domenica 17 luglio 2011

l’Unità 17.7.11
«Tasse e niente riforme Ma l’alternativa ora c’è Ricostruiremo il Paese»
Bersani: tocca a noi ricostruire
«Varato un decreto classista Daremo battaglia: a saldi invariati cambieremo tutto»
«Per la prima volta in tre anni Pd, Idv e Udc hanno presentato emendamenti comuni»
«La strada maestra è il voto Governo di transizione? Senza gli autori del disastro»
di Simone Collini

Ricostruiremo noi l’Italia», dice Pier Luigi Bersani il giorno dopo l’approvazione di una manovra «spudoratamente classista e che non porta il Paese fuori dalla tempesta». Per il leader del Pd il dato fondamentale di questo passaggio è che «di fronte a scelte assurde o profondamente negative tutta l’opposizione parlamentare ha concordato sia l’assunzione di responsabilità sui tempi, sia la fortissima critica sui contenuti»: «Per la prima volta dopo tre anni, Pd, Idv e Udc hanno presentato emendamenti comuni. È una novità che non va sottovalutata. Tanto più in un momento difficile come questo dobbiamo lavorare all’unità dell’opposizione e alla definizione di un’alternativa credibile». Anche perché, dice Bersani ripensando ai colloqui con capi di Stato e di governo incontrati nel viaggio in Medio Oriente da cui è da poco rientrato, «è urgente rilanciare il ruolo dell’Italia nel mondo»: «Il berlusconismo ha portato un grande Paese come il nostro a non discutere neanche di quel che avviene alla porta di casa. È desolante come siamo avvitati su questioni domestiche, spesso di serie C, come questo governo non si renda conto che quanto sta avvenendo al di là del Mediterraneo sia rilevante per il nostro futuro».
Sicuri che il vostro «senso di responsabilità» sia stato compreso dai cittadini, che non veniate giudicati anche voi responsabili di una manovra come questa?
«Un governo in difficoltà, con la sua comunicazione, prova a far condividere delle responsabilità che sono solo sue. Ma la realtà dei fatti è semplice. Da un mese il governo aveva annunciato la fiducia, come aveva già fatto 46 volte. La nostra responsabilità è stata quella di accettare il cambio dei tempi. Lo abbiamo fatto vedendo che l’Italia era aggredita dai mercati internazionali, sapendo che due settimane di confusione in una situazione già drammatica avrebbero potuto portare guai peggiori e sapendo che i costi dei danni provocati si scaricano sempre sui più deboli. Ma la nostra responsabilità si ferma qui, sul baratro di guai peggiori».
Dice invece Berlusconi che ora che è stata approvata la manovra “l’Italia è più forte”. «Non è così, hanno imbastito una manovra carica di tasse e senza alcuna riforma, che non ci metterà al riparo
dai mercati e che ha innescato una bomba a orologeria che scoppierà tra il 2013 e il 2014. Dopo tre anni in cui il governo ha perseguito una politica economica sbagliata, neanche questa volta è stata fornita la risposta all’interrogativo di fondo, e cioè come fa un Paese con un debito così alto a pagare quel che deve crescendo poco o nulla. È vero che c’è un attacco all’Euro, è vero che imperversa la speculazione, ma se siamo tra i paesi più deboli dell’Unione è perché non c’è una minima strategia per la crescita. Senza un pacchetto di riforme da dare in pegno all’Europa per un rientro più sensato, meno pesante, rimaniamo in mezzo alla tempesta».
Voi siete disposti a confrontarvi col governo su queste riforme per la crescita “nel modo più aperto e concludente”, per utilizzare le parole del Capo dello Stato?
«L’appello del Presidente Napolitano, che riconosce che nessuno ha rinunciato alle proprie posizioni, è a presentare un pacchetto di riforme, e noi abbiamo già avanzato delle proposte indicative già nel corso della discussione della manovra. Abbiamo indicato un elenco di liberalizzazioni, di interventi per ridurre i costi dell’amministrazione e quelli della politica, abbiamo anche presentato una proposta di riforma fiscale e una per un diverso sistema degli appalti. Se si tratta di avanzare proposte di riforma, noi sono tre anni che lo facciamo. Se si tratta di ritenere che il quadro politico lo consenta però no, non pensiamo che sia possibile». Perché per voi Berlusconi non ha la credibilità sufficiente?
«Non è per noi. È agli occhi del mondo che Berlusconi non ha credibilità. Se dopo le amministrative e il referendum è emerso con evidenza che non ha più la fiducia del Paese, ora è evidente che non ce l’hanno neanche i mercati e le cancellerie internazionali».
Ha la fiducia in Parlamento.
«I numeri gli consentono una sopravvivenza estenuata. Parlano della stabilità di questo governo come se fosse la medicina mentre è parte della malattia».
Va bene ma se le dimissioni non arrivano, voi cosa intendete fare? «Intanto dobbiamo chiarire come la pensiamo noi, e cioè che parte del rimedio è una ripartenza che passi per un confronto elettorale, con nuovi protagonisti, nuove idee, nuovi impegni».
Un governo istituzionale no?
«Siamo anche pronti a discutere la possibilità di una fase di transizione che nei tempi utili consenta una riforma elettorale. Ma a condizione che i vecchi protagonisti si facciano da parte. Se invece chi ci ha portato in questa situazione intende sopravvivere navigando da un incidente all’altro, si tratterà di una responsabilità gravissima che si assume totalmente». Di nuovo: e voi intanto cosa intendete fare?
«Utilizzeremo tutte le occasioni parlamentari per porre fine a questa situazione e tutte le possibilità che abbiamo nel Paese, comprese le Feste, per far crescere il senso comune della necessità di una ripartenza. Sul piano della politica, lavoriamo per comporre uno schieramento d’opposizione unitario».
Dall’Udc a Sel passando per l’Idv? Non teme che l’alternativa sia poco credibile? «Guardi che la vera novità politica di questo passaggio non è tanto nei tempi di approvazione della manovra, ma il senso di responsabilità dimostrato dalle forze di opposizione. Per la prima volta in tre anni il Pd, l’Udc e l’Idv hanno proposto correttivi comuni, hanno presentato in Parlamento emendamenti insieme. È una novità che non va sottovalutata. Tanto più in un momento delicato come questo bisogna costruire l’unità dell’opposizione. E lo stiamo facendo concretamente, mantenendo un costante rapporto con l’Udc e lavorando su tavoli tecnici con Idv e Sel. Così stiamo costruendo una credibile alternativa di governo. Sapendo anche che più passano i giorni senza che si verifichi una svolta, più avremo l’esigenza di una ricostruzione. E quindi il prossimo non sarà un passaggio di governo qualsiasi».
Anche perché il grosso della manovra viene scaricato nel biennio 2013-2014, quando a governare saranno altri: nel caso ci foste voi al governo?
«Terremmo invariati i saldi della manovra, ma ne cambieremmo segno e composizione. Alcuni segnali già li abbiamo dati. Due regioni governate da noi, Emilia Romagna e Toscana, non applicheranno l’aumento del ticket sanitario, mentre in Parlamento già abbiamo depositato una proposta di legge che eliminerebbe l’aggravio indicando anche una copertura diversa. Ma è l’intero impianto di questa manovra che va cambiato perché sono state compiute scelte di un micidiale classismo. C’è il taglio lineare della detrazione fiscale, che colpisce famiglie e lavoratori, cioè chi paga le tasse, mentre non c’è un rigo contro l’evasione fiscale e c’è anche un mezzo condono. La tempesta non è passata e noi dovremo compiere un’operazione di ricostruzione in tempi molto difficili».
E con un sentimento di antipolitica che, a giudicare dagli ultimi tempi, è piuttosto in crescita. Dice che l’opposizione e in particolare il Pd, per come si sta muovendo sui costi della politica, ha la credibilità per affrontarlo efficacemente?
«Noi abbiamo avanzato proposte precise e coraggiose sui costi della politica e sul tema degli sprechi e dei privilegi. Come il superamento dei vitalizi per i parlamentari, la riduzione del numero di deputati e senatori, la riduzione delle società pubbliche, l’abolizione delle province al di sotto dei 500 mila abitanti, uscendo in questo caso dalla questione demagogica di cancellarle tout court senza dare conto di cosa fare delle funzioni che svolgono. Non accettiamo che questo tema delicato venga agitato in nome dell’antipolitica, o che venga confuso con il tema istituzionale. Altrimenti con certi toni di questo passo si chiederà di abolire il Parlamento e il Quirinale, perché costano, e di reinserire invece la figura del Podestà, tanto per risparmiare».
Non la preoccupa che senza qualche concessione alla demagogia si rompa quell’alleanza tra voi e società civile che si è vista alle amministrative, al referendum, nelle piazze in primavera?
«La mia preoccupazione principale è tenere un punto fermo, e cioè che senza politica comanda solo il miliardario. La Germania, paese che galoppa di più, non ha il miliardario ma i partiti. Detto questo, ci vuole una politica sobria, ci vuole la buona politica. Che rivendica il suo ruolo ineludibile, indicare dove va il Paese e garantire maggioranze che consentano un governo, ma conosce i suoi limiti. Che sta sotto il palco e arrotola le bandiere in presenza di movimenti che la convincono e che sa quand’è invece il momento di dispiegarle, queste bandiere».
E sulla legge elettorale? Secondo lei come dovrebbe muoversi la politica, e in particolare il Pd, considerando anche che in campo ci sono due referendum diversi per superare il Porcellum?
«Martedì in Direzione propongo un testo di riforma coerente con la logica bipolare, che consente all’elettore attraverso un semplice voto sulla scheda di determinare anche la maggioranza di governo, che prevede il doppio turno e induce alle convergenze, che garantisce il diritto di tribuna, la presenza femminile e il fatto che i gruppi parlamentari possono essere formati soltanto da forze presentate alle elezioni. Io chiedo che il partito sostenga questa proposta e di discuterla con le altre forze politiche. Questo tocca ai partiti. Il resto va lasciato alla società civile».

Corriere della Sera 17.7.11
Sale il Pd, frena il Pdl Indeciso uno su due
di Renato Mannheimer

S ta diffondendosi, ancora una volta, l’ipotesi di nuove consultazioni politiche da tenersi in autunno o, al massimo, nella prossima primavera, fortemente sollecitate in queste ore dall’opposizione, anche in conseguenza del comportamento tenuto in occasione dell’approvazione della manovra economica. Quali potrebbero essere i risultati di queste eventuali elezioni anticipate? Nessuno può saperlo in questo momento. Ma l’elemento maggiormente caratterizzante il quadro odierno è la forte crescita di consensi per il centrosinistra, dovuta anche alla spinta degli esiti delle ultime amministrative e dei referendum. Il Pd è oggi stimato oltre il 28%(ma, secondo altri istituti di ricerca, ad esempio Ipsos e Demos, si trova quasi al 30%), e supera così il dato ottenuto alle ultime europee (26%), pur restando lontano da quello delle politiche (33%). All’inizio dell’anno in corso, il partito di Bersani superava di poco il 24%. Un avanzamento notevole, di circa 4 punti, in un solo semestre. Il trend di crescita riguarda anche alcune altre forze del centrosinistra, specie quelle che potremmo forse definire le più «radicali» nell’atteggiamento antiberlusconiano. Ad esempio, l’Idv di Di Pietro supera il 6%(ma, sempre secondo Demos, sfiora l’ 8%) e il Movimento 5 Stelle di Grillo si attesta sul 2,5%. Sel di Vendola conferma il suo rilievo nel panorama politico, mantenendosi sopra il 7%(sopra l’ 8%secondo Ipsos e Digis), rimasto stabile negli ultimi mesi: un valore doppio rispetto a quanto ottenuto nelle ultime europee. A fronte di questo andamento, si registra un significativo decremento del Pdl. Che è oggi attestato al 27%(altri istituti variano dal 26,4 al 29%), quando a gennaio superava il 30%. L’altro partito di maggioranza, la Lega, pare invece essere rimasto quasi indenne da questo trend di decrescita (anche per essersi spesso dissociato da Berlusconi in molte scelte e prese di posizione) e rimane attorno al 10%, pur con un lieve calo rispetto a gennaio. Tra i partiti di centro, l’Udc appare stabile attorno al 7%, mentre Futuro e Libertà conferma le difficoltà nel decollare e si attesta oggi al di sotto del 4%(o meno secondo diversi altri istituti di ricerca). Sulla base di questo quadro, sembrerebbe dunque (ed è oggi ragionevole prevedere) che il centrosinistra possa vincere le prossime elezioni, almeno per ciò che riguarda la Camera dei Deputati. Anche se saranno certo significative le scelte che decideranno di fare le tre forze di centro (Udc, Fli, Api). Se infatti esse finissero col non correre da sole (al contrario di quanto hanno sin qui dichiarato) e si alleassero, in tutto o in parte, ad una delle coalizioni maggiori, costituirebbero inevitabilmente l’elemento determinante nell’assegnare il premio di maggioranza, sempre che si voti con l’attuale sistema elettorale. Ma, soprattutto, sarà importante la comunicazione— e il comportamento — dei partiti nel corso della campagna elettorale. Sono infatti tantissimi— e in forte crescita, specialmente nell’elettorato del centrodestra — gli intervistati che rispondono di essere oggi indecisi su cosa votare: nelle ultime rilevazioni essi costituiscono quasi la metà della popolazione. Non a caso, le più recenti chiamate alle urne hanno dimostrato come siano tanti (e, soprattutto, in incremento) i cittadini che decidono all’ultimo momento, sulla base delle proposte delle varie forze politiche (e/o della immagine dei leader) nelle settimane immediatamente antecedenti al voto. Ancor più delle volte precedenti, si può affermare che questi elementi giocheranno un ruolo decisivo nel determinare i risultati.

il Fatto 17.7.11
La patrimoniale sui più poveri
di Furio Colombo

I vecchi eserciti avevano eleganti cavallerie, stendardi colorati e tamburi per suscitare orgoglio e coraggio. Ma la fatica della guerra toccava alla fanteria. La nuova economia, con i suoi guru e i suoi politici dal linguaggio "moderno" in cui si intravedono le avventurose svolte del futuro, si fonda sui poveri. Dopo convegni e discussioni febbrili e l'esperienza di rischi gravissimi scansati all'ultimo istante, il consenso dei competenti è unanime: tassare i poveri. Non hanno lobbies, non hanno fiscalisti, non hanno editorialisti con provata competenza economica, non hanno (più) un partito. Sono facili da rastrellare, sono sempre "in casa", non hanno paradisi, né fiscali né d'altro tipo (o lo avranno solo dopo avere osservato il nuovo testamento biologico proibizionista). Sono la fanteria, marciare a piedi portando a spalla tutto il peso. Sono tanti, non scappano, e un euro per uno non fa male a nessuno. In realtà è un po' di più di un euro per uno. Il 14 luglio il Corriere della Sera intitola: " Stretta su Sanità e pensioni".
   È IL TITOLO giusto, indica i confini entro cui è stato collocato il grosso della Manovra: malati poveri (tipicamente pazienti "codice bianco" di un pronto soccorso ospedaliero) e pensionati. Dei malati poveri è facile intravedere il dramma. Raramente si va al pronto soccorso per allegria. Più spesso ci vanno coloro che non hanno un medico di famiglia e sperano nel piccolo sollievo immediato di una visita, per quanto sommaria, e di un analgesico gratis. Non c'è traccia, qui, di sprechi da grandi occasioni. In un tipico pronto soccorso italiano persino la luce è bassa e incerta. Pagare una taglia tra i dieci e i 25 euro, per molti pazienti dei luoghi occasionali di cura, è una cifra sproporzionatamente grande, l'equivalente di una decina di migliaia di euro per il perennemente incattivito proprietario di Suv. Quanto ai pensionati, che entrano a gonfalone spiegato nella nuova tassa che salverà il Paese dalla morsa della speculazione mondiale, si dice che "sono ricchi", si è inventata, la efficace espressione "pensioni d'oro". Le pensioni d'oro partono dai 2.300 euro.Abilemossaperscatenareil gioco della disperata competizione tra poveri. Infatti la trovata conta sulla animata adesione della immensa massa di pensionati da 500 euro che vedono ogni cifra più alta come ingiusta e sono portati, proprio dalla misura punitiva della legge finanziaria, a considerarla incassata a danno di chi prende meno. S'intende che "a partire" vuol dire che ci sono ben altre pensioni. Qui il legislatore e i sostenitori del nuovo percorso di salvataggio economico del Paese centrano due obiettivi. Il primo è di colpire certi privilegi (ci sono pensioni alte e altissime, oltre la cifra indicata dal legislatore, ma naturalmente sono poche). Il secondo, però, è di tenere tutta l'attenzione sui pensionati e lontani dalla ricchezza. Non c'è traccia di barche da vacanza e ville da servizio fotografico nel rigoroso elenco delle misure che ci salveranno. Resta la diffusa persuasione che, se dopo avere incassato i ticket negli ospedali e sforbiciato le pensioni medie e medio alte, alleggerisci le tasse delle imprese (non dei lavoratori) produci finalmente benessere e crescita.
   IN ALTRE parole, se i pensionati, chiunque essi siano, pagano di più e gli imprenditori, chiunque essi siano, pagano di meno, il Paese si rianima, si riprende, si salva. Naturalmente un buon legislatore deve conoscere il suo pubblico. Se prova a mettere nel nobile pacchetto riforme che salverà il Paese gli avvocati, e ogni altra corporazione di liberi e forti professionisti, ci sarà rivolta, una rivolta autorevole che non conviene affrontare.
   I PENSIONATI invece o ricevono troppo poco e si sentono umiliati, o guadagnano "troppo" e allora tendono a defilarsi e a tacere. La mossa ha funzionato. Resta ammirazione per tutti quei Milanese che i magistrati non hanno ancora raggiunto, per i molti che non raggiungeranno mai. E che sono ancora al Plaza Atheneé di New York, con carta di credito senza limiti a carico di qualche autorevole centro spesa della Repubblica. Resta disprezzo per il pensionato, qualunque sia stata la sua attività, e i suoi quarant'anni di lavoro e contributo. Si tratta pur sempre di un anziano che non sta nel suo posto, in panchina. E la trovata è proprio questa, spostare tutta l'attenzione su parti deboli del corpo sociale, che persino gli altri deboli si sentiranno inclini ad attaccare. Poi c'è un secondo grande percorso, tagliare i costi della politica. Qual è il problema, visto che quei costi sono noti, pubblici e sotto gli occhi di tutti? Il problema è che quasi venti anni di egemonia berlusconiana hanno talmente esasperato e reso "alla moda" la corruzione sfacciata e vantata e diffusa , da impastare insieme due mondi, legale e illegale, identificando inevitabilmente tutto ciò che è politico (giusto o ingiusto) con tutto ciò che e' illegale. Il risultato è una spinta antipolitica irresistibile, difficile da negare ma anche impossibile da utilizzare per le necessarie "nuove regole". Nuove regole per chi, finché l'unica immagine percepita del politico è quella formata da due decenni di vita indecente con Berlusconi? S'intende che non stiamo parlando solo della corte di Berlusconi. S'intende che queste cose accadevano prima, nel grande capitolo di Mani Pulite. Ma Berlusconi ha stabilito le nuove, strabilianti dimensioni e il senso di festa e di vanto per ogni nuova impresa compiuta. Qui il legislatore è molto realista. Non si può? Lasciamo perdere. Occupiamoci dei "prigionieri", i poveri e i pensionati. E questa sembra essere la grande via di fuga dalla "morsa dei mercati". Dopo tutto abbiamo vinto gloriosamente la Prima guerra mondiale facendo morire in trincea seicentomila fanti. La lezione sembra ancora valida. Alla fine ufficiali a cavallo, con la faccia di Tremonti, si presentano per il tributo e le medaglie. Nel caso dei forzati del ticket e dei pensionati, trattati tutti come malfattori "colti sul fatto", non è previsto alcun monumento “al tassato ignoto”. Quanto ai Suv esentasse, attenzione a non traversare sulle strisce bianche.

