domenica 12 luglio 2015

La Stampa TuttoLibri 12.7.15
Faccio analogie dunque penso
La conoscenza non si basa sul ragionamento logico ma sulla somiglianza tra ciò che accade e i ricordi
di Maurizio Codogno


Non dev’essere facile trovare una propria strada nella vita quando vostro padre è un premio Nobel; se poi a poco più di trent’anni pubblicate un libro che vince il premio Pulitzer per la saggistica, rischiate di trovarvi in un vicolo cieco. Ma Douglas Hofstadter non è certo una persona che si perde d’animo. Dopo il successo di Gödel, Escher, Bach e della rubrica «Metamagical Themas» sullo Scientific American i suoi interessi si sono spostati dall’intelligenza artificiale alle scienze cognitive, per capire come gli esseri umani siano in grado di imparare. La sua tesi è che il meccanismo alla base del pensiero sia il fare analogie: come sempre, non era interessato a produrre un’opera accademica ma vuole raggiungere un vasto pubblico, evitando per quanto possibile il linguaggio tecnico e scrivendo nel suo stile scoppiettante. A coronamento delle sue ricerche ha scritto insieme allo psicologo cognitivo francese Emmanuel Sander un’opera monumentale (o forse due?), pubblicata ora da Codice Edizioni nella traduzione di Francesco Bianchini e mia.
La genesi del libro è peculiare e rispecchia una delle caratteristiche più note di Hofstadter: lavorare contemporaneamente su piani diversi, ponendosi a un metalivello che gli permette di osservare le strutture di strutture. Non solo gli autori sono due, ma anche l’opera è stata scritta in due versioni originali, una inglese e una francese, nessuna delle quali è la traduzione dell’altra. Lingua e cultura non sono affatto neutrali, e producono un effetto sulla struttura del testo, come si nota fin dall’inizio del libro; la scena di apertura è ambientata in una stazione della metropolitana parigina nell’edizione francese e in un aeroporto americano non meglio definito in quella inglese. Anche questo ha a che fare con le analogie: per gli autori un’analogia non è solo una similitudine geniale ma anche una piccola equiparazione inconscia, dal riconoscere una lettera dell’alfabeto in una font stranissima al capire che quello strano oggetto vicino a un portone dev’essere un campanello.
Sono in molti a ritenere che la conoscenza si formi mediante la classificazione: gli autori rigettano questa idea mostrando come neppure la tassonomia, che è la forma di classificazione per eccellenza, sia lungi dall’essere perfetta e immutabile. Inoltre essa soffre di un problema di base: come è possibile fare una classificazione quando non esiste un termine per definire il concetto che si deve classificare? Leggendo la favola di Esopo sulla volpe e l’uva possono venire in mente diverse situazioni in cui è successa «proprio la stessa cosa», creando al volo un’analogia. E anche se inventassimo il termine «volpeuvismo» per catalogare quelle situazioni, che termine useremo per il concetto «far credere di essere esperti in un campo quando in realtà abbiamo solo imparato a memoria alcune cose»? Un altro vantaggio dell’analogia sulla classificazione è che i concetti creati per analogia sono molto più flessibili, e si riallineano automaticamente man mano che nuovi esempi entrano a farne parte.
L’analogia è una forza produttiva straordinaria persino in matematica, la scienza più teorica: Hofstadter e Sander ci mostrano come i nostri concetti matematici spesso si fondano su «analogie ingenue» che sono utili scorciatoie ma a volte falliscono. Con un esperimento pratico, gli autori hanno chiesto di inventare un problema con una divisione il cui risultato fosse maggiore del valore iniziale: questo compito si rivela più difficile di quanto sembri a prima vista, perché noi vediamo la divisione come ripartizione e non come misurazione. Un gigante del pensiero analogico è infine stato Albert Einstein: troviamo nel libro un dettagliato resoconto di come egli abbia sfruttato le analogie per creare nuove teorie, anche quando i suoi colleghi vedevano due processi del tutto diversi. Anche la famosa formula E=mc^2 nasce da una serie di analogie: Einstein parte supponendo che l’elettromagnetismo segua regole analoghe alla meccanica, e arriva a dedurre che la massa di un oggetto è analoga alla sua energia cinetica o luminosa.
Un’ultima parola sulla traduzione. Hofstadter ritiene a ragione che essa sia uno dei campi in cui la conoscenza - e dunque l’analogia... - si esprima al massimo livello. Nel libro si parla anche della traduzione automatica, con un esempio di un articolo tradotto dal «vecchio» Google Translate (precedente al 2007) e dal «nuovo», che non usa più regole grammaticali ma inferenze statistiche; entrambe le traduzioni sono stroncate. Un paio di pagine è dedicato ai vari tentativi degli autori per trovare una bella traduzione in francese della frase «Four score and seven years ago», e tutto il libro è infarcito di esempi in più lingue diverse. Aggiungete poi il fatto che Hofstadter parla correntemente italiano e quindi può dare direttive ben precise. Il risultato? Il libro è stato principalmente tradotto dalla versione inglese, ma ci sono alcune sezioni che rispecchiano quella francese, e altri punti ancora che sono stati scritti direttamente da noi, lavorando per analogia sui testi originali che non aveva senso tradurre e immaginando cosa avrebbero fatto gli autori se avessero dovuto scrivere in italiano. In fin dei conti Hofstadter scherza sempre sulla frase «traduttore, traditore» che ha modificato in «traduttore, trascenditore»!
* Matematico (laureato alla normale di Pisa) informatico, portavoce di Wikimedia Italia, Codogno è traduttore e amico personale di Hofstadter