venerdì 28 dicembre 2012

il Fatto 28.12.12
Il premier dei due Stati: la Chiesa benedice Monti
Osservatore Romano: “Dal Professore un impegno nobile”
Il Monti benedetto e l’Agenda Vaticano
Il sostegno del Vaticano pone veti su valori non negoziabili
Pietra tombale sull’Imu. Non una parola sui diritti civili
di Fabrizio d’Esposito


Appoggio del giornale della Santa Sede per avere garanzie su Imu e diritti civili. Per il premier resta il nodo liste: con quella unica rischia di rimanere imbrigliato nella par condicio.

Il premier dei due Stati, italiano e Vaticano. Nel giorno in cui, Mario Monti viene attaccato, un po’ a sorpresa, da due quotidiani dei poteri forti (Corriere della Sera e Sole 24 Ore) per la vaghezza della sua Agenda, l’Osservatore Romano risponde con endorsement clamoroso. Un unicum nella storia della Seconda Repubblica e anche della Prima. Il quotidiano della Santa Sede, diretto da Gian Maria Vian, elogia “la salita in politica del senatore Monti”. Il concetto di salita è molto importante per i cattolici. Non a caso l’aggettivo “alto” ricorre due volte nel passaggio cruciale dell’Osservatore: “(La salita, ndr) È in sintesi l’espressione di un appello a recuperare il senso più alto e più nobile della politica che è pur sempre, anche etimologicamente, cura del bene comune. Ed è questa domanda di politica alta che probabilmente la figura di Ma-rio Monti sta intercettando”.
IL MONTI “alto e nobile”, per la Chiesa, è l’esatto opposto del berlusconismo, tanto per intenderci. Raccontano fonti autorevoli che lo stesso Vian abbia informato il premier dell’articolo prima dell’uscita, tramite il riservato vicesegretario generale Federico Toniato, pilastro della “salita” montiana in politica. E così attorno al Professore si verifica un vero miracolo: la pace tra Tarcisio Bertone, segretario di Stato e “protettore” dell’Osservatoree, e Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani e di fatto “editore” di Avvenire. Fino a qualche settimana fa, infatti, la Cei inseguiva ancora il Pdl e Angelino Alfano, con la speranza di un rinnovamento senza più Berlusconi in campo. Il ritorno del Cavaliere ha azzerato il progetto e per Bagnasco la strada è stata obbligata. Virare verso Monti, come aveva già fatto in più di un’occasione Bertone e ancora prima il ministro Andrea Riccardi, lo stratega del montismo cattolico. L’abbraccio del Vaticano implica un’ipoteca forte sulla “salita” del Professore. Il primo paletto riguarda i fatidici valori non negoziabili, che trasversalmente hanno devastato sia il Pdl sia il Pd, in ossequio alla dottrina Ruini dopo la fine dell’unità politica dei cattolici. Ieri mattina, a Omnibus su La7, il montezemoliano Marco Simoni ha ricordato che in Italia per vent’anni si è combattuta una guerra su tre fronti: giustizia, articolo 18, diritti civili. Eppure, nonostante la notazione, nella benedetta Agenda Monti non c’è nemmeno una riga sui diritti civili. Una dimenticanza che adesso assume un chiaro significato e spiega il ricorso del governo dei tecnici contro la bocciatua della Corte europea della legge 40 sulla fecondazione assistita.
IN TEORIA, la filiera Bertone-Monti-Riccardi, con l’appoggio di Casini e Montezemolo rende irrivelante il ruolo di Gianfranco Fini, considerato Oltretevere un laicista. Ma non va dimenticato che una settimana fa, Andrea Olivero delle Acli pose un veto sul nome del presidente della Camera, proprio per conto delle gerarchie vaticane. Dal punto di vista politico, la mossa dell’Osservatore ha anche altri due risvolti. Frantumare questo bipolarismo tentando, da un lato, di risucchiare i cattolici del Pdl (in primis Mario Mauro di Comunione Liberazione) e dall’altro avvertendo il Pd di Bersani: in caso di grande coalizione dopo il voto, causa pareggio al Senato, un’alleanza è possibile solo senza Vendola. Il montismo cattolico vuole diventare una mini-Balena Bianca, con un fronte largo che va dalle Acli a Cl, dall’Azione cattolica (che vanta il ministro Balduzzi) alla Cisl, con l’obiettivo di mettersi sotto l’ombrello del Partito popolare europeo. Tanto per fare un esempio: alle politiche del 2008, Bobba delle Acli fu eletto nel Pd mentre vari ciellini (in primis Lupi e Vignali) arrivarono in Parlamento con il Pdl.
QUELLA distinzione non esisterà più. Alcuni cattolici montiani, infine, spingono per avere una lista propria, distante da Casini e Montezemolo. È quel che resta dell’universo di Todi 2, che si riunirà il 10 gennaio prossimo. Qualche centrista più pragmatico fa notare però che dopo quattro giorni c’è la presentazione delle liste. Un po’ poco per riuscire nell’operazione. Nel nuovo patto tra Monti e la Chiesa non c’è solo la questione dei diritti civili. Nemmeno dieci giorni fa, il cardinale Bagnasco ha esultato per il condono tombale dell’Imu, concesso dalla Commissione europea (dove Monti è di casa). Cinque anni di tasse non pagate, dal 2006 al 2011, che vanno ad aggiungersi ai 223 milioni di euro dati da Monti alle scuole paritarie e ad altri finanziamenti pubblici in-dirizzati verso strutture cattoliche. Del resto, Monti incontrò il Papa due mesi dopo l’insediamento del suo governo. Era il gennaio 2012 e Benedetto XVI lo accolse con favore: “Avete iniziato bene”.

l’Unità 28.12.12
L’Osservatore romano elogia la politica «alta e nobile» del premier
Il sostegno ecclesiale e il rimorso del passato
Chissà quanto incide nella cautela delle parole il fatto che il Pd sia oggi il primo partito dei cattolici
di Domenico Rosati


DUNQUE LA FIGURA DI MARIO MONTI STA «INTERCETTANDO PROBABILMENTE» UNA «DOMANDA DI POLITICA ALTA» NEL SUO SENSO PRECIPUO DI «CURA DEL BENE COMUNE». È nei dintorni di simili concetti che sono da rinvenire le ragioni dell’apprezzamento che l’Osservatore Romano riserva alla gestazione in atto dell’operazione ormai intestata al presidente del Consiglio uscente. La prudenza del «probabilmente» non nasconde la speranza che la carovana che si va formando possa davvero portare qualcosa di migliore nella realtà italiana. Semplicemente stende un velo di sobrietà sui tratti di un pronunciamento che, del resto, altrettanto... probabilmente, aspetta altre fasi di collaudo.
Già fin d’ora, tuttavia, due note sembrano appropriate. La prima concerne questa visione... ascensionale della politica che il lessico montiano ha introdotto e che, per contrasto, evoca il ciclo berlusconiano, testé concluso, come una discesa se non agli Inferi certamente ai piani interrati del costume civico italiano. Qui c’è un non detto che andrebbe esplicitato, vale a dire il riconoscimento delle responsabilità che si è consentito di addossare alle comunità cristiane nel sostegno ad un intero ciclo politico, nel quale lo scadimento dell’etica pubblica è andato di pari passo con il malgoverno della crisi. E c’è, probabilmente, la cognizione del pericolo che è rappresentato oggi dalla velleità di ritorno, senza critica né autocritica, della strategia delle illusioni su cui si è tanto a lungo dirottato l’impegno del Paese.
Il carattere «alto» della politica cui si aspira sarebbe meglio configurato se quanti per quattro lustri hanno fornito zavorra facessero, almeno, lo sforzo di accorgersi che altre proposte e sfide sono state in campo assai prima che prendesse forma l’intervento straordinario affidato a Monti; proposte e sfide rivelatesi storicamente insufficienti ma da valutare selettivamente come premesse di un’alternativa oggi ritenuta possibile. La riflessione sul passato non è autentica se pretende di ripartire da zero, e se trascura di individuare gli elementi di vitalità e di resistenza che pure ci sono stati in modo profondo e diffuso.
L’altra nota concerne la realtà del quadro politico e si connette direttamente alla prima considerazione. Tutto il credito che può circondare l’operazione Monti, una volta stabilito che ad essa non compete il monopolio della qualità, non può abbagliare l’Osservatore fino al punto da fargli ignorare che nella realtà italiana, ormai in modo stabile, una quota certamente maggioritaria dei cattolici praticanti orienta le proprie opzioni politiche a sinistra, e precisamente verso il Pd. Non ne segue, come è evidente, una richiesta di speciale considerazione, ma non ci sarebbe da stupirsi se il fatto non venisse ulteriormente rimosso. Certi risvegli improvvisi che punteggiano la storia del mondo cattolico quelli in cui ci si ritrova diversi da come ci si era per consuetudine immaginati seguono sistematicamente stagioni di lunghi silenzi e di ristagni nella ricerca. Chi ha memoria dell’ultimo cinquantennio non ha che da esercitarsi nell’imbarazzo della scelta. Meglio dunque tener conto dei fatti nel momento in cui se ne prende cognizione, magari analizzandoli nelle loro cause remote e prossime nonché nei valori che esprimono; e ciò non tanto per i fini della politica quanto per il bene del popolo di Dio. La prudenza, insomma, può suggerire i termini di sobrietà di un endorsment politico, non indurre ad alterare i termini della realtà.


Repubblica 28.12.12
Bobba: “Questo governo ha restituito onore all’Italia, però anche i tecnici dovrebbero accettare consigli”
“Noi del Pd ancora primi tra i credenti”


ROMA Onorevole Bobba, da cattolico che milita nel Pd, pensa che la Chiesa si sia schierata con Monti?
«Elettoralmente, direi di no. Non vedo novità, piuttosto è la conferma di un giudizio positivo espresso in questi mesi sull’azione del governo».
Che cosa glielo fa pensare?
«Quando esprimono direttamente il punto di vista della Santa Sede gli articoli dell’Osservatore Romano non vengono mai firmati. E non è il caso dell’articolo in questione, siglato dall’autore».
Ma sugli elettori cattolici funzionerà da richiamo a favore del premier?
«Fra i cattolici praticanti, come dimostra l’ultima ricerca Swg, il primo partito è il Pd. Poi, la fetta più grande è schierata sul non voto, l’astensione. Come recuperare quest’area è un grande interrogativo per tutti, e non sarà tanto facile».
Anche per una lista nel nome di Monti?
«Questo governo ha restituito l’onore al nostro paese. Ma anche i tecnici ogni tanto dovrebbero ascoltare: sulla riforma delle pensioni, sui tagli ai comuni, sulla tassazione della ricchezza».
Però Olivero, il suo successore alla guida delle Acli, tira la volata al Professore. Si porterà dietro gli iscritti all’associazione?
«Il mondo delle Acli è di centrosinistra, ma il gruppo dirigente non ha seguito la scelta di Olivero. Anzi, ha rivendicato il valore dell’autonomia».
Non teme dunque una nuova “concorrenza” nel voto dei cattolici?
«Sicuramente si respira molto disagio in questa area, con tanta insoddisfazione nei confronti della politica. Ma proprio qui il Pd si gioca una partita cruciale, a patto di non inseguire radicalismi libertari ma trovare un punto di equilibrio, come quello che si era raggiunto sui temi etici. Attenzione ad assecondare una deriva radicale».
(u. r.)

La Stampa 28.12.12
La “benedizione” esplicita dopo un anno di segnali
Sottolineata anche la telefonata di auguri fatta dal Papa
Forte apprezzamento in Vaticano per il lavoro svolto dal premier
Esenzione Imu. Molto apprezzato l’intervento che ha contenuto la tassazione sugli immobili
di Andrea Tornielli


L’endorsement non poteva essere più esplicito, ed è arrivato da Oltretevere con un articolo su «L’Osservatore Romano» a firma del notista politico Marco Bellizi che testimonia quale sia l’attenzione del Vaticano per il nuovo impegno politico di Mario Monti. Il quotidiano d’Oltretevere ha apprezzato l’espressione «salire in politica» usata dal Professore nel corso della conferenza stampa di domenica, facendo notare la sintonia con il messaggio del presidente Giorgio Napolitano, che «L’Osservatore» ugualmente elogia.
La stima verso Monti è stata espressa a più riprese dalla Santa Sede nel corso dell’ultimo anno, da quando il senatore a vita ha assunto la guida del governo, ed è riuscito tra l’altro a trovare anche una soluzione condivisa al problema dell’Imu per gli immobili ecclesiastici, bloccando appena in tempo una sentenza europea sfavorevole all’Italia che avrebbe messo in seria difficoltà la Chiesa. In questo senso l’articolo pubblicato sul giornale vaticano diretto da Gian Maria Vian non rappresenta di per sé una novità quanto piuttosto una conferma.
Una novità, che va nella stessa direzione, è stata invece la divulgazione da parte del portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, degli auguri natalizi fatti telefonicamente dal Papa al presidente del Consiglio. Auguri che l’entourage del Professore, e in particolare il suo consigliere personale per i rapporti con la Chiesa, il giovane funzionario Federico Toniato, hanno provveduto a rimarcare come inediti e fuori protocollo, per veicolare il più possibile all’opinione pubblica l’asse solido che lega Monti a Papa Ratzinger. Ai piani alti del Vaticano si fa notare che a quegli auguri natalizi non va dato eccessivo valore politico contingente, e si sottolinea come il gesto di cortesia fosse legato al momento particolare che attraversa l’Italia e anche al fatto che il premier aveva appena rassegnato le dimissioni.
Ma è fuori discussione la stima personale di Benedetto XVI per il professore, manifestata più volte, in occasione sia delle udienze pubbliche che private.
«In questo momento – spiega a La Stampa un alto prelato tra i più vicini al Papa – viene sicuramente manifestata una stima per Monti e un riconoscimento per il lavoro che ha fatto. C’è il riconoscimento, condiviso a livello internazionale, per quanto il presidente del Consiglio ha messo in atto per portare l’Italia fuori dalla crisi attraverso un risanamento purtroppo amaro, ma che è servito e serve per mettere in sicurezza il Paese guardando al futuro». Insomma, una sintonia che è sotto gli occhi di tutti, e che fa il paio con quella espressa nelle scorse settimane dal presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Angelo Bagnasco.
Sarebbe però un errore – viene fatto notare negli ambienti vaticani – ritenere che la stima personale per Monti, per il lavoro che ha svolto e per l’idea «alta» di politica che ha espresso nei giorni scorsi, significhi un’automatica e incondizionata benedizione per le scelte di schieramento e di programma che il premier dimissionario si troverà a dover fare nelle in vista delle elezioni e dopo le elezioni. «Non va dimenticato – conclude il collaboratore di Ratzinger – l’accenno alla gerarchia di valori con cui attuare le scelte più importanti contenuto negli auguri di Natale di Benedetto XVI agli italiani».

La Stampa 28.12.12
I nodi da sciogliere
Nella trattativa torna lo stemma dello scudo crociato
di Francesco Grignetti


C’è una variabile inattesa, sul tavolo di Mario Monti. Alle prese con il rebus lista unica/liste apparentate, il premier ha scoperto il valore della tradizione politica italiana. Ovvero quanto pesa ancora, nei sondaggi, il glorioso simbolo dello scudo crociato. Secondo gli analisti, ancora oggi, venti anni dopo la fine della Prima Repubblica, il «marchio» dello scudo crociato vale l’1,5% del voto. A prescindere. Si comprende allora perché attorno alla proprietà dello scudo crociato sia stata ingaggiata una furibonda lite giudiziaria tra le varie anime ex democristiane. E siccome alla fine il vincitore in tribunale è stato l’Udc, ecco che Pier Ferdinando Casini ha fatto sommessamente notare al Professore che il suo partito non si priverebbe dello scudo crociato a cuor leggero.
Monti, si sa, tenderebbe a una lista unica. E invece Casini, un po’ per cautelare la sua autonomia, un po’ perché preoccupato davvero di perdere voti, gli ha girato la questione e ora aspetta le decisioni del Professore.
In effetti Casini ha combattuto duramente per tenersi quel simbolo. È arrivato fino in Cassazione. La sentenza è di un anno fa, stabilisce che l’Udc è «l’unico soggetto» che può usare il simbolo e può farlo solo perché usa quel simbolo con continuità. Con la medesima sentenza, la Cassazione ha negato l’uso del simbolo al Partito della Democrazia Cristiana, rappresentata dal segretario nazionale Giuseppe Pizza, uno di area berlusconiana. Ma è certo - ha spiegato Casini a Monti - che se alle prossime elezioni l’Udc rinunciasse spontaneamente al simbolo, con brutto colpo al radicamento sul territorio, è pressoché certo che il berlusconiano Pizza rimarcherebbe la discontinuità e la querelle giudiziaria riprenderebbe.
Un problema assai simile se lo pongono dalle parti del Pdl. Dopo i proclami di Angelino Alfano sul «partito degli onesti», che fare di alcuni notabili meridionali, carichi di guai giudiziari ma portatori anche di robusti pacchetti di voti? Che sorte avrà, ad esempio, Nicola Cosentino, potente ras del Pdl in Campania, imputato di corruzione e di reimpiego di capitali illeciti a favore di clan camorristici, che il 23 gennaio, in piena campagna elettorale, dovrà presentarsi in tribunale? E che fine farà Marcello Dell’Utri? Gianfranco Micciché ha smentito che la lista Grande Sud si trasformerà nel contenitore per traghettare in Parlamento tutti quelli che il Pdl considera impresentabili nelle sue liste. E però l’ipotesi del «contenitore» c’è eccome. Tra l’altro, Cosentino si porta dietro una sfilza di altri deputati uscenti della Campania, tutti titolari di pacchetti di voti, tutti alle prese con guai giudiziari: Marco Milanese, Alfonso Papa, Mario Landolfi (rinviato a giudizio con le accuse di concorso in corruzione e truffa aggravata agendo per favorire il clan dei Casalesi), Massimo Nicolucci (indagato nel procedimento Finmeccanica) e Vincenzo Nespoli (sindaco di Afragola, indagato per reimpiego di denaro illecito).