l’Unità 17.7.11
La norma Fin dall’inizio il tetto per gli stipendi parlamentari era pensato per non sforbiciarli
Il trucco Al fotofinish il falso blitz con il “salva-indennità” inserito nel maxi emendamento
Spese «onorevoli», niente tagli La mannaia era solo un bluff
L’obiettivo doveva essere quello di portare lo stipendio dei parlamentari alla media di quelli europei: meno della metà. Ma con due emendamenti e il voto di fiducia sulla manovra l’operazione rigore è sfumata.
di Mariagrazia Gerina

Nel testo della manovra, campeggia ancora al primo punto, sotto l’insegna: «Riduzione dei costi della politica e degli apparati». Ma di una cosa si può stare certi: ciò che segue è un involucro vuoto che non avrà assolutamente alcuna conseguenza sui costi della politica. A cominciare dall’articolo 1 sul «livello remunerativo Italia-Europa», che in teoria avrebbe dovuto sforbiciare l’indennità prevista per i parlamentari italiani, 12mila euro al mese, in modo da uniformarla alla media di quella percepita dai colleghi europei (circa 5340 euro al mese, secondo il Sole24). Obiettivo calcolato: risparmiare circa 82mila euro su una voce di spesa particolarmente simbolica e che grava sul bilancio dello stato per 144 milioni di euro.
In realtà ciò che è stato sforbiciato è il concetto di Europa. Il primo termine di paragone per fissare un tetto doveva essere l’Europa a 27. Poi è diventata l’Europa dei paesi che hanno adottato l’euro. Infine, l’ultimo blitz con un doppio emendamento approvato in commissione bilancio del senato ha tagliato la testa al toro. Il tetto massimo sa-
rà costituito dalla media delle indennità percepite dai colleghi parlamentari dei primi sei paesi della zona euro. E la media, per giunta, sarà ponderata in base al Pil. L’uno-due emendativo porta la firma di due «anonimi» senatori del Pdl, Mario Ferrara e Salvo Fleres. Ma, passato in commissione con il voto contrario dell’opposizione, è stato accolto nel maxi-emendamento su cui il governo ha messo la fiducia. A riprova che era proprio ciò che la maggioranza voleva: non togliere nemmeno un euro dalle tasche dei parlamentari.Anzi, qualcuno suggerisce che forse, alla fine, il tetto suggerito dalla manovra potrebbe persino essere più alto dell’attuale indennità. Una vicenda che ha dell’incredibile, In cui Libero si è inserito per mettere in giro una fantasiosa ricostruzione sull’origine bipartisan del blitz, che tirava in ballo il senatore Pd Francesco Sanna, membro della commissione Affari costituzionali. Peccato che in quella commissione sia passato, con il voto contrario di Pd e opposizione, solo un parere sulla manovra. E peccato che «non ci fossero le telecamere come avevamo chiesto io e il senatore Ceccanti», rivendica Sanna. «Altrimenti avrebbero ripreso i senatori del Pdl che davano dei populisti a noi del Pd che in commissione abbiamo ribadito le proposte dell’opposizione, a cominciare dall’abolizione del vitalizio, vero scandalo del parlamento italiano, mentre noi del Pd rispondevamo che populista era il governo che invece di varare una misura immediatamente applicabile per ridurre le indennità ai parlamentari rimandava la definizione di un tetto massimo in linea con l’Europa ad una apposita commissione di esperti, presieduta dal presidente dell’Istat, rinviando tutto al 2013». Perché, al netto delle correzioni dell’ultimo momento, c’è anche questo vizio di origine nella norma pensata fin dall’inizio per non toccare la casta. Non dal primo gennaio 2012, almeno, come invece chiedeva l’opposizione con i suoi emendamenti, tutti bocciati. «Io mi sono permesso solo di suggerire che bisognava dare subito un segnale e che non c’era bisogno di quella commissione perché gli studi parlamentari sulle indennità negli altri paesi europei ci sono già e il criterio secondo cui ponderare la media europea poteva essere quello demografico», spiega Sanna: «Poi come tutti ho votato contro». Il punto è che «al di là delle fantasie, non c’era nella maggioranza la volontà di approvare una norma che riducesse davvero i costi della politica», concorda Felice Belisario, dell’Idv: « Tremonti forse voleva intevenire davvero, ma poi si è scontrato con il Pdl».

Repubblica 17.7.11
Mentre scatta la stretta sui cittadini, Montecitorio pubblica la spesa 2010 per onorevoli e famiglie: 30 mila euro al giorno
Psicoterapie, cure termali e rimborso dei ticket costa 10 milioni l´assistenza sanitaria ai deputati
di Carmelo Lopapa

Dentista e ricoveri le voci più grosse, insieme alla fisioterapia, gratis anche gli occhiali
Resa nota la spesa in dettaglio per circa 5.500 assistiti grazie ai Radicali e alla loro battaglia

ROMA - Da domani la stangata sui ticket per almeno 15 milioni di italiani, 10 euro sulle ricette, 25 per gli interventi in pronto soccorso. Potranno tirare un sospiro di sollievo i 630 deputati e 315 senatori con le loro famiglie, che viaggiano con un´assistenza tutta loro. E per una casuale e beffarda coincidenza, proprio alla vigilia della stretta sulle famiglie, la Camera dei deputati rende pubblici per la prima volta i costi della sanità integrativa sostenuta negli ultimi anni a beneficio degli onorevoli. Sufficiente a svelare un costo per le casse pubbliche che sfiora i 30 mila euro al giorno, quasi 850 mila euro al mese.
Già, perché solo nel 2010 la copertura finanziaria approntata per tutta una serie di interventi non esattamente salva-vita a beneficio dei 630 di Montecitorio, degli "ex" e delle loro famiglie ha toccato i 10 milioni 117 mila euro. Dati - sintetizzati nella tabella ufficiale pubblicata qui di fianco - che finora erano rimasti coperti nelle pieghe dell´amministrazione. Sono stati i sei deputati radicali guidati da Rita Bernardini a portare avanti la battaglia per la pubblicazione della spesa «al dettaglio», dopo molteplici istanze ai vertici della Camera. Finché il 13 luglio scorso, dagli uffici dei questori, parte con protocollo 19751 la tabella completa. Il meccanismo, va da sé, è analogo a Palazzo Madama per i 315 senatori (e famiglie). Si chiama Asi, Assistenza sanitaria integrativa e stando all´ultima rilevazione dei questori di Montecitorio risulta che ne beneficino oltre ai «630, anche 1.109 loro familiari, 1.329 titolari di assegni vitalizi e 1388 loro familiari, 484 titolari di assegno vitalizio di riversabilità e 25 loro familiari, 217 deputati in attesa di vitalizio diretto e 386 loro familiari, 2 giudici emeriti della Corte Costituzionale e 2 loro familiari, 2 familiari dei giudici della Corte titolari di reversibilità». In tutto una platea di 5.574 privilegiati.
Fragilità, insicurezze, disturbi della personalità, delusioni, amarezze. Dura la vita del deputato. Così, l´esborso forse più inatteso è quella che sbuca alla sesta voce della tabella, che rivela come i deputati nel 2010 hanno fatto spendere all´amministrazione 204 mila euro per «psicoterapia». Ma è solo il dato più curioso e assorbe appena il 2 per cento del totale. Il vero boom è da ricercare alla voce «odontoiatria», che da sola assorbe il 30 per cento dell´intero budget: 3 milioni 92 mila euro. Carie, piombature, dentiere per sorrisi smaglianti a beneficio di telecamere. Il plafond per 5 anni è di 23.240 euro per ciascun nucleo familire. Un esborso per i conti pubblici che segue di poco quello per «ricoveri e interventi», costati lo scorso anno alla Camera 3 milioni 173 mila. Ma ci sono anche i ticket rimborsati agli onorevoli, per 153 mila euro, e gli accertamenti di varia natura per quasi mezzo milione di euro. «I trattamenti termali portano benefici all´apparato locomotore, respiratorio, cardiovascolare, alla circolazione sanguigna, coadiuvano la cura delle stomatologie, delle malattie dermatologiche: incrementano il turismo e creano posti di lavoro» raccomandava giusto ieri il "responsabile" Domenico Scilipoti nel suo milionesimo comunicato stampa. I suoi colleghi deputati lo sanno da tempo e solo lo scorso anno a spese della Camera hanno usufruito di cure termali per oltre 204 mila euro (plafond annuo da 1.240 euro ciascuno). Ma se è per questo, sembra che abbia molto a che fare con la chirurgia estetica (ma non solo quella per la verità) la chiusura delle vene varicose o comunque malate, così antiestetiche soprattutto per le deputate e mogli di parlamentari: va sotto la voce «sclerosante» e la spesa è di 28 mila euro (plafond da 775 euro l´anno). Poca cosa rispetto per esempio al rimborso di cui gli inquilini di Montecitorio continuano a usufruire per l´acquisto dei loro occhiali da vista: si viaggia quasi sul mezzo milione di euro, 488 mila per l´esattezza. Ma è un crescendo. Non sarà tanto per l´età media elevata dei beneficiari, più probabilmente perché la voce «fisioterapia» comprende talassoterapia e altri generi di assistenza antistress, sta di fatto che per questo genere di trattamenti sono stati impiegati nel 2010 quasi un milione di euro, il dieci per cento del totale, con plafond annuo di tutto rispetto: 1.860 euro ciascuno. «A noi non interessa la demagogia, ma da anni portiamo avanti la nostra battaglia per la trasparenza delle spese sostenute dal Parlamento» spiega Rita Bernardini, nell´apprezzare il passo avanti compiuto comunque dalla presidenza Fini. È il secondo dossier reso pubblico dopo quello corposo sugli affitti.


Repubblica 17.7.11
Se la manovra risparmia i paradisi fiscali
di Giorgio Ruffolo

È un coro quello che si leva sul costo della politica. Effettivamente in Italia quel costo è particolarmente elevato a causa dell´invasione della società politica nella società civile, che dà luogo a una rendita contaminata da inquinamenti mafiosi.
Si parla della politica come di una corporazione. Magari! Le corporazioni avvertono i pericoli che le minacciano e sono pronte, quando quelli diventano imminenti, a pagare il costo di un ripiegamento: come sarebbe da noi la riduzione del numero dei deputati (promessa da secoli) o l´abolizione delle province.
La politica italiana sembra invece priva anche dell´istinto di conservazione. Non è una corporazione. È una consorteria.
Ciò detto è incredibile e anche vergognoso che si punti il dito sulla invasione senza dire una parola sulla evasione. Sul fatto che un terzo del reddito reale, quello dei più ricchi, si sottrae ai propri doveri fiscali.
Pochi numeri rendono l´idea. Stime dell´Istat collocano il tasso di evasione medio nazionale al 13,5 del reddito dichiarato. Medio, significa benefici praticamente nulli per i dipendenti e i pensionati, stratosferici per gli autonomi e i rentiers che presentano un tasso di evasione rispettivamente del 56 e dell´84 per cento del reddito. In parte cospicua anche se non accertabile quelle ricchezze evasive affluiscono nei paradisi fiscali.
Secondo un calcolo dell´Ocse, che dovrebbe sorvegliarli e contrastarli, a fine 2008 i capitali accolti in paradiso ammonterebbero globalmente a circa 7 mila miliardi di dollari. Lo Scudo fiscale eretto dal nostro governo apre ai capitali italiani peccatori le porte del paradiso: una provvidenziale via di redenzione.
Chiudere i paradisi? Anche per Nostro Signore sarebbe difficile: non ci si può sottrarre al ricatto capitalistico della migrazione dei capitali "altrove". Verrebbe voglia di dire: è il capitalismo, stupido. Ma c´è modo di non subire interamente il ricatto.
Primo, denunciandolo, come si fa con la mafia. Ora, l´Italia è il solo paese al mondo in cui un presidente del Consiglio dichiara invece pubblicamente di comprendere le ragioni degli evasori.
Secondo: il rapporto tra Stato e capitalismo, che può essere declinato in modi assai diversi. Si va dalle repubbliche di banane dei Caraibi al compromesso socialdemocratico o cattolico democratico tra democrazia e capitalismo.
Il livello del confronto dipende in primo luogo, ovviamente, dal rapporto di forze. Per i "mercati" altro è avere a che fare con l´Italia o con l´Europa: e qui si misura il costo della fiacchezza europea. Dipende poi dalla competenza e dalla qualità dei governi nazionali.
Ci sono due aspetti che possono aumentare il grado di autonomia della politica dal ricatto capitalistico per i governi nazionali: i conti in ordine e l´autorevolezza. In Italia purtroppo non disponiamo né degli uni né dell´altra.
I conti sono pessimi. Quanto all´autorevolezza siamo piuttosto lontani da quella del generale de Gaulle (proprio in tema di paradisi fiscali non dimentichiamo che il generale minacciò di intervenire militarmente a Montecarlo. Solo Bossi potrebbe farlo con le sue baionette padane) e più vicini a una repubblica di banane.
Un soprassalto di dignità è quello che il presidente della Repubblica, il solo vero garante della dignità del Paese, ha ottenuto dal senso di responsabilità delle opposizioni con il via libera all´approvazione di una manovra disapprovata. Ma non basta certo.
Affidare una manovra economicamente sconnessa e socialmente iniqua alla gestione di un governo rissoso? È questo che ci aspetta nei prossimi due anni?

l’Unità 17.7.11
Dopo Siena
Le donne ricominciano da tre: lavoro welfare e differenza
di Valeria Fedeli

