — Una forma di pregiudizio delirante che è da sempre un tuo bersaglio preferito è la febbre del complotto, la mania di vedere dovunque congiure, intrighi, manovre segrete. Sul piano individuale come su quello collettivo, la paranoia è sempre in agguato ed ha una forte suggestione. Non ti sembra tuttavia che la cronaca politica offra sempre più motivi per chiedersi se non vi siano realmente trame oscure, complotti volti a soffocare sempre più le libertà? Sappiamo forse quello che è successo a Ustica o nell’assassinio di Kennedy? Quando la verità appare pericolosa per l’ordine esistente, essa viene a galla soltanto quando non è più politicamente efficace e pericolosa, ossia troppo tardi.
Umberto Eco — Io penso che i complotti siano sempre esistiti, come quello per uccidere Giulio Cesare o l’accordo tra Vittorio Emanuele III, Badoglio e Grandi per deporre Mussolini. Ma quando riescono, vengono subito alla luce (pensa al complotto della P2, non solo viene alla luce, ma i suoi uomini sono ora al governo), e a maggior ragione vengono alla luce quando falliscono, dalla congiura di Catilina al Piano Solo. Quelli che tu citi sono misteri irrisolti (Ustica può essere dovuto a mille motivi oltre che a un complotto e così dicasi dell’assassinio di Kennedy). Ci possono essere azioni di copertura perché i misteri irrisolti rimangano tali. Ma la paranoia del complotto (e i Protocolli dei Savi di Sion ne sono l’esempio più malauguratamente insigne) consiste nel pensare a un complotto permanente, alla presenza di un direttorio occulto che dirige le sorti del mondo — quando neppure il presidente degli Stati Uniti ci riesce. La paranoia del complotto esclude dalla storia la complessità, l’imprevisto, la serendipità, la libertà del caso, le astuzie della ragione, l’eterogenesi dei fini. Per questo è paranoia.
Claudio Magris — Ti ho visto in una trasmissione televisiva ammirando la tua gattesca genialità nel non lasciare intrappolare il tuo libro in alcuna gabbia ideologica. Sono rimasto tuttavia perplesso, perché tutte le domande vertevano su fatti e problemi, l’antisemitismo, i massoni, i gesuiti e così via, come se si stesse discutendo di uno studio storico e non di un romanzo, in cui contano sì i fatti e le idee, ma conta soprattutto come essi vengono raccontati, reinventati, come diventano linguaggio. Ci si ricorda certo del pensiero di Aristotele o delle eresie nel Nome della rosa, ma quel che resta per sempre in cuore è la poesia del mistero nascosto nella geometria, dell’amore, del vento sul fiume o sul fuoco, la malinconia di conoscere solo i nomi della vita e non la vita…
Umberto Eco — Dovresti sapere per esperienza diretta che la gente non sa leggere i romanzi. Non sa leggere neppure i saggi, ma la maggior parte delle persone che ti scrivono dopo che hai pubblicato un’opera di narrativa, sono andati a controllare se quella cosa là è accaduta davvero, o attribuiscono all’autore le cose dette da un personaggio. Dopo il mio Nome della rosa sapessi quanti volevano sapere dov’era il manoscritto a cui mi ero ispirato, senza accorgersi che era un’allusione, peraltro sin troppo chiara, al manoscritto manzoniano. Però penso sia giusto che per il mio romanzo ultimo ci si sia appuntati sui suoi contenuti «storici»: a me non importa tanto che se ne apprezzi la tecnica narrativa (anche se ci ho faticato tanto) ma, per così dire, l’impulso morale. Volevo contribuire a smontare un mito che sopravvive sempre. Un recensore poco amichevole ha chiesto perché dovevo perdere tempo a dimostrare che i Protocolli sono un falso quando è già stato ampiamente dimostrato. Ma santiddio, proprio perché, malgrado tante dimostrazioni, nella maggior parte del mondo continuano a prenderlo sul serio. Sarebbe come dire che non ci si deve occupare di confutare i negazionisti perché si sa benissimo che sono dei pazzi. Però continuano a convincere un sacco di gente. Ho scritto sperando che un romanzo sia più persuasivo di un saggio, e ho usato la forma romanzo per raccontare una storia vera — in fondo sai bene che se sappiamo qualcosa di Mazzarino è perché ce lo ha detto Dumas, e baobab e paletuvieri li conosciamo attraverso Salgari.
