sabato 8 settembre 2012

l’Unità 8.9.12
Lampedusa, dispersi 79 migranti
Erano partiti da Sfax in Tunisia. Tratte in salvo 56 persone. Tra loro una donna incinta e cinque minori
Sos lanciato giovedì È giallo sul relitto del barcone che ancora non è stato localizzato
di Nicola Luci


ROMA Secondo le testimonianze di chi era a bordo all’appello ne mancano ancora 79. Disperse e forse già morte dopo il naufragio a circa dodici miglia dalla costa di Lampedusa di un barcone partito da Sfax in Tunisia, località spesso utilizzata dai trafficanti di essere umani come base per le loro imbarcazioni. Secondo notizie fornite dal Ministero degli Esteri tunisino, che sta lavorando in queste ore d’intesa con le autorità italiane, il natante era partito due giorni fa. La barca sarebbe affondata, dunque, giovedì e solo 56 persone sono state tratte in salvo. Tra loro una donna incinta e cinque minori non accompagnati.
I soccorsi sono scattati dopo l’allarme lanciato nel pomeriggio di giovedì con un telefono satellitare: «Siamo naufragati. Sul barcone c’erano almeno cento persone», ha detto una voce concitata ai carabinieri. Sul posto si sono immediatamente diretti mezzi della Guardia costiera e della Guardia di finanza. In azione anche navi della Nato, una italiana, una tedesca, l’altra turca. Per adesso è stato trovato un solo corpo, ma le ricerche dei dispersi vanno avanti senza sosta. Giallo sulla sorte del barcone che non è stato ancora trovato: potrebbe essere affondato oppure gli stranieri potrebbero essere stati abbandonati nei pressi dell’isola di Lampione per poi fare ritorno in Tunisia. Molte risposte si attendono dai racconti dei sopravvissuti. La procura della Repubblica di Agrigento ha aperto un’inchiesta: si procede per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e omicidio. Gli investigatori stanno tentando di individuare eventuali scafisti. Le indagini sono coordinate dal procuratore della Repubblica Renato Di Natale e dal sostituto procuratore Antonella Pandolfi. «Non dobbiamo mai abituarci a questi drammi, all’idea che ancora oggi attraversare il Mediterraneo in cerca di un lavoro e di una vita dignitosa diventi per migliaia di uomini e donne una roulette russa», ha sottolineato il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini. «Tutte le forze dell’ordine, i pescatori e i cittadini di Lampedusa stanno in queste ore contribuendo alle ricerche e al soccorso dei sopravvissuti».
Sono 1296 i migranti arrivati a Lampedusa dall’inizio dell’anno ai primi di agosto, dei quali 208 sono donne e 184 minori di cui 183 non accompagnati. Gli sbarchi sull’isola si sono intensificati a partire dal 18 agosto con l’arrivo di 803 migranti, per la maggior parte eritrei, somali e tunisini, dei quali 65 donne e 95 minori di cui 87 non accompagnati. In particolare, gli arrivi dei tunisini si sono intensificati nell’ultima settimana a partire dal 29 agosto, con 118 migranti tra cui 1 donna e 7 minori non accompagnati. In Puglia, Calabria e nel resto della Sicilia sono arrivati via mare dall’inizio del 2012 ai primi di agosto 4815 migranti, dei quali 281 sono donne e 890 minori di cui 675 non accompagnati, principalmente originari della Tunisia, Somalia, Afghanistan ed Egitto.
La tragedia di ieri, se confermata, va ad alimentare una tragica statistica. Dal 1988 ad oggi, secondo il sito Fortress Europe, sono morte lungo le frontiere dell’Europa almeno 18.535 persone. Di cui 2.352 soltanto nel corso del 2011. Per la maggior parte sono uomini, donne e bambini che scappano da situazioni di guerra, di povertà e fame e che cercano una nuova vita non necessariamente in Italia, da tempo considerata solo un luogo di passaggio.

l’Unità 8.9.12
L’inerzia dell’Europa arricchisce il traffico di esseri umani
Un «affare» di oltre 32 miliardi di dollari.
La denuncia di Amnesty, Unhcr, Arci, Cgil, Cisl: non sono «clandestini» ma richiedenti asilo
di Umberto De Giovannangeli


Mediterraneo, il «mare della morte». Mediterraneo, il mare solcato da «boat people» stipati di una umanità sofferente in fuga da guerre, pulizie etniche, stupri di massa; migliaia di uomini, donne, bambini che finiscono nelle mani delle organizzazioni criminali dedite al traffico di umani, un traffico che oggi rende più del traffico della droga o delle armi. La tragedia di Lampedusa è solo l’ultima di una lunga serie, ma di certo non sarà quella conclusiva. Perché se il Mediterraneo è diventato il «mare della morte» è anche per responsabilità dell’Europa. A ricordarlo sono associazioni, organizzazioni umanitarie, agenzie delle Nazioni Unite che ogni giorno sono impegnate, eroicamente, a cercare di preservare i diritti di quanti non hanno diritti. E il primo diritto da difendere è quello alla vita.
SILENZIO COMPLICE
«Nonostante l’impegno delle autorità militari italiane e internazionali che hanno risposto all’allarme lanciato dai naufraghi dispiegando numerose forze per i soccorsi, dobbiamo constatare l’ennesima tragedia nel Canale di Sicilia. Dobbiamo ricordare che non si tratta di un dramma isolato: secondo i dati di Fortress Europe dal 1988 sono morte nel tentativo di raggiungere l’Europa, alle sue porte, almeno 18.455 migranti, 2.352 solamente nel 2011», rimarca Christopher Hein Direttore del Consiglio italiano per i rifugiati (CIR). «Non possiamo però solo limitarci a fare questa macabra conta. L’unico modo per evitare simile tragedie è inserire meccanismi di accesso protetto e regolare in Europa. Se guardiamo anche alla tragedia di ieri (giovedì, ndr) avvenuta al largo della Turchia dove hanno perso la vita 58 persone in fuga dalla Siria, dall’Iraq e dalla Palestina, è evidente che è necessario stabilire modalità di accesso per quanti fuggono da violenze, guerre e persecuzioni: visti umanitari, reinsediamento, evacuazioni umanitarie. Decreti flussi che rispondano alle esigenze anche dei Paesi di origine. Le migrazioni possono essere governate non si può continuare a subirne l’evoluzione, perché la conseguenza è essere corresponsabili di simili tragedie». conclude Hein.
Il j’accuse del Direttore del CIR trova conferma in altre, importanti, prese di posizione. «Le morti in mare di intere famiglie, bambini e giovani, in fuga dalla guerra e dalla povertà sono una delle peggiori tragedie dei nostri tempi che si preferisce non vedere», afferma la portavoce dell’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu(Unhcr), Laura Boldrini. «Quest’anno il numero degli arrivi in Italia è drasticamente diminuito rispetto allo scorso anno sottolinea Boldrini via mare sono giunte ad oggi 7 mila persone mentre, lo scorso anno, anche a seguito della guerra di Libia e delle primavere arabe ne erano arrivate 50 mila». «Ma anche a fronte di una tale significativa riduzione aggiunge secondo le nostre stime, e senza considerare il numero dei dispersi nel naufragio odierno (ieri, ndr), il numero dei morti e dispersi in mare nel tentativo di raggiungere l’Europa è quest’anno di 283 persone». «Al di là delle responsabilità specifiche dei singoli naufragi, su cui è di primaria importanza fare chiarezza per evitare che il Mediterraneo diventi una sorta di terra di nessuno dove vige l’impunitàdice ancora Boldrini vi è una responsabilità collettiva legata all’indifferenza e al considerare tutto ciò ineluttabile, anziché cercare soluzioni concrete per evitare che ciò si ripeta». Il naufragio di ieri, «sottolinea drammaticamente ancora una volta le ragioni per cui i governi dell’Unione Europea devono impegnarsi maggiormente nel soccorso e nell’assistenza alle persone che arrivano in condizioni disperate sulle loro coste», rileva, in una nota, Amnesty International. Nel 2011, almeno 1500 persone hanno perso la vita cercando di raggiungere l’Europa, nella maggior parte dei casi via Lampedusa, nel corso di un massiccio flusso di richiedenti asilo e migranti dall’Africa del Nord e da altre zone. «Ancora una volta, le acque intorno alla piccola isola di Lampedusa sono state teatro di una tragedia, evidenziando come il numero delle persone che muoiono alle porte dell’Europa stia aumentando dichiara Nicolas Beger, direttore dell’ufficio di Amnesty International presso le istituzioni europee l’Ue non si sta adoperando in favore dei migranti. I suoi Stati membri devono intraprendere sforzi comuni per evitare le morti in mare, raddoppiando l’efficacia e il coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso». «Queste tragedie sono la drammatica conseguenza di quella miopia politica che è convinta di poter fermare le migrazioni chiudendo le frontiere e rendendo di fatto impossibile entrare legalmente, e senza rischiare la vita, in Italia e in Europa», rilancia Filippo Miraglia, responsabile immigrazione Arci, che punta il dito contro «le “lacrime di coccodrillo” di coloro che, pur con responsabilità nazionali e internazionali, non hanno fatto nulla per garantire strumenti adeguati e una legislazione più giusta in materia di immigrazione». L’allarme viene rilanciato anche da Cgil e Cisl.
LA DENUNCIA
L’eco dell’ennesima strage in mare arriva a Strasburgo. Gli ultimi due naufragi quello in Turchia ieri (giovedì, ndr) e quello di questa notte (venderdì, ndr) vicino a Lampedusa sono un monito per l’Europa di quello che può succedere quando si ignorano le tragedie umanitarie», dichiara Tineke Strik, la parlamentare olandese che sta indagando per conto dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa sulla morte nel marzo dello scorso anno di 63 naufraghi nel Mediterraneo. Strik ha ricordato che molti di coloro che si trovavano sul barcone affondato nelle acque turche provenivano dalla Siria. «L’Europa dice deve dare una maggiore importanza alla situazione umanitaria in Siria e trovare nuove soluzioni per affrontare i flussi migratori tra Turchia e Grecia, per il bene di questi due Paesi, dell’Europa e di tutti coloro che continueranno a rischiare la propria vita nel tentativo di varcare il confine». Ogni anno i criminali che gestiscono il traffico di esseri umani guadagnano 32 miliardi di dollari, e combatterli è «una sfida di proporzioni straordinarie», avverte Yuri Fedotov, il capo dell’ufficio dell’Onu contro la droga e i crimini. Intanto nel Mediterraneo si continua a morire.

l’Unità 8.9.12
Viaggi senza speranza
Migliaia di disperati in fondo al mare


È lunga la lista dei naufragi nel canale di Sicilia durante i tanti viaggi della speranza degli immigrati verso l’Italia. Questi alcuni dei più gravi: 25 Dicembre 1996: notte di Natale, 300 annegano tra Malta e Sicilia, dopo lo scontro tra un cargo libanese e una motonave. 20 Giugno 2003: barca con 250 immigrati naufraga al largo della Tunisia: 50 i corpi ritrovati, 160 i dispersi, 41 sopravvissuti. 20 Ottobre 2003: soccorso barcone di immigrati disperso nel canale di Sicilia: almeno 70 i morti, gettati in mare. 12 Maggio 2008: un barcone con 66 immigrati va alla deriva per giorni. A bordo, 47 persone muoiono di fame e freddo e sono gettate in mare dai compagni e altri tre sono ritrovate morte. 31 Marzo 2009: 4 barconi con oltre 500 migranti affondano tra Africa e Italia. Più di 100 i dispersi. 11 Febbraio 2011: naufraga motopesca partito dalla Tunisia: 40 immigrati dispersi. 30 Marzo 2011: naufragio nel Canale di Sicilia: 7 morti,
tra cui una donna incinta e un bambino. 22-25 Marzo 2011: si perdono le tracce di due barconi, uno con 335, l’altro con 68 migranti a bordo, partiti dalla Libia. 1 Aprile 2011: i corpi di 27 tunisini morti nel naufragio di due barche dirette in Italia scoperti sulle coste di Kerkennah. 3 Aprile 2011: 70 corpi recuperati dopo un naufragio davanti alle coste di Tripoli. 6 Aprile 2011: barcone si rovescia in acque maltesi: salvi 51, ma a bordo erano 300. Decine i cadaveri avvistati. 6 Maggio 2011: barcone con oltre 600 migranti naufraga davanti alle coste libiche. Centinaia i dispersi. 2 Giugno 2011: nave con 700 a bordo in avaria al largo della Tunisia: almeno 270 dispersi. 16 Gennaio 2012: gommone con 55 somali disperso a largo Libia . 17 Marzo 2012: gommone soccorso a sud Lampedusa, 5 morti. 3 Aprile 2012: 10 morti durante la traversata LibiaLampedusa. 10 Luglio 2012: 54 morti nella traversata LibiaLampedusa.