Siena ha visto    una partecipazione di 2000 donne molto convinte e motivate. Donne diverse per esperienza, ma eguali nel desiderio di partecipazione, di voglia di cambiamento del nostro Paese. Anche per questo Siena è stata un incontro intenso per i suoi contenuti, la sua discussione e confronto e per il grande e coinvolgente successo. Una due giorni che ha messo radici solide per costruire il futuro del movimento delle donne in Italia. Ora si sono create le condizioni per realizzare l’obiettivo di tutte le partecipanti presenti fisicamente a Siena o collegate tramite radio e web, e, necessario per il Paese. Condizioni e responsabilità che l’onda straordinaria del 13 febbraio aveva messo in moto. A Siena è partita un’impresa nuova, una sfida complessa e affascinante: costruire la rete di tutti i comitati di donne già esistenti insieme ai nuovi nati con il 13 febbraio, con le singole, e, con tante giovani. Una rete nazionale. Aperta, autonoma, includente. Un movimento organizzato e stabile. In-
sieme per scelta, per convinzione, per essere più forti nell’agire e cambiare. Un modello inedito di organizzazione e partecipazione. Una rete che tiene insieme le differenze.
Differenze che arricchiscono tutte e nessuna esperienza si sente annullata. Differenze che rendono tutte più forti, più radicate nei territori . Una rete di tutte perché c’è bisogno davvero di tutte per costruire quel Paese per donne che tutte vorremmo. Un Paese civile, un Paese rispettoso della dignità e della libertà, dell’autonomia e della differenza delle donne . Un Paese che rimette al centro della sua scelta politica il valore del lavoro per tutti, a partire dal valore per tutti del lavoro delle donne.
Consapevoli che scegliere questa priorità significa molti intrecci e coerenze conseguenti: lavoro-maternità-corpo-differenza. Basta precarietà, basta discriminazioni nel lavoro e nella vita. Significa una cultura e una partecipazione al lavoro qualitativamente diversa. Significa la riforma del’welfare. Significa considerare asili nido e servizi alla persona un investimento della collettività per il proprio benessere generale, per la crescita dell’economia, per uscire dalla crisi, per creare un futuro credibile e per tutti.
Il lavoro culturale, di proposta e iniziativa che ci aspetta dopo quanto già prodotto a Siena, è e sarà la cifra della nostra rete. La sua qualità e la forza della sua costruzione in tutte le realtà. Ciò che è avvenuto a Siena, continua a dimostrare, secondo me, che questo movimento è parte profonda dei mutamenti della nostra società. Non è un fenomeno contingente.
Questo movimento organizzato, questa rete vuole fare politica, vuole contare nella scena pubblica, spostare equilibri, determinare differenti priorità e chiede risposte politiche.

l’Unità 17.7.11
NO AL CARCERE
Migliaia di firme per dire no ai Cie “galera” per migranti
Piero Soldini, Cgil-Immigrazione: «Ho firmato subito l’appello su Unita.it contro una norma che prevede una punizione sbagliata e senza efficacia»
di Luciana Cimino

Migliaia di italiani dicono no a quei lager contemporanei che sono i Cie (Centri identificazione ed espulsione). Sono arrivate ad oltre 2500 le firme raccolte sul sito dell’Unità a sostegno dell' appello lanciato dal Partito democratico e dal Forum immigrazione “No al carcere per gli innocenti”.
Cittadine e cittadini che si rifiutano di rilasciare all’Italia definitivamente la patente di paese xenofobo e razzista. Il decreto-propaganda voluto dal ministro Maroni che porta la detenzione per i migranti da 6 a 18 mesi è appena passato alla Camera. Ora il passaggio al Senato, nel segno però di una protesta civile che monta ogni giorno di più.
Come testimonia Fortresse Europe (l’aggiornatissimo blog di Gabriele Del Grande) da gennaio ad oggi sono state quasi quotidiane le rivolte o i tentativi di fuga. Persino quelli di suicidio. E tutto questo è nascosto all’opinione pubblica italiana perché la stampa, in base alla circolare 1305 emanata in aprile da Maroni, lì non può entrare.
Domani, 25 luglio, è attesa una grande mobilitazione sotto i Cie di tutta Italia, organizzata da Fnsi con il Pd e la Cgil – Immigrazione di Piero Soldini che è fra i primi firmatari dell’appello sul nostro giornale. «Ho firmato perché la Cgil da sempre fa battaglie contro i Cie».
Soldini va dritto al punto: «Sono lager, anche se il ministro Maroni fa di tutto per negarlo impedendo l’acceso alla stampa, i cittadini alla fine conoscono le condizioni disumane che si vivono lì dentro». La Cgil Immigrazione fornisce anche dei dati. «Anche se Maroni lo nasconde l’Italia è il paese che fa meno rimpatri d’Europa; di quelli che vengono effettuati solo una misura irrisoria proviene dai Cie, un numero insignificante. Oggi la direttiva europea prevede i rimpatri assistiti che sono molto più laboriosi ma più corretti dal punto di vista umano. Tutti gli altri paesi europei che applicano in modo regolare la direttiva fanno più rimpatri dell’Italia con il suo 'cattivismo' istituzionale».
Secondo Soldini non si può più nascondere quella che ormai è una verità tristemente assodata e che va combattuta, anche con lo strumento delle firme che convoglia l’indignazione dei cittadini e agevola la partecipazione: «Siamo al razzismo di governo». «Su questo tema l'esecutivo è ostaggio della Lega e continua a fare norme irrazionali per propaganda ma che non hanno nessuna razionalità ed efficacia. E’ intollerabile che ci siano i Cie in un paese civile, è insopportabile il fatto che la detenzione sia estesa a 18 mesi. E’ solo una punizione senza efficacia, è un 'cattivismo' senza obiettivi» ripete Soldini.
Tra l’altro, spiega Soldini, «18 mesi di carcere duro senza tutele e senza diritti è oneroso per l’erario perché costa 50 euro al giorno per ogni “detenuto” quindi 30mila euro per 18 mesi». Per la Cgil-Immigrazione va disvelata la «grande ipocrisia del governo»: «Dice che è impegnato nel contrasto all’immigrazione clandestina, facendo breccia anche nel centrosinistra, in realtà però il governo ha scelto l’immigrazione irregolare, quella ricattabile, perché è funzionale al lavoro nero, all’economia sommersa che nel nostro paese è un quinto del prodotto interno lordo. Abbiamo fatto una mappatura delle zone a rischio Rosarno, se sovrapponiamo la mappa dei Cie sorti dopo l’emergenza di questa primavera ci rendiamo conto che sono gli stessi luoghi dove si sfrutta la manodopera immigrata. Da una parte si alza la bandiera dell'immigrazione clandestina e si creano lager dall’altra si facilita l’incontro di domanda e offerta di lavoro nero».


il Fatto 17.7.11
L’abbandono in cattedra
di Marina Boscaino

Premialità e merito, si sa, sono cavalli di battaglia di un governo meritevolissimo, che inneggia a principi che disattendono clamorosamente quanto esso stesso fa. Lasciamo da parte la loro surreale idea di merito, efficienza, valutazione (che è proprio “loro”, nel senso che sono loro a compilare personalissime liste di buoni e di cattivi). Diverrà esecutiva la riforma Brunetta, ispirata da quello cui Tremonti ha dato del cretino, ma cui sarà concesso di destinare il 25% di eventuali, improbabili, risparmi delle amministrazioni (invece che a reintegrare lo scarso salario del personale) per applicare gli equivoci principi di merito e differenziazione previsti, in assenza di altre risorse disponibili. Sarà infatti il decreto Brunetta a definire l’elenco dei meritevoli e i protocolli di comportamento utile per accedere a premialità, mentre la manovra 2011 congela i salari dei docenti fino al 2014, un anno in più rispetto al blocco di Tremonti nel 2010. Questa una delle conseguenze più pesanti sulla scuola: Flc Cgil denuncia che, in termini di adeguamenti o di mancati aumenti contrattuali, gli Ata perderanno 6.295 euro, 7.930 i docenti, 15.988 i dirigenti. Fate i vostri conti.
MA NON SOLO. Se con la L. 133/08 il governo aveva iniziato la più grande operazione di disinvestimento su cultura e conoscenza della storia patria, ecco la zampata finale. L’art. 19 del d.l. 98/11 è dedicato alla scuola. Vengono in classe i comandati Invalsi, quelli delle tormentatissime prove: la vita è tutta un quiz! Soprattutto, dal 2012-13 le dotazioni di personale docente, educativo e Ata sono bloccate in entità pari a quelle del 2011-12: ovvero, classi sempre più affollate, con grave pregiudizio della qualità didattica. Si aggregano primarie e medie in istituti comprensivi, che saranno autonomi solo con almeno 1000 alunni (500 in zone disagiate). Il dimensionamento della rete scolastica non è competenza dello Stato, ma delle Regioni; il suo iter prevede articolati percorsi condivisi con gli altri enti locali : questo provvedimento innescherà perciò un contenzioso ulteriore, tra i molti che l’arrembante modo di legiferare del governo ha causato. Saranno eliminate 1130 scuole autonome, con conseguente taglio di posti di lavoro, in particolare per gli Ata. Le scuole sotto i 500 alunni saranno affidate a reggenti: prive di dirigenza stabile, avranno conseguenti ricadute in campo organizzativo, didattico e gestionale, aggravate dalla riduzione di esoneri e semiesoneri per i collaboratori del dirigente nelle scuole complesse. I docenti inidonei per motivi di salute occuperanno i posti di 5000 assistenti amministrativi e tecnici precari, con incredibile disprezzo della professionalità degli uni e degli altri. Insomma, il “progetto pedagogico” di Gelmini continua la marcia trionfale verso l’obiettivo ostinatamente rincorso: smantellare la scuola della Costituzione.
QUALCHE GIORNO fa una notizia apparentemente clamorosa: 67 mila assunzioni in arrivo, 30.500 docenti e 36.700 Ata. Euforia iniziale, a seguire cautela: a differenza di come annunciato, i posti non saranno assegnati tutti quest’anno, ma si distribuiranno sul prossimo triennio. In termini concreti, nulla più di un travestimento dell’usuale miseria annuale: “Il piano di assunzione proposto, se spalmato in tre anni, prevede proprio questi numeri: circa 10.000 assunzioni per i docenti e altrettante per gli ATA. A fronte della reale esistenza, per il personale docente, di circa 20.000 posti vacanti e disponibili e di 27.000 pensionamenti per quest'anno”. Così il Coordinamento dei Precari Scuola Roma. I posti ci sono, la propaganda lavora, il problema del precariato continua ad essere emergenza. Ma c’è di più: “L’adozione del piano di assunzioni [come si legge in una nota di Brunetta] è subordinata agli esiti di una specifica sessione negoziale su interventi contrattuali per garantire l’invarianza finanziaria”. In altre parole: li assumeranno, ma solo se senza oneri aggiuntivi. Per esempio, niente onerosa ricostruzione di carriera, trattandosi di precari da almeno 10 anni. Gli annunci trionfali non cancellano le violazioni del diritto e il vero progetto: a questo governo oggi interessa mantenere un buon numero di posti occupati da precari, riservandosi la possibilità di nominare in ruolo a costo zero. In vista un ulteriore taglio degli organici? Le elezioni non sono lontane e bisogna rifarsi il trucco. Che c’è e si vede. 

l’Unità 17.7.11
Il presidente dell’Anp in Europa per conquistare altri consensi tra i Paesi ancora in bilico
La conta è iniziata a favore Spagna e Paesi scandinavi, previsto il no del governo Berlusconi
Saeb Erekat: «Importante il sostegno avuto dal leader dei Democratici italiani»
Abu Mazen lancia l’«intifada diplomatica»
Obiettivo: il sì Onu allo Stato di Palestina
Dopo il fallimento del Quartetto, tutta l’attenzione è rivolta all’Assemblea generale dell’Onu: l’obiettivo è raggiungere i 2/3 dei consensi. A quel punto la Palestina avrebbe lo stesso status della Svizzera...
di Umberto De Giovannangeli

L’offensiva diplomatica entra nel vivo. Indietro non si torna. Lo Stato di Palestina passa per il Palazzo di Vetro. Il presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmud Abbas (Abu Mazen) è impegnato da ieri in un nuovo tour in Europa e Turchia con l'obiettivo di rafforzare il consenso alla richiesta di riconoscimento Onu d'uno Stato palestinese con Gerusalemme est capitale, entro i confini del 1967. Riconoscimento che dovrebbe essere portato al vaglio dell'Assemblea generale a settembre, malgrado le recriminazioni israeliane e le pressioni contrarie degli Usa, a meno di un improbabile superamento in extremis dello stallo negoziale con l'attuale governo d'Israele. Il tour prevede in particolare tappe a Oslo, Madrid e Ankara. E mira fra l'altro a incassare la conferma pubblica dell'atteso sostegno di Norvegia, Spagna e Turchia all'iniziativa, tale da dare un segnale all'interno della Nato e/o dell'Ue.
OBIETTIVO 2/3
L'Anp, appoggiata all'unanimità dalla Lega Araba, non può puntare all'ammissione della Palestina quale membro a pieno titolo dell'Onu, poichè questo passaggio stando alla prassi richiederebbe il placet del Consiglio di sicurezza: dove è scontato il veto di Washington. Può tuttavia confidare nella maggioranza dei due terzi in seno all' Assemblea generale, sufficiente a garantirle oltre a un risultato simbolico sul piano politico e diplomatico la promozione da entità osservatrice a Stato osservatore nel maggiore consesso mondiale: status identico a quello di Città del Vaticano o Svizzera. Secondo alcuni analisti, un epilogo del genere (pur senza produrre concreti cambiamenti nei territori occupati) potrebbe intensificare la pressione legale su Israele e mettere in una condizione d'imbarazzante isolamento gli stessi Usa. Soprattutto se l'Ue dovesse confermare la spaccatura fra i «no» garantiti d'Italia e Germania, i «sì» certi i Spagna e Paesi scandinavi e quelli possibili (di grande peso, in termini d'immagine) di Francia o Gran Bretagna. Israele, dal canto suo, ha già minacciato un ulteriore irrigidimento sul fronte del processo di pace, se i palestinesi andranno avanti al di fuori di accordi diretti. Mentre non trova alcuna eco nelle posizioni ufficiali il sentimento delle 4.500 persone, ebrei e arabi, che proprio l’altro ieri hanno partecipato a Gerusalemme su iniziativa di gruppi israeliani di sinistra e pacifisti e figure politiche anticonformiste come l'ex presidente laburista della Kneset (Parlamento) Avraham Burg a un insolito raduno unitario in favore del riconoscimento Onu della Palestina: visto ormai come spinta estrema verso la soluzione dei «due Stati per due popolì». Un passo indietro nel tempo. Dodici luglio: a conclusione di un colloquio a Ramallah col presidente greco Karolos Papulias, Abu Mazen spiega che la mancata pubblicazione di un comunicato del Quartetto (Usa,Ue, Onu, Russia) al termine della sua seduta sul processo di pace israelo-palestinese, «è un segno di contrasti tra i membri» di questo foro. «Noi prosegue vogliamo che si accordino per tornare così alla nostra scelta fondamentale: i negoziati (con Israele) se però cessa la colonizzazione (israeliana in Cisgiordania) e se Israele accetta la linea (armistiziale) del 1967 come termine di riferimento per le trattative» sui confini del costituendo Stato palestinese.
L’ITALIA CI RIPENSI
In mancanza di alternative, rimarca Abu Mazen, «andremo all' Onu; noi speriamo di andarci col sostegno degli Usa e ci auguriamo che non facciano invece uso del loro veto» al Consiglio di Sicurezza per impedire l'ammissione di uno Stato palestinese come membro dell' Onu a pieno titolo. E l’Italia? «Ci auguriamo che Berlusconi ritorni sui suoi passi dice a l’Unità il capo negoziatore dell’Anp, Saeb Erekat e non si appiattisca sulle posizioni di Netanyahu. In questo senso è importante il sostegno del leader dell’opposizione» Pier Luigi Bersani, che nell’incontro di martedì scorso a Ramalla con Abu Mazen e il premier Fayyad, aveva affermato il sostegno del Pd, in un quadro europeo, alla risoluzione sullo Stato di Palestina.


l’Unità 17.7.11
Israeliani e palestinesi, migliaia insieme a Gerusalemme
Migliaia di israeliani e palestinesi insieme a Gerusalemme per sostenere l’iniziativa dell’Anp per un riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite in programma a settembre. Erano quasi 5mila l’altro ieri a manifestare per il dialogo e una pace fondata sul principio di «due popoli, due Stati». Bandiere palestinesi accanto a quelle con la stella di David. Un grande segnale di speranza nella Città contesa

l’Unità 17.7.11
Trecento rappresentanti del fronte anti-Assad riuniti ieri a Istanbul. Definita una road map
Oltre 41 i morti nell’ultimo venerdì di sangue. Nella capitale manifestazione di protesta
Siria, l’opposizione si unisce Funerali di massa a Damasco
Conferenza nella capitale turca, mentre nelle città siriane prosegue l’insurrezione. Creato un comando unificato. Hillary Clinton: la situazione in Siria non può essere influenzata dall’esterno.
di U.D.G.

