domenica 20 gennaio 2013

l’Unità 20.1.13
Psichiatria liberata
Dalla cura dei pazienti all’impegno a sinistra
La recensione dell’ultimo libro di Massimo Fagioli «Left 2009» è lo spunto per cogliere parallelismi e ricercare convergenze tra due storie professionali e umane belle e complesse
di Luigi Cancrini


Storicamente, da sempre, il trattamento dei pazzi è stato responsabilità di chi esercitava il potere

HO RINCONTRATO MASSIMO FAGIOLI DOPO MOLTI ANNI AD UNA FESTA DE L’UNITÀ. AVEVO RITROVATO I SUOI SCRITTI (ANTONELLO ARMANDO MI AVEVA FATTO AVERE IN PASSATO I SUOI LIBRI PIÙ IMPORTANTI) SU LEFT. La domanda che mi veniva naturale quella sera e che ritorna oggi di fronte a Left 2009 (L’asino d’oro, Roma 2012) che ne raccoglie un’intera annata è sempre la stessa. Perché qui? Vi è una relazione naturale e in qualche modo obbligata fra chi, come me e come lui, tenta di praticare senza pregiudizi lo studio (e la cura) della mente umana, e le idee e le posizioni della sinistra di ieri e di oggi? La risposta a questo quesito, niente affatto semplice, è quella che tenterò di dare qui. Prendendo spunto dal libro per una riflessione più ampia sul rapporto fra teoria e pratiche della psichiatria che fa (o non fa, che è lo stesso) politica.
Storicamente, da sempre, il trattamento dei pazzi è stato responsabilità di chi esercitava il potere. Allontanare o rendere inoffensivi quelli che minacciavano con la loro follia individuale l'ordine costituito è sembrato da sempre naturale anche se le teorie che lo giustificavano sono state diverse. Del tipo religioso al tempo dell'Inquisizione quando gli schizofrenici venivano bruciati sul rogo in quanto «posseduti» da un demonio (più forte degli esorcismi?) o di tipo razziale al tempo di Hitler che pensava avviando i malati di mente al forno crematorio, di difendere il patrimonio genetico degli «ariani».
Uomini di chiesa e psichiatri obbedivano, in tutti due i casi, a teorie che permettevano loro di avere un ruolo e dei vantaggi e di svolgere una funzione sociale e che avevano in comune l'idea per cui la follia non esprime qualcosa che appartiene all'uomo e alla sua storia ma qualcosa invece che lo rende irrimediabilmente diverso e pericoloso. Confondendolo con altri ugualmente appunto «pericolosi»: gli eretici nel primo caso, gli ebrei e gli zingari nell'altro.
È all'interno della rivoluzione francese che si mette drasticamente in crisi idea per cui l'ordine costituito offeso fra gli altri anche dal pazzo è un ordine voluto direttamente da Dio: quando le nuove idee maturate nel tempo dell'illuminismo permettono di pensare alla follia come ad una malattia. Di essa, i neurologi cercheranno affannosamente le tracce per tutto l'800, entusiasti del fatto che la follia determinata dalla sifilide era determinata da alterazioni riconoscibili del cervello. Senza arrivare a nulla, però, perché il cervello degli altri pazienti psichiatrici non poteva (e non può) essere differenziato da quello dei cosiddetti normali e perché il disturbo psichiatrico appare difficilmente riconducibile, nella sua origine e nel suo decorso, al concetto di malattia cui i medici erano pervenuti studiando la corrispondenza fra i sintomi e le alterazioni degli organi del corpo. Fino al momento in cui l'intuizione geniale di Freud propose con chiarezza l'idea per cui il disturbo psichiatrico riguarda la mente e non il corpo, la storia e la vita della persona invece che il substrato organico del suo funzionamento.
MENTE E STORIA
La vita mentale dell'uomo, lo confermeranno in modo definitivo gli studi dell'intelligenza artificiale, non può prescindere dalla sua storia. Molto al di là della sua capacità, peraltro non eccezionale, di fare calcoli, l'intelligenza umana è caratterizzata dalla possibilità di collegare l'esperienza attuale a quella del passato all'interno di storie dotate di senso: capaci a loro volta di influenzare il suo funzionamento (se un esame ci ansia troppo non dormiamo e rendiamo meno) o le premesse del suo funzionamento (se ci buttiamo dalla finestra possiamo determinare lesioni gravi del cervello). Poiché l'uomo è un essere naturalmente sociale (come in altro senso aveva detto Marx un po' di anni prima) e poiché la mente funziona mettendo continuamente in rapporto la realtà esterna con il nostro mondo interno, quella cui dobbiamo pensare è la possibilità di alterazioni che riguardano questa specifica funzione della mente. Alterazioni di cui l'esperienza e la ricerca dicono che dipendono abitualmente da traumi psichici, soprattutto se non riconosciuti o non elaborati, e da situazioni che ci impediscono (o ci rendono particolarmente difficile) essere noi stessi. Vivere, sentire, esprimerci, agire al livello in cui potremmo farlo.