Corriere 28.12.12
Sostegno del Vaticano: vuole recuperare la politica alta e nobile
A gennaio torna Todi: ipotesi lista cattolica
di Gian Guido Vecchi


CITTÀ DEL VATICANO — L'espressione «salire in politica» usata da Mario Monti «è in sintesi l'espressione di un appello a recuperare il senso più alto e più nobile della politica che è pur sempre, anche etimologicamente, cura del bene comune». Le parole dell'Osservatore Romano non potrebbero essere più esplicite nell'indicare la posizione del Vaticano sulla situazione italiana. Tanto più che il quotidiano della Santa Sede, in prima pagina, riporta anche la notizia delle telefonate di auguri natalizi del Papa con il presidente Giorgio Napolitano e con lo stesso Monti, un «colloquio particolarmente cordiale», che non è rituale con il presidente del Consiglio e che già il 23 dicembre, pochi minuti dopo, la Santa Sede aveva voluto rendere pubblico — cosa altrettanto insolita — con un comunicato ufficiale.
Oltretevere i segni non sono mai casuali. E in questo senso è importante anche l'appello all'Italia lanciato a Natale da Benedetto XVI nel suo messaggio Urbi et Orbi: un invito a favorire «lo spirito di collaborazione per il bene comune» e a «riflettere sulla gerarchia di valori con cui attuare le scelte più importanti». Alla stima profonda che lega i due coetanei Benedetto XVI e Napolitano si aggiunge, spiegano da tempo Oltretevere, il «particolare rapporto» di stima tra il Papa e il premier italiano. Proprio ieri il segretario del Pdl, Angelino Alfano, diceva che «la Chiesa non sponsorizza Monti, ma nella sua ottica universale spinge per l'impegno politico di tutti i cattolici», sostenendo peraltro che «la nostra sensibilità è più coerente con l'impianto dei valori» della Chiesa. Ma l'ampia nota politica dell'Osservatore, firmata a pagina 2 da Marco Bellizi, sembra riferirsi proprio a Berlusconi e al suo partito quando dice che l'espressione «salire in politica» di Monti «è stata accolta con ironia, in qualche caso con disprezzo». E aggiunge: «Ma si nota la sintonia con il messaggio ripetuto in questi anni dal presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano, non a caso un'altra figura istituzionale che gode di ampia popolarità e alla quale tutti riconoscono il merito di aver individuato proprio nel senatore a vita l'uomo adatto a traghettare l'Italia fuori dai marosi della tempesta finanziaria».
La sintesi del quotidiano vaticano sul «rendersi disponibile» di Monti a «un nuovo impegno al servizio del Paese», del resto, spiega tutto. «Il senatore a vita intende aprire la seconda fase di un programma riformatore che è stato solo abbozzato nel corso dell'ultimo anno sulla spinta della congiuntura finanziaria. Monti è stato chiamato dai partiti a prendere decisioni inderogabili, di cui nessuno intendeva però prendersi la responsabilità diretta, per il timore di pagare un prezzo elettorale troppo alto», si legge ancora. «Quelle stesse forze politiche si ritrovano ora a interrogarsi sull'impatto che può avere la "salita in politica" di chi doveva, quasi per mandato, diventare impopolare. Una prospettiva che fornisce da sola molto materiale alla riflessione dei partiti, così come il successo che anche i sondaggi sembrano ora attribuire a chi ha imposto agli italiani sacrifici pesanti».
La scelta di «salire in politica» è insomma «una domanda di politica alta» che Monti «sta intercettando» o «sulla quale comunque intende legittimamente fare leva». Una domanda «che interpella i partiti», conclude l'Osservatore prima di riportare le reazioni di Bersani, Alfano e Casini. Lo stesso cardinale Angelo Bagnasco, del resto, aveva detto al Corriere che «non si possono mandare in malora i sacrifici di un anno» e la vigilia di Natale, al Gr1, ha elogiato l'Agenda Monti parlando di «un metodo innovativo». Elogi ripetuti da Avvenire con un editoriale del direttore Marco Tarquinio. Naturale, quindi, che tra le associazioni cattoliche ci sia fermento: si parla di una lista di cattolici per Monti che verrebbe annunciata il 10 gennaio, quando tornerà a riunirsi il Forum di Todi.

il Fatto 28.12.12
L’uomo di Sant’Egidio è il “tipo giusto”
di Chiara Paolin


Uno che lo conosce bene sintetizza così: “Riccardi è un fenomeno più unico che raro, un uomo con doti sovrannaturali. Adesso ha deciso di salire in Ferrari per fare il pezzo di strada che gli manca verso la gloria: speriamo non vada a sbattere”. Andrea Riccardi, ministro per la Cooperazione, l'Integrazione e la Famiglia, è l'homo religiosus del futuro. La solida base cattolica su cui la politica può riedificare il suo potere spicciolo. Il volto umanitario nel centro dei carini firmato Casini-Montezemolo, ma anche il tipo giusto per la Destra blanda e la Sinistra parca.
INSOMMA uno che si adatta, pur di emergere. Basta leggere i cablogrammi di Wikileaks, da cui risulta il ministro più spiato del governo Monti. Che si dice nel mondo di Mr. Riccardi? Che è proprio un bel personaggio, perché prima se ne va da Fidel Castro a perorare l'abolizione della pena di morte; poi, quando torna a Roma, invita a cena l'ambasciatore americano presso la Santa Sede e lamenta l'inaffidabilità del lìder, chiedendo agli Usa 5 milioni di dollari per combattere l'Aids in Mozambico. Perché lui, già professore di Storia, pluridecorato ad honorem nelle università più pie del pianeta, fresco Commandeur della Legione d'onore francese, mixa sacro e profano a meraviglia.
SOLDI e politica, diplomazia privata e finanziamenti pubblici, poltrone e papaline: tutto converge sulla comunità pacifista di Sant'Egidio, la roccaforte primaria, 40 mila fratelli in 60 Paesi e una cellula romana di 500 fedelissimi che in seno al Vaticano pretendono un posto tutto loro. Gruppo compatto, che anche quando si sbriciola mantiene un ecumenico abbraccio: i pochi fuoriusciti non fanno parola delle dinamiche interne. Si sa solo che lì dentro, tra un convegno e una nuova mensa per i poveri, le relazioni devono rispondere a regole e gerarchie ben precise. I matrimoni sono ammessi a stento, possibilmente tra pari grado, come “rimedio alla concupiscenza”. Meglio restare single, meglio evitare di far troppi figli dato che “i poveri e i diseredati cercano chi li adotti”. Per aiutare il prossimo, però, servono fondi, consigli d'amministrazione, uomini potenti. E Riccardi li sa stanare. Lo scorso ottobre ha costretto il gotha nazionale a presenziare il Forum della cooperazione di Milano, una sfilata da paura con capi di Stato africani piuttosto chiacchierati e boss dell'industria nostrana come l’ad dell’Eni, Paolo Scaroni. “Quelli delle ong erano sconvolti – spiega ancora l'insider –. Tutti a chiedersi: che c'entra tutto ciò con la cooperazione, a parte il fatto che sarebbero affari degli Esteri? ”. Poi è arrivata la legge di Stabilità e un'inversione di rotta mai vista: per il 2013 la Cooperazione avrà i 124 milioni di euro già stanziati, cui se ne aggiungeranno altri 98. Un bel segno di potenza terrena lanciato dal ministro uscente e ipotetica-mente rientrante. Che spiega: niente ammucchiate al centro, ma “se Monti non si candida, c’è chi può raccogliere la sua eredità”.
SOLI o accompagnati, non si torna indietro. Quel “la politica fa schifo” (riferito all'Alfano dei primi bisticci tecnici) è una gaffe lontana, ora c’è prendere in mano l’area cattolica per riportarla al governo. I segni nel cielo di Roma sono propizi. Vincenzo Paglia, il Don riccardiano che anima gli incontri catto-governativi di Assisi, promosso vescovo nel 2000 e già in odore cardinalizio, è stato nominato presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia: come dire che l'autocefalo Riccardi, spesso rintuzzato nelle sue ambizioni Oltretevere, merita una seria chance come uomo di Chiesa.

Repubblica 28.12.12
Il Vaticano benedice Monti
di Alberto D’Argenio


Arriva l’appoggio esplicito del Vaticano alla fase politica di Mario Monti. È l’Osservatore Romano a sancirlo con una scelta precisa. In prima pagina il resoconto delle telefonate per gli auguri di Natale di Benedetto XVI. Il Papa, viene spiegato, oltre al presidente Napolitano domenica scorsa ha telefonato anche al premier, fatto insolito non essendo Monti un Capo di Stato. «Un colloquio telefonico — così viene definito — particolarmente cordiale». Poi un articolo sulle elezioni italiane nel quale il premier tra le righe viene promosso e appoggiato. Il tutto mentre Berlusconi prosegue l’offensiva televisiva (ieri è toccato a Unomattina) questa volta affermando che Monti «ha ragione a dire che “sale in politica” perché prima aveva un rango inferiore a quello di presidente del Consiglio. Io invece ho detto “sceso in campo” perché avevo un rango superiore». Imprenditore batte rettore, per il Cavaliere. Secondo il quale comunque ora Monti diventerà «un protagonista qualunque».
Tornando all’Osservatore, l’articolo spiega che l’espressione “salire in politica” «è stata
accolta con ironia, in qualche caso con disprezzo» quando in realtà rappresenta «un appello a recuperare il senso più alto e più nobile della politica, che è pur sempre, anche etimologicamente, cura del bene comune. Ed è questa domanda di politica alta — prosegue l’Osservatore — che probabilmente la figura di Monti sta intercettando o sulla quale comunque intende legittimamente far leva e che interpella i partiti al di là dei contenuti del suo manifesto politico». L’articolo che dà conto della conferenza stampa di fine anno del premier spiega che Monti «intende aprire la seconda fase di un programma riformatore che è stato solo abbozzato». Viene sottolineata l’impossibilità di prendere decisioni nette perché tra i partiti che lo sostenevano «nessuno intendeva prendersi la responsabilità diretta per il timore di pagare un prezzo elettorale troppo alto. Quelle stesse forze politiche si ritrovano ora a interrogarsi sull’impatto che può avere la “salita in politica” di chi doveva, quasi per mandato, diventare impopolare. Una prospettiva che fornisce da sola molto materiale alla riflessione dei partiti, così come il successo che anche i sondaggi sembrano ora attribuire a chi ha imposto agli italiani sacrifici pesanti».
Dopo la Cei dunque anche il Vaticano si schiera. Ma il Pdl preferisce negarlo. Il segretario Alfano dice che «la Chiesa non sponsorizza Monti, ma nella sua ottica universale spinge per l’impegno politico di tutti i cattolici ». E rimarca che in realtà Berlusconi e il suo partito sono di «sensibilità più coerente con l’impianto dei valori della Chiesa».

Repubblica 28.12.12
La Chiesa e il profumo della vecchia Dc
di Gad Lerner


Facendo leva “legittimamente” sulla sua esperienza di governo “extra partes”.
L’investitura di Monti è accompagnata da un altrettanto impegnativo giudizio critico sui partiti con i quali sarà chiamato a confrontarsi nelle prossime elezioni. Sostiene, infatti, l’“Osservatore”, che “Monti è stato chiamato dai partiti a prendere decisioni inderogabili, di cui nessuno intendeva prendersi la responsabilità diretta, per timore di pagare un prezzo elettorale troppo alto”. Giudizio che suona quanto meno ingeneroso nei confronti di chi ha pur sempre sostenuto in Parlamento l’azione di risanamento finanziario dei tecnici.
Enfatizzando con una buona dose di azzardo i sondaggi favorevoli alla lista Monti, il giornale vaticano benedice “chi doveva, quasi per mandato, diventare impopolare”. Ma ora felicemente si sottrae a tale condanna; anzi, potrebbe trarre giovamento dalla sua medesima severità, rivolgendosi direttamente ai cittadini e facendo leva sul loro senso di responsabilità: “Mi hai tartassato ma mi fido, perché sei una persona seria”.
Possibile che la Chiesa di Roma sposi così, senza esitazioni, una visione rigorista della politica economica in tempi di crescente sofferenza sociale? Ci è più facile riconoscere nell’incoraggiamento a Monti dell’organo — non dimentichiamolo — di una Segreteria di Stato straniera, ben altra istintiva, atavica pulsione ideologica: erigere un argine per fronteggiare la possibilità concreta di una vittoria elettorale della sinistra.
È una vecchia storia che si ripete sempre uguale. Stiamo parlando della stessa curia vaticana, tuttora governata da Tarcisio Bertone nonostante gli scandali da cui è stata investita, e tuttora afflitta da una visione italocentrica, che mal sopportando i governi del “cattolico adulto” Romano Prodi non esitò a stipulare un patto di potere strumentale con il berlusconismo: sottocultura libertina e clericale al tempo stesso. Ma, ancor più indietro nel tempo, già in altre occasioni i vertici della Chiesa furono sospinti dalla medesima pulsione a instaurare un rapporto privilegiato con settori dell’establishment confindustriale e finanziario. Rapporto oggi mitigato dalla presenza, al fianco di Monti, di personalità dell’associazionismo cattolico come Riccardi, Bonanni e Olivero (il che peraltro non comporta una scelta di campo automatica di Sant’Egidio, Cisl e Acli). Mentre ancora incerta figura la collocazione di Comunione e Liberazione fra la destra e il nuovo Centro.
Certo, la figura di Mario Monti non è assimilabile per spessore e credibilità a quella di Berlusconi, come dimostrava ancora ieri la patetica rivendicazione di un “rango superiore” da parte di quest’ultimo. Ma quanto è credibile nel 2012 l’insistito richiamo alla figura di Alcide De Gasperi come fondatore di un grande partito moderato di matrice cattolica? Esso risuona piuttosto come una speranza antistorica, al giorno d’oggi. Tanto più fino a che il Partito Popolare Europeo tollererà la presenza tra i suoi affiliati (dal 1998) di una forza populista come il Pdl. L’eventuale, a questo punto non improbabile, espulsione del Pdl dal Ppe, favorirebbe certo una salutare ristrutturazione del nostro bipolarismo malato.
Ma anche in tal caso l’Italia difficilmente farebbe eccezione rispetto allo scenario europeo: neanche l’attivismo sul fronte moderato di molti vescovi impedirebbe all’elettorato cattolico italiano di distribuirsi liberamente fra ambedue gli schieramenti. La libertà di scelta, fra i fedeli, è ormai un dato culturale acquisito: c’è molta Chiesa viva anche nel centrosinistra, a prescindere dall’endorsement dell’“Osservatore Romano”. In particolare l’associazionismo cattolico impegnato nel terzo settore del no profit si è espresso in termini assai critici sugli inasprimenti fiscali e sui tagli con cui il governo dei tecnici ha penalizzato il volontariato sociale. Ricordiamo la copertina del mensile “Vita”, solitamente assai moderato, sulla quale compariva un Monti deformato in Dracula.
Si ripropone in definitiva il dubbio su quale peso elettorale conservi davvero l’intromissione vaticana in un paese non solo scristianizzato, ma altresì turbato dal peso eccessivo degli interessi materiali delle strutture ecclesiastiche. L’esplicita presa di posizione dell’“Osservatore” conferma che intorno al “Monti politico” si sta coalizzando un significativo fronte moderato. Ma non gli fornisce alcuna garanzia di assumere una dimensione maggioritaria.