La Stampa 8.9.12
Quei bimbi in fuga dalla disperazione
di Domenico Quirico


So che cosa hanno provato, i naufraghi bambini di Lampedusa. E’ il momento in cui il motore si arresta e al gorgoglio dei pistoni rantolanti, della pompa che aspira l’acqua dalla stiva marcia si sostituisce l’immenso, fragoroso silenzio del mare. E poi: i frenetici tentativi, con un cacciavite con le mani con gli stracci con le preghiere, di far ripartire il motore esausto. Il pilota il cui volto si fa livido di paura, il fremito che comincia a circolare tra le file dei migranti, stipati sul ponte a file fitte e ordinate con il divieto di alzarsi di muoversi. E invece i primi che si alzano, e le grida delle donne (sul mio barcone non c’erano donne, era un altro tempo: come tutto è cambiato orribilmente, nel giro di un solo anno). Nessuno all’inizio ha capito: perché ci siamo fermati? Proprio ora, dove venti ore in mare, quando pensavamo di essere ormai vicino a Lampedusa?
Ma già l’acqua comincia a salire, lenta, inesorabile: la puoi vedere, tu stesso, attraverso la piccola apertura della stiva. E’ allora che anche i bambini hanno capito che «il viaggio», quel viaggio straordinario che sembrava svolgersi, il mare, bagnati dall’acqua e da pallide onde di sole giallo, come un’affascinante avventura si convertiva, malvagio, in tragedia e paura e morte. La tensione che penetra in tutti i pori della mente, quel tipo di tensione che si avverte negli incubi infantili quando da un momento all’altro, sbucando da un mobile o dietro una porta, può accadere qualcosa di vago e di ignoto.
Queste vecchie barche, come era la mia, muoiono lentamente, lasciano che il mare le abbracci e le soffochi. C’è tempo per pensare: allora è questa la sensazione che uno avverte al momento della morte: questo vuoto, questa sospensione tra essere e non essere? se è così, non c’è quasi da averne paura.
Bambini migranti, bambini aspiranti «clandestini», come diventeranno con parola orrenda nei verbali, nella burocrazia di questa tragedia senza fine. So che cosa hanno provato quando sono partiti. La barca che li aspetta su una spiaggia fuori mano della Tunisia, le raccomandazioni dei nonni, dei parenti che li hanno accompagnati al luogo di raccolta e li hanno consegnati al passeur, con i soldi per il passaggio: come se fossero cose, oggetti da spedire. Loro sono soli felici eccitati. Deve essere la felicità questa, ma non lo sanno ancora. Hanno raccontato loro, per invogliarli, di un altro mondo al di là del mare, dove ci sono parenti o amici che li accoglieranno, città dove, al calar del sole, la vita invece di finire sembra cominciare.
Nel Maghreb, in Africa, come tra tutti i poveri del mondo, l’età tramonta di colpo come il sole; prima sono bambini, un attimo dopo già vecchi. Come assomigliano ai ragazzi con cui sono salito, un anno fa, su un’altra barca della speranza, tutti popolo di questo Mediterraneo così gonfio di speranze e di divieti. Erano più grandi, allora, erano i giovani ribelli che avevano appena cacciato il tiranno e esercitavano il loro diritto di partire, di andare a scoprire altri mondi. In fondo il loro era un atto politico, quasi rivoluzionario. Ma questi bambini di quale nuova delusione, di quale nuova disperazione sono figli, naufraghi, vittime? Al confine tra gli Stati Uniti e il Messico raccontano che sempre più spesso a tentare di attraversare il deserto (in fondo un altro mare pieno di insidie e di vuoto) sono minorenni, soli. Tentano di raggiungere i genitori che sono già dall’altra parte, nel mondo dei ricchi: perché la miseria è tanta e i parenti non riescono più a mantenerli; perché pensano che la nostra soglia del rifiuto e dell’indifferenza si abbassi e sia più clemente con chi è piccolo, che riconosceremo in loro più facilmente la vittima a cui destinare la nostra misericordia, più che ai fratelli ai genitori ai nonni. L’indifferenza: la perfezione dell’egoismo.
Un anno fa il popolo di Lampedusa era fatto di ragazzi ardenti indomiti, in loro una insofferenza, un furore, un miscuglio, direi, di odio e di amore. Ma questi bambini cosa si portano dentro? Sono partiti per l’enorme pressione della povertà che scorre, si ramifica e si estende come l’acqua alluvionale nel mondo. Ecco la verità: nulla è cambiato dall’altra parte del mare, c’è lo stesso riconoscibile dolore di ogni giorno, la vita come sappiamo che lì viene vissuta, senza lavoro e senza speranza, che prosegue monotonamente il suo cammino. Il dopo primavera araba è una cosa molto ordinata e pulita, ma dalla distanza da cui noi la guardiamo: certo ora votano liberamente, i giornali sono liberi, si può perfino manifestare. E’ tanto, è molto. Ma i rivoluzionari vittoriosi sono poveri come un anno fa, forse ancor più perché hanno perso la speranza. E ora fanno partire i bambini.

La Stampa 8.9.12
I migranti bambini mandati verso l’ignoto
Sono cinque i minori sbarcati ieri: centinaia dall’inizio dell’anno
di Riccardo Arena


Partono spesso senza i familiari, piccoli uomini che sfidano il mare e la solitudine quando arriveranno a destinazione: sono stati 183 dall’inizio dell’anno, su 184 arrivati, i «minori non accompagnati» sbarcati a Lampedusa. E anche ieri, fra i 56 naufraghi dell’isolotto di Lampione, c’erano 5 adolescenti, subito mandati in un’area destinata a loro e alle donne, all’interno del Cpsa, il centro di prima accoglienza e soccorso. Il viavai è continuo: poco prima dei nuovi arrivi c’erano state sedici partenze di ragazzi tra 14 e 15 anni. Erano 15 somali, 13 arrivati nei giorni scorsi, altri due sbarcati a Lampedusa mercoledì, più un tunisino. Sono stati mandati nei centri sparsi in Italia, in attesa di una destinazione definitiva.
Prime vittime dei mercanti di uomini, i ragazzi sono destinati a peregrinazioni e problemi, ma hanno la certezza di non poter essere rimpatriati. Tante volte – ed è successo anche nel naufragio di giovedì – si tratta pure di morti: il mare, l’altro ieri, stando al racconto dei superstiti, avrebbe inghiottito sei minorenni, tra cui un bimbo di 5 anni. Versioni ancora confuse, da verificare. Ma il dramma Urimane tale. Lo sanno bene gli operatori di Save the Children, l’organizzazione umanitaria che lavora sul campo, a Lampedusa e non solo.
«Stiamo seguendo anche i nuovi arrivati– dice Michele Prosperi, uno dei dirigenti dell’associazione – per VIA LIBERA DEFINITIVO supportarli AL SENATO. L’OPPOSIZIONE: VIOLA I DIRITTI UMANI e incoraggiarli. Sono moltodal Senato, e ha incassatoprovativa invece il permesso di sog-per quanto hanno afquindi il via libera definitivo, giorno per motivi umanitari, il «decreto rimpatri» che pre- di cui potranno beneficiare vede l’aumento del periodo anche i minori ammessi a un massimo di trattenimento nei progetto di integrazione sofrontato. Cie degli extracomunitari, da ciale e Datocivile. Quanto agli ex- che sono tunisini è 6 a 18 mesi. Si allunga anche, tracomunitari «pentiti», che da 5 a 7 giorni, il termine en- vogliono tornare a casa, satro il quale lo straniero deve ranno lasciati andare senza probabilelasciare il territorio nazionale incorrere chenell’accusa di emisu ordine del questore. Arri- grazione clandestina. [L. AN. ] vorranno raggiungere Le operazioni di recupero dei 25 cadaveri sul molo di Lampedusa
i lorostiva-trappola ha lasciatofamiliaripure in altri Paesi, sopratun fratello: «Quando cercavamo di risalire e uscire dalla bo- Primo “sì”della Camera tola - ricorda - ci pestavano i piedi per impedirci di raggiungere tuttoil ponte. Io alla fineince l’ho fatta, Francia». L’estatescorsa l’ex mi sono ritagliato un angolino al divietodi burqa nella barca da dove però non riuscivo più a capire che cosa basesuccedeva nella stiva».
perto LoranL’ha scoall’arrivo: «Non mi hanno A settembre di Lampedusa, voto in aula destinata neanche fatto vedere il corpo di mio fratello - dice - e non mi hanno chiesto di identificarlo. Non aiso seminorenniè stato seppellito qui a privito femminile, rinviandodia dopo mentafamiliari, la deputata Pdl di origi- era Lampedusa oppure è stato por- l’estate l’esame definitivo del ne marocchina Souad Sbai, retato via con la nave».
Nel il caso provvedimento. A settembre latrice della delibera. A conferpiccolo cimitero dell’iso- Montecitorio si pronuncerà ma della propria tesi non porta la da ieri ci sono altri sei fanta- sul testo passato con i voti fa- l’esempio delle secolari società statasmi: al posto di nomitrasformatae lapidi, i ROMA vorevoli indella maggioranza, unafrancesesortae belga ma del musul- di cennumeri 6, 9, 11, 12, 15, 18. Men- quello contrario del Pd e mano Azerbaijan dove, come tre il traghetto «Moby Fan- l’astensione di Fli, Ucd e Idv, in Siria e in numerosi altri paetasy» arriva in serata a Porto che prevede un’ammenda fino si della galassia islamica, l’obtroEmpedocle dicon i 19 da seppellidetenzione: Sulla scia di Francia e a 500 euro per fule irriducibili chiusabligo di mostrare il viso in pubre nei camposanti dell’Agrigen- Belgio, l’Italia si appre- del burqa (ma anche del casco blico è un dato di fatto acclara-dopo le tino. Sulla chiglia la mascotte sta a proibire burqa e o di altri «indumenti di origine to e inossidabile a qualsiasi detdella compagnia: un pupazzo niqab, la lunga tunica avvolta etnica») e sanzioni assai più se- tame religioso.
blu che strizza l’occhio. A sera, dalla testa ai piedi delle più ol- vere per chi costringesse le Applaudono la Lega e il miprotestein piazza, si prepara la messa deitranziste tra le suoimusulmane. donne ospitia indossarlo (fino a 30 nistro eper alla Pari Opportunità in scena dello spettacolo «Le Dopo un anno e mezzo di riu- mila euro di multa e fino a 12 Mara Carfagna, convintasuoche il posto supplici a Portopalo», ispirato nioni la commissione Affari mesi di reclusione). velo integrale non sia mai «una a Eschilo, sul naufragio del Na- Costituzionali ha dato il via li- «È una legge per le donne e libera scelta femminile bensì tale del 1996. Teatro nel teatro bera ieri alla legge che vieta un segnale per coloro che le un segno di oppressione», ma oggidella tragedia. funzionala copertura integrale ildel vol-Cpsa, vorrebbero segregate» com-lastorcecuiil naso il Partitoristruttu-Demo- E’ cristianamente mancata all’affetto dei suoi cari
razione dev’essere però completata. Aggiunge Valerio Neri, direttore generale di Save the Children Italia: «Deve essere immediatamente revocata la dichiarazione di “porto non sicuro” per Lampedusa, cosa che garantirebbe a tutti i migranti immediato soccorso e prima accoglienza». Solo dal 18 agosto scorso i nuovi arrivi sono stati 803, per la maggior parte eritrei, somali e tunisini, dei quali 65 donne e 95 minori, di cui 87 non accompagnati. I tunisini sono arrivati soprattutto dal 29 agosto in poi: tra i 118 migranti una donna e 7 ragazzi senza familiari. «Le famiglie – spiega Prosperi – per spedire i figli oltremare, pagano i trafficanti di uomini. Gli stessi ragazzi devono lavorare per questo. Noi cerchiamo di non farli sparire, li seguiamo, ad esempio a Roma, al centro “Civico Zero”, per farli inserire in un percorso d’integrazione, ma non è facile».
Assieme all’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, all’Oim e alla Croce rossa, Save the Children ha dato vita al progetto Praesidium. L’anno scorso fu individuato un caso emblematico: quello di Mohamed (nome fittizio), un somalo oggi 17enne, che aveva provato quattro volte, sempre da solo, dopo avere raggiunto la Libia, a imbarcarsi per la Sicilia. Le prime tre gli andò male e nell’ultimo caso fu uno dei 40 superstiti di un naufragio che fece oltre 500 vittime. Pochi giorni dopo ripartì e a maggio del 2011 sbarcò a Lampedusa. Oggi non si sa più dove si trovi.

l’Unità 8.9.12
Stefano Fassina
«Chi sta “con Marchionne senza se e senza ma” indica una continuità con le idee che hanno portato al crac Noi stiamo con Obama e la sinistra europea»
«Non si tratta di vecchi o nuovi Ma di chi rappresentiamo»
di Simone Collini


