domenica 20 novembre 2016

Pagina 99 19.11.2016
l’Est Europa si sta svuotando
Demografia | Hanno perso sei milioni di abitanti dal 1989 a oggi.
E ne perderanno altri 12 entro il 2050. Mentre i giovani migrano a Ovest
di Matteo Tacconi

La nuova Europa è molto vecchia. Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia e tutti i membri di più recente ingresso nell’Ue sono destinati a patire nei prossimi decenni una recessione micidiale sul piano demografico. In realtà la tendenza è già in corso, se è vero che dal 1989, in questo versante d’Europa, la popolazione complessiva è scesa da 106 a 100 milioni. Nel2050 si arriverà a 88 milioni di abitanti, stando alla banca dati e alle proiezioni dell’O cse, che tra i Paesi di nuova adesione non contempla però la Croazia. Prendendo il 1989 come base, l’erosione, se queste stime si confermeranno, sarà del 16%. Nel resto dell’Ue avverrà invece il contrario. Le sue economie più avanzate guadagneranno popolazione, persino più di quella persa a Est. Cosa che nel 2050 porterà l’attuale spazio comunitario (Paesi di nuovo ingresso inclusi) a 524 milioni di abitanti dai 510 attuali. C’è dunque un pezzo d’E uropa che si fa più affollato e un altro che si svuota. E la differenza, ben più che i tassi di natalità e mortalità, la fanno e la faranno gli squilibri economici e l’immigrazione. L’Europa pre-allargamento, con i suoi redditi e le sue garanzie sociali, attirerà nuovi abitanti: dai Paesi extra-europei e dalla stessa nuova Europa. Emerge allora una contraddizione intra-europea. Germania, Francia, Italia, Austria, Benelux e Scandinavia hanno assicurato ai nuovi soci due benzine formidabili per lo sviluppo: fondi strutturali e investimenti industriali. Tutto ciò però non basta. Per quanto in questi anni sia stata notevole, l’espansione nell’Europa centro-orientale, che al momento del crollo dei regimi comunisti partiva da condizioni di grave arretratezza, non è ancora tale da creare benessere diffuso e trattenere gente. L’Europa ricca si ritrova a dare e a togliere. Esporta sviluppo, ma offrendo condizioni di reddito e vita migliori drena al tempo stesso cervelli e braccia. Oltre la vecchia cortina la questione della sostenibilità socio-economica, cruccio che assilla l’intera Ue, è più incalzante che altrove. Chi pagherà le pensioni? Chi rimpiazzerà i medici, tanti, che si sono trasferiti nell’altra Europa? E chi lavorerà per le aziende occidentali? La carenza di lavoratori specializzati, causa emigrazione, sta infatti divenendo critica. Giulio Bertola, vice presidente di Confindustria Romania, spiega che «l’incidenza varia da settore a settore, ma rileviamo ad esempio una forte mancanza di venditori formati ». Scenario simile nella vicina Ungheria, riferisce Judit Graczer, responsabile risorse umane di Itl Group, società di consulenza. «La carenza di qualifiche si riscontra soprattutto nella fascia tra i 25 e i 45 anni, ovvero il pilastro della popolazione attiva. Questo perché i laureati guardano al mercato dell’Europa occidentale, che premia di più. Molti, spostandosi, recidono le radici con il Paese. Ma anche chi non è laureato tenta l’avventura all’estero, almeno per qualche anno». Per Judit Graczer il deficit di specializzazione dipende anche dal sistema scolastico, che dopo la fine del comunismo ha smesso di insegnare mestieri. «Non era ritenuta più una cosa prestigiosa ». Ora il governo sta cercando di invertire la rotta, «seguendo il modello tedesco, con accordi tra scuole e aziende». È previsto inoltre un taglio delle tasse alle imprese, nella speranza che possa favorire tra le altre cose salari migliori: un incentivo a non emigrare, sempre che sia sufficiente. Anche in Lettonia si tenta di fare qualcosa, ma è difficile porre rimedio a una delle recessioni demografiche più acute al mondo. Tre ne sono stati i passaggi principali, riferisce Guido Sechi, ricercatore del Dipartimento di Geografia socioeconomica all’Università statale della Lettonia. «Il primo si ebbe dopo l’indipendenza, con il collasso economico e l’esodo delle minoranze russofone, conseguenza del timbro etno- nazionale che ha caratterizzato la Lettonia indipendente. Una seconda ondata c’è stata prima e durante l’allargamento europeo. La terza, infine, è coincisa con la crisi economica, seguita da un’austerity dura, socialmente poco equa». Il Paese, intanto, è passato dai 2,6 milioni di abitanti del 1989 ai due attuali. Nel 2050 potrebbero essere 1,6. Anche la china imboccata dalla Bulgaria è impressionante. Dal 1989 è passata da 8,8 a 7,2 milioni di abitanti. Nel 2050 potrebbe averne appena 5,4. L’emigrazione, anche qui, è stata massiccia. Chi aveva carte da giocare ha scelto l’America, Londra e altri bastioni del progresso. I più sono andati in Spagna, Grecia e Italia a lavorare nel settore costruzioni e nell’agricoltura (gli uomini), oppure nell’assistenza sociale (le donne). Ma è riduttivo pensare che l’allargamento europeo sia per lo più coinciso con una fuga della forza lavoro, dice Francesco Martino, corrispondente da Sofia di Osservatorio Balcani e Caucaso. «Gli investimenti dall’Europa occidentale hanno anche creato occupazione, e almeno consentono a parecchi giovani qualificati, impiegati nei distretti tecnologici, di restare nel Paese», afferma Martino. È un dare e togliere, un togliere e dare. Di certo per far sì che il dare prevalga c’è bisogno di molto tempo ancora. Lo dimostra il caso polacco: sviluppo enorme dall’ingresso in Europa, ma saldo migratorio ancora negativo. Per arginare declino demografico (nel 2050 la popolazione dovrebbe calare di quattro milioni) e deficit delle specializzazioni, il governo ha lanciato una generosa politica di assegni familiari epunta a ridare slancio alla formazione tecnica nelle università. Eppure la risorsa più efficace, secondo uno studio della Banca Mondiale del 2014, sarebbe quella di attirare e integrare stranieri. Non solo dalle vicine Ucraina e Bielorussia, che esportano già oggi centinaia di migliaia di lavoratori. Si tratterebbe di aprire l’economia in espansione della Polonia a quell’emigrazione proveniente dalle aree di mondo dove la popolazione continua a crescere, come l’Africa sub-sahariana e il subcontinente indiano. Ma oggi Varsavia e la nuova Europa in generale non sono pronte per questo salto. E il modo spiccio con cui hanno chiuso ai rifugiati sta lì a dimostrarlo.