Una «conferenza di salvezza nazionale» che riunisce oltre 300 oppositori siriani si è svolta ieri a Istanbul per esaminare le opzioni possibili per rovesciare il regime di Bashar
al Assad, mentre una riunione analoga prevista a Damasco è stata annullata a causa delle violenze della vigilia.
UNITI CONTRO BASHAR
Le forze di sicurezza siriane, denuncia Haitham al Maleh, uno degli esponenti di spicco dell'opposizione siriana, «ieri (venerdì, ndr) hanno attaccato e ucciso decine persone, centinaia sono state soccorse in ospedale, altre sono state arrestate e non è stato pemesso a nessuno di organizzare qualsiasi tipo di riunione». I partecipanti hanno raggiunto un accordosuunaroadmapedatovitaauna struttura di coordinamento permanente dell'opposizione. Secondo un comunicato degli organizzatori, questo «organismo di salvezza nazionale» sarà composto da «rappresentanti dell'opposizione» e dei «giovani della Rivoluzione». Una riunione senza precedenti di oppositori e intellettuali si è svolta il 27 giugno a Damasco. I partecipanti avevano lanciato un appello e perseguire il «sollevamento pacifico» finno alla conquista della democrazia in Siria, governata da cinquant'anni dal partito unico Baath. Decine di migliaia di persone hanno partecipato a Damasco ai funerali dei dimostranti uccisi nelle manifestazioni di venerdì hanno trasportato i corpi sulle bare gridando «Dio è grande» e «Vogliamo la libertà». I protagonisti dell’insurrezione siriana sperano nel sostegno della Comunità internazionale, ma da Istanbul, Hillary Clinton ha affermato che la situazione in Siria non può essere influenzata dall'esterno. Parlando in tv nella confinante Turchia, la Clinton ha detto che «nessuno di noi ha veramente influenza, a parte dire quello che crediamo e incoraggiare i cambiamenti in cui speriamo». «Quanto avviene in Siria ha aggiunto è assai incerto e preoccupante, perchè alcuni di noi avevano sperato che il presidente Bashar al Assad facesse le riforme necessarie».

il Fatto 17.7.11
Germania
Neo-nazisti in doppiopetto, ma cresce la (loro) violenza
di Tony Paterson

Berlino. L’annuale festa dell’estate era in corso nel paesino, di norma sonnolento, di Lubtheen nel Land di Mecklenburg, ex Ddr (Germania Est). I locali offrivano pane fatto in casa e salsicce affumicate. Un gruppo di giovani azzimati e ben vestiti in t-shirt arancione, mescolandosi alla folla, distribuivano palloncini colorati e volantini.
“Le magliette erano del medesimo colore di quelle generalmente indossate dai sostenitori del cancelliere Angela Merkel ai suoi comizi”, dice Ute Lindenau, sindaco di Lubtheen. “Nessuno poteva lontanamente immaginare che quei ragazzi potessero essere neo-nazisti”. La nuova strategia “giacca e cravatta” è stata adottata dal Partito democratico nazionale (Npd), il partito che ha ottenuto seggi per la prima volta nel 2006 dopo una violenta campagna xenofoba ed è presente anche nel parlamentino della Sassonia. Per la signora Lindenau la nuova tattica non è stata una sorpresa. Da convinta anti-nazista oltre che sindaco di una cittadina considerata una roccaforte dell’estrema destra nell’ex Germania Est, ha avuto modo di vedere come l’Npd ha gradualmente abbandonato il look da skinhead nel tentativo di allargare il proprio bacino elettorale.
“OGGI i neo-nazisti si comportano in maniera educata e fanno di tutto per apparire rispettabili. Sembrano aver capito che sotto il profilo elettorale il look da skinhead non paga”, sostiene il sindaco. In un rapporto pubblicato la settimana scorsa, l’Ufficio per la protezione della Costituzione (Bvs) giunge alla conclusione che l’estrema destra ha abbandonato l’immagine violenta che tanto andava di moda negli anni ’90: “Oggi i militanti dell’estrema destra preferiscono vestirsi come la maggior parte dei giovani tedeschi”, osserva il rapporto. Ma la nuova immagine meno aggressiva dell’estrema destra tedesca non ha determinato una diminuzione della violenza. Il Bvs ha riscontrato, al contrario, che il numero dei neo-nazisti disposti a fare ricorso alla violenza è aumentato. Secondo il rapporto gli estremisti di destra sono circa 25 mila e nell’ex Germania Est i reati a sfondo politico commessi da estremisti di destra è aumentato del 40%. Il tipo di violenza dei gruppi tedeschi che si dichiarano, in misura crescente, “nazionalisti autonomi” è stato illustrato nel marzo scorso in un’aula di tribunale nella quale erano alla sbarra i membri di un gruppo neo-nazista, ora sciolto, che si chiamava “Sturm 34”.
Seguendo uno stile che ricorda la campagna organizzata dai nazisti di Hitler per “liberare” città e paesi tedeschi “dagli ebrei”, il gruppo “Sturm 34” aveva deciso di fare tutto il possibile per rendere Mittweida, una città dell’ex Ddr, “marrone (come le camicie brune di Hitler, ndt) e libera dagli insetti”.
In tribunale i giudici hanno appreso in che modo la banda pattugliava le strade di Mittweida e faceva i conti con gli “insetti” – per lo più punk, rockettari e vagabondi – colpendoli con mazze da baseball e guantoni da box pieni di sabbia. Alcuni membri del gruppo “Sturm 34” hanno spadroneggiato in città per mesi terrorizzando gli abitanti fino a quando la polizia è intervenuta. Alcuni studiosi dell’estremismo di destra ritengono che in pubblico l’Npd faccia di tutto per prendere le distanze dalle frange più violente, per accreditare una immagine accettabile. Ma in privato tutti i membri dell’Npd amano il taglio di capelli alla skinhead e gli stivaloni.
MICHAEL WEISS, autore di un nuovo studio sul messaggio che si nasconde dietro il modo di vestire dei neo-nazisti (il libro si intitola “Nascondino”), è del parere che così facendo i neo-nazisti possano tranquillamente infiltrarsi nelle manifestazioni di sinistra o entrare senza problemi allo stadio. Per riconoscersi i neo-nazisti usano, sempre secondo Weiss, circa 150 codici segreti. Tra questi il numero 88 sulla t-shirt. Il numero 8 è l’ottava lettera dell’alfabeto, la H, e quindi 88 sta per HH: “Heil Hitler”. I neonazisti da qualche tempo portano anche la tipica kefiah palestinese per dichiarare la loro avversione a Israele. “Nel loro stile ci sono elementi della cultura rock e pop tanto che oggi i neo-nazisti hanno anche numerosi piercing”, aggiunge Weiss. Tuttavia alcuni politici di estrema destra non hanno aderito alla nuova strategia della “finta rispettabilità”. Sven Kruger, costruttore e dirigente politico del partito Npd, fa pubblicità alla sua azienda con un cartellone nel quale si vede una mazza da fabbro che fa a pezzi la stella di Davide. L’anno passato l’azienda è stata perquisita dalle forze dell’ordine che hanno trovato materiale compromettente e lo hanno rinviato a giudizio.
(c) The Independent Traduzione di Cab


non solo pedofili, ma anche mafiosi!
il Fatto 17.7.11
L’arcivescovo e la benedizione dei Santapaola
Il figlio del boss si sarebbe interessato ai lavori della chiesa
di Antonio Condorelli

Catania. “Enzo Santapaola mi contattò, nei primi anni ‘90, perché fornissi una consulenza al vescovo Bommarito”. Le vie del Signore sono infinite. E quando Giovanni Barbagallo (geologo operoso, attualmente detenuto per associazione mafiosa), doveva fornire la sua opera all'arcivescovo Luigi Bommarito “per delle lesioni nella sede dell'Arcivescovado”, ad alzare la cornetta per chiamarlo non era l'alto porporato, ma un portavoce d'eccezione: Enzo, il figlio del capomafia Benedetto Santapaola. Meglio conosciuto come “Nitto”, capostipite della famiglia che porta il suo cognome, divenuta celebre per aver dipinto con il sangue la storia catanese degli anni ‘80 e ‘90.
L'arcivescovo Luigi Bommarito, adesso in servizio a Palermo, è stato scelto dal presidente della Regione Raffaele Lombardo come componente del consiglio superiore della Fondazione Banco di Sicilia; è stato un decennio a Catania, un altro decennio ad Agrigento e recentemente ha ricevuto gli apprezzamenti degli ambienti palermitani e non solo, per la visita in carcere a Totò Cuffaro, l'ex presidente della Regione, inciampato in alcuni problemini con Cosa Nostra. In questi giorni caldi Sua Eccellenza Bommarito è tornato a Catania per l'interrogatorio nel processo sulle infiltrazioni della famiglia Santapaola nella festa di Sant’Agata: è la terza celebrazione al mondo, per numero di presenze, della cristianità. Stranamente, i pontefici, mai sono intervenuti. Al posto loro hanno fatto un passo avanti, accanto ai sacerdoti, esponenti di primo piano delle più importanti famiglie mafiose. A leggere gli atti dell'accusa risulta difficile comprendere dove finisca la fede e inizi, se inizia, il legame tipico dell'associazione mafiosa. Basta guardare le foto e i documenti del circolo cattolico in cui risultano ai primi posti, tra i tesserati, i familiari di Nitto Santapaola e di Francesco Mangiòn, detto “Ciuzzu u firraru”. Quando uscì dal carcere uno dei Mangiòn, si fermò la processione con la Santa e sotto la casa del boss partirono i festeggiamenti con i fuochi d'artificio. Agli atti ci sono le testimonianze di pranzi conviviali a base di pesce tra fedeli, sacerdoti e alcuni dei Santapaola.
I proventi raccolti durante le fermate delle “candelore” davanti ai negozi. Sarà la magistratura a dire se si trattava di un contributo volontario o di una sorta di “pizzo religioso”. In prima fila, quando la candelora religiosa percorreva la via Asiago, c'erano Salvatore Copia e Nino Santapaola. Di fatto, le centinaia di migliaia di cittadini devoti alla Santa protettrice, sino a pochi anni addietro, vedevano Francesco Santapaola, a reggere il fercolo Sacro, il figlio di Nitto, e Giuseppe Mangiòn, figlio di “Ciuzzu u firraru”. Addirittura, sul portale ufficiale del circolo religioso di Sant’Agata,gliinvestigatoridelGico hanno trovato la foto di Vincenzo Mangiòn nel posto in cui doveva essere presente il sacerdote. Bommarito, nei giorni scorsi, è statointerrogatodalpmAntonino Fanara, vicentino d'assalto trapiantato a Catania, che ha letto, nell'aula gremita di legali e parenti dei boss, le dichiarazioni del geologo Barbagallo sui lavori in arcivescovado effettuati grazie a “Enzo Santapaola”. “Non ricordo”, ha risposto Bommarito. “Ma come non ricorda – ha detto il pm – lei ha offerto il Rosolio di sua madre a Barbagallo!”. “Ma sono cose di vent'anni fa”, ha risposto Bommarito, con una sola conferma: “È vero, ho amministrato la cresima di Enzo Santapaola”. Dal canto suo, il geologo Barbagallo, militante dell'Mpa, è considerato “uno di famiglia”, arrestato perchè sarebbe secondo i pm - “l'anello di congiunzione tra i fratelli Raffaele e Angelo Lombardo e Cosa Nostra”.
Santapaola conosceva Barbagallo, uomo che oltre che dalle chiese, entrava e usciva dalle segreterie autonomiste catanesi. “In effetti – ha detto ai pm Barbagallo – Benedetto Santapaola è un mio amico, anzi, è mio grande amico, ma naturalmente non lo vedo da tempo... È vero che nel passato Benedetto Santapaola partecipava a delle battute di caccia a Pergusa e che quelle battute erano ‘pagate’ dagli imprenditori Costanzo. Io organizzavo queste battute, nel senso che prenotavo un piccolo alberghetto nei pressi del lago di Pergusa e acquistavo il giorno prima le munizioni necessarie”.
A PALERMO, invece, una messa si nega “quasi a nessuno”. Se il boss italo canadese Agostino Cuntrera fosse stato un suicida o un divorziato, le porte della Chiesa non si sarebbero aperte per ricordarlo ad un anno dalla scomparsa. Ma siccome la causa del suo decesso è stata l'uccisione all'interno di una guerra tra cosche di rango internazionale, anche quest'anno è stato possibile, per famigliari e vecchi amici, ricordarlo con lo spirito. La Santa Messa è stata celebrata nel santuario del Santissimo Crocifisso a Siculiana, in provincia di Agrigento, paese natale del boss. Il parroco ha comunicato ai fedeli parole di significato profondo: “Mai girare le spalle alla fede, ancora di salvezza per l'umanità”.

Repubblica 17.7.11
Grande Fratello detective ecco come le telecamere svelano le cattive intenzioni
Dall´Olanda a Israele, le nuove tecnologie anticrimine
Si possono anche riconoscere reazioni nervose davanti a determinate parole
di Elena Dusi

Hanno occhi e orecchie. Ma da oggi sanno anche guardare nel nostro cuore e riconoscere le nostre intenzioni. Le telecamere che ci promettono sicurezza, in strada e negli aeroporti, non si limitano più a riprendere immagini. Registrano nuovi parametri come la frequenza cardiaca e il calore corporeo. Se messe accanto a un computer, imparano perfino a riconoscere gli individui pericolosi tra la folla di uno stadio, un teatro o una stazione.
A queste tecnologie sviluppate soprattutto in Israele e testate in alcuni aeroporti americani, anche l´Europa ha deciso di affidarsi. Nel 2013 raggiungerà il traguardo il sistema di telecamere intelligenti Adabts, sigla di "Automatic detection of abnormal behaviour and threats in crowded place" che vuol dire "rilevamento automatico di comportamenti anomali e minacce negli spazi affollati". Il progetto è partito nel 2009 ed è finanziato con 4,8 milioni di euro dall´Unione europea. A portarlo avanti sono università, aziende militari (la Bae inglese) e agenzie di sicurezza di Svezia, Gran Bretagna, Olanda, Norvegia e Bulgaria. Ma se manterranno le loro promesse, le nuove tecnologie si faranno presto strada anche negli altri paesi europei.
Se un individuo corre laddove tutti camminano, se all´improvviso si crea un assembramento in un´area poco affollata, se due o tre uomini convergono in direzione di una donna che procede da sola, il sistema lancia l´allarme. Riesce a farlo perché le telecamere distinguono le silhouette umane e ne tracciano gli spostamenti, mentre il software di un computer è stato programmato per riconoscere i comportamenti sospetti.
Fin qui telecamere e chips. Ma i sistemi su cui le aziende di sicurezza sono al lavoro promettono di andare molto più in profondità. Il progetto Adabts ad esempio studia come registrare le variazioni del battito cardiaco di un uomo attraverso un sistema radar. Le termocamere a infrarossi misurano il calore emanato dal corpo. Così come sono state applicate negli aeroporti durante le ultime epidemie di influenze, o come a bordo degli elicotteri vengono sfruttate dalle forze dell´ordine per identificare i fuggitivi nelle zone campestri, in futuro potranno essere adattate anche al riconoscimento di individui più nervosi del normale. Mentre i microfoni oggi hanno raggiunto livelli di sensibilità tali da poter distinguere il rumore di vetri infranti, un urlo o una voce particolarmente acuta che spicca nel brusio di un corridoio d´aeroporto.
Prima ancora degli europei, a sviluppare queste idee, ottenendo fra l´altro dei finanziamenti dalle autorità aeroportuali statunitensi, sono stati gli israeliani. L´azienda di Cesarea Wecu ("We see you": ti stiamo guardando) riconosce eventuali reazioni di nervosismo nel momento in cui si osservano immagini particolari, come la parola "jihad" scritta in arabo o una foto di un campo di addestramento di al-Qaeda. L´idea è che i terroristi di fronte a questi stimoli debbano avere reazioni diverse da quelle dei viaggiatori normali. E i sistemi che studiano i riflessi del corpo di fronte a un interrogatorio, messi a punto dalla ditta israeliana Suspect detection systems, sono approdati in via sperimentale in alcuni aeroporti Usa dopo un programma di test nei checkpoint israeliani in Cisgiordania.
A differenza di un uomo, un computer di fronte a una telecamera non corre il rischio di annoiarsi o addormentarsi. Ma oltre alle preoccupazioni per la privacy che sono state sollevate al momento del lancio del progetto Adabts, i sistemi di "riconoscimento intelligente" hanno ancora seri problemi per quanto riguarda i "falsi positivi": quei viaggiatori cioè che sono nervosi, corrono e hanno il cuore veloce perché il loro aereo sta partendo, le valigie sono pesanti o i figli non vogliono saperne di seguirli.

l’Unità 17.7.11
Intellettuali, tante opinioni ma pochi pensieri
Chi parla nello spazio pubblico? Nel dominio dei talk show a comunicare sono chiamati gli «esperti» e gli uomini di Chiesa. La cultura appare afona o stretta nei conformismi. A volte non restano che le provocazioni degli artisti
di Massimo Adinolfi