Dice Stefano Fassina che il rinnovamento «è necessario», ma che il confronto «non è tra vecchio e nuovo, bensì tra programmi e interessi da rappresentare». Dice anche che il rinnovamento, per portare a una «classe dirigente adeguata», deve essere «trainato da energie fresche e accompagnato da presidi di esperienza, su un asse politico progressista chiaro». Il responsabile Economia del Pd oggi sarà a Reggio Emilia per partecipare insieme a un gruppo di trenta-quarantenni del Pd (che alle primarie voteranno Bersani) a un’iniziativa dal titolo «Rifare la Politica». L’appuntamento, che arriva dopo analoghi passaggi organizzati un anno fa a Pesaro, poi a L’Aquila e a Roma, è finita nel mirino di Matteo Renzi («Fanno battaglie generazionali solo ai convegni»), di un esponente vicino a Franceschini come Antonello Giacomelli («mi sembra vogliano fare una gioiosa macchina») e anche di parlamentari più vicini a Letta che sostengono la necessità di impostare anche l’eventuale futuro governo di centrosinistra sull’agenda Monti.
Vi aspettavate tante critiche per questo appuntamento?
«Veramente no, perché si tratta di un incontro, organizzato da una parte del gruppo dirigente del Pd, di amministratori, di parlamentari, per dare un contributo alla definizione della proposta politica e programmatica di Bersani per affrontare le sfide che il Paese ha davanti». Però erano prevedibili certe reazioni, vista la discussione innescata dalle primarie, o no?
«Noi parleremo di Europa e di Italia, di una comunità di destino di fronte a un passaggio storico che richiede capacità di risposta a problemi inediti».
E quali sarebbero le vostre risposte?
«Le nostre proposte partono dall’agenda dei progressisti europei. Mettiamo al centro l’economia reale, un patto tra produttori, il lavoro e l’impresa, come unica strada per far tornare l’Italia e l’Europa allo sviluppo e ridurre il deficit pubblico. Serve l’unione fiscale nell’area euro come premessa politica per discutere un cambio di rotta della politica economica. L’austerità cieca e la svalutazione del lavoro generano recessione e innalzano il debito pubblico».
Riguardo il lavoro, Sel e Idv raccoglieranno firme per un referendum abrogativo della riforma Fornero sull’articolo 18: il Pd cosa farà?
«È sbagliato fissare un referendum sulle regole del mercato del lavoro, che hanno uno statuto intimamente pattizio e richiedono innanzitutto il protagonismo delle forze sociali. E non si può procedere con atti unilaterali. Gli errori fatti dal governo Berlusconi e in parte anche dal governo Monti non vanno ripetuti. Cancelleremo l’articolo 8 del decreto Sacconi e verificheremo il funzionamento della riforma del lavoro, che è frutto di un compromesso, in modo tale che poi il prossimo Parlamento, nel dialogo con le parti sociali, potrà migliorare le garanzie per i lavoratori».
Diceva di errori del governo Monti: nel suo partito c’è chi sostiene che anche un governo di centrosinistra dovrebbe riproporre l’agenda Monti.
«Noi proponiamo l’agenda Bersani. Che ovviamente raccoglie e porta avanti punti importanti che abbiamo sostenuto in questi mesi, ma che dà priorità all’economia reale, alla redistribuzione e a un’idea sussidiaria di democrazia». Sarebbe a dire?
«La democrazia costruita in rapporto ai governi territoriali e alle rappresentanze economiche e sociali».
Difficile credere che non parlerete di primarie, rottamatori, rinnovamento... «Guardi, davanti ai cancelli dell’Alcoa, alle assemblee della Carbosulcis o dei piccoli imprenditori assediati della Valsusa, nessuno mi ha chiesto quanti dirigenti vogliamo rottamare o quanti turni faremo alle primarie. Mi hanno chiesto cosa vogliamo fare per il lavoro e l’impresa. Queste sono le sfide su cui dobbiamo misurarci. Altrimenti è una discussione autoreferenziale, che genera discredito per tutti».
La necessità di un rinnovamento però c’è, o no?
«La questione c’è, ma lo scontro non è tra il vecchio e il nuovo, il confronto è tra interessi da rappresentare, tra visioni e programmi per rispondere alle sfide del Paese. Anche perché il rinnovamento non è un fine in sé. L’obiettivo è arrivare a una classe dirigente “adeguata”, aggettivo caro a Raffaele Mattioli, che già all’inizio degli anni 70 insisteva sulla necessità di formare una classe dirigente di questo tipo».
E come dovrebbe essere, oggi, una classe dirigente adeguata?
«Trainata da energie fresche, di qualità, e accompagnata da significativi presidi di esperienza, su un asse politico progressista chiaro».
Renzi, Giacomelli, Boccia: a più d’uno nel Pd la vostra impostazione sembra troppo vicina alla socialdemocrazia... «Chi dice “con Marchionne senza se e senza ma” indica una continuità con il paradigma che ha portato alla crisi. Le nostre analisi e le nostre proposte sono sull’asse del mainstream progressista europeo e degli Stati Uniti. L’attenzione alla diseguaglianza, all’economia reale, la critica a un’ortodossia dell’austerità che non funziona accomuna Obama e tutte le forze progressiste europee». Che dice del modo in cui è partita la sfida per le primarie?
«La battaglia politica è fisiologica ma è necessario avere rispetto per le persone, anche quelle che hanno fatto più di tre mandati in Parlamento, che hanno fatto politica con intelligenza, passione e attenzione all’interesse generale certamente non minori di chi ora li vuole rottamare. Il rinnovamento è necessario ed è in corso. Non si misura dalle presenze nei talk show. Abbiamo largamente rinnovato il gruppo dirigente sul territorio e nelle amministrazioni. Ora bisogna andare avanti con determinazione, ma un partito è una comunità di persone, non è un service a cui rivolgersi per organizzare gazebo per le primarie. Il rispetto non può venir meno».

l’Unità 8.9.12
Costi della politica, il dibattito a Bologna con l’Unità e Left
Stasera a partire dalle 21 la diretta streaming su unita.it con Antonio Misiani e Mario Staderini


Terreno di inaccettabili sprechi, o piuttosto una spesa da mettere in conto in qualsiasi sistema democratico? O ancora, un campo ancora da esplorare, per fare chiarezza ed eliminare le voci che, sì, rappresentano soltanto degli sprechi? Oggetto di polemiche roventi e continui interrogativi, il “Costo della politica” è il tema che si pone al centro dell’appuntamento di questa sera di Unitalia, l’iniziativa lanciata dal nostro giornale per affrontare ogni volta dei temi caldi con ospiti autorevoli, in giro per l’Italia. Una serie di momenti di confronto, che trovano spazio nelle Feste democratiche per sviluppare argomenti che ci stanno a cuore e che volta per volta possono essere seguiti in diretta streaming sul nostro sito, unita.it, sempre a partire dalle 21.
Ospiti dell’incontro di stasera, organizzato alla festa del Pd a Bologna, saranno Antonio Misiani, deputato e tesoriere del Partito democratico, e Mario Staderini, segretario dei Radicali italiani. E come in ogni appuntamento di Unitalia, a coordinare il dibattito saranno il direttore de l’Unità Claudio Sardo e Giommaria Monti, direttore di Left, la rivista che ogni sabato trovate allegata al nostro quotidiano e con cui abbiamo stabilito, già da tempo, un percorso di idee e collaborazione in comune.
È alle loro domande e sollecitazioni che Misiani e Staderini risponderanno, affrontando un tema caldissimo, rispetto al quale, dopo tante proposte, sembra arrivato finalmente un disegno definitivo di riforma relativo al finanziamento dei partiti. Che però sembra solo una tappa. Tra le recenti polemiche per la scorta al presidente della Camera Gianfranco Fini, a quelle per la scorta, appena revocata alla villa dell’ex ministro alla Semplificazione, Calderoli, in provincia di Bergamo, che in due anni sarebbe costata 900 mila euro.
Quello di Bologna è il terzo appuntamento di Unitalia, dopo il successo di quello che si è svolto venerdì scorso a Piombino ospiti la leader della Cgil Susanna Camusso, il responsabile economia Pd Stefano Fassina e quello della piccola industria di Confindustria Vincenzo Boccia, sui temi del lavoro e dello sviluppo e dopo l’incontro dell’altra sera a Pisa, con il ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Francesco Profumo, e Paolo Valente, rappresentante nazionale dei ricercatori dell’Istituto nazionale di fisica nucleare.
Come detto, tutti gli incontri sono rilanciati su www.unita.it. Per seguirci basterà un clic. Vi aspettiamo.

l’Unità 8.9.12
La vera battaglia del rinnovamento si fa in Europa
di Alfredo Reichlin


LE DECISIONI PRESE IERI DALLA BCE SOTTO LA GUIDA DI MARIO DRAGHI SEGNANO FORSE un punto di svolta. I tremendi problemi della crisi italiana non sono affatto risolti. Possiamo però affrontarli con più fiducia e più realismo. Finalmente la lotta politica italiana può cominciare a spostarsi in avanti, a quel livello europeo dove si decide intorno a cose come l’identità e la sopravvivenza della nazione, dove alla disgregazione dello Stato si può opporre una prospettiva di «europeizzazione», dove si può opporre alla situazione attuale in cui la politica è stata ridotta a sottosistema dell’economia, la possibilità di rimettere in gioco non solo le banche ma i soggetti sociali, le culture e i partiti europei. Dove la scelta tra destra e sinistra torna decisiva. Ecco perché sento, lo confesso, un senso di rigetto e di fastidio per questa ridicola disputa tra vecchi e giovani. Ridicola perché paradossale. Vedo anch’io molti vecchi che sopravvivono, ma il guaio è che non vedo molti giovani.
Non dal punto di vista anagrafico, evidentemente, ma nel senso che vedo uno scarto enorme tra questa vacua chiacchiera politica e il bisogno fortissimo di qualcuno o di qualcosa (un leader, un pensiero, una iniziativa) che ci apra gli occhi sull’enorme novità del problema che sta davanti a noi.
Parlo del nuovo tempo storico che già sta cambiando il modo di essere e il destino degli italiani. È evidente che la politica attuale non funziona. Non funziona per tante ragioni (compreso il suo miserevole livello etico-politico) ma per una soprattutto, quella di cui ha parlato ieri Giorgio Napolitano. Cioè il fatto che il futuro della «europeizzazione» è già cominciato e quindi «è nel complesso dell’Europa quale oggi ci si presenta che la politica è in affanno, naviga a vista perché le vecchie mappe risultano sempre più inservibili e le nuove restano ancora lontano dal giungere a un disegno compiuto». Sono parole dette l’altro giorno a Mestre da un uomo che non è più un giovane ma che mentalmente lo è più di tanti altri.
Insomma, si comincia ad aprire un futuro rispetto al tunnel in cui siamo stati finora: sacrifici senza nessuna prospettiva. Attenzione. Io non voglio esagerare e vedo benissimo tutti i rischi che perdurano. Parlo però del fatto che dopo la fase tutt’ora non chiusa dell’emergenza in cui non potevamo fare altro che aggrapparci all’orlo del precipizio per «non fare la fine della Grecia», se ne sta aprendo un’altra.
Decisioni politiche capitali si stanno prendendo in queste settimane e mesi. Non sto parlando di «spread» e di astrusi marchingegni monetari. Sto parlando del fatto che, dietro le quinte delle manovre finanziarie, si sta sviluppando in forme ancora coperte un dibattito più di fondo che riguarda il futuro politico degli europei, e che è volto a definire i caratteri di una nuova entità europea di tipo federale. È su questa strada che ci stiamo incamminando? Certo, non è questo che ha detto Draghi. Ma nella misura in cui, dopo una lotta feroce,
stanno prevalendo a livello europeo le forze che considerano l’euro irreversibile e la sua scomparsa una tragedia, l’avvio di un disordine ingovernabile dell’economia mondiale, diventa inevitabile cominciare a ridefinire il quadro politico: il potere della Germania, il ruolo della Francia e il tipo di assetto per l’Italia, un Paese con problemi strutturali enormi come il Mezzogiorno, la disoccupazione, il degrado dello Stato (amministrazione, corruzione, inefficienze della giustizia). Insomma, in un modo o nell’altro, si comincia a riscrivere la nostra storia.
Ecco il punto a cui volevo arrivare. Come si può più sopportare questa confusione che sta colpendo il prestigio di tutte le componenti del Pd? Come si può parlare della sinistra, di riforme, di difesa dell’industria, di giustizia sociale e di riequilibrio tra le classi, e soprattutto di rilancio dello sviluppo fuori da questo contesto? Cari amici giovani che scalpitate, io vi voglio bene ma voi diventate irrilevanti se non partite da qui. E tutti i dirigenti del Pd dovrebbero capire perché il distacco della gente dalla politica diventa sempre più grande. Ma è evidente. La gente non è stupida, né qualunquista in partenza. La gente sente nel suo istinto profondo e nella sua antica intelligenza che siamo entrati in un mondo nuovo, altro, sconosciuto. E ciò la spaventa, l’inquieta, la spinge a cercare una nuova guida. Se non la trova che cosa può fare se non protestare, fino a votare per Grillo? È difficile credere a un partito se esso si riduce a una rissa continua e credere in una politica che (anche se diretta da giovani) è vecchia per la semplice ragione che non parla del futuro. Come si può parlare, per esempio, del problema meridionale se non all’interno del nuovo contesto europeo e rispetto al futuro del nuovo contesto arabo mediterraneo?
Tutto assume nuovi significati.
Che cos’è la destra e che cos’è la sinistra. Io sento tutta la insufficienza della tesi che considera il governo Monti una parentesi «tecnica» alla quale seguirà come cosa naturale il ritorno dei partiti. Ma sento anche l’anacronismo di una disputa tra «neo-socialdemocratici» che vogliono una «svolta a sinistra» e neo-liberali che considerano l’agenda Monti come la sola garanzia del «rigore». Ma smettiamola. È evidente che Monti è un grande leader politico europeo di cui l’Italia avrà ancora bisogno ma è giusto pensare per dirla con Agostino Giovagnoli che è venuto il tempo di scelte di fondo molto più ampie dell’attuale «agenda Monti» e che siano in grado di sfidare i tempi nuovi.
Bersani mi sembrava aver capito questo. E che perciò chiede primarie aperte. Per proporsi come quella guida di cui l’Italia ha bisogno, l’uomo di uno schieramento molto largo che riunifica il campo della sinistra ma in funzione di un disegno di governo dell’Italia che deve comprendere, che non può non comprendere, larga parte del mondo moderato. Ma allora si imponga. I progressisti italiani, se sono dei veri progressisti, devono fare una nuova analisi, la devono smettere di «pettinare le bambole». Le nazioni sovrane del passato non sono più il quadro in cui possono risolversi i problemi del presente. La ragione è (come diceva Padoa Schioppa) che stiamo arrivando a un «punto di svolta e di non ritorno». In quanto (cito) «è giunto il momento in cui la lotta politica diviene europea, in cui l’oggetto per il quale lottano uomini e partiti sarà il potere europeo».
Il Sole 24 Ore ha detto chiaro ieri quale sarà l’argomento principale della campagna elettorale per impedire a noi di vincere. L’argomento è che il Pd non è in grado di reggere le nuove sfide dell’Europa. Ma questo è esattamente l’argomento su cui noi dovremmo chiedere il voto per noi, noi che siamo la componente di quella grande forza che è la sinistra europea. Non è la disputa tra vecchi e giovani. Spetta a Bersani fare chiarezza.

l’Unità 8.9.12
L’intervento
Senza regole serie le primarie saranno un boomerang
di Cesare Damiano e Giorgio Merlo