Claudio Magris — Sì, quelle incomprensioni accadono spesso e in particolare, forse, nei confronti di autori come noi, dai quali ci si attende sempre qualcosa di «oggettivo», di storico o di scientifico… A me accade con Danubio e anche con altri libri ben più inventati. A parte questo, il complotto, l’intrigo sono elementi costitutivi del romanzo d’avventura, di cappa e spada. Siamo entrambi persone di letture anche sofisticate, ma a formare il nostro immaginario sono stati essenzialmente i romanzi d’avventura, in cui tutto è possibile, insieme oscuro e giocoso, e sempre si tendono agguati e tranelli e si tessono piani delittuosi. Gli intrighi e veleni di Milady, i disegni di Richelieu nei Tre moschettieri, il perfido piano contro il Conte di Montecristo seducono anche chi si affanna a non credere ai complotti, ma la cui fantasia si infiamma al primo accenno di un intrigo…

Corriere della Sera Salute 28.11.10
È la mente, non il cuore, il vero zingaro


Donne e uomini non sempre sono concentrati su ciò che stanno facendo, perché non possono fare a meno di viaggiare con la mente. Circa il 30% delle persone lo fa durante tutte le attività quotidiane.
Ma far volare i pensieri non serve sempre ad aumentare il senso di benessere psicologico. Lo indica uno studio pubblicato sulla rivista Science, condotto da ricercatori dell’Harvard University di Cambridge (Usa), che hanno creato un’applicazione per iPhone che contatta le persone in momenti casuali della giornata ponendo loro domande. In questo esperimento ai 2.250 adulti coinvolti sono stati posti quesiti sul loro grado di felicità in quel momento, su che cosa stessero facendo, e se stessero pensando a qualcosa di diverso rispetto all’azione in corso. Si è così scoperto che esiste una scala di crescente felicità provata durante varie azioni quotidiane: si va dal livello minimo del sonno e del lavoro, al momento del trasferimento per pendolarismo, al fare i lavori di casa, leggere, prendersi cura dei figli, ascoltare musica, parlare con gli altri, fare esercizio fisico, fino al fare l’amore. Il livello di felicità è però influenzato anche dal contemporaneo vagabondaggio mentale: è minimo quando si pensa a qualcosa di spiacevole, per poi crescere se si pensa a qualcosa di piacevole. Ancora maggiore risulta però il benessere psicologico quando la mente non vola ed è concentrata su ciò che si sta facendo. «La mente umana è vagabonda» affermano i ricercatori, «e una mente vagabonda è una mente infelice. Saper pensare a qualcosa che non sta succedendo in quel momento è un traguardo cognitivo, che però ha un suo costo emotivo».

il Fatto 28.11.10
Le età dell’innocenza
di Furio Colombo


Curiosa storia italiana: un acceso dibattito su (tra) giovani e vecchi continua nelle stanze della politica, mentre giovani veri occupano dovunque gli spazi vuoti. Il potere inerte, più o meno giovane, più o meno anziano non vede.
Quanto conta l’età in politica, un mondo nel quale uno dei più giovani presidenti degli Stati Uniti (45 anni all'inizio della campagna elettorale) è stato lanciato e sostenuto dal senatore Kennedy (vicino agli 80 anni)? C’è il tempo dell’età, che, quando è avanzata, è venerabile e saggia. E c’è il tempo dell’età, che, quando è giovane, deve farsi largo a spallate per non restare prigioniera dei morti.
I due movimenti, che quasi regolarmente si alternano nel percorso diverso ma identico, di tanti gruppi umani, di solito è legato alla tecnologia. L’evoluzione graduale è a vantaggio degli anziani che sono in grado di passare insegnamenti utili ai più giovani. Il cambio brusco e totale è l’arma dei più giovani che portano conoscenze e tecniche nuove di cui gli anziani non sanno niente e hanno una ragione in più per sgomberare il campo: se ne vadano subito gli anziani incompetenti. Poi ci sono periodi vuoti della storia, o almeno estenuanti intervalli, in cui è ancora in scena la coda del corteo (“il vecchio corteo”) e la testa del nuovo corteo si sta appena affacciando. Ora è legittimo sostenere che il corteo giovane non può farsi avanti perché il corteo dei vecchi occupa ancora lo spazio e ogni passaggio è bloccato dalle cariatidi del prima. La constatazione è nello stesso tempo vera e falsa, rivelatrice e inutile, accurata e sfuocata.