Se Babbo Natale fosse un coniglio, quale sarebbe la sua canzone preferita?». Prima di provare a rispondere – non è facile – diciamo pure a chi è venuto in mente di porre una simile domanda. A Libia Castro e Ólafur Ólafsson, la coppia che alla Biennale di Venezia 2011 rappresenta l’Islanda. La curatrice, Bice Curiger, ha rivolto agli artisti presenti alla mostra cinque domande sul tema dell’anno («ILLUMInazioni»), giudicate da molti poco appropriate o poco intelligenti: forse hanno pensato che non toccasse rispondere se non tramite le opere, oppure che fosse inutile e insensato tentare una risposta. Sta di fatto che alla domanda: «se l’arte fosse uno stato, cosa direbbe la sua costituzione?», Castro e Ólafsson hanno replicato con una domanda ancora più insensata: quella sui gusti musicali di Coniglio-Babbo Natale.
Ma chi decide quali sono le giuste domande? E chi può permettersi di rispedire al mittente le domande, con una provocazione raddoppiata? Una coppia di artisti, certo, che per l’occasione sistema sulla parete d’ingresso di un edificio non intonacato, nell’ex-Lavanderia di Palazzo Zenobio, una sottile scritta al neon che recita: «il tuo paese non esiste». Già: ma oltre i muri sbrecciati del padiglione islandese?
IMPEGNO O BANALITÀ
Lì il paese esiste, ma stenta a mettere insieme le domande giuste, scrostando la gran quantità di conformismo che si forma ad ogni angolo di strada, e ad ogni passaggio televisivo. Siccome questo problema è strettamente imparentato con la polverosa questione dell’impegno intellettuale, e nessuno (giustamente!) ne vuole più sapere di vati e maîtres à penser e pifferi della rivoluzione, allora si è deciso di accantonarlo, ma in questo modo non si può certo dire che sia stato risolto il problema della presa di parola nello spazio pubblico: a chi tocca, secondo quali regole, con quale credibilità?
Tocca allo scienziato, ad esempio. Al tecnico, al competente, all’esperto. Tutti costoro parlano a partire da un sapere riconosciuto e accettato. Ma siccome esso è reputato tale proprio perché si ritiene che non investa questioni di senso, prospettive di valore, quelli che Kant chiamava «i più alti fini dell’esistenza umana», finisce che per questi ultimi non c’è nessun sapere disponibile, ma solo opinioni.
In Italia, in verità, a fare altrimenti ci prova la Chiesa. Capita così che, per una singolare par condicio, a fianco del camice bianco si inviti nei talk show una tonaca nera, a mo’ di supplemento etico. Col risultato però che, per il senso comune, fra una scienza troppo disincantata e una fede troppo tetragona non c’è nulla di mezzo, che possa vantare alcuna particolare autorevolezza. Di nuovo: solo opinioni (e brutte leggi, come sul cosiddetto testamento biologico). Non è facile trovare il verso da cui affrontare il problema. Dal momento che viviamo (per fortuna!) in società democratiche, dove la libertà di pensiero è una libertà fondamentale, consideriamo vero e giusto che ogni pensiero possa essere pensato, ed ogni opinione espres-
sa: allo stesso titolo, con uguale diritto. Il guaio è che non è in questo modo che si struttura effettivamente il campo delle opinioni.
Perché, per l’appunto, si tratta di un campo, come insegnava Pierre Bourdieu, cioè di un insieme di relazioni non esente da condizionamenti di ogni tipo: i rapporti di senso sono sempre inframmezzati da rapporti di forza. Non c’è per questo da essere pessimisti, immaginandosi soggetti all’invincibile dominio del capitale, ma non c’è neppure da essere ingenuamente ottimisti, figurandosi i pensieri alla stregua di farfalle libere di volare di fiore in fiore.
ESSERE O NON ESSERE OTTIMISTI?
Non c’è da essere pessimisti: a pagare forse sì, ma a parlare no, non è vero che sono sempre gli stessi, o che si dicono sempre le stesse cose. Ma non c’è neppure da essere ottimisti: non è vero che tutti parlano – anche perché, se così fosse, difficilmente qualcuno ascolterebbe qualcosa.
Ma, ciò detto, dove può trovarsi l’energia che mette le opinioni in condizioni di essere un po’ più che opinioni, di farsi forza per non diventare preda di altre forze? Orbene, la politica è, in generale, l’unico legittimo trasformatore del consenso in forza, e insieme l’unico argine a che non sia piuttosto e soltanto la forza a formare il consenso. Aver cura di questo argine, dargli visibilità nello spazio pubblico, è dunque aver cura di sé e dei propri pensieri. Quando ciò non accade, alla cultura non resta che la provocazione, il gesto scanzonato e decostruttore. Under deconstruction è il nome dell’esposizione allestita dal duo Castro-Ólafsson. Che va bene: come Alice che insegue il Bianconiglio, inventano nuovi mondi e disfano quelli vecchi, però come si fa a prenderli alla lettera? L’arte, la cultura, una costituzione ce l’ha per davvero: non è mica fatta solo di imprese dissacranti. Così: va’ a sapere quale sarebbe la canzone preferita di Coniglio-Babbo Natale. Ma tutti noi un ritornello, una canzone preferita ce l’abbiamo, e dobbiamo fare attenzione a come entra e a come esce dalla testa.

Corriere della Sera 17.7.11
Gli dei greci abitano il romanzo moderno
di Pietro Citati

M olti sostengono che gli dèi greci hanno abbandonato la letteratura moderna. Risorsero cinque secoli fa, quando Afrodite e la Primavera, Atena e Artemide, Demetra e Cupido apparvero dappertutto, nei quadri e nei libri, come se la Grecia fosse di nuovo viva; e sul crinale tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, quando Goethe e Hölderlin e Shelley e Keats e Foscolo e Leopardi rilessero i testi classici, portando alla luce molte cose che il Rinascimento aveva ignorato. Poi— così si sostiene— silenzio, o quasi silenzio: qualche lampo, qualche traccia, qualche barlume. In realtà, niente potrebbe essere meno vero. La grande letteratura moderna — quella che nasce verso la metà del diciannovesimo secolo e si spegne lentamente dopo la metà del ventesimo— è posseduta dagli dèi greci, che vi rivelano finalmente la propria essenza e il proprio significato. Vorrei ricordare soltanto due casi: quelli di Apollo e di Ermes, i due fratelli inventori della lira. Apollo fu temuto dalla Grecia ancora prima di nascere. Le terre, che egli attraversò nel ventre della madre, tremavano al pensiero di vederlo calcare il loro suolo. Le isole dell’Egeo temevano che il dio che stava per nascere le disprezzasse, le calcasse con i piedi e le sprofondasse nelle acque del mare, tra le foche e i covi dei polpi. Una fama terribile lo circondava: era un dio tenebroso, sfrenato, empio, accecato. L’aggettivo che lo definiva — atasthalos— era lo stesso che veniva applicato a Achille che infuria sul cadavere di Ettore, ai Proci che disonorano il palazzo di Itaca, ai compagni di Ulisse che divorano gli armenti del Sole. Qui sta il paradosso supremo dello spirito greco. Apollo non conosceva nessuna delle virtù che da lui vennero chiamate «apollinee» . Era violento, sfrenato, peccatore, assassino. Peccava di eccesso e di dismisura. Eppure, proprio lui impose agli uomini l’equilibrio nella morale, il rispetto del limite, la quiete dello spirito, la misura, il gesto che pacifica e concilia, l’armonia sovrana della cetra. Sull’Olimpo, Apollo suonava la cetra col plettro d’oro: intorno a lui vibrava la luce, e lampi balenavano dalla tunica. Le Grazie e le Ore danzavano. Le Muse cantavano. Il loro canto ricordava la bellezza e la gioia: la norma, la legge, la giustizia, la pace, il ciclo delle stagioni, il tempo propizio, la giuntura, la connessione, l’accordo tra le cose. Così l’eccesso e la dismisura, che Apollo portava in sé stesso, sembravano sgominati per sempre. A Delfi, Apollo uccise un mostro, Pitone, obbedendo a un ordine di Zeus. Eppure, sia pure venerando il re degli dèi, aveva compiuto un delitto: più tardi commise altre colpe. Dopo l’uccisione del mostro, ebbe paura: in un luogo che dal suo nome fu chiamato Phobos, «terrore» , venne assalito dall’angoscia di sentirsi impuro e dalla vertigine della follia. Poiché il male è contaminazione, egli contaminava, diffondendo pestilenze al suo passaggio. Diventato l’ultimo dei miserabili, dei maledetti e dei vagabondi, Apollo fuggì o fu esiliato da Zeus: si rifugiò nella valle di Tempe: oppure fu servo di Admeto: o fuggì presso gli Iperborei; o in un altro mondo. In qualsiasi luogo fosse giunto, venne purificato. Indossò la corona da supplice, compì i riti e le libagioni, odorò l’aroma dell’alloro, che diventò la sua pianta. Quando ebbe completamente espiato, tornò a Delfi. A partire da quel momento, sedendo a Delfi nella doppia veste di medico e di signore degli oracoli, purificò gli sventurati, che come lui avevano conosciuto la colpa. Nei primi versi dell’Iliade, il poema che gli è dedicato, Apollo scese dall’Olimpo «simile alla notte» . Portava sulle spalle l’arco e la faretra chiusa: aprì la faretra, impugnò l’arco, e i dardi sibilarono sinistramente nell’aria, colpendo i corpi dei Greci e degli animali e diffondendo la peste. Niente è più tremendo di questa apparizione tenebrosa del dio della luce. Tempo prima, a Delfi, Apollo aveva sconfitto l’oracolo di una antichissima divinità della Terra, che «suscitava le visioni notturne dei Sogni» . Cancellò questo sonno oscuro. Ma, al tempo stesso, cominciò a rivelare il futuro attraverso i sogni. La sua luce accettò la notte: condivise l’oracolo che aveva sconfitto, ne sfruttò le forze immense, le assimilò; allargò il suo regno e andò oltre sé stesso, senza rinunciare alla propria forma. Come disse Eraclito, annunciò l’armonia tra gli estremi: la sua luce assorbiva la notte, diventava notte, e poi trasformava ogni cosa notturna nello splendore accecante e nella violenza dorata della luce. Questa figura divina ebbe una profondissima influenza sulla letteratura moderna. Sia Dostoevskij, sia Proust, sia Musil compresero che la misura nasce dalla dismisura: che la vera luce comprende in sé stessa la profondità della tenebra; e che solo chi ha compiuto il male, lo ha conosciuto sino in fondo e l’ha espiato, può liberare gli altri esseri umani dal male dove abitano durevolmente. Ermes amava le cose nascoste e segrete. Appena le lunghe ombre cadevano sulla terra, le strade erano vuote e deserte, il sonno possedeva gli dèi e gli uomini e nemmeno i cani alzavano la voce, passava silenzioso e invisibile come la nebbia e la brezza d’autunno. Portava con sé i sogni: con un gesto magico, chiudeva e apriva gli occhi degli uomini; e accompagnava le anime dei morti. Era un’oscurità insidiosa, onnipresente e quieta. Ma conosceva anche la luce. Era nato all’aurora, quando il cielo cominciava a tingersi di rosa. La sua luce era la vampa che brillò mentre inventava il fuoco. Era, sopratutto, lo sguardo: una fiamma mobile, rapida e vivace, un lampo che scintillava acutamente e vedeva lontano, in modo penetrantissimo, sebbene non possedesse lo splendore accecante di Apollo. Appena emanava luce, Ermes doveva nasconderla: celava i pensieri, abbassava le palpebre, gettava sguardi obliqui e inafferrabili. Così irradiava nel giorno lo stesso brillio insidioso ed astuto, sfuggente ed ironico, che si celava nel cuore delle notti ermetiche. Ermes era un polytropos: la sua scienza era la polytropia; un dono che si riceve nascendo, e che lui solo poteva insegnare. Così la sua mente aveva molte forme, pieghe ed aspetti: si volgeva sempre sinuosa da tutte le parti: era flessibile; e si trasformava incessantemente come quella di un attore di genio. Se la realtà era molteplice e casuale, lui diventava ancora più multiforme e casuale. Secondo l’Inno ad Ermes, possedeva un altro dono. Aveva una mente «dai molti colori diversi» : variegata: come è variegata, secondo Omero, la pelle maculata della pantera o del cerbiatto: un carro da guerra: delle armi: una corazza: o uno scudo: o un peplo ricamato; o una tappezzeria — oggetti artigiani, che mandano un gioco ondeggiante e cangiante di riflessi. Una divinità così multiforme e colorata esercitava un fortissimo potere di fascinazione. Era il signore del thelgein: una parola che connotava la forza dell’incantesimo in tutti i suoi aspetti. All’origine, significava probabilmente il potere di ammaliare con lo sguardo; e certo chi poteva resistere allo sguardo intenso, ironico e tortuoso di Ermes? Poi il significato si allargò: esisteva il potere dei racconti di Ulisse, che i Feaci ascoltano in un silenzio profondissimo: quello dei canti delle Sirene, che conduce alla morte: quello delle parole di Calipso, che cerca di sedurre Ulisse: la magia di Circe, che trasforma i compagni di Ulisse in maiali; l’incantesimo erotico di Afrodite. Il risultato di quest’arte era sempre lo stesso. Chi veniva incantato, perdeva il controllo di sé: posseduto, stregato, costretto al silenzio: dimenticava la sua vita passata; era ridotto a una cosa o alla morte. A poco a poco, insinuandosi e avvolgendosi da tutte le parti, Ermes diventò il dio dei rapporti, che avvicinava fra loro ogni aspetto dell’universo. Intrecciò amicizie, accostò lontananze, intessé affinità: sempre pronto a stabilire analogie tra cose lontane; e divenne la chiave del tutto. Accompagna le anime dei morti all’Ade: accompagnava le anime di coloro che tornavano dall’Ade: sorvegliava le frontiere, i crocicchi, le porte della città e della casa; scortava gli uomini tra i pericoli della notte. Era il dio del viaggio, del commercio, del linguaggio, della memoria, del mistero, dell’astronomia, della ricerca, dell’interpretazione, della traduzione, dell’etimologia, della critica letteraria... Zeus lo nominò suo messaggero. Tutto il mondo diventò, grazie alle sue rapide ali, un intreccio di relazioni: tutte le cose risuonavano l’una nell’altra; ed egli si affrettava a interpretare ognuna di esse e la mobile rete che le avvolgeva. Aveva un tempio solenne e ricchissimo, dove una folla di fedeli — i ladri e i mercanti, i bugiardi, i ciurmatori, i critici, i filosofi stoici e neoplatonici, i Padri della Chiesa, gli umanisti e gli alchimisti -si raccoglievano a venerare il supremo sapiente, il signore delle cose segrete, il nascosto precursore di Cristo. Più che Apollo, Ermes fu il dio che protesse la letteratura del ventesimo secolo. Non posso che fare nomi: Yeats, Kavafis, Pessoa, Valéry, Walser, Kafka, Musil, Nabokov, Cioran, Caproni, Dylan Thomas, Kundera, Calvino, Perec, persino (nella Montagna magica) Thomas Mann. Essi derivarono tutti i loro doni da Ermes: la molteplicità delle forme: la molteplicità delle strade: la mente variegata: il gioco: l’invenzione: la mistificazione: l’inganno: il viaggio: l’arte dei rapporti; e, sopratutto, quella della fascinazione, che attraeva la mente profonda dei lettori. Un ultimo, giovane erede di Ermes, Paolo Lagazzi, ha appena pubblicato un piccolo libro: Nessuna telefonata sfugge al cielo (Aragno, pp. 135, e l2). È un libro per lettori maturi che finge di essere scritto per bambini; e un libro per bambini che si rivolge agli adulti. Ermes è onnipresente: sopratutto come ladro, istrione, mistificatore, bugiardo, giocoliere. Credo che tutti ne ameranno l’eleganza. Non so cosa accadrà agli dèi greci, e specialmente ad Apollo ed Ermes, nel ventunesimo secolo. Da vent’anni sembrano nascosti. Quasi sempre gli scrittori li ignorano; ed essi sono stranamente spaesati, come se non riconoscessero il paesaggio dei nostri tempi. Forse, sebbene mi sembri impossibile, verranno dimenticati. Forse gli scrittori non hanno più la forza mentale necessaria per rispondere alle loro terribili esigenze. O, forse, la letteratura moderna, della quale essi sono stati signori, è finita qualche anno fa, con Nabokov e Calvino. Tranne pochi casi, quella che noi leggiamo oggi non è letteratura: o è vecchia, noiosa, senza giochi, misteri e invenzioni.