Repubblica 28.12.12
Da Bertone a Bagnasco la Santa Sede ritrova l’unità sull’abbraccio al Professore
Mario e quel filo diretto con Benedetto XVI
di Marco Ansaldo e Francesco Bei

UN PERCORSO sul quale le gerarchie hanno ritrovato la loro unità. Da Bertone a Bagnasco, il consenso verso il premier ora è unanime. E coinvolge persino il cardinale che, seppur dietro le quinte, ha sostenuto a oltranza il Pdl fino all’ultimo: Camillo Ruini. Tutti per Monti, a partire dal Pontefice. È proprio Benedetto XVI ad aver instaurato un rapporto diretto con il Professore che ama definirsi l’economista «più tedesco» d’Italia. A tenere sempre aperto il canale con l’altra sponda del Tevere ci pensa invece Federico Toniato, il giovane vicesegretario generale di palazzo Chigi, l’ombra di Monti. Il 37enne ex funzionario del Senato, si dice vicino all’Opus Dei, ha ormai un rapporto diretto e personale con padre Georg, il segretario particolare di Ratzinger, ma soprattutto con il cardinale Tarcisio Bertone. Proprio il segretario di Stato vaticano, in questi mesi, è stato l’artefice della “conversione” a Monti di tutte le gerarchie. E non è un caso se l’endorsement ufficiale del Vaticano sia arrivato con un editoriale dell’Osservatore romano, il giornale che “dipende” politicamente dalla Segreteria di Stato. Ma c’è un’altra pedina fondamentale nella squadra Monti. il ministro Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio. Uno dei pochi al mondo che parla con il Papa al cellulare. Non era tuttavia scontato che l’esito fosse questo. Anzi, il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, con la sponda di Ruini, aveva puntato inizialmente tutte le sue carte su un centrodestra deberlusconizzato, affidato ad Angelino Alfano. Era questa l’opzione più gradita a chi rappresenta i vescovi d’Italia. Tanto che su questa ambiguità — per Monti o per Alfano — era naufragata la possibilità di dare un seguito concreto, operativo, al cosiddetto movimento di Todi. Bagnasco, Ruini e una parte del laicato cattolico fino a pochi mesi fa ancora guardava con speranza alla possibilità di ricostruire il centrodestra intorno all’alleanza fra Alfano e Casini. Un sogno infranto dal ritorno sulla scena del Cavaliere. «Alfano — confida una fonte del Vaticano — è stata per noi una grande delusione». Su Berlusconi infatti l’ostilità è assoluta e accomuna tutte le varie personalità del vertice ecclesiastico. «Il Cavaliere — commenta uno studioso fisicamente addentro alle Sacre Mura — poteva disporre di una maggioranza che non ha mai avuto nessun capo di governo. E l’ha completamente dissipata». Questa preclusione assoluta genera sconforto e smarrimento nel Pdl. E ha prodotto la reazione rabbiosa dell’interessato alla vigilia di Natale: «Si ricordino — ha ammonito Berlusconi al Gr1 — cosa abbiamo fatto per la Chiesa negli anni del mio governo!». Un affondo che è stato ritenuto «sgradevole» dai destinatari ed è calato nel più assoluto silenzio. Qualcuno ancora resiste nella trincea berlusconiana, ma sono rimasti in pochi. Anche Comunione e Liberazione, ultimo bastione a favore del Cavaliere, si è spaccata, con Mario Mauro tra i promotori della lista Monti e Lupi e Formigoni fedeli all’ex premier. Mentre sul fronte montiano ci sono un po’ tutti. Il Professore piace, per il suo stile e per le cose che dice. Nelle Segrete stanze è stata molto apprezzata ad esempio l’immagine usata sul «salire in politica ». Perché, si nota, «da lì emerge questo impegno morale, questa enfasi, che insieme sottolineano la fatica, l’impegno e l’ascesa». Un paragone, quello dell’“ascesa in politica”, che da qui appare impietoso verso l’ormai frusta formula della “discesa in campo”.
Il premier, che gli avversari descrivono come amico delle banche, ha persino conquistato i frati francescani di Assisi. «La “salita” di Monti in politica — osserva padre Piemontese, il custode del convento di San Francesco — propone a tutti un modello nuovo di coinvolgersi nella cosa pubblica e di sporcarsi le mani per essa». Tra i pochi prelati che ancora guardano al Pdl e si riconoscono in Ruini c’è invece la speranza che, almeno, sulle candidature Berlusconi vorrà tenere in considerazione gli esponenti dell’area teo-con. I vari Sacconi, Quagliariello, Roccella, che potrebbero essere travolti nella composizione delle liste, colpevoli di aver flirtato con Monti. Verrebbe così meno l’ultimo canale di comunicazione ancora aperto tra il centrodestra e la Chiesa. È di fatto la fine del “lettismo” nei rapporti fra la Chiesa e lo Stato italiano, il grande freddo con Berlusconi confina in un angolo anche Gianni Letta, finora il più accreditato ambasciatore Oltretevere. Ma c’è un’altra possibile conseguenza politica del sostegno del Vaticano a Monti, ed è quella che in queste ore sta preoccupando di più sia il Pdl che il Pd. Ci si interroga infatti se questo endorsement sia l’inizio di un nuovo impegno dei cattolici in politica sotto uno stesso tetto. Con una fuga dai vecchi partiti. Sia prima sia, soprattutto, dopo le elezioni.

l’Unità 28.12.12
Pontifex, il sito che ha ispirato il parroco contro le donne
Un sito che di cattolico ha ben poco, ma raggiunge migliaia di persone ogni giorno: lì il parroco di Lerici ha trovato spunto
Si leggono teorie folli: se in Liguria c’è l’alluvione è colpa di Crozza che imita Benedetto XVI
di Mario Castagna


ROMA Molti non sapranno cosa significhi, ma dovranno stare attenti al «talebanismo evoluzionista» che minaccia seriamente la tranquillità della loro vita. A leggere il sito pontifex.roma.it ci sarebbe da chiudersi in casa e sbarrare ogni finestra: solo così si potranno respingere le minacce che la modernità mette in atto.
Il femminicidio è un crimine sempre più diffuso nel nostro Paese? Colpa delle donne che provocano con il loro vestiario succinto. Avviene un alluvione a Genova o un incendio in Liguria? Colpa del comico genovese Maurizio Crozza che negli ultimi tempi ha aggiunto Papa Benedetto XVI all’elenco delle sue perfide imitazioni. Muore Whitney Houston? Colpa della sua recente conversione all’Islam. Sette persone sono morte nella notte di Natale in Texas? Succede quando si trasforma la festa religiosa del Natale in una sorta di avvenimento pagano, in cui il vero protagonista diventa il Dio regalo, al posto di Cristo. Ci sarebbe da sorridere se non fosse che tutto questo, e anche molto peggio, viene scritto quotidianamente sul sito che un gruppo di integralisti cattolici gestisce da tempo raggiungendo migliaia di persone ogni giorno. Compreso don Piero Corsi, che di certi toni s’è fatto pure megafono.
Ma di cattolico queste pagine hanno bene poco. Non la speranza per il mondo di domani, non la fede nell’operosità dell’uomo né carità verso l’altro. Sembrano piuttosto il frutto di una mente malata più vicina al millenarismo apocalittico che deve difendersi da tutto ciò che è fuori dalla propria cittadella assediata e fortificata.
Ed infatti non sono poche le personalità del mondo cattolico che hanno preso le distanze da questo sito. Ricorderete gli articoli che qualche giorno fa denunciavano la «scomunica» che mons. Odo Fusi-Pecci, ultranovantenne vescovo emerito di Senigallia, aveva pronunciato contro Vendola, definendolo un pervertito. Subito si era scatenata una bufera, con gli appelli contro il bigottismo cattolico e a favore della libertà di espressione. Tutto era nato dall’intervista che Bruno Volpe, gestore del sito pontifex.roma.it aveva «estorto» al prelato. È proprio il caso di dire «estorto» perché nel giro di pochissimo tempo è arrivata una precisazione da parte della curia di Senigallia (naturalmente non ha avuto lo stesso clamore mediatico dell’articolo originale), che accusava il sito integralista di aver ingannato mons. Fusi-Pecci approfittando anche dei suoi gravi problemi di udito.
L’ultimo successo mediatico del sito è dunque la famosa lettera che il parroco di San Terenzio a Lerici, don Piero Corsi, ha diffuso attribuendo la responsabilità delle violenze e degli omicidi contro le donne alle donne stesse. Infatti quella lettera altro non era che un articolo pubblicato su pontifex.roma.it. Anche in questo caso un gran rumore ma nessuna sanzione per un sito che utilizza, spesso con inquietante libertà, una violenza verbale che ha ben pochi limiti. Sulla rete se ne sono accorti in parecchi ed infatti sono numerosi i siti che hanno preso di mira questo ritrovo di integralisti. Alcuni ne hanno fatto il centro della loro attività. Il sito è divenuto quindi pontifess, pontiless, pontilessi, pontifessi e via dicendo. Addirittura è nato un contro-sito, pontilex.org, che ha come unico obiettivo controbattere alle stupidità di questi apologeti del tradizionalismo cattolico. Su questo sito però l’ironia sulle fantasiose ricostruzioni diviene pura inquietudine. Infatti a rendere ancora più preoccupante il tutto sono le coincidenze tra il gestore del sito ed un certo B.V., avvocato quarantanovenne di Bari, arrestato per stalking nel 2011. Come riporta la Gazzetta del Mezzogiorno, tale B.V. era stato arrestato da una pattuglia di carabinieri, sorprendendo lo stalker mentre, con una bomboletta di vernice a spray, scriveva frasi ingiuriose sul muro perimetrale del condominio della sua vittima e disegnava delle croci sul citofono.
Sul sito naturalmente non si fa cenno a nulla di tutto ciò, ma campeggiano in bella vista pubblicità del Cepu, di Aruba, di una ditta di gazebo pieghevoli e di una libreria cattolica. Ben consapevoli del grande numero di click che crea ogni polemica da loro lanciata, il sito sembra più una fonte di guadagno che una sorgente di santità. La loro ideologia tradizionalista diventa così moderna quando si tratta di gestire il marketing. Con gli amanti del trash che si divertono a leggere i deliri di un gruppo di pazzi.

Corriere 28.12.12
«Pontifex», il sito choc contro gay ed ebrei

Il creatore Volpe: «Don Piero ha citato le mie idee? Ha tutto il mio appoggio»
di Gian Guido Vecchi


CITTÀ DEL VATICANO — Su una sola cosa, almeno, con il Vaticano — anzi con «loro» — è d'accordo: «Non ho niente a che fare con loro, quando mai abbiamo sostenuto che siamo la voce del Vaticano?». Poi si fa una risatina: «Sulla storia di Twitter e del nome "pontifex", se proprio vogliamo essere precisi, saremmo noi a potere piuttosto fare causa al Vaticano: abbiamo registrato il nome del sito dal 2007, se poi scelgono lo stesso nome per i tweet del Papa fatti loro, ma è da dilettanti...». Si potrebbe obiettare che il nome latino per pontefice, ovvero «colui che costruisce ponti», è in uso nella Chiesa da svariati secoli ma pazienza, il punto è un altro: e cioè che dietro al sito «Pontifex.roma.it», che un po' per il nome e un po' per le sparate su ebrei, musulmani, gay e donne riesce a fare breccia tra siti e agenzie di stampa, con tanti saluti al new journalism, c'è un signore che si chiama Bruno Volpe, ha 51 anni, si presenta come avvocato e giornalista e criminologo e vive nel quartiere Murat di Bari.
Volpe si definisce cattolico, anche se «le nostre posizioni, bene o male, sono più che altro vicine a quelle della Fraternità Pio X», che poi sarebbero i lefebvriani, «ma non condivido alcune posizioni estreme». Prego? «Sulla liturgia, intendo». Ogni tanto alla Santa Sede tocca far sapere che gli è stato rifiutato l'accredito alla sala stampa vaticana e non ci può mettere piede o che le sue posizioni non corrispondono a quelle della Chiesa, ma lui non se la prende, «mi sembrano precisazioni pleonastiche, mai sostenuto il contrario». Don Corsi non lo conosce, «ho saputo della sua esistenza al telegiornale, non è che potessi vietargli di mettere il mio pezzo», ma insomma «rispecchia il mio pensiero e non vedo il motivo di tanto scandalo, ognuno ha il diritto di fare ciò che vuole, piena solidarietà a don Piero».
Nessun problema, e perché mai? Agli scandali che «fanno titolo» ci è abituato, anche perché sono una strategia mediatica: gli annunci di querela a Nanni Moretti e Vauro per «offese» alla religione, commenti del tipo che la morte del ragazzo che montava il palco di Jovanotti a Trieste fosse una sorta di avvertimento divino contro il «libertinaggio» del cantautore, tutto fa brodo, «abbiamo fino a 25 mila contatti al giorno». Con l'ausilio di una compagnia di giro che comprende anziani vescovi emeriti — e cioè in pensione — come monsignor Giacomo Babini (Grosseto), uno che finì su tutti i giornali perché nell'aprile 2010 comparve una sua intervista a «Pontifex» nella quale diceva che lo scandalo pedofilia era «un attacco sionista» dei «giudei deicidi», un complotto dei «nemici di sempre del cattolicesimo, ovvero massoni e ebrei». Monsignor Babini smentì le parole sui «fratelli ebrei», o fu fatto smentire dalla Cei. Fatto sta che l'emerito ha continuato a rilasciare interviste a «Pontifex»: pochi mesi dopo sosteneva che fosse «blasfemo e offensivo» far cantare Elton John davanti alla cattedrale di Trani, chiaramente per la sua «vita depravata» in quanto omosessuale, e poi è andato avanti dicendo che l'«Islam è un castigo del Signore», che «il femminicidio deriva anche da un clima di libertinaggio diffuso», che «Mussolini era meglio del gay Vendola» e avanti così. Ogni tanto arrivano le smentite, sempre accompagnate da controsmentite o minacce di querela, come quando il vescovo polacco Tadeus Pieronek negò di aver parlato della Shoah come di una «invenzione ebraica». Di recente, ancora sul governatore pugliese — un'ossessione, per Pontifex — è apparsa un'intervista a Odo Fusi Pecci, vescovo naturalmente emerito di Senigallia, che accusava Vendola di «vivere da pervertito», parole come da copione smentite con relativa controsmentita del sito.
In Rete, come un contrappasso circola la notizia del «consulente legale B. V., 49 anni, del quartiere Murat di Bari», arrestato nel 2011 per stalking contro una ragazza di 26 anni, sms, telefonate, email, agguati, un fegato animale sul citofono, finché venne sorpreso mentre con una bomboletta spray tracciava croci e insulti sulla casa della vittima. Stesse iniziali, stessa età, stessa laurea, stessa zona... «Ho la sfiga di avere un tizio con le mie stesse iniziali che abita a quattro isolati da qui. Ma io non c'entro nulla, non sono io lo stalker, ho già vinto quattro querele», sillaba Volpe. Ma perché non ha smentito in Rete? «Lo faccio nelle sedi opportune». Inutile obiettare, Volpe è tetragono nelle sue idee. Il femminicidio e le donne che provocano? «Io condannavo la violenza e può darsi che la parola provocazione fosse infelice: ma se vai nel Bronx non giri con un Rolex d'oro, no? Un eventuale ladro lo istighi o lo provochi, no?». Ma non trova sia tutto anticristiano, specie sotto Natale? «Perché, il Vangelo dice che a Natale non si può dire la verità?». E la faccenda di chi è senza peccato scagli la prima pietra? «L'adultera non peccava contro natura». Gli ebrei deicidi? «Lo dice San Tommaso, finché non mi dimostrano che è eretico... ». E via così. Sapendo che, anche oggi, si parlerà di «Pontifex».

Repubblica 28.12.12
“Dagli stupri al femminicidio la colpa è sempre delle vittime” ecco i nuovi predicatori dell’odio
Pontifex e gli altri: così ultracattolici e neonazi dilagano sul web
di Marco Pasqua


ROMA — Donne che «pretendono di avere una vita autonoma, lavorando», e che «si lamentano se vengono violentate, quando magari hanno chiesto un passaggio in auto in minigonna». Sono loro l’oggetto degli attacchi di un manipolo scatenato di internauti ultracattolici, talvolta con simpatie neonaziste, che disseminano sul web pillole di una cultura retrograda che arriva anche a giustificare il femminicidio. E che, come dimostra la vicenda del parroco di San Terenzo, riesce a fare proseliti. Virtuali, ma non solo.
La principale fucina dell’odio sessista nei confronti delle donne si chiama Pontifex e da quando è stato creato, nel settembre del 2008, ha propagandato tesi omofobe, razziste, spesso antisemite e addirittura negazioniste. E dove la cosiddetta “donna moderna” viene attaccata da vescovi (quasi sempre emeriti e spesso sconfessati dalle stesse gerarchie ecclesiastiche), o dagli stessi gestori della piattaforma, che si servono anche dei social network per diffondere le loro folli idee (non a caso ieri sono spuntati su Facebook profili che inneggiavano a don Piero Corsi). Anima di queste pagine è il cinquantenne Bruno Volpe, ossessionato dagli omosessuali (che definisce spesso dei “malati”) e simpatizzante del forum neonazista Stormfront, recentemente chiuso dalla polizia postale. Barese, non ha mai smentito di essere stato arrestato per stalking, nell’estate del 2011, dopo aver tormentato una ragazza. Per veicolare le sue tesi, si serve spesso di volti noti, anche del mondo della televisione e della politica, che, accettando di essere intervistati, si prestano — spesso inconsapevolmente — a dare lustro al sito: da donna Assunta Almirante ad Albano Carrisi, da Roberto Gervaso
ad Aldo Biscardi. Ma sono i prelati quelli che, più spesso, utilizza per offendere le donne. «Alcune volte esiste una mancanza di prudenza da parte delle vittime — ha sostenuto, ad esempio, monsignor Arduino Bertoldo, vescovo emerito di Foligno — Se una donna cammina in modo particolarmente sensuale o provocatorio, qualche responsabilità nell’evento la ha e voglio dire che dal punto di vista teologico anche tentare è peccato. Anche chi camminando o vestendosi in modo procace suscita reazioni eccessive o violente, pecca in tentazione». Per questo, sostiene lo stesso Volpe in uno dei suoi editoriali, le «reazioni manesche» sono «favorite da spettacoli oggettivamente e moralmente disordinati», come quando «una bella ragazza chiede di notte e in minigonna un passaggio e poi viene violentata».
Anche di fronte agli omicidi, Pontifex si spinge ben oltre il paradosso, sostenendo che «le colpe non sono mai da una parte sola. Guai a beatificare o santificare tutte le donne morte». Secondo il sito, «l’ondata di violenze è scoppiata da quando la donna ha preteso di avere un eccesso di vita autonoma, spesso infischiandosene della famiglia, dei doveri coniugali e arrivando persino al libertinaggio sessuale ». Per questo, è quanto sostiene un altro monsignore, «la donna deve ispirarsi a Maria e alla Immacolata Concezione, abbandonando la tendenza al libertinaggio». Il vescovo emerito di Senigallia, Oddo Fusi, è convinto che «il lavoro è secondario. Nella crisi di valori attuale molto dipende dal fatto che la donna esca spesso di casa e reclami una sfrenata indipendenza dal marito e vada a lavorare».
Stessa tesi che si ritrova su “Salpan”, rivista elettronica di approfondimento dei «temi che più interessano il mondo cattolico attuale ». Qui si afferma che «anteporre l’impiego, il lavoro, ai figli o al marito sia quasi contro natura e di certo contro l’ordine stabilito da Dio». Ma l’attacco alle donne degli ultracattolici avviene anche utilizzando il tema dell’aborto, causa di quello che viene impropriamente definito l’“Olocausto taciuto”. La pillola abortiva RU-486 è ribattezzata “pesticida umano”. Sulle pagine di “Bastacristianofobia” vengono rilanciate interviste a ragazze “sopravvissute all’aborto” (che avrebbe determinato, a livello mondiale “il genocidio più grande della storia”) e, naturalmente, si attacca la legge 194. Nel post “le donne e la moda”, pubblicato su “PreghiereGesùeMaria” (un sito che ha come scopo la «salvezza di tutte le anime attraverso la diffusione della Parola di Dio») si rivolge un appello a tutte le donne, affinché «tornino ad essere un tesoro di modestia e di pudore, un angelo di conforto», cessando di essere “provocanti” e di «mettere in moto i sensi e gli istinti». Qualcuno, come gli animatori del sito “PontiLex”, cerca di opporsi a questi rigurgiti medievali. Negli ultimi anni hanno presentato denunce e inoltrato decine di segnalazioni all’Ufficio nazionale antidiscriminazioni (Unar), chiedendo la chiusura di “Pontifex”: «Ma nessuno ha mai fatto nulla», dice Sandro Storri, a capo di una piccola rete virtuale nata per contrastare gli odiatori ultracattolici.