SE CONFRONTATA con il passato, poi, risulta priva della conoscenza di fatti che hanno sempre segnato l’avvicendarsi di generazioni. Chi esce non solo si porta via il fardello dell’età e il privilegio del potere, ma anche le “vecchie idee”, contro cui il mondo si ribella. Chi entra si è fatto spazio con l’impeto e il diritto dell’età, ma trasportando dentro (“dentro” è lo spazio della storia) idee nuove. Nuove al punto da essere sconvolgenti. È stato il caso dei Lumi, della rivoluzione francese, di quella americana, del fascismo, dell’occupazione leninista del marxismo. In altre parole, non resta traccia del subentrare di una nuova leva, quando i giovani sono uguali ai vecchi. Ovvero è ordinaria amministrazione da registro di stato civile. Eppure c’è ancora chi si impegna a descrivere l’ingorgo della politica con una sequenza di date di nascita. È vero che Matteo Renzi ha solo 35 anni (forse non per sempre) e che Umberto Veronesi ne ha 86. Ma possiamo dire che è questa la differenza tra i due? È verissimo che molti posti e luoghi della politica sono occupati (per esempio nel Pd) da sessantenni. Ma è anche vero che – tra gli studi di avvocati o di medici – è probabile che dominano la scena siano guidati da professionisti non tanto giovani, che sono arrivati dove sono arrivati con anni di lavoro. Se mai, il giudizio cade sul tipo di successo. Un avvocato di successo è Cesare Previti. Vogliamo dire che il suo problema è l’età? Sto facendo riferimento al lancio di una nuova pubblicazione. Si chiama “Week” e inaugura la copertina con i ritratti di Berlusconi, Fini, Bossi, D’Alema e la scritta “Siete vecchi”. Il titolo della pubblicazione è più generale: “Il potere dei grandi vecchi”.
PROGETTO grandioso. Annuncia che la pubblicazione si occupa di demografia e di politica. Demograficamente si tratta di dimostrare se è vero che tutti i percorsi di comando sono bloccati da grandi vecchi che impediscono il passaggio ai nuovi giovani. Il demografo risponderebbe: certe volte sì, certe volte no. Qualche volta per ragioni di valore (Luciano Berio è morto mentre, a 76 anni, era il presidente dell'Accademia di Santa Cecilia, ma era anche il più grande compositore italiano nel mondo), molte altre (imprese, finanza, banche) per ragioni di monopolio personale di un potere. Ma la domanda del politologo è un’altra, completamente diversa: qual è il giudizio politico? Esempio: due grandi capi di Stato, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, alla stessa età erano altrettanto vecchi? Qualcuno ha mai pensato al ritiro o al pensionamento di Papa Wojtyla? E perché i due settantenni che – negli Usa – sono stati appena eletti a capo delle due maggioranze, alla Camera (repubblicana) e al Senato (democratica) non sono visti come vecchi ma come espressione di parti dell'elettorato? Il politologo osserverebbe che l’irrompere dei giovani su una scena occupata da anziani avviene solo in due modi: forza fisica e nuove idee. In qualche caso (il fascismo) l’uno e l’altro. Nuovo non vuol dire sempre migliore . Ma in certi momenti della storia l’elemento antropologico – puro e semplice diritto generazionale di entrata – prevale. Accade soprattutto se gli anziani o i semianziani non si pongono il problema di fare spazio di propria iniziativa. Questo fatto, non l’età giovane, tanto spesso impropriamente citata, segna la vita politica di altri Paesi. Ho parlato del senatore Ted Kennedy, come il vero grande scopritore e sostenitore di Obama. Il più vecchio, senatore, rieletto otto volte, ha aperto la strada presidenziale al più giovane, eletto al Senato per la prima volta. Ma il politologo ricorderebbe anche che, in America, Paese giovane, nessuno ha mai trovato “troppi” gli ottant’anni del senatore del Massachusetts, e mai nessuno, compresi gli avversari, ha mai pensato che la candidatura del giovane Obama presentata da quel senatore troppo anziano fosse da rifiutare perché iniziativa della classe anziana.