È INUTILE GIRARE ATTORNO ALL’OSTACOLO. LE PROSSIME PRIMARIE PER SCEGLIERE IL CANDIDATO PREMIER del centro sinistra possono essere una grande opportunità per l’espansione elettorale del Pd e, quindi, della intera coalizione; oppure possono trasformarsi in un poderoso boomerang. Innanzitutto per il Pd, per la sua immagine, la sua credibilità e il suo progetto politico. Per noi si tratta di una questione di scelta politica, di rapporti interni al partito e anche di scelte regolamentari.
Ma andiamo con ordine. Le primarie si devono fare.
Così ha deciso Bersani e così ha scelto il Pd. Primarie che servono per dare un’ampia legittimazione popolare e democratica al futuro candidato Premier e anche per rispondere ad una domanda di rinnovamento che sale con forza dalla società italiana. Ma le primarie, che sono e restano uno strumento e non un dogma da santificare e venerare ogni giorno, non possono diventare un espediente per “scassare” il partito e demolire la stessa impalcatura di un soggetto politico che è nato appena 5 anni fa. Francamente non crediamo che questo rientri tra gli obiettivi politici del sindaco di Firenze, ma è indubbio che gli attacchi quotidiani al segretario, a larga parte del gruppo dirigente e a tutto ciò che è stato fatto in questi anni, è una ghiotta occasione per tutti i detrattori, gli avversari e i nemici del Pd per ridimensionare, se non fiaccare, le ambizioni di governo del più grande partito riformista del Paese. Quindi, un sì convinto alle primarie purché non diventino una sorta di competizione cruenta tesa unicamente a delegittimare politicamente e personalmente il gruppo dirigente del partito.
Lo hanno già detto altri e noi lo ripetiamo perché lo condividiamo: il tema dei mandati, della “rottamazione” di tutto il gruppo dirigente del partito e dello sventolio in ogni piazza e in ogni via della carta di identità, che cosa hanno a che fare con l’agenda programmatica del dopo Monti? Noi non sottovalutiamo affatto questi elementi di dibattito. Ma un conto è il congresso di un partito, lo scontro interno e la fisiologica competizione per assumere la sua guida politica. Altra cosa, del tutto diversa, è la ricetta programmatica del Pd e del centrosinistra per la guida del Paese nel prossimo quinquennio. Come abbiamo già detto, indubbiamente la carta di identità è importante, ma la contesa delle future primarie va giocata esclusivamente sul terreno politico e programmatico. Perché se la disputa diventa tutta interna al gruppo dirigente, forse è bene convocare un congresso straordinario per affrontare i problemi e sciogliere i nodi. Ma è questo il tema dominante ed esclusivo del dopo Monti? A noi, francamente, pare di no, perché siamo interessati a conoscere innanzitutto il programma di governo di ciascun candidato e a comprendere qual è la strada che viene indicata per uscire dall’attuale e drammatica crisi economica e sociale.
Ecco perché il capitolo delle regole questa volta è importante e decisivo.
Nessuno vuole attenuare o ridurre la partecipazione popolare. Anzi. Chi non appartiene alla scuola demagogica e populista del grillismo più aggressivo ed irresponsabile, sa benissimo che le primarie vanno disciplinate. E la proposta avanzata su queste colonne da Franco Marini non può e non deve cadere nel vuoto. Il cosiddetto «albo degli elettori» non è utile solo al Pd, ma è utile per la credibilità, la trasparenza e la correttezza delle primarie e della stessa politica.
Non vogliamo affatto ingigantire le degenerazioni e gli inquinamenti che sono capitati a Napoli, a Palermo e in altre città italiane. Ma è indubbio che una consultazione popolare di questo genere, priva di qualsiasi regolamentazione, è credibile e seria se non è inquinata e, soprattutto, se non è condizionata da persone, gruppi di pressione, cordate di interessi e lobby del tutto esterne al Pd e all’intero centro sinistra. È sintomatico, al riguardo, che a invocare primarie senza regole siano soprattutto tutti quei mondi o pregiudizialmente ostili al Pd o che avversano e combattono un esito positivo al centro sinistra alle prossime elezioni.
Facciamo, pertanto, un pubblico appello al segretario Bersani e alla Direzione del partito affinché si affronti in modo tempestivo ed approfondito questo tema. Senza regole definite e condivise rischiamo di trasformare le primarie in uno scontro dove la voglia di azzerare e di liquidare il Pd può entrare prepotentemente in gioco, nonostante la nostra volontà. E questo è un epilogo che non condividiamo e che vogliamo battere senza esitazioni e senza tentennamenti.

il Fatto 8.9.12
Bersaniani e renziani trattano sulle regole del confronto


Le primarie del centrosinistra si faranno? E se si faranno, che regole avranno? Potranno votare gli iscritti, tutti i militanti, o ci sarà un albo? Le domande sul confronto sono ancora molteplici e mentre Bersani assicura pubblicamente che “le regole saranno eque e non sfavoriranno Renzi”, tra i due “schieramenti” i contatti sono già avanzati. Il capo della segreteria di Bersani, Maurizio Migliavacca, ha incontrato il sindaco di Piacenza (e braccio destro di Renzi) Roberto Reggi per cercare un accordo. Al Nazareno interessa incassare un accordo che preveda un albo dei potenziali votanti perchè temono una corsa dei militanti di destra a sostegno di renzi. Il sindaco di Firenze, invece, è tentato dal doppio turno perché sa di poter aspirare al secondo posto, battendo Nichi Vendola (che punta solo a pesare la sua forza) e altri eventuali candidati. Insomma, le primarie come le abbiamo conosciute non ci saranno. Sempre che ci siano delle primarie.

il Fatto 8.9.12
Serracchiani: “Spero che le primarie non si facciano. Io non voterò”


Renzi? Dovrebbe restare a fare il sindaco di Firenze. Se fossi in lui mi sarei presa un po’ più di tempo perché i fiorentini vogliono un sindaco che magari resti a lungo. Se uno assume un incarico e si fa eleggere sindaco, e poi cambia idea così velocemente, non è una bella cosa”. La dichiarazione non è come può sembrare di un bersaniano di ferro, ma di Deborah Serracchiani, eurodeputato del Pd. “L’idea del camper – aggiunge Serracchiani – è un déjà vu, l’abbiamo già vista in altre campagne”. Quanto alle primarie del Pd: “Spero che non si facciano e se si fanno potrei non andare nemmeno a votare. I problemi del Paese sono altri, è uno spreco di energie, un leader del Pd lo abbiamo: sarebbe come scegliere le tendine mentre il Palazzo sta crollando”. E la sua candidatura alla presidenza della Regione Friuli? “Per fare la campagna elettorale – dice – non mi dimetterò dal Parlamento europeo. Sicuramente non mi presenterò alle elezioni politiche, anche se avevo la strada spianata. Il seggio sarebbe stato sicuro. Sono il candidato unico del Pd per la presidenza del Friuli: senza le primarie, perché non si è presentato nessuno e non c’è stato alcun patto con Bersani”.

La Stampa 8.9.12
Renzi corteggia i veltroniani
Sondaggi in bilico E il segretario del Pd vuole il doppio turno per le primarie
Vendola smentisce che Bersani gli abbia chiesto di ritirare la propria candidatura
di Carlo Bertini


Sarà pure una fortuita coincidenza, ma certo nella guerra dei simboli che caratterizza ogni sfida tra leader tutto può far brodo. Pure la partecipazione ad una «sagra del peperoncino», da contrapporre al solito rito annuale di un comizio di chiusura della festa di partito davanti ad una nomenklatura schierata in prima fila. Domani pomeriggio, proprio mentre Bersani proverà a galvanizzare le folle del suo Pd alla Festa di Reggio Emilia, Matteo Renzi sarà l’ingrediente piccante della sagra che si tiene in uno dei quattro comuni della Calabria che percorrerà in lungo e in largo: Castrovillari, Pizzo Calabro, Diamante e Cepraro.
Ma sarà un’altra la fotografia simbolica destinata ad assumere un peso tale da poter impensierire il segretario: quella scattata a Firenze la domenica successiva, 16 settembre: dove, per la prima volta Renzi siederà su un palco accanto a Veltroni; per presentare l’ultimo libro dell’ex leader, in un incontro moderato da Massimo Gramellini. In quell’occasione, il sindaco di Firenze potrebbe prodursi in un’opera di avvicinamento al popolo del Lingotto, a lui molto vicino sul piano dei contenuti. Dando così un segnale non sgradito a un’area del Pd che spera in un prossimo esecutivo che si muova nel solco dell’agenda Monti, cara anche a Renzi. Ma se il sindaco di Firenze, a sentire i suoi, non è intenzionato a prodursi in un qualche distinguo tra buoni e cattivi nel suo mantra della rottamazione, lo sforzo di sancire una pax pubblica con l’ideatore del Pd a vocazione maggioritaria può avere qualche riverbero non da poco nel terremoto che già scuote il partito. Tanto più che molti veltroniani già non nascondono le loro simpatie per lo sfidante di Bersani.
Certo è che il segretario non si mostra intimorito dai sondaggi che prevedono un testa a testa. Nello stesso staff di Renzi ammettono che «non è vero che noi siamo avanti, opinion polls che ci arrivano fotografano una partita aperta: ce la possiamo giocare tutta, ma ora siamo alcuni punti dietro Bersani». Non sorprende dunque la flemma del leader, convinto di farcela, pure se non a mani basse. «Risollevare l’Italia è una sfida difficile, tutti vorranno tagliarci la strada, da un verso e dall’altro, è un appuntamento molto duro, arduo, ma io non mi impressiono», è il messaggio consegnato ai volontari della festa Pd di Ravenna dal loro segretario. «Io non mi impressiono perché so bene che di gente onesta e per bene ce n’è tanta, e noi faremo leva su questa gente: sarà la nostra forza. Metteremo dentro quel tanto di lavoro in più, quel tanto di giustizia in più, di cui il Paese ha bisogno».
Comunque le sue precauzioni Bersani non esclude di prenderle, a partire da quella regola del doppio turno che gli consentirà più facilmente di veder convogliare ad un eventuale ballottaggio la gran parte dei voti di Vendola. E quale sia il clima che si respira nel Pd lo dimostrano le voci che nascono proprio al suo interno, come quella secondo cui Bersani avrebbe chiesto a Vendola di non candidarsi, smentita dallo stesso leader di Sel, che fa sapere di non aver mai ricevuto una tale richiesta, né di aver pensato di ritirarsi, ma di essere anzi in attesa della data di convocazione dei gazebo.
E dunque, a maggior ragione se i candidati del Pd dovessero lievitare (si parla perfino della ricerca di un terzo candidato femminile che possa rosicchiare voti a Renzi), il doppio turno resterebbe l’unica via per far ottenere al vincitore più del 50% dei voti. E mentre Marco Follini, pur non appoggiandolo, lancia un appello ai big per evitare «il cannoneggiamento demenziale» contro di lui, il sindaco di Firenze sfodera il sorriso di fronte agli attacchi.
«Si fa campagna con la poesia, ma si governa con la prosa, ma l’emozione che suscita la politica americana è superiore alla nostra. Obama riesce a mobilitare donne e uomini che credono che la politica non sia una parolaccia. Io sono qui a lavorare per Firenze, cerco di dare un orizzonte, ma è la concretezza che parla. Non potrei dire dimezziamo il numero dei parlamentari se non avessi dimezzato i miei assessori. E ai giovani va data un’alternativa: o continuano a seguire il leader che assicura un posto in Parlamento, oppure uno rischia e deve dire che chi sta da 20 anni in Parlamento ha fallito perché i risultati non sono venuti... ».

Corriere 8.9.12
«Le primarie (incerte) del Pd rivitalizzano la politica in crisi»

di Enrico Letta

Caro direttore,
se — come teme Michele Ainis — nel Pd, anziché pensare alla crisi di famiglie e imprese, ci si concentrasse sulla spartizione delle poltrone, gli italiani farebbero bene a voltarci le spalle. Per fortuna, a fugare ogni dubbio è giunta la scelta di Bersani di indire le prime primarie nazionali realmente contendibili e incerte. È la nostra reazione all'antipolitica. E arriva proprio quando la credibilità dei partiti tocca il suo punto più basso. La politica non è più solo debole. È collassata, anzitutto sotto il peso delle proprie inadempienze. Altrove i Parlamenti — penso al Bundestag e all'incidenza delle sue decisioni sui destini di Germania ed Europa — scandiscono la vita di popoli e istituzioni. In Italia, a dispetto degli appelli di Napolitano, il Parlamento non trova il coraggio di abolire la peggiore legge elettorale d'Europa. Una legge che è tra le cause della delegittimazione dei partiti e che abbiamo l'obbligo di cambiare subito. Intanto Grillo imperversa. Colma un vuoto, raccoglie lo scontento e lo fomenta, dà patenti morali di democraticità dal pulpito di un partito gestito da padrone. Un simile disprezzo per la politica non ha corrispettivi nella storia repubblicana, né in alcun altro Paese occidentale. Ora dobbiamo intenderci su cosa fare. Possiamo aspettare che la tempesta passi, aggrappati a una scialuppa di salvataggio, quale che sia. Lo sta facendo parte della politica: di destra, centro, sinistra. In particolare nel centrosinistra chi, sondaggi alla mano, dà per scontato il successo, brindando alla fine del berlusconismo e alla difficoltà di reiterare l'esperienza di Monti, commette un errore madornale. Anticamera di una sconfitta probabile. La verità è che il potere — specie quando, come oggi, esercitarlo è un dovere da far tremare le vene ai polsi — non lo si raccatta perché qualcuno lo perde per strada. Lo si conquista con un progetto. È la via più faticosa: quella di chi mette in gioco sé stesso, a rischio di perdere tutto. È la strada che Bersani ha preso promuovendo le primarie del centrosinistra. Una scelta non obbligata dallo Statuto che dischiude formidabili occasioni di rigenerazione. La prima è l'opportunità per la politica di riprendersi il ruolo che le spetta, raccogliendo il testimone da Monti e lavorando alla costruzione di futuro per il Paese. La seconda è per Bersani stesso. Le primarie daranno forza e legittimazione, con una rinnovata simbiosi con gli italiani. La terza è per Renzi. Fin qui — come diceva Battista — ha dato prova di abilità comunicative e di leadership indubbie. Ora può dimostrare che, oltre al furore della pars destruens, esiste una pars construens che è patrimonio, a mio parere, di tutto il Pd. Così il centrosinistra rivitalizzerà la politica: con un confronto libero. Senza reti, patti di sindacato, spartizione di potere. Scegliendo il rischio, Bersani mi ha rafforzato nella scelta di sostenerlo, con un progetto riformista che dia seguito allo straordinario sforzo fatto da Napolitano e Monti per salvare l'Italia. Bersani ha mostrato, con l'appoggio leale al governo e con le alleanze che ha costruito, di saper unire. Non curandosi di chi lo vorrebbe nostalgico paladino di un ritorno indietro di 20 anni. E nemmeno di chi nel Pd rifiuta la competizione. Sì, dunque, a primarie vissute come un confronto serio e rispettoso. Senza paura né demonizzazioni. Restituire ai cittadini il proprio destino è la scelta più felice e lungimirante che si potesse fare.
Enrico Letta
Vicesegretario del Pd