Corriere 28.12.12
«Anche lo psicologo per i seminaristi tormentati dal sesso»
Il rettore: parliamo dei diritti delle donne
di Claudio Del Frate


BERGAMO — Messo da parte il folklore, chiusa la porta al gossip pruriginoso, il problema resta comunque tremendamente concreto: la violenza sulle donne, il sesso, il linguaggio del corpo femminile sono un bagaglio che deve entrare a far parte della formazione degli aspiranti sacerdoti?
Il caso del sacerdote di Lerici è lì a dimostrare l'urgenza di una simile domanda. Ma c'è di più: e se un allievo di un seminario dovesse entrare in crisi per via dell'attrazione per un'altra persona, che cosa si fa? La questione è diventata talmente attuale che nei luoghi in cui studiano e vivono i parroci di domani ha fatto il suo ingresso lo psicologo. A Bergamo il seminario è intitolato a papa Giovanni XXIII, figlio di questa terra ma al tempo stesso il più grande innovatore della Chiesa; non è un caso forse che qui il problema sia stato affrontato in termini concreti e il sostegno della scienza vada ormai di patri passo con quello della fede.
Monsignor Pasquale Pezzoli è il rettore della scuola bergamasca ed è il diretto testimone di quello che avviene tra i novizi che gli vengono affidati. Monsignore, in che termini la questione è entrata a far parte della vostra attività?
«Il punto di partenza è sempre lo stesso: chi decide di seguire la vocazione sacerdotale deve essere in ogni momento della sua vita consapevole delle responsabilità e delle rinunce che questa scelta comporta. E dunque il nostro insegnamento fa leva prima di tutto su questo principio».
Poi però il mondo bussa alla porta e i princìpi devono essere messi alla prova: al dunque, temi come il femminicidio, i diritti delle donne, il rapporto tra i ministri di Dio e l'altro sesso, sono argomenti di cui si parla nelle aule di un seminario, e in quali termini?
«Se ne parla certamente e non da oggi: anche questa è materia che è ormai entrata nell'insegnamento e nell'attività didattica. Può darsi che il rumore dei media abbia maggiormente messo l'accento su questi temi, ma sono sempre stati affrontati».
Ma se uno studente del seminario dovesse manifestare delle debolezze, dei ripensamenti o delle posizioni che non corrispondono al volere della Chiesa, come si interviene?
«I livelli di intervento posso essere diversi. Prima di tutto si agisce sull'attività scolastica, sullo studio e come si diceva prima c'è un richiamo alle responsabilità che la scelta del sacerdozio comporta, alla maturità che un componente del clero deve avere. Ma poi si interviene a livello personale: la porta del confessore è sempre aperta ma se necessario si può ricorrere anche all'intervento di uno psicologo. La presenza di questa figura è prevista nel nostro seminario, ci sono colloqui. Con quale esito? Non saprei rispondere, quello sta solo nel cuore delle persone».


l’Unità 28.12.12
Oggi sit-in a Lerici
Se non ora quando, e le donne Pd «vicine alle manifestanti»

L’associazione «Se non ora quando?» sostiene le donne di Lerici che hanno annunciato un sit-in di protesta, contro il parroco di San Terenzo: si farà ogg sulla spiaggia. «Preoccupate per la gravità delle parole di don Corsi si legge in una nota spia di un comune sentire e di uno strisciante oscurantismo che nel 2012 resistono ancora nel nostro paese, dove oltre 120 donne sono state uccise dall’inizio dell’anno da uomini con cui avevano o avevano avuto una relazione familiare o sentimentale». E con loro anche le donne del Pd, che con la loro rappresentante Roberta Agostini esprimono «profonda e anche grave preoccupazione per parole pronunciate mentre ancora continuano a morire per mano di uomini violenti e ossessivi, donne di ogni età e ogni provenienza. Serve una cultura nuova e diversa di educazione alla parità e al rispetto».

Sette del Corsera 28.12.12
E voi siete littizzetisti o ratzingeriani?
Nella classifica dei best seller la comica con il suo Madama Sbatterfly ha sorpassato di un soffio L’infanzia di Gesù del papa
di Antonio D’Orrico

qui

Repubblica 28.12.12
Rileggere la bibbia
Parla Carlo Enzo, professore ed esegeta, che racconta i suoi tormentati rapporti con la Chiesa
Quello studioso irregolare “Io, la Genesi e papa Luciani”
di Antonio Gnoli
segnalazione di Carlo Patrignani


Carlo Enzo è una figura tra le più irregolari del mondo cattolico. Emarginato da quando, più di quarant’anni fa, il Patriarca di Venezia Albino Luciani – che sarebbe diventato Papa – gli impose il silenzio dell’insegnamento. Oggi Enzo ha 85 anni. È uomo carico di pathos. Un sapiente che per tutta la vita si è interrogato sullaBibbiaoffrendo una sua personalissima interpretazione che ha stupito e affascinato alcuni e messo in grande allarme le gerarchie cattoliche. Il risultato sono cinque volumi di commento (altri tre, conclusivi, sono in preparazione) pubblicati da Mimesis. «I miei occhi non mi aiutano più tanto bene. Dopo un intervento, che ha toccato i nervi ottici, sono quasi interamente cieco. Leggo grazie a una luce speciale che ingrandisce i caratteri. Ora sto lavorando alla terza riscrittura dell’ultima parte del Vangelo di Matteo», dice con passione. Enzo vive in un punto molto bello di Venezia, nella Canonica di San Marcuola che la Curia gli ha conservato. Qui, in un appartamento pieno di libri, lavora uno dei grandi biblisti del nostro tempo.
Dove è nato?
«A Burano, un’isola vicina a Venezia. Passai un’infanzia felice. Mio padre era soffiatore di vetro. La nostra vita, tranquilla. A otto anni cominciai a leggere la Bibbia ai miei fratelli».
Immagino che fosse ai suoi occhi di adolescente un insieme di storie avventurose.
«Era l’aspetto che mi interessava meno. Leggevo la Bibbia in una vecchia traduzione che avevamo in casa. E già allora intravedevo alcuni problemi».
Di che natura?
«Intuivo che il testo era stato appesantito dai commenti, dalle interpretazioni, dal tono favolistico».
È fatale che un testo così importante per la storia dell’Occidente si sia arricchito di letture nate anche da scuole differenti.
«Negli anni ho capito che bisognava liberarsi da quella ramificata ermeneutica che si sovrappone e avvolge il testo sacro, e ho cercato di scoprire cosa esso nasconde. La mia idea era di ritornare al midrash».
Ossia?
«Per dirla in modo semplice a una lettura delle Scritture attraverso le Scritture».
È un po’ quello che si prefiggeva Spinoza con il suo Trattato Teologico-politico.
«E che gli creò rilevanti problemi, tra cui l’accusa di ateismo. Midrash significa “ricercare”. È la spiegazione che gli antichi Maestri ricavavano dal Tanakh, che è il nome dato da Israele alla raccolta dei suoi libri sacri, i quali comprendono la Torah, ossia i cinque libri della Legge, tra cui Genesi; i 21 libri dei Profeti; e i tredici libri Agiografi, tra cui Salmi, Giobbe, Cantico e Qohelet».
In che misura Tanakh differisce dalla Bibbia cattolica?
«In modo sensibile. Intanto Tanakh è esclusivamente un codice di vita, attraverso il quale il popolo ebraico prova a diventare moralmente grande. Cioè passa dalla polvere all’anima vivente. Ma c’è un punto ulteriore: Tanakh è un testo mascherato. Perché così hanno voluto i sapienti che lo composero».
Si spieghi meglio.
«Il contenuto non doveva essere conosciuto dai popoli circostanti. Di qui
l’invenzione di un genere letterario che nascondesse la vera sostanza agli estranei e la rivelasse solo al popolo ebraico».
Ci sta dicendo che la Bibbia ha uno strato esteriore che maschera una verità più profonda? Ma perché escludere gli altri popoli dalla corretta conoscenza del testo sacro?
«Perché quel testo veniva considerato Elohim del popolo».
Quindi parola di Dio.
«Non esattamente. Perché nella cultura ebraica la parola Dio non esiste. Esiste invece la parola “Elohim” che faceva tutt’uno con il popolo. Ma ogni popolo della Mezzaluna fertile aveva il proprio Elohim».
Verrebbe meno l’idea cardine secondo cui nell’Antico Testamento c’è un Dio non solo unico, ma assoluto.
«Questo accade in una fase successiva. Quando finisce con il prevalere la maschera, ossia una lettura deviata della Bibbia, favolistica, irreale».
Ci faccia un esempio.
«È sufficiente aprire Genesi. Ci siamo abituati a leggerli come la storia di un Dio che in sei giorni crea l’universo. Ma quando il popolo ebraico nasce, l’universo c’è già e quel popolo non ha assolutamente intenzione di rifondare l’universo. È una questione anche di buon senso. Che cos’è l’Elohim della Torah se non il popolo stesso che si è dato la sua costituzione, le sue leggi, i suoi imperativi morali? ».
Quindi il racconto della creazione non riguarda né l’uomo né la natura?
«Creazione qui non significa creare dal nulla, come appunto potrebbe fare un Dio. Creare è progettare un mondo nuovo, un uomo nuovo».
Sta seppellendo la teoria creazionistica.
«La Bibbia non dice come è fatto il Cielo, ma come ci si va. Anche quando ci si riferisce all’uomo non si intende una figura in generale ma l’uomo-Adamo che è diverso dall’uomo greco, romano, babilonese».
Ma “Adamo” è lo stesso che viene scacciato dall’Eden?
«Questo è il lato favolistico, irreale, la maschera. In realtà l’uomo biblico si chiama Adamo perché coltiva l’adamah, ossia è un uomo chiamato a educare la sua natura umana».
Che cosa è l’“adamah” di cui lei parla: la purezza, la predisposizione al sacro, o cosa?
«Nel linguaggio comune “adamah” è la terra fertile, la terra rossa che il Nilo riversa. Nel linguaggio biblico indica la peculiarità di quest’uomo che cerca una chiave morale per stare al mondo».
E la questione del peccato originale?
«Non esiste. Il peccato originale è un’interpretazione tarda, avanzata da Agostino. In ebraico la parola “peccato” significa più omissione di fare qualcosa di buono che offesa al Dio per aver fatto qualcosa di sbagliato. Adamo inizia il suo cammino che è polvere e deve farsi per prova ed errori. E questi ultimi non sono imputabili al peccato originale, ma dipendono dal fatto che Adamo non è un Elohim».
Lei dice “polvere”, ma Adamo nasce dalla polvere, nasce in qualche modo dal nulla.
«Torna la maschera. “Polvere” vuole dire che Adamo all’inizio è un essere inconsistente e l’Elohim soffia in lui non lo spirito, ma l’anelito di vita, cioè la volontà per fare questo percorso, questa crescita».
Quello che lei dice è fuori dal modo in cui l’Occidente ha recepito il testo sacro.
«Certo, perché la logica occidentale parte da Dio che crea il mondo. La logica ebraica parte dall’Elohim del periodo sapienziale, ma prima ancora parte da Abramo. Concretamente parte da colui che viene considerato il padre del popolo che ha il suo Elohim».
Ma dire che ogni popolo ha il suo Elohim non significa limitarne l’assoluto?
«L’obiezione avrebbe senso se traducessimo “Elohim” con “Theos”, giacché Theos è l’assoluto. Ma l’Elohim non è l’assoluto».
La sua lettura l’ha messa in urto con la Chiesa?
«Su di me è sceso un silenzio che dura da decenni».
Lei è stato docente di scienze bibliche?
«Insegnai a lungo. Fu negli anni Cinquanta che l’allora Patriarca di Venezia Angelo Roncalli mi mandò a Roma a studiare. Lavorai con il cardinal Urbani e con il mio maestro Alonso Schökel, poi venne Luciani, la mia croce e delizia».
Avverto dell’ironia.
«Mi stroncò in maniera terribile. Era il 1970. Tenni una lezione biblica sulla secolarizzazione. E dissi che non andava intesa come una riduzione della chiesa alla condizione laica né come un allontanamento dal sacro. Ma al contrario la secolarizzazione era la realizzazione totale del progetto».
E Luciani la stroncò?
«Quando dissi: tutto questo è scritto in Apocalisse 21 ossia che tutto si concluderà, perché quando scenderà la Gerusalemme celeste non ci sarà più né Chiesa né sacerdozio e l’Elohim sarà tutto in tutti, mi portò via il microfono dicendo: sono cose pazzesche».
Era il Cardinale a dirlo.
«Era il Patriarca di Venezia e aggiunse: se avete domande da fare rivolgetevi a me, il professore non deve più parlare e non parlai più».
Ha provato a ricomporre quella frattura?
«Qualche giorno dopo andai da lui e gli dissi: mi dia lei una regola di esegesi biblica. E lui mi rispose: prenda una buona traduzione, per esempio quella della scuola di Gerusalemme: i passi facili li spiega, quelli difficili li salta. A quel punto replicai che non me la sentivo più di insegnare. Non volevo imbrogliare né lui né tanto meno chi mi ascoltava».
Su cosa sta lavorando?
«Sul bacio di Giuda».
Torna, è il caso di dire, il tema del tradimento.
«È un altro dei grandi equivoci filologici».

l’Unità 28.12.12
Anna Finocchiaro
«Monti da oggi sarà un avversario e la competizione sarà vera»
di Maria Zegarelli


«La lealtà al premier non è mai mancata. Ora le cose cambiano ma non daremo certo colpi bassi. Se Monti ci aiuta a spazzare via il berlusconismo è un bene per l’Italia»

ROMA Non voleva ricandidarsi, non voleva presentare la deroga. Poi, è stato il partito, leggi Pier Luigi Bersani, a chiederle di non fare passi indietro. Anna Finocchiaro, capogruppo uscente al Senato, candidata a Taranto, dove ieri ha passato l’intera giornata, arriva in città nel giorno in cui la Procura di Taranto lancia l'offensiva contro le norme che consentono all'Ilva la continuità produttiva nonostante il sequestro per le accuse di disastro ambientale e ricorre alla Corte Costituzionale contro il decreto che riguarda tutti i siti industriali.
Una campagna elettorale lampo, in una città che non è la sua città e al centro del dibattito politico. Come ci si sente?
«Mi sento benissimo, perché questa è una città con problemi complessi, per i quali abbiamo lavorato molto in Parlamento. Ma oggi Taranto è una città di frontiera per ciò che riguarda il Sud, l’Italia e l’Europa. Per me, donna del Mezzogiorno, è una sfida importante». Politiche industriali, ferme da troppi anni: uno dei punti del programma del Pd. Non le sembra una sfida da far tremare i polsi?
«Questo è un territorio, come tante altre realtà del Mezzogiorno, che dipende da un’unica risorsa industriale che nel momento della crisi diventa un limite pesantissimo, per quanto riguarda la salute, l’economia, lo sviluppo. La prima riflessione da fare è sulle politiche industriali che vogliamo portare avanti per il Paese. Il Pd ne ha fatto un punto qualificante del suo programma di governo legandolo all’altra grande questione del terzo Millennio che riguarda non solo il nostro Paese: lo sviluppo e la crescita in sintonia con la tutela della salute e dell’ambiente». Bersani proprio pensando a lavoro, diritti e equità critica l’agenda Monti. Eppure sembra riscuotere ampio consenso l’ipotetica lista del professore. Una candidatura insidiosa per il Pd?
«Intanto non c’è ancora nulla di concreto sulla lista o sulle candidature. Questo conferma che l’unica forza che è stata ed è al centro della politica italiana, saldamente e concretamente presente nel Paese, è il Pd. Non c’è dubbio, però, che se crescesse questa esperienza del centrismo montiano, se il panorama politico italiano fosse in grado si spazzare via il berlusconismo e questo centrodestra, sarebbe un bene per il Paese».
Non cambia i rapporti di forza del Pd la comparsa la candidatura di Monti?
«Il Pd è il più grande partito italiano e senza il partito democratico nessuna forza politica andrà da nessuna parte». Ma a questo punto il Professore diventa un avversario politico. O no?
«Questo lo sa benissimo anche Monti. La nostra lealtà non è mai mancata ma dal momento in cui si candida è un nostro avversario politico anche se la competizione sarà seria e rigorosa, non siamo partito da colpi bassi. Sarà competizione vera, però».
L’altra notizia è la candidatura del Procuratore Pietro Grasso con il Pd. Oltre a Pietro Ingroia. Magistrati in politica, che ne pensa lei è che è stata un magistrato?
«Sono molto soddisfatta del fatto che Grasso abbia accettato la nostra candidatura, è un’ottima notizia. Non ci vedo nulla di strano nel fatto che i magistrati decidano di fare politica, purché facciano di questo impegno la loro unica occupazione».
Monti, quotato con una sua lista al 20% sarà un vostro alleato dopo le elezioni? «È possibile che questo accada, da tempo parliamo di un’alleanza tra progressisti e moderati per garantire la governabilità piena del Paese, la stabilità e la coesione del suo governo. Ma ora è prematuro parlarne, noi dobbiamo impegnarci affinché il Pd si confermi il primo partito del Paese. Dopodiché è ovvio che guarderemo soprattutto ai moderati, come nostri potenziali alleati, ma non ci faremo dettare la linea da altri. Noi abbiamo un candidato leader eletto dalle primarie, alle quali si è presentato con una coalizione e un programma di governo».
A proposito di programma: Pietro Ichino ha lasciato il Pd per lavorare alla lista di Monti. Se lo aspettava?
«La notizia non mi ha sorpreso affatto. Conosco Ichino e ho lavorato con lui per cinque anni, so quali sono le sue posizioni e quindi me lo aspettavo». Ma non è l’unico a chiedere correzioni della linea del partito sul lavoro. Non teme altre defezioni da parte dei montiani del Pd?
«Noi siamo un partito in cui si discute e non ci spaventiamo di mettere a confronto le idee, ma alla fine si decide con metodo democratico. La Carta d’intenti è stata votata all’unanimità, poi se c’è qualcuno che ritiene di voler approfittare del momento per rimettere in campo delle riflessioni è padrone di farlo, ma oggi abbiamo un leader, un programma e una coalizione e con quella andremo ad elezioni».
Lei non voleva candidarsi, poi cosa è successo?
«È successo che il partito mi ha chiesto di ricandidarmi. Io ho accettato ma a una condizione: di fare le primarie. E così eccomi qua, a Taranto per una campagna elettorale lampo ma non per questo meno vissuta».