Copertina e articolo di “Week” sono la terza spallata generazionale in un mese. È un mese segnato da un caos nel quale l’attivismo disordinato e incontinente del presidente del Consiglio una incontinenza pubblica e privata non ha come carattere la vecchiaia, che pure si nota, ma prepotenza, ricchezza, arroganza, compravendita e ricatto di un giacimento politico morente, morente in senso politico. Eppure “Week” pensa che l’Italia sia bloccata dalla vecchiaia, non dal malgoverno. È più o meno la stessa idea di Matteo Renzi, che ha invitato d’urgenza gli “Under Forty” a Firenze con accesso garantito (5 minuti) al microfono cercando non un’idea o un progetto, ma il certificato di nascita.
QUASI NEGLI STESSI giorni, con un'iniziativa identica, il ministro della Gioventù Giorgia Meloni invita a Roma, affinché si esibiscano nel circo da lei inventato, “i giovani talenti”. Come se il talento, in Italia, fosse bloccato dalla barriera dell’età e non da quella di corporazioni neomedievali impenetrabili impegnate a sorvegliare gli ingressi e a imporre percorsi di cooptazione per affinità e parentela. Come finisce il circo della giovinezza se ci si batte per il posto occupato nella stessa fila davanti a noi invece che scardinare lo stato delle cose con una diversa idea del mondo, della vita, degli altri esseri umani, del mio futuro, di quello degli immigrati? Va a finire, con la nuova pubblicazione e il suo di\rettore Adinolfi, come il loro campione generazionale un certo Filippo Candio che, a soli 27 anni, ha vinto tre milioni di dollari ai mondiali di poker a Las Vegas. Alcuni di noi, anche in tarda età, pensano che i giovani impazienti ed esclusi abbiano un loro progetto, un sogno un poco più grande della realtà in cui sono bloccati. Infatti sono in arrivo. Ma non sono diretti verso le stanze interne della politica.

il Fatto 28.11.10
Lessico familiare
Gudrun Himmler Allucinazioni di una figlia devota
Ricordi  d’infanzia di una vecchietta che organizza raduni nostalgici: “Andai in gita a Dachau. Ho visto i disegni dei prigionieri, non ricordo fossero tristi”
di Marco Dolcetta


Sembra di vivere un incubo del passato, ma è la realtà: bandiere, elmetti nazisti, saluti e mano alzata, dopo qualche ritegno iniziale si passa al cameratismo spiccio, ci saranno pure i poliziotti in borghese a vedere, registrare, filmare, ma loro se ne fregano …
Alla periferia sud di Monaco di Baviera, in un anonimo villino bianco abita una coppia di anziani signori. Sono i coniugi Burwitz. Lui molto abbronzato, giovanile, di professione giornalista scrittore. La cosa più sorprendente di questo signore è la sua capacità di ricordare e citare a memoria, minuto per minuto il succedersi degli avvenimenti della vita di suo suocero che fra l’altro non ha avuto l’opportunità di conoscere. La moglie Gudrun è la figlia di Heinrich Himmler, alta, segaligna, occhi chiari, espressione lievemente vaga. La cantina di casa è zeppa di foto, archivi, documenti… hanno un figlio, avvocato per una multinazionale bavarese . La missione della signora è sostanzialmente una: la celebrazione annuale della figura del padre. Lei è la vera guardiana della tomba paterna e fa rivivere il suo ricordo, una domenica del mese di ottobre in occasione dell’anniversario della nascita di Himmler.
DALLE SUE PAROLE trapela ancora oggi una visione allucinata della realtà. “Da piccola mio padre mi portò in gita a Dachau: ho visto tutti disegni dei prigionieri e non mi sembrava che ci fosse tristezza ne angoscia. Oggi in onore di mio padre, continuo la mia missione organizzando l’associazione Freiwillige, che garantisce una felice vecchiaia agli anziani volontari SS.” Altra organizzazione di supporto mutuo ai vecchi militari SS è la “Stille Hilfe”: giovani avvocati finanzierei, professionisti, che nel mondo intero, Priebke insegna, sostengono e proteggono i vecchi nazi sopravissuti. Da più di quarant’anni Gudrun Himmler ne è colonna portante. Da Priebke al suo superiore, Herbert Kappler; dal carnefice di Milano, Theo Saevecke, al torvo guardiano di Theresienstadt, quell’Anton Malloth appena condannato all’ergastolo a Monaco, dopo aver vissuto per oltre 40 anni a Merano; da Klaus Barbie, il boia di Lione, a Josef Schwammberger, famigerato responsabile del lager di sterminio di Rozwadow, in Polonia, l’elenco dei carnefici beneficiati dall’organizzazione è lungo e impressionante.
