domenica 21 febbraio 2016

Corriere La Lettura 21.2.16
Paleontologia
La guerra non è inevitabile
Gli scheletri con segni di violenza ritrovati in Kenya sembrano dimostrare che i conflitti sono un prodotto piuttosto recente dell’umanità. E non sono ineluttabili.
Al contrario confortano l’intuizione di Elsa Morante
di Carlo Rovelli

Un nuovo spettacolare ritrovamento archeologico, in una località chiamata Nataruk sulle rive antiche del lago Turkana, in Kenya, mostra l’evidenza ancora agghiacciante di un episodio di guerra avvenuto intorno a diecimila anni fa. Ne ha dato notizia sull’ultimo numero di «Nature», la più prestigiosa rivista di scienza, un gruppo di archeologi inglesi, kenyani, australiani e indiani. L’importanza del ritrovamento è che contribuisce a gettare luce su una questione di disperata attualità: perché ci facciamo la guerra?
Esistono due ipotesi sull’origine della guerra. Non è ancora chiaro quale sia quella corretta. La prima vuole che la guerra abbia un’origine relativamente recente: sia nata con l’inizio dell’agricoltura, quando gli uomini hanno cominciato ad accumulare risorse, come granai per conservare raccolti. Queste risorse diventano appetibili per altri gruppi, innescando cicli di rapina e violenza. A sostegno di quest’ipotesi ci sono due osservazioni. Le popolazioni che oggi seguono uno stile di vita pre-agricoltura, pre-allevamento e pre-pastorizia in generale non fanno guerra. Vivono di caccia e raccolta, come l’umanità ha fatto per centinaia di migliaia di anni, e questa è un’economia che non permette l’accumulo: ogni surplus è deperibile e conviene regalarlo, ricevendone gratitudine e riconoscenza. In questi popoli gli incontri fra gruppi diversi sono generalmente occasione di scambi di doni e nascita di nuove coppie. La seconda osservazione a sostegno dell’origine recente della guerra è l’assenza di violenza in una delle due specie a noi più simili: i bonobo, gli allegri piccoli scimpanzé dell’Africa occidentale, dove l’incontro fra gruppi diventa spesso occasione di festa.
L’ipotesi opposta è che la violenza fra gruppi sia invece connaturata con la nostra specie, e guerre siano esistite lungo i milioni di anni della lunga preistoria del genus Homo . A sostegno di questa seconda ipotesi c’è il comportamento dell’altra specie vicina alla nostra: gli scimpanzé veri e propri, fra i quali si osservano scontri violenti fra gruppi rivali che possono portare all’uccisione dei nemici.
Chi ha ragione? Lungo le centinaia di millenni della nostra preistoria, quando correvamo nomadi per il mondo in piccoli gruppi cacciando con frecce e lance, e raccogliendo erbe, bacche e radici, eravamo felici o terrorizzati incappando in un altro gruppo della nostra stessa specie? Pensavamo più a come piantare una lancia nella loro pancia, oppure a fare loro un dono e scambiare sguardi lusinghieri fra giovani uomini e giovani donne?
Il ritrovamento del lago Turkana aggiunge un punto fermo sulla questione. Diecimila anni fa, a Nataruk, sulle rive antiche del lago (ora il lago è più piccolo), c’è stata una strage, con ogni evidenza perpetrata da un gruppo umano su un altro. È la più antica traccia di conflitto fra gruppi umani trovata finora. Sono stati ritrovati 27 scheletri, uomini, donne e bambini, riversi in posizioni varie, evidentemente senza sepoltura rituale, con segni chiari di violenza: crani fracassati, punte di pietra nel corpo, indizi che alcuni fossero stati legati, evidenza di traumi violenti e fratture in molte parti del corpo. Ci sono segni di uso di mazze, frecce o lance. Un uomo ha una lama di ossidiana ancora infilata nel teschio, un’altra lesione violenta che gli ha fracassato parte della testa e della faccia, e un proiettile nel ginocchio. È caduto a faccia in giù in quella che probabilmente era allora una bassa laguna. Una donna incinta è in una posizione contorta che suggerisce che mani e piedi fossero stati legati insieme. Il sito non è stato ancora scavato, e i morti trucidati potrebbero essere più numerosi. Fra i resti di quelle che verosimilmente sono state armi usate per il massacro ci sono lame di ossidiana proveniente da un’altra zona geografica, a indicare che almeno uno dei due gruppi che si sono scontrati sulle rive del lago Turkana poteva venire da altrove. Echi drammatici di guerre antiche.
Il ritrovamento pone un elemento che sembra ora essere abbastanza certo sulla questione dell’origine della guerra: diecimila anni fa in Africa orientale, prima della grande rivoluzione neolitica che ha diffuso l’agricoltura e ha reso possibile la nascita della civiltà, già esistevano scontri violenti fra gruppi umani che portavano al massacro. Significa che la guerra esiste da sempre? La speranza per la fine della barbarie della guerra è solo un prodotto nobile, ma recentissimo, della civiltà? Forse no. Anzi: gli archeologi che hanno studiato il sito sottolineano che il ritrovamento potrebbe addirittura diventare un tassello di una prova che l’origine della guerra è recente.
Diecimila anni fa le sponde occidentali del lago Turkana formavano una costa particolarmente fertile e propizia al sostentamento di una densità alta di gruppi di cacciatori raccoglitori. Vi è evidenza di contenitori di ceramica che potrebbe indicare che mobilità ridotta e accumulo primitivo di risorse fosse già cominciato. Diecimila anni fa non è un periodo molto lontano dalle prime piramidi. Se questi indizi fossero confermati, e diventasse chiaro che non vi è evidenza di scontri violenti precedente a queste novità nella storia dell’umanità, allora il ritrovamento diventerebbe un tassello di una prova convincente che la guerra è recente. Che noi umani non ci siamo evoluti lungo milioni di anni per essere così bestiali come mostrano questi antichi scheletri e la nostra cronaca quotidiana. Il disgusto per la guerra che molti di noi provano potrebbe essere profondamente radicato nel tessuto mentale istintivo della nostra specie.
Uno scandalo che dura da diecimila anni è il sottotitolo di quello che io credo sia il più grande romanzo della letteratura italiana, La Storia di Elsa Morante. E diecimila anni è proprio l’antichità del ritrovamento di Nataruk, quasi Elsa già lo sapesse, con la sua umanità struggente e la sua visione così nitida e intensa della vita. Diecimila anni sono tanti, troppi, per la disperazione delle innumerevoli Iduzze, la madre dell’indimenticabile «Useppe», o della donna incinta morta legata nella laguna del Turkana, o delle Iduzze che oggi piangono ad Aleppo sotto le bombe. Ma forse, come dicevi tu, Elsa, sono solo diecimila, e non milioni, gli anni dello scandalo. Uno scandalo lungo, ma uno scandalo da cui possiamo forse ancora provare a guarire.