La Stampa 28.12.12
Da domani primarie a sinistra
Pd: corsa ai seggi sicuri E toto-nomi sul “listone”
Si pensa già al dopo Bersani: per il ruolo di segretario spunta Barca
Tra i ministri corteggiati si fanno i nomi di Balduzzi e di Profumo
di Carlo Bertini


Non c’è solo il nome di Pietro Grasso tra i giudici che il Pd vuole candidare: dai piani alti filtra anche quello del giudice anti-Gomorra, Raffaele Cantone, cui potrebbe essere proposto di entrare nel listone bloccato insieme a quelle personalità che non vengono sottoposte al vaglio delle primarie che metteranno a confronto 1500 sfidanti in giro per le province tra domani e domenica.
E si registra gran movimento intorno al «listone», un elenco di 120 nomi che verrà reso noto dopo le primarie, dove confluiranno una ventina di capilista, esponenti delle correnti, ma anche una quarantina di persone decise dal segretario. Che per la scelta di volti nuovi farà tesoro degli incontri riservati in questi mesi con storici, economisti, intellettuali ed esperti di comunicazione.
Tra i nomi «sugli scudi» c’è sempre quello di Fabrizio Barca, ministro della coesione territoriale, molto stimato da Bersani, che ha già provato a coinvolgerlo, senza esito, nella sfida per la conquista del Campidoglio. Ma che lo ritiene adatto, se non entrerà nel listone come candidato, a ricoprire ruoli di governo o di partito ai più alti livelli. Non sorprende dunque che, per l’apprezzamento di cui gode Barca anche nel mondo di Sel, comincino a circolare voci di una sua possibile ascesa ai vertici, al punto che c’è chi ritiene sia un nome spendibile perfino per la corsa ad una futura segreteria unificata dei due partiti, Pd-Sel.
Ma è sul problema più impellente ora, quello del «listone», che si concentrano le attenzioni: si vocifera di un corteggiamento ad altri ministri come Balduzzi o Profumo, ma non ci sono conferme a riguardo. Poi c’è il nodo dei big che hanno ottenuto la deroga al limite dei tre mandati: mentre la Bindi corre in Calabria e la Finocchiaro a Taranto, Franco Marini è esonerato dalle primarie ed entrerà nella quota bloccata, così come, forse, anche Beppe Fioroni e Gianclaudio Bressa. Sempre nel «listone bloccato» dovrebbero entrare altre personalità come Marco Rossi Doria, sottosegretario del governo Monti, l’ex segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, il politologo Carlo Galli. E potrebbero trovare spazio anche alcuni parlamentari renziani come gli ambientalisti Realacci, della Seta e Ferrante o l’ex ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni. Di certo ne faranno parte i componenti dello staff di Bersani per le primarie: lo storico Miguel Gotor, la portavoce Alessandra Moretti e Roberto Speranza. Stesso dicasi per lo staff ristretto di Renzi, Giuliano Da Empoli, Roberto Reggi e Simona Bonafè.
Ma in centinaia si cimenteranno sul campo, a partire dai 200 parlamentari uscenti (un altro centinaio si è ritirato) che se la vedranno con figure popolari, come la ex olimpionica Josefa Idem che corre a Ravenna, o molto radicati sul territorio, come il fratello del sindaco di Bari Alessandro Emiliano. A Torino gareggia anche l’ex ministro del lavoro Cesare Damiano, che potrebbe avere poi un ruolo da capolista, ma anche Pietro Marcenaro, Fabrizio Morri. Nel Lazio un affollamento di parlamentari, da Marianna Madia a Stefano Fassina da Roberto Morassut a Matteo Orfini, da Walter Tocci a Vincenzo Vita e due renziani, Giachetti e Lorenza Bonaccorsi. In Abruzzo si candida la ex presidente della Provincia aquilana, Stefania Pezzopane, a Reggio Calabria la Bindi è in lista con altri sei candidati, a Bologna corre il renziano Salvatore Vassallo, la ex portavoce di Prodi, Sandra Zampa e un’altra dozzina di candidati tra cui il presidente dei famigliari delle vittime dell’attentato dell’80, Paolo Bolognesi. Fatte le primarie, delle liste si parlerà il 3 gennaio quando si dovrà procedere alle compensazioni con le correnti, prima della Direzione dell’8 gennaio chiamata a mettere il timbro sulle candidature.

Corriere 28.12.12
Ora Bersani accelera E per il listino chiama Balduzzi e Profumo
Lo studio di un'alleanza con i centristi dopo il voto
di Maria Teresa Meli


ROMA — Pier Luigi Bersani accelera. Dopo il procuratore Grasso, le nuove candidature su cui punta il segretario del Pd sono quelle dei ministri Francesco Profumo e Renato Balduzzi. Il leader del Partito democratico li vorrebbe entrambi nel listino e Vasco Errani li ha già contattati per mandare in porto l'operazione.
Nel frattempo, Bersani, che ritiene la vittoria ormai a portata di mano, mentre soppesa i diversi nomi da mettere nel listino dei garantiti, ha già l'occhio rivolto al futuro. I sondaggi sono più che confortanti. Il Pd è sopra quota 33 per cento (alcune rilevazioni lo danno addirittura al 34,5). Ma il leader sa bene che non basta. Tradotte in seggi queste percentuali attribuiscono al Pd dai 143 ai 150 senatori a palazzo Madama e 287-290 deputati a Montecitorio. Il che significa che nella maggioranza di centrosinistra il peso di Sel sarà determinante. È anche per questo motivo che Bersani ragiona non da ora sulla possibilità di un'alleanza con i moderati, dopo aver conquistato palazzo Chigi. Per quanto Nichi Vendola abbia dimostrato la sua assoluta lealtà nei confronti del segretario del Pd e abbia firmato una carta d'intenti secondo cui le questioni controverse verranno decise a maggioranza, il segretario del Pd preferisce avere sufficienti margini di manovra.
Ma nel futuro del Partito democratico c'è anche un congresso nel 2013. Bersani ha già detto che non si ricandiderà. E Renzi ha ripetuto più volte che a lui quella poltrona non interessa. Ebbene, c'è un nome che potrebbe spiazzare molti critici di Bersani: quello di Fabrizio Barca. In un'intervista al Fatto il ministro della Coesione territoriale non ha nascosto che gli piacerebbe occuparsi del partito. Uno come lui, al di fuori dai giochi di palazzo, ma ancorato a una salda tradizione di sinistra, potrebbe essere l'uomo adatto per guidare il Pd quando Bersani sarà al governo. In più il ministro ha dalla sua un altro notevole vantaggio: è molto stimato anche da Sel. Con lui alla guida del Pd si potrebbe arrivare all'unificazione con il movimento di Vendola.
Ma tutto ciò fa parte del futuro, per quanto prossimo. Nel presente c'è il problema delle candidature che, come sempre, provoca polemiche, tensioni e dissapori. L'oggetto del contendere è il listino, e non solo quello. Chi saranno i fortunati che avranno la garanzia di essere eletti? Si parla del direttore dell'Unità Claudio Sardo, per quanto il giornalista neghi. E dell'esperto di diritto amministrativo Luciano Vandelli. Tra i papabili, inoltre, il giudice anticamorra Raffaele Cantone, il quale però non è stato ancora contattato, e Marco Mancini, presidente della Conferenza dei Rettori delle Università italiane. In pista anche i giovani esponenti dello staff del segretario: Alessandra Moretti, Roberto Speranza e Tommaso Giuntella.
Ma ci saranno pure dei parlamentari di lungo corso: Beppe Fioroni, Franco Marini, l'ex tesoriere del Pd versione Veltroni Mauro Agostini e Giancarlo Bressa. Nel listino potrebbero essere recuperati la deputata gay Paola Concia e il capogruppo del Pd in commissione Ambiente del Senato Roberto Della Seta. Quest'ultimo è un renziano e, come è noto, il sindaco di Firenze non vorrebbe parlamentari nel listino. Potrebbe essere però lo stesso Bersani a inserirlo. Della Seta ha fatto una grande battaglia sull'Ilva, che è il tallone d'Achille di tutto il centrosinistra, come dimostra anche il fatto che Anna Finocchiaro, candidata alle primarie a Taranto, ieri sia stata contestata proprio nella cittadina pugliese.
Non è solo il listino a creare frizioni all'interno del partito. Anche le primarie indette in fretta e furia hanno provocato problemi e malumori. La senatrice Annamaria Carloni, moglie di Antonio Bassolino, si è lamentata del fatto che il suo partito non la sta sostenendo nella campagna elettorale. E Roberto Giachetti ha messo il dito nella piaga delle primarie: «È significativo che io riceva sms per le candidature di Fassina e Morassut. È bello comprendere che alcuni hanno elenchi e telefoni degli iscritti al partito e degli elettori delle primarie del 25 novembre e altri no. E' bello sapere che si compete ad armi pari nel Pd...».

Corriere 28.12.12
I numeri dei sondaggisti e la gara per il Senato: il rischio del pareggio c'è
Lombardia decisiva come l'Ohio nel voto Usa
di M. Antonietta Calabrò


ROMA — «Tutto si giocherà al Senato e, quindi, tutto si giocherà in Lombardia, che è per l'Italia quello che per le elezioni del Presidente degli Stati Uniti, sono contemporaneamente l'Ohio e la California: l'Ohio perché è uno Stato contendibile (né tradizionalmente democratico né tradizionalmente repubblicano) e la California per il grande numero di seggi che attribuisce nelle votazioni», dice il professor Roberto D'Alimonte ordinario nella facoltà di Scienze Politiche della Luiss Guido Carli dove insegna Sistema Politico Italiano.
A meno di sessanta giorni dalle elezioni del 24 e 25 febbraio, ci sono solo due certezze. La prima è che a meno di un cataclisma non prevedibile il Pd raggiungerà agevolmente la maggioranza della Camera. La seconda è che invece i giochi non sono ancora fatti per il Senato. E che si potrebbe riprodurre a Palazzo Madama lo stesso scenario del 2006. Sette anni dopo, lo stesso film, vista la buona rimonta del Pdl nei sondaggi: «Per le elezioni 2013 l'obiettivo del Cavaliere sarà almeno quello di raggiungere il 28/29 per cento dei voti» ha spiegato Alessandro Amadori direttore di Coesis Research. Anche se nulla è scontato, e la strada è davvero ancora molto lunga.
Quello che è sicuro infatti è che al Senato, i voti contano davvero, ed è lì, e solo lì, che il Partito Democratico potrebbe rischiare di non avere la maggioranza.
«Per i dati che stiamo raccogliendo in questi giorni», spiega Renato Mannheimer dell'Ispo, docente di Analisi dell'opinione pubblica, «al Senato siamo veramente sul filo di lana». Mannheimer parla di un possibile riproporsi «dello spettro del 2006» e concorda: «Tutto si giocherà in Lombardia, che assegnerà ben 49 seggi senatoriali».
I fattori che rendono la Lombardia determinante sono almeno tre. Il primo riguarda quello che possiamo chiamare l'effetto election day e cioè, spiega Alessandra Ghisleri, di Euromedia research (che fornisce i sondaggi a Silvio Berlusconi), «l'effetto trascinamento della corsa a presidente della Regione dei tre candidati, Umberto Ambrosoli, Bobo Maroni, e Gabriele Albertini, sul voto dei collegi del Senato per le politiche». Un trascinamento che potrebbe spostare fino al 5 per cento degli elettori. Anche considerando le differenze dei collegi in cui i candidati sono più forti (Maroni in Lombardia 2 e 3, cioè Varese e Brescia, Albertini e Ambrosoli su Milano e Monza).
Il secondo fattore è la redistribuzione dei seggi in base al censimento del 2011 che attribuiscono due scranni in più a Palazzo Madama alla regione lombarda, rispetto al 2008 e a scapito della Campania (-1) e della Sicilia (-1).
Ma è il terzo ed ultimo, il vero elemento fondamentale, quello che farà la differenza: cioè i due scenari completamente diversi che si delineeranno a seconda che il Pdl riuscirà o no a stringere l'accordo elettorale con la Lega Nord. «È questo il vero, ultimo tassello che dobbiamo conoscere per mandare a posto tutti gli elementi del puzzle» spiega D'Alimonte.
Esattamente quanto dimostrano gli ultimi dati raccolti pochi giorni fa ed elaborati il 25 dicembre dal sito di sondaggi Scenaripolitici.com (ma naturalmente senza poter testare ancora l'effetto della salita in politica di Monti). Per il Senato, si fronteggiano infatti già due differenti ipotesi a seconda se il Pdl riuscirà o non riuscirà a scendere in campo con la Lega: lo scenario «A» vede, nel primo caso la Lombardia assegnata al centrodestra, sia pure allo stato non «solid» («sicuro») ma solo «leaning» («tendenziale»). Mentre nello scenario «B», invece, cioè nell'ipotesi in cui questa alleanza non ci sarà, la Lombardia verrà attribuita (questa volta «solid») al Pd e al centrosinistra.
Solo nell'ipotesi «A» la lista Monti giocherà un ruolo decisivo, perché solo con un buon risultato del Pdl al Senato (e in primis in Lombardia), potrà giocare un ruolo di ago della bilancia nei confronti del centrosinistra. «È un effetto paradossale» — spiega un esperto — e la «salita in campo» del Professore potrebbe essere decisiva in Senato nei confronti del progetto «prendo-tutto» del segretario del Pd, Pierluigi Bersani, solo se quanto meno la Lombardia «finisse» in mano al Pdl e ai suoi alleati. È in ogni caso strada obbligata è che a Palazzo Madama la «lista Monti» sia una lista unica, perché solo così essa può superare lo sbarramento dell'8 per cento previsto dal Porcellum che invece penalizza le coalizioni facendo salire l'asticella fino al 20 per cento del totale perché esse possano ottenere seggi e abbassare la soglia di ogni singola lista partecipante al 3 per cento dei voti ottenuti e non all'8 per cento.

Repubblica 28.12.12
“Dall’Europa alle politiche sociali agenda Monti molto deludente il conservatore è lui non la Cgil”
Camusso: solo imprenditori nella sua società civile
Intervista di Roberto Mania


«Ci sono i titoli ma mancano le proposte»: giudizio netto quello di Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, sull’agenda Monti. «È stata una lettura deludente, priva di pensiero innovativo. Un déjà vu», dice il capo del più grande sindacato italiano additato proprio dal premier dimissionario come uno dei soggetti della conservazione.
Camusso, ma lei se l’aspettava che Monti scegliesse l’impegno politico?
«Lo dissi in tempi non sospetti che il cosiddetto patto per la produttività, quello che la Cgil non ha firmato, costituiva un’operazione politica. Dunque non mi ha stupito la mossa di Monti anche se rimango perplessa su come un governo nato super partes possa partecipare a una competizione elettorale».
Quella sulla produttività era un’operazione politica perché finiva per escludere la Cgil?
«Perché sceglieva uno schieramento, dava vita a una grande coalizione attraverso la quale realizzare un’operazione di divisione».
Che poi ha portato Monti a definire la Cgil conservatrice?
«Non mi affascina dare voti. Certo quella mi pare una tesi ardita tanto più che proviene da chi ha negato la concertazione e al massimo ha “concesso” la consultazione».
Resta il fatto che Monti vi considera un ostacolo all’innovazione.
«Mi pare che a partire dal capitolo sull’Europa, l’agenda Monti sia totalmente espressione di una posizione conservatrice. Rispetto a un dibattito che si pone il tema della federazione degli stati europei, il programma del presidente del Consiglio è fermo al fiscal compact. Da quella concezione dell’Europa deriva anche l’assenza delle politiche sociali nell’azione del governo e che l’agenda ripropone».
I vincoli europei vanno però rispettati. O pensa che vadano ridiscussi?
«Certo che quei vincoli vanno rispettati. E capisco che dopo Berlusconi andava precisato, ma non si può ridurre l’Europa al fiscal compact».
Ritiene che ci siano somiglianze tra il programma di Monti e quello del ‘94 di Berlusconi?
«Alcuni lo pensano, io no. L’unica cosa che mi sconcerta è l’idea che nella società civile esistano solo gli imprenditori. Non c’è nient’altro. Manca la società che certo è un paradosso per chi sostiene — e io condivido — che si debba superare l’individualismo per ritornare a una dimensione collettiva. La “mancanza di società” conduce così a sorvolare sui temi decisivi come per esempio quelli della cittadinanza per tutti coloro che nascono in Italia o della laicità».
Quale ruolo pensa abbia avuto la Chiesa nella costruzione della discesa in campo di Monti?
«Penso che la Chiesa si sia fin troppo occupata della sfera secolare del potere. Ma è difficile non vedere una sua influenza nella concezione tradizionalissima e poco realistica della famiglia, quale emerge dall’agenda Monti».
Non è d’accordo con Monti quando sostiene che si deve ridare vigore alla produzione industriale?
«Significativamente il capitolo sull’industria comincia citando tre casi: Ilva, Alcoa, Irisbus. Perfetto: tre vertenze non risolte. Le ricordo che Monti è il presidente del Consiglio dimissionario. Quelle vertenze le ha gestite anche il suo governo».
C’è anche la proposta di istituire un Fondo per le ristrutturazioni industriali. Non le piace?
«Il limite di quell’agenda è che si baffida tutto al fisco e alla ripresa degli investimenti dei privati. Allo Stato non viene affidato alcun compito. Perché non si propone di incrementare gli investimenti pubblici produttivi? L’unica leva su cui si opera è quella fiscale. Si riduce tutto a una manovra fiscale, con l’attivazione di crediti di imposta, di defiscalizzazioni, di trattamenti fiscali diversificati. Per il resto ci sono i temi, ma mancano i relativi svolgimenti».
Sul lavoro c’è un pacchetto di proposte sui giovani e le donne. Idee conservatrici?
«Si dice che c’è il dualismo nel mercato del lavoro ma non come uscirne. E soprattutto si dice che non vanno toccate le nuove norme sul lavoro. Difficile non essere d’accordo che al massimo si possa rimanere disoccupati per un anno. Domanda: come?».
Quello sulle donne non è un capitolo originale?
«Per la verità Monti aveva detto le stesse cose nel suo discorso di insediamento davanti alle Camere. E poi sono almeno dieci anni che noi della Cgil, forti anche di uno studio proprio della Bocconi, sosteniamo che con 100 mila nuovi posti di lavoro di donne il Pil potrebbe crescere dell’1,5 per cento. Ma poi, le politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia Monti pensa di farle con la leva fiscale o con i servizi pubblici? Di tutto questo non c’è traccia. Così come sono stati espunti il Mezzogiorno, la coesione sociale, e lo stesso fenomeno della povertà infantile».
Eppure si riconosce la centralità della scuola. Più che la Thatcher, come lei ha detto, Monti copia Tony Blair. Non crede?
«Sulla formazione e la scuola, al di là del titolo, il documento cita solo la valutazione degli insegnanti e nulla dice come rimediare ai tagli. Mi pare davvero poco se, come penso, su scuola e formazione costruiamo il nostro futuro».