La nascita di «Stille Hilfe», avviene nel 1951, quando un gruppo di ex ufficiali delle SS e autorità delle due Chiese, cattolica e protestante, fra cui l’allora vescovo di Monaco, Johannes Neuhaeussler, decidono di fondare una società «per aiutare in silenzio tutti coloro che hanno perduto la libertà, in conseguenza di fatti accaduti durante la guerra, per i quali non erano personalmente responsabili». In realtà, per loro «Stille Hilfe» raccoglie denaro, procura discreti luoghi di rifugio, allevia le condizioni di prigionia, paga le spese legali, cerca appoggi politici per scarcerazioni anticipate. E spesso opera in sintonia con i servizi segreti di mezzo mondo, come nei casi di Alois Brunner e Klaus Barbie.
I CANALI e i simpatizzanti non mancano. I capi della Csu bavarese, Alfred Dregger e Franz-Josef Strauss, l’ex deputato europeo Otto d’Asburgo, il principe Casimiro zu Sayn-Wittgenstein, l’ineffabile tesoriere della Cdu dell’Assia che, per giustificare l’origine dei fondi neri di Helmut Kohl, si inventò l’infelice bugia dei soldi lasciati in eredità al partito da ebrei tedeschi, emigrati in Sud America e morti laggiù. Ancora, un discreto numero di procuratori della Repubblica, come il bavarese Klaus Göbel, l’amburghese Juergen Rieger o quello di Dortmund, Klaus Schacht. Perfino in Vaticano, gli ex nazisti troverebbero i contatti necessari. Durante il processo a suo carico, alla domanda dei giudici su chi lo avesse aiutato nella latitanza del Dopoguerra, Josef Schwammberger rispose lapidario: “Il Papa”. A coordinare il tutto, l’infaticabile e carismatica Gudrun Burwitz, nel nome del padre: “Da lei erano come terrorizzati racconta il giornalista Andrea Röpke, che prese parte a un incontro in Austria, tutti quegli ex ufficiali stavano in riga mentre lei interrogava uno per uno, "lei dove ha servito?", mostrando di conoscere alla perfezione la logistica militare del Terzo Reich”.
“Di mio padre” , racconta Gudrun Burwitz , “io ho un ricordo molto vago perché l’ho visto pochissime volte, naturalmente l’ho mitizzato, tutti avevano un sacro profondo rispetto per lui, non l’ho mai associato a una figura di persona che potesse incutere paura, anzi, con me era molto dolce e mi regalava sempre tante cose. Addirittura, alla vigilia di Natale 1939, arrivò tardi la sera e evidentemente non aveva provveduto a farmi regali ne aveva avuto idea di cosa io volessi in regalo. Ci recammo cosi con la sua grossa auto e la scorta nel più grande negozio di giocattoli di Monaco di Baviera, Per me era come un paradiso in terra, dovevo potevo esaudire tutti i miei desideri: le bambole, i trenini elettrici … Ricordo tutto il personale schierato, sorridente, benché fosse la notte di Natale, davanti a mio padre che prendeva nota sul suo taccuino di tutti i desideri che io avevo. Il miracolo è stato la mattina dopo tutto era sotto l’albero di Natale. Mio padre era stato un superuomo nel suo contatto diretto con Babbo Natale e le renne… La velocità con cui si erano realizzati i miei desideri mi ha talmente colpito che ancora oggi la racconto a chi mi chiede cosa rappresentasse per me Henrich Himmler, mio padre”. Il marito, Wulf-Dieter, aggiunge: “Ho sposato Gudrun perché mi sono innamorato di lei, ma questo solo con il passare degli anni perché inizialmente ero innamorato della figura di suo padre: lei stessa, ed anche poi quando l‘ho conosciuta la sua sorellastra Irma Posthat, che assomiglia come una goccia d’acqua pur essendo figlia di Himmler e della sua segretaria, mi chiedono – loro a me tutti i dettagli della vita giorno per giorno di Himmler, che conosco a memoria”.