L’Osservatore Romano 17.7.11
Le catechesi di Benedetto XVI sulle mistiche medievali
Donne liberate dagli schemi degli agiografi
di André Vauchez

Anticipiamo ampi stralci della prefazione a "Benedetto XVI. Donne nel Medioevo. Il genio femminile nella storia del popolo di Dio" (Torino, Marietti 1820, 2011, pagine 141, euro 12) in libreria dal 20 luglio

Nelle "collazioni" dedicate ad alcune sante donne, soprattutto mistiche, Papa Benedetto XVI torna a essere il professor Joseph Ratzinger, autore di una tesi di dottorato riguardante La teologia della storia in San Bonaventura (Monaco, 1959), dunque un "collega", un eccellente conoscitore del pensiero e della spiritualità medievali, con il quale ho l'opportunità di dialogare su un terreno non troppo sbilanciato a mio svantaggio. Nell'opera si può vedere il capo della Chiesa cattolica comportarsi da paziente agiografo, sulle orme del suo lontano predecessore Gregorio Magno, che nei Dialoghi si dedicò ai Patres italici e in particolare alla vita e ai miracoli di san Benedetto. 
Benedetto XVI presenta brevi ma accurate puntualizzazioni storiche sulla biografia di alcune sante medievali e riporta diverse citazioni dei loro scritti, perché i fedeli ne percepiscano la ricchezza spirituale e siano magari invogliati a leggerli direttamente. Compie insomma un'opera veramente meritoria di "volgarizzazione" e apre una nuova strada per i cristiani. Sono più di cinquant'anni che la cultura cristiana ha cominciato a riscoprire gli scritti dei Padri della Chiesa e degli autori cristiani della tarda antichità, ma le opere dei maestri spirituali del medioevo, nonostante la loro bellezza e profondità, restano ancora oggi in larga misura "terra incognita", se si esclude la ristretta cerchia degli eruditi. Dobbiamo dunque rallegrarci quando il Santo Padre sottolinea "l'interesse per il cristiano odierno di attingere alle grandi ricchezze, in gran parte ancora da scoprire, della tradizione mistica medievale".
L'argomento sul quale Benedetto XVI ha scelto di soffermarsi nelle prediche qui pubblicate coincide con le prevalenze tematiche dei recenti orientamenti della storiografia. I lavori pioneristici di Herbert Grundmann sul ruolo delle donne (la famosa Frauenfrage) nei movimenti religiosi del medioevo risalgono agli anni Trenta del Novecento, ma furono noti solo negli anni Cinquanta e Sessanta. 
D'altro canto, la storia delle donne, a lungo trascurata, ebbe grande successo solo a partire dagli ultimi trent'anni del secolo scorso, influenzando anche il campo della storia religiosa. In questo stesso periodo, alcuni cultori della tarda antichità e del medioevo cominciarono a dedicare le loro ricerche alla storia della santità e del culto dei santi, rileggendo le fonti agiografiche in una prospettiva propriamente storica. I discorsi del Papa qui pubblicati si collocano all'incrocio di queste correnti del rinnovamento storiografico. Se ne percepisce chiaramente l'eco, anche se in modo discreto, visto il genere letterario degli interventi che non prevede il ricorso all'erudizione minuziosa.
Senza fare una lezione di storia, che sarebbe risultata fuori luogo, il Papa contestualizza opportunamente alcune nozioni, come quella della reclusione o della mistica nuziale, il cui significato sarebbe potuto sfuggire al grande pubblico, collegandole alla cultura e alla religiosità medievali, fino a fare intendere cosa abbiano comportato tali idee per la vita vissuta di alcune sante donne. 
Accanto ad alcune personalità maggiori e largamente note, almeno in linea di massima, come Chiara d'Assisi, Caterina da Siena o Giovanna d'Arco, Benedetto XVI fa posto ad alcune figure meno famose ma non meno interessanti, come le sante monache di Helfta, in Turingia, Matilda di Hackeborn e Gertrude la Grande, la certosina francese Margherita di Oingt e Giuliana di Mont-Cornillon nell'area di Liegi. Come accade in ogni selezione, anche le scelte che il Papa propone, fra tante possibili figure di sante, potrebbero costituire argomento di discussione. Ci si potrebbe interrogare, per esempio, sui motivi dell'assenza di riferimenti alla Beata Maria di Oignies, la cui Vita, scritta da Giacomo di Vitry, è stata la prima biografia mistica nella storia dell'Occidente. 
Il Papa pone giustamente l'accento su due aspetti fondamentali: la cultura religiosa delle donne di cui parla e le loro esperienze mistiche. Smentendo un luogo comune duro a scomparire, egli sottolinea il fatto che anche quando per umiltà queste donne si dichiaravano illitteratae, ciò non significa che devono essere da noi considerate ignoranti, quanto piuttosto sprovviste di una formazione di tipo scolastico.
Tanto è vero che dimostrano di possedere una solida cultura biblica, derivante dalla frequentazione dei testi liturgici. Anche le loro visioni o "rivelazioni" non devono essere considerate come dei sogni più o meno fasulli, perché trovano corrispondenza in alcuni concetti teologici ben identificabili. Il Papa si mostra impressionato dall'itinerario spirituale di queste sante, non diversamente da come lo furono nel medioevo i chierici che facevano loro da segretari o confessori. 
Queste donne conobbero la vera e propria conversione, il passaggio repentino da una pratica di vita a un'altra, come nel caso esemplare di Angela da Foligno, che si lasciò alle spalle un'esistenza mondana per abbracciarne una penitenziale, fino a stabilire con Cristo una relazione intima che sbocciò in un'esperienza di vita unitiva con Dio stesso. A tal riguardo è particolarmente interessante il passo che il Papa dedica a Caterina da Genova, dove afferma che la mistica autentica, ben lungi dal mirare a una felicità narcisistica o a un distacco dagli esseri umani, è invece portata ad aprirsi agli altri, proprio perché comincia a vederli con gli occhi di Dio e ad amarli con il suo cuore. 
Si tratta di una precisazione molto opportuna, che corregge una certa tendenza degli agiografi medievali. Questi, infatti, erano portati a codificare la vita delle loro eroine, dopo la conversione, come esistenza segnata non solo dal disprezzo del mondo in cui prima erano vissute, ma anche da una totale indifferenza nei confronti della sorte del prossimo, il quale fungeva come rappresentazione dell'ostacolo nei confronti della scelta di vita contemplativa.
Sarebbe improprio voler estrarre da questi testi, il cui fine è più pastorale che dottrinale, una ricognizione sistematica e comparativa, tra ieri e oggi, a proposito del ruolo della donna nella vita religiosa, benché il Papa non esiti in alcune circostanze a sollevare, anche a tal riguardo, problemi importanti, come quando afferma che le donne, pur essendo escluse dal sacerdozio ordinato, hanno avuto e hanno un ruolo peculiare nella Chiesa, grazie ai carismi di cui sono spesso gratificate dallo Spirito Santo. Si riferisce specialmente ai doni della visione e della "capacità a discernere i segni dei tempi", cioè di profetizzare per il bene del popolo cristiano, come fecero nel medioevo Ildegarda di Bingen e Brigida di Svezia. Alcune delle sante donne, di cui Benedetto XVI analizza e presenta qui la vita, avevano però superato le fratture tradizionali riguardanti le specializzazioni dei ruoli tra uomini e donne. È il caso, per esempio, di Ildegarda, che fu autorizzata da Eugenio III sia a rivolgersi ai fedeli e al clero per riportarli a una vita migliore sia a predicare a Colonia contro i catari. 
Allo stesso modo, il Papa pone l'accento sulle notevoli doti teologiche di Gertrude la Grande, che l'avevano predestinata all'apostolato. Non dobbiamo dimenticare, d'altra parte, che nel medioevo era diffusa la credenza secondo cui santa Maria Maddalena sarebbe andata in Provenza con il fratello Lazzaro, dopo l'Ascensione di Cristo, per evangelizzare i pagani. 
Scegliendo qui di parlare solo di figure femminili, il Papa evidenzia che le donne sante hanno precorso i tempi, con intuizioni e premonizioni che la Chiesa avrebbe ripreso e codificato solo in seguito. Illustra, per esempio, come la devozione di Giuliana di Mont-Cornillon, riguardante la presenza "reale" di Cristo nell'Eucaristia, abbia contribuito poi all'istituzione della festa particolare in onore del Corpus Domini e alla sua estensione all'insieme della cristianità con Papa Giovanni XXII nel 1317. 
I testi di Benedetto XVI mettono inoltre l'accento sulla radicalità dell'impegno delle donne, una volta che esse hanno accolto la rivelazione dell'elezione divina e la conseguente vocazione alla missione. Il Papa evidenzia l'esempio di Giovanna d'Arco che, pur essendo stata condannata a morire sul rogo da un tribunale ecclesiastico, non derogò mai alla sottomissione nei confronti dell'autorità della Chiesa. Avrebbe anche potuto riferirsi a Chiara d'Assisi che, durante tutta la sua vita religiosa, si sforzò di resistere ai tentativi del papato miranti a imporre alle "Povere Dame recluse" di San Damiano una regola di stampo benedettino, che avrebbe loro consentito di acquisire beni, mentre lei li rifiutava per non rompere l'ultimo legame con i frati minori e con la povertà evangelica promessa a san Francesco. 
Benedetto XVI riprende questi due punti quando ricorda che le richieste di Chiara d'Assisi furono soddisfatte alla vigilia della sua morte e quando sottolinea che fu la prima donna a scrivere la regola dell'ordine religioso da lei stessa fondato. È vero anche, però, che già nel secolo XII, Eloisa, dopo il suo ingresso nel monastero del Paraclito, stese personalmente una regola, ed è vero anche che quella di santa Chiara venne ben presto sostituita da un'altra - quella di Papa Urbano IV - che imponeva alle clarisse di accettare possedimenti e redditi fissi.
La testimonianza delle sante, qui proposta da Benedetto XVI alla meditazione dei fedeli, libera il sesso a torto ritenuto debole sia dai sospetti dipendenti dalla simbologia di Eva responsabile del peccato originale sia dai pregiudizi di debolezza intellettuale e morale trasmessi al medioevo cristiano dalla tradizione letteraria antica. Il Papa ricorda, proprio attraverso la storia, che alcune di loro, sia monache sia laiche, sono salite ai vertici dell'esperienza religiosa attraverso l'unione mistica con Cristo, fino al punto di esercitare un forte ascendente sui chierici che le seguivano e diffondevano i loro messaggi.

sabato 16 luglio 2011

il Fatto 16.7.11
Come salvare l’Italia e l’Europa
di Antonio Padoa-Schioppa

E così ci siamo arrivati. Dopo tante avvisaglie remote, ora l’Italia è davvero sull’orlo di un precipizio che potrebbe segnare la fine del benessereconquistatomezzosecolofa.E segnare la fine dell’euro e addirittura l’arresto se non la fine del processo di integrazione europea. Allarmismo eccessivo? Non credo. Sulla fine dell’euro scommettono ormai in tanti, e per tante ragioni diverse e concorrenti. Interessi potenti sono all’opera. L’obiettivo non sembra più irraggiungibile. Che fare? In questi giorni le proposte non sono certo mancate. Il punto di partenza degli osservatori è uno solo: le misure della manovra, per quanto corpose se viste nella cornice di quattro anni, sono inadeguate a scongiurare i rischi di attacco ai nostri conti. I 300 punti di spread raggiunti in pochi giorni dai nostri titoli pubblici decennali rispetto a quelli tedeschi comportano, da soli, un aggravio annuale di alcuni miliardi di euro sugli interessi del debito pubblico. Facile calcolare cosa costerebbe   un raddoppio o una triplicazione o una quadruplicazione di queste cifre, che potrebbe arrivare in tempi brevi.
LA GRECIA insegna. E i mercati non si acquietano, se sentono vicino l’odore della preda. La ricetta non è difficile. Varie componenti sono state espresse da economisti indipendenti: Perotti, Zingales, Monti, Scalfari, Tabellini, Boeri, Ferrera, De Bortoli e altri osservatori. Occorre anticipare la scadenza del pareggio di bilancio almeno al 2013 se non addirittura al 2012. L’essenziale sta nell’adottare misure strutturali, attingendo ai due principali serbatoi: la spesa previdenziale e l’evasione fiscale. Si dovrebbero accompagnare questi interventi con segnali inequivoci sulla limitazione delle spese della politica: abolizione delle rappresentanze elettive per le province, diminuzione del numero e delle remunerazioni dei parlamentari e dei consiglieri regionali, cancellazione dei privilegi dei rispettivi vitalizi, diminuzione dei rimborsi elettorali. In una fase critica chi guadagna   molto deve pagare di più: un innalzamentodellealiquoteperstipendi e rendite elevate va attuato, magari ridistribuendo il ricavato verso il basso.
E ancora: semplificazione drastica delle procedure amministrative, che inceppano troppe iniziative di crescita: anche qui la Germania insegna. Una quota delle risorse drenate deve essere rivolta a investimenti in infrastrutture di qualità, essenziali per la crescita e per il nostro domani: giustizia, ricerca, cultura, trasporti, ambiente. Occorre riavviare finalmente la procedura di spending review, per un dimagrimento ragionato e selettivo della spesapubblica.Rammentiamoche il programma del governo Prodi prevedeva il pareggio nel bilancio per il 2011. E aveva ragionevoli prospettive di arrivarci con misure   ben meno drastiche, o di arrivarci al più nel 2012.
La messa in opera simultanea di tutte queste misure – che includono, sia ben chiaro, l’accelerazione rapida dell’innalzamento dell’età pensionistica maschile e femminile e l’abolizione delle pensioni di anzianità – accompagnata da un alleviamento del costo del lavoro, a sua volta compensato da un aumento di almeno uno o due punti di Iva (la Germania seguì con coraggio questa via, innalzandola di tre punti; i risultati si sono visti), dalla reintroduzione dell’Ici sulla prima casa (imposta coerente col federalismo) quantomeno per la abitazioni di valore, nonché da una stretta feroce sui bulloni della lotta all’evasione (che invece si tendono ad allentare): tutto questo porterebbe l’Italia in zona di sicurezza in tempi brevi. A condizione di non lasciarsi intimorire da proteste, lamentazioni, distinguo, petizioni di principio fuori luogo: esercizi nei quali siamo certamente maestri.   Libro dei sogni? Sì, a meno che non si attui una svolta essenziale: una politica di questa natura – necessaria per evitare il rischio reale di default del Paese – può venire proposta e attuata solo con una politica di temporanea unità nazionale. Tutto il resto – ed è, purtroppo, davvero tanto… – deve venire dopo, a cominciare dal salutare contrasto tra maggioranza e opposizione. Solo un approccio bipartisan può superare i corporativismi che già si sono puntualmente manifestati per annacquare, svilire, depotenziare la messa in opera delle cose da fare. Servono misure strutturali, operanti con certezza immediata e dotate di effetti permanenti sul bilancio nazionale: non provvedimenti una tantum. Occorre operare per decreto legge, con voto di entrambi gli schieramenti, tale da non far   ricadere l’impopolarità della stretta su una sola parte. Occorre spiegare chiaramente in ogni sede che le misure da adottare ora, per impopolari che siano (ma gli italiani sono assai meno egoisti e ottusi di quanto pensino tanti politici), sono comunque ben meno aspre di quelle che, volenti o nolenti, dentro o addirittura ormai fuori dall’Europa, saremo costretti ad assumere se non ci dimostreremo capaci di mettere ordine nei nostri conti, abbattendo il debito, ricostituendo l’avanzo primario e pareggiando il bilancio in tempi brevi. I giovani, i veri sacrificati di questo   decennio,capiranno.Enonsololoro. L’opposizione avrebbe dovuto e dovrebbe avere molto più coraggio, mostrando i caratteri propri di una vera statura di governo: prendere essa l’iniziativa, sfidare la maggioranza, esigere una manovra più incisiva: risanamento e crescita nell’equità.
I PICCOLI aggiustamenti non servono più. Tra l’altro (last not least) un’azione nostra di riforma severa e responsabile rafforzerebbe di molto in Europa, presso i governi riluttanti – a cominciare da quello tedesco – la via maestra per la sicurezza dell’euro e per la ripresa della crescita in Europa: spingerebbe alla realizzazione in tempi brevi dell’Agenzia europea del debito, alla creazione ormai indifferibile di una fiscalità europea, all’incremento degli investimenti strategici tramite eurobond, insomma a quel governo europeo dell’economia che è indisgiungibile (lo sappiamo da sempre) da quello della moneta.   Tutti gli esperti, per una volta, concordano: o si realizza senza indugi più Europa – quanto meno entro l’Eurozona – oppure si fa incombentelaprospettivadiunacrisiche potràinfirmare,conl’euro,l’intero processo di integrazione, cioè il futuro. Non solo il nostro, ma anche quello dei Paesi più di noi ricchi e virtuosi.La partita che si è aperta in Italia, essenziale per il nostro Paese, lo è altrettanto per l’Ue. La politica italiana su questo ha le idee chiare. Ma solo un comportamento interno ineccepibile può renderle credibili ed efficaci. 