l’Unità 28.12.12
Perché è nociva l’agenda Alesina-Giavazzi
di Massimo D’Antoni


RISPETTO ALL’AGENDA MONTI SONO NOTE LE RISERVE ESPRESSE DA SINISTRA SUI TEMI DEL LAVORO DELL’EQUITÀ E DEI DIRITTI. Non mancano tuttavia obiezioni di ben altro segno. È il caso dell’editoriale apparso ieri sul Corriere della sera a firma Alesina e Giavazzi. I due economisti lamentano un eccesso di timidezza di Monti sul fronte della riduzione della spesa pubblica e del ridimensionamento del ruolo dello Stato. La loro tesi è nota: la spesa pubblica non va razionalizzata, va ridotta in modo significativo. È la classica tesi dei conservatori americani, per cui la crisi europea sarebbe l’effetto di un sistema di welfare troppo generoso e la cura un abbandono del modello sociale europeo. Sfortunatamente Alesina e Giavazzi sviluppano la loro critica scegliendo gli esempi e gli argomenti sbagliati. Gli esempi sono quelli di sanità e università, gli argomenti quelli della sostenibilità e dell’equità.
Come è noto, nella quasi totalità dei Paesi sviluppati la sanità è finanziata prevalentemente con risorse pubbliche (imposte e contributi) e l’accesso è universale, cioè garantito a tutti i cittadini indipendentemente dalla capacità di pagare. La soluzione del finanziamento pubblico è ritenuta superiore in quanto consente un maggiore controllo della crescita della spesa e impedisce forme di segmentazione tipiche dei mercati assicurativi privati. I vantaggi del pubblico sono ovvi nel confronto con la principale eccezione a tale soluzione, cioè il sistema americano, che è di gran lunga il più costoso, il meno equo e il meno efficiente nella copertura dei rischi.
Alesina e Giavazzi non arrivano a suggerire l’adozione del sistema privatistico di tipo americano. Essi tuttavia propugnano l’introduzione di forme di selettività nell’accesso alle cure. Non è equo né ragionevole, essi argomentano, che ricchi e poveri abbiano accesso gratuito ai servizi. Non sarebbe preferibile abbassare le imposte e far pagare i ricchi per i servizi? Le poche risorse disponibili potrebbero essere concentrate per fornire servizi gratuiti ai non abbienti. Un argomento che non manca di attrattiva, ma che tuttavia non convince. Si potrebbe infatti semplicemente ribaltare l’argomento: quale è il vantaggio per un individuo con reddito medio-alto di pagare meno imposte se il maggiore reddito disponibile deve essere speso pagando le cure di tasca propria o sottoscrivendo una costosa polizza privata?
È inoltre difficile immaginare che, una volta spinto a pagarsi le cure di tasca propria, tale individuo sarà favorevole a finanziare ulteriormente il servizio pubblico di cui solo gli individui a reddito più basso traggono beneficio. È dunque probabile che nel tempo il risultato sarà una riduzione delle risorse destinate alla sanità pubblica, che diventerà sempre più la sanità «dei poveri», mentre i ricchi si rivolgeranno alla costosa ma qualitativamente migliore sanità privata.
Gli studiosi parlano di «paradosso della redistribuzione»: concentrare le risorse in modo mirato sui meno abbienti, una strategia in apparenza ispirata a principi di equità, finisce sistematicamente per produrre esiti meno egualitari e meno redistributivi. È per questo che i sistemi di welfare dell’Europa continentale, a differenza di quelli anglo-sassoni, tengono duro sui principi di universalismo e utilizzano con grande cautela lo strumento della selettività.
Un discorso analogo vale per l’altro esempio citato da Alesina e Giavazzi, quello dell’università: siccome all’università pubblica vanno comunque i giovani delle famiglie a reddito medio-alto, il finanziamento a carico della collettività intera configura una sorta di redistribuzione al contrario. La soluzione? Il modello dell’università Bocconi, che potendo contare (oltre che sui trasferimenti pubblici) su rette elevate, fornisce agli studenti un servizio di qualità e figura molto bene nelle classifiche internazionali. L’esempio scelto è ancora una volta infelice e ha il sapore della beffa, visto che i tagli all’università pubblica degli ultimi anni hanno già fatto molto per favorire il processo di cui dicevamo a proposito della sanità: chi se lo può permettere manda i figli all’università privata (o all’estero); gli altri si arrangiano con quello che passa il magro bilancio pubblico.
Non sappiamo se e quanto il presidente Monti si mostrerà sensibile ai suggerimenti dei due economisti. Quell’impostazione non gli deve essere del tutto estranea, vista che non è molto diversa da quella dell’editoriale dell’Economist da lui citato nella conferenza stampa di domenica. Ma l’agenda Monti non è l’agenda Alesina-Giavazzi, e questo, nella prospettiva di una collaborazione con il centrosinistra, è già un buon punto di partenza.

l’Unità 28.12.12
Non diamo ai privati i beni culturali
di Vittorio Emiliani


DOPO UN MINISTRO LATITANTE, LORENZO ORNAGHI, IL PEGGIORE DI UNA STORIA QUARANTENNALE, un’Agenda che assomiglia a un brodino di dado (vecchio) a fronte di un ministero per i Beni e le attività culturali vicino al collasso, all’immobilità e quindi all’impotenza contro speculatori, tombaroli, privatizzatori sciolti e a pacchetti, lottizzatori legali e abusivi, piazzisti di pale eoliche tanto inutili quanto devastanti (magari su vigneti e oliveti di pregio) e di distese di panelli fotovoltaici messe a tappezzare campi prima coltivati. Con tutto lo spettacolo dal vivo che boccheggia, riduce programmazione e spesso qualità, ricerca e avanguardia.
Tutto qui lo sforzo del professor Monti e dei suoi collaboratori per un «motore» strategico come la cultura? Una paginetta palliduccia, con appena 14 righe dedicate ai beni culturali (retoricamente definito patrimonio «che non ha eguali al mondo») e le altre 17 al turismo. Che per l’Agenda sembra davvero l’unica ragione di conservazione di un complesso che vanta oltre 4.000 musei, 95.000 fra chiese e cappelle, 2.000 siti e aree archeologiche, 40.000 fra torri e castelli, migliaia di biblioteche antiche e di archivi plurisecolari, di palazzi civici ed ecclesiastici inseriti in oltre 20.000 centri storici dei quali almeno mille di una bellezza stordente, con 800 teatri storici e tanto altro ancora. Spesso ben restaurato in anni che parevano infelici e che ora ci sembrano persino felici, inserito in paesaggi mirabili, «fatti a mano» per secoli. Quella che Goethe, ammirato, chiamò, riprendendo Averroè, «una seconda natura» (la natura naturata) costruita da artisti, artigiani, artieri geniali e di gusto.
Eppure il presidente della Repubblica Napolitano, agli Stati generali della cultura, aveva detto cose ben più forti e profonde esortando a desistere dai tagli e a darsi una politica per la cultura, per la ricerca, secondo l’art. 9 della Costituzione. Nell’Agenda Monti viene vantato l’avvio del progetto Pompei che – come ha giustamente rilevato Maria Pia Guermandi su Eddyburg – è tutto finanziato dalla Ue e dall’aprile scorso non ha mosso ancora un sol passo. Con quella Soprintendenza speciale di fatto commissariata.
Per i grandi musei statali la ricetta-Monti è la «partnership pubblico-privato», con lo Stato esangue che non ha euro da investire e chiede ai privati di sostituirlo cedendo loro, a quanto si può capire, la gestione e la regia tecnico-scientifica. Saremmo l’unico Paese sviluppato in cui i privati entrano nei musei statali non per dare soldi ma soprattutto per prenderne. «I privati dentro la gestione di un museo pubblico?», mi chiese stupito un importante storico dell’arte americano allorché Ornaghi lanciò la Grande Brera privatizzata. «Ma è come mettere la volpe nel pollaio...». E la storica dell’arte Jennifer Montagu, inglese, bollò l’operazione Brera (con l’Accademia di Belle Arti allontanata dal palazzo piermariniano) come «decisione vergognosa e disastrosa». Per contro l’ex ambasciatore Sergio Romano definiva «giacobini» i tanti intellettuali che – a partire da Catherine Loisel conservateur en chef del Louvre – si opponevano a quel progetto. Perché difensori del primato dell’interesse generale su quelli privati?
Così va l’Italia e ancor peggio andrebbe se dovesse prevalere l’idea che un patrimonio «che non ha eguali al mondo» (Monti dixit) fosse trattato come un «giacimento», una «macchina da soldi», e non come un valore strategico «in sé e per sé» (sia o no redditizio). Anche per il Pd c’è però un insegnamento in questo mediocre capitoletto dell’Agenda Monti: ribalti il discorso e sulla cultura imposti un’orgogliosa strategia alternativa, ridia slancio e fiducia ai tanti operatori culturali (pubblici e privati) capaci, meritevoli, coraggiosi e però frustrati, preveda incentivi per i privati che vogliono essere sponsor e mecenati, restituisca entusiasmo ai milioni di italiani (e di stranieri) che amano il Belpaese, la sua arte, la sua musica, il suo teatro, le sue città, i suoi inarrivabili e minacciati paesaggi. Dica forte e chiaro che la Bellezza è un bene sociale che riguarda tutti.

La Stampa 28.12.12
La rivoluzione anti-dolore in sala parto
di Eugenia Tognotti


La notizia che dal 2013 l’epidurale, la ben nota tecnica di controllo del dolore durante il parto, sarà inclusa nei nuovi Lea (Livelli essenziali di assistenza) non è, con tutta evidenza, tra quelle di vertiginoso appeal mediatico. Cosa che l’ha destinata, nei giorni scorsi, complici anche le turbolenze politiche, ad un’effimera e settoriale attenzione. Eppure il fatto che quella tecnica anti-dolore entrerà tra le prestazioni rimborsate dal Servizio Sanitario Nazionale, rappresenta una piccola rivoluzione in un Paese come il nostro, dove partorire con dolore è la regola, dato che solo una trascurabile percentuale di donne ha la possibilità di accedere ad un servizio di analgesia in travaglio, prevista, ma non applicata, nei fatti, nelle strutture sanitarie della maggioranza delle regioni italiane.
Riconosciuto da tempo come un diritto; rivendicata da tanti movimenti e associazioni di donne, l’epidurale che silenzia il dolore del parto è - ad un secolo dalla sua comparsa sulla scena - una pratica discussa. E tutt’altro che unanimemente accettata, anche tra gli addetti ai lavori, ginecologi, ostetriche, anestesisti, nel quadro di un dibattito più generale nel quale si affacciano le critiche alla medicalizzazione del parto e al dominio esclusivo della medicina sull’evento nascita. In ogni tempo il dolore del parto - considerato una componente inscindibile ha alimentato riflessioni di carattere medico, etico-morale, culturale e sociale. Fenomeno vitale, non associato a nessuna malattia, occupa un posto a sé nella storia del dolore, dei mezzi e degli studi per combatterlo. L’inesorabile condanna contenuta nel famoso versetto della Genesi (3,16): «Tu partorirai con dolore», non ha risuonato invano lungo i millenni. Una punizione, associata al peccato di Eva e da cui Dio non aveva voluto esonerare nessuna donna. Se la lotta al dolore del corpo e della mente era considerato, da sempre, compito primario della medicina, Divinum opus est sedare dolorem; l’idea di analgesia in ostetricia trovava resistenze anche tra i medici e si scontrava con l’impostazione teologica che aveva segnato il pensiero occidentale.
Così, quando, verso la metà dell’Ottocento, il medico scozzese James Young Simpson, pioniere dell’anestesia ostetrica, comincia a introdurre il cloroformio per alleviare il dolore del parto, deve affrontare le resistenze dei colleghi, convinti che il dolore svolgesse un ruolo vitale, funzionale nel parto. Ma anche quelle, potentissime, del clero anglicano che lo accusava di interferire nel piano di Dio per l’uomo. Deciso a diffondere quella pratica, ricorse ad argomenti di cui indovinava la presa, attingendo alle Sacre scritture. Dopotutto, la prima operazione sotto anestesia non era forse opera di Dio, che aveva fatto addormentare profondamente Adamo prima di togliergli la costola da cui sarebbe nata Eva? «Il Signore Dio fece cadere un profondo sonno su Adamo, che si addormentò; e prese una delle costole di lui, e richiuse la carne al posto di essa». Le obiezioni erano però destinate a cadere di fronte alla scelta della regina Vittoria, che dopo aver partorito tante volte, con dolore, fece ricorso al cloroformio nel dare alla luce, nel 1853, il principe Leopoldo.
Ad ogni tempo la sua scena del parto. Nel nostro, la moderna analgesia ostetrica può vincere la sofferenza e il dolore, contribuendo ad un processo di umanizzazione. La donna in travaglio ha diverse alternative. Se la scelta sarà quella dell’analgesia epidurale - una metodica consolidata, efficace e sicura - dovrà esserle garantita a titolo gratuito nei livelli essenziali di assistenza. Davvero, non solo sulla carta e 24 ore su 24. C’è da sperare che non siano il venir meno della copertura finanziaria, l’insufficiente organizzazione ospedaliera, la mancanza di volontà delle strutture, nelle sue componenti, a condannare le donne «a partorire con dolore».

Repubblica 28.12.12
Roma, il palazzo dei disperati che adesso imbarazza l’Italia
L’attacco dell’Herald Tribune: offrono asilo ai rifugiati epoi li dimenticano
di Sara Grattoggi


ROMA — Da cinque anni Tesfay Teklay vive in una città che non compare su nessuna mappa. Invisibile, «proprio come mi sento io» dice. Tesfay è uno degli 800 migranti del Corno D’Africa che da anni abita in un edificio occupato nella periferia a sud-est di Roma che hanno chiamato “Salam Palace”: il palazzo della pace. Dentro ci vivono uomini e donne fuggiti da guerre e persecuzioni in Eritrea, Etiopia, Sudan, Somalia, stranieri che hanno ottenuto lo status di rifugiati. Ma la loro odissea continua ogni giorno a Roma, in questa vecchia sede dell’università di Tor Vergata che ora imbarazza l’Italia dopo che l’International Herald Tribune ha dedicato ieri al caso la prima pagina, denunciando «il paradosso italiano dei rifugiati, prima accolti e poi dimenticati». Il quotidiano statunitense ricorda il giudizio che il commissario per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks, aveva espresso a luglio, dopo aver visitato il Salam Palace, documentando «le scioccanti condizioni in cui vivono uomini, donne e bambini». Dopo la denuncia dell’Herald Tribune, il Viminale ha annunciato che «a breve sarà avviato un tavolo per definire un progetto di inclusione sociale». Un nuovo capitolo nella lunga storia dell’edificio di proprietà dell’Enasarco, occupato da anni dai rifugiati. Nel 2006, il Campidoglio guidato da Veltroni cominciò a pagare un canone all’Enasarco per l’affitto e le bollette.
L’anno successivo le istituzioni decisero di trasferire i rifugiati in strutture più idonee. L’accordo con i migranti, però, non fu mai raggiunto. Così molti rifugiati scelsero di rimanere nell’edificio occupato, dove oggi vivono, ammassate in mini-appartamenti fatiscenti ricavati dalle aule, centinaia di famiglie. Come quella di Tesfay, che fra queste mura ha conosciuto la moglie, che un anno e mezzo fa ha dato alla luce il loro primo figlio. «Dal 2007 le istituzioni si sono dimenticate di loro» afferma Donatella D’Angelo dell’associazione Cittadini del mondo: l’unica presenza italiana nello stabile di via Cavaglieri. La D’Angelo con i suoi volontari ogni giovedì sera riceve i pazienti in un ambulatorio medico allestito nel palazzo. «L’incidenza di malattie è altissima e in queste condizioni il contagio è inevitabile» spiega il medico. Al secondo piano per 45 persone c’è un unico bagno. E siccome gli inquilini aumentano, gli ultimi arrivati dormono sul terrazzo, con un materasso per terra. Nonostante le precarie condizioni igienico- sanitarie, i rifugiati hanno creato nel palazzo una comunità, guidata da un consiglio di 8 rappresentanti, due per ogni etnia. «Non abbiamo nulla, ma proviamo a vivere con dignità» racconta Kedane, uno dei membri del consiglio, mostrando la piccola lavanderia e il barbiere al primo piano. C’è anche un minimarket: «Alcuni supermercati ci regalano la merce in scadenza, noi la rivendiamo qui e usiamo i soldi per i lavori di manutenzione necessari, ma non bastano mai. Ci manca tutto. L’Italia ci ha accolto come rifugiati, ma poi ci ha abbandonato» dice Tesfay.
Una questione su cui si è espresso anche dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati: «L’Italia soddisfa quasi il 50 per cento delle richieste di asilo politico. Il problema viene dopo» riconosce Laurence Jolles, delegato Unhcr per il Sud Europa. «Il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) mette a disposizione circa 3mila posti, ma nel solo 2011 le domande d’asilo presentate sono state 34 mila e il 35 per cento di queste sono state accettate. Il governo punta il prossimo anno ad arrivare a 5mila posti, ma si tratterà comunque di una goccia in un mare» conclude Jolles.