A PARTIRE dal 1950 ci sono due date di riferimento obbligato per questo tipo di celebrazione: la prima appunto la prima domenica di ottobre ad Ulrichsberg, un piccolo paesino in Carinzia in Austria a pochi chilometri dal confine italiano. Ma dopo la morte di Haider e le polemiche dell’avvenuta celebrazione, si riuniscono nella clandestinità, date e luoghi misteriosi come un rave party. La seconda, 30 aprile, giorno a ridosso della fine della Seconda Guerra Mondiale, nelle campagne nei dintorni di Norimberga. Il comitato organizzatore è quello che fa capo alla rivista mensile degli ex combattenti delle SS “Freiwillige”, i volontari. E’ curioso durante questi raduni, vedere come la signora Burwitz sempre molto austera come una first lady che si aggira chiacchierando amabilmente con vecchi amici di suo padre sembri a volte agli occhi dei neofiti sdoppiarsi quasi avesse un dono dell’ubiquità. Il raduno di Ulrichsburg durava tre giorni: si alternavano le messe, le parate dei vecchi e dei giovani. Le persone anziane spesso erano accompagnate dalle loro mogli. I giovani, che sono sempre più numerosi, solitamente si suddividono in tre categorie: la prima è formata da numerosi militanti dell’idea e che sono espressione di vari movimenti politici tedeschi, belgi, francesi, austriaci, rumeni, spagnoli, croati, italiani. Secondo loro questa è l’unica vera espressione dell’unità europea, ideologia comune è quella della vecchie SS e. Oggi tutto si svolge in una giornata, una domenica: i partecipanti ormai, per ragioni anagrafiche, scarseggiano

Repubblica 28.11.10
Un gruppo di infiltrati a Palazzo Chigi
di Eugenio Scalfari


L´IDEA d´un complotto anti-italiano è stupefacente ma non è nuova. Il più illustre predecessore fu Benito Mussolini che la lanciò nel 1935, all´epoca delle sanzioni che ci furono comminate dalla Società delle Nazioni per la nostra aggressione contro l´Abissinia. Motore del complotto era allora il blocco "demo-giudo-plutocratico" che secondo i fascisti dominava il mondo e voleva affondare l´Italia per impedirle di conquistare il "posto al sole" che ci spettava. Ma c´erano già stati altri precedenti altrettanto illustri: Vittorio Emanuele Orlando che aveva abbandonato il Congresso della pace di Versailles nel 1919 perché le potenze alleate non volevano riconoscerci l´Istria e, subito dopo, D´Annunzio a Fiume innalzando la bandiera della «vittoria tradita».
Tra le qualità e i vizi degli italiani uno dei tratti ricorrenti è quello del vittimismo. Silvio Berlusconi è un asso in materia.
Nel caso attuale mancano tuttavia del tutto gli appigli, sia pur pretestuosi, che giustifichino la tesi del complotto. Mettono insieme il crollo di Pompei, i rifiuti di Napoli, il processo alla Finmeccanica e le imminenti rivelazioni del sito WikiLeaks. Sembra il frutto d´un gruppo di matti che si sia infiltrato a Palazzo Chigi nella sala del Consiglio dei ministri o invece di una abilissima sceneggiata da usare per riguadagnare un consenso perduto e prepararsi alla campagna elettorale con un alibi che faccia presa appunto sul vittimismo nazionale.
Personalmente propendo per entrambe queste ipotesi: gli autori della sceneggiata sono abilissimi proprio perché sono matti, hanno perso il controllo delle proprie menti e affidano a comunicati ufficiali la loro impazzita creatività propagandistica.
Ma l´aspetto più stupefacente e inquietante non è che quel comunicato del governo sia scaturito dalla mente di Berlusconi e che il ministro degli Esteri, Franco Frattini, abbia accettato di farsene protagonista. L´aspetto stupefacente è che il comunicato sia stato diramato con la firma di Gianni Letta. Un uomo prudentissimo, consapevole del danno d´immagine e di sostanza che un documento di quel genere avrebbe causato al governo e al paese. Questo è veramente il segno che siamo alla frutta. In queste condizioni la permanenza di quel governo e di quel premier fa venire in mente la «nave dei folli» e costituisce il più preoccupante motivo d´insicurezza che pesa sul destino dell´Italia.
* * *
Il Presidente della Repubblica, sia venerdì sia di nuovo ieri, ha attirato l´attenzione delle forze politiche e della pubblica opinione sui pericoli che minacciano l´euro e la stessa Unione europea. La crisi irlandese non è affatto superata, si attende col fiato sospeso la riunione di domani dell´Ecofin e le reazioni dei mercati. La speculazione ha messo sotto tiro anche il Portogallo e la Spagna. I debiti sovrani di quei paesi sono sotto la lente delle agenzie di «rating» e così pure le banche di mezza Europa che hanno largamente investito in titoli spagnoli.