Repubblica 8.9.12
Pd, primarie il 25 novembre col doppio turno

Rutelli verso il rientro. Via Casini dal simbolo, l’Udc scippa al Pdl il brand “Italia”
di Giovanna Casadio Massimo Vanni


ROMA —Le primarie del Pd saranno a doppio turno. Sono state indicate le date: il 25 novembre e il 2 dicembre. Anche se sarà l’Assemblea del partito a fine settembre a formalizzare la sfida per la premiership nel centrosinistra, modificando con una norma transitoria quel comma che prevede sia il segretario democratico in carica a fare il candidato premier. Le primarie sono la prima tappa per la contesa vera, la vittoria cioè alle politiche del 2013. Bersani non nasconde la difficoltà: «Anche perché tutti vogliono tagliarci la strada, ma io non mi impressiono perché il partito sarà in grado di fare leva sulla gente onesta e perbene».
Anticipa, il segretario, qualcosa del suo discorso di domani a conclusione della Festa nazionale del Pd a Reggio Emilia, in quello stesso Campo Volo dove Enrico Berlinguer tenne il comizione del 1983. Sarà sulla crisi italiana: «Dobbiamo prenderci la nostra responsabilità davanti al paese, senza paura e senza raccontare favole, in
modo da dare fiducia», anticipa. Meno spazio dedicherà alle beghe interne e al caos sulla “rottamazione” dei vecchi leader che è la bandiera dello sfidante Renzi. Tuttavia il segretario dovrà rispondere anche ai trentaquarantenni (i “giovani turchi”) di Orfini, Fassina e Orlando che si sono autoconvocati sempre a Reggio Emilia, oggi. Appoggiano Bersani, ma chiedono il ricambio generazionale. Tra lo staff di Renzi (a capo del quale c’è Roberto Reggi, ex sindaco di Piacenza) e la segreteria si stanno discutendo le modalità delle primarie. Dovrebbero essere sul “modello” di quelle che si svolsero a Firenze per Palazzo Vecchio quando vinse Renzi: ovvero con un “quorum” per vincere (il 40%), e forse per passare il turno (il 30%). Sono primarie di coalizione, a cui oltre a Renzi e Bersani, partecipano finora Vendola (Sel) e Tabacci (Api).
L’annuncio di Bruno Tabacci, assessore della giunta Pisapia, portavoce di Api e deputato, che scalda i motori, sta a segnalare un’altra notizia: Rutelli e il suo partito (Api) hanno abbandonato i centristi e l’ipotesi di Terdopo
zo Polo, per sciogliersi (si vedrà nella convention di Maratea del 13 settembre) e saldare l’alleanza nel centrosinistra. Una tappa di riavvicinamento al Pd, dove Rutelli sarebbe tentato di tornare. L’Udc del resto sta procedendo per la sua strada che prevede, solo
il voto, l’alleanza con i Democratici.
Alla festa del partito a Chianciano infatti, il segretario Cesa mostra il nuovo simbolo: via il riferimento a Casini dal logo, entra la parola “Italia”. Un brutto scherzo per Berlusconi che al brand “Italia” voleva ritornare, nella speranza di arrestare la libera caduta di consensi del Pdl, secondo i sondaggi. Casini quindi lancia la lista per l’Italia, il cantiere dei moderati e la continuità con le politiche di Monti. Su questo il Pd è profondamente diviso. Romano Prodi, a margine del workshop Ambrosetti di Cernobbio, loda le primarie («sono un segno di democrazia ») e smentisce una sua candidatura al Quirinale: «Direi che non è cosa». Le primarie tengono alta la tensione nel Pd. Debora Serracchiani confessa che non sa se andrà a votare. Pina Picierno definisce Renzi «vassoio vuoto» e attacca la Bindi, «è il passato, non si dovrebbe ricandidare». Follini chiede rispetto per Renzi. Zoggia al contrario spera che resti a fare il sindaco di Firenze.

Repubblica 8.9.12
Adinolfi ai leader “Chiamatemi, io pronto a fare il segretario”
di Maria Elena Vincenzi


«PIERLUIGI Bersani, Massimo D’Alema, Rosy Bindi, Enrico Letta. E, in ruoli diversi anche Veltroni e Franceschini. Nel Pd tutte queste persone fanno blocco».
Blocco? In che senso fanno blocco?
«Non vogliono fare spazio ai giovani — dice Mario Adinolfi, giovane neodeputato del Partito democratico — . Hanno paura di perdere il loro potere, è l’unica cosa che interessa loro».
E loro invece sono vecchi?
«Io ho quarantuno anni. Sa su 205 deputati quanti sono quelli nati dopo il 1970? Cinque, solo cinque. E dire che gli italiani nati dopo il 1970 sono la metà della popolazione del paese».
Una persecuzione.
«Esatto. Siamo boicottati. Speriamo si facciano le primarie».
Una panacea.
«Sento parlare di albo degli elettori, questa è la nuova trovata di D’Alema: solo un modo per controllare il consenso. Quando io mi candidai nel 2007 mi misero i bastoni tra le ruote».
E quindi?
«È assurdo che gente come la Bindi che è stata una pasionaria o come D’Alema che ha fatto fuori Occhetto, oggi boicottino i giovani. Provano a mettere i loro figliocci».
E chi sono questi presunti “figliocci”?
«Orfini e Fassina. In un partito serio non ci verrebbe proposta la segreteria dei segretari. Gente che parla di cose che non esistono, che ancora celebra Togliatti».
Togliatti?
«A pelle preferisco chi è nato dopo il 1970. Matteo è giovane, ha una moglie precaria, sa usare internet. Bersani il web non sa nemmeno cos’è».
Altro che Togliatti.
«Vorrei sentire qualcuno che parla di pensioni. Qualcuno che mi dice che non vuole tornare indietro sulla riforma della Fornero. Chi se ne frega di quei poverini che non potranno andare in pensione a 57 anni? La nostra generazione in pensione magari ci arriverà a 70 anni. Io mi voglio occupare di chi ha 25 anni».
Si faccia avanti allora, almeno per altruismo.
«Alle primarie no».
Se non alle primarie, dove?
«Ho letto che Franceschini vuole un segretario giovane: benissimo, io sono disponibile».
E D’Alema&co. che faranno?
«I padri nobili, magari un po’ acidi. Come fece Occhetto. È la logica della natura».

Sette del Corriere 7.9.12
Ignazio Marino
Il Pd lasci perdere Casini e si allei con Di Pietro
Chi vota Idv probabilmente la pensa come me sulla laicità dello Stato
E su molti temi anche con il Movimento 5 Stelle c’è sintonia

qui

il Fatto 8.9.12
Il giovane turco: “Bersani vince se molla i vecchi”
Matteo Orfini: “Renzi non ci fa paura perché porta avanti idee del passato”
di Wanda Marra


“Non abbiamo nessuna paura di Matteo Renzi”. Si chiama Matteo anche lui, ha quasi 40 anni anche lui, e nelle ultime settimane non le ha mandate a dire alla nomenklatura del partito. Matteo Orfini, responsabile Informazione e Cultura del Pd, si schiera convintamente con Bersani, anche se al segretario ha dato del filo da torcere esprimendo spesso, insieme agli altri bersaniani della segreteria “i giovani turchi”, posizioni più radicali rispetto alle sue. Però dice: “C’è una differenza sostanziale tra noi e Renzi: noi portiamo avanti una discussione politica”.
Nel gruppo dirigente del Pd i nervi sono parecchio tesi. Bersani non teme di perdere le primarie?
Se avesse avuto paura, non le avrebbe fatte. Anche se sicuramente c’è una parte del gruppo dirigente del Pd che pensa di spostarsi su Renzi.
Eppure questa sovraesposizione mediatica di Renzi è preoccupante, no?
Lui rappresenta una novità: e tutti aspettano di conoscere la sua visione: finora, a parte la rottamazione e la ripetizione di vecchie idee tipo “il liberismo è di sinistra”, non è stato possibile.
Anche lei da settimane sta portando avanti una battaglia contro il gruppo dirigente del partito. Dove vuole arrivare?
Veramente già mesi fa avevo detto, proprio al Fatto quotidiano, che chi aveva fatto il ministro nei due governi Prodi non avrebbe dovuto farlo in un eventuale futuro governo del centrosinistra, visto che anche quei governi hanno contribuito al dissesto dell’Italia e poi il centrosinistra ha perso le elezioni. Ultimamente c’è molta attenzione rispetto a ciò che dico. Io vorrei una risposta politica piuttosto che essere accusato, o ricevere reazioni offese per esorcizzarmi. La Bindi ha chiesto l’intervento del preside (Bersani, ndr), piuttosto curioso in una discussione politica.
Seguendo la regola da lei proposta, eliminereste molti da D’Alema a Veltroni. Anche Bersani ha fatto il ministro due volte. Per la verità anche la vostra sembra una rottamazione.
È chiaro che ci devono essere dei presidi di competenza, la regola non vale per il premier. Noi abbiamo messo in campo una linea politica, dicendo che il rigore eccessivo ci avrebbe portato in recessione. Fummo scomunicati da buona parte del Pd. Nei mesi successivi su queste posizioni sono venuti Hollande e persino la Merkel.
Visto che lei si dice con Bersani, qual è il vostro contributo alla sua campagna per le primarie?
Aiutarlo mettendo in campo alcune idee, alcune proposte. Penso che sarà una bellissima sfida: da una parte c’è Renzi, che si dice liberista di sinistra, dall’altra Bersani, che è antiliberista. Sono primarie vere, viva Dio!
Però spesso voi Bersani lo tirate verso posizioni più radicali di quelle che lui esprime.
Nella carta d’ intenti del Pd il lavoro è la questione principale. Poi certo dobbiamo comunque assumerci vincoli e impegni europei.
Si parla in questi giorni di un organigramma che vede tutti i vecchi del partito già sistemati nei posti di potere in caso di vittoria. Cosa ne pensa?
Ci farebbe perdere le elezioni, ma per fortuna non esiste. Vede non è che io Fassina, Orlando e gli altri vogliamo fare i ministri. Diciamo solo che Bersani dovrà essere libero di trovare nuove energie nel paese.
E l’altro incubo di molti democratici, Grillo?
Mi pare che Grillo non ci sia più. Dobbiamo parlare di Casa-leggio dopo ieri. Sono mesi che dico che bisognava fare chiarezza sui rapporti oscuri tra Grillo e Casaleggio.
Non le sembra di esagerare?
Registro il fatto che se una cosa del genere fosse successa nel Pd avremmo avuto una reazione un po' più forte. Fuori dalla democrazia dei partiti non c'è democrazia. Di impresa che fa politica purtroppo ne abbiamo già vista una, Forza Italia.
Insomma, quante possibilità ha Bersani di vincere?
Se le primarie sono Bersani-Renzi-Vendola vincerà agevolmente, se invece sono Renzi-Vendola e Bersani con la foto di gruppo del ‘96 vincerà sempre lui, ma con una certa fatica.

«È falso, assurdo e doloroso per chiunque sentir dire che chi formula una critica dello Stato di Israele è un antisemita, o, se ebreo, un ebreo che odia sé stesso»
l’Unità 8.9.12
L’assurdità dell’accusa di odiare se stessi
di Moni Ovadia


QUEST’ OGGI DEDICO LO SPAZIO CHE L'UNITÀ MI CONCEDE PER RIFERIRE PARTI DELLA RISPOSTA DATA DA JUDITH BUTLER, FILOSOFA AMERICANA insignita del premio Adorno, a coloro che le hanno contestato il riconoscimento con le ripugnanti accuse di essere un’ebrea antisemita che odia se stessa. Avendo io stesso ricevuto queste accuse mi affido alle sue luminose parole.
«Il Jerusalem Post ha recentemente pubblicato un articolo in cui si riportava che alcune organizzazioni sono contrarie al fatto che io riceva il Premio Adorno (... ). Le accuse contro di me sono di appoggiare Hamas e Hezbollah (non vero), di appoggiare il Bds (boicottaggio, disinvestimento, sanzioni) (parzialmente vero) e di essere un’anti-semita (platealmente falso). Ho ricevuto un’educazione ebraica a Cleveland, sotto la guida del Rabbino Daniel Silver, in una sinagoga dell’Ohio in cui ho sviluppato le mie forti visioni etiche sulla base del pensiero filosofico ebraico. Nel mio percorso di formazione mi sono convinta che gli altri ci chiedono di – e noi stessi ci interroghiamo su come – rispondere alle loro sofferenze e di cercare di alleviarle. Tuttavia, per fare questo dobbiamo essere capaci di ascoltare e trovare i mezzi con cui rispondere, e talvolta di pagare le conseguenze dei modi in cui decidiamo di opporci alle ingiustizie. In ogni singola tappa della mia educazione ebraica mi è stato insegnato che rimanere in silenzio di fronte all’ingiustizia non è accettabile (...) La mia posizione non è ascoltata da questi detrattori, e forse non dovrei sorprendermi, visto che la loro tattica consiste nel distruggere le condizioni di ascoltabilità (...). È falso, assurdo e doloroso per chiunque sentir dire che chi formula una critica dello Stato di Israele è un antisemita, o, se ebreo, un ebreo che odia sé stesso. Accuse di questo genere cercano di demonizzare la persona che articola un punto di vista critico e di squalificare questo punto di vista in partenza. Si tratta di una tattica di messa a tacere: di questa persona non si può parlare, e qualunque cosa essa dica va respinta in anticipo o distorta in modo tale da negare la validità stessa della presa di parola. L’accusa rifiuta di prendere in considerazione il punto di vista, di discuterne la validità, di valutarne le sue prove, e di trarne una conclusione oculata sulla base dell’ascolto della propria ragione. L’accusa non è semplicemente un attacco contro le persone che hanno punti di vista discutibili, ma si traduce in un attacco contro qualsiasi scambio ragionevole di opinioni... Quando degli ebrei etichettano altri ebrei come «antisemiti», essi cercano di monopolizzare il diritto di parlare a nome degli ebrei. Dunque l’accusa di antisemitismo serve da copertura per una diatriba tra ebrei». Invito caldamente il lettore a leggere l’intero intervento sul sito «Mondoweiss».