Corriere 28.12.12
Le stragi nelle scuole, suicidi di menti malate
risponde Sergio Romano


Parlando della strage di Newtown tutti si affannano a cercarne la spiegazione nella permissività delle leggi americane sul possesso delle armi e sull'instabilità mentale degli autori di tali stragi, dimenticando come in Europa, nella civilissima e tollerante Norvegia senza armi, una persona, dichiarata sana di mente abbia eseguito una delle stragi più sanguinose della storia, battendo — per numero di morti — ogni record americano. O forse i ragazzi morti a Utoya non contano perché partecipavano a un raduno politico e non erano in un campus scolastico?
Gino Codella

Caro Codella,
Un confronto ancora più calzante è quello con il massacro che ebbe luogo nella scuola di una cittadina scozzese, Dunblane, nel 1996. Come è stato ricordato negli scorsi giorni, la somiglianza è sorprendente. I morti furono 17, contro i 26 di Newtown, e le vittime, in entrambi i casi, furono soprattutto bambini fra i 5 e i 7 anni. La tragedia scozzese provocò un appello al governo, firmato da un milione di persone, per una legislazione più restrittiva sulla circolazione delle armi e per l'approvazione di nuove norme. Negli Stati Uniti, sinora, l'orrore provocato da queste vicende si è sempre scontrato con il «diritto alle armi» tutelato dalla Costituzione, e la formidabile resistenza della National Rifle Association, la lobby che raggruppa fabbricanti, negozianti e consumatori.
Le armi, d'altro canto, sono soltanto una parte del problema. È molto possibile che la commissione, voluta dal presidente Obama e presieduta dal vicepresidente Biden, proponga misure più rigorose per le armi automatiche, e che il Congresso traduca la proposta in una nuova legge. Ma le armi leggere continueranno a circolare nella società americana più facilmente di quanto accada in altre democrazie occidentali e nessuna legge potrà rimuovere le motivazioni psicologiche di questi avvenimenti. L'autore di questi massacri è molto spesso un aspirante suicida che vuole mettere in scena la propria morte e attirare sulla propria personale vicenda la maggiore attenzione possibile. È un individuo frustrato e depresso che si ritiene vittima di soprusi, spesso immaginari, e vuole vendicarsi con un gesto clamoroso. Sceglie una scuola, come nel caso di Adam Lanza e di quanti lo hanno preceduto, perché sa che un massacro di bambini è l'evento che maggiormente colpisce la pubblica opinione. Il terrorismo suicida degli islamisti radicali e il piano disegnato da Anders Behring Breivik, responsabile della strage di Utoya, rispondono a motivazioni ideologiche e hanno obiettivi politici. Ma anche in politica vi sono individui e gruppi che credono di sfidare in questo modo un nemico onnipotente da cui si considerano braccati e perseguitati. È possibile cambiare le leggi, proibire la vendita di alcune armi, limitare drasticamente la loro circolazione. È meno facile prevedere le azioni di una mente malata soprattutto in un mondo dove la violenza è la materia prima di film, serie televisive e videogiochi.

il Fatto 28.12.12
Il sogno americano: un mitragliatore sotto l’albero
Boom di vendite del fucile usato per la strage dei bambini in Connecticut
E anche degli zaini anti-proiettile per gli scolari
di Angela Vitaliano


New York Sheeba Anderson, il giorno di Natale, è tornato a casa contento, stringendo il suo pacco forte per essere sicuro di non perderlo. A 6 anni non ti importa se Babbo Natale il tuo regalo lo ha lasciato in chiesa, con tutti gli altri destinati ai bambini orfani o in affido. Peccato che il regalo di Sheeba non sia piaciuto affatto alla donna che cura la casa famiglia di Harlem, perché all'interno conteneva una pistola. Vera.
Proprio la tragedia del Connecticut che ha scosso l'opinione pubblica, spingendo il presidente a compiere i primi timidi passi verso una regolamentazione più severa sulle armi, ha dato un vigore spaventoso alla passione degli americani per pistole e fucili, facendo schizzare alle stelle i numeri delle vendite. E se il piccolo Sheeba, ignaro della pericolosità del suo regalo, è corso a mostrare contento la sua pistola alla signora Anderson che, terrorizzata, gliel'ha strappata di mano lasciandolo con un'espressione tristissima. Molti altri amiericani non hanno trovato invece di meglio che farsi immortalare su Twitter e Facebook con in mano i loro preziosi gingilli trovati sotto l'albero. Ancora più raccapriccianti i messaggi che li accompagnavano, tipo quello di Sara che scrive “non vedo l'ora di vedere la faccia di mio marito quando aprirà il suo regalo. Gli ho comprato un AR15 prima che siano tutti vietati”. L'AR15, è l'arma che è stata usata da Adam Lanza nella strage della scuola di Newport dove hanno perso la vita venti bambini e sei adulti. Un altro tweet diceva “vedere mio cugino di 10 anni imbracciare l'AR15 trovato sotto l'albero mi rende molto invidioso”.
LA PREOCCUPAZIONE che il governo federale possa imporre un divieto sulle armi automatiche e da guerra, ha fatto incrementare le vendite. “Normalmente vendo una ventina di queste armi in un mese – dice il responsabile di un negozio di Randolph, nel New Jersey – ma negli ultimi tre giorni ne ho vendute trenta”. La strage di Newtown, d'altro canto, aveva già dato vita mote reazioni inconsulte come quella dell'insegnante della scuola Montessori del Minnesota che si era presentata a scuola armata di una Magnum 357. Momenti di grande successo anche per i produttori di zaini e schermi antiproiettili che, nelle ultime settimane, hanno visto le loro vendite aumentare addirittura del 500%. “Guardavo i numeri delle prenotazioni – dice Elmar Uy, vice presidente della BulletBlocker, azienda produttrice – e non credevo ai miei occhi. Cifre superiori dieci volte alla media”. Gli zaini anti proiettile hanno un costo che va dai duecento dollari a salire, ma per “soli” 175 è possibile procurarsi uno schermo antiproiettile “portatile” che puo' essere facilmente inserito in zaini, borse da donna e borse portacomputer. Lo schermo pesa solo mezzo chilo. Nemmeno dopo la strage del cinema di Aurora le vendite avevano subito una tale impennata. Se la follia sembra dilagare in maniera da un lato, dall'altro c'è chi, come il sindaco di Los Angeles, il democratico Villaraigosa, cerca di favorire le azioni per limitare la circolazioni di armi. Cosi, l'iniziativa “Gun reduction and Youth Development Program”, organizzata con il Dipartimento della Polizia cittadina, che dal 2009 si svolge nel mese di maggio, è stata anticipata a questi giorni in risposta alla strage di Newtown. Grazie alla possibilità di “consegnare” la propria arma alle forze dell'ordine senza dover dare spiegazioni sulla sua provenienza, sono state raccolti oltre 1500 fra fucili e pistole. Per invogliare i cittadini a disfarsene, il Comune ha anche offerto, in cambio, buoni spesa da 100 dollari.

La Stampa 28.12.12
Polizia sotto accusa
India, ragazza si suicida dopo lo stupro di gruppo


NEW DELHI [P. DM.] La violenza di gruppo fa un’altra vittima in India, ancora sconvolta da caso della studentessa 23enne violentata su un bus a New Delhi all’inizio del mese. Una ragazza di diciassette anni vittima di uno stupro da parte di due uomini si è tolta la vita dopo che la polizia aveva cercato di convincerla a ritirare la denuncia e a sposare uno dei suoi aggressori. Un caso che mette alla luce i metodi con i quali le forze dell’ordine locali affrontano i casi di violenza sessuale. L’agguato nei confronti della giovane è avvenuto durante il festival di Diwali lo scorso 13 novembre nella zona del Punjab. La diciassettenne è stata ritrovata morta mercoledì sera dopo aver ingerito del veleno. A violentarla sono stati due giovani, che hanno agito con la complicità di un’altra donna. La sorella della vittima ha raccontato alla televisione che la ragazza era stata invitata ad accettare un risarcimento o a sposare uno degli stupratori. Un poliziotto è stato rimosso dall’incarico e un altro è stato sospeso in relazione alla violenza sessuale. Gli stupri di gruppo avvengono quasi ogni giorno in India, dove lo scorso anno dei 250 mila crimini violenti, oltre 228 mila sono stati commessi contro le donne.

La Stampa 28.12.12
“Le mie poesie, un pugno a chi emargina i rom”
Parla Paul Polansky, autore del Silenzio dei Violini la raccolta di versi che racconta la vita degli “zingari” in Italia
L’assenza di memoria: nell’ex Cecoslovacchia nei luoghi dell’Olocausto un allevamento di suini
Obama non ha risposto alle nostre firme: volevamo i Rom nelle basi Usa
di Mauro Pianta


Barba e capelli bianchi raccolti in una coda, bagliori azzurri che fuggono dagli occhiali, voce che tempesta il silenzio: eccolo qui Paul Polansky, il poeta degli zingari. A 69 anni suonati, lui - un po’ Hemingway, un po’ Santa Claus -, ti stringe la mano e si capisce subito che potrebbe ancora stenderti come quando faceva il pugile vincendo campionati amatoriali negli States. Oggi Paul è un romanziere, un poeta, un antropologo, un documentarista, un fotografo. Ma resta soprattutto un combattente. Non spezza più zigomi, non fracassa nasi o mascelle, si batte per i diritti degli ultimi fra gli ultimi: i Rom. Nato in Iowa, nel 1963 scappa in Spagna per non arruolarsi in Vietnam. A Madrid vive da giornalista free lance. Poi, intraprendendo una lunga ricerca sulle origini della propria famiglia, si trasferisce in Cecoslovacchia. È qui che nel 1991 scova i documenti su un campo di concentramento costruito a Lety, in Boemia, durante la seconda guerra mondiale. Un lager riservato agli zingari, gestito da cecoslovacchi e comandato dal principe Karel VI di Schwarzenberg, padre del ministro degli esteri dell’attuale governo ceco. Un lager di cui nessuno voleva più parlare: Polansky, invece, va a cercare i sopravvissuti. Trascorre gli ultimi 20 anni della sua vita tra rom e sinti, raccogliendo più di 400 testimonianze orali in 19 paesi. Nel 2004 Günter Grass gli consegna il prestigioso premio Human Rights Award. Paul Polansky è stato in Italia nei giorni scorsi per presentare il suo ultimo libro di poesie Il silenzio dei violini (edizioni Il Foglio).
Mr Polansky perché i Rom coagulano così tanto odio?
«Perché spesso, a causa della loro povertà, rubano. Ma ci sono sempre dei problemi quando si ha a che fare con persone molto povere. A New York, un secolo fa, i migranti italiani erano stigmatizzati come sporchi, ladri, parassiti, mafiosi. Poi si sono integrati e hanno dato un grande contributo alla società americana. La soluzione, dunque, non è quella di segregare i Rom nei campi nomadi, ma l’educazione e l’integrazione».
Il suo ultimo libro come affronta questa tema?
«È un testo che, attraverso la poesia, racconta la situazione sociale dei Rom in Italia. Un lavoro scaturito dalla mia permanenza nei campi Rom a Milano, Cagliari, Bologna. E’ diviso in due parti: la seconda sezione è stata scritta da un poeta italiano, Roberto Malini, che si è occupato anche della traduzione dei miei versi. Dentro ci sono le voci, le storie di questo popolo, le loro credenze, le tradizioni, l’emarginazione, il dolore. Ma anche la dignità, l’allegria, le leggende. Mi hanno sempre ripetuto che l’Italia, per loro, era il posto migliore perché gli italiani credono ancora in Dio. Questa raccolta di poesie è un grido prestato a chi è costretto a stare in silenzio».
A proposito di silenzio: qual è oggi la situazione a Lety?
«Ancora adesso, su quello che è stato un campo di concentramento, esiste un allevamento di 25 mila maiali. Abbiamo chiesto di spostarlo: ci sembra un gesto di rispetto senza contare che è contrario alle disposizioni di Helsinki sui siti dell’Olocausto. Il governo ha risposto che trasferirlo, ormai, costerebbe troppo. Un vero sfregio alla memoria e al dolore di un popolo».
Lei ha denunciato anche un’altra ferita inferta agli zingari: la costruzione da parte dell’Onu, nel 1999, a Mitrovica, in Kosovo, di campi profughi destinati ad ospitare rom scampati alla guerra fra serbi e albanesi. Campi, però, costruiti su terreni tossici, contaminati dal piombo
«È l’ennesima tragedia rimossa perché riguarda i Rom. Oggi dopo 13 anni e più di 100 morti, ci sono ancora 12 famiglie che vivono su quei terreni. Ogni bambino concepito all’interno del campo è nato con danni irreversibili al cervello. Quando ho portato uno di loro in Germania per farlo visitare, i medici mi hanno detto: “Questo bambino ha il fegato di un 60enne che beve una bottiglia di whisky al giorno: non arriverà a trent’anni e non potrà avere figli”».
E la petizione on line con 15 mila firme spedite al presidente Obama con la richiesta di accogliere 500 Rom nella base americana del Kosovo?
«Obama non ci ha mai risposto. E dire che parliamo di 500 persone quando ne 1999 gli Usa hanno ospitato 7 mila albanesi kosovari nel New Jersey per salvarli dai serbi».
Ecco, parlando di salvezza: a che serve la poesia?
«Serve a scuotere, a svegliare le coscienze. Una specie di pugno in faccia, insomma».
Perché spendersi per questo popolo?
«Perché è giusto opporsi all’ingiustizia. Perché, lo ripeto, sono esseri umani come noi, nostri fratelli».
Qual è la cosa più bella che ha imparato nella sua vita con gli zingari?
«La loro profonda e limpida fede in Dio, nonostante tutto. Io sono ateo, ma quando ricordo quella frase di Gesù sui poveri che erediteranno il “regno dei cieli” il mio pensiero corre proprio a loro».