Il debito italiano parrebbe al sicuro e così pure il nostro sistema bancario, ma è comunque il debito più alto del mondo. Questa situazione giustifica ampiamente gli appelli al senso di responsabilità lanciati da Giorgio Napolitano.
Quegli appelli sono rivolti a tutte le forze politiche ma non indicano quale sia il percorso auspicabile da seguire né si può chiedere al Capo dello Stato di indicarlo. La più alta carica istituzionale non può gestire una crisi politica che s´incrocia con una crisi economica di questa fatta prima che essa sia stata formalmente aperta.
Conosciamo tuttavia i dati di fatto che possono guidare le decisioni di Napolitano quando sarà lui a doverle prendere.
Elenchiamoli quei dati di fatto.
1. Il 14 dicembre il Parlamento deciderà sulla fiducia al governo. Se le Camere voteranno in suo favore, Napolitano non avrà ragione di intervenire; si limiterà a vigilare stimolando il governo ad attuare una politica economica in sintonia con l´Europa e riforme equilibrate della giustizia e del federalismo.
Purtroppo non pare che quella della giustizia, che sarà presentata martedì prossimo al Consiglio dei ministri, abbia i requisiti di equilibrio che sarebbero necessari per riscuotere il consenso di un´ampia maggioranza. Il federalismo si trova purtroppo in analoghe condizioni.
2. Se il governo sarà sfiduciato anche in una sola Camera, Berlusconi dovrà dimettersi né il Capo dello Stato potrà rinviarlo in Parlamento per verificare quello che è già stato verificato. A quel punto il Quirinale dovrà accertare se esistono le condizioni per formare un nuovo governo.
3. L´appello alla gravità della situazione economica – se ha un senso e certamente ce l´ha – porta ad escludere che Napolitano sciolga le Camere se avrà la fondata speranza di poter insediare un nuovo governo capace di ottenere la fiducia del Parlamento.
La via delle elezioni significa nel caso migliore tre mesi di una barca con un timoniere azzoppato in un mare in tempesta; tre mesi di mercati sottoposti ad una speculazione micidiale.
Da questo punto di vista l´appello del Quirinale al senso di responsabilità sembra rivolto al fronte berlusconiano affinché accetti ed eventualmente appoggi il nuovo governo e al fronte opposto affinché si metta in grado di offrire una piattaforma il più possibile coesa.
4. Qualora il fronte delle opposizioni non sia in grado di esprimere una volontà all´altezza della situazione, si aprirebbe una subordinata: un governo di minoranza che si regga sull´astensione dei finiani e dei centristi ma abbia però al primo punto del programma la revisione sostanziale della legge elettorale oltre ovviamente ad una tenuta coerente della politica economica.
5. Se nessuna di queste ipotesi si verificasse e la sola via restasse quella dello scioglimento delle Camere, la nave Italia entrerebbe nella tempesta, che è appunto l´ipotesi che il Capo dello Stato, con ragione, teme di più. O almeno: così sembra a noi ragionando sui dati di fatto e sulla logica che ne consegue.
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Ma quanto durerà la tempesta economica e con quali possibili sbocchi? Purtroppo durerà. Certamente per tutto il 2011, probabilmente ancora nel 2012 con effetti sperabilmente attenuati ma non ancora scomparsi nel 2013.
Almeno per quanto riguarda l´Italia il calendario è questo (ma il governo dava per tutto finito già nel 2009).
Queste previsioni poggiano purtroppo su un esame nient´affatto fantasioso ma realistico della nostra situazione economica. Siamo un paese a crescita zero da almeno dieci anni, con una disoccupazione media che, considerando anche la cassa integrazione in deroga, viaggia sopra al 10 per cento come media nazionale, con una media vicina al 20 nelle regioni meridionali.
La disoccupazione dei giovani nella media nazionale è al 20 per cento, nel Mezzogiorno al 30. Tra i giovani con lauree umanistiche e professionali il tasso nel Sud si colloca sul 50 e gli occupati di solito fanno i lavapiatti o i camerieri. Vivono a carico dei genitori e dei nonni, per cui la famiglia è diventata il principale ammortizzatore sociale esistente.