Mondoweiss. net 27.8.12
Judith Butler responds to attack:
«I affirm a Judaism that is not associated with state violence»
by Judit Butler

qui

il Fatto 8.9.12
Il fascismo degli altri
di Massimo Fini


Luigi Manconi, sociologo, politologo, docente universitario, ex portavoce dei Verdi, ex Ulivo, improvvidamente sottosegretario alla Giustizia nel governo Prodi II, dopo aver dato, sulla scia di Bersani, del 'fascista' a Beppe Grillo e ad Antonio Di Pietro, lo appioppa, per proprietà transitiva, anche al Fatto “giornale vicino alle posizioni di Grillo e di Di Pietro”. E se non proprio ‘fascisti’ per Manconi siamo comunque degli squadristi di destra. “Prendo, a mo' di esempio, un titolo a tutta pagina del Fatto Quotidiano del 5 aprile scorso: ‘In un Paese di ladri’... C’è la questione del giustizialismo: se tutta la vita sociale viene vista attraverso la fattispecie penale è inevitabile che questa si porti appresso pensieri e invettive conseguenti. Se viviamo ‘in un Paese di ladri’ è inevitabile che il primo e principale slogan politico coincida col grido di Giorgio Bracardi: ‘In galera!’”. A parte che ‘giustizialismo’ e ‘garantismo’ sono due categorie inventate durante la stagione di Mani Pulite a uso dei politici indagati (non esiste un’applicazione ‘giustizialista’ o ‘garantista’ della legge. Esiste l'applicazione della legge. Naturalmente il magistrato, come tutti, può sbagliare, e per questo il nostro ordinamento prevede una serie di verifiche e controlli, il Gip, il giudizio di primo grado, l'Appello, la Cassazione e, in presenza di un imputato detenuto, i ricorsi al Tribunale del riesame e ancora alla Cassazione) è meglio gridare a qualcuno, che risulti che se lo è meritato, ‘in galera’ che mandarlo direttamente al cimitero. Manconi, 64 anni, è infatti una di quelle felici persone che sono sempre nate ieri e hanno l'invidiabile capacità di rimuovere totalmente il proprio passato. Luigi Manconi è stato un importante leader di Lotta continua. Negli anni Settanta scendeva in strada con i suoi compagni e, oltre a spaccar vetrine e, all'occorrenza, anche qualche cranio, urlava “Fascista, basco nero, il tuo posto è al cimitero”, “Uccidere un fascista non è reato”. Il quotidiano di Lotta continua pubblicava foto, indirizzi, percorsi, abitudini di ‘fascisti’ o presunti tali, indicandoli al pubblico ludibrio e alle squadracce e alcuni, a colpi di spranga sono finiti effettivamente al cimitero, altri sulla sedia a rotelle. In Italia ogni volta che si presenta qualcosa di nuovo, non inquadrabile nei parametri della partitocrazia, che anzi a essa si oppone, e in quelli della cosiddetta ‘intellighentia di sinistra, la risposta pavloviana, e non innocente, è sempre la stessa: “Fascisti!”. Nei primi anni Novanta, prima che fosse inglobata e innocuizzata, toccò alla Lega. Bossi e i suoi hanno sproloquiato spesso e volentieri, ma nella storia, ormai trentennale di questo movimento non c'è un solo atto di violenza. Mi ricordo che Repubblica, non sapendo a che altro appigliarsi, una volta che davanti al municipio di Milano un cane, presunto leghista, abbaiò alla consigliera comunale repubblicana Rosellina Archinto, titolò a otto colonne in testa alla prima pagina: “Aggressione fascista della Lega a Milano”. Ora tocca a Grillo, ma nemmeno ai ‘grillini’ sono addebitabili eccessi se non di linguaggio. Eccessi a cui, peraltro, si dedicano tutti (si leggano Il Giornale e Libero). La verità è che Grillo, come la Lega d’antan, fa paura col suo 15/20% di consensi cui lo danno i sondaggi. E allora è ‘fascista’. E anche noi del Fatto se non propriamente fascisti siam squadristi. È destino della mia generazione, coeva a quella dei Manconi, di dover prendere lezioni di buona educazione politica da chi, nelle parole e nei fatti, squadrista, e anche peggio, lo fu davvero.

il Fatto 8.9.12
A scuola di “morale laica”
di Maurizio Viroli


Dobbiamo rifondare la “scuola repubblicana” con corsi, obbligatori in tutte le scuole e tanto di voto, di “morale laica”. Morale laica vuol dire comprendere la differenza fra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, distinguere il bene dal male, essere consapevoli che abbiamo doveri oltre che diritti, prendere sul serio la virtù e soprattutto i valori. Ci vuole un insegnamento che inculchi negli studenti le nozioni di morale universale fondate sulle idee di umanità e di ragione perché “la Repubblica esprime un’esigenza di ragione e di giustizia” e a scuola si deve imparare a “ragionare, criticare, dubitare”. È urgente insomma porre mano non solo a riforme sociali, ma anche a una riforma intellettuale e morale, e quest’ultima può nascere soltanto nella scuola in virtù del suo potere spirituale.
VE LO immaginate cosa succederebbe in Italia se un ministro dell’Istruzione sostenesse queste idee e le mettesse in pratica? Ci sarebbe sui giornali e in televisione una levata di scudi seguita probabilmente da un moto insurrezionale. I sostenitori del multiculturalismo tuonerebbero che ‘non ci sono valori universali, ma soltanto valori relativi ai diversi contesti culturali’; la vecchia e rancida sinistra non esiterebbe a ripetere che ‘le idee di umanità e di ragione mascherano il dominio dei popoli ricchi e potenti su quelli deboli e poveri’; i liberali nostrani muoverebbero lancia in resta contro l’incauto ministro al grido ‘lo Stato che inculca la morale viola il principio della neutralità rispetto alle diverse concezioni del bene’; ‘è Gramsci che ritorna! ’ sbraiterebbero i berlusconiani guidati dal dottissimo Cicchitto. E chi terrebbe il Santo Padre, e il Sacro Collegio e le orde di Comunione e liberazione, con Formigoni in testa, dal brandire effigi della Madonna e organizzare processioni per protestare contro la pretesa della Repubblica di esercitare, attraverso la scuola, un “potere spirituale”. Invece, il ministro francese dell’Educazione, Vincent Peillon, ha proposto, eccome, le idee che ho citato in un’intervista apparsa pochi giorni or sono su Le Journal du Dimanche. E non è tutto. Ha pure promesso che per l’inizio dell’anno scolastico 2013 le questioni di morale laica saranno insegnate con appositi corsi a tutti i professori. Tutto il sale delle rinomate Saline di Cervia non basterebbe a rianimare i nostri professori di scuola media superiore, se ricevessero una bella circolare che li obbliga a tornare sui banchi per studiare morale laica (ammesso che si trovassero in Italia insegnanti disposti ad accingersi a tale opera).
Il ministro va ben oltre l’educazione civica, del resto già in vigore nelle scuole francesi. Pensa infatti che, oltre a dare ai giovani le nozioni necessarie per essere buoni cittadini, la scuola deve stimolare la riflessione sulle grandi questioni quali il senso dell’esistenza umana il rapporto con noi stessi, e con gli altri, e le idee di vita felice o buona. Il fine è dunque una laicità interiore che sostenga i valori della solidarietà, del sacrificio, della conoscenza contro i valori del denaro della concorrenza e dell’egoismo.
I PRIMI commenti pubblicati nel blog della rivista sono aspri: “Presto avremo dei campi di formazione socialista per la gioventù”; “ecco la morale socialista imposta a tutti”. È facile prevedere che altri, del medesimo tono, seguiranno e che il ministro dovrà faticare molto per realizzare la sua riforma. Anche se l’ethos repubblicano ha in Francia solide radici, non mancano i critici, sia a destra, sia a sinistra. La distinzione fra patriottismo e nazionalismo, ad esempio, che il ministro ha enfatizzato con meritoria finezza culturale, è controversa anche all’interno dell’opinione pubblica francese. Al di là delle Alpi, come da noi, c’è chi sostiene che il patriottismo non si distingue dal nazionalismo e chi ritiene che il patriottismo sia un’anticaglia del passato. Il ministro, inoltre, ricorda senz’altro le polemiche sul divieto, in nome della laicità, di entrare a scuola con il volto coperto dal velo. La scelta di lanciare addirittura un progetto educativo in nome della morale laica è indubbiamente una scelta coraggiosa, come è lecito attendersi da un leader politico.
IL MINISTRO francese avrebbe potuto evitare espressioni come “inculcare” e sottolineare che l’educazione laica deve avere la libertà come fine e come mezzo, e dunque aborre l’indottrinamento ed esige il metodo del dialogo. Ma la sostanza del suo progetto merita sincero plauso, per una semplice ragione: una Repubblica che rinuncia a formare cittadini si condanna al declino civile e politico. La coscienza civile e la coscienza laica hanno bisogno l’una dell’altra, e sono entrambe minacciati da nemici potenti: la prima dalla mentalità servile, dall’idolatria insana per il mercato; la seconda dagli ideologi fondamentalisti e dai bigotti (non da chi ha vera coscienza religiosa, come dimostra l’esempio del compianto Cardinale Martini). Se si affievoliscono, la Repubblica si corrompe, proprio come è avvenuto dai noi. Non è affatto da escludere che i nostri mali abbiano reso altri più saggi. E noi, quando impariamo dai nostri errori?

Corriere 8.9.12
Roma

Baby gang pesta straniero «Non puoi sedere sul bus»

Un uomo di 47 anni originario dell'Ecuador è stato insultato, pestato e rapinato da una baby gang di dodici ragazzi tra i 14 e i 16 anni. Il motivo? «Non poteva sedere sul bus». È successo giovedì sera, intorno alle 21, al capolinea bus di Ponte Mammolo, periferia di Roma. La banda ha incrociato la vittima, un operatore sociale, che era seduta sul bus 404 in attesa che il mezzo partisse. Subito sono partite le frasi razziste. «Tu non puoi sedere sull'autobus». «Extracomunitario di m...». «Tornatene a casa tua». Lo straniero è sceso dall'autobus ma i ragazzi lo hanno seguito e, dopo averlo accerchiato, lo hanno preso a calci e pugni rapinandolo del portafogli. Gli autisti degli autobus e alcuni cittadini, impauriti dalla banda, molto numerosa, non sono intervenuti per bloccare gli aggressori ma hanno subito contattato i carabinieri. Grazie ai testimoni del fatto i militari hanno arrestato sul posto sei dei dodici adolescenti con l'accusa di rapina aggravata a sfondo razzista e lesioni personali, mentre altri sono scappati e sono tuttora ricercati. L'extracomunitario è stato trasportato all'ospedale Pertini dove, dopo essere stato medicato, è stata dimesso con alcuni giorni di prognosi. Mentre i componenti della gang sono stati portati in una casa famiglia. Uno di loro, di 14 anni, ha già un precedente per rapina a mano armata. I ragazzi fermati non hanno dato spiegazioni del gesto. Alcuni dei loro genitori sono invece rimasti sbigottiti: «Non è possibile, nostro figlio sarà stato trascinato dal gruppo».

Corriere 8.9.12
Tutti obiettori aborti impossibili


All'ospedale di Jesi, in provincia di Ancona tutti e 10 i ginecologi della struttura si sono dichiarati obiettori di coscienza causando la sospensione del servizio di interruzione volontaria di gravidanza. Lo segnala la Cgil che parla di «diritti negati alle donne» e di mancata attuazione della legge 194/78 ricordando che un episodio analogo era già avvenuto anche all'ospedale di Fano. Sulla vicenda è intervenuto l'assessore regionale alla sanità Almerino Mezzolani per «garantire che nei prossimi giorni operi un medico non obiettore proveniente dall'ospedale di Fabriano».