Repubblica 28.12.12
Se tocca alla Francia salvare Venezia
di Salvatore Settis


La direzione regionale dei Beni Culturali, su parere dell’Ufficio legislativo del Ministero, ha dichiarato (27 novembre) che l’area è sottoposta ex lege a vincolo paesaggistico a tutela dell’ecosistema lagunare, ma secondo Orsoni il Consiglio comunale ratificherà comunque l’accordo, e per la cessione dei suoli Cardin verserà 40 milioni, indispensabili per «affrontare le imposizioni del patto di stabilità». Invano Italia Nostra stigmatizza le «distorsioni della prassi amministrativa » di un Comune che si arroga i poteri di autorizzazione paesaggistica, mentre le professionalità utilizzate (due geometri e un perito industriale) sono palesemente inadeguate. Intanto, le banche francesi rifiutano a Cardin il prestito di 40 milioni, e mentre lui giocando al ribasso propone di versare “a fondo perduto” solo il 3% (1.200.000 euro), il cardinal nepote Basilicati dichiara che il documento firmato «è solo una bozza».
In tanta confusione, qualche punto è chiaro: primo, i dati sull’inquinamento sono truccati. Nel documento Cardin presentato in Conferenza dei servizi, si vanta una bonifica delle aree destinate al grattacielo (ad opera della Provincia) che non è mai avvenuta, si parla a vanvera di valori nei limiti tabellari di legge, senza precisare che si tratta di valori previsti per le aree industriali e non per quelle residenziali, e si ignora che le fondamenta dovrebbero attraversare tre falde acquifere; intanto la stessa Direzione Ambiente del Comune assicura che farà rispettare le norme contro il dissesto idrogeologico, cioè condanna il progetto senza appello. Secondo: se non avrà i permessi, Cardin minaccia di trasferire in Cina il suo palazzo, con ciò mostrando con quanta attenzione a Venezia esso sia stato concepito, se può indifferentemente stare anche a Shanghai. Terzo: mentre un ex sindaco di Venezia dichiara cinicamente che «il progetto è orribile, ma a caval donato non si guarda in bocca», Cardin monetizza la vista su Venezia, mettendo in vendita a prezzi altissimi gli appartamenti dei piani alti, destinati ai ricchi, «perché ci saranno sempre ricchi e poveri ». Insomma, il suo “dono” è quello che Manzoni chiamerebbe “carità pelosa”, fatta non per amore del prossimo ma per proprio interesse.
Ma mentre il ministro dell’Ambiente Clini ed altri notabili esultano per l’imminente disastro, una dura mozione della massima accademia francese di scienze umane (Académie des Inscriptions et Belles Lettres) «esprime viva inquietudine per le minacce che pesano su Venezia e la laguna. Deplora che navi di grande tonnellaggio continuino a entrare nel bacino di San Marco, sfidando la fragilità di un sito unico al mondo e mettendolo alla mercé di possibili incidenti. Si stupisce che possano esser presi in considerazione progetti architettonici offensivi e assurdi, e osa sperare che il “Palais Lumière” previsto a Marghera, a causa della sua smisuratezza, non venga mai realizzato. Unisce la sua voce a chi disapprova queste iniziative e chiede che vengano respinte ». Dalla Francia viene dunque un forte monito e una lezione di civiltà, coerente con la recente decisione, dopo un referendum popolare, di bloccare il progetto (non di un neolaureato, ma dell’archistar Jean Nouvel) di costruire cinque grattacieli sull’isola Seguin, già sede di stabilimenti Renault (sulla Senna, a 8 km dalla torre Eiffel), riducendolo a un solo edificio, e più basso. Ma perché Cardin, se davvero vuol dar lavoro ai veneti, non può edificare, nei 200.000 metri quadrati che avrebbe a disposizione, cinque torri da 50 metri, con la stessa volumetria totale? Perché l’inquinamento dell’area viene trattato con tanta leggerezza, proprio mentre il patriarca di Venezia Moraglia dichiara che «non è accettabile contrapporre il lavoro alla salute o all’ambiente, come si è fatto a Taranto»? Perché si favoleggia di “risanare Porto Marghera”, quando l’area interessata è di soli 20 ettari su 2.200? Perché i notabili della città fomentano la frattura fra i contrari al progetto e chi con l’acqua alla gola (letteralmente) è pronto a svendere tutto? Perché non rispondere nel merito e passare agli insulti? Tra le non poche finezze di Basilicati c’è infatti anche questa: secondo lui, chi ha firmato contro l’ecomostro (come Dario Fo, Stefano Rodotà, Carlo Ginzburg, Vittorio Gregotti) «usa il nome di Cardin per finire sui giornali». E lo zio Pietro, di rincalzo: «il mio palazzo sarà un faro che illuminerà la città, per giunta gratis». Questi segnali di degrado civile, particolarmente intensi a Venezia, si avvertono in tutta Italia sotto il giogo del “patto di stabilità”. Costringendo i Comuni agli stessi introiti che avevano prima dei drastici tagli dei contributi statali (nel caso di Venezia, anche della Legge Speciale), queste norme inique spingono dappertutto verso la svendita e la privatizzazione dei patrimoni pubblici. Anzi, secondo una fresca intesa tra Demanio e Confindustria, immobili pubblici «di particolare pregio» possono essere venduti «anche per utilizzi industriali» ( Corriere della Sera, 20 dicembre). Abbiamo dunque dimenticato che i beni pubblici sono il portafoglio proprietario dello Stato-comunità, sono la garanzia della sovranità e dei diritti costituzionali dei cittadini, lo «strumento privilegiato delle grandi libertà pubbliche» (Gaudemet)? Il mostro della Laguna succhia a Roma i suoi veleni, e la sua vittima non è Orsoni, è Venezia. La vittima di una “stabilità” cieca che ignora i diritti è la nostra Costituzione. La vittima è l’Italia, che si pretende di salvare condannandola a mettersi in vendita, in balia di avventurieri e nepotismi. Le vittime siamo noi, i cittadini.

Corriere 28.12.12
Enea, quel viaggio continua
Pietà, patriottismo, affetti: l'attualità del poema di Virgilio
di Cesare Segre


«Queste acque e correnti controlla Carònte, nocchiero/ orrido, di spaventoso squallore, a cui giace incolta/ molta canizie sul mento, gli occhi son fissi e di fiamma,/ sordido manto pende dall'omero, stretto in un nodo./ Lui con un palo spinge la barca e governa le vele/ e nel suo scafo colore ferrigno i corpi trasporta». «Cèrbero questi regni assorda latrando imponente/ per tre fauci, immane, riverso in un antro di fronte, vedendogli ai colli già ritte le serpi/ (…) / E l'indovina (la Sibilla) una focaccia gli getta (…) e lui, spalancando le tre gole in fame rabbiosa, quel ch'è gettato ghermisce».
Siamo ai canti III e VI dell'Inferno di Dante? No, siamo nel VI libro dell'Eneide di Virgilio (vv. 298-303; 417-422), e per molti particolari o episodi si constata l'attenzione con cui Dante ha letto il poema di Virgilio, e ne ha fatto tesoro: anche per lui Caronte è «bianco per antico pelo», Inf. III, 83, e «intorno alli occhi avea di fiamme rote» (99); anche per lui Cèrbero «con tre gole caninamente latra», Inf. VI, 14, e ingoia con le «bramose canne» non già la focaccia ma il pugno di terra che gli viene gettato nelle fauci. Le poche centinaia di versi con cui Virgilio narra il viaggio di Enea nel paese dei morti traspaiono in ogni momento dei primi canti della Commedia, che hanno anzi nell'Eneide il modello principale. A pensarci, è meraviglioso che un'opera letteraria avesse ancora un potere modellizzante dopo più di 1300 anni; ma non ce l'ha anche per noi? Altrettanto meraviglioso il cammino dell'invenzione: Virgilio, che scrivendo l'Eneide ha raccontato il mondo dei morti, ora fa da guida nello stesso mondo a Dante, come rivivendo la propria immaginazione.
Però all'influsso stilistico va anche aggiunto quello ideologico, e qui la continuità tematica è ancora più impressionante. Si sa che l'Eneide, secondo un programma encomiastico che però rispecchiava anche l'indole e i gusti di Virgilio, voleva celebrare la pace raggiunta da Augusto dopo decenni di guerre, anche intestine. Così, persino le vicende belliche, inevitabile argomento di un poema epico, erano narrate alla luce, finalmente vicina, di una pace promessa. Un disegno escatologico, in cui entrava anche l'origine della famiglia Giulia e del popolo romano, un destino di cui il greco Enea è il portatore e il simbolo.
Il discorso di Dante è più complesso, ma è strettamente legato a quello di Virgilio. Come si sa, secondo Dante la funzione provvidenziale dell'impero romano è stata quella di favorire l'espansione e l'affermazione del Cristianesimo. Perciò Giulio Cesare e Augusto, come fondatori dell'Impero, hanno svolto un ruolo determinante in un disegno, ancora, escatologico.
La propensione per la pace spicca persino nella struttura del poema, che nei primi sei canti è una narrazione di avventure, spesso dolorose, alla ricerca dell'Italia profetizzata come futura patria, e solo negli ultimi sei canti fa spazio alle guerre per il predominio sulla regione laziale. Come mettere in tandem prima l'Odissea, poi l'Iliade. E si è persino notato che, negli eroi dell'Eneide, vigore e combattività sono meno celebrati da Virgilio che pietà, patriottismo, affetti familiari.
Quest'ultima osservazione si trova già nell'ottima premessa a un'Eneide appena curata e tradotta in italiano: Publio Virgilio Marone, Eneide, traduzione e cura di Alessandro Fo, note di Filomena Giannotti, Einaudi, (pp. CVI-926, € 38). Parlando di traduzioni dell'Eneide, chi ha fatto il liceo qualche anno fa pensa subito a quella, cinquecentesca, di Annibal Caro, in endecasillabi sciolti, che fu a lungo libro di testo. Ma poi ne vennero pubblicate molte altre, con vari tentativi di rendere gli esametri latini. Si sa che la fonazione dei versi latini è lontana dal nostro sistema, dato che all'alternanza di sillabe toniche e atone, con cui abbiamo familiarità anche noi, s'intrecciava un'alternanza quantitativa: vocali lunghe e brevi, secondo schemi prosodici precisi. Si è tentato di far corrispondere i nostri accenti a quelli di un latino letto all'uso moderno, oppure alle lunghe e alle brevi della prosodia quantitativa. In proposito Carducci, che, da eccellente latinista, fece tentativi in questo senso, definiva i suoi prodotti «odi barbare», cioè incolte e un po' blasfeme rispetto alle norme latine: la pubblicazione di queste odi barbare rappresenta un episodio notevole della storia della nostra poesia, col suo programmato abbandono della metrica tradizionale italiana, fatta di versi isosillabici e di rime.
Fo, nel tradurre Virgilio, si allontana dai precedenti noti, e fonda i suoi versi su un'ingegnosa alternanza di schemi dattilici e schemi spondaici, creando delle specie di costellazioni fisse di lunghe e di brevi. Il risultato, a dirla nei termini più semplici, è che i versi della traduzione risultano più adattabili e più ampi del modello latino, così da poter assorbire eventuali esplicazioni del contesto. Basti un esempio, già citato: «Lui con un palo spinge la barca e governa le vele». I tre nuclei del verso si distribuiscono, stando alla prosodia italiana, fra due quinari e un senario (la congiunzione svanisce, assorbita nel nucleo che precede), ma la sequenza complessiva lascia intravedere una presenza di quattro dattili e due spondei. Se la nuova traduzione indurrà qualcuno, anzi molti potenziali lettori, a leggere o rileggere l'Eneide, ancora una volta essi testimonieranno la vitalità dei testi grandissimi. Ma sono proprio i traduttori a garantire, spesso, questo miracolo.

Corriere 28.12.12
New York celebra il «brutale» Pasolini


«A sprawl of brutality», un'espansione disordinata di brutalità: così il «New York Times» definisce l'eredità di Pier Paolo Pasolini, celebrata fino al 5 gennaio in una retrospettiva al Museum of modern art di New York, la più completa mostra dedicata al regista e intellettuale italiano negli ultimi venti anni negli Stati Uniti (la prima fu negli anni Novanta, sempre al Moma). Ripercorrendo i titoli dei suoi più importanti lavori cinematografici, l'autore dell'articolo sottolinea il carattere «indecifrabile, ambiguo e sospeso» della personalità di Pasolini. «Un cattolico non praticante che non perse mai la sua visione religiosa del mondo e un marxista a vita, espulso dal partito comunista perché gay — scrive Lim — un artista e un pensatore che non ha cercato di risolvere le sue contraddizioni, ma di incarnarle pienamente». Tra i film più significativi, è ricordato «Salò, o le 120 giornate di Sodoma», definito «il brutale adattamento del catalogo di degradazione e tortura del Marchese de Sade».

Sette del Corsera 28.12.12
DSM 5
La bibbia del disagio mentale “cancella” la schizofrenia

qui

Repubblica 28.12.12
Il nuovo manuale degli psichiatri Farmaci per la perdita di una persona cara
Big Pharma rompe l’ultima frontiera “Basta una pillola anche per il lutto”
di Paolo G. Brera


Ma chi l’ha detto che solo il tempo può lenire il dramma di un lutto? Gli psichiatri americani hanno cambiato idea: aveva ragione Mary Poppins, basta una pillola «e tutto brillerà di più». Di lutto, assicurano, si guarisce con gli psicofarmaci. Dopo aver inondato di Ritalin l’universo dei bambini scalmanati, ora hanno deciso di abolire la distinzione tra la sofferenza per la morte di una persona cara e la normale depressione, la soglia che fino a ieri impediva di annegare anche il dolore negli antidepressivi. Un colpo di cancellino che vale miliardi per Big Pharma e che poggia su uno studio minuscolo nei numeri, pubblicato sul Journal of clinical psychiatry: assumendo Wellbutrin, una medicina venduta anche in Italia, 22 persone hanno ottenuto un miglioramento nei «sintomi di depressione maggiore subito dopo il lutto di una persona cara». La nuova edizione del Dsm — il “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali” della American psychiatric association (Apa), la Bibbia che detta le linee guida per i trattamenti psichiatrici — eliminerà la clausola di tutela che aveva sempre impedito di diagnosticare il “lutto” come “disturbo depressivo maggiore” se i sintomi non sono gravi e se la loro durata non supera i due mesi. Allen Frances, ilprofessoreemeritodella Duke University che aveva presieduto la precedente revisione del Dsm, definisce il cambiamento una «manna» per le compagnie farmaceutiche. E la mole impressionante di conflitti di interesse tra gli autori della nuova edizione del Manuale è finita in prima pagina sul Washington Post: “Antidepressivi per curare il lutto? Psichiatri collegati alle industrie farmaceutiche dicono di sì”. La quantità di denaro sul tavolo è enorme: il mercato dei farmaci contro la depressione vale negli Usa 10 miliardi di dollari, e non è certo una garanzia di imparzialità il fatto che undici membri del comitato scientifico dell’Apa abbiano dovuto dichiarare rapporti economici con le aziende farmaceutiche, come consulenze retribuite o il possesso di pacchetti azionari. Né lo è che l’autore della giustificazione scientifica per modificare le linee guida sia stato uno degli autori principali dello studio del 2001 sul Wellbutrin, sponsorizzato dalla GlaxoWellcome, in cui si affermava che può essere efficace per trattare il lutto. «Non c’è nessun piano machiavellico ordito dall’industria farmaceutica — ha detto al Washington Post Lisa Cosgrove, ricercatrice del Safra center for Ethics a Harvard — ma quando hai così tanti legami economici in un comitato si crea un pregiudizio a vantaggio dell’industria che compromette la loro capacità di rimanere obiettivi». Normalmente, la depressione viene diagnosticata quando una persona soffre contemporaneamente per più di due settimane di più di cinque sintomi come stanchezza, inappetenza, insonnia, tristezza o difficoltà di concentrazione. Ma il lutto, fino a oggi, era considerata una partita a parte, una condizione temporanea della vita da cui è fisiologico finire a terra. Solo se non ci si riesce a rialzare per mesi, se la vita diventa sempre più nera, solo allora si parlava di depressione. E di antidepressivi.

Repubblica 28.12.12
Il professor Eugenio Aguglia
“Giusto intervenire solo se diventa un male patologico”


«Sarò in contro tendenza rispetto alla task force americana, ma se tutte le reazioni fisiologiche vengono vissute come patologiche e bisognose di farmaci ci troviamo all’esigenza di una terapia per tutta la popolazione mondiale», dice Eugenio Aguglia, ex presidente della Società italiana di psichiatria.
Professore, ma il lutto è una malattia?
«Bisogna vedere cosa si intende per lutto, altrimenti diventa malattia anche la frattura affettiva. Il partner che se ne va e non è più un referente affettivo privilegiato, la perdita di un cane o di un gatto per chi non ha figli... La tristezza, in una prima fase, è fisiologica; semmai sarebbero paradossali il distacco e l’indifferenza ».
Una buona notizia per Big Pharma, un po’ meno per l’umanità?
«Dobbiamo discuterne. Ben diverso è se lo stato di prostrazione fisiologico e di grave sofferenza perdura oltre due o tre mesi, se si rimane incastrati nel ricordo, se ogni giorno si va al cimitero o si sentono “messaggi” in casa, o si crede di vedere apparire la persona defunta in maniera soffusa, come un fantasma. Lì dobbiamo intervenire, perché potrebbe nascondere una profonda sofferenza patologica. Si chiama “lutto complicato”, e si può agire con psicoterapia di supporto o con terapia cognitivo comportamentale prima che evolva in un disturbo depressivo maggiore. Se parliamo di questo, di agire sul lutto complicato, allora gli americani hanno ragione: meglio intervenire che attendere».
E il dolore fisiologico come si lenisce?
«Con il correre del tempo. Questo non significa tornare felici come prima, ma riprendere il ritmo di vita e rientrare nella propria realtà sociale. Intervenire subito con un farmaco che possa sembrare risolutivo sarebbe un errore: finiremmo per contenere un’emotività che fa parte della vita di ogni uomo normale».
(p.g.b.)

l’Unità Lettere 28.12.12
Piergiorgio Welby sei anni dopo

Il 20 dicembre 2006 moriva il poeta e pittore politico Piergiorgio Welby e, a sei anni di distanza, la sua compagna di vita Mina e i suoi compagni di lotta, i Radicali, hanno depositato in Cassazione una proposta di legge di iniziativa popolare che prevedrebbe «l’obbligo del rispetto della volontà del paziente e la depenalizzazione di eutanasia e suicidio assistito, anche mediante testamento biologico». Né il ricordo di Welby, né l’ennesima iniziativa radicale sembrano avere la dignità dell’epitaffio di una notizia. Così possiamo dimenticare anche che, visto che a Welby furono negate le esequie religiose dal cardinale Ruini, una enorme folla si riunì per strada a celebrare il suo funerale laico; che l’allora sindaco di Roma Veltroni quel giorno era impegnato a «benedire» le targhe che intitolavano la stazione Termini a Wojtyla; che il medico di Piergiorgio, Mario Riccio, per quasi un anno rischiò il carcere per averlo sostenuto nella sua volontà di morire. Tante cose si vogliono «annullare»: anche che a Roma in sei anni non è cambiato quasi niente, tranne che la gabbia di illaicità in cui è rinchiusa la capitale da quando Ratzinger ha cominciato a cinguettare è diventata una voliera.
Paolo Izzo

il Fatto Lettere 28.12.12
Quando la Chiesa è contro la donna

Ha già fatto il giro dei giornali la notizia che tale Piero Corsi, parroco di San Terenzo, ha affisso un orribile insulto alle donne sulla bacheca di una chiesa di Lerici: "Siete state stuprate e uccise? Ve la siete cercata". Oggi è giustamente universale il biasimo nei confronti di quel prete, anche da parte del Vaticano, ma già si tenta di minimizzare sul fatto che la sua violenta invettiva prendeva le mosse da una lettera apostolica intitolata "Mulieris dignitatem" e firmata nel 1988 da Karol Wojtyla. E al tempo nessuno biasimò abbastanza il papa - così amato e già santo della Chiesa romana: in più di una occasione si è scagliato contro la "dignità delle donne", chiamandole assassine e paragonando i loro aborti al nazismo; o dicendo che fuori dal matrimonio non c'è amore e che, fuori dalla coppia fertile, nessuno ha il diritto di mettere al mondo dei figli. L'odio di don Corsi per le donne, dunque, arriva da lontano e dall'alto: questa sarebbe la notizia da dare.
Paolo Izzo