In questa situazione si colloca un debito pubblico che si trova al 118 per cento e raggiungerà il 120 l´anno prossimo con la prospettiva che l´Unione europea, sotto la spinta della Germania e della Francia, prescriva l´obbligo di rientrare entro il 2013 nel limite del 60 per cento rispetto al Pil.
Queste sono le dimensioni del problema che dovrà essere affrontato dall´Ecofin, dalla Commissione di Bruxelles e dalla Banca centrale europea entro il prossimo febbraio. Se fosse accettata la proposta della Commissione sul rientro del debito entro la soglia del 60 per cento, l´Italia dovrebbe compiere tra il 2011 e il 2013 una manovra complessiva che, per quanto riguarda il solo debito, ammonterebbe a 45 mila miliardi annui. Cifra stratosferica e sicuramente negoziabile. Ma di quanto negoziabile? La speranza è d´un rientro fino all´80 per cento del Pil o di una rateizzazione decennale. La previsione più probabile è quella di un accordo dell´ordine di 30 miliardi in tre anni o di 15 miliardi in dieci anni. Una parte di questa cifra può essere reperita dalla graduale diminuzione degli oneri che stiamo attualmente pagando sul debito. Il resto è un esborso netto che non può certo provenire da ulteriori aumenti del fabbisogno finanziario.
Tutto questo ragionamento significa che non ci sarà posto per provvedimenti di crescita perché, a legislazione vigente, mancano le risorse, la spesa corrente continua a crescere nonostante i tagli, le entrate diminuiscono a causa del rallentamento della produzione e dell´aumento dell´evasione.
Lo scenario è dunque quello di una deflazione allarmante. A meno che l´Unione europea non decida di far crescere l´inflazione per diminuire il peso reale dei debiti.
Sarebbe una via di fuga che scaricherebbe il peso dell´imposta-inflazione sui redditi fissi. Ma c´è da escludere che la Germania accetti una politica di questo genere che penalizzerebbe le esportazioni.
Dunque deflazione per almeno tre anni, a meno che....
A meno che non si faccia una riforma fiscale che tassi il patrimonio in favore dei redditi medio-bassi, dei consumi, del lavoro e delle imprese. Basta enumerare queste necessità per capire che non è certo un governo Berlusconi- Tremonti a poter effettuare scelte di questo tipo.
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La presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, ha fatto parlare di sé la scorsa settimana con la proposta di un federalismo a doppia velocità: subito nelle regioni più ricche a cominciare dalla Lombardia, dal Veneto e dal Piemonte, rinviandolo invece per le regioni povere. Questa proposta è stata lanciata in un´assemblea di industriali a Milano e ripetuta dalla Marcegaglia a Treviso e diffusa ampiamente dai giornali e dalle televisioni. Gli industriali delle zone interessate hanno applaudito con ovazioni da stadio il loro presidente.
Ebbene, a nostro avviso, si tratta d´una proposta totalmente sbagliata che avrebbe nefasti effetti politici, sociali ed economici.
Politici. Si statuisce di fatto una secessione lenta della Padania dal resto del paese provocando nel sud reazioni politiche e sociali di dimensioni non valutabili. Il Sud vedrebbe sancita la sua condizione di territorio assistito con fondi provenienti dallo Stato, cioè dai contribuenti di tutto il resto d´Italia: una regressione non tollerabile e fonte di reazioni molto accese.
Economici. La spaccatura in due del mercato con tutto quello di imprevedibile che ne consegue a cominciare da un sistema bancario sottoposto ad una torsione radicale nella raccolta dei depositi e nel loro impiego «territoriale».
Sociali. La fine d´ogni coesione e di ogni omogeneità contrattuale.
La stessa Marcegaglia ha successivamente tentato di limitare la sua proposta alla sburocratizzazione del Nord.
Proposta più accettabile che però può per essere effettuata senza bisogno di tirare in ballo il federalismo. Uno Stato federale non può che estendersi all´intero territorio nazionale. Federare solo le regioni ricche tra loro è una contraddizione in termini. Significa semplicemente affidare ad esse l´egemonia economica e politica degradando le regioni povere ad un rango coloniale. L´India fu decolonizzata dall´Inghilterra nel 1945. Degradare a rango di colonia l´Italia peninsulare da Firenze in giù nel 2010 significa camminare con i paraocchi come i cavalli.