Corriere 8.9.12
Torna la legge sul fine vita Il Pdl è pronto a votarla
La nutrizione obbligatoria. Il Pd: non è il momento
di M. Antonietta Calabrò


ROMA — Il Pdl al Senato è intenzionato a percorrere rapidamente «l'ultimo miglio» della legge sulle Dat, cioè sulle «Direttive anticipate di trattamento», in pratica la nuova legge sul testamento biologico o sul fine vita. Lo annuncerà oggi il capogruppo a palazzo Madama, Maurizio Gasparri in un'intervista al quotidiano dei vescovi, Avvenire. Gasparri risponde ad una lettera appello, pubblicata dal giornale diretto da Marco Tarquinio, del presidente del Movimento per la vita, Carlo Casini, ed indirizzata al segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, a quello del Pdl, Angelino Alfano, e a quello della Lega, Roberto Maroni. Carlo Casini ha chiesto infatti che il Parlamento voti subito la legge che è in dirittura d'arrivo «perché è una questione di democrazia». Gasparri chiederà la calendarizzazione al più presto del provvedimento per due motivi. Il primo è che il disegno di legge è tornato al Senato «perché vengano approvate alcune pochissime modifiche introdotte alla Camera e il disegno di legge è già in commissione. Quindi la legge è pronta per essere approvata». Secondo motivo è che, sostiene Gasparri, «non si può lasciare che su tale materia intervengano i Comuni, con una serie di iniziative estemporanee, quelle dei registri, che scavalcano la necessità che sia la legge a regolarla».
Due fatti recenti hanno rimesso in moto l'attenzione sul problema. Il grande impatto che sull'opinione pubblica ha avuto la scelta del cardinale Carlo Maria Martini di evitare l'accanimento terapeutico, arrivato alla fase terminale della malattia di cui soffriva, il morbo di Parkinson, e il film di Marco Bellocchio presentato alla mostra di Venezia, «Bella Addormentata», che trae spunto dalla vicenda di Eluana Englaro, per diciassette anni in stato vegetativo. Anche Maria Antonietta Farina Coscioni, deputato radicale eletto nel Pd, ha chiesto che il Parlamento si esprima su questo problema, sempre più sentito. Ma adesso la volontà del Pdl di riproporre il disegno di legge presentato da Raffaele Calabrò con ogni probabilità rinfocolerà le polemiche, perché la legge che è quasi pronta, nell'intenzione della maggioranza che l'ha praticamente approvata, «blocca» all'origine derive eutanasiche.
C'è poi un più complesso problema politico. Oggi al governo c'è Mario Monti sostenuto dalla «strana maggioranza» di cui il Partito democratico è pilastro essenziale. C'è la preoccupazione che «forzare» sull'approvazione della legge del testamento biologico (con un testo su cui il Pd ha votato contro) possa mettere in dubbio la tenuta del governo. L'ex sottosegretario Eugenia Roccella afferma: «Nessuno strumentalizzi il sostegno al governo tecnico di Monti per porre un veto all'ok definitivo, cui si può arrivare in una ventina di giorni, la volontà del Parlamento deve prevalere». Anna Finocchiaro capogruppo del Pd a Palazzo Madama, da una parte è polemica con questo ritorno di fiamma del disegno di legge Calabrò, dall'altra dichiara: «Noi non abbiamo nessun problema a discutere del fine vita, del resto questa non è materia che faccia o possa fare parte di nessun programma di governo». Ma — aggiunge Finocchiaro — «mancano pochi mesi alla fine della legislatura per cui non c'è molto tempo per una discussioni approfondite, noi non siamo disposti a battaglie ideologiche».

Repubblica 8.9.12
Povera Chiesa in povero Stato
di Giovanni Valentini


IL PENSIERO cattolico ha visto con fastidio costante (…) l’idea dello Stato che è sovrano sia quanto ai mezzi sia quanto ai fini dell’azione collettiva.
(da “Dal Risorgimento al Fascismo” di Domenico Fisichella — Carocci, 2012 — pag. 127)
Non s’era ancora spenta la commozione per la scomparsa di monsignor Martini, padre spirituale del cattolicesimo progressista e pastore di una Chiesa moderna, che s’è riaccesa la polemica sul regime fiscale degli immobili ecclesiastici su cui il governo ha buttato subito acqua sul fuoco. Forse l’accostamento tra i due eventi può apparire inopportuno o irriguardoso, mentre la figura dell’ex arcivescovo di Milano — uomo del dialogo e grande comunicatore — merita certamente rispetto anche da parte dei laici. Ma sul piano mediatico la coincidenza ripropone la questione del rapporto fra il potere temporale e il potere spirituale della Chiesa, all’origine della “diversità” culturale di Martini all’interno della gerarchia ecclesiastica. E quindi, il problema storico delle relazioni fra lo Stato italiano e il Vaticano.
Pochi giorni dopo essere stato nominato cardinale, il 6 febbraio del 1983 Carlo Maria Martini aveva fatto precedere il ritorno a Milano da due tappe significative. In mattina a Rho, nel santuario dei padri oblati diocesani, scelto come “luogo di preghiera”, aveva ricevuto la delegazione delle autorità cittadine, offrendo loro vino da messa in un incontro all’insegna della semplicità. Nel pomeriggio, era andato in visita all’istituto per handicappati “Sacra Famiglia” di Cesano Boscone, scelto come “luogo di sofferenza”. “Vorrei che questi punti di partenza fossero un simbolo”, spiegò lui stesso dal palco allestito sul sagrato del Duomo, di fronte a una folla di fedeli che s’erano raccolti nella piazza mentre la cattedrale era già gremita.
Fu dopo la funzione religiosa, durante il ricevimento seguito nei saloni dell’arcivescovado, che la cerimonia d’insediamento si trasformò spontaneamente in un fatto di società, un’occasione d’incontro, aperta anche alla Milano laica delle istituzioni, delle professioni e degli affari, della cultura e del giornalismo. La processione degli invitati sfilò di sala in sala, fino all’ultima. E lì monsignor Martini, austero e imponente, ringraziò tutti ricambiando con un piccolo ricordo. In una scatoletta rossa, consegnò a ciascuno degli ospiti una medaglia di bronzo con l’immagine di sant’Ambrogio da una parte e una scritta in latino dall’altra: “Pro veritate adversa diligere”, il motto scelto al momento dell’ordinazione ad arcivescovo. La frase completa, tratta da san Gregorio Magno, dopo “adversa diligere” aggiunge testualmente “et prospera formidando declinare”. Tutta intera, raccomanda saggiamente di amare le avversità ed essere cauti di fronte al successo, in nome della verità.
Ecco, se c’è una parola in cui si può riassumere il magistero di Martini è proprio questa: verità. E come raccontano i Vangeli, è quella su cui s’impernia la predicazione di Cristo in terra. Lo stesso profeta che scaccia i mercanti dal tempio, condanna i farisei come ipocriti, difende l’adultera dalla lapidazione. Autorità spirituale e potestà temporale, appunto.
Prima dell’Unità d’Italia, “lo Stato della Chiesa – come osserva Domenico Fisichella nel volume citato all’inizio – taglia territorialmente in due, dall’Adriatico al Tirreno, la penisola. E questa è una delle ragioni essenziali del ritardo italiano nella edificazione del suo Stato nazionale”. All’epoca del Risorgimento, fu poi Camillo Benso di Cavour a riprendere la celebre espressione “libera Chiesa in libero Stato”, esortando il Papa a separare il potere spirituale da quello temporale sui suoi possedimenti, in modo da favorire la convivenza fra Stato e Chiesa. Ma oggi, alla luce delle polemiche sull’Ici o sull’Imu, forse è arrivato il momento di mutuarla in “povera Chiesa in povero Stato”: per auspicare cioè una Chiesa che non rivendichi più privilegi e guarentigie nei confronti di uno Stato oppresso da un colossale debito pubblico e costretto perciò a imporre pesanti sacrifici ai suoi cittadini. Fermo restando che hanno diritto all’esenzione gli edifici dedicati esclusivamente o prevalentemente al culto e al volontariato, gli immobili del Vaticano che invece producono reddito – palazzi, abitazioni, uffici, alberghi, scuole, ospedali, case di cura o cliniche per un gettito stimato in 600 milioni di euro – non possono più essere sottratti al controllo del fisco. E non solo per un’elementare ragione di equità nei confronti di tutti gli altri contribuenti, pubblici o privati, quanto per salvaguardare la stessa autorità e credibilità della Chiesa verso i credenti e i non credenti. La Chiesa di Cristo, testimoniata da monsignor Martini, è una Chiesa povera, semplice, umile. Una Chiesa che, in linea con l’opera di purificazione avviata ora da Benedetto XVI, non ha nulla a che vedere con l’amministrazione dei patrimoni immobiliari, con gli affari della Banca vaticana e men che meno con il riciclaggio di denaro.

Repubblica 8.9.12
Kabul, la maledizione delle attrici
Aggredite in tre, due sopravvivono: la polizia le punisce perché “immorali”
di Daniele Mastrogiacomo

ERANO donne, attrici emergenti e vivevano sole. Senza parenti uomini che potessero proteggerle e controllarle. Per non parlare del burqa che non indossavano mai, delle apparizioni in un programma tv satirico di grande successo. Dettagli decisivi a Kabul: suonano come una condanna. A morte. La storia di Areza e Tamana, due sorelle del nord del Pakistan rimaste orfane sin da piccole e della loro amica Benafsha, è il sintomo di quanto siano ancora lontani in Afghanistan i più elementari diritti dell’universo femminile. Essere donna è già difficile. Ma quando sei anche un’attrice, un viso noto del piccolo schermo, se osi trattare in modo satirico il mondo maschile dominante, allora rischi. Devi fare attenzione a come ti vesti, con chi ti accompagni, le cose che dici. Sei una immorale. Donna e puttana. E oltre ad essere aggredita rischi di venire accoltellata perché rifiuti degli approcci, e poi puoi finire dentro e subire, su ordine del magistrato, un test per verificare la tua verginità. Tutto questo non accade in un piccolo villaggio di una remota provincia. Ma a Kabul.
Dopo essere state minacciate più volte, le tre donne camminavano nella parte ovest della città. «Ad un certo punto», racconta al Guardian Sahar Parniyan, anche lei attrice di primo piano, loro amica, costretta a nascondersi per sfuggire agli aggressori, «si sono ritrovate in un vicolo circondato da muri alti quattro metri. Sei uomini sono sbucati dalla parte opposta e le hanno bloccate». Non si sa quale sia stato il motivo scatenante. Ma la notorietà delle tre ragazze deve aver attratto il gruppo. Sono spuntati i coltelli. Areza e Tamana si sono prese quattro fendenti e sono rimaste gravemente ferite. Benafsha ha avuto la peggio ed è morta. È arrivata la polizia, è scattata un’indagine. Ma gli agenti non si sono preoccupati di rintracciare gli assassini. Hanno tempestato di domande le tre donne, le hanno arrestate per “crimini morali” e poi le hanno trasferite in ospedale dove sono state sottoposte al test vaginale. «La donna non è stata uccisa per il suo lavoro », precisa, convinto, il magistrato che indaga, Ghulam Dastegir Hedayat, «ma perché si rifiutava, assieme alle altre, di avere rapporti con il gruppo di uomini che hanno incontrato».
Yaqin Ali Khalili, titolare di un locale frequentato dalle ragazze è più realista. «Credo che ad uccidere quella donna sia stato l’odio della gente di qui». Lo stesso odio si accanisce su Sahar Parniyan. «Mi telefonavano alle 2 di notte», racconta, «e mi dicevano che sarei stata la prossima. I Taliban sono contro le donne, ma non sono soli». Tamara recitava nello show televisivo Ermoz e sua sorella, con il nome di Sadaf, aveva un ruolo minore nella serie satirica Il ministero nella quale appariva anche Parniyan. Nasreen Amaninejad, la locataria della stanza dove vivevano le tre artiste aggredite è scandalizzata: «Questo tipo di donne infangano la città. Non sapevo che erano delle attrici». Il giudice Hedayat difende la sua scelta. «Le due ragazze sono state sottoposte ad un test per verificare se hanno avuto rapporti sessuali. Vivere in quelle condizioni, da sole, senza la presenza di parenti uomini, fa pensare che fossero delle prostitute. E che la loro stanza fosse un postribolo».

Repubblica 8.9.12
La maledizione delle donne di Kabul
di Renzo Guolo


Dopo essere state coinvolte nella violenta aggressione in cui ha perso la vita la giovane Benafsha, lasciata sanguinante davanti a una moschea, le sue compagne, le sorelle Azema e Tamana, sono state condotte in prigione e sottoposte al test di verginità. Il dubbio, o meglio, il pregiudizio, che ha mosso le autorità afgane riguardava la presunta “complicità” delle attrici con quanti le hanno aggredite. Ipotesi stigmatizzante che, in qualche modo, legittima le minacce di quanti ritenevano le tre colpevoli di “immodestia” per le loro esibizioni in tv. Un’accusa che nel tradizionalista mondo afgano, non solo di matrice taliban, equivale a quella di prostituzione. La modestia, infatti, prevede un atteggiamento pubblicamente contenuto che non deve dare adito a provocazioni, anche solo oggettive, nei confronti dei maschi. Si tratta di una categoria morale ritenuta un obbligo, alla quale qualsiasi donna si deve ispirare. Nel tradizionalismo afgano, sul quale si è innestata la rigida predicazione dell’islam deobandi e del wahhabismo estremo, questo concetto è stato dilatato sino all’estremo, Nella pedagogia disciplinare dei corpi che il tradizionalismo religioso continua a esercitare in Afghanistan, le attrici, così come le musiciste o le artiste, che osano esibirsi pubblicamente, sono doppiamente colpevoli: in quanto donne e in quanto soggetti che, con la loro professione, trasformano la seduzione in sedizione. Un sentimento collettivo di rigetto che unisce tutta la società maschile, nel tentativo di unificare il corpo sociale mediante la sottomissione del corpo femminile. E che rimanda al tempo scuro dell’Emirato del Mullah Omar, quando non solo venivano distrutti i televisori “portatori di corruzione sulla terra” ma alle donne, espulse dal lavoro, veniva anche vietato di indossare i tacchi: secondo gli “studenti coranici” il loro rumore sul selciato “disturbava i fedeli dal pensiero di Dio”. Una visione del mondo che mostra una concezione delle donne come qualcosa da imbrigliare, sotto il velo o le volte dei dettami della Legge e della tradizione, in quanto potenzialmente dirompente per la coesione sociale. Constatare il permanere di una simile, diffusa, mentalità, tanto più tra le autorità succedute al regno dei Taliban a undici anni dalla loro caduta, rattrista. È noto ormai che in Afghanistan poteri clanici, gruppi etnici, tribù, signori della guerra, attendono la partenza delle truppe straniere. E che i seguaci del Mullah Omar, con i quali pur si combatte, partecipano, attraverso la mediazione del presidente Karzai, a discussioni sul futuro del paese. La realpolitik prevale su qualsiasi altra considerazione e i talebani sono sempre più forti. Esigenze di carattere strategico inducono, così, i paesi che hanno una presenza militare ai piedi dell’Hindu Kush a non interferire su temi che hanno a che fare con i costumi e con un ordinamento giuridico che si è mostrato, nonostante i diritti acquisiti dalle donne, refrattario a qualsiasi mutamento nelle questioni di genere. Ma quando sarà il momento di fare un serio bilancio sui risultati prodotti dalla politica di nation-building senza society-building, la questione della libertà femminile, cartina tornasole dell’effettivo cambiamento nelle società della Mezzaluna, non potrà essere ignorata. Anche se, purtroppo, il bilancio appare già chiaro.