È del tutto evidente per chi si riconosce in queste idee, che la psichiatria e la psicoterapia dovrebbero centrarsi soprattutto sulla modificazione delle situazioni interpersonali e, in senso lato, ambientali in cui il bambino viene traumatizzato ed in cui l'alterazione del funzionamento psichico si produce. Nel momento della prevenzione come in quello della cura la psicoterapia è, con parole di Sergio Piro, arte della liberazione ed occasione fondamentale dunque di crescita di una coscienza del diritto di ognuno ad essere sano, attivo e, nei limiti del possibile, felice. Sapendo che, (con parole di Massimo, pagg. 34 e 35) «la natura umana non è perversa, cattiva e distruttiva fin dall’ origine (perché) il neonato diventa cattivo e distruttivo dopo la nascita.... la memoria senza coscienza non fa immagini, ma un pensiero crea una favola che disegna la parola “diventa” come una figura antropomorfa che trascina dietro di sé e il vaso di Pandora dalla cui bocca aperta escono parole piccole, piccolissime, grandi, grandissime, perché segnate dalle stesse lettere: malattia».
È nel momento della nascita, continua Massimo, che si sperimenta per la prima volta la separazione e la «fantasia di sparizione» che ad essa naturalmente si collega: esperienza e fantasia che indissolubilmente legate verranno vissute e rivissute ancora per tante volte (pag. 36) nell’abbandonare, nell’allontanarsi dai luoghi, cose o persone, sapendo che «il movimento della mente può attuarsi anche quando il corpo è fermo» e sapendo (questo l'aggiungo io) che sta proprio nell’eccesso e nella violenza di queste separazioni dall'oggetto mentale di riferimento l'origine di quelli che si configureranno come disturbi psichiatrici. Nel bambino e più tardi, se non si interviene in tempo, nell'adulto.
Il tempo che viviamo è un tempo assai complesso. Accanto ad «un'arte “medica” della cura della mente che conosce la trasformazione della nascita» (pag. 37) e può immaginare la creatività, quella che esiste ancora, infatti, ed è purtroppo prevalente (o invadente, purtroppo molto più di quello che dovrebbe essere consentito dalla progresso generale della coscienza e della cultura), è una pratica della psichiatria che cre-de ancora nella possibilità di curare la mente direttamente intervenendo sul substrato anatomico e funzionale che la sottende. Intervenendo sul cervello di chi si è buttato dalla finestra, mi viene da dire, per impedire il suicidio che è già avvenuto. Perché? Perché i sintomi del paziente psichiatrico entrano facilmente in consonanza con la paura di chi li ascolta e perché, osservati da questo punto di vista, gli inquisitori e gli psichiatri di Hitler altro non erano, mentre uccidevano, che persone tremendamente spaventate nel momento in cui si confrontavano con un folle così tremendamente simile a loro e capace di risuonare dentro di loro, dalla possibilità di perdere il controllo della mente loro.
Incontrarsi nei libri e alle feste de l'Unità con Massimo Fagioli è stato bello. Una voglia antica di collegare pratica politica a quella del mio lavoro. Di cogliere ancora con forza il parallelismo. Anche se molte sono per me le questioni di cui discutere con lui nel merito mentre di cui mi accontento per oggi è la possibilità di ritrovare una convergenza di fondo del nostro cammino. Quella per cui è valsa la pena, per lui, credo, come per me, vivere e trasferire in politica un'esperienza professionale così straordinaria e così stralunata, così apparentemente lontana dalla realtà degli altri e così tremendamente, invece, reale.