Corriere della Sera 16.7.11
Citrullaggini elettorali
di Giovanni Sartori

T ra le tante ragioni che impediscono al nostro Paese di rimettersi in piedi c’è anche la citrullaggine elettorale e cioè l’incapacità di adottare un sistema di voto che funzioni e che, di conseguenza, consenta alla politica di funzionare. La nostra prima Repubblica esordì con un sistema proporzionale puro (senza sbarramenti) che consentiva all’elettore di indicare tre preferenze tra i candidati in lizza (in lista). Queste preferenze furono eliminate da un referendum a furor di popolo. Dal che risulta che agli elettori di allora le preferenze non sembravano importanti come agli elettori di oggi. Il Sud segnava sulla scheda molti più nomi del Centro-Nord. Ma non era senso civico; era che al Sud il voto clientelare era già vivo e vegeto. E il punto resta che allora nessuno difese le preferenze proclamandole l’essenza stessa della democrazia. Lo potrebbero essere solo se e quando gli elettori si interessano di politica e si informano sui candidati. Ma finché se ne impipano, le preferenze possono fare più male che bene. Il passo seguente fu la richiesta ossessiva di Pannella, con Mariotto Segni sempre di sostegno, di sostituire il sistema proporzionale con il sistema maggioritario secco, all’inglese. Pannella prometteva e giurava che quel sistema avrebbe prodotto il bipartitismo, e cioè solo due partiti. Mai promessa fu più sciocca e infondata. Ma in gran parte venne accolta nella legge che battezzai il Mattarellum: un sistema elettorale per tre quarti uninominale e per un quarto proporzionale. Sin dal primo giorno protestai, prevedendo che il Mattarellum non avrebbe ridotto ma anzi moltiplicato i partiti (i miei editoriali sono tutti raccolti in volumi, chi non mi crede può controllare). Così fu: quando il Mattarellum venne abolito, i partiti, partitelli e partitini erano diventati tanti che era difficile contarli. Ma al male è seguito l’ancor peggio. Dopo la caduta del secondo governo Prodi il governo Berlusconi Bossi impose un sistema elettorale che dissi il Porcellum, visto che il suo stesso estensore, Calderoli, lo aveva dichiarato una «porcata» . Lo sfaldamento del centrodestra offre l’opportunità e segnala l’urgenza di una riforma elettorale che almeno elimini la maggiore orrendezza del Porcellum: premio di maggioranza assegnato alla maggiore minoranza. Un 35%dei voti che può ottenere il 55%dei seggi in Parlamento, è una intollerabile e vergognosa distorsione del processo democratico, senza precedenti in nessuna democrazia. E se in queste condizioni una opposizione chiede nuove elezioni senza almeno tentare di eliminare questa distorsione, allora è una opposizione che vuole il proprio male. Ed è proprio così. Il professor Passigli, già senatore del Pd, si è mosso proponendo un referendum abrogativo del Porcellum. E si è trovato mezzo partito contro. Il professor Ceccanti, il costituzionalista prediletto da Veltroni, lo attacca asserendo che «il ritorno alla proporzionale segnerebbe la fine del bipolarismo» . Ma quando mai, ma perché? Quasi tutta l’Europa occidentale usa la proporzionale ed esibisce al tempo stesso una struttura bipolare.
Inoltre non sarebbe il ritorno alla stessa proporzionale di prima, visto che ora avremmo una proporzionale con sbarramento del 4 per cento. Il professor Ceccanti ricorda anche che il partito è sempre stato per il sistema maggioritario a doppio turno di tipo francese. Ma non ricorda bene. Proprio Veltroni, quando era segretario del partito, lo cancellò dall’agenda. L’altra idea è di tornare al Mattarellum. Come se avesse funzionato bene, come se fosse degno di riesumazione. E in ogni caso mi sfugge come un sistema maggioritario possa essere ricavato da un referendum abrogativo che può soltanto cancellare ma non sostituire. A prescindere dalla proposta Passigli, che mi sembra già silurata dal suo stesso partito, mi ha colpito che anche Bersani, tra le tante stramberie, ne abbia detta una anche lui: che la proporzionale è da respingere «perché non dice come sarà composto il governo» . Ma, di grazia, come potrebbe? Le elezioni (mi si perdoni l’ovvietà) eleggono, punto e basta. I governi, quali saranno e da chi composti, li stabilisce il Parlamento. Nei sistemi parlamentari è così. E il nostro è pur sempre un sistema parlamentare, per quanto malconcio e tartassato.


l'Unità 16.7.11
NOALCARCERE
Una battaglia comune
per chiudere i Cie,
lager per i migranti
di Filippo Miraglia
nelle edicole, e dopo le 24 qui

l'Unità 16.7.11
Nazionalismo suprema imbecillità
di Moni Ovadia
qui
nelle edicole, e dopo le 24 qui

il Fatto 16.7.11
Medici e pazienti nella trappola del biotestamento
Nessun dottore potrà decidere senza rischi penali
di Chiara Paolin

Roma, caldo torrido anche se il sole è tramontato. La gente esce dal grande ospedale: fine turno per il personale, scaduto l'orario di visita per i parenti. Ma c'è un reparto dove i familiari stanno ancora dentro. Al secondo piano il cartello dice: “13.30-18.30 un familiare, 18.30-22.00 turnazione tra familiari”. Poi verrà la notte, i visitatori usciranno, nelle stanze solo i malati e quelle mogli, quei figli, che dormiranno ancora una volta rannicchiati su una poltrona o una sdraio da spiaggia.
UN SONNO nero, interrotto da passi in corridoio e porte che cigolano, odore di detergente e profumo di caffè. Anche una sigaretta fumata alla finestra, di nascosto, ragionando su quello che si può e non si può più fare quando una persona cara sta male e non ha speranza di guarire. “Aspettiamo. Cerchiamo di capire. Più che altro ci fidiamo dei dottori   : se non sanno loro cosa fare, figurati noi”. Lorenza ha un marito malato di cancro, in coma da un mese. “Dicono che può durare giorni, ma anche mesi – dice lei guardando il pavimento -. Dormo qui perché voglio esserci quando muore. Forse è già morto, ma non lo   lascio solo finché se ne andrà fuori da questa stanza”.
Se il disegno Calabrò sul biotestamento diventerà legge, Lorenza e suo marito dovranno aspettare a lungo. Perché anche nel caso in cui un malato terminale rifiuti il prolungamento delle cure parlandone direttamente coi medici o depositando una Dichiarazione anticipata di trattamento (Dat), la nuova norma prevede che sia sempre e comunque il medico a prendere la decisione finale, con l'obbligo di somministrare al paziente “idratazione e alimentazione” fino a quando il cuore batte, magari aiutato dalle macchine. Il che vuol dire mesi, anni, distesi in un letto attaccati a fili e flebo.   Spiega Davide Mazzon, direttore dell'Unità di rianimazione dell'Ospedale di Belluno: “Finora avevamo come guida i principi della Costituzione e i doveri della professione medica. Non leggi dettagliate, ma validi binari su cui incanalare scelte responsabili e condivise. Adesso invece dobbiamo confrontarci con l'ipotesi peggiore: politici che si mettono a fare gli scienziati, norme che già a una prima lettura sono prive di ogni applicabilità causa totale ignoranza delle questioni tecniche. Per non parlare dell'articolo 32 della Costituzione che garantisce a tutti la libera scelta e il rifiuto delle   cure: il Calabrò è un imbroglio per i cittadini e un oltraggio per i medici. Non è possibile fare una legge su un tema tanto importante solo per dire ai cattolici: ecco, abbiamo vietato l'eutanasia. Qui c'è gente che soffre e ha problemi serissimi, giocare sulla pelle delle persone solo per compiacere il Vaticano è inaccettabile”.
In concreto, cosa dovrebbe cambiare? Ancora non è chiaro, le modifiche al testo si sono affastellate fino all'ultimo creando ampie contraddizioni   e vuoti incomprensibili. Per ora, solo ipotesi pensando a quello che è già successo. Per esempio, se un medico decidesse di togliere il sondino di alimentazione a una persona nello stato di Eluana Englaro, in base al ddl commetterebbe un reato: l'omicidio colposo, o forse addirittura volontario. Anche se tutto si smonterebbe in fase giudiziaria: il termine   alimentazione fa riferimento a sostanze ingerite per bocca, mentre il sondino è in genere applicato all'addome. Oppure: se anziché interrompere idratazione e alimentazione si fermasse la ventilazione meccanica, sarebbe reato o no?
GIUSEPPE Gristina, coordinatore gruppo di studio Bioetica della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva, spera che intelligenza e sensibilità possano sopravvivere al decreto: “Diciamo innanzitutto che la legge verrebbe applicata solo agli stati vegetativi permanenti. Si tratta di circa tremila casi in Italia. Per il resto avremo solo problemi in più: vincoli assurdi da rispettare, reparti dove si opera secondo una certa logica e altri dove invece si va all’opposto, un pasticcio   dannoso e inutile”. Col rischio che anche le cure d’urgenza e fine vita diventino ostaggio della medicina difensiva, quella fatta col timore di incorrere in guai e sanzioni. “Di fatto questa legge non cambierà molto le cose” prevede   Rita Formisano, responsabile della Sezione post-coma della Fondazione Santa Lucia, struttura romana a rischio chiusura per i tagli alla sanità. “Si parla tanto di etica e filosofia mentre centri come i nostri devono lottare per esistere. E' giusto pensare al fine vita, ma occupiamoci anche di chi vuol essere assistito in maniera dignitosa nella fase acuta e soprattutto in quella cronica della malattia, quando malati e famiglie sono abbandonate a se stessi. Ecco un tema serio: dove troviamo le risorse per sostenere questi pazienti, che sono sempre di più?''.
Al reparto oncologia dell'ospedale immerso nell'afa dopo la notte umida i letti sono tutti occupati. Una ragazza giovane, bionda, scheletrica, sta distesa sopra le lenzuola. Accanto un uomo le parla piano. Ci vorrà tempo. 

il Riformista 16.7.11
Il biotestamento alla tedesca
di Gustavo Ghidini
qui
http://www.scribd.com/doc/60133933

il Fatto 16.7.11
Niente sconti ai nazisti
di Loris Mazzetti

Ho incontrato Ines Rossi poco prima della sua morte. Era una delle vedove di Cervarolo (frazione di Villa Minozzo sull’Appennino reggiano), i nazisti della Divisione Hermann Goering, assieme alla GNR (Guardia Nazionale Repubblicana), il 20 marzo ’44, le trucidarono il marito Pio e il suocero Gaetano Paini, con altri 22 compaesani. All’alba del 20 marzo i tedeschi avevano già piazzato mitragliatrici nei punti strategici, mentre le camicie nere si erano disposte intorno al villaggio bloccando i principali punti di passaggio. I primi a morire furono Ennio e Lino Costi, padre e figlio, uccisi nella loro abitazione, poi iniziò il rastrellamento casa per casa. Tutti gli uomini   furono condotti al centro del borgo. Alle 18 i militari diedero fuoco alle case, contemporaneamente le mitragliatrici spararono sui prigionieri, mentre donne e bambini vennero spinti verso valle. Il comandante tedesco nel suo rapporto scrive di un “combattimento contro le bande partigiane della zona, di aver trovato, in tutte le abitazioni tracce di componenti delle bande, nel 50% delle case anche armi e munizioni”.
IL COLONNELLO Onorato, capo delle truppe fasciste, in un fonogramma scrive: “Rappresaglia nei confronti di abitanti e popolazioni delle frazioni Cervarolo-Civago, responsabili di favoreggiamento e omertà riguardo banda partigiana”. Nei 695 fascicoli “archiviati provvisoriamente” nel famoso “armadio   della vergogna”, scoperto solo nel 94, c’è scritto tutto sulle stragi compreso i nomi degli assassini. L’intento dei governi, dal dopo guerra ad oggi, è stato quello di occultare. L’Italia ha privilegiato gli interessi economici con la Germania, a scapito della verità. A proposito della sentenza di Verona, Massimo Fini, sul Fatto Quotidiano, ha affermato che “non si erano mai visti nella Storia processi celebrati a settant’anni di distanza dai fatti,   tanto meno per i crimini di guerra”, concludendo così l’articolo: “Il fatto è che il processo di Verona contro dei fantasmi più che il sapore della giustizia ha quello amaro della rappresaglia. Proprio quella rappresaglia in nome della quale, tante volte,   abbiamo condannato i nazisti”. Leggendo queste parole ho provato la stessa indignazione quando alcuni esponenti del Pdl presentarono al Senato un disegno di legge per abolire la norma che vieta l’apologia di fascismo. Se nelle città vediamo, appesi ai muri, i manifesti squadristi di Forza Nuova, se picchiatori fascisti siedono sui banchi del Parlamento, se il generale dei Carabinieri D’Elia, che ha svolto le indagini sulle stragi, è costretto   a vivere sotto scorta perché minacciato di morte: “Balleremo sul tuo corpo e su quello dei tuoi collaboratori”, è colpa della morale (falsa), che si sta diffondendo sempre più, che invita, in nome “di chi uccise e chi no”, a dimenticare i fatti, permettendo l’alterazione della Storia. Fini tenta di dare una giustificazione alle stragi affermando che i tedeschi erano “incarogniti per i tradimento dell’alleato italiano... mentre si lottava per la vita o la morte, li aveva pugnalati alle spalle passando dalla parte dei probabili vincitori...”. E le camicie nere presenti? Nessuno chiede per i 7 tedeschi (che in questi 67 anni hanno vissuto come se nulla fosse accaduto, rimanendo sempre in contatto tra loro, ci sono le intercettazioni telefoniche che lo provano), la galera, lo vieta la legge, ma il marchio di   assassini sì.
LA SENTENZA del 6 luglio è importante anche perché condanna la Germania al risarcimento (22 milioni di euro) dei familiari delle vittime in qualità di “responsabile civile dei fatti”, affermando un principio che   potrebbe essere fondamentale per la via alla pace: i diritti umani sono più importanti dell’immunità di uno Stato. La sentenza però non può essere esecutiva, grazie al governo Berlusconi che, prima si costituisce parte civile, poi crea un decreto legge che consente di bloccare il risarcimento quando uno Stato, in questo caso la Germania, si rivolge alla Corte di Giustizia dell’Aja a nome dell’immunità. Fini confonde giustizia con giustizialismo. Il dispositivo di sentenza condanna in primo grado i nazisti all’ergastolo per “concorso in violenza con omicidio contro privati nemici aggravata continuata... per aver commesso il fatto per motivi abietti, adoperando sevizie e crudeltà verso le vittime”. Il giudice applicando l’articolo 61 del Codice Penale ha reso il reato non prescrivibile   . Alla domanda di Enzo Biagi sul perché di quelle stragi, il feldmaresciallo Kesselring, che comandò la Campagna d’Italia, rispose: “I reparti di assalto possono compiere degli eccessi, essi hanno il dovere di vincere”. La guerra non giustifica mai una strage.

il Fatto 16.7.11
Media resistenti
Viva la vecchia radio ai tempi nuovi del web
Secondo il Censis, internet e radio sono mezzi d’informazione più   affidabili di stampa e tv. Il direttore di Radio3 Sinibaldi spiega perché
di Silvia Truzzi

Il punto dolente (e assai imbarazzante) è che la categoria è completamente sputtanata. Secondo l’ultimo rapporto Censis su informazione e comunicazione, il 67,2% degli italiani giudica i giornalisti poco indipendenti, troppo legati al potere politico ed economico. La percentuale è mostruosa, roba da convocare gli Stati generali della stampa per prendere contromisure. Invece tutto passa pressoché inosservato. Come altri dati che rendono la carta (stampata) - come titolava ieri il Manifesto - quasi straccia. In edicola i quotidiani perdono il 7 per cento dei lettori. Come ci s’informa? Con Internet, naturalmente. Vero: ma accanto al nuovo che avanza, il vecchio resiste alla grande: 8 italiani su dieci ascoltano la radio. Marino Sinibaldi, direttore di Radio3, tra le onde medie ci naviga da vent’anni. E guarda oltre il naufragio di un modo di informare ormai ammuffito. 
Sinibaldi, siamo un popolo multifunzione?
Ogni volta che andiamo a vedere da vicino comportamenti concreti, ci troviamo davanti a un grande mutamento in corso. La gente è diventata politeista.
Cioè?
Le opinioni si creano facendo convivere strumenti diversi. Si sta ancora davanti alla tv a vedere il telegiornale, ma accanto ci sono imprevedibili mix e incroci di informazioni. Lo dimostrano gli ultimi referendum: certo non è stata la tv a fare informazione sui quesiti. Eppure il quorum è stato raggiunto.
La tv è ancora al centro, ma non del mondo.
Sì e non è un caso che aumentino i canali digitali. E poi le tv sono anche schermi, cui collegare il pc, con cui vedere film o giocare.
Previsione: dove porta questo mutamento? 
Verso una progressiva frammentazione. La cosa impressionante è che i grandi media – tv e carta – sono distantissimi da questa trasformazione.
I giornali titolano ancora con l’apertura dei tg della sera prima. Ma del “monito del Colle”, per fare un esempio di titolo frequente, i cittadini sanno già tutto...
Sono ancora legati all’idea dell’ultimo trentennio: sappiamo quanto è esaurita culturalmente e avvelenata politicamente.
Perché allora la radio, ormai vecchia di secoli e Internet riescono a convivere?
È un cortocircuito che dimostra la teoria del politeismo dell’informazione, dei consumi e dei comportamenti. 
I giornalisti, dal rapporto Censis, escono bastonatissimi: la mancanza di autonomia è la peggiore delle critiche.
I giornali sono subalterni ai tempi dell’informazione televisiva, l’abbiamo detto. Ma soprattutto sono troppo poco distanti dalla politica. In parte è pregiudizio, in parte è vero.
Ma i clienti dei quotidiani dovrebbero essere i lettori, non i segretari di partito. Forse il guaio è questo.
Infatti quello che danneggia i quotidiani è l’essere, in parte, un canale di comunicazione interno alla politica. Mentre la rete è percepita come libera. Ma Internet è soggetto a falsificazioni e mistificazioni molto più   degli altri media.
I giornali italiani sono poco credibili?
No, c’è offerta e varietà: il mercato, nel suo complesso, è credibile.
L’informazione generalista è al capolinea?
Probabilmente si va in questa direzione. Ma è un peccato, perché il giornale generalista, anche se lo si compra per leggere la pagina culturale o sportiva, garantisce un’informazione completa. È l’opposto quello che succede in Internet.
On line c’è troppo specialismo?
Sul web c’è di tutto. Anche un sacco di sciocchezze e falsità. Però diciamo che il web può saziare ogni gusto particolare. Ma   la pluralità favorisce l’apertura mentale, i collegamenti. Insomma tiene in esercizio l’intelligenza.
Tra la stampa generalista e il web specialista, la radio dove sta?
In mezzo, ed è la sua fortuna. Di radio ce ne sono tante, molto diverse tra loro. E’ un mezzo, anche da un punto di vista percettivo, che stimola la fantasia perché non occupa tutti i sensi. 
A proposito di cambiamenti: alla sfida di Santoro, andare in onda su un network di tv locali e in streaming su internet, ci crede?
Non so se è la sfida giusta, ma va nella direzione giusta. Bisogna favorire l’uscita dalla schiavitù del monoteismo televisivo. E il processo è già in atto: l’informazione è un bene pubblico e i cittadini se ne vogliono riappropriare. 