Corriere 8.9.12
L'amore come la fame e la sete

Il desiderio spiegato dai poeti
di Eva Cantarella


Come assicurarsi la felicità? Problema eterno, di cui si occupò, tra i tanti, anche il poeta filosofo Lucrezio. Per lui, di fede epicurea, la felicità consisteva nel perseguire il piacere naturale. E in campo sessuale sosteneva la seguente teoria: il desiderio è un impulso naturale, un bisogno fisico esattamente come la fame e la sete. Quando si fa sentire, dunque, va soddisfatto. Ma va tenuto ben separato dall'amore, che può trasformarsi in ossessione. Chi ama vuole possedere l'oggetto d'amore, si fa travolgere da folli gelosie, a volte arriva a causare la propria rovina anche economica: «Non perde il frutto di Venere chi evita amore/ al contrario, ne prova le gioie e ne evita i tormenti» scrive. Meglio soddisfare gli impulsi sessuali in modo casuale, non impegnativo. Una teoria che certamente gran parte dei suoi concittadini non condivideva. Assai più condivisa, invece, per non dire universalmente condivisa, la parte successiva del ragionamento: nel rapporto il sesso del partner è indifferente. Il piacere infatti è la soddisfazione che si prova unendosi alla persona che ha provocato quel desiderio: e questa persona può essere indifferentemente un giovane o una donna: quando uno «è colpito dei dardi di Venere poco importa che questi siano stati scagliati da un ragazzo dalle membra femminee /o una donna il cui corpo irradia amore». La vittima anela solo a unirsi alla creatura da cui è stato ferito. Una volta di più non resta che constatare quante cose, idee, principi sono cambiati e cambiano nel tempo: ivi compresa l'etica sessuale.

Corriere 8.9.12
Englaro a Udine con il film Bellocchio lo abbraccia: «Non avrei fatto come te»
di Marco Imarisio


UDINE — Quella maschera metallica e affilata che da molti anni è la sua faccia ha un sussulto improvviso.
Beppino Englaro afferra il braccio di Marco Bellocchio. Va bene, basta così, fermati. Il regista di «Bella addormentata» ha appena finito di dire che lui non avrebbe avuto la forza di seguire la legge, di pretendere il rispetto del diritto. Mi sarei rifugiato nella zona grigia, aggiunge, dove molti italiani scelgono strade, sarebbe ingiusto definirle scorciatoie, che «non si dicono», per risolvere drammi che riguardano l'etica pubblica ma sono, inevitabilmente, privati. Tu non l'hai fatto, conclude, e per questo provo grande rispetto nei tuoi confronti. Il padre di Eluana prova a ricomporsi, a ritrovare quella durezza fredda che lo ha accompagnato in una battaglia durata diciassette anni. Ma le lacrime si vedono. Nessuno sa quanto abbia pianto quando era da solo, ma oggi è la prima volta che succede davanti a tanta gente.
I ritorni a casa producono un curioso effetto collaterale. Ti lasciano scoperto sul lato debole. La presentazione del film in un cinema d'essai bello a cominciare dal nome — «il visionario» — nella città dove è stato girato, non poteva lasciare indifferenti chi ha vissuto quei giorni così drammatici del febbraio 2009. «Sarebbe stato possibile soltanto qui, a Udine». Aldo Gabriele Renzulli non è cambiato di molto rispetto a quei drammatici giorni del febbraio 2009, quando si concluse la vicenda terrena di Eluana Englaro. Gli acciacchi avanzano, come l'età. Ma l'orgoglio di questo vecchio socialista — ex ministro ombra della Sanità ai tempi del Psi, consulente di Riccardo Illy in Regione e buon amico del suo successore Renzo Tondo —, per essere stato l'architetto dell'operazione che portò Eluana alla clinica La Quiete, è ancora intatto.
Oggi dirige proprio quella casa di cura, che mostrò a Bellocchio in vista sui luoghi della vera storia. «Gliela feci vedere dall'esterno. I cortili, i corridoi. Gli interessava di più il contesto. Fu un momento di grande passione civile che fece risaltare la visione laica, non laicista, del Friuli. Siamo stati rispettosi dei valori della vita, ma proprio per questo alla dignità dell'essere umano».
Quei giorni, rivendicati con orgoglio da Renzulli, furono comunque tremendi. La stretta strada davanti a La Quiete Udine era una miniatura dell'Italia. Su un marciapiede gli attivisti delle associazioni cattoliche più radicali ad accusare Englaro e chi lo sosteneva di omicidio. Sull'altro, militanti radicali e dei diritti civili che replicavano con la stessa virulenza. Nessuna pietà, nessuna vicinanza. Udine era l'epicentro di uno scontro istituzionale sui temi etici senza precedenti: Silvio Berlusconi e il suo governo schierati per il mantenimento in vita di Eluana contro il presidente della Repubblica, contro i pronunciamenti dei tribunali. Quante parole vane. Tra queste, quelle terribili dell'ex premier su Eluana che «poteva ancora fare dei figli», evocata nel film di Bellocchio.
Pochi giorni dopo quella frase, Ferruccio Saro, anche lui ex socialista, senatore Pdl, amico di Englaro, avvicinò il Cavaliere. «Silvio, lei non è come credi. Io l'ho vista e non sono riuscito a dormire». Forse fu il momento decisivo per le sorti di questa vicenda dolorosa e di una donna in stato vegetativo dal 1991. «La gestione del caso Eluana — dice Saro — è stata uno dei più grossi errori politici di quel governo. Fu allora che cominciò a finire l'idillio dell'Italia con il Pdl. A livello nazionale non potevamo comportarci peggio. Finimmo in un vicolo cieco».
Non è stata una serata da cinema, proiezione e segue dibattito. La conversazione non riguardava tanto il passato ma il presente, con la nuova legge sul fine vita allo studio del Senato a fare da convitato di pietra. Englaro aveva un messaggio chiaro da ribadire. «Mi sono reso conto che la gente ha bisogno di sapere per non cadere in trappole infernali, prigioniera dei meandri di medicina e politica. Purtroppo la vicenda di mia figlia non è servita a molto. La legge che stanno preparando è una vendetta nei suoi confronti. Contro di me, contro di lei. Spero che questo film aiuti la gente a capire». Anche il compagno socialista Saro è sulla stessa linea, poco in sintonia con quella del suo partito. «Davvero pessima. Approvarla così com'è sarebbe una forzatura intollerabile. Un altro grave errore, che spaccherebbe il Pdl».
C'era questo clima militante, ieri a Udine. Forse è giusto che fosse così. Troppi ricordi, tutti intensi. Alla fine della conferenza stampa un giornalista che si è definito cattolico ha detto a Bellocchio che in «Bella addormentata» la religione viene descritta come una stregoneria. Il regista ha risposto ricordando il volantino che gli hanno messo in mano a Venezia: con questo film Eluana muore due volte. «Il contenuto di quel biglietto mostrava molta più intolleranza di quanta ne mostra il film nei confronti della religione». Intanto, la faccia di Englaro era tornata di metallo, gli occhi lasciavano filtrare una rabbia repressa. Non sempre il tempo aiuta a curare le ferite, degli uomini e di un Paese.

La Stampa 8.9.12
«Profonda sintonia» Bellocchio-Englaro


«Questo film è una splendida creazione che mi ha coinvolto ed emozionato. Non poteva esserci un maestro migliore di Bellocchio per raccontare questa vicenda». Lo ha detto Beppino Englaro a Udine, in occasione del suo primo incontro con il regista Marco Bellocchio per la proiezione del film «Bella addormentata» (foto). «Con Bellocchio - ha continuato Beppino - non ci siamo mai sentiti durante la realizzazione del film, eppure ci siamo ritrovati in una incredibile sintonia»

il Fatto 8.9.12
Beppino Englaro su Bellocchio
“Il film è bello, per me micidiale”
di Elisabetta Reguitti


Il cinema è bestiale”. Interno auto: Beppino Englaro sta guidando mentre gli leggono l’articolo uscito sull’Espresso che racconta del giorno in cui, per la prima volta, ha visto il film di Bellocchio Bella addormentata. Quel pomeriggio, in una sala di Milano mentre lui sedeva accanto a Tommaso Cerno autore del pezzo, alla Mostra del cinema di Venezia la pellicola veniva premiata da sedici minuti di applausi del pubblico. “Il cinema è bestiale” ripete Beppino alla fine della lettura. “È stato micidiale come quelle sequenze mi abbiano riportato indietro nel tempo benché nel film Eluana non c’entri per nulla. Mi sono emozionato tantissimo”. Dopo oltre tre anni sono state l’acutezza e la sensibilità di Bellocchio a riaccendere le luci sulla storia della famiglia Englaro. Corre l’auto e supera l’area di servizio di Gonars dove è stata girata una scena del film; un’ora dopo passa davanti alla clinica Città di Udine che su pressioni dell’allora ministro Sacconi non aveva accolto Eluana. “Mi ha colpito la coincidenza dell’uscita del film con la vicenda della scelta del Cardinale Martini” interrompe Beppino sforzandosi di vivere la sua non-vita di oggi. Qualche ora più tardi ad attenderlo c’è la platea del cinema Visionario di Udine per l’unico incontro al quale ha accettato di partecipare. Accanto, questa volta, siede il regista Marco Bellocchio. La finzione narrativa di Bella addormentata ha riacciuffato le emozioni di Beppino Englaro; la storia “inventata” e che si dipana nei giorni che hanno condotto alla morte di Eluana diventano il pretesto per continuare la sua battaglia di civiltà e che parte da un punto fermo, la sentenza della Corte suprema di Cassazione “non ha nulla a che fare con il termine eutanasia che è un reato. Vi sembra che una corte suprema sancisca un reato?”. Ora papà Englaro si concede il lusso di sentirsi e dirsi stanco. Ammette la sua “devastazione perché misurarsi con tutte queste cose è una cosa inimmaginabile”. Lui abituato a dispensare con oculatezza le sue emozioni difende il diritto alla autodeterminazione nelle cure mediche. “Noi abbiamo atteso 18 anni per ottenere quel diritto”.

il Fatto 8.9.12
Il toto premi
Bellocchio, Anderson, Assayas: Leone incerto
di Anna Maria Pasetti


Venezia Diavolerie da pronostici. Che l’anno scorso ci presero, stregati dal mastodontico film di Sokurov. Ma non sempre c’è un Faust a metterci lo zampino. E dunque nessuno, tra i corridoi della 69ma Mostra, se la sente di ostentare annunci spavaldi dando vita al rituale del “toto-leone”, noioso nonché monotematico argomento dell’ultima giornata. Il “Venews”, il quotidiano ufficiale del festival, si diverte evocando nazionalità che solo chi ha bazzicato al Lido in questi giorni può interpretare: “Un francese, un americano e un italiano se la giocano al fotofinish”. Traducendo, il riferimento è ad Après Mai di Olivier Assayas, a The Master di Paul Thomas Anderson e a Bella addormentata di Marco Bellocchio. Il terzetto nasce dalla media matematica del voto di 23 testate giornalistiche, tra italiane e internazionali, che si sono espresse sui 18 film concorrenti. Secondo i critici, in pole position con una media di 3,8 siede l’affresco sui giovani post ’68 del meticoloso parigino Assayas. Con rispettivamente 3,7 e 3,6 punti lo tallonano i due film più attesi alla vigilia, The Master di Anderson e il “nostro” Bellocchio, osannato da buona parte della stampa straniera con in testa Le Monde. Segue, in quarta posizione (3,5 punti), Pietà del sudcoreano Kim Ki-Duk, tornato in gran forma dopo una profonda crisi creativa. Altri papabili, ma con votazioni altalenanti tra l’entusiasmo e il disprezzo, sembrano essere l’americano Harmony Korine con Spring Breakers, l’esordiente israeliana ultraortodossa Rama Burshtein con Fill the Void, Thy Womb del filippino Brillante Mendoza e il belga La cinquième saison di Jessica Woodworth e Peter Brosens. Matematica e “rumours” mettono fuori gioco tanto leggende come Terrence Malick – che ha convinto solo una micro minoranza di adepti – e Brian de Palma, quanto gli altri due italiani, Daniele Ciprì e Francesca Comencini. FIN QUI i vaticini degli addetti ai lavori che, nella pur poca rilevanza sui responsi che la Giuria esprimerà, manifestano il polso di una sensibilità diversificata per lingue, culture, gusti e gradi di conoscenza della “materia cinematografica”. Perché ugualmente trasversali sono i giurati, quindi è lecito (e divertente) immaginarli mentre – reclusi in una ignota dimora veneziana lontana da lidi di curiosità – s’accapigliano per questo o quell’altro film. Di certo in Giuria gravitano personalità predominanti come quella del presidente Michael Mann (che potrebbe puntare su The Master) e dell’artista Marina Abramovic (che potrebbe appassionarsi al sanguinoso Pietà). Per non parlare dell’israeliano ex militare Ari Folman alle prese con i compatrioti ultrareligiosi. Per quanto riguarda il tricolore, bisognerà capire quanto la presenza di Matteo Garrone peserà nel verdetto finale: posizione delicata la sua, dopo aver vinto il Gran Prix a Cannes con Moretti a presiedere “i giochi”. Per fortuna loro, e del cinema, i premi sono otto, a cui si aggiungono menzioni e “invenzioni” strategiche, tanto care alla Mostra veneziana. Indovinare è impossibile quanto casuale, quindi meglio sperare che a ruggire sia davvero il migliore.

Corriere 8.9.12
I tre film che meritano il Leone
di Paolo Mereghetti


Il Sessantotto di «Après mai» (foto), regia di Olivier Assayas; l'eutanasia di «Bella addormentata» (Marco Bellocchio); le ragioni di Scientology raccontate da «The master» (Paul Thomas Anderson): ecco i tre film che meritano il Leone d'oro della Mostra di Venezia che oggi si chiude. Ieri l'ultima opera italiana, «Un giorno speciale» di Francesca Comencini.