Corriere della Sera 16.7.11
Condannato il vescovo negazionista
Ora è un problema per il Vaticano
di Marco Ventura

Mentre si trovava in Germania, Richard Williamson ha negato in pubblico i milioni di morti dell’Olocausto e l’esistenza delle camere a gas nei campi nazisti. Come bisogna comportarsi con lui? Per lo Stato tedesco ha risposto il tribunale di Ratisbona. Il negazionista è stato condannato in appello a 6500 euro di ammenda. Ma Williamson non è un privato qualsiasi. È un vescovo della Fraternità San Pio X, la comunità cattolica tradizionalista fondata da Marcel Lefebvre. La domanda «come bisogna comportarsi con lui?» si pone anche per la Chiesa di Roma. Il settantunenne inglese ha una storia turbolenta. Nel 1988 fu consacrato vescovo da monsignor Lefebvre. Fu un atto scismatico; e Giovanni Paolo II lo scomunicò immediatamente. Venti anni dopo, nel 2009, Benedetto XVI levò la scomunica. In diritto canonico Williamson rimaneva ancora escluso dalla piena comunione con la Chiesa. Ma le proteste contro la clemenza verso un negazionista si levarono alte. Il Pontefice si disse all’oscuro dell’antiebraismo di Williamson. Alle richieste di ritrattazione vaticane seguirono le furbe repliche dell’interessato. Invano il pontefice ha alzato la voce, fino all’autocritica sulla revoca della scomunica. Da monsignor Williamson, nessuna chiarezza. Ora, la condanna penale di Williamson in Germania fa contrasto con il negoziato romano. Solo un mese fa, il Superiore della Fraternità San Pio X monsignor Fellay ha accusato di contraddittorietà la Curia romana: «Certuni, a Roma, sono pronti a considerarci come fuori dalla Chiesa, scomunicati. E poi ve ne sono altri che ci riconoscono veramente come cattolici» . Inquieta l’opinione pubblica lo scarto tra la condanna subita da Williamson a Ratisbona e l’alternanza romana di censura e clemenza, tra la nettezza del diritto tedesco e i chiaroscuri del diritto canonico. Ma la giustizia penale canonica non può inseguire quella degli Stati. Ha un’altra logica, un altro spirito. Per la Chiesa romana non vi è separazione tra governo e giustizia. Dal chiaroscuro, essa ritiene, derivano più frutti che dal bagliore dei 6500 euro di ammenda di Ratisbona.

Corriere della Sera 16.7.11
Ai Weiwei: la verità non è anticinese
Nel blog dell’artista, chiuso dal regime, le sofferenze e le speranze di un popolo
di Ai Weiwei

28 maggio 2009 Sono pronto. O meglio, non c’è nulla per cui esser pronti. Una persona. È tutto quel che ho, è tutto quello che chiunque ha ed è tutto quello che posso dare. Al momento del bisogno non esiterò e non sarò indeciso. Se c’era qualcosa di cui avere nostalgia, erano le meraviglie che offre la vita. Queste meraviglie sono le stesse per ciascuno di noi, un gioco in cui tutti sono uguali, con la libertà e le illusioni che lo accompagnano. Considero tutte le minacce ai diritti umani minacce alla dignità e alla razionalità, alle potenzialità della vita. Voglio imparare ad affrontarle. State tranquilli, imparo in fretta e non vi deluderò. Non molto tempo fa, la morte collettiva di quei bambini sacrificati mi ha aiutato a capire il significato della vita di ogni individuo e della società. Rifiutare il cinismo, la cooperazione, la paura, rifiutare di bere il tè, non c’è niente da discutere. L’ho già detto: non tornate a cercarmi. Non collaborerò. Se dovete venire, portate gli strumenti di tortura. Dimentichiamo. 3 giugno 2009 La vita ci ha insegnato che tutti i giorni sotto il totalitarismo sono uguali, tutti i giorni totalitari sono un unico giorno, non c’è il giorno dopo, non c’è uno ieri o un domani. Allo stesso modo non abbiamo più bisogno di segmenti di realtà e non abbiamo più bisogno di una giustizia o un’uguaglianza frammentata. Chi non ha libertà di parola, libertà di stampa e diritto di voto non è umano e non ha bisogno di memoria. Senza il diritto alla memoria, scegliamo di dimenticare. Dimentichiamo tutte le persecuzioni, le umiliazioni, i massacri, gli occultamenti, le menzogne, i crolli e le morti. Dimentichiamo tutto ciò che potrebbe essere un ricordo doloroso e dimentichiamo le volte in cui dimentichiamo. Tutto solo perché ridano di noi, come signori giusti e onesti. Dimentichiamo quei soldati che sparano sui civili, le ruote dei carri armati che schiacciano i corpi degli studenti, i proiettili che fischiano per le strade e gli spargimenti di sangue, la città e la piazza che non hanno versato lacrime. Dimentichiamo le infinite menzogne, i leader al potere che insistono che tutti devono dimenticare, dimentichiamo la loro debolezza, malvagità e inettitudine. Dimenticherete di sicuro, devono essere dimenticati, possono esistere solo quando sono dimenticati. Per la nostra sopravvivenza, dimentichiamo. Se non siete anticinesi, siete ancora uomini? 3 giugno 2009 Il partito sta mettendo alla prova la gente in mille modi: Internet è censurata, l’istruzione programmata, i giornali sono pieni di falsità, il latte è avvelenato, e se siamo disoccupati siamo condannati. Sui mezzi pubblici scoppiano bombe, la terra ci viene derubata, la casa demolita, i bambini venduti, i minatori schiacciati, le giovani donne violentate e tutto il resto appartiene alle guardie, agli amministratori delle città, alla polizia militare, agli addetti alla sicurezza dello Stato; o è normalizzato o impazzisce. Chiedete che i violentatori siano arrestati, e diranno che siete anticinesi; i bambini sono schiacciati da edifici che crollano, ma indagare sulla qualità delle costruzioni è anticinese; parlare di cibi contaminati è anticinese; presentare una petizione allo Stato quando i civili vengono picchiati e violentati è anticinese; fare traffici di bambini, vendere sangue infettato dall’Hiv, far lavorare come schiavi in miniere di carbone, falsificare le notizie, infrangere la legge nei tribunali, la corruzione e l’avidità, violare i diritti costituzionali, bloccare Internet… tutto quel che fa emergere dei problemi è anticinese. Se non siamo anticinesi, siamo ancora uomini? Un caso sollevato in pubblico è considerato un attacco imprevisto e una congiura collettiva; se ha risvolti politici, si tratta di una sollevazione; se è un banale errore, hanno motivi ulteriori; se a essere in collera sono in molti, non conoscono la verità e sono stati provocati; se la condanna è internazionale, allora si tratta di forze straniere anticinesi. Sono passati sessant’anni e non abbiamo ancora visto una votazione, non c’è istruzione di massa, assicurazione medica, libertà di stampa, di parola o di informazione. Non c’è libertà di trasferirsi in un altro luogo, non ci sono tribunali imparziali, sorveglianti pubblici, sindacati indipendenti, un esercito nazionale, una tutela costituzionale, rimane solo il Cavallo dell’erba e del fango (un simbolo della resistenza alla censura su Internet, ndr). La caratteristica di Twitter è la velocità e la mobilità istantanea; è l’opposto della puntigliosità e della profonda concentrazione richiesta dalla letteratura. Penso spesso a una cosa che mi disse Allen Ginsberg: più o meno «il primo pensiero è il migliore» . Penso al fatto che lui non abbia mai avuto l’opportunità di usare Twitter. Credo che Twitter cambierà il modo in cui comunichiamo e trasmettiamo testi e informazioni. Twitter mi si addice particolarmente. Nella lingua cinese 140 caratteri sono un breve romanzo, è uno spazio sufficiente. Twitter dà alle persone la possibilità di interagire in modo più diretto. Ci troviamo in un’era completamente nuova, le cui caratteristiche distintive si manifestano nei cambiamenti delle forme di espressione individuali e nella spinta a modificare il modo in cui riceviamo le informazioni. Quando le caratteristiche degli individui cambiano, cambia anche il concetto di genere umano. Il significato degli effetti che l’era di Internet avrà sugli uomini non è ancora chiaro, ma Internet sarà lo strumento che porterà il genere umano a svilupparsi al massimo grado. È difficile immaginare gli effetti che Internet ha avuto sulla società cinese; questo perché la Cina è fondata sull’isolamento, il controllo e la limitazione della libertà di espressione. Il controllo e le limitazioni continuano ad aumentare, ma allo stesso tempo crescono l’abilità tecnica dei cittadini della rete e il bisogno di libertà di espressione, contro ogni isolamento. Questa censura di Internet ha favorito in Cina nuove forze, interessate ai mezzi di espressione e alle possibilità offerte dalla tecnologia. L’esito più auspicabile di una Internet society sarebbe quello di offrire alla gente la possibilità di fare la scelta migliore, cosa che di solito non avviene per mancanza di conoscenza, opportunità o per un’informazione parziale. Ne potrebbe potenzialmente emergere una vera società di cittadini. I cambiamenti sociali creati da Internet spingono la Cina ancor più velocemente verso una condizione di libertà generalizzata. Internet ha dato alla libertà di parola un nuovo significato. Tutti possono trarre vantaggio da queste nuove tecnologie; il sostegno a questi valori metterà in una posizione molto difficile i politici autoritari. Continuerò a usare Internet, e da artista penso che questo mezzo abbia un potenziale e delle caratteristiche espressive incredibili: è stato anche una fonte di ricordi inimmaginabili. (traduzione di Maria Sepa) © Mit Press /Johan &Levi

La Stampa TuttoLibri 16.7.11
Gioconda Belli La scrittrice nicara poco più che ventenne, si schierò con il fronte sandinista
Fiumi di latte nel paese delle donne
di Glauco Felici

Faguas è un piccolo Stato del Centroamerica, con tanto di vulcano, il temibile Mitre. Faguas non esiste, è invenzione di Gioconda Belli. Serve da scenario per ambientare la storia di questo suo nuovo romanzo (dopo La donna abitata , 1988; Sofia dei presagi , 1990; La pergamena della seduzione , 2005; L’infinito nel palmo della mano , 2008), e forse è anche occasione per un bilancio più o meno autobiografico di una vita «militante», estrema, ribelle, romanzesca.
Nicaraguense, di famiglia altoborghese con origini italiane, Belli scelse la sua parte politica già nel 1970, poco più che ventenne: si schierò con il Fronte Sandinista, che combatteva, anche con la guerriglia, la dittatura di Somoza. La scoperta del femminismo, la passione di scrivere poesia, la clandestinità, l’esilio, amori travolgenti e infelici: poi, il ritorno a Managua dopo la vittoria dei sandinisti, e incarichi ufficiali, fino alle dimissioni per divergenze incomponibili. (Per una buona sintesi biografica di Gioconda Belli si visiti il sito enciclopediadelledonne.it ).
Nel paese delle donne è un racconto utopistico, la rappresentazione di un mondo ideale, quasi perfetto perché sono le donne a governare tutto dopo che il vulcano, con le sue esalazioni, ha messo fuori gioco la componente maschile della popolazione provocando danni sostanziali al testosterone dei cittadini. Viviana Sansón, avvenente ex giornalista, è da due anni a capo del governo di Faguas, e sta tenendo un comizio, uno dei tanti bagni di folla cui ormai si è abituata: «A quarant’anni ha un fisico invidiabile: corpo tonico da nuotatrice, pelle ambrata, una massa di ricci africani che ricade sulle spalle […]il nuoto riuscì a malapena a frenare la crescita spropositata delle sue tette ormai famose. Alla fine dovette rassegnarsi a convivere con le loro generose misure e a riconoscere che tanto valeva metterle in mostra. Fu così che divennero il simbolo dell’impegno che avrebbe dato al popolo fiumi di latte e miele che la cattiva gestione maschile aveva sempre lesinato». Insomma, un escándalo de mie l, come s’intitola una recente «antologia poetica personale» della Belli.
Un attentatore spara a Viviana, lei rimane ferita gravemente, entra in coma. Tocca alle compagne che la sostengono, una fantastica squadra di cinque amiche, gestire l’emergenza. Provengono tutte dal partito che appunto ha vinto le elezioni, il Partito della Sinistra Erotica (sembra inventato come Faguas, ma negli Anni Ottanta la Belli aderì in Nicaragua a un’organizzazione femminista che aveva appunto questo nome). «Sarebbe un sogno poter ridisegnare questo mondo», aveva detto una volta Viviana: e la narrazione accompagna il lettore a scoprire come - nell’utopia di Faguas - questo sogno possa essersi realizzato.
Belli lo narra con la sufficiente ironia di chi non si fa illusioni: all'apparenza si è di fronte a una divertente fantasticheria, la lettura convince che bisogna sì ridere e sorridere, ma per cambiare le cose bisogna praticare l’impegno. Il «cantante rock più bello dell’America Latina» (si chiama Perrozompopo, che nome: ma nel libro incontriamo anche Juana de Arco, José de la Aritmética, cioè un Giuseppe d’Arimatea «ricreato» a Faguas, ecc.) dedica a Viviana una canzone in cui si dice: «Se vuoi cambiare | Inizia a camminare | Passo dopo passo, un piede davanti all’altro | Andiamo | Non starci a pensare». Il messaggio è trasparente, Gioconda Belli ci ricorda - con grazia irruente, con intuito - che la letteratura latinoamericana è spesso fatta di fantastico e di impegno.
"Nell’ utopica Faguas governano le donne dopo che le esalazioni di un vulcano hanno messo ko gli uomini La seducente leader della Sinistra Erotica e le sue 5 amiche, un divertente mix di fantasia e impegno"


il Fatto 16.7.11
Gli amici fraterni di Vendola sono pochi

Nessuno stupore di fronte alla boutade vendoliana di voler abolire la parola “compagni” in favore di un più... narrativo   “amici”. Intanto perché questa scelta conferma la devota vicinanza e assonanza del governatore della Puglia con gli ambienti democristiani, ma anche perché è comprensibile che, nell'era di Facebook, sia più facile per Vendola avere amici che compagni! Lo sa furbescamente bene e, anzi, se su Facebook ci fosse l'opzione "fratelli", gli andrebbe ancora meglio. Ma la cosa riguarda solo lui e altri affabulatori: basterà un clic per essergli amici in un istante e forse anche per votarlo! Invece per essere compagni ci vuole una vita intera di ideali comuni, di battaglie al fianco gli uni degli altri, di accese discussioni nel cuore della notte, di condivisione continua di realizzazioni e frustrazioni, personali e collettive, che sono il “pane” dei rapporti reali (e non virtuali). Se per Vendola questo non è importante, per noi altri sì: infatti continueremo a chiamare “compagni” i nostri veri amici. 
Paolo Izzo

Terra 16.7.11
Una lunga estate a dieta tra sondini e iniezioni
di Federico Tulli
qui
http://www.scribd.com/doc/60133970/Terra-16-7-11-p11